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donne in italia
DONNE
IN
ITALIA
Una grande risorsa non ancora pienamente utilizzata
I principali indicatori sulla condizione sociale ed economica delle donne
e sulle criticità irrisolte della partecipazione femminile al mercato del lavoro
DONNE IN ITALIA
Una grande risorsa non ancora pienamente utilizzata
I principali indicatori sulla condizione sociale ed economica delle donne
e sulle criticità irrisolte della partecipazione femminile al mercato del lavoro
Progetto “Lavoro Femminile Mezzogiorno (LaFemMe)
Staff statistica, studi e ricerche sul mercato del lavoro
Progetto “Lavoro Femminile Mezzogiorno” (LaFemMe)
Il rapporto è stato realizzato dai ricercatori dello Staff statistica, studi e ricerche sul mercato del lavoro
di Italia Lavoro, coordinato da Maurizio Sorcioni, per il Progetto “Lavoro Femminile Mezzogiorno”
(La.Fem.Me.) coordinato da Antonella Marsala.
Autore del rapporto:
Roberto Cicciomessere
Supporto statistico - metodologico; analisi ed elaborazione dei dati:
Simona Calabrese e Leopoldo Mondauto
La ricerca è realizzata con il contributo del PON del FSE 2007-2013. "Azioni di sistema"
e "Governance e a zioni di sistema".
La grafica e l'editing del prodotto editoriale sono stati realizzati nell'ambito del progetto
"Supporti tecnico-informativi al PON" di Italia Lavoro.
Hanno collaborato alla stesura del rapporto:
Simonetta Bormioli, Antonella Marsala, Francesca Pelliccioni, Simona Piacentini e Sandra Zaramella
Testo chiuso il 25 novembre 2011
Indice
Introduzione
5 1. La popolazione
1.1 Negli ultimi 60 anni la percentuale di ragazze fino a 14 anni si è quasi dimezzata
7 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12 1.13 e quella delle donne anziane è aumentata più del doppio
Fra venti anni la popolazione italiana diminuirà di due milioni, gli stranieri cresceranno
di quattro milioni e il Mezzogiorno perderà un milione di residenti
L’Italia è uno dei paesi d’Europa più vecchi, soprattutto per le donne anziane
La popolazione invecchia, ma le donne anziane sono più numerose degli uomini
Il numero di figli per donna non garantisce il ricambio generazionale
In Italia le donne si sposano sempre più tardi, il primo figlio a 30 anni
In Italia le più basse percentuali di figli nati fuori dal matrimonio e dei divorzi
Calano i matrimoni, aumentano quelli civili e le coppie non coniugate
L’età media di vita degli italiani è una fra le più alte d’Europa
Le donne vivono più a lungo, ma più vedove e anziane che vivono da sole.
In Italia solo il 2% delle famiglie è costituito da donne single con figli, nel Regno Unito il 6,7%
Le donne povere sono molto più numerose degli uomini
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 2. L’istruzione
2.1 Le donne giovani sono più istruite degli uomini
2.2 Le giovani donne diplomate proseguono gli studi più degli uomini
2.3 La quota di giovani donne laureate italiane è molto lontana dall’obiettivo di Europa 2020
2.4 Le donne laureate in discipline tecnico-scientifiche in linea con la media europea
2.5 Le donne laureate hanno maggiore difficoltà degli uomini a trovare lavoro
2.6 Le studentesse sono molto più brave in lettura, gli studenti in matematica
2.7 Le donne che abbandonano gli studi sono meno numerose degli uomini
2.8 I giovani Neet sono oltre due milioni, in maggioranza donne
2.9 Le donne partecipano più degli uomini all’apprendimento permanente
2.10 I maschi sono più precoci delle donne nell’utilizzo di Internet, ma a 18 anni le donne usano di più la rete
21 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 3. Il mercato del lavoro
3.1 Oggi, dopo poco meno di trent’anni, le donne entrano nel mercato del lavoro
34 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9 3.10 3.11 3.12 3.13 3.14 3.15 3.16 3.17 3.18 3.19 3.20 3.21 3.22 nell’età in cui prima ne uscivano per sposarsi
In Italia solo la metà delle donne è occupata o cerca un lavoro, nel Mezzogiorno un terzo
Negli ultimi 27 anni la crescita delle donne attive ha compensato la flessione degli uomini
In Italia meno di una donna su due è occupata, nel Mezzogiorno meno di un terzo
Il tasso di occupazione delle donne straniere più alto di quello delle italiane
Forti differenze, secondo la nazionalità, nel tasso di occupazione delle donne straniere
Oltre 8 donne su 10 sono occupate nel settore dei servizi
Il tasso di occupazione delle donne italiane laureate è il più basso fra tutti i paesi dell’Unione Europea
Il part-time è poco diffuso fra le lavoratrici italiane e per quasi la metà non è una libera scelta
Le donne sono maggiormente presenti nelle professioni impiegatizie, del commercio,
dei servizi e in quelle poco qualificate
La crisi ha accentuato la caduta dell’occupazione femminile qualificata e ha aumentato
quella non qualificata
Modesta è la presenza femminile nelle posizioni di vertice
Bassa la presenza di donne negli organi decisionali delle società e nei Parlamenti
Nelle piccole e medie imprese italiane solo un terzo dei dipendenti è costituito da donne,
nelle grandi la metà
L’occupazione femminile a termine in Italia è allineata a quella dei paesi europei
Le donne guadagnano il 72% del salario degli uomini
Con la crisi la disoccupazione femminile cresce in Italia come nel resto dell’Europa
Il tasso di disoccupazione giovanile è molto alto, ma quello delle donne è nettamente superiore
In Italia quasi la metà della popolazione femminile è inattiva
Una parte delle donne inattive è disponibile a lavorare
Più alta in Italia la quota di donne non disponibili a lavorare
1 milione 350 mila donne lavorano in nero, soprattutto nei servizi domestici
38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 3
3.23 3.24 Le imprese a conduzione femminile sono il 25% di tutte le aziende registrate
In Italia le donne si ritirano dal lavoro a 59 anni, in Svezia a 64
60 61 4. La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.1 L’Italia è il paese europeo dove più alta è la percentuale di coppie nelle quali lavora solo l’uomo
4.2 L’Italia è il paese europeo dove le donne occupano maggiore tempo per i lavori domestici
4.3 Le donne si occupano del lavoro familiare per quasi 8 ore, gli uomini per poco più di un’ora
4.4 Solo il 9% degli uomini usufruisce del congedo dal lavoro per accudire i figli dopo la nascita
4.5 Il tasso di occupazione delle donne italiane diminuisce con l’aumento del numero dei figli
4.6 Più di una donna su quattro lascia il lavoro per maternità o per prendersi cura dei figli
4.7 Oltre la metà delle donne che hanno interrotto il lavoro per gravidanza è stata licenziata
4.8 4.9 4.10 4.11 4.12 4.13 4.14 4.15 4.16 4.17 62 65 66 67 68 69 70 o costretta a dimettersi
Solo 19 mila assunzioni agevolate in sostituzione di lavoratori in congedo di maternità,
meno di 2 mila nel Sud
In Italia più alta è la quota d’inattive scoraggiate
Tre donne scoraggiate su quattro vorrebbero lavorare, ma solo poche inattive per motivi familiari
Per l’82% delle donne inattive per motivi familiari la scelta di non lavorare non dipende
dalla carenza o dall’inadeguatezza dei servizi per l’infanzia
I nonni si prendono cura della maggioranza dei bambini, soprattutto nelle regioni meridionali
I padri, quando sono al lavoro, affidano i figli alle mogli
Solo sedici bambini su cento usufruiscono degli asili nido pubblici e privati
Il 25% delle richieste di asilo nido non viene accolta
Solo il 4% delle donne italiane lavora da casa
Il 41% delle lavoratrici utilizza la flessibilità oraria in entrata e uscita dal posto di lavoro
71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 5. La salute
5.1 Gli anni di vita in buona salute delle donne sono inferiori alla media europea e a quelli degli uomini
5.2 Una donna nata nel 2010 ha una speranza di vita di 84,3 anni, un uomo di 79,1
5.3 La quota di donne che dichiara un cattivo stato di salute è superiore a quella degli uomini
5.4 Più donne con malattie croniche rispetto agli uomini
5.5 Le donne che hanno difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane sono più numerose degli uomini
5.6 La malattia cardiovascolare è la prima causa di morte delle donne
5.7 Il livello di mortalità per malattie cardiovascolari delle donne italiane è fra i più bassi d’Europa
5.8 I decessi per cancro delle donne italiane sono inferiori a quelli della media dei paesi europei
5.9 L’Italia è il paese con meno donne obese e fumatrici
5.10 Le donne sono coinvolte meno degli uomini negli incidenti sul lavoro
5.11 Le donne sono più esposte agli incidenti domestici, soprattutto se casalinghe e pensionate
5.12 Sette donne su mille dichiarano di soffrire di ansietà cronica e di depressione
5.13 L’Italia è il paese con il minor numero di sucidi da parte delle donne
5.14 La disabilità colpisce maggiormente le donne, soprattutto se molto anziane
5.15 Gli aborti spontanei aumentano, diminuiscono le interruzioni volontarie della gravidanza
82 84 85 86 86 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 che per un terzo sono di donne straniere
Le donne si sottopongono con più frequenza degli uomini a controlli di prevenzione
Le donne consumano più farmaci degli uomini solo fino a 54 anni
98 99 100 6. La violenza contro le donne
6.1 Più di un quarto delle vittime di omicidi è donna
6.2 In Italia la quota più bassa di stupri, solo perché le vittime non li denunciano
6.3 Quasi 7 milioni di donne hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita
6.4 I partner sono responsabili della maggioranza degli stupri, solo del 6% gli sconosciuti
6.5 1 milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni. Più della metà
101 103 104 105 106 5.16 5.17 6.6 6.7 6.8 6.9 6.10 non ne ha parlato con nessuno
Oltre 2 milioni di donne vittime dello stalking da parte dell’ex partner
Più di metà delle donne ha subito molestie e ricatti sessuali
Oltre un milione 200 mila le donne che hanno subito molestie e ricatti sessuali nel mondo del lavoro
Quando subisce un ricatto sessuale sul posto di lavoro non ne parla con nessuno
Sono diminuite nel corso degli ultimi dieci anni le molestie e i ricatti sessuali
107 108 109 110 111 112 Fonti
113 Bibliografia
114 Glossario
116 4
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Introduzione
Le donne in Italia sono una grande risorsa non ancora pienamente utilizzata. La Banca d’Italia stima che se
l’occupazione femminile raggiungesse l’obiettivo europeo del 60%, il Pil crescerebbe del 7%. Il maggiore
reddito delle donne contribuirebbe non solo al benessere familiare ma anche al gettito fiscale e previdenziale,
nonché alla domanda di servizi di cura alle persone. In questo modo l’occupazione femminile attiva un circolo virtuoso che genera, oltre al reddito, anche occupazione e imprenditoria aggiuntiva1.
Oggi neppure la metà della popolazione femminile in età lavorativa è occupata (46%) e meno di un terzo nel
Mezzogiorno (31%). Nella media dei paesi dell’Unione Europea il tasso d’occupazione femminile supera il
58%, con punte del 71% in Danimarca.
Per focalizzare i fattori che concorrono a determinare il sotto utilizzo di questa grande risorsa, il rapporto offre una panoramica dei principali indicatori sulla condizione sociale ed economica delle donne in Italia e, in
particolare, sulle criticità irrisolte della partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Gli indicatori fanno riferimento a sei aree di criticità: evoluzioni demografiche della popolazione, istruzione,
mercato del lavoro, conciliazione fra lavoro e cura della famiglia, salute e violenze.
Il rapporto si rivolge ai lettori non specializzati, con la speranza che possa essere un utile strumento per i decisori pubblici, i giornalisti, gli operatori e in generale per tutti coloro che sono interessati ai temi della condizione femminile nella nostra società.
Dall’analisi degli indicatori emergono le seguenti principali evidenze.
 Negli ultimi quarant’anni sono avvenute trasformazioni profonde del ruolo della donna nella società italiana. Il lavoro è divenuto una componente importante dell’identità femminile, è aumentato in modo significativo il numero delle donne occupate (nei primi anni ‘70 lavoravano 30 donne su cento, 46 nel
2010) in tutti i settori economici e in posizioni sempre più elevate e nelle nuove generazioni il livello
d’istruzione delle donne è di gran lunga superiore a quello degli uomini. Questi cambiamenti si sono
manifestati contemporaneamente in tutti i paesi sviluppati, ma in Italia si è verificato un fenomeno anomalo: la contemporanea presenza di un basso tasso di partecipazione femminile al lavoro e di un basso
tasso di fecondità, ambedue significativamente inferiori ai valori medi europei.
 Mentre nei paesi europei più sviluppati si è affermata una relazione positiva fra fecondità e occupazione
femminile (i paesi dove si fanno più figli sono quelli dove più donne lavorano), in Italia la maternità continua ad essere il principale motivo della decisione di non lavorare o di abbandonare il lavoro e la principale causa di discriminazione sui luoghi di lavoro e persino di licenziamento. Questo perché in molte
aree del paese il ruolo della donna è ancora confinato tra le mura domestiche, il mancato coinvolgimento
maschile nelle incombenze familiari raggiunge livelli sconosciuti nel resto dell’Europa, le misure di flessibilità sul posto di lavoro non sono ancora molto diffuse, i servizi per l’infanzia e per le persone non autosufficienti sono inadeguati e carenti e la nonna è ancora la figura che nel maggior numero dei casi si
prende cura dei bambini. Ma anche questo modello di welfare basato sulla rete di aiuto informale della
famiglia è sempre più fragile e non riesce più a garantire i bisogni di assistenza delle lavoratrici.
 È utile osservare che la decisione di non lavorare e di non cercare un’occupazione non dipende, per una
quota importante di donne inattive, dalla carenza di servizi per l’infanzia ma è una “scelta” più o meno
volontaria provocata da fattori culturali, ma anche dai bassi livelli salariali. Infatti, i modesti livelli retributivi rendono poco conveniente o addirittura insostenibile affidare la cura dei figli a personale retribuito
o a strutture pubbliche o private che richiedono il pagamento di una retta. Questa evidenza segnala che
l’indispensabile aumento dell’offerta e della qualità dei servizi per l’infanzia non è l’unica misura necessaria per aumentare l’occupazione femminile perché occorre intervenire anche con misure fiscali per
aumentare la convenienza a lavorare delle donne con figli.
1
Cfr. Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia, Convegno “Crescita economica, equità, uguaglianza: il ruolo delle donne”, Roma, 18 ottobre 2011.
5
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Introduzione
 Un altro fattore che contribuisce a spiegare il basso tasso di occupazione femminile italiano rispetto agli
altri paesi europei è l’alta quota di donne non disponibili a lavorare e di quelle che vorrebbero lavorare
(disoccupate e inattive disponibili a lavorare). Di conseguenza più bassa è la restante quota di donne che
lavorano. Ma se si disaggrega questo dato a livello territoriale, nelle regioni del Centro-Nord la composizione della popolazione femminile nei tre gruppi è abbastanza simile a quello della media europea, mentre nel Mezzogiorno lo scenario cambia e quasi metà delle donne non è disponibile a lavorare.
 Un quarto delle giovani donne fino a 29 anni non studia, non partecipa a un percorso formativo e non lavora. Nel Mezzogiorno una giovane su tre si trova nella condizione di Neet.
 Il fenomeno della bassa occupazione delle donne è legato anche alla dimensione delle imprese: nelle piccole e medie imprese solo un terzo dei dipendenti è costituito da donne, mentre nelle grandi imprese raggiungono la metà, in linea con la media dell’Unione Europea. Ma poiché in Italia le piccole e medie imprese occupano la più alta quota di dipendenti, il tasso medio di occupazione delle donne è molto più
basso che nel resto dell’Europa.
 Le profonde trasformazioni demografiche che si registrano in Italia – calo della natalità, allungamento
della vita, invecchiamento della popolazione e aumento dei flussi migratori – hanno forti ricadute sul tessuto sociale, sullo sviluppo economico, sulla salute dei cittadini e sulla tenuta del sistema di welfare. Se
non interverranno modificazioni nel tasso di fecondità e nella partecipazione delle donne al mercato del
lavoro, soprattutto nelle regioni meridionali, tra venti anni la popolazione italiana diminuirà di due milioni, gli stranieri cresceranno di 4 milioni e il Mezzogiorno perderà un milione di residenti.
 Le trasformazioni demografiche incidono anche sulla condizione economica delle donne. Le donne povere sono più numerose degli uomini anche perché la loro maggiore longevità determina un maggiore
numero di vedove e di anziane che vivono da sole. La maggiore vulnerabilità in termini economici delle
donne deriva anche dalla discontinuità delle loro carriere lavorative, dalla minore retribuzione rispetto
agli uomini (guadagnano il 30% in meno) che determina, di conseguenza, pensioni d’importo più modesto.
 Le donne, nonostante vivano più degli uomini, ma lavorino anche più dei loro partner se si tiene conto
sia del lavoro retribuito che di quello domestico che ricade quasi interamente sulle loro spalle, hanno
condizioni di salute peggiori rispetto ai maschi, soprattutto dopo i 65 anni. Le malattie cardiovascolari
sono oggi la prima causa di morte delle donne, nonostante per i fattori a rischio come l’obesità e il fumo
l’Italia si colloca tra i paesi con i valori più bassi. La percentuale della popolazione femminile disabile è
quasi il doppio di quella maschile. Ma le donne si sottopongono con più frequenza a controlli di prevenzione rispetto agli uomini e consumano meno farmaci dopo i 65 anni.
 La violenza contro le donne da parte dei partner è il fattore che contribuisce maggiormente al cattivo stato di salute delle donne, è sia la conseguenza che la causa di una parte significativa delle discriminazioni
di genere. In Italia quasi un terzo della popolazione femminile ha subito almeno una violenza fisica o
sessuale nel corso della vita. Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono state denunciate. Più di
metà delle donne ha subito molestie e ricatti sessuali, una parte consistente nel mondo del lavoro, e la
maggioranza non ne ha parlato con nessuno. Grazie al cambiamento culturale delle nuove generazioni e
agli interventi legislativi contro lo stalking, sono sensibilmente diminuite negli ultimi anni le molestie
contro le donne.
6
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
1. La popolazione
Le recenti trasformazioni demografiche, hanno determinato fenomeni di grande rilevanza per lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese, come la diminuzione delle nascite, l’innalzamento della vita media, l’aumento delle migrazioni e il forte invecchiamento della popolazione.
Queste trasformazioni, che negli ultimi anni si sono manifestate con una velocità sconosciuta nel passato e che nel futuro subiranno un’ulteriore accelerazione, hanno forti
ricadute sul tessuto sociale, sullo sviluppo economico, sul mercato del lavoro, sulla salute dei cittadini, sulla tenuta del sistema di protezione e d’inclusione sociale e sulle
stesse caratteristiche del sistema di welfare.
Le donne potranno essere non solo il più importante fattore di buona crescita del Paese,
anche per il loro più alto livello d’istruzione, ma determineranno attraverso le loro scelte, se sostenute da adeguate misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, la possibile affermazione, anche se graduale, di una relazione positiva fra maternità e occupazione femminile che si manifesta ormai da anni nei paesi europei più sviluppati.
Diminuiscono le
nascite, aumenta
la speranza di
vita e di
conseguenza
cresce
l’immigrazione e
invecchia la
popolazione
In poco meno di 60 anni la composizione per fasce d’età della popolazione femminile
si è modificata profondamente: la quota di giovani donne fino a 34 anni che nel 1951
costituiva quasi il 60% della popolazione si è ridotta nel 2009 al 35% e la popolazione
anziana da 65 anni e oltre è più che raddoppiata passando dal 9% al 23%. È significativo che la percentuale delle donne che potenzialmente potrebbe entrare nel mercato del
lavoro (da 15 a 64 anni) è diminuita dal 66% al 64%.
Se si osservano gli ultimi dieci anni, la crescita della popolazione femminile è dovuta
esclusivamente al contributo dei flussi migratori che hanno determinato una rapidissima crescita delle donne straniere da 700 mila unità del 2001 a 2 milioni e 400 mila del
2011. Nello stesso periodo le donne di cittadinanza italiana sono aumentate di 100 mila
unità.
Si stima che nel decennio successivo, fino al 2021, le donne straniere cresceranno di un
altro milione e quelle di cittadinanza italiana diminuiranno ai valori di 20 anni prima.
La popolazione femminile – più numerosa di quella maschile di circa 1,8 milioni – crescerà nel 2030 di sole 700 mila unità, ma grazie alla componente straniera. Infatti, le
donne di cittadinanza italiana diminuiranno di oltre un milione, più degli uomini, e
quelle straniere aumenteranno di 1, 8 milioni.
Gli immigrati, che aumenteranno dal 7% al 13% della popolazione (più di 8 milioni
composti in parti uguali da donne e uomini), compenseranno, nelle regioni del CentroNord, la diminuzione degli italiani in età lavorativa.
Il modesto aumento complessivo della popolazione non sarà uniforme in tutte le aree
del Paese perché il Mezzogiorno perderà un milione di residenti, anche per la modesta
presenza di stranieri, e i maggiori aumenti si registreranno nel Nord.
La popolazione femminile non solo cresce poco, ma invecchia a causa dell’effetto congiunto di minori nascite e di maggiore longevità: l’Italia è, infatti, con la Germania il
paese europeo con il più alto indice di vecchiaia, in particolare delle donne.
L’invecchiamento della popolazione femminile è determinato anche dall’allungamento
della vita: la speranza di vita in Italia è una delle più alte in Europa – 84 anni le donne,
78,6 gli uomini – con punte di quasi 85 anni nelle regioni del Nord-Est.
La maggiore longevità delle donne determina anche un maggior numero di vedove e di
anziane che vivono da sole.
In Italia, infatti, gli anziani sono di gran lunga più numerosi dei giovani, fatta eccezione
per la Campania dove i giovani sono più numerosi degli anziani, mentre in altri paesi
come la Francia e il Regno Unito accade il contrario.
Inoltre, la quota di donne anziane è maggiore rispetto a quella degli uomini. La popola-
L’Italia è il paese
europeo con più
donne anziane
7
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
zione femminile straniera, invece, è molto più giovane di quella italiana ed è costituita
per l’80% da immigrate in età lavorativa, mentre solo il 63% delle donne italiane è in
età di lavoro.
Il tasso di
natalità molto
basso non
garantisce il
ricambio
generazionale
La prima causa dell’invecchiamento è la diminuzione del tasso di fecondità: il numero
medio di figli per donna (circa 1,4) è inferiore alla soglia di rimpiazzo (2,1 figli per
donna) e quindi non garantisce il ricambio generazionale. La modesta ripresa delle nascite che si è registrata dal 2002 al 2008 è stata determinata in gran parte dalle donne
straniere che hanno un tasso di natalità di 2,3 figli che si confronta con 1,3 figli delle
donne italiane. Ma la lenta riduzione anche del tasso di natalità delle donne immigrate
determinerà una diminuzione del tasso complessivo.
Non è più il Mezzogiorno a sostenere la crescita demografica perché i tassi più alti di
fecondità si registrano nelle regioni del Nord, anche per la maggiore presenza di stranieri.
Il numero medio di figli per donna fa registrare una battuta d'arresto negli ultimi due
anni (2009 e 2010) rispetto al lento, ma progressivo, recupero avviatosi dalla metà degli anni '90.
Le donne italiane si sposano sempre più tardi, quasi a 30 anni (24 anni nel 1980), e
fanno il primo figlio a una maggiore età, mediamente a 31 anni (29 nel Regno Unito)
perché è sempre più difficile per i giovani riuscire a raggiungere una stabilità lavorativa ed economica sufficiente per creare una famiglia e mantenere i figli.
In controtendenza rispetto alla maggioranza dei paesi europei, nel nostro Paese si registra la più bassa quota di figli nati fuori dal matrimonio e di divorzi, anche se il numero di separazioni cresce in modo sostenuto.
Calano, invece, i matrimoni, come del resto si osserva nel resto dell’Europa, e aumentano quelli civili che sono più di un terzo del totale. Crescono le nuove forme familiari
come le coppie non coniugate e le famiglie ricostruite dopo lo scioglimento di una
precedente unione.
Bassa è invece in Italia, se confrontata con gli altri paesi europei, la percentuale di
madri single con figli. È un fenomeno modesto e concentrato in buona parte nelle regioni del Centro-Nord.
Le donne povere
sono più
numerose degli
uomini
8
Le trasformazioni demografiche incidono, almeno in parte, anche sulla condizione
economica delle donne. Le donne povere sono, infatti, più numerose degli uomini, in
particolare se single e soprattutto se hanno anche figli a carico. Questo perché le donne sole sono più numerose degli uomini, soprattutto se anziane, e possono contare su
pensioni d’importo più modesto e non di rado devono farsi carico anche di figli con
difficoltà a raggiungere l’indipendenza economica. Inoltre, sebbene vivano più a lungo
degli uomini, le donne hanno l’onere di un maggior numero di anni di vita in cattiva
salute.
Ma la maggiore vulnerabilità delle donne in termini economici deriva anche da molti
altri fattori fra i quali gli elevati tassi di disoccupazione femminile, soprattutto giovanile, e d’inattività, le retribuzioni più basse rispetto a quelle degli uomini che incidono
anche sui livelli pensionistici.
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.1
Negli ultimi 60 anni la percentuale di ragazze fino a 14 anni si è quasi dimezzata
e quella delle donne anziane è aumentata più del doppio
 In poco meno di 60 anni, la componente della popolazione femminile fino a 14 anni si è quasi dimezzata
(dal 25,1% al 13,3%) le giovani donne da 15 a 34 anni che costituivano nel 1951 quasi un terzo della popolazione femminile si sono ridotte nel 2009 al 21,9%, la fascia degli adulti da 35 a 64 anni è cresciuta dal
35% al 42% e gli anziani da 65 anni e oltre dall’8,8% al 22,8% con una crescita di 14 punti percentuali (figura 1.1).
 La percentuale della popolazione femminile in età lavorativa (15-64 anni) si è ridotta dal 66% al 64%.
 In dieci anni, dal 2001 al 2011, la popolazione femminile è cresciuta di 1,8 milioni, ma solo grazie al rapidissimo aumento delle donne straniere residenti in Italia che sono passate da 700 mila a 2 milioni e 400 mila unità con una crescita di 1,7 milioni. Nello stesso periodo le donne di cittadinanza italiana sono cresciute
solo di 100 mila unità (figura 1.2).
 Si stima che nei dieci anni successivi fino al 2021 le donne con la cittadinanza italiana diminuiranno al valore di 20 anni prima (28,7 milioni) mentre le straniere cresceranno di un altro milione attestandosi a 3.5
milioni.
Figura 1.1 – Popolazione femminile per classi d’età – Anni 1951-2009
(composizione percentuale)
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
1951
1961
1971
1981
1991
2001
Da 65 anni e più
8,8
10,8
12,8
15,2
17,7
21,3
2009
22,8
Da 35 a 64 anni
35,0
35,9
36,4
36,0
37,6
39,8
42,1
Da 15 a 34 anni
31,1
29,8
27,5
28,4
29,7
25,5
21,9
Fino a 14 anni
25,1
23,5
23,3
20,3
15,0
13,4
13,3
Fonte: Istat
Figura 1.2 – Popolazione femminile per cittadinanza – Anni 2001-2021
(valori assoluti in milioni – Anni 2012-2021: stima)
Italiane
Straniere
Totale
33,0
32,2
32,0
31,2
31,0
3,5
2,4
30,0 29,4
29,0
0,7
28,0
28,8
28,7
27,0
28,7
21
20
19
20
20
20
17
16
15
14
13
18
20
20
20
20
20
11
12
20
20
10
20
20
08
09
20
20
06
05
04
07
20
20
20
20
02
03
20
20
20
01
26,0
Fonte: Istat
9
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.2
Fra venti anni la popolazione italiana diminuirà di due milioni, gli stranieri cresceranno di quattro milioni e il Mezzogiorno perderà un milione di residenti
 Nel 2010 la popolazione complessiva residente in Italia è pari a 60,3 milioni, con una netta prevalenza della
componente femminile che raggiunge i 31,1 milioni a fronte di quella maschile che è pari a 29,3 milioni,
con una differenza di circa 1,8 milioni. La quota di stranieri è pari al 7% del totale della popolazione residente (4,2 milioni) (figura 1.3).
 Nel 2030 la popolazione complessiva crescerà di poco meno di due milioni di unità e sarà pari a 62,1 milioni (31,8 milioni donne e 30,4 uomini), ma solo grazie alla crescita della quota degli stranieri che salirà al
13% (8,1 milioni, ripartiti quasi in parti uguali fra donne e uomini). Infatti, gli italiani diminuiranno di due
milioni (da 56,1 milioni e 54,1 milioni), mentre gli stranieri aumenteranno di poco meno di 4 milioni.
 Le donne italiane diminuiranno nel 2030 di 1,1 milioni, quelle straniere aumenteranno di 1,8 milioni.
 Ma la crescita della popolazione residente dal 2010 al 2030 non sarà uniforme nelle aree del Paese: aumenterà di oltre due milioni nel Nord, che assorbirà gran parte della popolazione straniera (5,4%), e di sole 500
mila unità nel Centro, mentre nel Mezzogiorno la popolazione residente diminuirà di circa un milione di
unità, anche per la modesta presenza di stranieri (figura 1.4).
Figura 1.3 – Popolazione residente per sesso e cittadinanza – Anno 2010 e stima per il 2030
(valori assoluti in milioni)
2010
2030
70,0
70,0
60,3
60,0
62,1
60,0
50,0
50,0
40,0
Stranieri
30,0
31,1
29,3
Totale
56,1
Italiani
Milioni
Milioni
Italiani
40,0
Stranieri
54,1
20,0
20,0
26,3
27,8
4,1
4,0
Maschi
Femmine
28,9
27,2
Totale
31,8
30,4
30,0
10,0
10,0
2,1
2,2
4,2
Maschi
Femmine
Totale
0,0
0,0
Fonte : Is tat
8,1
Totale
Fonte : Is tat
Figura 1.4 – Popolazione residente per ripartizione e cittadinanza – Anno 2010 e stima per il 2030
(valori assoluti in milioni)
2030
2010
70,0
70,0
60,3
60,0
62,1
60,0
50,0
50,0
N
19,2
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Totale
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12,5
10,6
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Stranieri
19,9
24,3
10,0
0,6
or
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C
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20,0
20,3
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11,9
10,8
1,1
29,7
no
20,9
25,0
10,0
30,0
or
27,6
20,0
10
Totale
54,1
Fonte : Is tat
M
56,1
30,0
Italiani
40,0
gi
Stranieri
Milioni
40,0
Ita
Milioni
Italiani
Fonte : Is tat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.3
L’Italia è uno dei paesi d’Europa più vecchi, soprattutto per le donne anziane
 L’Italia è uno dei paesi europei più vecchi grazie all’aumento della sopravvivenza e al perdurante contenimento della fecondità: l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra persone anziane (65 anni e oltre) e giovani (meno di 15 anni), è pari al 144% ed è superato solo da quello della Germania (153,3%). Solo in 11
paesi europei su 27 Paesi i giovani sono in numero superiore agli anziani e, fra questi, l’Irlanda (53%), la
Francia (89,7%) e il Regno Unito (94,2) (figura 1.5).
 L’indice di vecchiaia delle donne italiane (171,6%) è molto più alto di quello degli uomini (117,l9%) e si
colloca ai primi posti della classifica dei paesi europei, superato solo dalla Lettonia e dalla Germania (figura 1.6).
 A livello regionale, la Liguria (234,6%) detiene l’indice di vecchiaia più elevato seguita dal Friuli-Venezia
Giulia (187,4%) e dalla Toscana (184,1%). La regione con l’indice più contenuto è la Campania (96,5%)
che è l’unica area del Paese dove i giovani sono più numerosi degli anziani.
 Tra il 2002 e il 2010 l’indice di vecchiaia registra un incremento di 12,6 punti percentuali. Gli incrementi
maggiori si registrano nelle regioni del Mezzogiorno, che si stanno rapidamente allineando al resto del Paese. La crescita dell’indicatore di vecchiaia è più contenuta nel Centro-Nord grazie al maggiore afflusso di
immigrati.
Figura 1.5 – Indice di vecchiaia (totale) nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2010
(valori percentuali)
180,0
160,0
140,0
120,0
100,0
144,0
111,3
G
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7
80,0
60,0
40,0
20,0
0,0
Fonte: Eurostat
Figura 1.6 – Indice di vecchiaia delle donne nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2010
(valori percentuali)
171,6
132,8
G
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200,0
180,0
160,0
140,0
120,0
100,0
80,0
60,0
40,0
20,0
0,0
Fonte : Euros tat
11
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.4
La popolazione invecchia, ma le donne anziane sono più numerose degli uomini
 La popolazione invecchia e diminuisce sia la quota dei residenti in età lavorativa che la percentuale di
giovanissimi: nel 2002 il 19% dei residenti in Italia aveva più di 64 anni, tale percentuale è salita al 20%
nel 2010 e nel 2020 crescerà ancora al 23%.
 Ma nel 2010 la quota di popolazione femminile di 65 anni e oltre (22,8%) è di molto superiore rispetto a
quella maschile (17,5%) e di conseguenza la percentuale di donne in età lavorativa (64%) è inferiore a
quella degli uomini (67%) così come delle ragazze fino a 14 anni. Nel 2020 la quota di donne anziane
aumenterà ulteriormente al 25,5% (figura 1.7).
 La popolazione femminile straniera è, invece, molto più giovane di quella italiana: il 18% delle donne straniere non ha compiuto ancora i 15 anni a fronte del 12,9% delle italiane, quasi l’80% è in età lavorativa
(63% le donne italiane) e solo il 2,6% ha più di 64 anni (24,3% le donne italiane). Nel 2020 si contrarrà la
quota di donne straniere in età lavorativa a causa dell’aumento delle anziane e delle giovanissime (figura
1.8).
Figura 1.7 – Popolazione residente per fascia d’età e per sesso – Anni 2002, 2010 e 2020
(distribuzione percentuale)
100%
90%
15,9
17,5
21,4
22,8
20,4
25,5
80%
70%
65 anni e oltre
60%
50%
69,1
67,6
65,2
64,0
64,9
13,3
14,7
Femmine
Maschi
15-64 anni
61,4
40%
Fino a 14 anni
30%
20%
10%
15,1
13,4
14,9
Femmine
Maschi
13,1
0%
Maschi
2002
2010
Femmine
2020
Fonte: Istat
Figura 1.8 – Popolazione femminile per fascia d’età e cittadinanza – Anni 2002, 2010 e 2020
(distribuzione percentuale)
100%
90%
2,6
3,3
22,2
24,3
5,0
27,9
80%
70%
60%
76,8
79,4
75,5
50%
64,6
62,8
40%
65 anni e oltre
15-64 anni
Fino a 14 anni
59,7
30%
20%
10%
19,9
13,2
18,0
12,9
19,4
12,4
0%
Italiane
Straniere
2002
12
Italiane
Straniere
2010
Italiane
Straniere
2020
Fonte: Istat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.5
Il numero di figli per donna non garantisce il ricambio generazionale
 La popolazione italiana invecchia perché aumenta la speranza di vita e diminuisce il tasso di fecondità: il
numero medio di figli per donna (tasso di fecondità totale) è passato da 1,37 del 2002 a 1,42 del 2008,
ma è ancora molto inferiore alla cosiddetta “soglia di rimpiazzo” (pari a circa 2,1 figli in media per donna), che garantirebbe il ricambio generazionale. L’Italia ha i più bassi tassi di fecondità in Europa e si
colloca al 20° posto rispetto ai 27 paesi dell’Unione Europea (figura 1.9).
 La modesta ripresa delle nascite dal 2002 al 2008 è stata determinata in gran parte dal contributo delle
nascite da genitori stranieri che hanno un tasso di natalità di 2,3 figli per donna, che scende a 1,3 figli per
le donne italiane. Occorre osservare che anche il tasso di fecondità delle donne immigrate tende a diminuire, seppur lentamente.
 Diversamente dal passato in cui era il Mezzogiorno a sostenere maggiormente la crescita demografica
del Paese, oggi i tassi di fecondità più alti si registrano nelle regioni del Nord anche per una maggiore
presenza di cittadini stranieri. L’età media al parto continua a crescere attestandosi a 31,1 anni nel 2008 e
le regioni dove l’età media al parto è più bassa (30,7 anni) sono quelle del Mezzogiorno (tavola 1.1).
 Il numero medio di figli per donna fa registrare una battuta d'arresto negli ultimi due anni: 1,41 nel 2009
e 1,40 nel 2010 (1,31 figli per le cittadine italiane e 2,23 per quelle straniere).
Figura 1.9 – Tasso di fecondità totale nei paesi dell’Unione Europea – Anni 2002 e 2008
(numero medio di figli per donna)
2,3
2002
2008
2,0
1,8
1,42
1,27
1,5
1,3
1,0
0,8
0,5
0,3
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Fonte : Euros tat
Tavola 1.1 – Tasso di fecondità totale ed età media al parto in Italia per ripartizione e regione – Anno 2008
(numero medio di
figli per donna)
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Liguria
Trentino-Alto Adige
Bolzano/Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Tasso di fecondità
totale
1,39
1,57
1,50
1,32
1,60
1,61
1,59
1,47
1,37
1,48
1,39
1,41
1,41
1,42
(numero medio di
figli per donna)
Età media
al parto
31,1
31,0
31,2
31,4
31,1
31,1
31,2
31,2
31,1
30,9
31,4
31,0
31,2
31,9
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte: Istat
Tasso di fecondità
totale
1,29
1,17
1,44
1,32
1,21
1,26
1,43
1,11
1,46
1,47
1,41
1,35
1,42
Età media
al parto
31,6
31,7
30,5
30,9
31,6
30,8
30,3
32,2
31,2
31,1
31,6
30,7
31,1
13
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.6
In Italia le donne si sposano sempre più tardi, il primo figlio a 30 anni
 In poco meno di trent’anni, dal 1980 al 2008, l’età media al primo matrimonio delle donne è aumentata
di 6 anni, da circa 24 anni a quasi 30 anni. Quella degli uomini da 27 anni a 33 con un aumento analogo
(figura 1.10).
 Le differenze regionali sull’età di matrimonio sono modeste: nel 2008 le donne del Mezzogiorno si sposano prima a 30 anni, nelle regioni del Centro e del Nord a circa 31; gli uomini delle regioni meridionali
a 32 anni, nel Centro e nel Nord a circa 34.
 Anche l’età media alla nascita del primo figlio è aumentata di circa 5 anni negli ultimi trent’anni (dal
1980 al 2008), da 25 a 30 anni. Nel Mezzogiorno si fa il primo figlio un po’ prima, a 29 anni.
 L’età media alla nascita della madre in Italia è fra le più alte dei paesi europei (30,9 anni) ed è superiore
di oltre un anno alla media dei paesi europei (figura 1.11).
Figura 1.10 - Età media al primo matrimonio per ripartizione geografica – Anni 1980-2008
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
40,0
33,7 34,0
35,0
30,0
32,1 33,0
30,5 30,9
26,9 27,1 27,3 27,1
29,0 29,9
23,9 24,1 23,8 23,9
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
Maschi
Femmine
Maschi
Femmine
1980
2008
Fonte: Istat
Figura 1.11 - Età media alla nascita del primo figlio della madre in alcuni paesi dell’Unione Europea – Anno 2005
31,2
31,5
30,9 30,9
31,0
30,6 30,5
30,5
30,3
29,9 29,9 29,8
30,0
29,7 29,5
29,5
29,3 29,3
29,5
29,1 29,0
29,0
28,5
28,0
Fonte : Euros tat
14
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27,5
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.7

In Italia le più basse percentuali di figli nati fuori dal matrimonio e dei divorzi
Italia e Grecia sono i due paesi europei con la più bassa quota di bambini nati al di fuori del matrimonio
(rispettivamente 17,3% e 5,1%) a fronte del 33,1% della media dei paesi europei e di valori ancora più
alti nel Regno Unito (42,9%), Danimarca (45,7%) e Francia (48,4%) (figura 1.12).
 In Svezia più della metà dei bambini nasce al di fuori del matrimonio (55,5%).
 L’Italia e l’Irlanda sono i due paesi europei con i minori fallimenti del matrimonio (0,8 divorzi per mille
abitanti). Nella media dei paesi europei il tasso di divorzialità è pari a 2,1 per 1.000 e raggiunge valori
del 2,8 per mille in Danimarca e del 2,9 in Belgio (figura 1.13).
 Le separazioni legali in Italia sono più numerose: 1,4 per mille abitanti. Tanto per le separazioni quanto
per i divorzi l’incidenza più contenuta si rileva nelle regioni del Mezzogiorno (rispettivamente 11,4 e 5,7
ogni diecimila abitanti), invece le incidenze più elevate si registrano nelle regioni del Centro-Nord.
Figura 1.12 - Percentuale di nati vivi fuori dal matrimonio in alcuni paesi dell’Unione Europea – Anno 2005
55,5
60,0
48,4
50,0
45,7
40,0
42,9
40,4 39,4
36,5 34,9
30,0
33,1
31,8 30,7
29,2 27,2
26,6
17,3
20,0
10,0
5,1
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0,0
Fonte: Eurostat
Figura 1.13 - Tasso di divorzialità per alcuni paesi dell’Unione Europea – Anno 2005
(per 1.000 abitanti)
3,5
2,9 2,8
3,0
2,6 2,6 2,5
2,4 2,4
2,5
2,2 2,2 2,2
2,0
2,1
2,0
1,7
1,5
1,2
0,8 0,8
1,0
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0,0
Fonte : Euros tat
15
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.8
Calano i matrimoni, aumentano quelli civili e le coppie non coniugate
 A partire dalla fine degli anni Settanta il numero di matrimoni celebrati in Italia ha visto una continua
diminuzione: da circa 324 mila celebrati nel 1979 si è passati ai 231 mila del 2009. Nel corso di
trent’anni, i matrimoni religiosi si sono ridotti dall’88% del totale al 62%, mentre quelli civili sono aumentati dal 12% al 37,2% (figura 1.14).
 Crescono le nuove forme familiari: le coppie non coniugate che nel 1983 erano pari all’1,3% del totale
sono aumentate nel 2009 al 5,5%. Le famiglie ricostruite, formate dopo lo scioglimento di una precedente unione coniugale di almeno uno dei due partner, sono aumentate dal 4,2% del 1994 al 6,1% del 2009.
Le persone sole non vedove sono cresciute dal 5,7% del 1983 al 16,2% del 2009 (figura 1.15).
 Le coppie non coniugate sono formate da persone più giovani di età e con un titolo di studio più alto di
quelle coniugate. Per le unioni di fatto si osserva un incidenza maggiore di coppie in cui ambedue i partner lavorano (il 58%), fenomeno che si conferma anche a parità di età.
 Le madri sole non vedove sono cresciute in modo sostenuto, dal 2,8% del 1998 al 4,6% del 2009; nello
stesso periodo i padri soli non vedovi dallo 0,5% allo 0,8%.
Figura 1.14 - Matrimoni secondo il rito - Anni 1979-2009
(valori assoluti e composizioni percentuali)
Religiosi (%)
Civili (%)
Matrimoni totali (valori assoluti)
100,0
88,0
90,0
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0 12,0
10,0
0,0
350.000
300.000
62,8 250.000
200.000
37,2 150.000
100.000
50.000
0
Fonte: Istat
Figura 1.15 - Coppie non coniugate, famiglie ricostituite e persone sole non vedove - Anni 1983,1988,1990,1994-2009
((a) per 100 coppie; (b) per 100 famiglie; (c) per 100 abitanti)
Coppie non coniugate (a)
Famiglie ricostituite (b)
18,0
Persone sole non vedove (c)
16,2
16,0
14,0
12,0
10,0
8,0
6,1
5,5
5,7
6,0
4,2
4,0
2,0 1,3
0,0
1983 1988 1990 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
Fonte: Istat
16
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.9
L’età media di vita degli italiani è una fra le più alte d’Europa
 La popolazione italiana invecchia anche perché aumenta l’età media di vita: la speranza di vita alla nascita nel 2008 per le donne è di 84 anni e di 78,6 anni per gli uomini ed è superata solo da Francia (84,3
anni le donne e 77,5 gli uomini) e Spagna (85 anni le donne e 78,9 gli uomini) (figura 1.16).
 Poco meno di trent’anni fa, nel 1980, la speranza di vita in Italia era per i maschi di 70,5 anni, per le donne di
77,2: è cresciuta di 8,1 anni per i primi e di 6,8 anni per le seconde.
 Nel 2009 l’età media degli italiani è cresciuta ulteriormente (84,1 anni le donne e 78,9 anni gli uomini
con una differenza di 5,2 anni) e le regioni in cui si vive più a lungo sono quelle del Nord-Est (84,6 anni
le donne e 79,3 anni gli uomini), mentre i valori più bassi si registrano nel Mezzogiorno (tavola 1.2).
Figura 1.16 – Speranza di vita alla nascita nei paesi dell’Unione Europea per sesso – Anno 2008
(anni)
Maschi
90
85,0
78,9
Femmine
84,0
78,6
80
70
60
50
40
30
20
10
Sp
ag
n
Fr a
an
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om
an
ia
0
Fonte : Euros tat
Tavola 1.2 – Speranza di vita alla nascita in Italia per regione, ripartizione e per sesso – Anno 2009
(in anni)
Maschi
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Liguria
Trentino-Alto Adige
Bolzano/Bozen
Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
78,5
78,5
79,1
78,4
79,6
79,7
79,4
79,3
78,7
79,3
79,6
79,6
79,8
78,8
Femmine
83,8
83,8
84,4
83,9
85,3
85,3
85,3
84,9
84,3
84,3
84,5
84,8
85,2
83,9
Differenza
FemmineMaschi
5,3
5,3
5,3
5,5
5,7
5,6
5,9
5,6
5,6
5,0
4,9
5,2
5,4
5,1
Maschi
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte: Istat
78,8
78,8
77,5
79,2
78,8
78,8
78,2
78,3
78,8
79,3
79,3
78,3
78,9
Femmine
84,3
84,3
82,8
84,0
84,5
84,0
83,0
84,5
84,2
84,6
84,3
83,5
84,1
Differenza
FemmineMaschi
5,5
5,5
5,3
4,8
5,7
5,2
4,8
6,2
5,3
5,3
5,0
5,2
5,2
17
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.10
Le donne vivono più a lungo, ma più vedove e anziane che vivono da sole.
 Mentre la grande maggioranza degli uomini è costituita da celibi (44,9%) o da coniugati (51,3%) e solo
il 3,8% è composta da vedovi e da divorziati, la popolazione femminile è composta da una quota minore
di nubili (36,7%) e di coniugate (48,7%), ma da una percentuale molto elevate di vedove (12,5%) e di
divorziate (2%). Queste differenze sono in gran parte determinate dalla maggiore durata della vita delle
donne (figura 1.17).
 La maggiore speranza di vita delle donne ha riflessi anche sulla quota delle persone che vivono sole: sotto i 60 anni la percentuale di uomini single (57,7%) è superiore a quella delle donne (42,3%), ma fra gli
over 60 oltre il 75% è costituito da donne (figura 1.18).
 Le donne che svolgono da sole il ruolo di genitore sono la stragrande maggioranza (83,8% rispetto al
16,3% degli uomini), anche perché i figli sono di preferenza affidati alle madri.
Figura 1.17 – Popolazione per stato civile e sesso – Anno 2008
(composizione percentuale)
Celibi/Nubili
Coniugati
Vedovi
36,7
Femmine
48,8
44,9
Maschi
0%
10%
20%
Divorziati
12,5
2,4
1,4
51,3
30%
40%
50%
60%
70%
80%
Fonte : Euros tat
Figura 1.18 – Persone sole e nuclei monogenitore – Media 2007-2008
(composizione percentuale)
Maschi
Femmine
100%
90%
80%
42,3
70%
75,7
60%
83,8
50%
40%
30%
57,7
20%
24,2
10%
16,3
0%
Pers one s ole con m eno
di 60 anni
Pers one s ole di 60 anni e
più
Fonte : Is tat
18
Nuclei m onogenitore
2,0
90%
100%
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.11
In Italia solo il 2% delle famiglie è costituito da donne single con figli, nel Regno
Unito il 6,7%
 L’Italia è uno dei paesi europei in cui vive la percentuale minore di donne single con figli (2%). Quote
minori si registrano solo a Malta (1,9%), in Romania (1,7%), Grecia (1,5%) e Finlandia (1,5%). La quota
di madri sole nella media dei paesi europei è pari al 3,7% (figura 1.19).
 Percentuali di donne sole con figli superiori alla media europea si osservano in Francia (4,7%), in Irlanda
(5,9%), nel Regno Unito (6,7%) e in Estonia (7%).
 In Italia il 65% delle donne single con figli risiede nel Centro-Nord, il restante 35% nel Mezzogiorno (figura 1.20).
 Il 69,5% delle donne single ha un figlio, il 25,7% due e il 4,8% tre e più. Le donne single con figli minori sono il 37,6% del totale.
Figura 1.19 – Donne single con figli (monogenitore) nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2009
(percentuale sul totale delle famiglie)
8,0
7,0
7,0
6,7
5,9
6,0
5,0
5,6 5,5
5,3
4,7 4,5
4,2
4,0
3,7 3,5
3,4 3,3 3,2
3,0
3,7
2,9 2,8 2,7
2,6
2,0
2,3 2,3
2,0 1,9
1,7 1,5 1,5
1,0
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-2
7
0,0
Fonte: Eurostat
Figura 1.20 – Donne single con figli (monogenitore) per ripartizione – Media 2008-2009
(composizione percentuale)
Mezzogiorno
35%
Nord
44%
Centro
21%
Fonte: Istat
19
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La popolazione
1.12
Le donne povere sono molto più numerose degli uomini
 Le donne che hanno un reddito al di sotto della soglia di povertà (19,8% del totale) sono molto più numerose rispetto agli uomini nella stessa condizione (17% del totale). La differenza di circa 3 punti percentuali fra la quota di uomini e di donne a rischio di povertà è rimasta costante nel corso degli anni (figura 1.21).
 Le differenze di genere sono ancora più accentuate se si prendono in considerazione le persone single: i
maschi celibi poveri sono pari al 18,2% mentre quasi un quarto delle donne nubili (31,1%) è a rischio di
povertà (figura 1.22).
 Il 35,3 delle persone che svolgono da sole il ruolo di genitore (e che sono in grande maggioranza donne)
è a rischio di povertà. Molto alta è anche la percentuale di single con più di 65 anni a rischio di povertà
(30,8%), tre quarti dei quali sono donne.
 La maggiore vulnerabilità in termini economici delle donne deriva da molti fattori fra i quali i maggiori
tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, e d’inattività, le retribuzioni più basse rispetto agli uomini.
Inoltre, le donne anziane, spesso sole, possono contare su pensioni d’importo più modesto e non di rado
devono farsi carico anche di figli con difficoltà a raggiungere l’indipendenza economica.
Figura 1.21 – Persone a rischio di povertà per sesso – Anni 2004-2009
(percentuale sul totale della popolazione)
Maschi
Femmine
22,0
21,0
21,3
21,1
20,6
20,4
20,0
20,1
19,8
19,0
18,0
18,4
18,0
17,7
17,1
17,0
17,0
17,0
16,0
15,0
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte : Euros tat
Figura 1.22 – Persone a rischio di povertà per tipo di famiglia – Anni 2004-2009
(percentuale sul totale della popolazione)
40,0
35,0
35,8
34,2
33,2
30,0
35,3
Single (femmina)
31,1
30,8
Single (maschio)
Monogenitore con
figli a carico
25,0
20,0
19,9
18,2
Single con più di 65
anni
15,0
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte : Euros tat
20
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
2. L’istruzione
Il livello d’istruzione ha un ruolo centrale nella società dell’informazione. Titoli di
studio più alti associati alle competenze richieste dal mercato assicurano un più facile
accesso al mercato del lavoro, migliori retribuzioni, maggiori soddisfazioni nel posto
di lavoro e anche condizioni di vita migliori. Di contro, una scarsa dotazione di capitale umano influenza negativamente il modello di specializzazione produttiva delle
imprese italiane già poco orientate all’innovazione e con una scarsa propensione a
investire nella ricerca, soprattutto se piccole.
La nuova strategia europea per la crescita non a caso individua due obiettivi prioritari
da realizzare nel 2020 per migliorare il capitale umano: riduzione degli abbandoni
scolastici sotto la soglia del 10% e l’incremento al 40%della quota di popolazione tra
i 30 e i 34 anni con istruzione universitaria o equivalente.
In questo contesto, la qualità del capitale umano femminile appare decisamente superiore a quello maschile e aspetta solo di essere valorizzato dal mondo produttivo.
La qualità del
capitale umano
delle donne è
superiore a quello
degli uomini
Nella società italiana il livello d’istruzione delle donne è cresciuto enormemente nel
corso degli anni e oggi fra le giovani è superiore a quello degli uomini.
Infatti, se si prende in considerazione l’intera popolazione da 15 anni e oltre, gli uomini sono ancora più istruiti e la percentuale di donne che non ha completato neppure
la scuola dell’obbligo fermandosi alla licenza media o addirittura alla licenza elementare è ancora superiore a quella degli uomini. Maggiore è anche la quota di uomini
diplomati, mentre la percentuale di donne laureate è di poco superiore a quella degli
uomini.
Se, invece, si considerano giovani generazioni fino a 34 anni, le donne hanno livelli
d’istruzione di gran lunga superiori a quelli degli uomini. Il 15% delle donne ha conseguito una laurea, mentre solo il 10 degli uomini è laureato.
Anche la propensione delle ragazze diplomate a proseguire gli studi universitari è
molto superiore a quella dei ragazzi specie nelle regioni del Mezzogiorno, dove probabilmente è più difficile trovare un lavoro.
Inoltre una quota maggiore di ragazze prosegue negli studi universitari anche quando
lavora o è alla ricerca di un’occupazione.
Ciò significa che nel futuro il complesso della popolazione femminile avrà livelli
d’istruzione molto più alti di quella maschile.
I livelli d’istruzione delle donne nel territorio sono molto differenziati perché nelle
regioni del Centro e del Nord sono superiori alla media nazionale, mentre nelle regioni meridionali si registra la più alta quota di donne che ha conseguito al massimo
la licenza media.
L’Italia è molto lontana dall’obiettivo della nuova strategia europea per lo sviluppo di
elevare nel 2020 al 40% la quota di giovani europei tra 30 e 34 anni con un titolo di
studio universitario. La distanza dell’Italia da questo traguardo è insuperabile perché
oggi la quota di giovani maschi laureati è di poco superiore al 15% e quella delle
donne, anche se molto superiore (24,2%), dovrebbe guadagnare 16 punti percentuali
in 10 anni.
Migliore è la situazione delle donne delle regioni del Centro che con il 30% di laureate sono relativamente più vicine all’obiettivo europeo.
La quota di donne laureate in discipline tecnico-scientifiche – uno degli indicatori del
livello d’innovazione di un paese e del suo sistema produttivo – è in linea, invece,
con la media europea. In Italia, infatti, si raggiunge un valore uguale a quello della
Svezia e persino superiore a quello della Germania, ma inferiore a quello che si regi-
Ancora distante è
l’obiettivo europeo
di portare al 40 per
cento i giovani
laureati
Le donne laureate
in discipline
scientifiche in linea
con la media
europea
21
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
stra in paesi come la Francia e la Finlandia. La maggiore criticità è rappresentata dal
modesto numero di laureati maschi italiani in queste discipline la cui quota sul totale
dei laureati è inferiore di cinque punti rispetto alla media europea.
Le donne laureate hanno maggiore difficoltà degli uomini a trovare lavoro: a tre anni
dalla laurea, quasi il 78% dei laureati maschi ha trovato lavoro, contro il 70% delle
donne. In generale, i laureati trovano condizioni migliori di inserimento professionale,
con quote più elevate rispetto alle laureate in termini di occupazione continuativa,
contratti senza scadenza e orario pieno. Tra i laureati triennali, tuttavia, lo svantaggio
femminile è più contenuto.
Le ragazze sono più
brave nella lettura,
i ragazzi in
matematica
Le ragazze
abbandonano gli
studi meno dei
ragazzi
A scuola le studentesse quindicenni sono molto più brave dei colleghi maschi nella
lettura, nella capacità d’integrare e interpretare i testi, nel riflettere e valutare i contenuti. In matematica i ragazzi ottengono risultati migliori delle ragazze, come del resto
si osserva anche negli altri paesi dell’Ocse. La competenza scientifica delle studentesse è, invece, pari a quella degli studenti.
Le differenze territoriali sono, anche in questo caso, molto forti: mediamente la percentuale di studenti del Nord con un livello elevato di competenze in lettura e matematica (35%) è pari al doppio di quella che si osserva nelle regioni meridionali (17%).
In Italia la percentuale di giovani che abbandonano gli studi senza aver completato la
scuola dell’obbligo e che hanno conseguito al massimo la licenza media (18,8%), senza
aver neppure iniziato o terminato un corso di formazione professionale, è molto più alta
rispetto alla media europea (14,1%) e quindi lontana dall’obiettivo europeo del 10%. Sono
giovani che hanno competenze assolutamente insufficienti per entrare in modo regolare
nel mercato del lavoro e che rischiano di essere trascinati in modo irreversibile nel ciclo
dell’indigenza. Il tasso di abbandono scolastico delle ragazze italiane (15,4%) è inferiore
di quasi 7 punti percentuali a quello degli uomini (22%), e solo nelle regioni del Centro ha
un valore che si avvicina molto all’obiettivo europeo (11,4%).
Gli abbandoni scolastici coinvolgono quasi la metà dei giovani immigrati maschi
(45,6%) e il 42,1% delle donne immigrate, in prevalenza a causa di una conoscenza
insufficiente della lingua italiana. Infatti, più della metà degli studenti residenti in Italia di origine immigrata non raggiunge il livello minimo di alfabetizzazione2.
L’Italia è il paese europeo con la più alta percentuale di Neet (22,1), cioè di giovani
che non studiano, non frequentano la formazione professionale, ma neppure lavorano.
Nel 2010 sono 2.milioni 110 mila, in maggioranza donne (1,2 milioni).
Nel Mezzogiorno una giovane donna su tre si trova nella condizione di Neet (33,2%),
percentuale che crolla al 18,9% nelle regioni del Nord.
Occorre precisare che se i Neet rappresentano indubbiamente la quota della popolazione giovanile a maggiore rischio di esclusione sociale, per una parte consistente di
loro – quasi un terzo costituito prevalentemente da donne – l’allontanamento dal mercato del lavoro è una scelta in parte volontaria, a volte solo temporanea, determinata
da motivi familiari, anche se condizionata da fattori culturali e dalla carenza di servizi
di cura dei bambini.
Più donne
partecipano alla
formazione
continua
2
L’apprendimento durante tutto l’arco della vita è sempre più un requisito essenziale
per restare integrati nel mercato del lavoro attraverso l’aggiornamento delle competenze. La strategia di Lisbona aveva indicato tra gli obiettivi da raggiungere entro il
2010 nel campo dell’istruzione e della formazione, quello di una quota di adulti impegnati in attività formative pari al 12,5 per cento. L’Italia, con un valore del 6% nel
2009, è molto lontana dall’obiettivo europeo e registra anche una flessione rispetto
all’anno precedente.
Cfr., Invalsi, Le competenze in lettura, matematica e scienze degli studenti quindicenni italiani, Rapporto nazionale
PISA 2009, 2010, p. 85
22
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
Le donne partecipano in misura maggiore alle attività formative (6,4% rispetto al
5,6%), soprattutto nelle regioni del Centro (7,1%).
L’intensità di utilizzo delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione è
un indicatore fondamentale per misurare il livello d’innovazione della società.
Anche se nel complesso le donne usano Internet meno degli uomini, le differenze
di genere si annullano se si prendono in considerazione gli studenti che sono utenti
della rete per l’85%, gli occupati e le persone in cerca di occupazione. Scarso è invece l’utilizzo di internet fra le casalinghe e le pensionate.
I ragazzi sono più precoci delle donne nell’utilizzo della rete, ma già a 18 anni il
79% delle ragazze e il 76% dei ragazzi sono utenti di Internet. Di conseguenza è
molto probabile che le nuove generazioni di donne, anche meno giovani, useranno
la rete quanto gli uomini.
I maschi sono più
precoci nell’uso di
Internet, ma già a
18 anni le donne
usano di più la rete
23
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.1
Le donne giovani sono più istruite degli uomini
 Se si prende in considerazione l’intera popolazione di 15 anni e oltre, il livello d’istruzione delle donne è
inferiore a quello degli uomini: il 56,2% delle femmine ha conseguito al massimo la licenza media a fronte
del 53,9% dei maschi. Maggiore è anche la quota degli uomini con il diploma d’istruzione superiore
(29,8% maschi; 27,1% femmine), mentre la percentuale di donne laureate è di poco superiore a quella degli
uomini (figura 2.1).
 Nelle giovani generazioni, invece, le donne hanno livelli d’istruzione di gran lunga superiori a quelli degli
uomini: solo il 37,7% non ha completato la scuola dell’obbligo (uomini 43,4%), il 42,4% è diplomata (uomini 40,2%) e la percentuale di laureate (15,9%) è superiore di quasi 6 punti rispetto agli uomini (10%).
 Le giovani donne del Centro e del Nord hanno livelli d’istruzione superiori alla media nazionale, mentre
nel Mezzogiorno si registra la più alta quota di donne che non ha completato neppure la scuola dell’obbligo
(42,7% a fronte del 32% del Centro e del 34,7% del Nord) (figura 2.2).
Figura 2.1 – Popolazione per titolo di studio, classe d’età e sesso - Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
10,6
11,5
29,8
27,1
5,7
5,256,2
90%
10,0
15,9
80%
70%
60%
50%
40%
53,9
Diploma 4-5 anni
40,2
42,4
6,4
28,5
43,4
35,3
Diploma 2-3 anni
Licenza media
4,4 37,3
30%
Licenza elementare
40,8
20%
10%
Laurea breve, laurea,
dottorato
18,6
27,6
Fino a licenza media
2,6
2,3
Maschi
Femmine
0%
Maschi
35,0
Femmine
15 anni e oltre
15 -34 anni
Fonte: Istat
Figura 2.2 – Popolazione femminile (15-34 anni) per titolo di studio e ripartizione - Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
90%
17,7
18,6
12,6
15,9
80%
Diploma 4-5 anni
70%
60%
Laurea breve, laurea,
dottorato
40,7
42,6
45,8
42,4
Diploma 2-3 anni
50%
40%
6,9
30%
20%
2,1 42,7
34,7
32,9
3,732,0
Licenza media
4,4 37,3
Licenza elementare
39,7
30,0
35,0
Fino a licenza media
10%
0%
1,7
2,0
3,0
2,3
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
15-34 anni
24
Fonte: Istat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.2
Le giovani donne diplomate proseguono gli studi più degli uomini
 Le differenze di genere nelle scelte dopo il diploma sono rilevanti: le ragazze risultano meno occupate
(45,3% rispetto al 60% dei ragazzi), più spesso alla ricerca di un lavoro (16,9% contro il 12,7% dei ragazzi)
e oltre un terzo ha proseguito gli studi universitari, 34,7% contro il 25% ( figura 2.1).
 Una quota maggiore di donne diplomate prosegue negli studi universitari anche quando lavora (14,8% rispetto all’11,7% delle donne) o è alla ricerca di un’occupazione (9,5% rispetto al 6,5% degli uomini).
 Anche le differenze territoriali sono significative perché nel Nord la quota di ragazze diplomate che prosegue gli studi universitari è inferiore a quella che si osserva nel Mezzogiorno (rispettivamente 31,5% e
34,7%), anche perché nelle regioni meridionali è più difficile trovare un lavoro e una maggiore quota di ragazze è disoccupata (figura 2.1).
Figura 2.3 – Diplomati del 2004 per condizione occupazionale nel 2007 e sesso
(composizione percentuale)
Lavorano
Cercano lavoro
di cui studia
14,8
Femmine
45,3
Studiano all'università
di cui
studia
9,5
0%
10%
16,9
34,7
3,2
di cui
di cui studia
11,7
Maschi
Altra condizione
60,0 studia 12,7
25,0
2,3
6,5
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Fonte: Istat
Figura 2.4 – Donne diplomati del 2004 per condizione occupazionale nel 2007 e ripartizione
(composizione percentuale)
100%
1,9
2,9
3,3
36,3
34,7
90%
80%
31,5
70%
60%
Altra condizione
8,8
Studiano all'università
12,2
50%
18,1
Cercano lavoro
Lavorano
40%
30%
57,8
48,6
20%
43,9
10%
0%
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte: Istat
25
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.3
La quota di giovani donne laureate italiane è molto lontana dall’obiettivo
di Europa 2020
 La nuova strategia europea per lo sviluppo ha fissato come obiettivo per il 2020 che almeno il 40 per cento
dei giovani tra i 30 e i 34 anni consegua un titolo di studio universitario o equivalente. La distanza da
questo obiettivo della media dei paesi europei (33,6%) e di circa 6 punti. In Italia la percentuale di giovani laureati (19,8%) è di gran lunga inferiore all’obiettivo europeo, collocandosi alla quarta peggiore
posizione nella graduatoria dell’Unione e all’ultimo posto per quota di popolazione maschile in possesso
di titolo terziario (15,5%).
 La percentuale di giovani donne laureate in Italia (24,2%) è di gran lunga superiore a quella degli uomini
(15,5%) e la distanza dall’obiettivo europeo è comunque di 16 punti percentuali (figura 2.5).
 Nel Centro la quota di giovani donne laureate (30,1%) è relativamente più vicina all’obiettivo europeo
(40%), mentre nel Mezzogiorno non raggiunge il 19% (figura 2.6).
Figura 2.5 – Percentuale di giovani (30-34 anni) con titolo di studio terziario per sesso in alcuni paesi
dell’Unione Europea - Anno 2010
Maschi
Femmine
60,0
Obiettivo Europa 2020
50,0
47,7
45,9
37,2
40,0
45,1
40,9
39,3
35,7
30,0
29,9 29,7
30,0
24,2
20,0
15,5
10,0
0,0
EU-27
Germania
Spagna
Francia
ITALIA
Regno Unito
Fonte: Eurostat
Figura 2.6 – Percentuale di giovani (30-34 anni) con titolo di studio terziario per sesso nelle ripartizioni italiane - Anno 2010
Maschi
Femmine
45,0
40,0
35,0
30,3
30,0
25,7
24,2
25,0
20,0
16,9
18,9
18,4
15,5
12,3
15,0
10,0
5,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte : Is tat
26
Italia
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.4
Le donne laureate in discipline tecnico-scientifiche in linea con la media europea
 In Italia vi sono poco più di 11 laureati in discipline tecnico-scientifiche ogni mille residenti 20-29enni,
mentre nella media dei paesi dell’Unione Europea questa quota è pari a quasi 14 laureati, che salgono a
24 in Finlandia.
 Gli uomini laureati altamente qualificati, potenzialmente disponibili a operare nel campo della ricerca e
sviluppo, sono nella media europea il doppio delle donne (rispettivamente 18,4 e 9,2 per mille). In Italia
la differenza di genere è più contenuta: 9 donne laureate su mille a fronte di quasi 14 uomini – circa 5
punti in meno rispetto alla media europea (figura 2.7).
 La quota di donne italiane laureate nelle discipline scientifiche (9 per mille) è in linea con la media europea
(9,2 per mille) e persino superiore a quella che si registra in Germania (7,9 per mille), ma è di gran lunga
inferiore alla quota della Francia (11,4 per mille) e della Finlandia (16,5 per mille).
 La quota di laureati in discipline tecnico-scientifiche è più che raddoppiata in Italia dal 1999 al 2008, ma
maggiormente per gli uomini (8 punti percentuali) che per le donne (5,3 punti percentuali) (figura 2.8).
Figura 2.7 – Laureati in discipline tecnico-scientifiche per sesso nei paesi europei - Anno 2008
(per 1.000 abitanti in età 20-29 anni)
Maschi
Femmine
35 31,8
30
25
20
18,4
16,5
13,6
15
9,2
9,0
10
5
rto
Fi
Po
nl
an
di
a
ga
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R
om
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L i ia
tu
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ia
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Lu
C
ss
i
p
em
ro
bu
rg
o
U
e2
7
0
Fonte: Eurostat
Figura 2.8 – Laureati in discipline tecnico-scientifiche per sesso in Italia – Anni 1999 e 20083
(per 1.000 abitanti in età 20-29 anni e variazione in punti percentuali)
Maschi
16,0
Femmine
Maschi e femmine
14,7
14,0
12,1
12,0
9,4
10,0
8,0
8,0
6,7
6,7
5,4
6,0
5,3
4,1
4,0
2,0
0,0
1999
2008
Variazione punti
percentuali
Fonte : Is tat
3
Il dato presentato per il confronto ripartizionale si discosta da quello nazionale presentato nel confronto Ue per problemi di disallineamento temporale nell'aggiornamento dei dati Istat sulla popolazione di riferimento.
27
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.5
Le donne laureate hanno maggiore difficoltà degli uomini a trovare lavoro
 Le donne laureate hanno maggiore difficoltà degli uomini a trovare lavoro: a tre anni dalla laurea, quasi il
78% dei laureati maschi ha trovato lavoro, solo il 70% delle donne (figura 2.9).
 Le differenze di genere più forti si osservano per i laureati nell’area medica e giuridica. Solo per l’area umanistica la percentuale di laureate che ha trovato lavoro a tre anni dalla laurea è superiore a quella degli uomini.
 Il lavoro stabile rappresenta, soprattutto per le donne, un obiettivo difficile da raggiungere: il 48,2% degli uomini occupati, a tre anni dalla laurea, ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 43,5% delle
donne. La percentuale di laureate con un contratto di collaborazione è superiore a quella dei laureati,
mentre la quota di uomini occupati in un lavoro autonomo è superiore a quello delle donne (figura 2.10).
 Le remunerazioni degli uomini a tre anni dalla laurea risultano sempre più elevate rispetto alle donne
(mediamente del 18%), con differenziali particolarmente alti nei gruppi medico, psicologico, politicosociale e architettura.
Figura 2.9 – Laureati del 2001 che nel 2004 lavorano per sesso ed area didattica
(valori percentuali)
Maschi
Femmine
69,9
Totale
77,8
82,8
87,3
Educazione fisica
28,4
Medica
40,1
84,4
Ingegneria e architettura
90,5
51,5
Giuridica
61,2
68,0
Scientifica
76,5
81,2
82,2
Economica-sociale
73,6
71,7
Umanistica
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
70,0
80,0
90,0
100,0
Fonte: Istat
Figura 2.10 – Laureati del 2001 che nel 2004 lavorano per sesso e tipo di contratto
(composizione percentuale)
Maschi
14,4
Lavoratori autonomi
Senza contratto
Femmine
24,9
0,4
0,2
7,1
4,2
Altro tipo di contratto a termine
3,6
3,3
Contratto di formazione e lavoro
10,0
Contratto collettivo nazionale di lavoro (a termine)
5,7
4,3
3,1
Contratto di prestazione d'opera occasionale
Contratto di collaborazione coordinata e
continuativa
16,6
10,5
43,5
48,2
Contratto a tempo indeterminato
0,0
10,0
20,0
30,0
Fonte: Istat
28
40,0
50,0
60,0
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L’istruzione
2.6
Le studentesse sono molto più brave in lettura, gli studenti in matematica
 Le studentesse quindicenni hanno un livello di competenza nell’area della lettura di gran lunga superiore a
quella degli studenti maschi. La differenza di genere più marcata a favore delle studentesse si registra nella
capacità di riflettere e valutare sui contenuti di un testo, anche complesso (figura 2.11).
 In matematica i ragazzi ottengono risultati migliori delle ragazze, come del resto accade anche negli altri
paesi industrializzati. La competenza scientifica delle studentesse è, invece, sostanzialmente identica a
quelle degli studenti (figura 2.12).
 Le differenze territoriali sono molto significative: la percentuale di studenti con un livello elevato di competenze in lettura e in matematica varia dal 17% del Mezzogiorno al 35% del Nord.
Figura 2.11 - Percentuale di studenti 15-enni con un livello elevato di competenza (almeno il quarto livello)
nella scala complessiva della lettura e nelle sottoscale – Anno 2009
Maschi
Femmine
40
32,6
35
35,4
34,5
33,6
32,4
30
25
20,9
19,7
20,6
20,2
19,2
20
15
10
5
0
Scala
1. Accedere alle
com ples s iva di inform azioni e
lettura
individuarle
2. Integrare e
interpretare
3. Riflettere e
valutare
4. Tes ti continui
Fonte : OCSE-PISA
Figura 2.12 – Rendimento medio degli studenti 15-enni nella scala complessiva della matematica e nella Literacy scientifica
– Anno 2009
Maschi
Femmine
495
490
490
488
490
485
480
475
475
470
465
Scala complessiva di
matematica
1. Literacy scientifica
Fonte : OCSE-PISA
29
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.7
Le donne che abbandonano gli studi sono meno numerose degli uomini
 La percentuale di giovani italiani che abbandonano prematuramente la scuola con la sola licenza media è
pari al 18,8%, di molto superiore alla media europea (14,1%). L’incidenza degli abbandoni precoci degli
studi è maggiore per gli uomini (22%) rispetto alle donne (15,4%) (figura 2.13).
 Il tasso di abbandono scolastico dei giovani immigrati è molto più alto: 42,1% le donne e 45,6% gli uomini, in gran parte per l’insufficiente conoscenza della lingua italiana.
 Nel Mezzogiorno oltre un quarto dei giovani maschi non porta a termine un percorso scolastico/formativo
dopo la licenza media, mentre la percentuale delle donne è inferiore di oltre 7 punti percentuali (18,8%). La
percentuale più bassa di giovani donne che hanno abbandonato prematuramente gli studi si registra nelle
regioni del Centro (11,4%), quota non molto lontana da quella definita come obiettivo per il 2020 dalla
nuova strategia europea per lo sviluppo (10%) (figura 2.14).
Figura 2.13 – Percentuale di giovani (18-24 anni) con al più la licenza media e che non frequentano altri corsi scolastici
o svolgono attività formative per sesso in alcuni paesi europei - Anno 2010
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
40,0
33,5
35,0
28,4
30,0
23,1
25,0
20,0
15,0
22,0
16,0
14,1
12,7
12,2
11,011,9
15,4
12,8
10,3
18,8
15,8
15,4
14,014,9
10,0
5,0
0,0
EU-27
Germania
Spagna
Francia
ITALIA
Regno Unito
Fonte: Eurostat
Figura 2.14 – Percentuale di giovani (18-24 anni) con al più la licenza media e che non frequentano altri corsi scolastici
o svolgono attività formative per sesso nelle ripartizioni italiane - Anno 2010
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
30,0
25,8
25,0
22,3
19,8
20,0
15,0
16,9
22,0
18,8
18,1
14,8
13,8
18,8
15,4
11,4
10,0
5,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte : Is tat
30
Italia
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.8
I giovani Neet sono oltre due milioni, in maggioranza donne
 In Italia più di un giovane su cinque (22,1%) non studia o non partecipa più a un percorso di formazione, ma
non è neppure impegnato in un’attività lavorativa. La quota di giovani Neet italiani (Not in Education, Employment or Training - NEET) è fra le più alte d’Europa (15,3%) ed è superata solo dalla Bulgaria (23,6%)
(figura 2.15). I giovani Neet italiani nel 2010 sono 2 milioni 110 mila.
 Le giovani donne italiane non più inserite in un percorso scolastico o formativo, ma neppure impegnate
in un’attività lavorativa, sono poco meno di 1,2 milioni (24,9% del totale della popolazione femminile
della stessa età), pari al 56% del totale dei Neet, e gli uomini circa 940 mila (18,2% del totale della popolazione maschile della stessa età), pari al 44% del totale dei Neet.
 Il fenomeno dei Neet nel Mezzogiorno è così diffuso (30,9%) da non mostrare neppure una netta differenza di genere: il vantaggio per gli uomini (28,7%) è minimo rispetto a quello delle donne (33,2 %).
Nelle regioni del Centro e del Nord la condizione di Neet è invece prevalentemente femminile (figura
2.16).
Figura 2.15 - Tasso di Neet (15-29 anni) nei paesi dell'Unione Europea - Anno 2010
(incidenze percentuali sulla popolazione della stessa classe d'età)
25,0
23,6
22,1 21,6
20,6 20,5
19,0 18,8 18,4
20,0
17,6 17,3 17,1
15,0 14,6 14,6
15,0
15,3
13,7
13,0 12,9 12,9
12,2
10,8 10,5
9,4
10,0
8,7
8,2
6,8
5,8
5,0
7
-2
EU
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Sp
Le
Fonte : Euros tat
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an
ar
AL
I
lg
Bu
IT
ia
0,0
Figura 2.16 - Tasso di Neet (15-29 anni) per ripartizione e sesso - Anno 2010
(incidenze percentuali sulla popolazione della stessa classe d'età)
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
33,2
35
28,7
30
30,9
24,9
25
15
15,6
12,4
22,1
20,1
18,9
20
19,3
17,1
14,2
10
5
0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte : Is tat
31
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.9
Le donne partecipano più degli uomini all’apprendimento permanente
 La quota di adulti italiani impegnati nell’apprendimento durante tutto l’arco della vita nel 2009 (6%) è molto lontana dall’obiettivo del 12,5% fissato in ambito europeo e registra anche una flessione rispetto all’anno
precedente (figura 2.17).

Le donne partecipano in misura maggiore degli uomini alle attività formative: 6,4% rispetto a 5,6%.
 Livelli più elevati di partecipazione alle attività formative da parte delle donne caratterizzano le regioni
del Centro (7,1%) e del Nord (6,6%). Nel Mezzogiorno si registra la minor quota di donne impegnate in
attività di apprendimento continuo (5,6%) (figura 2.18).
Figura 2.17 - Popolazione (25-64 anni) che frequenta un corso di studio o di formazione professionale per sesso nei paesi
europei - Anno 2009
(valori percentuali)
40
Uomini
Donne
35
30
25
20
15
10,1
8,3
6,4
5,6
10
5
D
an
im
ar
c
Sv a
e
F i zi a
nl
R
eg and
no i a
Pa Un
es
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ac a
ch
U
ng ia
he
R ria
om
a
Bu n ia
lg
ar
ia
EU
-2
7
0
Fonte : Euros tat
Figura 2.18 - Popolazione (25-64 anni) che frequenta un corso di studio o di formazione professionale per sesso nelle ripartizioni italiane - Anno 2009
(valori percentuali)
Maschi
8,0
7,1
6,6
7,0
6,0
Femmine
5,7
6,1
6,5
Maschi e femmine
6,8
6,4
5,6
5,0
5,3
5,6
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte : Is tat
32
Italia
6,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
L’istruzione
2.10
I maschi sono più precoci delle donne nell’utilizzo di Internet, ma a 18 anni
le donne usano di più la rete
 Le donne nel complesso usano Internet meno degli uomini (rispettivamente 34,8% e 46,3%), ma se sono
occupate e soprattutto in cerca di una occupazione utilizzano la rete quanto o più dei maschi (figura 2.19).
 Per gli studenti non vi sono differenze di genere nell’uso di Internet perché l’85% dei ragazzi e delle ragazze
sono utenti della rete. Solo l’11% delle casalinghe e il 5,6% delle pensionate usano Internet.
 I maschi sono più precoci delle donne nell’utilizzo di Internet, ma già tra 18 e 19 anni le donne utilizzano la
rete più degli uomini (rispettivamente 78,6% e 75,7%). Con il crescere dell’età aumenta il divario di genere
rispetto all’utilizzo di Internet. Queste informazioni segnalano che le nuove generazioni di donne, anche meno
giovani, utilizzeranno quanto gli uomini, se non più, la rete (figura 2.20).
Figura 2.19 - Persone di 15 anni e più per utilizzo di Internet, sesso, condizione nella professione - Anno 2008
(per 100 persone di 15 anni e più dello stesso sesso, condizione nella professione)
Maschi
Femmine
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
70,0
80,0
90,0
58,5
59,7
Occupati
36,8
In cerca di nuova occupazione
44,6
42,6
40,7
In cerca di prima occupazione
Casalinghe
10,8
85,2
84,9
Studenti
12,1
Ritirati dal lavoro
5,6
17,1
Altra condizione
8,1
46,3
Totale
34,8
Fonte: Istat
Figura 2.20 - Persone di 6 anni e più per utilizzo di Internet, sesso, classe d’età - Anno 2008
(per 100 persone dello stesso sesso e classe di età)
Maschi
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
Femmine
50,0
60,0
70,0
6-10
11-14
56,3
78,3
74,8
75,7
78,6
71,2
70,8
18-19
20-24
25-34
35-44
45-54
55-59
36,6
38,0
21,6
60-64
65-74
Totale
90,0
62,3
15-17
75 e più
80,0
23,1
21,4
0,1
3,7
3,3
9,4
11,2
49,6
52,0
60,2
58,1
64,8
26,7
35,0
45,8
Fonte: Istat
33
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
3. Il mercato del lavoro
Il tasso di
occupazione
femminile 12
punti più basso di
quello europeo
Anche se negli ultimi anni è aumentata la partecipazione attiva delle donne al mercato
del lavoro, l’Italia si distingue nel contesto europeo per le più alte differenze di genere a
svantaggio della popolazione femminile, in gran parte a causa dell’alta percentuale di
donne meridionali inattive che, per una quota importante, vorrebbe lavorare ma sono
scoraggiate.
Tutti i principali indicatori sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro – tasso
di attività, di occupazione anche delle donne laureate e d’inattività – collocano l’Italia ai
livelli più bassi della classifica europea, e solo a Malta si registrano risultati peggiori.
Solo il tasso di disoccupazione femminile non si discosta dalla media europea, anche se
per le giovani donne è nettamente superiore a quello degli uomini.
Quando sono occupate, le donne sono segregate nelle professioni meno qualificate, difficilmente riescono a sfondare quel soffitto di cristallo che impedisce loro di assumere
posizioni di vertice nelle imprese private, ma anche nelle istituzioni, e subiscono ancora
forti disparità salariali, anche se inferiori a quelle che si osservano in Europa.
La crisi economica ha aggravato i fenomeni di segregazione di genere con la caduta
dell’occupazione femminile qualificata e l’aumento di quella non qualificata. Le imprese
a conduzione femminile, invece, crescono più della media.
Nei primi anni ottanta le donne iniziavano a lavorare molto giovani e uscivano dal mercato
del lavoro molto presto quando si sposavano ed avevano i figli. In poco meno di trent’anni si
è modificato profondamente il modello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro
sia con l’aumento del tasso di attività femminile che con lo spostamento in avanti negli anni
sia dell’entrata nel mondo del lavoro che dell’uscita definitiva. Oggi si accede al lavoro
all’età in cui prima se ne usciva.
Nonostante questo progresso, in Italia poco più della metà delle donne è occupata o cerca
lavoro (51,1%) e l’altra metà è inattiva. Solo a Malta si registrano risultati peggiori. Nella
media dei paesi europei le donne attive sono quasi il 65% mentre in molti paesi nordici questa percentuale sale oltre il 76%.
È un fenomeno che in Italia è determinato prevalentemente dai bassi tassi di attività del
Mezzogiorno dove solo un terzo della popolazione fa parte delle forze di lavoro, mentre la
quota di donne attive del Nord si avvicina a quella della media europea.
L’anomalia italiana è resa ancora più evidente se si confronta l’andamento del tasso di
attività nel corso degli ultimi 27 anni di Italia e Germania. In entrambi i paesi la popolazione in età lavorativa maschile aumenta più di quella femminile e questo fenomeno,
unito alla maggiore durata degli studi, spiega in parte la riduzione del tasso di attività
degli uomini in Italia e la sua modesta crescita in Germania. Ma in Italia la crescita di 12
punti della quota di donne attive compensa la flessione degli uomini attivi e determina
una modesta crescita di tre punti della percentuale complessiva degli attivi. In Germania
l’impennata di quasi 22 punti della quota delle donne attive traina la crescita complessiva di quasi 13 punti.
Anche per quanto riguarda la quota di donne occupate, solo a Malta si registrano risultati
peggiori dal momento che nel nostro Paese meno di una donna su due lavora. Il tasso di
occupazione medio europeo supera il 58% e in paesi come la Svezia e la Danimarca si
colloca oltre il 70%. Ma ancora una volta le differenze territoriali sono molto significative: in Campania è occupata solo una donna su quattro (26%), in Emilia Romagna più
del doppio (60%).
34
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
Diversamente da quanto accade nella maggioranza dei paesi dell’Unione Europea, in Italia il tasso di occupazione delle donne straniere è più alto di quello delle italiane perché è
ancora predominante la prima generazione di immigrati, per la quale il lavoro è il principale motivo per emigrare.
La distanza fra il tasso di occupazione delle donne straniere e italiane raggiunge il massimo nelle regioni meridionali (quasi 8 punti percentuali), mentre solo nel Nord, dove si
concentra la maggioranza degli immigrati, anche di seconda generazione, il tasso di occupazione delle donne straniere registra valori inferiori a quello delle italiane. I dati del
Nord segnalano che nei prossimi anni non potremo più contare sulla maggiore propensione al lavoro delle donne immigrate.
Solo in Italia il
tasso di
occupazione delle
donne straniere
più alto di quello
delle italiane
Otto donne su dieci sono occupate nel settore dei servizi mentre quote maggiori di uomini
lavorano nei settori tradizionalmente maschili dell’industria e delle costruzioni. La composizione percentuale delle donne occupate per settore economico in Italia non si discosta
di molto rispetto a quella della media dei paesi dell’Unione Europea, e quindi non spiega
i più bassi tassi di occupazione del nostro Paese.
Le differenze di genere fra i tassi di disoccupazione diminuiscono con l’aumento del titolo di studio delle donne. Malgrado il tasso d’occupazione delle donne laureate italiane sia
più vicino a quello degli uomini, è in ogni caso il più basso tra tutti i 27 paesi dell’Unione
Europea: 71% a fronte del 79% della media europea e dell’86% della Svezia.
La percentuale di donne italiane che lavora part-time è di poco inferiore a quello che si registra nella media dei paesi europei, ma nel nostro Paese per quasi metà delle donne (47%)
l’orario ridotto non è una libera scelta ma è una condizione obbligata dall’impossibilità di
trovare un lavoro a tempo pieno, mentre nella media europea la quota di part-time involontario coinvolge meno di un quarto delle donne (24%).
In ogni caso, una quota consistente di donne, quasi il 28%, lavora a orario ridotto per poter
prendersi cura dei bambini e degli adulti non autosufficienti, in linea con la media europea.
Diminuisce la
distanza con
l’Europa nel
part-time, ma
aumenta per
quello
involontario
Le donne sono più presenti nelle professioni esecutive e impiegatizie, del commercio e
dei servizi e nelle professioni non qualificate, mentre sono una minoranza fra i legislatori,
dirigenti e imprenditori.
Una situazione di quasi parità fra i due generi si registra nelle professioni intellettuali,
scientifiche e di elevata specializzazione, e nelle professioni tecniche. Le donne sono sottorappresentate fra i docenti universitari, mentre sono più numerose tra i ricercatori e tecnici laureati.
A questo proposito occorre osservare che la crisi economica ha accentuato la caduta
dell’occupazione femminile qualificata e ha aumentato quella non qualificata, soprattutto
nei servizi di pulizia, nelle collaborazioni domestiche e nelle badanti.
Modesta è, inoltre, la presenza femminile nelle posizioni di vertice. Solo il 13% delle
donne dipendenti ha la qualifica di dirigente e il 7% è presente nei consigli
d’amministrazione delle società quotate. Nel confronto europeo l’Italia è il paese dove è
più bassa la quota di donne presenti nei più alti organi decisionali delle società quotate e
dove solo il 21% dei Parlamentari è donna.
Il fenomeno della bassa occupazione delle donne è strettamente legato alla dimensione
delle imprese: nelle piccole e medie imprese il 35% dei dipendenti è femminile, mentre
nelle grandi imprese raggiunge la metà, in linea con la media dell’Unione Europea. Ma
poiché in Italia le piccole e medie imprese occupano la più alta quota di dipendenti, il tasso medio di occupazione delle donne è molto basso.
L’incidenza dell’occupazione femminile a tempo determinato è allineata a quella dei paesi europei, ma è scarsamente diffuso il lavoro svolto da casa.
35
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
Le donne
guadagnano il 30
per cento in meno
degli uomini
Le differenze salariali (gender pay gap) fra lavoratrici e lavoratori in Italia sono relativamente basse rispetto agli altri paesi europei, se si utilizza il differenziale retributivo di genere (gender pay gap) che prende in considerazione solo le imprese con
almeno 10 dipendenti. Se si utilizza come indicatore il rapporto fra retribuzione delle donne e degli uomini nelle imprese di ogni dimensione si osservano forti disuguaglianze: mediamente le donne guadagnano il 72% del salario degli uomini, percentuale che sale all’86% per le donne quadro e scende al 68% se si tratta di
un’operaia. L’ampiezza del differenziale salariale risulta molto contenuto nel settore
delle costruzioni, dove vi è una bassa presenza di personale femminile, presente
quasi esclusivamente nelle qualifiche impiegatizie che sono maggiormente retribuite, mentre presenta valori molto ampi per le donne che lavorano nelle attività finanziarie.
La distribuzione territoriale dei differenziali di genere mostra come nelle regioni del
Nord a reddito medio più elevato si osservano i dislivelli maggiori, mentre i valori
si abbassano nelle regioni del Mezzogiorno caratterizzate da livelli di reddito inferiori.
La crisi economica ha determinato un forte allargamento della disoccupazione
femminile. Ciò nonostante l’andamento del tasso di disoccupazione delle donne italiane non si discosta da quello della media dei paesi europei, anche se cresce prevalentemente nelle regioni del Centro-Nord e nel Mezzogiorno raggiunge un valore
doppio rispetto a quello del Nord.
Il tasso di disoccupazione giovanile è ancora più alto, ma quello delle donne è nettamente superiore a quello degli uomini, soprattutto nella fascia tra 25-34 anni e nel
Mezzogiorno.
Quasi metà delle
donne in età
lavorativa non
lavora e non
cerca
un’occupazione
Anche per il tasso di inattività, valori peggiori a quelli italiani si registrano solo a
Malta. In Italia, infatti, quasi metà della popolazione femminile in età lavorativa
non lavora e non cerca un’occupazione, a fronte del 36% della media europea. Nel
Nord la quota di donne inattive (39,6%) si avvicina a quella della media europea,
mentre nelle regioni meridionali quasi due donne su tre sono inattive. L’aumento
del tasso d’inattività femminile nel 2010 rispetto al 2008 è modesto, ma valori più
alti si registrano fra le donne con i titoli di studio più bassi.
Occorre osservare che una parte delle donne inattive, anche se non cerca il lavoro
attivamente perché scoraggiata, è disponibile a lavorare. Di conseguenza sommando
alle disoccupate le inattive disponibili a lavorare si misura complessivamente il numero di donne che vorrebbero lavorare: 2 milioni 698 mila, concentrate per il 60%
nelle regioni del Mezzogiorno.
Scomponendo l’intera popolazione femminile in età lavorativa tra coloro che lavorano, che vorrebbero lavorare (le donne disoccupate e le inattive disponibili a lavorare) e che non sono disponibili a lavorare (le donne che scelgono di non lavorare,
le pensionate, le malate e disabili, le studentesse, ecc.) è possibile confrontare la
propensione al lavoro delle donne italiane e della media dei paesi dell’Unione Europea.
Le differenze più rilevanti riguardano la più alta percentuale di donne italiane che
non sono disponibili a lavorare (36,5% in Italia e 29,4 in Europa) così come delle
donne che vorrebbero lavorare (disoccupate e inattive disponibili a lavorare). Di
conseguenza molto più ridotta è la quota di donne italiane che lavorano.
Queste forti differenze nella propensione al lavoro delle donne italiane ed europee si
spiegano in gran parte osservando che nelle regioni del Centro-Nord la scomposizione è abbastanza simile a quella della media europea, mentre nelle regioni meridionali la popolazione femminile si può dividere quasi a metà fra le donne che lavorano o vorrebbero lavorare (53,6%) e quelle che non sono disponibili a lavorare
(46,4%). Complessivamente i bassi tassi di occupazione delle donne del Mezzogiorno si spiegano con la bassa propensione al lavoro delle donne e la debole domanda di lavoro, in particolare femminile, da parte delle imprese meridionali.
36
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
Sono 1 milione 350 mila le donne che lavorano in nero e quasi metà del lavoro sommerso si concentra nei servizi domestici per le famiglie (612 mila donne). Più della metà delle lavoratrici irregolari risiede nel Nord (50,1%), il 22% nel Centro e il 28% nel
Mezzogiorno, ma il tasso d’irregolarità è sensibilmente più alto nelle regioni meridionali.
1 milione 350
mila le donne che
lavorano in nero
Su 6 milioni d’imprese, il 23% (1 milione 431 mila) è a conduzione femminile. Si distribuiscono abbastanza regolarmente fra tutte le aree del Paese, si concentrano nel
commercio, agricoltura, alberghi e ristoranti e crescono a un ritmo superiore a quello
medio nazionale.
In Italia le donne si ritirano dal lavoro un po’ meno di due anni prima della media dei
paesi europei (59,4 anni rispetto a 61), ma con forti differenze rispetto al settore: le
donne del trasporto aereo vanno in pensione mediamente a 55 anni, le dipendenti a 60,
le autonome a 61 e le parasubordinate a 64. Nel Nord le donne vanno in pensione un
anno prima rispetto al Mezzogiorno.
37
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.1
Oggi, dopo poco meno di trent’anni, le donne entrano nel mercato del lavoro
nell’età in cui prima ne uscivano per sposarsi
 Nei primi anni ottanta le donne iniziavano a lavorare molto giovani e uscivano dal mercato del lavoro
molto presto, nel momento in cui costruivano una famiglia e avevano i figli. Negli ultimi 27 anni si è modificato profondamente il modello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia con l’aumento
del tasso di attività femminile che con lo spostamento in avanti negli anni sia dell’entrata nel mondo del
lavoro che dell’uscita definitiva (figura 3.1).
 Nel 1983 il tasso di attività delle donne era pari al 29% nella fascia d’età tra 15 e 24 anni e raggiungeva il
valore più alto tra 25 e 29 anni (59%) per diminuire rapidamente con l’aumento dell’età; nel 2010, dopo
poco meno di trent’anni, solo il 6% delle giovani tra 15 e 24 anni lavora o cerca un’occupazione, si accede
sostanzialmente al lavoro all’età in cui prima se ne usciva e il valore più alto del tasso di attività si raggiunge quasi a 40 anni (68%), ma decresce molto lentamente fino ai 59 anni (42%).
 Si è anche ridotta in modo significativo la differenza del tasso di attività fra donne e uomini: nel 1983 raggiungeva il valore più alto di 59 punti percentuali nella fascia d’età fra 50 e 54 anni, mentre nel 2010 la
differenza più alta si è ridotta a 31 punti, sempre nella stessa fascia d’età.
Figura 3.1 – Tasso di attività per sesso e classe d’età in Italia – Anni 1983, 1990, 2000 e 2010
(valori percentuali)
Maschi
100,0
1983
90,0
1990
80,0
2000
70,0
2010
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70-74
Fonte: Eurostat
Femmine
100,0
1983
90,0
1990
80,0
2000
70,0
2010
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70-74
Fonte: Eurostat
38
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.2
In Italia solo la metà delle donne è occupata o cerca un lavoro, nel Mezzogiorno
un terzo
 In Italia solo poco più della metà delle donne in età lavorativa (15-64 anni) è occupata o cerca un lavoro
(51,1%). Solo a Malta si registrano risultati peggiori (42,3%). Questa percentuale sale nella media europea a
quasi il 65% e in molti paesi come la Germania, l’Olanda e la Svezia supera il 70% (figura 3.2).
 Le donne italiane attive sono aumentate dal 2007 al 2010 di 271 mila unità perché la crisi ha spinto un maggiore numero di donne a entrare o a rientrare nel mercato del lavoro per far fronte alla riduzione dei redditi. Nello stesso periodo gli uomini attivi si sono ridotti di circa 26 mila unità.
 Le differenze territoriali sono molto significative: nel Mezzogiorno le donne attive sono poco più di un terzo
(36,3%) che sale al 56,9% nelle regioni del Centro e al 60,4% in quelle del Nord. Meno accentuate sono le
differenze territoriali per gli uomini: 65,6% gli attivi nel Mezzogiorno e 77,9% nel Nord. (figura 3.3)
Figura 3.2 – Tasso di attività femminile (15-64 anni) nei paesi Europei - Anno 2010
(valori percentuali)
90,0
80,0
70,0
76,7 76,1
72,6 72,5 71,0 70,8 70,7 69,9
69,4 69,3 68,8 67,4 67,4
66,3 65,9
60,0
64,5
62,3 62,0 61,8 61,5 61,3 60,3
59,0 57,6 56,7
55,8
51,1
50,0
42,3
40,0
30,0
20,0
10,0
D
Sv
an e zi
im a
ar
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n
d
Fi
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ng a
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om
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IT
AL
IA
M
al
ta
EU
-2
7
0,0
Fonte : Euros tat
Figura 3.3 – Tasso di attività (15-64 anni) per sesso e ripartizione in Italia - Anno 2010
(valori percentuali)
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
90,0
80,0
70,0
77,9
76,5
73,3
69,2
60,4
60,0
66,6
65,6
62,2
56,9
50,8
51,1
50,0
36,3
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte : Is tat
39
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.3
Negli ultimi 27 anni la crescita delle donne attive ha compensato la flessione
degli uomini
 Negli ultimi 27 anni, dal 1983 al 2010, la percentuale di donne italiane attive (che lavorano o che cercano
un’occupazione) è cresciuta di quasi 12 punti percentuali passando dal 39,6% al 51,1%, ma nello stesso periodo la quota di uomini attivi è diminuita di oltre 6 punti, passando dal 79,5% al 73,3%. Di conseguenza la
quota complessiva di popolazione italiana attiva è aumentata di soli 3 punti, passando dal 59,1% al 62,2%.
Solo l’aumento delle forze di lavoro femminili ha compensato la diminuzione delle forze di lavoro maschili
e ha consentito un lieve aumento complessivo della quota di attivi (figura 3.4).
 In Germania si osserva una dinamica del tutto diversa perché la quota di maschi attivi, che nel 1983 era quasi
identica a quella dell’Italia, diminuisce di un punto fino al 2002, ma successivamente cresce, anche se di soli
2 punti percentuali, passando dal 79,9% del 1983 all’82,3% del 2010. Il tasso di attività delle donne registra
un’impennata di quasi 22 punti, dal 49% del 1983 al 70,8% del 2010. Complessivamente la quota delle forze
di lavoro tedesche cresce negli ultimi 27 anni di quasi 13 punti, dal 64,4% al 76,6%.
Figura 3.4 – Tasso di attività (15-64 anni) per sesso in Italia e in Germania – Anni 1983-2010
(valori percentuali)
Italia
85,0
Maschi
Femmine
Totale
79,5
73,3
75,0
62,2
65,0
59,1
55,0
45,0
51,1
39,6
35,0
1983
1986
1989
1992
1995
1998
2001
2004
2007
2010
Fonte: Istat
Germania
85,0
Maschi
Femmine
Totale
82,3
79,9
76,6
75,0
65,0
70,8
64,1
55,0
49,0
45,0
35,0
1983
1986
1989
1992
1995
1998
Fonte: Eurostat
40
2001
2004
2007
2010
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.4
In Italia meno di una donna su due è occupata, nel Mezzogiorno meno di un terzo
 In Italia meno di una donna su due è occupata (46,1%). Solo a Malta si registrano risultati peggiori (39,3%).
La distanza con media europea (58,2%) è di oltre 12 punti percentuali e in paesi come la Svezia e la Danimarca il tasso di occupazione femminile supera il 70% (figura 3.5).
 La quota della popolazione femminile occupata rimane sostanzialmente stabile dal 2007 al 2010 nella media
dei paesi europei, diminuisce in Italia di mezzo punto percentuale e cresce in Germania di oltre 2 punti percentuali.
 Nelle regioni del Mezzogiorno le donne occupate sono meno di un terzo (30,5%) e il tasso di occupazione degli
uomini raggiunge il 57,6, mentre superano la metà nel Centro (51,8% le donne e 71,4 gli uomini) e nel Nord
(56,1% le donne e 73,8% gli uomini) (figura 3.6). Il tasso di occupazione femminile in Campania (25,7%) è inferiore alla metà di quello dell’Emilia-Romagna (59,9%).
Figura 3.5 – Tasso di occupazione femminile (15-64 anni) nei paesi Europei - Anno 2010
(valori percentuali)
80,0
71,1 70,3 69,3
66,9 66,4 66,1 64,6
63,0 62,6 61,1 60,6
59,9 59,4 58,7 57,2
56,5 56,4 56,3 56,0
70,0
60,0
50,0
58,2
53,0 52,3 52,3 52,0 50,6
48,1 46,1
39,3
40,0
30,0
20,0
10,0
G stri
er
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M
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7
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an
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la
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O
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ar
c
m
an
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D
Sv
a
0,0
Fonte : Euros tat
Figura 3.6 – Tasso di occupazione (15-64 anni) per sesso e ripartizione in Italia - Anno 2010
(valori percentuali)
Maschi
80,0
73,8
Maschi e femmine
71,4
67,7
65,0
70,0
60,0
Femmine
56,1
61,5
57,6
56,9
51,8
43,9
50,0
40,0
46,1
30,5
30,0
20,0
10,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte : Is tat
41
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.5
Il tasso di occupazione delle donne straniere più alto di quello delle italiane
 In Italia il tasso di occupazione delle straniere (50,9%) è superiore a quello delle donne con cittadinanza italiana (45,7%) di oltre cinque punti percentuali. Nella media dei paesi europei il tasso di occupazione delle
donne con cittadinanza del paese di residenza (58,8%) è più alto rispetto quello delle straniere (51,4%) di oltre 7 punti (figura 3.7).
 In Spagna il tasso di occupazione delle donne straniere (52,9%) supera quello delle donne spagnole (52,2%)
di soli 7 decimi di punto, mentre il tasso di occupazione delle tedesche (68,2%) e francesi (60,9%) supera
quello delle donne straniere di oltre 19 punti (rispettivamente 48,6% e 41,9%) (figura 3.8).
 Nelle regioni del Nord Italia il tasso di occupazione delle donne straniere è inferiore di 7 punti percentuali
rispetto a quello delle italiane, nelle regioni del Centro è invece superiore di 5 punti, nelle regioni meridionali
la differenza è molto accentuata (18 punti percentuali) perché il tasso di occupazione delle italiane è pari solo
al 29,9% a fronte di quello delle straniere che raggiunge il 47,5% (figura 3.6).
 Il tasso di occupazione delle donne straniere è più alto si quello delle italiane perché è ancora predominante la
prima generazione di immigrati, per la quale il lavoro è il principale motivo per emigrare.
Figura 3.7 – Tasso di occupazione femminile (15-64 anni) nei paesi Europei per cittadinanza - Anno 2010
(valori percentuali)
Stranieri
Cittadinanza del paese di residenza
Totale
80,0
68,2
70,0
66,1
65,2 64,6
60,9 59,7
58,8 58,2
60,0
51,4
50,9
45,7 46,1
50,0
58,6
52,9 52,2 52,3
48,6
41,9
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
EU-27
ITALIA
Germania
Spagna
Francia
Regno Unito
Fonte: Eurostat
Figura 3.8 – Tasso di occupazione femminile (15-64 anni) per ripartizione e cittadinanza - Anno 2010
(valori percentuali)
Italiane
60,0
57,0
Straniere
55,7
49,5
51,2
47,5
50,0
50,9
45,7
40,0
29,9
30,0
20,0
10,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte : Is tat
42
Italia
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.6
Forti differenze, secondo la nazionalità, nel tasso di occupazione
delle donne straniere
 Il tasso di occupazione delle donne straniere varia in maniera significativa in relazione alla cittadinanza, dal
90.4% delle Filippine al 5,7% del Bangladesh. Il tasso di occupazione delle donne italiane si colloca nella
parte bassa della classifica ed è pari al 45,7% (figura 3.9).
 Se si prendono in considerazione le cittadinanze prevalenti nelle tre principali aree del paese, nel Nord si osserva una forte presenza di donne provenienti dall’Albania e dal Marocco con bassi tassi d’occupazione.
Nelle regioni centrali prevale la presenza di donne filippine e provenienti dai paesi dell’Est europeo con alti
tassi di occupazione (figura 3.10).
 Nelle sole regioni del Nord il tasso di occupazione delle donne italiane è superiore a quello delle straniere per la
concorrenza di tre fattori: la presenza numerosa di donne provenienti da paesi con bassi tassi di occupazione, la
presenza di tassi di occupazione più bassi rispetto alle altre ripartizioni anche fra le donne provenienti dagli
stessi paesi, e un tasso di occupazione delle donne italiane molto alto.
Figura 3.9 – Tasso di occupazione femminile (15-64 anni) per cittadinanza - Prime 20 nazionalità - Anno 2010
(valori percentuali)
90,4
100,0
90,0
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
26,3 23,1
20,6
14,4
5,7
AL
IA
Br
as
ile
G
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de
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m
zi
an
on
ia
e
Ru
ss
a
75,8 72,1 71,2
66,9 62,9
60,2 56,0
55,1 52,0
49,7 46,8 45,7
Fonte : Is tat
Figura 3.10 – Tasso di occupazione femminile (15-64 anni) per cittadinanza - Prime 5 nazionalità - Anno 2010
(valori percentuali)
88,7
100,0
80,3
100,0
71,6
M
a
ni
lo
ar
oc
co
23,4
a
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ba
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Al
lia
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Po
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Fonte : Is tat
a
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na
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M
a
ni
ba
Al
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m
an
Ro
M
Fonte : Is tat
lia
0,0
a
0,0
ar
oc
co
0,0
ia
25,0
lia
25,0
49,9
33,8
29,9
23,5
25,0
60,6
56,1
50,0
35,0
ia
33,3
50,0
m
an
50,0
Po
75,0
51,2
ra
i
63,0
75,0
Uc
66,7
59,4
57,0
83,6
Ro
75,0
Mezzogiorno
Centro
Nord
100,0
Fonte : Is tat
43
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.7
Oltre 8 donne su 10 sono occupate nel settore dei servizi
 Oltre 8 donne su 10 sono occupate nel settore dei servizi (82,9) e il rimanente 17% nell’industria e
nell’agricoltura (solo l,1% nelle costruzioni). Quote maggiori di uomini sono occupati nei settori tradizionalmente “maschili” dell’industria (24,9%) e delle costruzioni (13,5%), anche se il settore dei servizi risulta
prevalente (57,2%) (figura 3.11).
 La composizione percentuale delle donne per settore economico mostra forti differenze a livello territoriale:
nel Nord la quota di donne occupata nei servizi (80%) è inferiore di quasi tre punti rispetto alla media nazionale (82,9%), mentre nel Mezzogiorno è superiore di 4 punti (87,2%). Di conseguenza nel Nord è maggiore
la presenza delle donne nelle imprese del settore industriale (16,9%) (figura 3.12).
 Ulteriori differenze si manifestano fra occupate dipendenti e indipendenti: le lavoratrici autonome sono più presenti nel settore dell’agricoltura (7,2%), mentre si osserva una discreta presenza di lavoratrici dipendenti nel
settore dell’industria (14,3%). La quota di donne dipendenti e indipendenti nel settore terziario è sostanzialmente identica.
 La composizione percentuale delle donne occupate per settore economico in Italia non si discosta di molto rispetto alla media dei paesi dell’Unione Europea, e quindi non spiega i più bassi tassi di occupazione del nostro
paese.
Figura 3.11 – Composizione percentuale degli occupati (15-64 anni) per settore economico e sesso - Anno 2010
100%
90%
80%
Servizi
57,2
70%
60%
Costruzioni
82,9
Industria in senso
stretto
50%
40%
Agricoltura
13,5
30%
20%
24,9
1,1
10%
13,2
0%
4,4
2,7
Maschi
Femmine
Fonte : Is tat
Figura 3.12 – Composizione percentuale delle donne occupate (15-64 anni) per settore economico e ripartizione - Anno
2010
100%
90%
80%
70%
Servizi
60%
80,0
85,8
87,2
82,9
Costruzioni
Industria in senso stretto
50%
Agricoltura
40%
30%
20%
1,3
10%
16,9
0%
44
1,1
0,8
6,3
5,7
13,2
1,8
1,0
11,4
1,8
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
2,7
Fonte: Istat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.8
Il tasso di occupazione delle donne italiane laureate è il più basso fra tutti i paesi
dell’Unione Europea
 Le differenze di genere del tasso di occupazione, pari a circa 22 punti percentuali, salgono a quasi 30 punti
per le persone che hanno conseguito al massimo la licenza media, mentre si riducono a 18 punti per i diplomati e a 11 per i laureati (figura 3.13).
 Malgrado il tasso d’occupazione delle donne laureate italiane (71,7%) sia il più vicino a quello degli uomini
(82,3%), risulta il più basso tra tutti i paesi dell’Unione Europea e inferiore di oltre 7 punti percentuali rispetto alla media dei 27 stati membri (79,1%) (figura 3.14).
 Anche le differenze di genere del tasso di occupazione dei laureati sono più contenute nella media europea (7
punti percentuali). In Portogallo e in Lituania il tasso di occupazione delle donne laureate (rispettivamente
82,8% e 85,4%) è sostanzialmente uguale a quello degli uomini con lo stesso titolo di studio (rispettivamente
82,9% e 85,4%).
Figura 3.13 – Tasso di occupazione (15-64 anni) per titolo di studio e sesso e differenza in punti percentuali – Anno 2010
(valori percentuali)
90,0
82,3
80,0
70,0
60,0
74,5
71,7
67,7
Totale
58,2
56,9
Fino alla licenza media
46,1
50,0
Diploma d'istruzione
secondaria superiore
40,0
28,3
30,0
29,9
Laurea e dottorato
21,6
17,6
20,0
10,6
10,0
0,0
Maschi
Femmine
Differenza M-F
Fonte: Eurostat
Figura 3.14 – Tasso di occupazione (15-64 anni) delle donne laureate nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2010
(valori percentuali)
100,0
90,0
86,4
79,1
71,7
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
Sv
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Ce
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E U lia
-2
7
0,0
Fonte: Eurostat
45
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.9
Il part-time è poco diffuso fra le lavoratrici italiane e per quasi la metà
non è una libera scelta
 La percentuale di donne italiane che lavora a orario ridotto (29%) si colloca al di sotto della media europea
(31,4%) e di molti paesi come la Germania e l’Olanda, dove la quota di donne in part-time raggiunge rispettivamente il 45% e il 76% (figura 3.15).
 Per il 46,8% delle donne italiane il lavoro a orario ridotto non è una libera scelta, ma una condizione obbligata determinata dall’impossibilità di trovare un lavoro a tempo pieno. La quota di part-time involontari nella
media dei paesi europei è pari al 24%, con picchi del 47,8% in Spagna e valori molto contenuti in Olanda
(5,1%) e nel Regno Unito (11,5%) (figura 3.16).
 La quota di donne italiane che sceglie il part-time per prendersi cura dei bambini o di persone non autosufficienti (27,7%) è sostanzialmente allineata alla media dei paesi europei (28,1%).
Figura 3.15 – Occupati (15-64 anni) a tempo parziale per sesso in alcuni paesi europei - Anno 2010
(incidenza percentuale sul totale degli occupati)
Maschi
Femmine
90,0
76,2
80,0
70,0
60,0
45,0
50,0
40,0
31,4
29,0
30,0
42,4
29,8
24,2
23,1
20,0
10,0
8,7
7,8
5,1
11,0
5,2
6,4
Spagna
Francia
0,0
ITALIA
EU-27
Germania
Olanda
Regno Unito
Fonte: Eurostat
Figura 3.16 – Donne occupate a tempo parziale per motivo in alcuni paesi europei - Anno 2010
(composizione percentuale)
60,0
Non ha trovato un lavoro a
tempo pieno
47,8
50,0 46,8
41,8
39,8
40,0
31,0
30,0
28,1
27,7
33,5
Altre responsabilità familiari o
personali
27,5
24,0
18,7
20,0
Malattia o disabilità
Per prendersi cura dei bambini
o di persone non autosufficienti
18,1
11,5
10,0
5,1
Studia o frequenta corsi di
formazione
Altri motivi
0,0
ITALIA
46
EU-27
Germania
Spagna
Francia
Olanda
Regno
Unito
Fonte: Eurostat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.10
Le donne sono maggiormente presenti nelle professioni impiegatizie,
del commercio, dei servizi e in quelle poco qualificate
 Le donne sono maggiormente presenti nelle professioni esecutive e impiegatizie (60%), del commercio e dei
servizi (58,7%) e nelle professioni non qualificate (52,5%), mentre sono una minoranza nelle professioni più
qualificate come i legislatori, dirigenti e imprenditori (figura 3.17).
 Una situazione di quasi parità fra i due generi si registra nelle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata
specializzazione e nelle professioni tecniche.
 Nei corpi legislativi e di governo, nazionali, regionali e locali, le donne sono gravemente sottorappresentate
(12,7%) così come fra i dirigenti generali e superiori (31,7%) e i docenti universitari (36,8%). Superano di
poco la metà nella magistratura (59,4%) e fra i ricercatori e tecnici laureati (56,6%) (figura 3.18).
Figura 3.17 – Tasso di femminilizzazione delle professioni - Anno 2010
(rapporto percentuale tra il numero di donne e il totale degli occupati per ciascuna professione)
52,5
Professioni non qualificate
17,2
Conduttori di impianti e operai semiqualificati
11,5
Artigiani
Professioni qualificate nell'agricoltura e nella
pesca
23,4
Professioni qualificate nelle attività commerciali e
nei servizi
58,7
60,2
Impiegati
48,6
Professioni tecniche
Professioni intrellettuali, scientifiche e di elevata
specializzazione
46,8
32,9
Legislatori, dirigenti e imprenditori
0,0
Fonte: Eurostat
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
70,0
Figura 3.18 – Tasso di femminilizzazione in alcune professioni altamente qualificate - Anno 2010
(rapporto percentuale tra il numero di donne e il totale degli occupati per ciascuna professione)
56,6
Ricercatori e tecnici laureati
36,8
Docenti universitari (ordinari e associati)
Dirigenti di organizzazioni di interesse nazionale e
sovranazionale
25,9
59,4
Dirigenti della magistratura
Dirigenti generali, dirigenti superiori, primi dirigenti
dell'amministrazione statale ed equiparati
31,7
Membri di organismi di governo e di assemblee
con potestà legislativa e regolamentare
12,7
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
70,0
Fonte: Istat
47
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.11
La crisi ha accentuato la caduta dell’occupazione femminile qualificata
e ha aumentato quella non qualificata
 La crisi economica ha penalizzato in misura minore le donne occupate rispetto agli uomini (nel 2010 rispetto
all’anno precedente gli uomini occupati sono diminuiti di 155 mila unità mentre le donne occupate sono aumentate di 3 mila), ma è caduta l’occupazione femminile nelle professioni più qualificate, tecniche e operaie,
ed è aumentata in quelle non qualificate (+108 mila unità), nei ruoli impiegatizi (+58 mila unità) e del commercio (+20 mila unità) (figura 3.19).
 La crescita delle donne occupate in professioni poco qualificate, in gran parte impiegate nei servizi di pulizia, collaboratrici domestiche e assistenti familiari, si registra soprattutto nelle regioni del Centro, del NordOvest e del Mezzogiorno, mentre è assente del tutto in quelle del Nord-Est (figura 3.20).
Figura 3.19 – Occupati per professione e sesso – Anni 2009- 2010
(variazioni tendenziali in valori assoluti)
Maschi
-160.000
Femmine
-110.000
-60.000
-10.000
40.000
90.000
Legislatori, dirigenti e imprenditori
Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata
specializzazione
Professioni tecniche
Impiegati
Professioni qualificate nelle attivita' commerciali e nei servizi
Artigiani, operai specializzati e agricoltori
Conduttori di impianti e operai semiqualificati addetti a
macchinari fissi e mobili
Professioni non qualificate
Totale
Fonte : Is tat
Figura 3.20 – Donne occupate in professioni non qualificate per ripartizione – Anni 2009- 2010
(variazioni tendenziali in valori percentuali)
18,0
16,4
16,0
14,0
11,5
12,0
10,0
9,7
10,0
8,0
6,0
4,0
2,0
-0,1
0,0
-2,0
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Fonte: Istat
48
Sud
Isole
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.12
Modesta è la presenza femminile nelle posizioni di vertice
 Anche se le lavoratrici dipendenti sono il 41,5% del totale dei lavoratori, le donne con qualifica di dirigente
sono solo il 12,9% (figura 3.21).
 La percentuale di donne dirigenti varia dal 6,9% del settore delle costruzioni (7% delle lavoratrici dipendenti) al 46,2% del comparto dell’istruzione, dove però le lavoratrici dipendenti sono il 79% di tutti i lavoratori.
 Le donne presenti nei consigli di amministrazione delle società quotate sono solo il 7%. Il loro numero è
aumentato di quasi 3 punti percentuali nel periodo 2004-2011. Metà delle società quotate hanno almeno una
donna nel CdA (figura 3.22).
Figura 3.21 – Lavoratrici dipendenti con qualifica di dirigente per settore economico – Anno 2009
(percentuale sul totale)
90,0
80,0
70,0
% donne dirigenti
79,5
79,0
% lavoratrici dipendenti
60,0
57,3
56,1
49,7
50,0
51,1
46,6
41,5
40,0
30,1
30,0
25,0
20,0
10,0
10,8
46,2
38,0
17,7
14,9
7,0
10,0
9,2
0,0
6,9
16,1
12,3
13,1
Estrazione di
A ttività
Produzione e Costruzioni
Commercio
A lberghi e
minerali
manifatturiere distribuzione di
all'ingrosso e al ristoranti
energia
dettaglio
elettrica, gas e
acqua
11,3
Trasporti,
A ttività
magazzinaggio f inanziarie
e
comunicazioni
Fonte : INPS
18,1
16,9
A ttività
immobiliari,
noleggio,
inf ormatica,
ricerca, servizi
alle imprese
Istruzione
Sanità e
Altri servizi
assistenza pubblici, sociali
sociale
e personali
12,9
TOTALE
Figura 3.22 – Presenza delle donne ai vertici delle società quotate – Anni 2004- 2011
(valori percentuali)
60,0
% donne nei consigli di amministrazione
46,4
41,0
39,9
40,0
36,4
35,3
33,8
50,2
49,6
% società con almeno una donna in CdA
50,0
30,0
20,0
10,0
4,5
4,6
4,7
5,4
5,4
6,3
6,8
7,0
0,0
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Fonte: Banca d'Italia
49
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.13
Bassa la presenza di donne negli organi decisionali delle società e nei Parlamenti
 Nel confronto europeo, l’Italia è il paese, insieme al Portogallo, Cipro, Lussemburgo e Malta, dove è più
bassa la quota di donne presenti nei più alti organi decisionali delle società quotate (5%) a fronte del 12%
della media dei paesi dell’Unione e al 26% della Finlandia e Svezia (figura 3.23).
 La percentuale di deputate alla Camera italiana (21%) è inferiore di tre punti percentuali rispetto alla media
dell’Unione Europea, ma superiore a quella che si registra in Francia (19%) e di poco inferiore a quella del Regno Unito (22%) (figura 3.24).
 In Svezia quasi la metà del Parlamento è costituito da donne (46%), e quote intorno al 40% si osservano in
Olanda, Belgio e Finlandia.
Figura 3.23 – Presenza delle donne negli organi decisionali delle società quotate dei paesi dell’Unione Europea – Anno
2010
(valori percentuali)
30
26 26
25
23 22
21
18
20
15 14
13 13 13 12 12 12
11 10 10 10
9 8
7
15
10
5
12
6 5 5
4
4
2
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7
0
Fonte : Europe an Com m is s ion Databas e
Figura 3.24 – Presenza delle donne nei Parlamenti (Camera bassa) dei paesi dell’Unione Europea – Anno 2010
(valori percentuali)
50
45
40
35
30
25
20
46
41 40 40
38 37
33
30 28
23 22 22 22 21
20 20 19 19 19
15
10
24
17 16 16
14 13
11 9 9
5
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-2
7
0
Fonte : Europe an Com m is s ion Databas e
50
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.14
Nelle piccole e medie imprese italiane solo un terzo dei dipendenti è costituito
da donne, nelle grandi la metà
 In Italia nelle piccole e medie imprese (10-249 addetti, che occupano il 46% dei dipendenti) solo il 35,2%
dei dipendenti è costituito da donne, mentre nella media dei paesi europei le lavoratrici sono pari al 41,8%
(figura 3.25).
 Nel nostro paese le grandi imprese (250 addetti e oltre, che occupano il 30% dei dipendenti) sono, invece, allineate alla media dei paesi europei perché quasi la metà dei loro dipendenti è costituito da donne (49,1% in Italia
e 49,5% nella media dell’Unione Europea).
 Nelle imprese italiane con oltre mille addetti la percentuale di dipendenti donne è fra le più alte d’Europa
(52,8% a fronte del 51,9% della media dei paesi europei), ma le imprese di questa dimensione sono, in Italia,
solo 614 e occupano il 17% dei dipendenti.
Figura 3.25 – Percentuale di dipendenti donne per dimensione d’impresa nei paesi dell’Unione Europea - Anno 2006
(rapporto percentuale tra il numero di donne dipendenti e il totale dei dipendenti)
Piccole e medie imprese (10‐249)
Grandi imprese (250 e oltre)
54,3
51,3
51,2
50,4
49,5
48,9
46,9
46,7
46,4
46,2
44,4
44,2
43,2
42,7
42,1
41,8
41,5
41,4
40,6
39,4
38,5
37,8
36,8
36,4
36,4
35,2
35,2
35,1
32,4
Estonia
Ungheria
Lettonia
Lituania
Polonia
Bulgaria
Slovacchia
Portogallo
Slovenia
Cipro
Finlandia
Irlanda
Germania
Regno Unito
Repubblica Ceca
EU‐27
Romania
Francia
Grecia
Olanda
Austria
Danimarca
Norvegia
Svezia
Belgio
Malta
ITALIA
Spagna
Lussemburgo
0,0
20,0
40,0
Fonte: Eurostat
60,0
63,6
63,6
59,6
58,9
57,0
56,7
56,7
53,0
52,0
51,9
50,0
50,0
49,5
49,3
49,1
49,1
48,3
47,9
47,3
46,6
46,3
45,0
44,8
44,7
43,8
42,8
40,5
40,0
38,4
Lettonia
Estonia
Danimarca
Svezia
Finlandia
Lituania
Irlanda
Regno
Portogallo
Olanda
Slovacchia
Cipro
EU‐27
Romania
Bulgaria
ITALIA
Spagna
Ungheria
Francia
Slovenia
Norvegia
Repubblic
Grecia
Germania
Polonia
Belgio
Austria
Lussembur
Malta
0,0
20,0
40,0
60,0
80,0
Fonte: Eurostat
51
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.15
L’occupazione femminile a termine in Italia è allineata a quella dei paesi europei
 L’incidenza dell’occupazione femminile a tempo determinato sul totale delle dipendenti in Italia (14,5%) è
allineata a quella che si registra nella media dei paesi europei (14,6%), mentre è molto inferiore a quella della Francia (16%), Olanda (19,9%) e soprattutto Spagna (26,1%) (figura 3.26).
 Un terzo delle lavoratrici a tempo determinato risiede nel Mezzogiorno dove il 20,1% delle dipendenti è stata
assunta con un contratto a termine. Nelle regioni del Nord-Ovest la percentuale delle lavoratrici a termine
(11,5%) è inferiore di 9 punti percentuali a quella che si registra nelle regioni meridionali (figura 3.27).
 È più diffuso fra le lavoratrici il contratto di collaborazione a progetto (177 mila contro 129 mila maschi):
nel 2010 l’incidenza percentuale delle donne co.co.pro sul totale delle occupate (1,9%) è pari al doppio di
quella degli uomini (0,9%). Le collaboratrici si concentrano nelle imprese del terziario, in particolare nei settori dell’istruzione, sanità e servizi alle imprese.
Figura 3.26 – Lavoratrici dipendenti a tempo determinato nei paesi dell’Unione Europea - Anno 2010
(incidenza percentuale sul totale delle lavoratrici dipendenti)
30,0
27,1
26,1
23,6
25,0
20,5 19,9
20,0
19,3 18,4
17,6
16,0
15,0
14,9 14,5 14,4
14,6
10,6 10,0
10,0
9,6 9,2 8,8 8,8
8,3
7,3 6,5
5,9
5,0
5,0
4,0
2,8
1,7 1,0
Po
Po
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R
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an
ia
EU
-2
7
0,0
Fonte: Eurostat
Figura 3.27 – Lavoratrici dipendenti a tempo determinato per ripartizione geografica - Anno 2010
(incidenza percentuale sul totale delle lavoratrici dipendenti)
25,0
20,1
20,0
15,0
13,9
13,6
Nord-Est
Centro
14,5
11,5
10,0
5,0
0,0
Nord-Ovest
Fonte : Is tat
52
Mezzogiorno
ITALIA
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Il mercato del lavoro
3.16
Le donne guadagnano il 72% del salario degli uomini
 Secondo l’indicatore europeo che misura le differenze salariali tra le lavoratrici e i lavoratori (Unadjusted
gender pay gap) nelle imprese del settore business con almeno 10 dipendenti, in’Italia il differenziale retributivo di genere è relativamente basso (17% rispetto al 26,8% della Germania e il 23,1 del Regno Unito) (figura 3.28).
 Se si utilizza come indicatore del differenziale salariale il rapporto percentuale fra la retribuzione lorda per
giornata retribuita delle donne e quella degli uomini (escluso il pubblico impiego e nelle imprese di ogni dimensione), in Italia le donne guadagnano mediamente il 71,7% del salario degli uomini, ma con molte differenze nei settori economici, dall’89,8% delle imprese di costruzioni al 66% di quelle che operano nelle attività
finanziarie (figura 3.29).
 Differenze significative si registrano anche fra le diverse qualifiche: un’operaia ha una retribuzione pari al
67,6% dell’operaio, una donna quadro guadagna l’85,8% dello stipendio lordo di un lavoratore maschio con
la stessa qualifica.
Figura 3.28 – Differenziale salariale donna/uomo nei paesi dell’Unione Europea (Unadjusted gender pay gap) - Anno 2010
(valori percentuali)
30,0
27,8 26,8
26,3
24,0 23,1
22,7 22,4
21,4 21,0 21,0
25,0
20,0
19,7 19,3
17,0 16,8 16,3
15,7 15,7 15,0 14,7
15,0
12,5
10,8 10,3
10,0
5,0
na
ac
ch
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ia
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Ce
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Re
Sl
Un
ito
a
ia
nd
la
O
an
ri a
G
er
m
st
Ci
Au
pr
o
0,0
Fonte : Euros tat
Figura 3.29 – Rapporto tra la retribuzione lorda delle donne e quella degli uomini per settore economico e qualifica
Anno 2009
(valori percentuali)
0,0
10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0 100,0
SETTORE ECONOMICO
94,5
Estrazione di minerali
74,8
A ttività manif atturiere
83,1
Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua
89,8
Costruzioni
75,2
Commercio all'ingrosso e al dettaglio
77,2
Alberghi e ristoranti
85,7
Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni
A ttività f inanziarie
Attività immobiliari, noleggio, inf ormatica, ricerca, servizi alle imprese
66,0
67,1
87,5
Istruzione
Sanità e assistenza sociale
67,6
QUA LIFICA
Operai
Impiegati
67,6
69,5
85,8
Quadri
81,1
Dirigenti
89,9
Apprendisti
Fonte: INPS
TOTALE
71,7
53
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Il mercato del lavoro
3.17
Con la crisi la disoccupazione femminile cresce in Italia come nel resto
dell’Europa
 La crisi economica ha determinato in tutta Europa l’allargamento dell’area della disoccupazione, soprattutto
maschile. Anche la quota di donne in cerca di occupazione, nella media dei paesi europei, cresce dal 7,8%
dal secondo trimestre del 2007 al 9,9% del primo trimestre del 2010, per subire una flessione fino al 9,5%
del secondo trimestre del 2011. L’andamento in questo periodo del tasso di disoccupazione femminile in Italia non si discosta da quello della media europea, con un picco del 10,6% nel secondo trimestre del 2010 (figura 3.30).
 Il tasso di disoccupazione femminile cresce prevalentemente nelle regioni del Centro e del Nord e in
quest’ultima ripartizione il fenomeno si arresta solo nel quarto trimestre del 2010, con un picco del 7,7%. Nelle
regioni meridionali la crescita del numero di donne in cerca di occupazione è più contenuta, anche se il tasso di
disoccupazione femminile di queste regioni risulta pari al doppio di quelle del Nord (figura 3.31).
Figura 3.30 – Tasso di disoccupazione femminile (15-64 anni) nella media dei paesi europei e in Italia
II trim. 2007 – II trim. 2011
(valori percentuali)
EU-27
Italia
11,0
10,5
10,6
10,0
9,9
9,5
9,5
9,0
9,1
8,5
8,0
7,8
7,5
7,5
2
1
11
20
10
20
20
Q
4
Q
Q
Q
20
10
10
20
11
2
3
1
Q
4
Q
10
20
20
20
09
09
Q
Q
3
2
1
Q
20
20
20
09
Q
09
Q
08
08
20
08
20
4
3
2
Q
1
Q
4
Q
Q
08
20
20
07
07
20
20
07
Q
Q
3
2
7,0
Fonte : Euros tat
Figura 3.31 – Tasso di disoccupazione femminile (15-64 anni) per ripartizione
II trim. 2007 – II trim. 2011
(valori percentuali)
Nord
Centro
Mezzogiorno
20,0
18,0
17,6
16,0
15,7
14,7
14,0
12,0
10,7
10,0
8,1
7,7
7,6
8,0
6,4
6,2
6,0
4,4
54
1
1
-2
-2
T2
T1
01
01
0
01
0
-2
T4
01
-2
T3
-2
T2
-2
01
0
0
01
9
Fonte: Istat
T1
00
-2
T4
-2
T3
-2
T2
00
9
9
00
9
8
00
-2
T1
-2
T4
T3
-2
00
00
8
8
8
-2
T2
-2
T1
00
00
7
00
-2
T4
-2
T3
T2
-2
00
00
7
7
4,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.18
Il tasso di disoccupazione giovanile è molto alto, ma quello delle donne è nettamente superiore
 Il tasso di disoccupazione giovanile è molto alto in Italia, ma quello delle donne è nettamente superiore a
quello degli uomini: nella fascia tra 15 e 24 anni la disoccupazione femminile (29,4%) supera quella maschile (26,8%) di 2,6 punti percentuali, mentre fra i giovani tra 25 e 34 anni il differenziale fra i due generi è ancora superiore (3,6 punti percentuali) (figura 3.32).
 I differenziali più alti fra il tasso di disoccupazione femminile e quello maschile si registrano, per la fascia tra
15 e 24 anni, nel Nord (3,8 punti percentuali) e per gli adulti tra 25 e 34 anni nel Mezzogiorno (6,8 punti percentuali) (figura 3.33).
Figura 3.32 – Tasso di disoccupazione per alcune classi d’età e per sesso – Anno 2010
(valori percentuali e differenza in punti percentuali del tasso di disoccupazione maschio-femmina)
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
‐5,0
‐10,0
Maschi
Femmine
Differenza M‐F
29,4
26,8
14,0
10,4
7,6
‐2,6
9,7
‐2,1
‐3,6
15‐24 anni
25‐34 anni
Totale
Fonte: Istat
Figura 3.33 – Differenza dei tassi di disoccupazione maschi-femmine per ripartizione – Anno 2010
(differenza in punti percentuali del tasso di disoccupazione maschio-femmina)
0
‐1
‐2
‐1,9
‐2,5
‐3
‐4
‐2,9
‐2,6
‐3,6
‐3,8
‐4,4
‐5
‐2,1
‐2,4
‐2,7
‐3,8
Nord
Centro
‐6
Mezzogiorno
‐7
‐6,8
‐8
15‐24 anni
25‐34 anni
Italia
Totale
Fonte: Istat
55
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Il mercato del lavoro
3.19
In Italia quasi la metà della popolazione femminile è inattiva
 Nel nostro Paese quasi metà della popolazione femminile in età lavorativa non lavora e non cerca
un’occupazione (48,9%) a fronte del 35,5% della media europea. Solo Malta ha un tasso d’inattività più alto
(57,7%) In Germania solo il 29,2% per le donne è inattivo e in Svezia il 23,3% (figura 3.34).
 Nelle regioni del Nord la percentuale di donne inattive cala al 39,6%, mentre nelle regioni meridionali quasi
due donne su tre sono inattive (63,7%) (figura 3.35).
 Il tasso d’inattività femminile nel 2010 è cresciuto solo di mezzo punto percentuale rispetto al 2008 (61,8% e
61,3), ma aumenti più significativi si osservano fra le donne con i titoli di studio più bassi.
Figura 3.34 – Tasso d’inattività femminile (15-64 anni) nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2010
(valori percentuali)
70,0
60,0 57,7
50,0
40,0
30,0
48,9
44,243,342,4
41,039,738,7
38,538,238,037,7
35,5
34,133,7 32,632,6
31,230,730,630,129,329,229,0
27,527,4
23,923,3
20,0
10,0
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-2
7
0,0
Fonte: Eurostat
Figura 3.35 – Tasso d’inattività (15-64 anni) per4 ripartizione e sesso – Anno 2010
(valori percentuali)
Maschi
Femmine
70,0
Totale
63,7
60,0
49,2
50,0
39,6
40,0
33,4
30,8
30,0
37,8
34,4
26,7
23,5
22,1
48,9
43,1
20,0
10,0
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Fonte: Istat
56
Italia
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.20
Una parte delle donne inattive è disponibile a lavorare
 Una parte delle donne inattive (l’11%), anche se non cerca il lavoro attivamente perché è scoraggiata, è disponibile a lavorare. Sono complessivamente 1 milione 711 mila che sommate alle disoccupate che cercano
attivamente un’occupazione (988 mila) indicano quante sono effettivamente le donne che vorrebbero lavorare: 2 milioni 698 mila (figura 3.36).
 Le donne che complessivamente vorrebbero lavorare sono concentrate per il 60% nelle regioni meridionali (1
milione 542 mila), seguite da quelle del Nord (716 mila) e del Centro (441 mila).
 Gli uomini che complessivamente vorrebbero lavorare sono meno numerosi rispetto alle donne (2 milioni 187
mila) e costituiti in maggioranza da disoccupati (1 milione 110 mila), ma sono sempre concentrati prevalentemente nelle regioni meridionali (781 mila), seguite da quelle del Nord (546 mila) e del Centro (310 mila).
Figura 3.36 – Disoccupati e inattivi disponibili a lavorare per ripartizione e sesso – Anno 2010
(valori assoluti in migliaia)
Femmine
3.000
2.698
Inattivi disponibili a lavorare
2.500
x 1.000
2.000
Disoccupati
Persone che vogliono lavorare
1.542
1.711
1.500
1.000
716
500
336
1.135
441
988
380
240
201
407
Nord
Centro
Mezzogiorno
0
Italia
Fonte: Istat
3.000
Maschi
Inattivi disponibili a lavorare
2.500
2.187
Disoccupati
x 1.000
2.000
Persone che vogliono lavorare
1.331
1.500
1.000
1.077
781
546
500
182
1.110
310
364
114
197
550
Nord
Centro
Mezzogiorno
0
Italia
Fonte: Istat
57
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.21
Più alta in Italia la quota di donne non disponibili a lavorare
 Scomponendo l’intera popolazione femminile in età lavorativa tra coloro che lavorano, che vorrebbero lavorare (le donne disoccupate e le inattive disponibili a lavorare) e che non sono disponibili a lavorare (le donne
che scelgono di non lavorare, le pensionate, le malate e disabili, le studentesse, ecc.) è possibile confrontare
la propensione al lavoro delle donne italiane e della media dei paesi dell’unione europea. In Italia il 46,1%
delle donne lavora, il 17,3% vorrebbe lavorare perché è disoccupata o inattiva disponibile a lavorare e più di
un terzo (36,5%) non è disponibile a lavorare per scelta o perché è impegnata nello studio, pensionata o malata. La composizione percentuale delle donne della media dei paesi dell’Unione è sensibilmente differente
perché una quota più ampia di oltre 12 punti rispetto all’Italia lavora (58,2%), il gruppo delle donne che vorrebbero lavorare è più contenuto di 5 punti (12,3%) così come quello delle donne che non sono disponibili a
lavorare (29,4%) (figura 3.37).
 La scomposizione per aree territoriali delle donne italiane secondo la loro propensione al lavoro, nonostante
gli indicatori sulla disponibilità al lavoro degli inattivi dell’Istat siano diversi da quelli di Eurostat4, spiega in
buona parte le differenze che si osservano con la media dei paesi europei perché nelle regioni del CentroNord i valori dei tre gruppi in cui è divisa la popolazioni sono simili a quelli dell’Unione, mentre le donne
delle regioni meridionali si possono dividere quasi a metà fra coloro che lavorano o vorrebbero lavorare
(53,6%) e quelle che non sono disponibili a lavorare (46,4%) (figura 3.38).
Figura 3.37 – Donne (15-64 anni) per condizione e disponibilità a lavorare in Italia e nella media dei paesi
dell’Unione Europea – Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
90%
29,4
80%
70%
36,5
Non disponibili a lavorare
17,3
Vorrebbero lavorare
(disoccupate e inattive
disponibili a lavorare)
46,1
Lavorano
12,3
60%
50%
40%
30%
58,2
20%
10%
0%
EU-27
Italia
Fonte: Eurostat
Figura 3.38 – Donne (15-64 anni) per condizione, disponibilità a lavorare e per ripartizione – Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
90%
80%
35,1
36,0
8,7
12,2
46,4
39,3
Non disponibili a
lavorare
70%
60%
14,5
50%
23,1
40%
30%
56,1
20%
51,8
46,1
Vorrebbero lavorare
(disoccupate e inattive
disponibili a lavorare)
Lavorano
30,5
10%
0%
Nord
4
Centro Mezzogiorno Totale
Fonte: Istat
La suddivisione degli inattivi secondo la loro disponibilità a lavorare dell’Istat è diversa e non sovrapponibile con quella di Eurostat.
L’Eurostat prende in considerazione solo gli inattivi che hanno cercato o non hanno cercato lavoro nelle 4 settimane precedenti e verifica se vogliono lavorare. L’Istat prende in considerazione quelli che hanno cercato lavoro sia nelle 4 settimane precedenti che in un
periodo precedente. Di conseguenza il numero di coloro che non hanno cercato lavoro, né nelle 4 settimane precedenti né in un periodo precedente e non sono disponibili a lavorare entro 2 settimane è superiore rispetto all’analoga classificazione dell’Eurostat.
58
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.22
1 milione 350 mila donne lavorano in nero, soprattutto nei servizi domestici
 Sono 1 milione 352 mila le donne coinvolte nel lavoro nero a fronte di 1 milione 459 mila uomini. Quasi la
metà del lavorio sommerso delle donne si concentra nei servizi domestici per le famiglie (45,2%), seguito
dalle attività immobiliari, noleggio, attività professionali ed imprenditoriali (11,7%), commercio (10,8%),
istruzione, sanità e altri servizi sociali (9,3%) e agricoltura (8,9%) (figura 3.39).
 La percentuale delle donne occupate nel sommerso è pari al 14,5% del totale degli occupati regolari e irregolari, sale al 35,4% nel settore dell’agricoltura e al 15,4% nel settore dei servizi, ma con una punta del 70,5%
per i lavori domestici presso le famiglie (figura 3.40).
 Più della metà delle lavoratrici irregolari stimate risiede nel Nord (50,1%), contro il 22% nel Centro e il 28%
nel Mezzogiorno, ma il tasso di irregolarità è sensibilmente più alto nel Mezzogiorno (17,3%, con una punta
del 30,8% in agricoltura, rispetto al 14,4% del Centro e il 13,4% del Nord.
Figura 3.39 – Occupati interni irregolari per settore di attività economica e genere – Anno 20015
(valori assoluti in migliaia)
Maschi
Femmine
1.352
1.499
Totale
612
Servizi domestici presso famiglie
175
Altri servizi pubblici, sociali e personali
23
Istruzione, Sanità e altri servizi sociali
32
Attività immobiliari, noleggio, attività professionali ed
imprenditoriali
158
153
7
10
9
75
69
98
146
196
16
208
69
174
120
248
Intermediazione monetaria e finanziaria
Trasporti e comunicazioni
Alberghi e pubblici esercizi
Commercio e riparazioni
Costruzioni
Industria in senso stretto
Agricoltura
0
Fonte: Isfol su dati Istat
131
125
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
Figura 3.40 – Tassi di irregolarità delle donne per settore economico e ripartizione – Anno 2001
(incidenza percentuale degli occupati irregolari sul totale degli occupati interni regolari e irregolari)
45
38,8
40
35
35,4
32,3
31,9
Agricoltura
30
Industria
25
20
15,5
13,4
15
15,414,4
15,714,5
4,3
6,1
5,2
0
Nord
Centro
Servizi
Totale
8,5
10
5
16,417,3
Mezzogiorno
Italia
Fonte: Isfol
su dati Istat
5
I valori del sommerso per genere sono stati stimati solo dall’Isfol nel 2007, sulla base dei dati Istat del 2001. Isfol,
Dimensione di genere e lavoro sommerso, Indagine sulla partecipazione femminile al lavoro nero e irregolare, 2007.
59
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.23
Le imprese a conduzione femminile sono il 25% di tutte le aziende registrate
 Sul totale di oltre 6 milioni d’imprese registrate, il 23,4% (1 milione 431 mila) è a conduzione femminile. Le
imprese femminili sono maggiormente presenti nelle regioni del Nord (607 mila), seguite da quelle del Mezzogiorno (514 mila) e del Centro (310 mila), ma la percentuale più alta d’imprese femminili sul totale si registra nelle regioni meridionali (25,6%), seguite da quelle del Centro (23,9%) e del Nord (21,6%) (figura
3.41).
 Il 71% delle imprese a conduzione femminile si concentra in 5 settori economici: commercio all’ingrosso e al
dettaglio (29%), agricoltura, silvicoltura e pesca (17,3%), servizi di alloggio e ristorazione (8,8%), attività manifatturiere (8,2%) e altre attività di servizi (7,7%) (figura 3.42).
 Secondo Unioncamere, le imprese “in rosa” continuano a crescere a un ritmo superiore a quello medio
dell’imprenditoria nazionale. Tra giugno 2010 e giugno 2011, le imprese a conduzione femminile sono aumentate di 9.815 unità, pari ad un tasso di crescita dello 0,7% contro lo 0,2% dei colleghi maschi, a fronte di
una crescita media del tessuto imprenditoriale nazionale dello 0,3%.
Figura 3.41 – Imprese a conduzione femminile e maschile (scala sinistra)
e tasso di femminilizzazione delle imprese (scala destra) per ripartizione – II trim. 2011
(valori assoluti in migliaia e valori percentuali)
7.000
26,0
25,6
6.000
25,0
1.431
5.000
24,0
x 1.000
23,9
Femminili
4.000
23,4
Maschili
23,0
Tasso di femminilizzazione
3.000
607
2.000
1.000
4.689
21,6
2.210
22,0
514
21,0
310
987
1.492
0
20,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte: Unioncamere
Figura 3.42 – Imprese a conduzione femminile per settore economico – II trim. 2011
(composizione percentuale)
G Commercio all'ingrosso e al dettaglio
29,0
17,3
A Agricoltura, silvicoltura pesca
I Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
8,8
8,2
7,7
C Attività manifatturiere
S Altre attività di servizi
X Imprese non classificate
L Attività immobiliari
F Costruzioni
N Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle
imprese
M Attività professionali, scientifiche e tecniche
J Servizi di informazione e comunicazione
K Attività finanziarie e assicurative
H Trasporto e magazzinaggio
R Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e diver...
Q Sanità e assistenza sociale
P Istruzione
E Fornitura di acqua; reti fognarie
Fonte: Unioncamere
60
5,7
4,6
4,6
3,2
2,9
1,9
1,9
1,4
1,2
1,0
0,6
0,1
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Il mercato del lavoro
3.24
In Italia le donne si ritirano dal lavoro a 59 anni, in Svezia a 64
 Nella media dei paesi europei le donne si ritirano dal lavoro all’età di 61 anni, in Italia a 59,4. In molti paesi
dell’Unione Europea le donne rimangono più a lungo attive: in Germania e nel Regno Unito vanno in pensione a 62 anni, in Spagna a 63,4 e in Svezia a 64. Gli uomini si ritirano mediamente un anno dopo le donne
(figura 3.43).
 L’età media dei beneficiari delle pensioni di vecchiaia liquidate nel 2010 è di 60,4 anni per le donne e di 61,4
per gli uomini, ma con forti differenze in relazione ai diversi fondi: le donne del trasporto aereo si ritirano
mediamente a 54,9 anni, le dipendenti a 59,9 anni, le autonome a 60,9 e le parasubordinate a 63,5 (figura
3.44).
 Le differenze territoriali sono molto modeste: nel Nord le donne vanno in pensione un anno prima rispetto alle
donne del Mezzogiorno (rispettivamente 60,1 e 61,1).
Figura 3.43 – Età media di ritiro dal lavoro in alcuni paesi europei per sesso – Anno 2009
Femmine
66,0
64,0
64,7
64,1
63,9
63,4
64,0
63,1
62,0
61,2
62,0
Maschi
61,9
63,2
62,6
62,3
61,661,3 61,4
61,5
61,1
59,8
60,0
60,3
60,8
59,6
60,4
60,1
59,4
61,0
61,8
58,7
57,5
58,0
56,0
54,0
-2
7
EU
ia
Sl
Un
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ch
gh
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Fr
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di
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Fonte: Eurostat
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an
m
er
G
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gn
o
O
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Un
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ito
a
na
ag
Sp
Sv
ez
ia
52,0
Figura 3.44 – Età media dei beneficiari delle pensioni (anzianità, vecchiaia, prepensionamenti)
liquidate nel 2010 per sesso e tipo di gestione
Maschi
Femmine
Totale
60,4
61,4
Fondi sostitutivi
54,9
60,9
Fondi integrativi
59,5
58
Fondo Pensioni Lavoratori dipendenti
59,9
60,4
60,9
61,6
Pensioni ai lavoratori Autonomi
Gestione separata lavoratori
parasubordinati
63,5
67,4
Altre gestioni e assicurazioni facoltative
67,4
66,9
Fonte : INPS
0
10
20
30
40
50
60
70
80
61
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4. La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
Gli ostacoli all’accesso delle donne italiane al mercato del lavoro sono molteplici, determinati da una cronica bassa domanda nel Mezzogiorno, da cause strutturali del sistema produttivo italiano costituito in prevalenza da microimprese che hanno maggiori
difficoltà ad assumere personale femminile, da molteplici forme di segregazione di genere e di disparità salariali, di sottoutilizzo del capitale umano delle donne, ma soprattutto dalla difficoltà di conciliare il lavoro con i tempi di cura della famiglia. In Italia,
dunque, più spesso che in altri paesi europei, la scarsità di strumenti di conciliazione
induce le donne a scegliere la famiglia a scapito del lavoro.
La maternità, infatti, continua ad essere, per le donne italiane, il principale motivo della
decisione di non lavorare o di abbandonare il lavoro, il fattore primario che determina
lo scivolamento verso l’inattività o il sommerso e la principale fonte di discriminazione
sui luoghi di lavoro e persino di licenziamento o di costrizione alle dimissioni.
La difficile conciliazione fra attività lavorativa e i tempi di vita è resa ancora più problematica dal permanere in ampie fasce della popolazione di una cultura e un modello
familiare con un unico stipendio, quello dell’uomo, nel quale il ruolo sociale della donna è ancora confinato tra le mura domestiche e in cui l’asimmetria dei ruoli all’interno
della coppia raggiunge livelli sconosciuti nel resto del mondo.
Anche quando lavorano, le donne devono occupare per le faccende domestiche, la cura
dei figli e degli anziani non autosufficienti una fetta di tempo molto superiore a quella
degli uomini che, del resto, non utilizzano quasi mai i congedi parentali.
I servizi per l’infanzia e per le persone non autosufficienti sono ancora inadeguati e carenti e la nonna è ancora la figura che nel maggior numero dei casi si prende cura dei
bambini. Ma occorre osservare che la rete di aiuto informale di tipo familiare, pilastro
fondamentale del nostro sistema di welfare, è sempre più fragile e non riesce più a garantire, come in passato, il soddisfacimento dei bisogni di assistenza e di cura delle lavoratrici.
Occorre tenere presente, a questo proposito, che l’inattività delle donne non è, in molti
casi, determinata dalla carenza dei servizi, ma da una “scelta” più o meno volontaria,
provocata da fattori culturali e probabilmente anche dai bassi livelli salariali delle donne, comunque inferiori a quelli degli uomini, che rendono scarsamente conveniente o
addirittura insostenibile delegare a strutture private, spesso molto care, e a persone retribuite i lavori domestici e la cura dei bambini o delle persone non autosufficienti.
Inoltre, un numero importante di madri pensa che non sia opportuno affidare i bambini
molto piccoli agli asili.
Infine, le misure di conciliazione sul posto del lavoro, come gli orari flessibili, il telelavoro e il part-time, sono ancora poco diffuse e più spesso il tempo parziale non è frutto
di una libera scelta della lavoratrice, ma una condizione obbligata determinata
dall’impossibilità di trovare un lavoro a tempo pieno.
La maternità è in
Italia il
principale motivo
di non lavorare,
la prima fonte di
discriminazione
In oltre un terzo delle coppie italiane lavora solo l’uomo, collocando così il nostro Paese al livello più alto e negativo della classifica fra i paesi dell’Unione Europea. Nel
Mezzogiorno la quota di famiglie nelle quali l’unica fonte di reddito è l’uomo supera il
50%, mentre nelle regioni del Nord è pari a un quarto, come nella media dei paesi europei. In Svezia e in Danimarca questa percentuale scende intorno al 12%.
L’Italia è in testa alla classifica europea anche per il tempo occupato dalle donne per i
lavori domestici (quasi 5 ore e mezzo a fronte dell’ora e mezzo degli uomini) e per la
differenza fra maschi e femmine. L’Italia è anche l’unico paese europeo in cui le donne
lavorano, considerando lavoro retribuito e domestico, più degli uomini. Infatti, le donne
che lavorano occupano maggior tempo dei partner nelle attività familiari (4 ore e 40
minuti al giorno a fronte di 1 ora e 54 minuti).
Inoltre solo il 9% degli uomini utilizza il congedo parentale dopo la nascita di un bambino, in gran parte nel Centro Nord.
62
Le donne
lavorano più
degli uominie
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
Mentre in Francia il tasso di occupazione delle donne diminuisce in modo modesto
dopo la nascita del primo e del secondo figlio e lo scarto diviene significativo solo a
partire dal terzo figlio, in Italia la quota di donne occupate diminuisce già di 4 punti
con primo figlio, di 10 punti con 2 figli e di ben 22 punti al terzo figlio. Inoltre, la
scarto del tasso di disoccupazione femminile tra l’Italia e la media dei paesi europei
raggiunge il valore massimo nelle madri con due figli.
Più di un quarto
delle donne
smette di
lavorare per la
nascita di un
figlio
Più di un quarto delle donne cessa volontariamente il rapporto di lavoro per maternità
o perché deve prendersi cura dei figli o di altre persone non autosufficienti. Questa
percentuale è più alta nelle regioni del Centro-Nord e più bassa in quelle del Mezzogiorno dove le lavoratrici hanno meno propensione ad abbandonare un lavoro faticosamente conquistato, consapevoli che sarà molto difficile trovarne un altro. Abbandonano il lavoro per motivi familiari soprattutto le donne con un basso titolo di studio,
mentre accade meno frequentemente fra le laureate che hanno una retribuzione maggiore e possono permettersi di utilizzare servizi per l’infanzia anche privati.
Ma l’aspetto più preoccupante emerge dai dati sulla volontarietà dell’interruzione del
lavoro per la nascita di un figlio: per oltre la metà delle lavoratrici non è una libera
scelta. Circa 800 mila madri sono state licenziate o costrette a dimettersi in seguito a
una gravidanza.
Le imprese con meno di 20 dipendenti (occupano oltre 6 milioni di lavoratori) hanno
anche un’altra responsabilità perché non utilizzano, se non marginalmente, le agevolazioni (riduzione del 50% dei contributi) per la sostituzione temporanea delle lavoratrici in congedo di maternità con un altro lavoratore: solo 19 mila assunzioni con questi
incentivi di cui 2 mila nel Mezzogiorno. I lavoratori che hanno beneficiato del congedo parentale (quasi tutte donne) sono 277 mila, per cui solo una piccola quota è stata
sostituita temporaneamente da altri lavoratori.
La ragione principale per la quale le donne europee non lavorano e non cercano lavoro
è la cura dei figli o di adulti non autosufficienti. Ma in Italia una quota doppia di donne rispetto alla media europea è inattiva perché scoraggiata e cioè è convinta di non
riuscire a trovare un lavoro.
Il motivo dello scoraggiamento prevale nelle regioni del Mezzogiorno, mentre nel
Nord la causa prevalente dell’inattività femminile è la cura dei figli e delle persone
non autosufficienti.
Gran parte delle donne scoraggiate vorrebbe lavorare, mentre solo il 17% delle donne
inattive per motivi familiari sarebbe disponibile a entrare nel mercato del lavoro, percentuale che scende al 12% nel Centro-Nord.
Il 30% delle
donne inattive
potrebbe entrare
nel mercato del
lavoro sei servizi
fossero adeguati
e meno costosi
Occorre osservare che più dell’80% delle donne inattive per motivi familiari dichiara
che la scelta di non lavorare non dipende dalla carenza o dall’inadeguatezza dei servizi, pubblici o privati, di cura dei bambini e delle persone non autosufficienti. Di conseguenza è probabile che il 20% delle donne inattive potrebbe entrare o rientrare nel
mercato del lavoro se i servizi per l’infanzia e gli anziani fossero adeguati e meno costosi. È probabile che l’utenza potenziale possa aumentare, anche in modo significativo del 10%, in presenza di un’offerta di servizi per la prima infanzia di maggiore qualità e meno costosa.6
Inoltre quasi il 46% dei bambini non è iscritto all’asilo nido perché troppo piccoli, un
altro terzo perché è seguito da un altro membro della famiglia, il 13% perché l’asilo è
troppo caro.
6
Cfr. Francesco Zollino, Il difficile accesso ai servizi di istruzione per la prima infanzia in Italia: i fattori di offerta e di
domanda, Banca d’Italia, Occasional papers, 2008.
63
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
I nonni si prendono cura della maggioranza dei figli quando non sono con i genitori o a
scuola, soprattutto nel Mezzogiorno, e per almeno una volta vola alla settimana. Ma la
quantità di nonne disponibili è destinata a esaurirsi perché alcune ultracinquantenni saranno ancora al lavoro quando le loro figlie diventeranno madri e, inoltre, perché su di
esse grava anche l’accudimento degli anziani.
I padri, quando sono al lavoro, affidano in maggioranza i figli alla moglie, mentre le
madri li affidano in prevalenza ai nonni e solo un quarto al padre.
Il ruolo sempre
più oneroso per
le nonne
La percentuale di bambini italiani con meno di tre anni che ha usufruito degli asili nido
pubblici e privati (16%) è superiore a quella della media europea (13%) e anche di
grandi stati membri come la Germania e il Regno Unito. Percentuali maggiori si registrano in Francia (25%) e in Danimarca (63%).
L’offerta di asili nido è maggiore nel Nord con punte del 28% in Emilia Romagna e in
Valle d’Aosta.
Gli asili nido sono sicuramente insufficienti perché il 25% delle domande non viene
accolto, con punte del 42% in Campania e addirittura un eccesso di offerta nel Trentino-Alto Adige.
Le strutture pubbliche sono in grado di trattare in assistenza domiciliare solo il 3% degli anziani.
Le misure di flessibilità sul posto di lavoro per facilitare la conciliazione con la cura
della famiglia non sono tutte molto diffuse in Italia.
Solo il 4% delle donne italiane occupate lavora da casa a fronte del 12% della media
dei paesi europei.
Quasi il 13% delle occupate dipendenti sarebbe interessato al telelavoro, in prevalenza
per conciliare gli impegni lavorativi con la cura della famiglia.
La flessibilità oraria in entrata e in uscita dal posto di lavoro è usata, invece, da oltre il
40% delle persone. Le madri utilizzano la flessibilità prevalentemente per motivi familiari, ma il ricorso a questa modalità è motivato prevalentemente da esigenze lavorative.
64
Poche donne
lavorano da casa
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.1
L’Italia è il paese europeo dove più alta è la percentuale di coppie nelle quali
lavora solo l’uomo
 L’Italia è il paese europeo nel quale più alta è la percentuale di coppie in cui lavora solo il maschio (37,2%) e
le donne scelgono di dedicarsi alle attività domestiche e di cura. La percentuale di coppie di questo tipo nelle
quali la donna non lavora al di fuori delle mura domestiche cala al 24,9% nella media europea e si abbatte al
12,5% e 11,9% rispettivamente in Svezia e in Danimarca (figura 4.1).
 Il modello tradizionale di coppia nel quale solo l’uomo provvede al sostentamento della famiglia prevale nel
Mezzogiorno dove in oltre la metà delle famiglie lavora solo l’uomo, mentre nel Nord questa percentuale si
riduce a circa un quarto (25,2% nel Nord-Ovest e 21,3% nel Nord-Est (figura 4.2).
 Nelle coppie a doppio reddito italiane nelle quali lavora anche la donna, l’uomo è il principale percettore di
reddito per il 54,1%, il reddito dei partner è simile per il 37,1% delle coppie e per solo l’8,9% è la donna la a
contribuire maggiormente alle finanze della famiglia. Sono valori non distanti da quelli della media dei paesi
europei.
Figura 4.1 – Coppie con donna in età da 25-54 anni in cui lavora solo il maschio nei paesi dell’Unione Europea
Anno 2007
(valore percentuale)
40
35
30
25
20
15
10
5
0
37,2
11,9 12,5 12,7
17,2 17,6 18,2
14,9 15,4 16,4
26,6
23,3 23,4 23,6 24,3 24,9
20,3 22,1 22,2
30,1 31,2 31,4
Fonte: Eurostat
Figura 4.2 – Coppie con donna in età da 25-54 anni in cui lavorano entrambi o uno solo dei partner per ripartizione
Anno 2008
(composizione percentuale)
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
3,4
71,5
3,5
4,0
75,2
67,8
5,5
4,6
42,7
40,5
4,2
61,3
Lavora solo la donna
Lavorano entrambi
51,8
25,2
21,3
28,2
Lavora solo l'uomo
54,8
34,6
Fonte: Istat
65
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La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.2
L’Italia è il paese europeo dove le donne occupano maggiore tempo per i lavori
domestici
 L’Italia è il paese europeo nel quale le donne occupano il maggior tempo per i lavori domestici (5h20’) e gli
uomini il minor tempo (1h35’). In Germania le donne si occupano di attività familiari per 4h11’e gli uomini
per 2h21’.
 Se si confronta la giornata di 24 ore delle persone tra 20 e 74 anni, in Italia il 21,7% del tempo delle donne è
utilizzato per le incombenze domestiche (gestione della casa, spesa, pasti, assistenza ai bambini e agli anziani, ecc.), in Germania il 17,1% a parità di tempo utilizzato nei due pesi per il lavoro (rispettivamente 8,6% e
8,5%). Di conseguenza si riduce in Italia la quota del tempo libero delle donne (17% in Italia e 21,8% in
Germania) (tavola 4.3).
 In Italia si registra la maggiore differenza fra l’impegno delle donne e degli uomini per i lavori domestici: nel
nostro paese una donna si occupa d’incombenze familiari 225 minuti più degli uomini, in Norvegia 86 minuti (tavola 4.4).
Figura 4.3 - Uso del tempo delle persone di 20-74 anni per sesso in Italia e in Germania - Anni 2001-2003
(composizione percentuale)
100%
17,0
90%
80%
10,5
70%
21,2
21,8
23,0
10,8
10,1
9,7
34,0
34,1
33,8
5,6
5,6
4,9
Tempo libero
60%
34,1
50%
Dormire
40%
4,8
30%
21,7
20%
10%
17,8
8,6
0%
Femmine
Maschi
Italia
Pasti e cura persona
17,1
5,3
9,2
8,5
14,0
Femmine
Maschi
Germania
Spostamenti
Lavori domestici
Lavoro retribuito o studio
Fonte: Eurostat
Figura 4.4 – Differenza del tempo utilizzato per i lavori domestici tra donne e uomini - Anni 2001-2003
(minuti)
250
225
198
200
143 144
130 138 140 140
117 126
112
100 102
150
86
100
50
Fonte: Eurostat
66
lia
I ta
ni
a
Fr
an
cia
Sl
ov
en
ia
Es
to
ni
a
Li
tu
an
ia
Po
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gn
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Un
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an
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m
er
G
di
a
Be
an
nl
Fi
No
rv
eg
ia
0
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La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.3
Le donne si occupano del lavoro familiare per quasi 8 ore, gli uomini per poco più
di un’ora
 Le donne che lavorano di 25-44 anni occupano giornalmente 4h40’ del loro tempo per le attività familiari
mentre i loro partner solo 1h54’. Viceversa gli uomini impiegano 3h33’ per il tempo libero, che si riducono a
2h35’ per le donne (tavola 4.1).
 Se non lavorano, le donne si occupano di lavori familiari per 7h56’ e i loro partner per 1h26’. In questo caso
il tempo impiegato per il tempo libero è sostanzialmente uguale per uomini e donne.
 Di conseguenza le donne dedicano dal 19,4% (se occupate) al 33,1% (se non occupate) del proprio tempo al
lavoro familiare, mentre tali percentuali si riducono per gli uomini rispettivamente al 7,9% e 6% (figura 4.5).
Tavola 4.1 - Uso del tempo delle persone in coppia con donna di 25-44 anni per condizione della donna e sesso
Anno 2008-2009
(durata media generica in ore e minuti)
Coppie con lei occupata
Maschi
Coppie con lei non occupata
Femmine
Maschi
Femmine
LAVORO FAMILIARE
1:54
4:40
6:16
4:30
1:26
7:56
6:08
0:05
LAVORO
TEMPO FISIOLOGICO
10:37
10:40
10:59
11:08
3:46
3:30
1:33
1:07
TEMPO LIBERO
3:33
2:35
1:34
1:28
SPOSTAMENTI
ALTRO USO DEL TEMPO
0:06
0:07
0:07
0:14
Fonte: Istat
Figura 4.5 – Composizione percentuale delle 24 ore di un giorno medio delle persone che vivono in coppia con donna
di 25-44 anni per condizione della donna e sesso - Anno 2008-2009
Lavoro familiare
100%
Lavoro
Tempo fisiologico
6,5%
6,1%
14,8%
10,8%
Tempo libero
Spostamenti
Altro uso del tempo
6,5%
4,7%
15,7%
14,6%
45,8%
46,4%
25,6%
33,1%
80%
60%
44,4%
44,2%
40%
18,8%
20%
26,1%
19,4%
0%
7,9%
6,0%
Maschi
Femmine
Maschi
Lei occupata
Femmine
Lei non occupata
Fonte: Istat
67
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La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.4
Solo il 9% degli uomini usufruisce del congedo dal lavoro per accudire i figli
dopo la nascita
 Il diritto individuale dei lavoratori e delle lavoratrici di fruire di un congedo dopo la nascita o l’adozione di
un bambino per accudirlo è utilizzato solo dalle donne: nel 2009 i dipendenti che hanno beneficiato dei congedi parentali sono complessivamente 277 mila, dei quali 253 mila donne (91,4%) e 24 mila uomini (8,6%) e
(figura 4.6).
 Il 62,6% dei beneficiari (maschi e femmine) dei congedi parentali risiede nel Nord (174 mila), il 20,9% nel
Centro (58 mila) e il restante 16,5% (46 mila) nel Mezzogiorno (figura 4.7).
 È probabile che il minore utilizzo del congedo parentale nelle regioni meridionali sia legato a motivi economici. Infatti, la tendenza ad anticipare il rientro al lavoro è tipica delle madri del Mezzogiorno. Circa il 65%
di queste donne rientra al lavoro entro i 6 mesi di vita del bambino (contro il 33% delle madri del Nord).
Figura 4.6 - Beneficiari di congedo parentale distinti per genere - Anni 2007-2009
(valori assoluti in migliaia)
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
300
250
277
263
252
253
244
234
200
150
100
50
24
20
18
0
2007
2008
2009
Fonte: INPS
Figura 4.7 - Numero beneficiari di congedo parentale (dipendenti) distinti per genere e ripartizione - Anno 2009
(valori assoluti in migliaia)
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
120
100
93
100
80
68
74
58
60
51
31 34
40
20
6
6
10 12
7
3
2
0
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Fonte : INPS
68
Sud
Isole
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.5
Il tasso di occupazione delle donne italiane diminuisce con l’aumento del numero
dei figli
 Il divario occupazionale dell’Italia rispetto alla media europea (11,8 punti percentuali nel 2008) cresce
all’aumentare del numero di figli, raggiungendo il suo valore massimo nel caso delle madri con due figli
(69,2% nell’EU-27 e 54,8% in Italia) (figura 4.8).
 Mentre in Francia e in Olanda le differenze tra i tassi di occupazione delle donne senza figli, con 1 figlio e con
2 figli sono modestissime e lo scarto diviene significativo solo a partire dal terzo figlio, in Italia la differenza tra
il tasso di occupazione delle donne senza figli e quelle con 1 figlio è di 4 punti, con 2 figli è di 10 punti e con
tre figli o più è addirittura di 22 punti.
 Le distanze nei tassi di occupazione delle donne italiane rispetto alla media dei paesi dell’Unione Europea si
accentuano considerando l’età dei figli e raggiungono il valore massimo (oltre 14 punti percentuali) nelle
madri con 2 figli (figura 4.9).
Figura 4.8 – Tasso di occupazione femminile (25-54 anni) per numero di figli in alcuni paesi europei - Anno 2008
(valori percentuali)
Nessun f iglio
90,0
70,0
60,0
Tre f igli o più
82,7
70,2
70,3
65,0
60,6
54,8
50,0
Due f igli
82,580,8
80,1
81,6
76,8
81,379,0
78,4
80,0
Un f iglio
76,1
71,4
58,2
51,1
71,3
65,2
61,1
52,2
50,4
42,6
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
ITALIA
Francia
Germania
Olanda
Regno Unito
Spagna
Fonte: Eurostat
Figura 4.9 – Tasso di occupazione femminile (25-54 anni) per numero di figli in Italia e nella media EU-27 - Anno 2008
(valori percentuali)
90,0
76,7
80,0
70,0
65,0
72,4
69,2
60,6
55,0
54,8
60,0
50,0
42,6
40,0
ITALIA
30,0
UE-27
20,0
10,0
0,0
Nessun f iglio
Un f iglio
Due f igli
Tre f igli o più
Fonte: Eurostat
69
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.6
Più di una donna su quattro lascia il lavoro per maternità o per prendersi cura
dei figli
 Il 27% delle donne che hanno cessato volontariamente il rapporto di lavoro lo ha fatto a causa della maternità o della nascita di un figlio (14,9%) oppure per prendersi cura dei figli o di altre persone non autosufficienti
(12,2%). Solo lo 0,5% degli uomini ha abbandonato il lavoro per prendersi cura dei figli (figura 4.10).
 La maggioranza delle donne che lasciano il lavoro alla nascita primo figlio considera questa scelta provvisoria e reversibile. Tuttavia, le interruzioni che si trasformano in un’uscita prolungata dal mercato del lavoro risultano molto più elevate per le donne residenti nel Mezzogiorno.
 In Valle d’Aosta e nel Lazio metà delle donne abbandonano il lavoro per maternità o per curare la famiglia,
il 9% in Umbria e il 10% in Toscana. Nelle regioni del Centro-Nord si registrano le percentuali maggiori di
abbandoni del lavoro per motivi familiari (31%) rispetto al Mezzogiorno (19,7%) (figura 4.11).
 Anche se le donne occupate nel Mezzogiorno hanno una minore propensione ad abbandonare il lavoro dal
momento che sono consapevoli che sarà molto difficile ritrovarlo, tuttavia nelle regioni meridionali le interruzioni che si trasformano in un’uscita prolungata oltre cinque anni sono pari al 77,1% contro il 57,2% del NordEst.
Figura 4.10 – Motivi di cessazione volontaria7 del rapporto di lavoro per sesso - Anno 2010
(composizione percentuale)
Altri motivi
100%
Altri motivi familiari (esclusa
maternità, cura dei figli o di altre
persone)
Studio o formazione professionale
37,7
80%
58,1
60%
11,8
Per prendersi cura dei figli, di
bambini e/o di altre persone non
autosufficienti
Maternità, nascita di un figlio
9,5
40%
20%
11,7
12,2
8,7
0,5
0,0
14,9
21,0
Malattia, problemi di salute personali
13,9
0%
Maschi
Femmine
Fonte: Istat
Figura 4.11 – Lavoratrici che hanno cessato volontariamente il lavoro a causa della maternità, nascita di un figlio
o per prendersi cura dei figli o di altre persone non autosufficienti per regione - Anno 2010
(incidenza percentuale sul totale dei motivi di cessazione)
60,0
53,3
49,1
50,0
40,0
33,833,7
30,0
31,330,9 29,8
28,128,1 27,4 26,5
27,0
25,9 25,7
22,9 19,7
20,0
11,5 11,211,1 10,4
10,0
9,0
zio
ar
ch
em e
Tr
B a ont
en
e
tin
s
o - i li c a
Al
t
a
to
Ad
i
Em
C ge
ilia a la
br
-R
om i a
a
Lo g n
m a
ba
Fr
iu
rd
li ia
Ve
Pu
ne
zia glia
G
iu
l ia
Si
cil
i
Ve a
ne
to
M
ol
ise
Li
gu
Sa
ri
rd a
eg
n
Ab a
ru
Ca zz
m o
pa
T o nia
sc
an
Um a
br
i
IT a
AL
IA
M
La
Pi
Va
ld
'A
o
st
a
0,0
Fonte: Istat
7
Sono escluse le cessazioni del rapporto di lavoro per pensionamento, licenziamento e scadenza del lavoro a termine.
70
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.7
Oltre la metà delle donne che hanno interrotto il lavoro per gravidanza è stata
licenziata o costretta a dimettersi
 Le donne più esposte al rischio di interrompere il lavoro per motivi familiari sono quelle che hanno un basso
titolo di studio: il 40,3% delle madri che hanno conseguito al massimo la licenza media ha interrotto l’attività
lavorativa per almeno un motivo familiare. Questa percentuale scende al 16,7% per le laureate (figura 4.12).
 Oltre la metà delle interruzioni dell’attività lavorativa per la nascita di un figlio non dipende da una libera scelta. Infatti, nel 2008-2009 circa 800 mila madri hanno dichiarato di essere state licenziate o sono state messe nelle condizioni di dimettersi in occasione o a seguito di una gravidanza. Sono pari all’8,7% delle madri che lavorano o hanno lavorato (figura 4.13).
 Subiscono più spesso questa costrizione le ragazze più giovani (il 13,1% delle madri nate dopo il 1973), le
residenti nelle regioni del Mezzogiorno (10,5%), le donne con titolo di studio basso (10,4%), le operaie
(11,8%), le impiegate nell’industria (11,4%).
 Solo il 40,7% delle madri costrette a lasciare il lavoro in seguito alla gravidanza ha successivamente ripreso
l’attività (51% nel Nord e solo il 23% nel Mezzogiorno).
Figura 4.12 – Madri tra 16 e 64 anni che lavorano o hanno lavorato e hanno interrotto l’attività lavorativa per tipo di motivo
e titolo di studio - Anno 2009
(per 100 madri di 16-64 anni che lavorano o hanno lavorato con le stesse caratteristiche)
45,0
40,3
40,0
35,0
30,0
30,0
Matrimonio
24,5
25,0
19,7
Nascita di un figlio
20,0
15,0
16,7
13,2
10,0
15,1
Altri motivi familiari
12,6
11,1
6,0
9,0
7,9
3,8
5,0
8,8
8,7
5,0
Almeno un motivo familiare
0,0
Fino alla
licenza media
Diploma
Laurea
TOTALE
Fonte: Istat
Figura 4.13 – Madri che hanno interrotto l’attività lavorativa in occasione di una gravidanza per generazione di nascita della
madre e modalità d’interruzione - Anni 2008-2009
(per 100 madri di 16-64 anni che lavorano o hanno lavorato in passato con le stesse caratteristiche)
18,0
15,6
16,0
15,2
15,0
15,1
14,1
13,1
14,0
12,0
Interruzioni per costrizione
9,3
10,0
8,7
7,9
8,0
Totale interruzioni per nascita di
un figlio
6,8
6,0
4,0
2,0
0,0
1944-1953 1954-1963 1964-1973
Dopo il
1973
Totale
Fonte: Istat
71
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.8
Solo 19 mila assunzioni agevolate in sostituzione di lavoratori in congedo
di maternità, meno di 2 mila nel Sud
 Le imprese italiane con meno di 20 dipendenti non utilizzano, se non marginalmente, le agevolazioni (riduzione del 50% dei contributi sociali a carico del datore di lavoro) per le assunzioni a tempo determinato in
sostituzione dei lavoratori in congedo di maternità, di paternità o parentale: poco più di 18 mila 600 lavoratori assunti nel 2009 per sostituire temporaneamente i dipendenti che si assentano dal lavoro per la nascita di
un figlio, in maggioranza donne (16 mila 400). Nel 2009 i dipendenti che hanno beneficiato dei congedi parentali (quasi tutte donne) erano complessivamente 277 mila per cui solo una quota marginale è stata sostituita temporaneamente con altri lavoratori (figura 4.14).
 Le imprese attive del settore privato non agricolo con al massimo 19 dipendenti (escluse le imprese senza
dipendenti) sono circa 1 milione 800 mila e occupano circa 6 milioni 500 mila lavoratori dipendenti (esclusi
gli autonomi).
 I lavoratori assunti in sostituzione di altri lavoratori divenuti madri o padri erano nel 2005 poco più di 16 mila, sono aumentati a quasi 20 mila nel 2008 e diminuiti nel 2009 di oltre mille unità.
 Il 70% degli assunti in sostituzione di lavoratori in maternità/paternità risiede nel Nord (12,9 mila), il 20%
nel Centro (3,8 mila) e il 10% nel Mezzogiorno (1,8 mila) (figura 4.15).
Figura 4.14 – Assunzioni agevolate a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in congedo di maternità/paternità
per sesso – Anni 2005-2009
(valori assoluti in migliaia)
25,0
x 1.000
20,0
16,1
14,5
15,0
19,9
17,8
19,0
17,1
17,5
15,7
18,6
16,4
Maschi
Femmine
10,0
Totale
5,0
2,1
2,0
1,8
1,6
2,2
0,0
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: INPS
Figura 4.15 – Assunzioni agevolate a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in congedo di maternità/paternità
per sesso e ripartizione – Anno 2009
(valori assoluti in migliaia)
20,0
18,6
18,0
16,4
16,0
12,9
11,6
x 1.000
14,0
12,0
Maschi
10,0
Femmine
8,0
Totale
6,0
3,3 3,8
4,0
2,0
1,6 1,8
1,4
0,5
2,2
0,3
0,0
Nord
72
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
Fonte: INPS
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.9
In Italia più alta è la quota d’inattive scoraggiate
 I motivi che spingono le donne italiane a non lavorare e a non cercare attivamente un lavoro sono molto diversi da quelli che si registrano nella media dei paesi europei con la sola esclusione di quelli legati alla cura
dei figli e di adulti non autosufficienti. In questi casi la quota di donne inattive è molto simile: 25,7% nella
media europea e 24,2% in Italia (figura 4.16).
 La quota di donne italiane inattive perché scoraggiate (15,2%) o per altri motivi, tra cui la mancanza
d’interesse per il lavoro (32,4%), è doppia rispetto a quella della UE (rispettivamente 7,4% e 17%). Viceversa solo il 6,2% delle donne italiane dichiara che la causa dell’inattività è la malattia o la disabilità, a fronte
del 17,2 nella media europea.
 La causa prevalente dell’inattività femminile nelle regioni del Nord è legata alla cura dei bambini e delle persone non autosufficienti (38%), mentre nelle regioni meridionali le donne inattive per motivi familiari sono
in percentuale minore (32,1%), ma una quota molto alta (20,4%) è scoraggiata (figura 4.17).
Figura 4.16 – Motivi di inattività delle donne (25-29 anni) nella media dei paesi dell’Unione Europea e in Italia – Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
Altre ragioni
90%
17,0
80%
7,4
70%
9,7
Ritiene di non riuscire a trovare
lavoro (scoraggiamento)
32,4
Pensione
4,9
60%
50%
25,7
15,2
Studio, formazione
professionale
3,6
5,2
Prendersi cura dei figli e di
adulti non autosufficienti
Altri motivi familiari o personali
40%
30%
24,2
Malattia o disabilità
11,2
Aspetta esiti passate azioni di
ricerca
17,3
20%
10%
17,2
0%
0,7
EU-27
6,2
2,0
ITALIA
Fonte: Eurostat
Figura 4.17 – Motivi di inattività delle donne (25-29 anni) per ripartizione – Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
80%
4,7
7,3
5,0
3,8
2,9
1,1
3,8
3,6
Altri motivi
8,8
10,9
20,4
15,1
Pensione
6,3
6,3
5,9
6,1
38,0
38,0
32,1
35,0
Ritiene di non riuscire a trovare
lavoro (scoraggiamento)
Malattia o disabilità
60%
Motivi familiari
40%
20%
0%
4,0
6,1
5,6
5,2
25,9
23,9
25,5
25,4
5,0
6,0
6,5
5,9
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Studio o formazione
professionale
Mancanza d'interesse al lavoro
In attesa d'iniziare un lavoro o
non immediatamente disponibile
Fonte: Istat
73
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.10
Tre donne scoraggiate su quattro vorrebbero lavorare, ma solo poche inattive
per motivi familiari
 La percentuale maggiore di inattive che vorrebbero lavorare si osserva fra le donne che sono in attesa
d’iniziare un lavoro ma soprattutto fra quelle che non cercano lavoro perché scoraggiate: 74,9%. Di conseguenza una delle cause principali del basso tasso di occupazione delle donne è la bassa domanda di lavoro
femminile (figura 4.18).
 Solo il 17,4% delle donne inattive per motivi familiari vorrebbe lavorare.
 La percentuale di donne scoraggiate che vorrebbe trovare un’occupazione è di gran lunga superiore nel Mezzogiorno dove supera l’80%, mentre è molto più contenuta nel Centro-Nord (63%). Sempre nelle regioni
meridionali è più alta la quota di donne inattive per motivi familiari che vorrebbe lavorare (23,5% contro il
12,2% del Centro-Nord).
Figura 4.18 – Donne inattive (da 15 a 64 anni) per motivo e per tipologia d’inattività in Italia, nel Centro-Nord
e nel Mezzogiorno - Anno 2010
(composizione percentuale)
Italia
Vuole lavorare
Tota l e
Non vuole lavorare
19,5
Al tri moti vi
80,5
41,2
58,8
Pe ns i one 0,8
99,2
Ri ti e ne di non ri us ci re a
trova re
Ma l a tti a o di s a bi l i tà
74,9
25,1
10,0
Moti vi fa mi l i a ri
90,0
17,4
82,6
Studi o o forma zi one
7,0
profe s s i ona l e
Ma nca nza d'i nte re s s e a l
4,5
l a voro
I n a tte s a d'i ni zi a re un
l a voro o
0%
93,0
95,5
76,9
20%
23,1
40%
60%
80%
100%
Fonte: Istat
Centro-Nord
Vuole lavorare
Tota l e
Pe ns i one 0,8
Moti vi fa mi l i a ri
0%
96,2
31,9
68,1
20%
40%
60%
Fonte: Istat
74
Studi o o forma zi one
profe s s i ona l e
Ma nca nza d'i nte re s s e a l
l a voro
I n a tte s a d'i ni zi a re un
l a voro o
94,6
80%
100%
88,7
11,3
Moti vi fa mi l i a ri
87,8
12,2
Studi o o forma zi one
5,4
profe s s i ona l e
Ma nca nza d'i nte re s s e a l
3,8
l a voro
I n a tte s a d'i ni zi a re un
l a voro o
19,8
80,2
Ma l a tti a o di s a bi l i tà
91,2
8,8
54,9
99,0
Ri ti e ne di non ri us ci re a
trova re
37,0
63,0
Ma l a tti a o di s a bi l i tà
72,9
45,1
Pe ns i one 1,0
99,2
Ri ti e ne di non ri us ci re a
trova re
Non vuole lavorare
27,1
Al tri moti vi
61,3
38,7
Vuole lavorare
Tota l e
87,1
12,9
Al tri moti vi
Mezzogiorno
Non vuole lavorare
76,5
23,5
90,8
9,2
94,8
5,2
16,1
83,9
0%
20%
40%
60%
Fonte: Istat
80%
100%
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.11
Per l’82% delle donne inattive per motivi familiari la scelta di non lavorare
non dipende dalla carenza o dall’inadeguatezza dei servizi per l’infanzia
 L’82,2% delle donne inattive per motivi familiari dichiara che la scelta di non lavorare e di non cercare
un’occupazione non dipende dalla carenza o dall’inadeguatezza dei servizi di cura per i bambini o per gli anziani non autosufficienti8. Questa percentuale sale all’85% nel Centro-Nord, e cala al 78,8% nel Mezzogiorno dove i servizi di cura per l’infanzia e per le persone non autosufficienti sono poco diffusi (figura 4.19).
 Quasi il 18% delle donne inattive (270 mila persone) potrebbe rientrare nel mercato del lavoro se i servizi
per l’infanzia e per gli adulti non autosufficienti fossero adeguati.
 Il 45,9% dei bambini non è iscritto all’asilo nido perché considerato troppo piccolo, il 33,4 perché è seguito
da un altro membro della famiglia, il 12,7% perché l’asilo è troppo caro, il 6,7% perché non si vuole delegare la funzione educativa e il 4% perché la domanda non è stata accettata (figura 4.20).
Figura 4.19 – Donne inattive (15-64 anni) per motivi familiari che non hanno cercato lavoro a causa dell'inadeguatezza dei
servizi di cura per i bambini e per le persone non autosufficienti, per ripartizione - Anno 2010
(composizione percentuale)
100%
No
90%
80%
Sì, entrambi i servizi sono
assenti/inadeguati
70%
60%
85,1
85,0
78,8
82,2
Sì, sono assenti/inadeguati i
servizi per la cura di persone
anziane, malate, disabili
50%
40%
30%
Sì, sono assenti/inadeguati i
servizi per la cura di bambini
20%
10%
1,8
2,2
10,6
2,0
2,1
10,8
4,4
3,0
3,1
2,5
13,6
12,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
0%
Fonte: Istat
Figura 4.20 – Bambini da 0 a 2 anni non iscritti all’asilo nido per motivo della non frequenza - Anno 2008
(per 100 bambini da 0 a 2 anni non iscritti)
0
5
10
15
20
25
30
35
12,7
Il nido/asilo costa troppo
6,7
4,8
Ho fatto la domanda, ma non è stata accettata
2,8
Un medico me lo ha sconsigliato
2,6
Il bambino può sentirsi abbandonato
2,3
Ho tentato, ma il bambino non vuole andare
2,1
Altro
Fonte: Istat
50
33,4
Non voglio delegare ad altri il compito educativo
Ho provato, ma il bambino si ammalava troppo spesso
45
45,9
Il bambino è ancora troppo piccolo
Può seguirlo un membro della famiglia
Il nido o la scuola sono lontani da casa, scomodi
40
2
5,2
8
Alle donne inattive per maternità o perché devono dedicarsi alla cura dei figli o di persone non autosufficiente, l’Istat rivolge
una successiva domanda: "Lei non ha cercato lavoro perché nella zona in cui vive i servizi di supporto alla famiglia, compresi
quelli a pagamento, sono assenti, inadeguati o troppo costosi? Consideri anche baby-sitter o assistenti a pagamento”.
75
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.12
I nonni si prendono cura della maggioranza dei bambini, soprattutto nelle regioni
meridionali
 I nonni si prendono cura della maggioranza dei bambini che non sono con i genitori o a scuola: a loro è affidato il 64% dei bambini fino a 13 anni, l’11,4% ad altri parenti, il 6% ad altre persone non retribuite, il 5,7%
a fratelli e sorelle e il 4,5% a persone retribuite. La percentuale di bambini affidati a persone retribuite aumenta quando la donna lavora (8,3%), entrambi i genitori lavorano (6,8%) e nei nuclei monogenitore (7,8%)
(figura 4.21).
 Il ricorso ai nonni è più diffuso nel Mezzogiorno (67,7%) rispetto al Nord-Ovest (60,5%) ed è richiesto soprattutto quando il bambino è molto piccolo (da 0 a 5 anni).
 Le famiglie ricorrono alla disponibilità dei nonni non conviventi per il 27,6% tutti i giorni e per il 46% almeno una volta alla settimana. Se vivono con i figli, i nonni sostituiscono tutti i giorni le cure materne o il servizio educativo nel 72,7% dei casi (figura 4.22).
Figura 4.21 – Bambini da 0 a 13 affidati abitualmente ai nonni (conviventi e/o non conviventi) quando non sono
con i genitori o a scuola per ripartizione geografica e per classe d’età - Anno 2008
(per 100 bambini di 0-13 anni della stessa ripartizione geografica e della stessa classe d’età)
0
20
40
60
80
Ripartizioni geografiche
Nord-Ovest
60,5
Nord-Est
64,1
Centro
63,2
Sud
67,6
Isole
67,9
Classi d'età
0-2
67,8
3-5
70,5
6-10
65,8
11-13
52,8
Totale
64,4
Fonte: Istat
Figura 4.22 – Frequenza con cui il bambino è affidato ai nonni non conviventi e conviventi, quando non è con i genitori
o a scuola - Anno 2008
(composizione percentuale)
100%
9,3
90%
26,5
17,9
80%
70%
Qualche volta al mese/anno
60%
50%
Una o più volte a settimana
46,0
40%
72,7
Tutti i giorni
30%
20%
10%
27,6
0%
Nonni non
conviventi
76
Nonni conviventi
Fonte : Is tat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.13
I padri, quando sono al lavoro, affidano i figli alle mogli
 Mentre è al lavoro, il 78,1% dei padri affida i propri figli con meno di 15 anni alla propria moglie o compagna, mentre il 42% delle madri che lavorano affida i figli ai nonni, zii o altri parenti che non vivono in casa.
Il 28% delle donne affida i figli agli asili nido e alle scuole materne, pubblici e privati, e solo il 27,2% li affida al padre (figura 4.23).
 Rispetto a chi ha trovato un impiego part-time, le madri che lavorano a tempo pieno si avvalgono più frequentemente della rete parentale (44,4%), del marito (28%) e della babysitter (7,5%); viceversa, in presenza
di un orario lavorativo ridotto che consente di trascorrere più tempo con i figli, si riduce il ricorso a nonni,
babysitter e partner, mentre aumenta il ricorso ai servizi per l’infanzia (30,8%) (figura 4.24).
 Migliora, invece, il supporto dei partner nella cura dei figli: il 73% dei padri si occupa tutti i giorni di vestire,
fare il bagno e cambiare il pannolino al bambino, ma solo 46% fa mangiare il bambino tutti i giorni e il 35%
gioca tutti i giorni con il figlio.
Figura 4.23 - Occupati di 15-64 anni con almeno un figlio con meno di 15 anni per sesso, ripartizione geografica e tipologie
di caregivers che si prendono cura dei figli quando i genitori sono al lavoro - Anno 2005
(per 100 occupati con le stesse caratteristiche)
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0
3,1
6,5
Baby sitter
14,9
Asilo nido, scuola materna (pubblici)
Partner
4,9
9,2
Parenti che non vivono in casa (nonni,
zii, etc.)
Resta/no da solo/i
Portato/i sul posto di lavoro
Orario di lavoro coincidente con quello
della scuola dell’obbligo
Temporaneamente assente dal lavoro
78,1
27,2
Altri parenti che vivono in casa
Amici o vicini di casa
24,6
2,0
3,9
Asilo nido, scuola materna (privati)
23,0
42,0
0,7
1,8
2,1
5,9
0,3
1,4
4,8
11,2
0,1
1,0
Maschi
Femmine
Fonte: Istat
Figura 4.24 – Donne occupate di 15-64 anni con almeno un figlio con meno di 15 anni per regime orario e tipologie
di caregivers che si prendono cura dei figli quando le madri sono al lavoro – Anno 2005
(per 100 occupate con le stesse caratteristiche)
0,7
1,1
Temporaneamente assente dal lavoro
Orario di lavoro coincidente con quello della
scuola dell'obbligo
13,3
10
1,1
1,6
Portato/i sul posto di lavoro
Tempo pieno
4,8
6,5
Resta/no da solo/i
Tempo parziale
1,5
2
Amici o vicini di casa
37,7
Parenti che non vivono in casa
44,4
9,1
9,2
Altri parenti che vivono in casa
25,9
28
Partner
30,8
Asilo nido, scuola materna
26,5
4,7
7,5
Baby sitter
Fonte: Istat
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
77
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.14
Solo sedici bambini su cento usufruiscono degli asili nido pubblici e privati
 La percentuale di bambini italiani con meno di tre anni che hanno usufruito dei servizi pubblici e privati per
l’infanzia nel 2009 (16%) è superiore a quella della media dei paesi europei (13%) e anche di grandi stati
membri come la Germania (12%) e il Regno Unito (4%). Percentuali maggiori si registrano in Danimarca
(63%), Svezia (37%) e Francia (25%) (figura 4.25).
 Secondo il diverso indicatore utilizzato dall’Istat, la percentuale di bambini che hanno usufruito dei servizi
per l’infanzia comunali o finanziati dai comuni (esclusi quelli interamente privati) è, nel 2008, pari al 12,6%,
con quote del 17% nelle regioni del Nord e del 4,8% nelle regioni meridionali, con picchi superiori al 28% in
Emilia Romagna e Valle d’Aosta. La maggioranza dei bambini è iscritta a una struttura pubblica (61,1%),
mentre il 38,9% ricorre alle strutture private o convenzionate (figura 4.26).
 La percentuale di bambini che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia è aumentata dal 2004 al 2008 di 1,4
punti percentuali, ma solo di 0,6 punti nel Mezzogiorno (0,2 punti nel 2009).
Figura 4.25 – Bambini con meno di 3 anni che hanno usufruito dei servizi per l'infanzia pubblici o privati per 30 ore o più
alla settimana nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2009
(percentuale sul totale dei bambini della stessa età)
70
63
60
50
40
30
37
34
27 25
21 21
20
18 16 16
14 13 12 12
10
9
13
7
7
6
5
5
4
4
2
2
2
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7
0
Fonte : Euros tat
Figura 4.26 – Bambini tra zero e 3 anni che hanno usufruito dei servizi per l'infanzia (asilo nido, micronidi, o servizi integrativi e innovativi) di cui il 70% in asili nido, sul totale – Anni 2004 e 2008
(valori percentuali)
17,0
18,0
16,0
15,6
16,5
15,0
14,0
12,6
2004
11,2
12,0
2008
10,0
8,0
6,0
4,2
Variazione in punti
percentuali
4,8
4,0
2,0
1,3
1,5
0,0
Nord
78
Centro
0,6
Mezzogiorno
1,4
Italia
Fonte: Istat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.15
Il 25% delle richieste di asilo nido non viene accolta
 Per sapere se gli asili nido sono sufficienti o meno a soddisfare la domanda potenziale è necessario verificare
la differenza fra il numero di domande presentate e i posti disponibili negli asili nido comunali: nella media
delle regioni italiane, il 25% delle richieste non può essere soddisfatto dalle strutture pubbliche per
l’infanzia. Nel Trentino-Alto Adige le domande sono inferiori rispetto alla capienza degli asili nido, in Campania il 42,4% delle domande rimane inevaso (figura 4.27).
 L’altro motivo che costringe le donne italiane a non entrare nel mercato del lavoro è la carenza di servizi per
adulti non autosufficienti: la percentuale di anziani che hanno usufruito nel 2009 dei servizi di assistenza
domiciliare è pari, nella media italiana, al 3,6% che varia dal 4,6% del Nord al 2,1% del Mezzogiorno(figura
4.28).
 Dal 2004 al 2008 il valore di questo indicatore è aumentato di 8 decimi di punto nella media italiana, di poco
più di 1 punto nel Nord, di 7 decimi di punto nel Mezzogiorno e di 4 decimi nel Centro.
Figura 4.27 – Differenza percentuale fra domande presentate e posti disponibili negli asili nido comunali per regione
Anno 2007
(valori percentuali)
Campania
Lazio
Umbria
Sicilia
Toscana
Abruzzo
Puglia
Piemonte
Calabria
Sardegna
ITALIA
Friuli-Venezia
Emilia-Romagna
Veneto
Marche
Lombardia
Liguria
Molise
Valle d'Aosta
Basilicata
Tentino-Alto Adige
-20,0
Fonte: Isfol
42,4
35,5
35,4
32,9
32,5
30,2
29,1
25,6
25,5
25,2
25,0
22,2
21,8
20,2
18,0
15,8
15,7
14,2
1,4
-2,2
-11,1
-10,0
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
Figura 4.28 – Anziani trattati in assistenza domiciliare integrata (ADI) rispetto al totale della popolazione anziana (65 anni e
oltre) – Anni 2004 e 2009
(valori percentuali)
5,0
4,6
4,5
4,0
3,6
3,6
3,5
2,8
3,0
2,5
2009
2,1
2,0
Variazione in punti
percentuali
1,5
1,5
1,0
2004
3,2
3,5
1,1
0,5
0,4
0,7
0,8
0,0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Italia
Fonte : Is tat
79
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.16
Solo il 4% delle donne italiane lavora da casa
 Solo il 4% delle donne italiane occupate lavora da casa, a fronte dell’11,9% della media dei paesi europei,
del 22,5% del Regno Unito e del 18,5% della Francia (figura 4.29).
 Il telelavoro è utilizzato dallo 0,7% degli occupati dipendenti (circa 115 mila lavoratori), con una leggera prevalenza degli uomini, ma le lavoratrici sarebbero maggiormente interessate a utilizzarlo (12,7%) (tavola 4.2).
 Tra le donne le più interessate sono quelle in coppia, indipendentemente dalla presenza o meno di figli. il telelavoro è visto come uno strumento di conciliazione tra lavoro e famiglia dal 45,6 per cento delle donne,
contro il 31,1 per cento degli uomini.
Figura 4.29 – Occupate che lavorano da casa nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2009
(incidenza percentuale sul totale delle donne occupate)
25,0 22,5
20,0
15,0
10,0
19,819,3
18,5
17,5 16,9
15,4
13,5
11,5
11,9
9,9 9,0 9,0
8,8 7,9
5,0
6,7 6,4
5,6 5,5
4,6 4,0
3,2 2,2
0,6
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7
0,0
Fonte : Euros tat
Tavola 4.2 - Occupati alle dipendenze per sesso e interesse verso il telelavoro - Anni 2002-2003
(composizione percentuale e per 100 occupati con le stesse caratteristiche)
INTERESSE VERSO IL TELELAVORO
Lo svolgo già
Sarebbe interessato
Non sarebbe interessato
Non sarebbe possibile per il tipo di lavoro
Non sa
MOTIVI INTERESSE TELELAVORO
Per avere maggiore autonomia nella gestione del proprio tempo
Per avere maggiore autonomia nella gestione del proprio lavoro
Per essere più concentrato
Per conciliare meglio impegni familiari e lavorativi
Per evitare/ridurre tempi e costi del viaggio tra casa e lavoro
Altro
Fonte: Istat
80
Maschi
0,7
9,0
47,3
32,5
10,4
Femmine
0,6
12,7
50,0
27,2
9,4
49,7
26,4
13,0
31,1
29,2
5,9
54,3
18,9
8,4
45,6
19,7
4,1
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La conciliazione fra lavoro e cura della famiglia
4.17
Il 41% delle lavoratrici utilizza la flessibilità oraria in entrata e uscita dal posto di
lavoro
 Il 41,3% delle lavoratrici (38,3% gli uomini) utilizza la flessibilità oraria in entrata o in uscita dal posto di
lavoro, in prevalenza nelle regioni del Nord (43,5%) rispetto a quelle del Centro (41,2%) e del Sud (36,5%)
(figura 4.30).
 Le madri ricorrono alla flessibilità prevalentemente per motivi familiari: il 45,5% di quelle in coppia con figli e il 14,9% senza figli. Ma il ricorso alla flessibilità è motivato prevalentemente da esigenze lavorative
(48,7%) e personali (21,3%) (figura 4.31).
 Il ricorso della flessibilità da parte delle madri autonome è nettamente più frequente rispetto alle madri dipendenti, in particolare in presenza di figli tra 11 e 14 anni.
Figura 4.30 - Occupati che utilizzano la flessibilità dell’orario in ingresso e/o in uscita dal lavoro per sesso, posizione
nella professione e ripartizione geografica - Anni 2002-2003
(per 100 occupati con le stesse caratteristiche)
Maschi
50
41,1
45
43,5
38,8
40
Femmine
41,2
33,8
35
36,5
38,3
41,3
30
25
20
15
10
5
0
Nord
Centro
Mezzogiorno
Totale
Fonte : Is tat
Figura 4.31 – Donne occupate alle dipendenze che usano la flessibilità dell’orario in ingresso e/o in uscita dal lavoro
per ruolo nella famiglia e esigenze per cui usano la flessibilità - Anni 2002-2003
(composizione percentuale)
1,1
48,7
Totale
21,3
28,9
2,7
60,5
Figlio
30,3
Altre esigenze
6,5
Partner in
coppia senza
figli
0,3
Partner in
coppia con
figli
0,5
Esigenze lavorative
57,3
Esigenze personali
27,4
14,9
Esigenze familiari
41,9
12,1
45,5
2,3
52,7
Single
41
4
0
20
40
60
80
Fonte: Istat
81
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
5. La salute
Le donne italiane, sebbene vivano più a lungo degli uomini e in migliori condizioni
di salute rispetto al passato, trascorrono un maggiore numero di anni in cattiva salute.
Infatti, se la speranza di vita è fra le più alte in Europa, gli anni di vita in buona salute
delle donne italiane sono inferiori alla media europea e anche a quelli degli uomini
italiani che, a loro volta, sono superiori alla media europea.
Inoltre, cresce solo di poco l'aspettativa di vita per le donne italiane, con un aumento
negli ultimi quattro anni di soli 0,3 anni contro 0,4 per gli uomini nello stesso arco di
tempo e rallenta il miglioramento delle condizioni generali sanitarie femminili. Un
vero e proprio allarme rappresenta la salute cardiovascolare femminile: ictus e infarti
in vent'anni hanno provocato un aumento del 15% dei decessi, 130 mila casi, più del
triplo del tumore al seno. Tutto ciò a causa di stili di vita sbagliati e dell'emulazione
di comportamenti a rischio fino ad alcuni anni fa tipicamente maschili, quali l’alcol,
soprattutto fra le giovanissime tra 14 e 17 anni, e il fumo.
Sette donne su cento soffrono di depressione a fronte di tre uomini su cento. La prevalenza delle patologie psichiche fra le donne è determinata da molti fenomeni che
coinvolgono solo il genere femminile come gli abusi sessuali e i traumi post-partum,
ma anche dalla propensione dei medici a diagnosticare la depressione alle donne piuttosto che agli uomini, anche se in presenza degli stessi sintomi9.
In generale le donne italiane dichiarano di stare male o molto male e di avere malattie
croniche più degli uomini. La disabilità, del resto, colpisce maggiormente le donne,
soprattutto se molto anziane.
D’altro canto anche se le donne si sentono peggio, sono in ogni caso più attente alla
loro salute, si sottopongono con più frequenza a controlli di prevenzione rispetto agli
uomini e utilizzano meno farmaci.
Le donne vivono
più degli uomini,
ma in cattiva
salute
L’Italia, insieme alla Spagna e alla Francia, è il paese europeo nel quale le donne vivono più a lungo (oltre 84 anni). In tutti i paesi dell’Unione la speranza di vita delle
donne è superiore a quella degli uomini mediamente di 6 anni, in Italia di 5,4 anni e
la vita media degli uomini aumenta più velocemente di quella delle donne. Ma in Italia gli anni di vita in buona salute delle donne sono inferiori a quelli che si osservano
nella media europea ed anche rispetto a quelli degli uomini.
In generale, le condizioni di salute delle donne sono peggiori rispetto a quelle degli
uomini.
Superiore a quella degli uomini è, infatti, sia la quota di donne che dichiarano malattie croniche, anche se la percentuale è la più bassa fra tutti i paesi europei, sia la quota di quante dichiarano di avere difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane.
Inoltre, la percentuale di donne che dichiara di stare male o molto male è superiore a
quella degli uomini e a quella che si osserva nella media dei paesi europei, anche dopo i 65 anni.
La percentuale della popolazione femminile disabile è quasi il doppio di quella maschile.
Le donne disabili
il doppio degli
uomini
Le malattie cardiovascolari sono oggi la prima causa di morte delle donne, seguite
dai tumori, mentre gli uomini muoiono più spesso a causa del cancro, seguito dagli
ictus e infarti.
In ogni caso il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari e per cancro delle donne
è il più basso d’Europa. In Friuli-Venezia Giulia 24 donne su cento muoiono per malattie del sistema circolatorio, in Campania 37, viceversa le regioni meridionali presentano tassi di mortalità delle donne per cancro più contenuti rispetto al resto del
Paese.
9
Cfr. European Commission, Access to healthcare and long-term care: equal for women and men?, 2009.
82
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
Rispetto al resto
del’Europa le
donne italiane
sono meno obese
e fumano di meno
Per quanto riguarda i principali fattori di rischio per la salute delle donne come
l’obesità e il fumo, in Italia si registrano i valori più bassi fra tutti i paesi industrializzati. Le donne italiane fumano e abusano dell’alcol meno degli uomini, ma si osserva
un’alta quota di consumatrici di alcol a rischio fra le giovanissime dai 14 a 17 anni.
Le donne sono coinvolte in incidenti sul lavoro meno degli uomini che normalmente
svolgono attività più rischiose, ma sono più esposte agli incidenti domestici, soprattutto se sono casalinghe e pensionate che trascorrono più tempo a casa.
Sette donne su mille dichiarano di soffrire di depressione (9 nel Centro, 8 nel Nord e 6
nel Mezzogiorno), mentre solo tre uomini su cento sono colpiti da questa malattia. Viceversa, le donne si tolgono la vita meno degli uomini. L’Italia è uno dei paesi europei
dove le donne si suicidano di meno.
Aumentano gli aborti spontanei, ma diminuiscono le interruzioni volontarie della gravidanza, che per un terzo sono effettuate da donne straniere.
Le donne fanno
più esami
preventivi degli
uomini, ma nel
Sud meno
prevenzione
contro i tumori
femminili
Le donne si sottopongono più degli uomini ai controlli preventivi della salute, soprattutto nelle regioni del Centro-Nord. Ma le differenze territoriali sulla prevenzione contro i tumori al seno e le malattie dell’apparato genitale sono molto forti: nelle regioni
del Centro-Nord si sottopongono alla mammografia e al pap-test una percentuale di
donne doppia rispetto a quella che si osserva nelle regioni meridionali. Le cause sono
da ricercare probabilmente nella minore intensità delle campagne informative per la
prevenzione dei tumori femminili. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che la profilassi è maggiormente diffusa tra le donne con un grado d’istruzione più alto, che hanno
maggiori possibilità di accedere alle informazioni.
Il consumo di farmaci da parte delle donne è superiore a quello degli uomini fino a 54
anni, ma la differenza di genere s’inverte dopo questa età e in particolare per la popolazione con più di 65 anni che, fra l’altro, assorbe il 60% della spesa per farmaci.
83
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.1
Gli anni di vita in buona salute delle donne sono inferiori alla media europea e a
quelli degli uomini
 Italia, Spagna e Francia sono gli unici paesi dell’Unione Europea nei quali la speranza di vita alla nascita delle donne è superiore a 84 anni, valore superiore alla media europea (782,4 anni). In Bulgaria la vita media
delle donne è di 77 anni (figura 5.1).
 In tutti i paesi europei le donne vivono più a lungo degli uomini, con una differenza media di 6 anni che calano a 5,4 in Italia e salgono a 7 in Francia.
 Gli anni di vita in buona salute delle donne italiane sono 61,2, di poco inferiori a quella della media dei paesi
europei (62 anni). Ma l’Italia è uno dei pochi paesi in cui gli anni in buona salute, libera da disabilità, delle
donne sono inferiori a quelli degli uomini (62,4 anni) che, a loro volta, sono superiori alla media europea
(60,9 anni) (figura 5.2).
Figura 5.1 - Speranza di vita alla nascita delle donne nei paesi dell’Unione Europea - Anno 2008
(in anni)
86,0 84,8
84,5
84,0
82,4
82,0
80,0
78,0
76,0
74,0
F ra
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-2 7
72,0
Fonte: Eurostat
Figura 5.2 – Anni di vita in buona salute alla nascita delle donne nei paesi dell’Unione Europea - Anno 2008
(in anni)
Femmine
80,0 71,9
68,7
70,0
Maschi
62,4
61,2
62,0
60,9
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
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-2
7
0,0
Fonte : Euros tat
84
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.2
Una donna nata nel 2010 ha una speranza di vita di 84,3 anni, un uomo di 79,1
 Una donna italiana nata nel 2010 ha una speranza di vita di 84,3 anni, che calano a 79,1 per gli uomini10.
L’incremento dal 1999 al 2010 è di circa 2,4 anni per le donne e di 3,2 per gli uomini. (figura 5.3).
 La differenza fra la speranza di vita degli uomini e quella delle donne si è ridotta da 6 anni del 1999 a 5,2 anni
del 2010. Negli ultimi anni la vita media degli uomini è aumentata più velocemente di quella delle donne.
 Le Marche, per gli uomini (79,8 anni), e il Trentino-Alto Adige, per le donne (85,3 anni), rappresentano le
regioni in cui si vive più a lungo in base alle stime del 2009. La regione che presenta i valori più bassi è, per
entrambi i sessi, la Campania (77,5 e 82,8 anni, rispettivamente). La differenza massima regionale fra la speranza di vita delle donne è di 2,5 anni, 2,4 anni quella degli uomini (figura 5.4).
Figura 5.3 - Speranza di vita alla nascita per sesso - Anni 1999 - 2010
(in anni)
Maschi
Femmine
86,0
84,0
81,9
82,3
82,8
83,0
83,7 83,7
84,0
84,0
84,0
84,1
84,3
78,4
78,7
78,6
78,9
79,1
77,9 78,1
82,8
82,0
80,0
78,0
75,9
76,5
77,0
77,1
77,2
76,0
74,0
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Fonte : Is tat
Figura 5.4- Speranza di vita alla nascita per sesso e regione - Anno 2009
(in anni)
Femmine
Maschi
77,5
Campania
82,8
78,2
Sicilia
83,0
Valle D'Aosta/Vallée D'Aoste
78,5
Piemonte
78,5
83,8
78,8
Lazio
83,9
79,2
Puglia
Calabria
78,8
Molise
78,8
Abruzzo
78,8
Friuli-Venezia Giulia
78,7
84,0
84,3
84,3
84,3
84,3
79,1
Lombardia
84,4
78,8
Basilicata
84,5
78,3
Sardegna
84,5
Toscana
79,6
Umbria
79,6
84,5
84,8
79,3
Veneto
84,9
79,8
Marche
85,2
79,6
Trentino-Alto Adige
72,0
84,0
79,3
Emilia-Romagna
Fonte: Istat
83,9
78,4
Liguria
10
83,8
74,0
76,0
78,0
80,0
85,3
82,0
84,0
86,0
La stima della speranza di vita alla nascita dell’Istat è leggermente diversa da quella di Eurostat.
85
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.3
La quota di donne che dichiara un cattivo stato di salute è superiore
a quella degli uomini
 Le donne, sebbene vivano più a lungo degli uomini, trascorrono un maggior numero di anni di vita in cattiva
salute. Se si prende in considerazione l’intera popolazione italiana da 16 anni e oltre, circa il 60% delle donne dichiara di stare “bene” o “molto bene”, a fronte del 68% dei maschi; il 13% delle donne dichiara di stare
"male" o "molto male" a fronte del 9% degli uomini. Nella media dei paesi europei più alta è la quota di
donne che dichiarano di stare “bene” o “molto bene” (65,3%) e più bassa quella delle donne che dichiarano
di stare "male" o "molto male" (10,5%). Le differenze di genere sono più accentuate in Italia (figura 5.5).
 Tra i 65 e i 74 anni la quota di uomini che dichiara di stare "male" o "molto male" è inferiore di 4 punti percentuali rispetto a quella delle donne (il 19,6%, contro il 24%), viceversa, 35,2% dei primi afferma di stare
"bene" o "molto bene", contro il 25% delle seconde. Nella media dei paesi europei più alta è la percentuale di
popolazione anziana che dichiara si stare bene e più bassa quella che dichiara di stare male (figura 5.6).
Figura 5.5 – Percezione dello stato di salute da parte di persone di 16 anni e oltre per sesso in Italia e nella media dei paesi
dell’Unione Europea - Anno 2009
(composizione percentuale)
Molto bene
60,0
Bene
Discretamente
Male
Molto male
53,3
47,9
50,0
45,9
44,1
40,0
27,8
30,0
25,4
22,9
20,0
14,9
11,7
9,8
6,9
10,0
24,2
21,2
20,6
8,4
6,5
2,8
2,0
2,1
1,6
0,0
Maschi
Femmine
Maschi
Italia
Femmine
EU-27
Fonte: Eurostat
Figura 5.6– Percezione dello stato di salute da parte di persone da 65 a 74 anni per sesso in Italia e nella media dei paesi
dell’Unione Europea - Anno 2009
(composizione percentuale)
Molto bene
Bene
Discretamente
Male
Molto male
60,0
50,6
50,0
45,2
42,0
37,438,9
40,0
32,6
31,5
30,0
23,6
18,8
20,0
15,2
10,0
4,4
2,6
15,9
13,0
5,2
7,6
6,5
4,0
3,1
1,8
0,0
Maschi
Femmine
Italia
Maschi
Femmine
EU-27
Fonte: Eurostat
5.4
86
Più donne con malattie croniche rispetto agli uomini
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
 In Italia la quota di donne che dichiarano malattie croniche come infarto, ictus, ipertensione, diabete, cataratta (23,9%) è inferiore di quasi dieci punti percentuali rispetto alla media dei paesi europei (33,3%), ma è superiore a quella dei maschi (19,4%) (figura 5.7).
 In Italia la percentuale di donne che dichiarano malattie croniche è la più bassa fra tutti i paesi europei e valori
inferiori si registrano solo in Lussemburgo (23,6%) e in Romania (22,6%). Quote molto alte di donne con malattie croniche si registrano in Germania (36,7%), Francia (38,8%) e Finlandia (45,8%) (figura 5.8).
 La percentuale di donne con malattie croniche è inferiori al 10% fino a 54 anni, supera il 29% tra 65 e 69, il
34% tra 70 e 74 anni, il 40% tra 75 e 79 anni e il 51% dopo gli 80 anni.
Figura 5.7 – Persone che dichiarano malattie croniche per sesso in Italia e nella media dei paesi dell’Unione Europea
Anno 2009
(valori percentuali)
Maschi
35,0
30,0
Femmine
33,3
29,0
23,9
25,0
19,4
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
EU-27
Italia
Fonte: Eurostat
Figura 5.8– Donne che dichiarano malattie croniche nei paesi dell’Unione Europea – Anno 2009
(valori percentuali)
50,0
45,0
45,8
38,8
40,0
35,0
30,0
36,7
34,733,3
33,3
23,9
25,0
20,0
15,0
10,0
22,6
a
di
ni
to
an
Es
Fi
nl
Fr a
an
U ci a
ng
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Po er i
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lg
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Lu
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bu
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om
an
ia
EU
-2
7
5,0
0,0
Fonte : Euros tat
87
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.5
Le donne che hanno difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane sono più
numerose degli uomini
 La percentuale di donne italiane che dichiarano di avere difficoltà nello svolgimento delle essenziali attività
quotidiane (21,4%) è superiore di due punti a quella che si registra nella media dei paesi europei (19,2) e di
oltre 5 punti rispetto agli uomini (figura 5.9).
 La quota di donne italiane che dichiarano gravi limitazioni nelle attività quotidiane (9%), tali da renderle non
autosufficienti, è di poco inferiore alla media europea (8,7%), ma sempre superiore a quella degli uomini
(6,7%).
 Percentuali più alte di donne con limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane si registrano in Germania (23,4%), in Finlandia (24,3%) e in Olanda (25,1%), più contenute nel Regno Unito (12,2%) e in Svezia (11%) (figura 5.10).
Figura 5.9 – Persone che dichiarano limitazioni nelle proprie attività quotidiane per problemi di salute per sesso
e livello di gravità in Italia e nella media dei paesi dell’Unione Europea - Anno 2009
(valori percentuali)
Limitazioni
Gravi limitazioni
25,0
21,4
19,2
20,0
16,0
15,4
15,0
9,0
10,0
8,7
7,5
6,7
5,0
0,0
Maschi
Femmine
Maschi
Italia
Femmine
EU-27
Fonte: Eurostat
Figura 5.10– Donne che dichiarano limitazioni nelle proprie attività quotidiane per problemi di salute per livello di gravità
in alcuni paesi dell’Unione Europea - Anno 2009
(valori percentuali)
Gravi limitazioni
Limitazioni
30,0
25,1
24,3
25,0
23,4
21,8
21,4
15,0
10,0
19,2
17,1
20,0
8,6
5,6
12,2
10,3
9,0
9,5
9,4
6,2
11,0
7,8
8,7
5,0
0,0
Olanda
Finlandia Germania Spagna
ITALIA
Francia
Fonte: Eurostat
88
Regno
Unito
Svezia
EU-27
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.6
La malattia cardiovascolare è la prima causa di morte delle donne
 In Italia le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte delle donne, seguite dai tumori, dalle malattie del sistema respiratorio, endocrino, dell’apparato digerente, del sistema nervoso e i disturbi psichici e
comportamentali per le donne. I livelli di mortalità di queste malattie sono inferiori a quelli che si registrano
nella media europea (figura 5.11).
 Per gli uomini italiani la prima causa di morte è il tumore, seguito dalle malattie cardiovascolari, del sistema
respiratorio, dell’apparato digerente, endocrino, del sistema nervoso e gli incidenti stradali. Nella media europea, invece, la prima causa di morte degli uomini sono le malattie del sistema circolatorio.
 I tassi di mortalità (per 100 mila abitanti) degli uomini per le malattie circolatorie (214) e per i tumori (224,6)
sono molto superiori a quelli delle donne (rispettivamente 142,4 e 127,2).
Figura 5.11– Prime 7 cause di morte per sesso in Italia e nella media dei paesi dell’Unione Europea - Anno 2008
(tasso standardizzato di mortalità per 100.000 abitanti)
Femmine
0,0
20,0
40,0
60,0
80,0 100,0 120,0 140,0 160,0 180,0 200,0
186,6
Malattie dei sistema circolatorio
142,4
137,1
127,2
Tumori
33,0
19,2
Malattie del sistema respiratorio
Malattie endocrine, nutrizionali e metaboliche
15,1
18,6
EU-27
Italia
23,6
16,4
Malattie dell'apparato digerente
Malattie del sistema nervoso
Disturbi psichici e comportamentali
16,3
15,9
11,8
9,8
Fonte: Eurostat
Maschi
0,0
50,0
100,0
150,0
200,0
Malattie dei sistema
circolatorio
283,2
214,0
Malattie del sistema
respiratorio
64,6
44,2
41,8
27,3
Malattie endocrine,
nutrizionali e metaboliche
19,0
23,1
Malattie del sistema
nervoso
20,8
19,6
Incidenti stradali
300,0
237,1
224,6
Tumori
Malattie dell'apparato
digerente
250,0
EU-27
Italia
13,1
13,7
Fonte : Euros tat
89
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.7
Il livello di mortalità per malattie cardiovascolari delle donne italiane è fra i più
bassi d’Europa
 Il livello di mortalità per malattie cardiovascolari delle donne italiane è tra i più bassi d’Europa, pari a 142,4
decessi per 100 mila abitanti. Paesi con valori ancora più bassi sono la Spagna (122,5) e la Francia (95,2),
mentre all’estremo opposto si trovano tutti paesi di nuova adesione con situazioni particolarmente allarmanti
in Romania (471,6) e Bulgaria (499,6) (figura 5.12).
 I livelli più alti di mortalità si registrano nelle regioni meridionali con decessi superiori a 30 per 10 mila abitanti in Basilicata, Calabria, Sicilia e Campania. I valori più bassi si osservano nel Veneto, Emilia-Romagna,
Lombardia, Trento e Friuli-Venezia Giulia (figura 5.13).
Figura 5.12 – Tasso standardizzato di mortalità delle donne per malattie del sistema circolatorio nei paesi
dell’Unione Europea - Anno 2008
(per 100.000 abitanti)
600,0
499,6
500,0
400,0
300,0
200,0
186,6
142,4
100,0
Bu
R
lg
a
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an
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L
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ar
ca
O
la
n
Sp d a
ag
n
Fr a
an
cia
EU
-2
7
0,0
Fonte: Eurostat
Figura 5.13 - Tasso standardizzato di mortalità delle donne per malattie del sistema circolatorio per sesso e regione
Anno 2007
(per 10.000 abitanti)
Italia
Friuli-Venezia Giulia
Trento
Lombardia
Emilia-Romagna
Veneto
Liguria
Bolzano/Bozen
Sardegna
Marche
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste
Toscana
Piemonte
Umbria
Abruzzo
Lazio
Molise
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Campania
27,6
24,0
24,4
24,5
24,5
24,6
25,2
25,3
25,3
25,3
25,5
25,6
26,7
27,0
27,8
28,2
28,6
29,5
30,6
33,3
34,9
37,1
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
Fonte: Istat
90
25,0
30,0
35,0
40,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.8
I decessi per cancro delle donne italiane sono inferiori a quelli della media
dei paesi europei
 Anche se il tasso di mortalità per cancro delle donne italiane (127,2 decessi per 100 mila abitanti) si colloca
nettamente al di sotto della media dei paesi dell’Unione Europea (137,1), vi sono paesi Mediterranei con valori più bassi come la Francia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna, mentre all’estremo opposto si trovano
molti paesi nordici e dell’Est europeo come Olanda, Irlanda, Danimarca e Ungheria (figura 5.14).
 Le regioni meridionali presentano tassi di mortalità delle donne per cancro più contenuti rispetto al CentroNord con un differenziale territoriale opposto rispetto a quello della mortalità per malattie cardiovascolari. I
valori più alti si registrano in Lombardia e in Friuli-Venezia Giulia (rispettivamente 21,6 e 22,2 decessi per
diecimila abitanti, quelli più bassi in Calabria (14,9) e Molise (14,1) (figura 5.15).
Figura 5.14 – Tasso standardizzato di mortalità delle donne per cancro nei paesi dell’Unione Europea - Anno 2008
(per 100.000 abitanti)
200,0 180,2
180,0
160,0
137,1
127,2
140,0
120,0
100,0
80,0
60,0
40,0
20,0
a
Un
ito
ov
e
Sl
ov nia
ac
ch
Li ia
tu
an
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Es a
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di
G a
re
c
ia
Po
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Sp llo
ag
na
C
ip
ro
EU
-2
7
a
ni
no
Sl
ec
C
bl
ic
a
R
ub
R
ep
eg
da
lo
la
n
Po
O
ca
da
Ir l
an
ar
he
ng
U
D
an
im
ria
0,0
Fonte : Euros tat
Figura 5.15 - Tasso standardizzato di mortalità delle donne per cancro per sesso e regione – Anno 2007
(per 10.000 abitanti)
ITALIA
Molise
Calabria
Abruzzo
Basilicata
Marche
Puglia
Sardegna
Sicilia
Umbria
Toscana
Campania
Liguria
Bolzano/Bozen
Veneto
Lazio
Piemonte
Emilia-Romagna
Trento
Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste
Lombardia
Friuli-Venezia Giulia
19,6
14,1
14,9
15,9
16,2
17,5
17,6
18,1
18,2
18,5
19,1
19,2
19,5
19,7
20,0
20,3
20,4
20,5
20,7
20,9
21,6
22,2
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
Fonte: Istat
91
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.9
L’Italia è il paese con meno donne obese e fumatrici
 L’Italia è il paese dell’Ocse con i valori più bassi per quanto riguarda l’obesità delle donne: al 9,3%. Percentuali molto alte si registrano negli Stati Uniti (27,3%; uomini 28,2%). La quota di uomini italiani obesi è
superiore a quelle delle donne (11,3%) e, come per le donne, aumenta dopo i 55 anni (figura 5.16 e tavola
5.1).
 Anche la percentuale delle donne italiane fumatrici è molto contenuta (17%) ed è di molto inferiore a quella degli uomini (29,5%).
 I consumatori di alcol a rischio sono in grande maggioranza uomini (25,5%), mente la quota di donne è pari al 7,4%, anche se nella fascia tra 14 e 17 anni ben il 16,8 per cento eccede nell’assumere bevande alcoliche.
 Confrontando le regioni del Centro-Nord con quelle del Mezzogiorno, nelle prime è più alta la quota di
consumatori di alcol (17,7 contro 13,1) ed è più bassa quella di persone obese (9,7 contro 11,3).
Figura 5.16 – Donne obese di 18 anni e più in alcuni paesi dell’Ocse – Anno 2009
(per 100 persone con le stesse caratteristiche)
30,0
27,3
25,0
18,5 18,3 18,3 17,5
20,0
15,2 14,7 14,5 14,4 14,4 14,0
13,8
15,0
12,4 11,5
10,7
10,0
9,3
8,0
5,0
ia
rv
eg
No
ia
AL
IA
IT
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Sv
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a
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la
m
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G
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er
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gh
Un
Es
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ti
ni
G
St
at
iU
re
cia
0,0
Fonte: OCSE
Tavola 5.1 - Fumatori, consumatori di alcol a rischio e persone obese in Italia per sesso e classe di età - Anno 2009
(per 100 persone con le stesse caratteristiche)
CLASSI DI
ETÀ
14-17
18-24
25-34
35-44
45-54
55-64
65-74
75 e più
Totale
Fonte: Istat
92
Fumatori Maschi
13,3
30,4
40,2
35,1
34,0
30,0
20,0
9,4
29,5
Fumatori Femmine
7,7
20,7
22,2
20,8
24,5
18,4
9,6
3,4
17,0
Consumatori di
alcol a rischio Maschi
22,9
22,6
23,2
19,4
19,0
19,5
47,7
40,7
25,5
Consumatori di
alcol a rischio Femmine
16,8
8,4
6,9
4,7
4,3
4,1
14,1
8,4
7,4
Persone obese Maschi
….
3,4
6,2
9,9
14,0
16,6
15,3
11,9
11,3
Persone obese Femmine
….
2,0
3,3
5,5
9,8
14,0
16,1
13,4
9,3
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.10
Le donne sono coinvolte meno degli uomini negli incidenti sul lavoro
 L’incidenza degli infortuni sul lavoro che hanno coinvolto le lavoratrici italiane (1.459 infortuni per 100.000
occupate) è inferiore alla media dei paesi europei (1.662 infortuni per 100.000 occupate), ma è superiore a
quella che si registra in altri paesi come la Germania, l’Irlanda, la Svezia e il Regno Unito. Valori più alti si
registrano in Francia, in Portogallo e in Spagna (figura 5.17).
 In Italia, come nel resto dei paesi europei, gli incidenti coinvolgono maggiormente gli uomini che svolgono attività lavorative più rischiose e gli infortuni alle donne sono mediamente il 30% del totale.
 Nel 2009 72 lavoratrici sono morte per incidenti sul lavoro, a fronte di 981 lavoratori. Gran parte degli infortuni
mortali che hanno colpito le donne sono avvenuti nelle imprese industriali e dei servizi e negli spostamenti (figura 5.18).
 I settori di attività più pericolosi per le donne sono quelli del terziario: in particolare la sanità (12,8%), il
commercio (10,3%), i servizi alle imprese (10,2%), gli alberghi e ristoranti (8,5%).
Figura 5.17 – Tasso d’incidenza standardizzato degli infortuni sul lavoro per sesso in alcuni paesi dell’Unione Europea
Anno 2007
(per 100.000 occupati)
Femmine
Maschi
9.000
8.000
7.000
6.000
5.000
4.000
3.000
2.000
1.000
0
Spagna
Portogallo
Francia
Danimarca
Italia
Belgio
Germania
Finlandia
A ustria
Irlanda
Svezia
Regno Unito
Maschi
5.935
5.676
5.062
3.262
3.255
3.983
4.199
3.551
2.907
1.724
1.145
1.330
EU-15
3.530
Femmine
2.446
2.223
2.221
1.763
1.459
1.369
1.354
1.339
983
978
689
633
1.662
Fonte : Euros tat
Figura 5.18 – Infortuni mortali sul lavoro per sesso e settore economico – Anno 2009
(valori assoluti)
Maschi
Femmine
1200
72
1000
61
800
600
981
846
400
200
0
4
124
Agricoltura
7
11
Industria e Servizi
Dipendenti Conto
Stato
Totale
Fonte: INAIL
93
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.11
Le donne sono più esposte agli incidenti domestici, soprattutto se casalinghe
e pensionate
 Gli incidenti domestici coinvolgono maggiormente le donne che trascorrono più tempo a casa e che si occupano dei lavori domestici (17,6 per mille, pari a 537 mila persone) rispetto agli uomini (9 per mille, pari a
260 mila persone) in tutte le fasce d’età da 15 anni in su, soprattutto le donne anziane da 70 a 79 anni. I bambini e i ragazzi sono coinvolti in incidenti a casa più delle bambine e delle ragazze (figura 5.19).
 Le cause principali di incidente domestico sono rappresentate dalle attività svolte in cucina o dall’utilizzo di
utensili. Subito dopo vengono le cadute, che causano gravi inabilità. Le lesioni più frequenti sono ferite e
ustioni. Le parti del corpo di gran lunga più interessate sono gli arti, mentre nei bambini piccoli da 0 a 4 anni
è più interessato il capo.
 Le donne che hanno maggiori probabilità d’infortunarsi a casa sono le casalinghe, le pensionate, le operaie,
le inoccupate e le disoccupate, mentre gli uomini disoccupati e pensionati sono i più coinvolti in incidenti
domestici (figura 5.20).
Figura 5.19 – Persone che negli ultimi 3 mesi hanno subito incidenti in ambiente domestico per sesso e classe d’età
Anno 2008
(quozienti per 1.000 persone)
Maschi
Femmine
45
38,8
40
35
28,5
30
26,2
25
18,3
20 17,9
7,9
5,9 5,6 5,9
12,5
7,7
13,0
11,7
10,2
9,8
8,7 8,0
17,6
17,7
13,3
15
10
20,3
18,2
9,0
7,4
5
0
0-5
6-14
15-24
25-34
35-44
45-54
55-64
65-69
70-74
75-79
80 e
più
Totale
Fonte: Istat
Figura 5.20 – Persone che negli ultimi 3 mesi hanno subito incidenti in ambiente domestico per sesso,
condizione e posizione nella professione – Anno 2008
(quozienti per 1.000 persone di 15 anni e più)
Totale
19,4
8,7
Altra condizione
10,7
Ritirati dal lavoro
10,6
30,0
24,4
24,4
Casalinghe
18,1
Operai, Apprendisti
7,6
17,0
In cerca di nuova occupazione
12,7
15,8
In cerca di prima occupazione
6,7
15,6
Direttivi, Quadri, Impiegati
9,7
Occupati
7,8
9,6
Lavoratori in proprio e Coadiuvanti
4,2
Dirigenti, Imprenditori, Liberi professionisti
94
Maschi
8,3
6,9
7,4
8,8
Studenti
Fonte: Istat
14,7
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
Femmine
30,0
35,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.12
Sette donne su mille dichiarano di soffrire di ansietà cronica e di depressione
 Le patologie psichiche sono prevalenti e in crescita fra le donne: la depressione colpisce mediamente 74,3
donne per mille e solo 30,7 uomini per mille. Nelle regioni del Centro e del Nord si osservano le quote maggiori di donne colpite da ansietà cronica e da depressione, mentre valori più bassi della media si registrano
nel Mezzogiorno (figura 5.21).
 La depressione colpisce maggiormente le donne delle regioni del Nord e del Centro, con la sola eccezione della
Sardegna dove si registrano valori più alti della media nazionale (88,4 per mille). L’Umbria e la Liguria sono le
regioni dove le donne sono maggiormente colpite dalla depressione (figura 5.22).
 A partire dai 45 anni fino ai 64 anni le differenze di genere sono più nette: in queste fasce di età la quota di
donne colpite da depressione e ansietà è quasi il triplo rispetto ai loro coetanei. A partire dai 65 anni il rapporto è di uno a due.
Figura 5.21 – Tasso di ansietà cronica e di depressione per sesso e ripartizione geografica – Anno 2005
(per mille persone dello stesso genere)
100
Maschi
87,2
90
Femmine
77,3
80
74,3
63,5
70
60
50
40
34,9
30,8
28,4
30
30,7
20
10
0
Nord
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
Fonte: Istat
Figura 5.22 – Tasso di ansietà cronica e di depressione delle donne per regione – Anno 2005
(per mille persone dello stesso genere)
140 126,6
120
102,5
100
80
91,9 90,9 88,4 85,8 85,7
84,2 80,7
75,7 74,9 70,6 70,5
69,5 66,6 66,2
60
74,3
59,2 56,1
52,8
44,8
40
20
Li
Em
Um
br
ia
g
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ur
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om
ag
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M a
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IT a
A
LI
A
0
Fonte: Istat
95
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.13
L’Italia è il paese con il minor numero di sucidi da parte delle donne
 La quota di suicidi in Italia delle donne (2,4 per 100 mila persone) è pari quasi a quarto di quella degli uomini (8,7 per 100 mila persone) ed è molto inferiore a quella che si registra nella media dei paesi europei (4,4
per 100 mila persone) (figura 5.23).
 L’Italia è uno dei paesi europei con la minor quota di suicidi da parte delle donne. Valori più bassi si registrano solo a Cipro e in Grecia.
 Nelle regioni del Nord i tassi di suicidio delle donne (0,35 per 10.000 donne) sono superiori a quelli che si
osservano nel Mezzogiorno (0,23 per 10.000 donne). Le regioni con i tassi più alti sono l’Emilia Romagna e
la Sardegna, quelle con i tassi più bassi la Calabria e la Campania (figura 5.24).
Figura 5.23 – Tasso standardizzato di suicidi per sesso in Italia e nella media dei paesi dell’Unione Europea – Anno 2008
(per 100.000 persone dello stesso genere)
18,0
16,4
16,0
Maschi
Femmine
Maschi e femmine
14,0
12,0
10,2
10,0
8,7
8,0
6,0
5,4
4,4
4,0
2,4
2,0
0,0
EU-27
Italia
Fonte: Eurostat
Figura 5.24 – Tasso standardizzato di suicidi delle donne per regione – Anno 2008
(per 10.000 persone dello stesso genere)
0,43
0,41 0,41
0,37
0,34
0,32 0,31 0,31
0,28 0,27
0,26
Sa
om
R
ili a
Em
96
0,46 0,46
0,29
0,24
0,22 0,21
0,2
0,18 0,18 0,17
ag
na
rd
eg
na
Pi
em
on
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A.
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M
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Si
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ia
La
zi
o
M
ol
is
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C
al
ab
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C
am
pa
ni
a
IT
AL
IA
0,5
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
Fonte: Istat
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.14
La disabilità colpisce maggiormente le donne, soprattutto se molto anziane
 La percentuale della popolazione femminile disabile (6,1%) è quasi il doppio di quella maschile (3,3%). La
perdita di autonomia funzionale aumenta all’avanzare dell’età: tra le persone di 70-74 anni la quota di popolazione con disabilità è pari al 9,7% (7,7% per gli uomini e 11,4% per le donne) e raggiunge il 44,5% (35,8%
per gli uomini e 48,9% per le donne) tra le persone di 80 anni e più (figura 5.25).
 La quota di donne disabili è mediamente più alta nel Mezzogiorno (6,8%) rispetto al Nord (5,5%), ma la diffusione regionale del fenomeno presenta molte anomalie: l’Umbria è la regione dove è più alto il tasso di disabilità femminile (8,1%), seguita dalla Sicilia (7,9%) e la Sardegna (5,6%) si colloca al di sotto della media nazionale (6,1%) (figura 5.26).
 Gran parte delle persone disabili è costretta a stare a letto, su una sedia o rimanere nella propria abitazione per
impedimenti di tipo fisico o psichico: 2,8% le donne, 1,3% gli uomini. Tra le persone anziane (65 anni e più)
la percentuale di persone confinate nell’abitazione raggiunge l’8,7%, per le donne la quota è il doppio degli
uomini (10,9% contro il 5,6%). Tra gli ultraottantenni la percentuale sale al 22,3% ed è sempre più elevata
tra le donne (25,5% contro 16,1%).
Figura 5.25 – Persone di 6 anni e più disabili per classi d’età e sesso – Anno 2005
(per cento persone dello stesso sesso e classe d’età)
Maschi
Femmine
60
48,9
50
35,8
40
30
20,8
20
10
0,9 0,8
1,4 1,3
2,2 2,7
6-44
45-54
55-64
4,3 6,5
7,7
11,4 13,4
3,3
6,1
0
65-69
70-74
75-79
90 e più
Totale
Fonte: Istat
Figura 5.26 – Donne di 6 anni e più disabili per regione – Anno 2005
(per cento persone dello stesso sesso e classe d’età)
9,0 8,1 7,9
7,6 7,6 7,5 7,4
8,0
7,0 6,8 6,8 6,8
6,5
7,0
6,1
6,0 5,8 5,8 5,7 5,6
5,3 5,1 5,1
6,0
5,0
3,3
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
Um
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Va
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Tr
Em
Fonte: Istat
97
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.15
Gli aborti spontanei aumentano, diminuiscono le interruzioni volontarie
della gravidanza che per un terzo sono di donne straniere
 La percentuale di aborti spontanei su mille nati vivi aumenta da 101,0 del 1990 a 136,5 del 2009. Le differenze territoriali sono significative dal momento che i valori più alti si registrano nelle regioni del Centro
mentre quelli più bassi nelle regioni meridionali. Nelle regioni del Nord si osserva a partire dal 1996 una costante flessione dei casi di aborto spontaneo (figura 5.27).
 Il tasso di abortività (calcolato per mille donne di età feconda 15-49 anni), per l’anno 2007 è pari a 8,6 ed è
diminuito di quasi 4 punti percentuali dal 1988. Dopo un costante declino iniziato a partire dalla metà degli
anni Ottanta, si è verificata una fase di assestamento dell’ultimo periodo fino al 2003, anno dopo il quale i
tassi hanno iniziato a diminuire nuovamente. Valori più bassi si osservano nelle regioni meridionali e più alte
in quelle del Centro. (figura 5.28).
 La quota d’interruzioni volontarie della gravidanza effettuate da donne straniere è andata costantemente aumentando nel corso del tempo, fino ad arrivare al 32% nel 2007. Questa percentuale è fortemente legata alla
presenza sul territorio di donne straniere: infatti, nella regione Veneto è pari al 44% (valore massimo) mentre
in Molise solo il 7% (valore minimo).
Figura 5.27 - Dimissioni dagli istituti di cura per aborto spontaneo per ripartizione di residenza - Anni 1990-2009
(rapporti per 1.000 nati vivi da donne in età feconda 15-49 anni)
Nord
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
180,0
160,0
150,3
136,5
135,2
128,5
140,0
120,0
123,9
113,3
100,0
101,0
80,0
78,5
09
08
20
20
07
06
20
20
05
04
20
20
03
02
20
20
01
00
20
20
98
19
99
97
19
19
95
19
96
94
19
19
92
19
19
93
91
19
19
90
60,0
Fonte: Istat
Figura 5.28 - Interruzioni volontarie della gravidanza per regione di residenza - Anni 1988-2007
(per 1.000 donne in età feconda 15-49 anni)
Nord
14,0
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
13,9
13,0
12,7
12,4
12,0
11,5
11,0
10,0
9,5
9,0
8,6
8,1
Fonte: Istat
98
07
06
20
20
04
05
20
20
02
03
20
20
00
01
20
20
99
98
19
19
97
19
95
96
19
19
94
19
92
93
19
19
90
89
91
19
19
19
19
88
8,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.16
Le donne si sottopongono con più frequenza degli uomini a controlli di prevenzione
 Le donne si sottopongono con più frequenza degli uomini a controlli sanitari di prevenzione: 128 donne su
mille hanno effettuato almeno un accertamento diagnostico a fronte di 100 uomini su mille; 121 donne su
mille hanno effettuato almeno un’analisi del sangue a fronte di 99 uomini (figura 5.29).
 Nel Centro-Nord è più alta la quota di donne che ha effettuato accertamenti diagnostici, mentre modeste sono le
differenze territoriali per quanto riguarda l’analisi del sangue.
 Forti differenze territoriali si osservano per quanto riguarda la prevenzione contro i tumori al seno e le malattie
dell’apparato genitale femminile: nelle regioni del Centro-Nord oltre il 60% delle donne over 40 si sottopone
alla mammografia in assenza di sintomi e oltre il 70% al pap-test dai 25 anni in poi, mentre nel Mezzogiorno
questi valori scendono rispettivamente al 40% e al 47% (figura 5.30).
 Il livello d’istruzione incide notevolmente sulla percentuale di donne che si sottopongono a controlli di prevenzione: 42 donne su cento senza alcun titolo di studio si sottopongono al pap-test (36% alla mammografia) a
fronte di 73 su cento (67% alla mammografia) se sono laureate.
Figura 5.29 – Tasso accertamenti diagnostici e analisi del sangue – Anno 2005
(per 1.000 persone dello stesso sesso)
160
140
120
Nord
100
Centro
80
Mezzogiorno
60
ITALIA
40
20
0
Maschi
Femmine
Tasso accertamenti
diagnostici
Maschi
Femmine
Tasso analisi del sangue
Fonte: Istat
Figura 5.30 – Tasso mammografia (45 anni e oltre) e pap-test (25 anni e oltre) in assenza di sintomi – Anno 2005
(per 100 persone)
80
70
74,82
71,49
65,66
64,72
61,66
56,27
60
Tasso mammografia in
assenza sintomi 40+
46,74
50
39,41
40
Tasso pap-test in
assenza sintomi 25+
30
20
10
0
Nord
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
Fonte : Is tat
99
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La salute
5.17
Le donne consumano più farmaci degli uomini solo fino a 54 anni
 Le donne hanno un livello di consumo dei farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale del 10% superiore a quello degli uomini nella fascia di età compresa tra 15 e 54 anni dove si osserva una prevalenza d’uso
superiore al 60%. I maggiori livelli di consumo riguardano i farmaci del sistema nervoso centrale (in particolare gli antidepressivi), i farmaci del sangue (soprattutto gli antianemici) e i farmaci del sistema muscoloscheletrico. Nelle fasce d’età più anziane invece si osserva tra gli uomini un livello più elevato di consumo e
un maggiore costo per ogni persona assistita (figura 5.31).
 Nella classe di età compresa tra 65 e 74 anni gli uomini consumano circa il 13% in più delle donne in termini di dose giornaliera per mille persone che sale al 15% da 75 anni in su. Le donne consumano più dosi giornaliere nella fascia d’età fra 15 e 24 anni (figura 5.32).
 Una persona di età superiore a 75 anni ha un livello di spesa pro capite per farmaci di oltre 12 volte maggiore
rispetto a quella di una persona di età compresa fra 25 e 34 anni (la differenza diventa di 17 volte in termini
di dosi). La popolazione con più di 65 anni assorbe circa il 60% della spesa per farmaci e delle DDD, al contrario nella popolazione pediatrica fino a 14 anni.
Figura 5.31 – Spesa lorda pro capite per farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale (esclusa la distribuzione diretta
e per conto) per fasce d’età – Anno 2009
(in euro)
700,0
Spesa lorda pro capite
600,0
500,0
400,0
Maschi
300,0
Femmine
200,0
100,0
0,0
0-4
5-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >=75
Fasce d'età
Fonte: ISS
Figura 5.32 – DDD/1000 ab die per fasce d’età – Anno 2009
(numero di persone su 1.000 che assumono una dose giornaliera del farmaco, al giorno)
3500,0
3000,0
DDD/1000 ab die
2500,0
2000,0
1500,0
Maschi
1000,0
Femmine
500,0
0,0
0-4
5-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >=75
Fasce d'età
100
Fonte: ISS
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
6. La violenza contro le donne
Quasi 7 milioni
di donne hanno
subito una
violenza fisica o
sessuale
La violenza contro le donne, soprattutto quella domestica consumata sempre nel silenzio, è un problema molto diffuso in Italia con gravi conseguenze sociali e sulla salute
fisica e psichica delle donne, con una forte ripercussione anche sulle successive generazioni.
I costi economici e sociali sono enormi: le donne vittime di violenze soffrono di depressione, hanno difficoltà a lavorare, a partecipare alla vita sociale, a prendersi cura
di sé e dei propri figli.
Secondo l’organizzazione mondiale della sanità, la violenza contro le donne da parte
dei partner è il fattore che contribuisce maggiormente al cattivo stato di salute delle
donne, è sia la conseguenza che la causa di una parte delle discriminazioni di genere11.
In Italia quasi 7 milioni di donne hanno subito una violenza fisica o sessuale, in maggioranza dal partner, nel 90% non l’ha denunciata. Il 7% delle donne ha subito un abuso
sessuale prima dei 16 anni, più della metà non ne ha parlato con nessuno. Più del 50%
della popolazione femminile ha subito molestie e ricatti sessuali, in particolare sul posto
di lavoro o al momento della ricerca dell’impiego, nessuna delle vittime li ha denunciati.
Per questo secondo le statistiche giudiziarie nel nostro Paese le violenze contro le
donne sono inferiori a quelle che si osservano in Svezia. Secondo l’Eurobarometro, il
30% degli svedesi ha conosciuto una donna vittima di una violenza domestica, in Italia
solo il 12%12.
Occorre segnalare che in Italia sono diminuite nel corso degli ultimi anni le molestie
contro le donne, grazie al cambiamento culturale e sociale delle nuove generazioni,
alle campagne informative e agli interventi legislativi tra i quali una normativa molto
innovativa ed efficace che penalizza lo stalking.
È aumentata nel corso degli ultimi anni la percentuale di donne vittime di omicidi che
sono pari a più di un quarto del totale. Negli omicidi commessi in ambito familiare, la
donna viene uccisa dal proprio partner nel 63% di casi, l’uomo dalla propria compagna nel 26% dei casi.
In Italia le quote
più basse di
stupri, solo
perché le vittime
non li
denunciano
Secondo l’United Nations Office on Drugs and Crime in Italia solo 7,7 persone su 100
mila, in gran parte donne, sono vittime di stupri denunciati alla polizia. In Svezia ne
vengono denunciati oltre 40 per 100 mila.
Il numero di stupri e di tentatati stupri effettivi è, nel nostro Paese, molto superiore
(0,3%,paria74miladonnenel2006), ma la maggioranza delle vittime non li denuncia.
Anche negli altri paesi europei la maggioranza degli stupri non viene denunciata, ma
in misura inferiore all’Italia (nel Regno Unito sono stati denunciati nel 2006 oltre 15
mila stupri, in Francia quasi 10 mila).
La quota di stupri cresce nel corso degli ultimi anni in Svezia e in Italia, mentre diminuisce o rimane stazionaria nella maggioranza degli altri paesi europei.
Quasi 7 milioni di donne hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso
della vita (quasi un terzo del totale della popolazione femminile), di queste, 5 milioni
hanno subito violenze sessuali, fra cui 1 milione di stupri. Nella quasi totalità dei casi
le violenze non sono state denunciate.
Il 70% degli stupri è stato commesso dal partner e il 65% delle violenze sessuali si
consuma in casa.
11
WHO, Multi-country study on women health and domestic violence against women, Geneva, World Health Organisation, 2005.
12
European Commission, Domestic Violence against Women Report, Eurobarometer, 2010
101
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
1 milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni e più della
metà non ne ha parlato con nessuno.
Le vittime dello stalking da parte dell’ex partner sono oltre 2 milioni e 6 milioni hanno
subito varie forme di violenza psicologica, sempre da parte del partner, in particolare sotto forma di isolamento, controllo ossessivo, violenza economica, svalorizzazione e intimidazione.
Più di metà delle donne ha subito molestie e ricatti sessuali (10 milioni e mezzo) e di
queste oltre un milione 200 mila li ha subito nel mondo del lavoro. A oltre il 50% di queste donne è stata chiesta una disponibilità sessuale al momento della ricerca del lavoro, a
un quarto per essere assunte e al restante quarto per mantenere il lavoro o per avanzare
nella carriera. Anche in questo caso la maggioranza delle donne non ne ha parlato con
nessuno.
Più di metà
delle donne ha
subito molestie
e ricatti
sessuali
Sono diminuite nel corso degli ultimi dieci anni le molestie fisiche e l’esibizionismo, sono crollate le telefonate oscene grazie alla diffusione dei cellulari e i ricatti sessuali sul lavoro si sono dimezzati.
102
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.1
Più di un quarto delle vittime di omicidi è donna
 La percentuale di donne vittime di omicidi è aumentata nel corso degli anni e nel periodo 2004-2006 è pari a
più di un quarto del totale degli omicidi (26,6%). Questo è dovuto a un aumento degli omicidi all’interno
della sfera familiare (figura 6.1).
 Nell’ambito degli omicidi commessi in ambito familiare, la donna viene uccisa dal proprio partner nel 62,9%
dei casi, mentre l’uomo viene ucciso dalla propria compagna solo nel 26% dei casi. Quando l’assassino è il
figlio, gli uomini hanno maggiore probabilità di essere le vittime di questo tipo di crimine (figura 6.1).
 Il 25% delle vittime donne ha un’età superiore a 64 anni, mentre le vittime di sesso maschile di questa età
sono solo il 9%.
Figura 6.1 - Vittime di omicidio volontario secondo il genere - Anni 1992-2006
(composizione percentuale)
Femmina
Maschio
100%
90%
80%
70%
60%
82,2
77,4
78,2
73,4
84,7
17,8
22,6
21,8
26,6
15,3
1992-1994
1995-1997
1998-2000
2001-2003
2004-2006
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Fonte: Dipartimento della P.S.
Figura 6.2 - Rapporti di parentela fra autori e vittime di omicidi commessi in ambito familiare in Italia (2001-2006) per sesso
della vittima
(composizione percentuale)
100%
90%
80%
70%
5,9
3,8
5,6
3,1
10,3
14,5
17,2
Relazioni (sentimentali extraconiugali)
18,2
Nonno, zio, fratello, cugino,
nipote
7,4
60%
50%
Figlio
40%
30%
Altro
25,1
62,9
20%
26,0
10%
Padre o madre
Coniuge, convivente,
fidanzato
0%
Femmina
Maschio
Fonte: Dipatrtimento della P.S.
103
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.2
In Italia la quota più bassa di stupri, solo perché le vittime non li denunciano
 Secondo l’United Nations Office on Drugs and Crime, in Italia le persone che hanno subito stupri (rapporti
sessuali senza valido consenso) denunciati alla polizia sono pari al 7,7 per 100 mila (poco più di 4.500), valore fra i più bassi in Europa. Nel 99% dei casi la vittima è una donna. Quote molto più alte di stupri si osservano in Belgio (29,9 per 100 mila) e soprattutto in Svezia (40,6 per 100 mila), più basse in Grecia (2,4 per
100 mila) (figura 6.3).
 La quota di stupri dell’Italia rilevata dalle Nazioni unite è molto più bassa del numero effettivo delle vittime di
questo reato (0,3%,paria74miladonnenel2006) perché nel nostro Paese oltre il 90% delle donne che ha
subito uno stupro o un tentato stupro non lo ha denunciato. Inoltre, la qualificazione del reato in molti paesi
come la Svezia è molto più severa e definisce come stupro comportamenti che nella maggioranza dei paesi europei non sono penalizzati.
 Negli ultimi anni la quota di stupri denunciati cresce in modo sostenuto in Svezia, soprattutto dal 2005 con
l’introduzione del Swedish Sexual Crimes Act che ha ulteriormente esteso la definizione del reato, più moderatamente in Italia e in Spagna, diminuisce in Belgio, Regno Unito, Francia e Germania (figura 6.4).
Figura 6.3 – Persone maggiorenni che hanno subito stupri denunciati alla polizia in alcuni paesi europei - Anno 2006
(per 100.000 persone)
ito
ito
Un
o
Un
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o
gn
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Sv
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M
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G ia
re
cia
45,0 40,6
40,0
35,0
29,9
27,3 25,6
30,0
23,9
25,0
18,0 18,0
20,0
15,9
11,611,4 10,0 9,9 9,7
15,0
8,7 8,5 8,5 8,5 7,7 7,5
10,0
5,7 4,8 4,2 4,2
3,2 2,7 2,4
5,0
0,0
Fonte: UNODC
Figura 6.4 – Persone maggiorenni che hanno subito stupri denunciati alla polizia in alcuni paesi europei - Anni 2003-2008
(per 100.000 persone)
60,0
Svezia
50,0
Regno Unito
(Inghilterra e Galles)
Italia
40,0
Spagna
30,0
Belgio
20,0
Francia
10,0
Germania
0,0
2003
104
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: UNODC
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.3
Quasi 7 milioni di donne hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale
nel corso della vita
 Sono 6 milioni 743 mila le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale
nel corso della vita, il 31,9% del totale. 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni
961 mila violenze fisiche (18,8%) (figura 6.5).
 Circa un milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Il 14,3% delle donne ha subito almeno una
violenza fisica o sessuale dal proprio partner o ex partner, il 24,7% da un altro uomo.
 Nella quasi totalità dei casi le violenze contro le donne non sono denunciate: nel 90,1% delle violenze fisiche,
nel 97,8 delle violenze sessuali e nel 91,6% degli stupri (figura 6.6).
Figura 6.5 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale da un uomo nel corso della vita,
tipo di autore e tipo di violenza subita - Anno 2006
(per 100 donne con le stesse caratteristiche)
2,3
1,3
3,3
Tentato stupro
0,8
1,6
2,3
Stupro
Un uomo non partner
2,9
2,4
4,8
Stupro o tentato
stupro
Partner o ex partner
Un autore qualsiasi
20,4
6,1
Violenza sessuale
23,7
9,8
12,0
Violenza fisica
18,8
24,7
Violenza fisica o
sessuale
14,3
31,9
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
Fonte: Istat
35,0
Figura 6.6 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale da un uomo e non l'hanno denunciata
nel corso della vita, tipo di autore e tipo di violenza subita - Anno 2006
(per 100 vittime con le stesse caratteristiche)
94,1
95,0
94,2
Tentato stupro
87,4
94,8
Stupro
91,6
Un uomo non partner
92,9
94,3
93,3
Stupro o tentato
stupro
98,0
Violenza
sessuale
94,9
97,8
Partner o
ex partner
Un autore qualsiasi
88,1
92,3
Violenza fisica
90,1
95,6
92,5
93,8
Violenza fisica o
sessuale
80,0
85,0
90,0
95,0
100,0
Fonte: Istat
105
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.4
I partner sono responsabili della maggioranza degli stupri, solo del 6%
gli sconosciuti
 Il 69,7% degli stupri è opera del partner attuale o dell’ex partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è
stato opera di uno sconosciuto (tavola 6.1).
 I responsabili dei tentati stupri sono per un terzo i partner o ex partner (37,9%), per il 27,4% conoscenti e per
il 16,4% gli sconosciuti.
 Il 65% delle violenze sessuali si consuma in casa (48% nell’abitazione della vittima), il 16,7% in automobile
e solo il 5,5% per strada (figura 6.7).
 Anche gran parte delle violenze fisiche avvengono in casa (71,1%), il 13,3% per strada e il 7,5% in auto.
Tavola 6.1 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito uno stupro o tentato stupro per tipo di autore - Anno 2006
(composizione percentuale)
PARTNER
Partner attuale o ex partner
Stupro
Tentato
stupro
Fonte: Istat
Partner
attuale
NON PARTNER
Ex
partner
Sconosciuto
Conoscente
Collega
Amico
Parente
Amico di
famiglia
Non
specifica
l'autore
69,7
14,3
55,5
6,2
17,4
1,5
7,2
1,5
0,8
1,2
37,9
6,0
32,0
16,4
27,4
7,9
9,5
5,0
1,2
1,3
Figura 6.7 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale da un partner nel corso della vita per luogo
della violenza, relativamente all’ultimo episodio subito - Anno 2006
(per100vittimedellostessoautore)
Violenza fisica
Si rifiuta/Non risponde
1,6
4,8
Altri luoghi
3,0
2,8
In un bosco, in campagna, in un parco, in un
giardino pubblico, in spiaggia
1,6
1,6
In un pub, bar, ristorante, in discoteca, in una sala
giochi
2,0
16,7
In automobile, in un parcheggio, garage pubblico
7,5
5,5
Per strada, in un vicolo
13,3
65,0
In casa
Fonte: Istat
106
Violenza sessuale
3,7
71,1
0,0
10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.5
1 milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni. Più
della metà non ne ha parlato con nessuno
 1 milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni, il 6,6% del totale. Un quarto delle donne ha segnalato come autore della violenza uno sconosciuto (24,8%), un altro quarto un conoscente
(24,7%), un altro quarto un parente (23,8%) e il 9,7% un amico di famiglia (figura 6.8).
 Tra i parenti emergono in graduatoria gli altri parenti (12,2%) e gli zii (7,0%), seguiti dal padre (1,4%). La
violenza è stata ripetuta più di una volta in prevalenza dal patrigno (100,0%), dal padre (96,2%) e dal fratello
(88,6%).
 Il 53% delle donne che hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni ha dichiarato di non aver parlato
con nessuno dell’accaduto. Le percentuali più alte di silenzio si osservano quando l’autore della violenza è il
fratello (80,6%), il vicino di casa (68,5%), l’amico di famiglia (64%), lo zio (62,6%) e il padre (61,4%) Il
30,7% delle donne ne ha parlato con un membro della famiglia (figura 6.9).
Figura 6.8 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni per numero di volte,
gravità del fatto e autore - Anno 2006
(composizione percentuale)
30,0
24,8
24,7
23,8
25,0
20,0
12,2
15,0
9,7
10,0
7,0
5,3
5,0
1,6
1,4
1,4
3,8
3,7
1,7
0,9
3,9
1,6
sp
e
cif
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Pa
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ci
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os
ce
on
os
C
on
Sc
e
0,0
Fonte: Istat
Figura 6.9 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni per persone con cui hanno parlato
dell'episodio - Anno 2006
(per 100 vittime con le stesse caratteristiche)
53,0
Nessuno
2,0
Qualcun altro
Avvocato/ Magistrato/ Forze dell'ordine
0,3
Medico/ infermiere
0,5
1,5
Prete/religioso
3,1
Compagno di studi
11,5
Amico/ vicini
5,8
Parente
30,7
Membro della famiglia
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
Fonte: Istat
107
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.6
Oltre 2 milioni di donne vittime dello stalking da parte dell’ex partner
 937 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale e lo stalking (comportamenti persecutori).1 milione 139
mila donne hanno subito lo stalking, ma non violenze fisiche o sessuali.
 Complessivamente le donne vittime dello stalking dell’ex partner sono 2 milioni 77 mila. Il 68,5% dei partner ha cercato insistentemente di parlare con la donna contro la sua volontà (figura 6.10).
 Sono 6 milioni 92 mila le donne che hanno subito violenza psicologica dal partner (il 43,2% delle donne con
partner. Di queste il 46,7% ha subito forme d’isolamento come limitazioni nel rapporto con la famiglia di origine o gli amici, divieto di lavorare. Il 40,7% è stata controllata ossessivamente, seguita o spiata, il 30,7% ha subito un costante controllo su quanto spendere o le è stato impedito di usare il proprio denaro, il 23,7 ha subito
umiliazioni, offese e denigrazioni, anche in pubblico, il 7,8 è stata intimidita con ricatti o minacce. (figura
6.11).
Figura 6.10 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito comportamenti persecutori (stalking) da parte di un ex partner
al momento della separazione, per tipo di comportamento subito – Anno 2006
(per 100 vittime di comportamenti persecutori)
11,0
Altro
40,8
L'ha seguita, l'ha spiata
Le ha inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere
o regali indesiderati
55,4
57,0
L'ha aspettata fuori casa/lavoro/scuola
61,8
Ha chiesto ripetutamente appuntamenti
68,5
Ha cercato insistentemente di parlare con le
0,0
10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0
Fonte: Istat
Figura 6.11 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza psicologica dal partner nel corso della vita,
per tipo di violenza psicologica subita – Anno 2006
(per 100 vittime di violenza psicologica)
7,8
Intimidazione
23,8
Svalorizzazione
30,7
Violenza economica
Controllo
40,7
46,7
Isolamento
0
5
10
15
20
25
Fonte: Istat
108
30
35
40
45
50
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.7
Più di metà delle donne ha subito molestie e ricatti sessuali
 Più di metà delle donne tra 14 e 65 anni (10 milioni 485 mila, pari al 51,8%) ha subito nell’arco della loro
vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato come pedinamento, esibizionismo, telefonate oscene,
molestie verbali e fisiche.
 Valori sopra la media si registrano per le donne del Nord-Ovest (57,2%) e del Nord-Est (54,3%), soprattutto
in Piemonte (58,9%) e in Lombardia (56,9%), mentre la percentuale più bassa di donne molestate nell’arco
della vita si osserva nelle isole (44,1%). La regione nella quale il fenomeno è meno diffuso è il Molise
(40,2%) (figura 6.12).
 Sono più esposte alle molestie le donne che abitano nei centri delle aree metropolitane (64,9%) e nelle periferie delle stesse (58%) (figura 6.13).
 Le persone più a rischio sono le ragazze giovanissime di 14-24 anni, seguite dalle donne di 25-34 anni. Le
telefonate oscene e le molestie verbali, seguite da quelle fisiche sono i reati che si ripetono con più frequenza.
Figura 6.12 – Donne da 14 a 65 anni che hanno subito molestie sessuali o ricatti sessuali sul lavoro nel corso della vita
e negli ultimi 3 anni per ripartizione – Anni 2008-2009
(per 100 donne della stessa zona)
Nel corso della vita
Negli ultimi 3 anni
70,0
60,0
57,2
54,3
52,4
51,8
47,3
50,0
44,1
40,0
30,0
19,9
21,0
18,1
17,7
20,0
19,1
17,5
10,0
0,0
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud
Isole
Italia
Fonte : Is tat
Figura 6.13 – Donne da 14 a 65 anni che hanno subito molestie sessuali o ricatti sessuali sul lavoro nel corso della vita
e negli ultimi 3 anni per tipo di comune – Anni 2008-2009
(per 100 donne della stessa zona)
Nel corso della vita
70,0
Negli ultimi 3 anni
64,9
58,0
60,0
47,5
50,0
53,3
47,9
45,5
40,0
30,0
25,4
20,7
18,8
20,0
16,3
17,5
19,4
10,0
0,0
Centri aree
metropolitane
Periferie aree
metropolitane
Fino a 2.000
Da 2.001 a
Da 10.001 a 50.001 abitanti
abitanti
10.000 abitanti 50.000 abitanti
e più
Fonte : Is tat
109
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.8
Oltre un milione 200 mila le donne che hanno subito molestie e ricatti sessuali nel
mondo del lavoro
 Prendendo in considerazione solo il mondo del lavoro, sono un milione 224 mila le donne che hanno subito
molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro, pari all’8,5 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse
le donne in cerca di occupazione. Le molestie rappresentano il 31,2 per cento di queste situazioni, mentre i
ricatti e le richieste di disponibilità costituiscono il restante 68,8 per cento.
 Delle donne che, nel corso della vita lavorativa, sono state sottoposte a ricatti sessuali sul posto di lavoro, il
25% per essere assunte e il 24% per cento per mantenere il posto di lavoro o avanzare di carriera. Le donne a
cui è stata chiesta una disponibilità sessuale al momento della ricerca del lavoro sono pari al 51% del totale
(figura 6.14).
 Sono maggiormente esposte ai ricatti sessuali le donne con un titolo di studio elevato rispetto a quelle che
hanno al massimo la licenza elementare.
 Considerando tutti i tipi di ricatto sessuale sul lavoro, il 43% viene ripetuto quotidianamente o più volte alla
settimana, l’11% si verifica qualche volta al mese e il 32% più raramente (figura 6.15).
Figura 6.14 – Donne da 15 a 65 anni che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro nel corso della vita per tipo di ricatto – Anni
2008-2009
(composizione percentuale)
Ricatti per
assunzione
25%
Disponibilità
sessuale al
momento della
ricerca del
lavoro
51%
Ricatti per
avanzamento di
carriera/manteni
mento del posto
di lavoro
24%
Fonte: Istat
Figura 6.15 – Donne da 15 a 65 anni che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro dalla stessa persona nel corso della vita
per frequenza con cui si è verificato il fatto – Anni 2008-2009
(composizione percentuale)
Più raramente
32%
Non risponde
5%
Una volta la
settimana
9%
Qualche volta al
mese
11%
Fonte: Istat
110
Quotidianament
e o più volte la
settimana
43%
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.9
Quando subisce un ricatto sessuale sul posto di lavoro non ne parla con nessuno
 È più frequente per una donna subire un ricatto sessuale quando cerca lavoro come impiegata o lavoratrice
qualificata nel settore del commercio e dei servizi (in particolare come cassiera, commessa, cameriera, parrucchiera, estetista, cuoca), ma anche come professionista nelle attività intellettuali e scientifiche, ovvero
come medico, docente, ricercatrice, giornalista, archeologa, interprete (figura 6.16).
 Quando una donna subisce un ricatto sessuale sul posto di lavoro, nell’81,7 per cento dei casi non ne parla
con nessuno sul posto di lavoro (80,2 per cento negli ultimi tre anni). Solo il 18,3 per cento di coloro che
hanno subito ricatti nel corso della vita ha raccontato la sua esperienza, soprattutto ai colleghi (10,6 per cento).
 Quasi nessuna delle vittime ha denunciato l’episodio alle forze dell’ordine. La motivazione più frequente per
non denunciare il ricatto subito nel corso della vita è la scarsa gravità dell’episodio (28,4 per cento), seguita
dall’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (23,9 per cento), dalla mancanza di fiducia nelle forze
dell’ordine o dalla loro impossibilità di agire (20,4 per cento) e dalla paura di essere giudicate e trattate male
al momento della denuncia (15,1 per cento) (figura 6.17).
Figura 6.16 – Donne da 15 a 65 anni che hanno subito ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della vita,
per tipo di ricatto e lavoro che svolgevano/cercavano – Anni 2008-2009
(per 100 vittime dello stesso reato)
Ricatti per mantenere il posto di lavoro
Non specificato
Ricatti per assunzione
11,1
1,6
5,5
6,4
Profes sioni non qualificate
Conduttori di impianti e operai
semiqualificati addetti a macchinari fiss i
Artigiani, operai specializzati e
agricoltori
Professioni qualificate nelle attività
commerciali e nei servizi
4,8
6,9
1,8
1,6
17,0
18,9
Impiegati
40,4
35,1
Professioni tecniche
18,0
13,6
Professioni intellettuali, scientifiche e di
elevata specializzazione, legislatori,
9,4
7,8
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Figura 6.17 – Donne da 15 a 65 anni che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro nel corso della vita, per motivo
della non denuncia dell’episodio – Anni 2008-2009
(per 100 vittime)
1,7
Non risponde
1,2
Altro
5,8
Paura delle conseguenze per sé e per la famiglia
Fatto considerato non abbastanza grave/è successo 1
sola volta
agito per conto suo, se l’è cavata da sola o con l’aiuto
dei suoi familiari
Mancanza di fiducia nell’operato delle forze
dell’ordine/impossibilità di agire
28,4
23,9
20,4
9,3
Indecisione, vergogna, auto‐colpevolizzazione
15,1
Paura di essere giudicata e di essere trattata male
0
5
10
15
20
25
30
111
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
La violenza contro le donne
6.10
Sono diminuite nel corso degli ultimi dieci anni le molestie e i ricatti sessuali
 Sono diminuite dal 1997-1998 al 2002 le molestie fisiche e l’esibizionismo nei confronti delle donne, mentre
nella successiva rilevazione del 2008-2009 non si registrano significative modificazioni (figura 6.18).
 Invece, le telefonate oscene, pari a 33,4% nella rilevazione del 1997-1998 e riferita a tutta la vita della donna,
sono diminuite al 24,8% nel 2002 e successivamente al 17,9% nel 2008-2009. Il crollo delle telefonate oscene è fortemente connesso ai cambiamenti tecnici della telefonia avvenuti negli ultimi dieci anni, in particolare con la riduzione dei telefoni fissi e l’affermarsi della telefonia mobile che consente la visualizzazione del
numero di chi chiama.
 Anche i ricatti sessuali sul lavoro sono diminuiti di un punto e mezzo, soprattutto nel periodo tra il 1997-98 e
il 2002 e più modestamente negli anni successivi fino al 2008-2009 in seguito al mutamento del quadro legislativo e di una maggiore sensibilizzazione su questo fenomeno (figura 6.19).
Figura 6.18 - Donne da 14 a 59 che hanno subito reati a sfondo sessuale per periodo dell'evento
Anni 1997/98, 2002 e 2008/2009
(per 100 donne)
Molestie fisiche
Esibizionismo
Telefonate oscene
40,0
33,4
35,0
30,0
25,0
24,0
22,8
22,6
24,8
19,7
20,0
19,7 20,7
18,5
17,9
15,0
9,4
10,0
5,7
5,0
4,6
4,5 3,1
4,2
6,1
3,0
0,0
1997-98
2002
2008-2009
1997-98
Nel corso della vita
2002
2008-2009
Negli ultimi tre anni
Fonte : Is tat
Figura 6.19 - Donne da 14 a 59 che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro per periodo dell'evento
Anni 1997/98 e 2002 –2008/2009
(per 100 donne)
Ricatti sessuali sul lavoro
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
4,2
3,1
2,7
1,4
1997-98
2002
2008-2009
1997-98
Nel corso della vita
0,7
2002
2008-2009
Negli ultimi tre anni
Fonte: Istat
112
0,8
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Fonti
Il rapporto si è avvalso delle seguenti fonti di dati:
European Commission, Database on women and decision-making
EUROSTAT, Education and Training
EUROSTAT, European Community Household Panel (ECHP)
EUROSTAT, Gender equality indicators
EUROSTAT, Income, social inclusion and living conditions (EU-SILC)
EUROSTAT, Labour Force Survey (LFS)
EUROSTAT, Population
EUROSTAT, Public health/Health and safety at work
EUROSTAT, Time use survey 2000
I.Stat, il data warehouse dell'Istat
INAIL, Banca dati statistica sugli infortuni
INPS, Archivio amministrativo delle denunce retributive mensili (Emens)
INPS, Osservatorio sulle pensioni
ISTAT, Banca dati territoriale per le politiche di sviluppo
ISTAT, Demo, Demografia in cifre
ISTAT, Health for all, Sistema informativo territoriale su sanità e salute (HFA)
ISTAT, Indagine campionaria "Reddito e condizioni di vita"
ISTAT, Indagine Multiscopo sulla sicurezza delle donne
ISTAT, Indagine multiscopo sulle famiglie “Criticità dei percorsi lavorativi in un’ottica di genere”Anni 2007
e 2010
ISTAT, Indagine multiscopo sulle famiglie “Sicurezza delle donne”
ISTAT, L’offerta comunale di asili e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia
ISTAT, Rilevazione sulle forze di lavoro (microdati)
ISTAT, sistema informativo transizione istruzione-lavoro
Ministero dell’Interno, Banca dati del Dipartimento della Pubblica Sicurezza
OECD, Regions at a Glance 2009
OECD, Stat Extract
UN-CTS, United Nations Survey of Crime Trends and Operations of Criminal Justice Systems
113
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
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DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
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115
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Glossario
Anni di vita in buona salute
Anni di vita che una persona di una determinata età si aspetta di trascorrere senza problemi moderati o gravi
di salute e senza disabilità.
Apprendimento permanente
L’indicatore è calcolato come percentuale della popolazione in età 25-64 anni che ha ricevuto istruzione o
formazione nelle quattro settimane precedenti l’intervista. Le informazioni raccolte si riferiscono
all’istruzione regolare (detta anche formale) e a tutte le attività formative non formali, indipendentemente
dalla rilevanza di queste sul lavoro attuale o futuro del rispondente. Sono escluse le attività formative informali, quali ad esempio l’autoapprendimento.
Bambini di 0-2 anni che usufruiscono dei servizi per l’infanzia
L'indicatore è definito come la percentuale di bambini in età 0-2 anni (fino al compimento dei 3 anni) che
hanno usufruito dei servizi per l’infanzia (asili nido, micronidi, servizi integrativi e innovativi) comunali o
finanziati dai comuni, sul totale della popolazione in età 0-2 anni residente nella regione. Ai fini del meccanismo di incentivazione definito nel Qsn, che prevede l’erogazione di risorse premiali per le regioni del
Mezzogiorno che raggiungono determinati target (obiettivi di servizio), l’indicatore di presa in carico pubblicato dall’Istat viene rielaborato dal Ministero dello sviluppo economico, secondo un criterio di ponderazione
per tipo di servizio: per assicurare che l’utenza servita in asili nido sia pari almeno al 70 per cento del totale
della regione, l’eventuale utenza servita da altre tipologie di servizio che superi la soglia del 30 per cento non
viene considerata nel calcolo dell’indicatore. Tale vincolo è volto ad assicurare una base minima di servizio
con standard omogenei sul territorio nazionale.
Dato destagionalizzato
Dato depurato dalla stagionalità.
Differenziale salariale donna/uomo (Unadjusted gender pay gap)
L’unadjusted gender pay è calcolato come rapporto percentuale tra la differenza tra retribuzione lorda oraria
degli uomini e retribuzione lorda oraria delle donne e la retribuzione lorda oraria degli uomini.
Disabili
Una persona è definita “disabile” se presenta gravi difficoltà in almeno una delle seguenti dimensioni: confinamento a letto, su una sedia o in casa; difficoltà di movimento, difficoltà nelle funzioni quotidiane, difficoltà nella
comunicazione (vista, udito e parola). Nel rilevare il fenomeno della disabilità l’Istat ha fatto sempre riferimento
al questionario predisposto negli anni ’80 da un gruppo di lavoro dell’OCSE sulla base della classificazione OMS
(ICIDH - International Classification of Impairment, Desease, Disability and Handicap -1980).
Disoccupati
Comprendono le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che:
- hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono
la settimana di riferimento e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le
due settimane successive;
- oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a
lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.
Età media al parto
L’età media al parto è calcolata come media dell’età al parto ponderata con i quozienti specifici di fecondità.
Famiglia ricostituita
È un’unione formatasi dopo lo scioglimento di una precedente unione coniugale di almeno uno dei due partner.
Forze di lavoro
Comprendono le persone occupate e quelle disoccupate.
Giovani che abbandonano prematuramente gli studi
Percentuale della popolazione in età 18-24 anni che, dopo aver conseguito la licenza media (della “scuola secondaria di primo grado”), non ha concluso un corso di formazione professionale riconosciuto dalla Regione
di durata superiore ai 2 anni e non frequenta corsi scolastici o altre attività formative.
116
DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Glossario
Giovani Neet (Young people not in employment and not in any education and training - NEET)
I Neet sono i giovani (15-29 anni) che nella settimana di riferimento:
- non sono occupati (sono disoccupati o inattivi secondo la definizione ILO);
- non frequentano alcun corso d’istruzione o di formazione (formale, non formale o informale) nelle
quattro settimane che precedono l’intervista.
Il tasso di Neet (Neet rate) è il rapporto percentuale fra giovani che non lavorano, non studiano e non frequentano corsi di formazione e il totale della popolazione della stessa classe di età.
Inattivi
Comprendono le persone che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o disoccupate.
Indice di asimmetria
La quantità di lavoro familiare svolto dalle donne sul totale di quello svolto da entrambi i partner. Tale indice
assume valore 100 nei casi in cui il lavoro familiare ricada esclusivamente sulla donna, è pari a 50 in caso di
perfetta condivisione dei carichi di lavoro familiare; i valori compresi tra 0 e 49 e quelli compresi tra 51 e 99
indicano un carico di lavoro, progressivamente più sbilanciato, rispettivamente sull’uomo o sulla donna.
Indice di vecchiaia
È un rapporto demografico, definito come il rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e
più) e la popolazione in età giovanile (meno di 15 anni).
Laureati in discipline tecnico-scientifiche
L’indicatore è costruito come rapporto tra chi ha conseguito nell’anno solare di riferimento un titolo accademico nelle discipline S&T (science and technology) e la popolazione nella classe di età 20-29 anni, per mille.
Al numeratore si considerano: i diplomati (corsi di diploma del vecchio ordinamento), i laureati, i dottori di
ricerca, i diplomati ai corsi di specializzazione, di perfezionamento e di master di I e di II livello (livelli 5 e
6 della classificazione internazionale Isced 97) nelle facoltà di Ingegneria, Scienze e tecnologie informatiche, Scienze matematiche, fisiche e naturali, Scienze statistiche, Chimica industriale, Scienze nautiche,
Scienze ambientali, Scienze biotecnologiche e Architettura.
Lavoro familiare
Insieme delle seguenti attività.
1. Lavoro domestico: Cucinare, lavare e riordinare le stoviglie, pulizia e riordino della casa, lavare, stirare e altre lavorazioni dei capi di abbigliamento, giardinaggio e cura degli animali, costruzione e riparazioni, altre attività di gestione della famiglia;
2. Cura dei bambini fino a 13 anni: Cure fisiche e sorveglianza, aiutare i bambini nei compiti, giocare con i
bambini, altra cura dei bambini (leggere e parlare con i bambini, stare con i bambini a scuola, in un centro
sportivo eccetera, e altre attività specificate e non specificate legate alla cura di bambini);
3. Acquisti di beni e servizi;
4. Altre attività: Cura di ragazzi oltre i 13 anni e di adulti della famiglia, aiuti rivolti ad altre famiglie.
Occupati
Comprendono le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:
- hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario
o in natura;
- hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;
- sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire
almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti
familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi.
Settimana di riferimento
Settimana a cui fanno riferimento le informazioni raccolte dalle indagini statistiche.
Soglia di povertà
La soglia di povertà è fissata da Eurostat al 60% del reddito mediano dopo le prestazioni sociali (utilizzando
la scala di equivalenza Ocse modificata). Le persone a rischio di povertà sono quelle che hanno un reddito al
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DONNEINITALIA:UNAGRANDERISORSANONANCORAPIENAMENTEUTILIZZATA
Glossario
di sotto della soglia di povertà. La “scala di equivalenza” è un insieme di parametri che vengono utilizzati
per dividere il reddito familiare in modo da ottenere un reddito “equivalente”, che tiene conto della diversa
composizione delle famiglie.
Speranza di vita alla nascita
La speranza di vita alla nascita (o vita media) è un indice statistico che misura il numero medio di anni che
restano da vivere a un neonato nell’ipotesi in cui, nel corso della sua futura esistenza, sperimenti i rischi di
morte che si sono rilevati nell’anno di riferimento. A causa delle forti differenze nelle aspettative di vita è
calcolata distintamente per uomini e donne.
Tasso accertamenti diagnostici
Persone che nelle quattro settimane precedenti l’intervista hanno effettuato almeno un accertamento diagnostico per 1.000 persone.
Tasso mammografia e pap-test in assenza di sintomi
Donne che si sono sottoposte a mammografia e pap-test in assenza di sintomi o disturbi per 100 donne.
Tasso di fecondità
Il tasso di fecondità totale, che misura il numero medio di figli per donna in età feconda (convenzionalmente
intesa quella tra i 15 e i 49 anni), è dato dalla somma dei quozienti specifici di fecondità calcolati rapportando, per ogni età feconda, il numero di nati vivi all’ammontare medio annuo della popolazione femminile.
Tasso di attività
Rapporto tra le forze di lavoro e la corrispondente popolazione di riferimento.
Tasso di occupazione
Rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento.
Tasso di disoccupazione
Rapporto tra i disoccupati e le corrispondenti forze di lavoro.
Tasso di inattività
Rapporto tra gli inattivi e la corrispondente popolazione di riferimento. La somma del tasso di inattività e del
tasso di attività è pari al 100%.
Tempo fisiologico
Dormire, mangiare, bere e altre cure della propria persona (lavarsi, vestirsi, ecc.).
Tempo libero
Insieme delle seguenti attività:
1. Vita sociale, divertimenti e attività culturali
2. Riposo, stare senza fare nulla
3. Partecipazione sociale e religiosa
4. Sport e attività all’aperto
5. Arti, passatempi e giochi
6. Informatica e Internet
7. Letture
8. Televisione e video.
Occupati non regolari
Sono definite non regolari le prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia
fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.
Variazione congiunturale
Variazione rispetto al periodo precedente.
Variazione tendenziale
Variazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Violenza sessuale
Stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, costrizione a rapporti sessuali con terzi, rapporti sessuali non
desiderati subiti per paura delle conseguenze, attività sessuali considerate degradanti ed umilianti.
118
Fly UP