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Donne della Polizia di Stato

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Donne della Polizia di Stato
Donne della
Polizia di Stato
DOSSIER SULLA CONDIZIONE
DELLE LAVORATRICI DI POLIZIA
A CURA DEL SILP CGIL
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Storia, riferimenti normativi e analisi della
presenza di genere nella Polizia di Stato
Nel 1959 fu istituito il “Corpo di Polizia Femminile”, non inserito nell’organico dell’allora
“Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza”: nel 1961 entrarono in servizio le prime
“ispettrici” e le prime “assistenti” , con compiti specifici e limitati, riguardanti in particolare le
donne ed i minori. In un contesto sociale ancora lontano dall’accettare la parità fra uomo e
donna nel lavoro – anche se è solo di due anni dopo la norma che consentirà alle donne
l’accesso alla magistratura – comincia il lungo percorso verso una Polizia moderna.
Nel 1977 la legge di riorganizzazione dei servizi di sicurezza consente ai dipendenti civili e
militari dello Stato di confluire – a domanda – nel CESIS, nel SISMI e nel SISDE. Senza
preclusioni per il personale del Corpo di Polizia femminile.
Nello stesso anno viene promulgata la “legge Anselmi” , contenente il divieto di
discriminazione fondata sul sesso per qualunque lavoro. Nel 1979 , le prime due donne
commissario – funzionarie civili - entrano in servizio.
La legge 121/81 fa confluire nell’unico corpo civile militarmente organizzato - la Polizia di
Stato - i funzionari civili, gli ufficiali i sottoufficiali e i militari del Corpo delle Guardie di P.S. e
le appartenenti al Corpo di Polizia femminile. Per effetto del nuovo inquadramento, le
assistenti (carriera di concetto) furono inquadrate nel ruolo degli ispettori; le ispettrici
(carriera direttiva) , a seconda del grado precedentemente raggiunto furono inquadrate nei
ruoli dirigenziali o in quello dei commissari.
I primi concorsi indetti a seguito della riforma videro una notevole partecipazione ed
affermazione di donne : in particolare il primo arruolamento per allievi agenti indetto nel
1986 portò alla partecipazione al corso di formazione di 3197 donne su 7745, il primo
concorso indetto per il conferimento di 500 posti di allievo vice ispettore portò alla
partecipazione al corso di formazione di 333 uomini e 142 donne.
La presenza maschile era comunque agevolata dalla possibilità di accedere come agente
ausiliario di leva: al termine del servizio di leva, si poteva chiedere la rafferma per un altro
anno e, al termine di questo, gli Agenti Ausiliari Trattenuti venivano avviati alla frequenza del
corso, della durata di 6 mesi, per la successiva immissione nel ruolo degli Agenti e Assistenti
della Polizia di Stato.
Nel 2001 venne fissata una riserva di posti per i volontari delle forze armate, al 45% dei posti
messi a concorso per i ruoli iniziali della Polizia di Stato.
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Nel frattempo, con la legge 380/99, le Forze Armate aprirono all’arruolamento femminile,
prima delle Ufficiali e Sottoufficiali, poi delle volontarie di truppa. Inizialmente previsti dei
limiti massimi – il 30% - , dal 2006 l’arruolamento è senza limiti percentuali.
Un primo “boom” di domande di arruolamento (punte del 50%) si è assestato velocemente a
circa il 20%. Dati del Ministero della Difesa attestano che la presenza effettiva delle donne
nelle Forze Armate si attesta al solo 3% della forza complessiva.
La legge 226 del 2004, sulla abolizione del servizio di leva e la disciplina dei volontari di
truppa in ferma prefissata, introdusse la riserva totale dei posti ai volontari delle forze
armate, a decorrere dal 1° gennaio 2006 e fino al 31 dicembre 2020, per il reclutamento del
personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare,
norma confermata nel 2010 con il d.lgs. 66 , cd. Codice dell’ordinamento militare.
Il decreto legislativo nr. 8 del 28/01/2014 ha modificato l’art. 2199 del suddetto Codice. La
riserva totale di posti cesserà il 31.12.2015, per essere sostituita, nel biennio 2016/2017, da
una riserva del 50%, e, nel 2018, da un’aliquota del 75%.
Come il succedersi delle diverse norme ha influito sulla presenza delle donne nella Polizia di
Stato? I dati a disposizione sono tratti dal conto annuale del MEF, a partire dall’anno 2001.
Nel 2001 (disciplina della contemporaneità dell’accesso pubblico e degli agenti ausiliari) , per
un totale di 109267 unità, gli uomini sono 94148, le donne 15119, ovvero il 13, 87%.
Nel corso degli ultimi 12 anni, la forza complessiva si è notevolmente ridotta. Al 2012 era di
102395 operatori e operatrici; al 30 settembre 2014 (fonte Ministero dell’Interno) ha
raggiunto il picco minimo di 100245. Mentre il numero di uomini è calato di circa 10000 unità,
le donne, a tali date si attestavano comunque intorno alle 15.000 unità, raggiungendo
pertanto una percentuale del 15%.
Tale aumento percentuale non è però dovuto ad un maggior numero di ingressi. Negli anni
che vanno dalla riforma al 2000, l’ingresso delle donne è stato evidentemente massiccio, fino
appunto a raggiungere il numero di 15.000. Negli anni successivi, e fino al 2012 , le donne che
hanno fatto ingresso nei diversi ruoli sono solo 2297.
Gli uomini sono ben 17.000. Il mantenimento del numero assoluto e l’aumento della quota
percentuale è dovuto unicamente al semplice fatto che le donne, il cui primo ingresso risale al
1984, non hanno ancora raggiunto l’età pensionabile.
Su un totale di circa 23.000 “uscite” negli anni dal 2001 al 2012, solo 1160 sono donne. Le
uniche donne che hanno effettivamente raggiunto l’età pensionabile sono le assistenti e
ispettrici del Corpo di Polizia Femminile.
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ANALISI ORGANICI POLIZIA DI STATO NEL PERIODO 2001 - 2012
ANNO UOMINI DONNE
2001
94148 15119
2002
94271 15071
2003
95559 14931
2004
96221 14805
2005
95357 14801
2006
94070 14844
2007
92149 14837
2008
91163 14894
2009
90036 14966
2010
87798 14946
2011
87247 15034
2012
87109 15286
TOTALE
109267
109342
110490
111026
110158
108914
106986
106057
105002
102744
102281
102395
TOTALI
2014
84954
ASSEGN. ASSEGN. TOTALE CESSATI CESSATE TOTALE
UOMINI DONNE
UOMINI DONNE
2253
593
2846
1486
224
1710
1620
3
1623
1415
137
1552
2127
572
2699
1434
76
1510
2181
73
2254
1355
108
1463
481
46
527
1343
55
1398
708
114
822
2004
62
2066
115
10
125
1988
65
2053
1746
161
1907
2732
104
2836
949
137
1086
2074
67
2141
687
55
742
2929
71
3000
1614
191
1805
2165
103
2268
2592
342
2934
2732
88
2820
17073
2297
15228 100242
4
19370
22649
1160
23809
5
E’ quindi lecito aspettarsi che, nel prossimo futuro, fermo restando il blocco del turn over e
nonostante la possibile parziale “riapertura” dei concorsi pubblici alla generalità dei cittadini
e delle cittadine, gli ingressi di personale femminile continueranno ad essere esigui e a mano a
mano verranno erosi dalle uscite per il nel frattempo raggiunto pensionamento. La
percentuale del 15% è senz’altro destinata a calare, e lo scenario futuro è quello di una Polizia
di Stato a composizione quasi esclusivamente maschile. Il rischio è quello di un
impoverimento culturale della Polizia. Sono entrate per anni meno donne, entrano ancora–
stando ai dati prima analizzati - più persone meno preparate complessivamente,
esclusivamente provenienti da un anno o più di vita militare che poco ha a che vedere con il
“mestiere” di poliziotto.
La ricchezza della riforma della Polizia di Stato, la sua trasformazione da corpo militare in
corpo civile ad ordinamento speciale, l’attingere il proprio personale fra persone di
esperienze lavorative precedenti o scolarizzazione diverse, l’apporto professionale e culturale
che le donne hanno saputo fornire sono esposti alla possibilità di una vanificazione
dissimulata, tanto più realizzabile dato il lungo lasso di tempo durante il quale le norme che
abbiamo analizzato sono state operanti.
Si deve tener presente anche un altro aspetto fondamentale. Mentre i concorsi per i gradi
iniziali hanno subito la trasformazione normativa sopra descritta, non è stato così per i
concorsi per gradi superiori (vice ispettori e vice commissari), che, nel limite in cui sino stati
banditi, vedono una partecipazione maggiore di donne e degli ingressi più massicci. Nel 2012,
sono ad esempio 2096 le donne del ruolo ispettori su un totale di 14100 (14,86%) ; 513 su
1484 le donne nel ruolo direttivi (34,56%); 505 su 1420 le donne nel personale direttivo con
ruoli superiori (35,56%). Tuttavia la situazione peggiora per il ruolo dei dirigenti: su 998, solo
222 sono donne (22,24%), e comunque la presenza maggiore è fra i primi dirigenti, per calare
inesorabilmente fra i dirigenti superiori (10 donne su 219, quindi il 4,56%) e scomparire
completamente fra i dirigenti generali (0 donne sul 39). Si può quindi affermare che, laddove i
concorsi sono rimasti pubblici e richiedono un più elevato livello di scolarizzazione,
l’interesse delle donne per la Polizia di Stato permane e si traduce in una maggiore presenza
percentuale: ma le prospettive di carriera sono infinitamente minori per azzerarsi
completamente al più alto livello.
1.Agenti e assistenti
2. Sovrintendenti
3.Ispettori
4.Direttivi
5.Direttivi con mansioni
superiori
6. Dirigenti
6
Contrattazione di genere?
Quello che deve anche destare preoccupazione, nella situazione sopra descritta, è il fatto che
una minore presenza di donne in Polizia può portare alla erosione dei diritti acquisiti,
dell’attenzione che legittimamente le lavoratrici debbono assicurarsi per l’ottenimento di
tutte le tutele possibili ed a una minore considerazione della esposizione a molestie e
mobbing. Anche attualmente, il percorso non è facile.
Per la Polizia di Stato, la contrattazione non è donna. Su questo aspetto, sono diversi i punti
dolenti. La contrattazione di genere è un modo per accrescere ed arricchire l’azione negoziale,
per estendere i diritti, è uno strumento per rendere, nella dimensione lavorativa, pienamente
realizzato l’art. 3 della Costituzione Italiana. Ma non sembra essere un obbiettivo tra i più
sentiti. Complessivamente, i contratti e gli accordi che riguardano la Polizia di Stato
contengono pochi, pochissimi punti che possano essere considerati, se non qualificanti in tal
senso, almeno orientati verso questa direzione. E’ evidentemente un problema culturale sia
dell’Amministrazione che dei sindacati: il tema delle politiche di genere e delle azioni positive,
per la valorizzazione del lavoro femminile è sottovalutato da entrambe le parti. Una
sottovalutazione che porta addirittura ad ignorare norme e, di queste, l’ambito di
applicazione.
Si prenda ad esempio la contrattazione decentrata svolta a seguito dell’entrata in vigore dell’
Accordo Nazionale Quadro 2009. Uno dei temi in trattazione riguarda proprio “le misure
dirette a favorire pari opportunità nel lavoro e nello sviluppo professionale, ai fini anche delle
azioni positive secondo i principi di cui al d.lgs. 198/2066 (il cosiddetto “codice di pari
opportunità”)”: in larghissima parte entrambe le parti si sarebbero accontentate di vedere
attuata una generica “vigilanza”, non definita nei modi, nei tempi e nei fini, sugli eventuali casi
di disparità di trattamento eventualmente segnalati – tra l’altro, con uno scetticismo notevole
sulla eventualità che questo potesse verificarsi o essersi mai verificato, come se la Polizia di
Stato fosse un’isola felice rispetto al resto del mondo lavorativo, e così non è - ; ovvero, fatto
ancor più rimarchevole, ad estendere le norme sulla parità tra generi a situazioni generali tra
lavoratori, invero tutelate da altre norme, vanificando di fatto con questa generalizzazione
l’esistenza di disposizioni che sono dirette ad eliminare discriminazioni, dirette o indirette,
basate sul genere. Un approccio limitato, se non errato, ad un aspetto della contrattazione che
dovrebbe rivestire la stessa importanza degli altri temi, che è stato doveroso tentare
faticosamente di correggere. Parlare di “azioni positive” dirette ad eliminare le disparità nella
vita lavorativa, per superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che
provochino effetti diversi a seconda del genere, per promuovere l’inserimento delle donne
nelle attività nelle quali sono sottorappresentate, per favorire, mediante una diversa
organizzazione del lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una
7
migliore ripartizione di tali responsabilità fra i due generi e riuscire a far accogliere alcune
proposte è ancora una sfida aperta.
Probabilmente la contrattazione considerata più che sufficiente è quella che ritiene
“adeguate” alle donne solo le rivendicazioni in tema di maternità e di conciliazione dei tempi
di vita e di lavoro, con una “neutralità” di regole che, piuttosto che eliminarle, preservano le
diseguaglianze di genere. Ogni tentativo di allargare il tema e spostare l’attenzione sul tema
della condivisione viene rigettato dall’Amministrazione, presumibilmente spaventata dalla
possibilità che una nuova cultura di condivisione si sviluppi in un mondo all’85% composto da
uomini: emblematico è il caso dell’applicazione dell’art. 40 della l. 151/01 sui riposi
giornalieri ovvero i cd. “permessi per allattamento”.
Il contenzioso in essere nasce sul “rifiuto” dell’Amministrazione a riconoscere il diritto del
padre lavoratore a usufruire dei riposi quando la madre del bambino è casalinga; e questo
nonostante le indicazioni in materia dell’INPS e del Ministero del Lavoro e le numerosissime
sentenze di TAR e Consiglio di Stato che hanno visto soccombere il Ministero dell’interno con
obbligo di rifusione di spese e danni a favore dei lavoratori proponenti il ricorso.
L’interpretazione rifiutata, che ha da un lato il pregio di riconoscere il lavoro casalingo come
un vero e proprio lavoro, utilizzando un approccio culturale che riconosce alla casalinga la
dignità di una vera lavoratrice che ha diritto ad usufruire di tempo per sé e per occupazione
diverse dalla propria, e dall’altro sostanzia il ruolo genitoriale del padre, è evidentemente
considerata un “vulnus” pericoloso e si preferisce affrontare e perdere il ricorso piuttosto che
riconoscere il diritto. Le sollecitazioni fatte dal SILP CGIL per l’emanazione di una circolare
che finalmente prendesse atto dell’interpretazione corretta della norma in questione, sono
state rigettate facendo appello a circolari ormai superate e obsolete.
Non va però sottovalutato il fatto che la non comprensione della importanza e centralità della
contrattazione di genere come un modello da adottare anche perché porta vantaggi a tutti e
non solo alle donne non dipende solo ed esclusivamente dalla controparte. Purtroppo la
responsabilità è anche da attribuirsi al sindacalismo di polizia – regolato dalle note norme che
consentono solo l’associazionismo “interno” – che fatica ancora a dare spazio alle donne e alle
loro istanze. Nonostante un buon numero di iscritte, all’interno delle organizzazioni sindacali
– nessuna esclusa, purtroppo – non sono molte quelle che riescono a rivestire ruoli di vertice e
quindi ad avere il peso necessario per poter influire sulle scelte e sulle direttrici da seguire in
ambito contrattuale e di verifica degli accordi. Nella maggior parte dei tavoli la partecipazione
è completamente maschile, e quella delle donne è complessivamente minima. Le scelte
centrali di non investire nelle iscritte e nelle dirigenti sindacali le privano di un’esperienza
fondamentale per costruire una “professionalità” necessaria al lavoro di rappresentanza. Una
possibilità di far aumentare la partecipazione delle donne è contenuta nella indicazione che il
Direttivo Nazionale del SILP CGIL ha dato alla Segreteria il 4 agosto u.s., di proporre
all’Amministrazione una “azione positiva” : a seguito delle nuove norme sull’agibilità
sindacale che hanno ridotto da tre a uno il numero di partecipanti ai momenti di confronto
con l’Amministrazione, la proposta è quella introdurre la prassi di una “convocazione di
genere” , ovvero di porre a carico dell’Amministrazione una ulteriore convocazione se i
sindacati indicheranno i partecipanti nel rispetto della parità di genere.
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Un percorso ancora lungo e difficile
 In ogni provincia sono istituite le Commissioni Paritetiche Pari Opportunità e, a livello
centrale esiste ed opera il Comitato Pari Opportunità. Periodicamente quest’ultimo
predispone ed invia alle Questure un questionario anonimo sulla condizione della
lavoratrice della Polizia di Stato, i cui risultati, con grande difficoltà, vengono aggregati.
Attualmente è ancora in fase di elaborazione il risultato dell’ultimo, inviato alle
questure nel giugno dello scorso anno. I risultati del penultimo sono stati giudicati,
nella relazione conclusiva, molto parziali a causa della poca collaborazione di alcune
Questure. Non si conoscono poi ulteriori iniziative riconducibili a tali studi.
 La legge 183/2010 ha previsto che le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto
costituire al proprio interno, entro 120 giorni dall’entrata in vigore, il Comitato Unico
di Garanzia. Il Ministero dell’Interno ha costituito un CUG nel quale è rappresentato
solo il personale contrattualizzato (cd. “civili”) e non vi è rappresentanza del personale
in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3 d.lgs. 165/01 (di cui fa parte il personale
“in divisa”), sia nella parte nominata dall’Amministrazione che in quella nominata dai
sindacati. Le linee guida suggerivano due possibilità : la creazione di CUG distinti per
personale contrattualizzato e personale in regime di diritto pubblico, ovvero di un
unico CUG.
 Le donne in media ricevono una minore formazione. Il grafico (basato su dati MEF degli
anni dal 2008 al 2012) illustra come le giornate medie annue di formazione siano
superiori per gli uomini.
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 La scolarizzazione delle donne è più elevata di quella degli uomini. Si veda ad esempio
la situazione al 2012, con un organico di 87.109 uomini e 15.286 donne:
1.Scuola dell’obbligo
2.Licenza media superiore
3.Laurea breve
4.Laurea
5.Specializzazione post
laurea
6.Altri titoli post laurea
L’elevato numero di uomini che posseggono solo la licenza di scuola dell’obbligo è da
correlarsi alle regole sull’accesso ai ruoli iniziali già descritte. Sia gli “ex ausiliari”
(derivanti dalla leva, quindi esclusivamente uomini) che gli agenti già vfb (per la
maggior parte – più del 90% - uomini) possono accedere alle Forze Armate con la
licenza media inferiore.
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1.Scuola dell’obbligo
2.Licenza media
superiore
3.Laurea breve
4.Laurea
5.Specializzazione post
laurea
6.Altri titoli post laurea
Sono moltissime percentualmente le donne laureate e con specializzazioni post-laurea
che quindi, nonostante l’elevato titolo di studio, sono inserite in ruoli per il cui accesso
è previsto un titolo di studio minore. E’ comunque emblematico il divario percentuale
fra i generi nella posizione meno scolarizzata. Si conferma pertanto l’assunto di una
Polizia di Stato culturalmente impoverita quante meno donne vi fanno parte. La
prospettiva di un avanzamento culturale si puo’ dire strettamente connessa a un
maggiore ingresso di donne. Non è però detto che le nuove norme riguardanti
l’ingresso ai ruoli iniziali riescano a colmere il gap esistente, anche perché la legge di
stabilità 2014 rinvia comunque, per ora, le assunzioni per la Polizia di Stato.
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