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east9_Questo sì che è un business molto intimo
Un imprenditore naif, come tanti in Italia. Una storia che parte da Castelgoffredo, da mezzo secolo polo europeo per le calze di nylon. Che in mano a lui diventano un business. Un’azienda di successo, la Filodoro, venduta agli americani di Sara Lee. Poi il ritorno con l’acquisto del marchio Roberta. E ora ancora calze con la Pompea. Adriano Rodella racconta la sua avventura imprenditoriale che lo vede ai vertici con fabbriche in Italia, Serbia, Tunisia e società commerciali in mezza Europa Questo sì che è un business molto intimo LEADER GLOCALISTI 2 a cura di Guido Vigna driano Rodella si presenta come il più A naïf e ruspante degli industriali. Ha un aspetto che più contadino non si può. po’ tutti a Castelgoffredo che da mezzo secolo è il maggior polo europeo, forse del mondo, per le calze di nylon che poi oggi Come le mani, ruvide, vorrebbero far cre- sono soprattutto collant. Quarant’anni fa, dere. La cravatta la mette raramente e a Castelgoffredo, si sentiva anche di notte quando la porta te ne accorgi che non è il ronzio dei telai e, si dice, anche in canoabituato, perché è fuori moda di almeno nica, perché, si dice, anche il parroco s’era vent’anni. Però è, non c’era da dubitarne, messo a fare calze. Il sacrestano sicuraHermès. Ha fatto la quinta elementare, il mente sì. signor Rodella, e non ha un titolo da Ma torniamo al signor Rodella che giura accompagnare al cognome. Poi ha fatto, di aver votato PCI sino a non molti anni sostiene lui, il muratore, ma a 11 anni fa, che dice che il “Sole 24 Ore“ di oggi potevi fare il manovale e non di più; poi il gli piace perché assomiglia tanto pittore, come si dice da queste parti per all’“Unità“ e che alla Confindustria, nondire imbianchino, l’operaio, il meccanico ostante uno spietato corteggiamento, non per le macchine tessili. Era un mago nel ha mai voluto iscriversi. “L’Api”, sostiene, riparare le macchine e nell’adattarle. Così “basta e avanza”. Venduta Filodoro agli è nata la sua fortuna. Un’irresistibile asce- americani della Sara Lee, è tornato in sa che ha portato il signor Rodella tra i pista esattamente quattro anni dopo con numeri uno delle calze di nylon in Italia e Pompea, sempre le calze di nylon, allarin Europa. Poi sono arrivati gli americani, gandosi due anni dopo con l’intimo e che gli hanno offerto una barca di quattri- acquisendo, nel 2002, un marchio entrato ni e lui ha venduto la sua fabbrica, un nel mito come Roberta. Con Pompea, il gioiello che si chiamava e si chiama signor Rodella è tornato ai vertici. Ha fabFilodoro. briche oltre che in Italia, in Serbia e in “Eh sì”, racconta, “mi sono fatto proprio Tunisia, società commerciali in mezza un bel gruzzolo”. Però non riusciva a Europa. Fatturato 2005 di 170 e passa stare con le mani in mano e così appena milioni di euro e rosso in bilancio, “anche scaduta quella clausola contrattuale che perché ho investito sinora 130 milioni di gli imponeva, per un certo numero di euro”. Ma pareggio già da quest’anno. anni, l’inattività con le calze, il signor Insomma, una storia imprenditoriale inteRodella si è rimesso in pista. Ancora con ressante da raccontare. le calze di nylon, ovviamente, perché in quest’ambito è un fuoriclasse. Rodella, le Che inizia quando? calze di nylon, le ha nel sangue come un Nel 1966. Avevo 25 anni. 81 QUESTO SÌ CHE È UN BUSINESS MOLTO INTIMO E prima che cosa aveva fatto? Ho cominciato a lavorare dopo la quinta elementare. Avevo 11 anni e mezzo. Era inevitabile quando nascevi povero. Ho fatto un po’ il muratore con mio padre. Un po’ il pittore. Poi a 14 anni l’operaio. Misi i pantaloni lunghi il primo giorno di fabbrica. Il tessile a Castelgoffredo era ed è la calza. Allora c’erano centocinquanta calzifici, erano gli anni d’oro. A 18 anni sono diventato meccanico, non lavoravo più con la macchina ma sulla macchina e presi a guadagnare bene. Da operaio erano 30.000 lire al mese con gli straordinari, da meccanico arrivavo anche a 200.000. I soldi eccitano i sogni e i sogni a Castelgoffredo non dipingevano altro che calzifici. Così nel 1966 diventai industriale. Da solo? Sì, partii da solo. Nel senso che la mia aziendina, Fontanella l’avevo chiamata, era una ditta individuale, però due tre anni dopo essere partito riuscii a riunire altre sei piccole ditte come la mia, dando vita a un consorzio. Lo chiamammo Settestelle. Stando assieme, avevamo maggior potere d’acquisto con le macchine e la materia prima, e più forza sul mercato. Arrivammo a 27 milioni di fatturato e a installare la prima filatura di nylon, l’ultimo grido in fatto di tecnica, allora nessuno le chiamava tecnologie avanzatissime, si parla di un macchinone alto una ventina di metri. In Italia una roba del genere l’avevano soltanto la Bomprini Parodi, la Snia e un’azienda di Borgomanero della quale non ricordo il nome. Che vantaggi vi dava quella macchina? Potevamo fare un filato migliore per produrre i collant che, dopo un primo momento d’incertezza, stavano soppiantando le calze. Quello fu per me il primo salto di qualità. Fatto assieme agli altri. Il secondo lo feci da solo. Quando? Tre anni dopo. Era il 1975 quando cominciai a lavorare gli elastomeri. Che sarebbero… Fili che erano l’ideale per i collant, con 82 un’elasticità perfetta, senza mai fare una grinza. Però ero soltanto io a credere negli elastomeri. Gli altri del consorzio no e allora ne uscii e cercai un socio. Perché? Potevo farcela anche da solo, ma sentivo il bisogno di essere affiancato. Mi misi in società con un giovane di Castelgoffredo e comprammo alcune spiralatrici, che sono macchine per lavorare gli elastomeri, ricoprendoli di nylon. La prima idea era di commercializzare il filo tra i vari calzifici della zona, ma sa che cosa dice il proverbio? Che nessuno è profeta in patria. Morale, il nostro filo, che era la perfezione, non lo voleva nessuno, preferivano comprarlo fuori. E allora ci siamo messi a trasformare in collant tutto il filo che producevamo con le nostre spiralatrici. Fu il boom di Filodoro. Che cosa c’entra Filodoro? È il nome che avevo dato alla nuova società, la Fontanella nel frattempo era morta. Filodoro perché era proprio un filo d’oro, con le spiralatrici che io avevo messo insieme nasceva un filo di una bellezza unica. E si vide poi con i collant, così setificati, così colorati. I collant, mi creda, diventavano sexy. Le donne volevano soltanto Filodoro. Tutto merito delle nuove macchine? Il merito era anche mio. Avevo aggiunto finiture particolari, di classe. Perché deve sapere che io curo tutto. Proprio tutto? Proprio tutto. Anche le confezioni. Anche le scatole. Chi la finanziò per l’acquisto delle macchine? Le presi in leasing da Italease. Posso dire per il resto che, siccome sono un bravo ragazzo, la Bam, la Banca agricola mantovana, mi ha sempre dato una mano. Ovviamente, sarà nel consiglio d’amministrazione della Bam… No. E neanche mi hanno mai cercato. Però, da sette anni, sono nel consiglio di amministrazione della Banca lombarda. Gran bella banca anche questa. LEADER GLOCALISTI 2 Torniamo a Filodoro. Il boom ci fece crescere e il primo stabilimento non bastava più. Avevamo bisogno di almeno 50.000 metri quadrati per espanderci e a Castelgoffredo tanto spazio non c’era. Così ci spostammo di qualche chilometro, mettendo radici a Casalmoro, uno stabilimento che era un gioiello, macchine che erano il meglio, un migliaio di dipendenti. Facevamo soltanto calze e collant. Era il 1985. Filodoro aveva finalmente tutto il necessario per esprimere tutte le sue potenzialità e diventò la numero uno. Un’azienda, un marchio che faceva gola a tanti. Agli americani della Sara Lee, soprattutto. E lei ha ceduto… Cercavano una medaglia da mettersi sul petto, un calzificio di un certo nome e hanno messo gli occhi su Filodoro. Avrei 83 QUESTO SÌ CHE È UN BUSINESS MOLTO INTIMO anche potuto resistere, ma mi hanno offerto proprio un bel gruzzolo. Ma il socio era d’accordo? Beh, io avevo il 90%. Potevo decidere da solo e decisi. Era il 1993 quando entrarono gli americani. Io però rimasi a gestire la società altri due anni. Sino al 1995. Poi me ne andai. Come mai questo strano nome? Non è un nome classico? Non appartiene alla storia romana? Forse pensava a Poppea… Forse. Ma chi è Poppea? Prima l’amante e poi la moglie di Nerone… Mai sentita questa Poppea. Forse pensavo proprio a Pompea, ma non mi chieda E che cosa fece? Cominciai a pensare a un’altra azienda. il perché. Insomma, aprii un altro stabilimento. Anche se non era proprio un bel Io non mi ci vedo a fare il pensionato. Se momento. Sa, la globalizzazione. Non ne non lavoro sto male. avevo tenuto conto. Però mi è andata bene. E l’altra azienda quand’è nata? Abbastanza bene. Vede, sul mercato sanno Nel 1997, quando ero finalmente libero tutti chi è Adriano Rodella, e Adriano dalle clausole contrattuali. Fu così che Rodella è uno del quale ci si può fidare. In nacque Pompea. tutti i sensi. Poi ho fiutato l’intimo. Self-made man alla mantovana Classe 1941, mantovano di Castelgoffredo, Adriano Rodella è il numero uno di Pompea con il doppio incarico di presidente e amministratore delegato. È affiancato dai due figli, Alberto, 34 anni, e Alessandro, 31. Il primo si occupa dell’estero, l’altro del marketing. Pompea produce collant, calze e intimo. Con più di un marchio, Pompea, ovviamente, Pompea no stress, che è l’ultima creatura, Pompea junior, Roberta, Glory, Mimù, due marchi, questi, rilevati recentemente in Spagna. E produce per molti nomi della grande distribuzione negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone. Cinque gli stabilimenti: ad Asola e Medole, dove c’è il quartier generale, nel Mantovano, ad Atri in provincia di Teramo, in Tunisia, in Serbia. Tra il 2006 e il 2007 gli stabilimenti italiani subiranno un ridimensionamento a favore delle fabbriche straniere. Pompea ha poi consociate in Spagna, Grecia e Polonia. Da un anno s’è iniziata l’apertura di negozi monomarca Pompea no stress. Sino a oggi sono una ventina, dodici in altrettanti outlet. Entro la fine dell’anno la tabella di marcia prevede di arrivare a cinquanta negozi monomarca, quaranta in franchising, dieci di proprietà. 84 _Adriano Rodella, numero uno di Pompea, con i due figli, Alberto e Alessandro che si occupano, rispettivamente, dell’estero e del marketing LEADER GLOCALISTI 2 Che cosa vuol dire? Che nel 1999, due anni dopo essere tornato sulla breccia con Pompea, ho capito che il vento era favorevole per l’intimo e così ho comprato le macchine per fare anche l’intimo. Ho sfondato subito. Insomma, ho avuto subito successo. Poi, nel 2002, ho comprato Roberta. Il marchio, per capirci, ed è stata un’altra bella spinta per farci conoscere. zione. Anche nella produzione, mettendoci d’accordo tra noi nella diversificazione dei prodotti. Non m’ha ascoltato nessuno. E allora Pompea va dove spende meno, mantenendo intatta l’alta qualità del prodotto. E, contemporaneamente, raddoppieremo gli sforzi nella distribuzione. Perché il futuro si può costruire soltanto avendo in mano la distribuzione. E allora puntiamo tutto sulla grande distribuzione, sui negozi monomarca, gestiti da noi o in franchising: punto ad averne almeno un centinaio. E sul commercio ambulante. Pompea come si colloca sul mercato? Direi bene visto che non abbiamo neppure dieci anni. Nell’intimo siamo al primo posto in Italia e nelle calze, sempre Sul commercio ambulante? in Italia, ma forse anche in Europa al Sissignore. Lei forse non sa quanti secondo posto. Nel 2005 abbiamo realizza- siano gli italiani che fanno spesa nei merto 170 milioni di euro di fatturato. Metà cati settimanali dei paesi e delle città. nelle calze e metà nell’intimo. Sono milioni. E per loro ho ideato minifurgoni con il marchio Pompea. Sarà un Che cosa legge nel futuro? successone. Mi creda… Che sarà sempre più dura. Intendevo i suoi progetti per Pompea… Più produzione all’estero e negozi monomarca. Che cosa intende con più produzione all’estero? Non c’è tanto da spiegare. Ho chiuso in rosso il bilancio del 2005 e io sono uno che al rosso non c’è abituato. È vero, ci sono stati nel passato errori manageriali tant’è vero che sono tornato a fare l’amministratore delegato, ma se voglio tornare in nero devo contenere i prezzi e io non conosco che una strada, ridurre il costo del lavoro. E come? Sfruttando il lavoro nero come fanno altri? Lavoro nero? Sissignore. L’ho anche denunciato, ma non è successo e non succede nulla. E allora taglierò negli stabilimenti italiani e aumenterò la produzione all’estero. In Serbia, per esempio, porteremo quasi tutta la calzetteria. Questo è un settore che ha bisogno di manualità e là la manualità costa meno, molto meno. Non c’è nessun’altra strada per contenere i costi? Avevo proposto un consorzio qui da noi. Per avere una migliore immagine. Per essere più forti negli acquisti e nella distribu- I NUMERI DELLA POMPEA Anno di nascita: Fatturato: Dipendenti: In quali Paesi esteri: 1997 Nel 2005, 170 milioni di euro 2.138 Serbia e Tunisia 85