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Edizioni Simone - Vol. 7 Diritto Processuale Penale
Capitolo 2
L’arresto ed il fermo
Sommario
1. L’attuazione dell’Habeas Corpus in Italia. Le misure precautelari.
2. Arresto in flagranza: nozione di stato di flagranza e di quasi flagranza. La flagranza differita.
3. L’arresto obbligatorio in flagranza. - 4. L’arresto facoltativo in flagranza. - 5. Il fermo di indiziato di delitto.
6. Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. - 7. Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto e fermo.
8. Il giudizio di convalida dell’arresto e del fermo. - 9. Il fermo nel Codice Antimafia.
1.L’attuazione dell’Habeas Corpus in Italia. Le misure precautelari
La misura in cui l’ordinamento appresta la tutela della libertà personale dell’individuo nei
confronti del potere coercitivo statuale è marcata dal principio dell’inviolabilità assoluta
sancito dall’art. 13 della Costituzione.
La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non
per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 13,
comma 1, Cost.).
L’impianto costituzionale a difesa della libertà personale dallo Stato (libertà negativa) si
giova del principio della riserva assoluta di legge che determina i casi tassativi e le modalità procedimentali per restringere la libertà individuale, nonché della competenza esclusiva
dell’Autorità giudiziaria a disporre per atto motivato ordini limitativi della libertà (riserva
di giurisdizione).
Le misure cautelari sono dunque coperte dalla riserva assoluta di legge. Il potere di disporle nei casi e modi tassativamente previsti spetta esclusivamente al potere giudiziario, terzo
e imparziale rispetto al potere esecutivo.
Il dettato costituzionale è il prodotto più nobile del pensiero giuridico europeo, ed affonda
le sue radici nel sistema anglosassone di common law. La tutela della libertà personale è
condensata nella locuzione latine Habeas Corpus (1), ovvero nel significato traslato dall’originario senso letterale di diritto riconosciuto all’individuo di difendersi dall’arresto o dalla
detenzione illegittima.
L’Habeas Corpus è da intendersi non solo in senso sostanziale quale diritto soggettivo a
tutela della libertà personale del cittadino nei confronti del potere coercitivo dello Stato, ma
anche in senso processuale, quale diritto ad ottenere una immediata pronunzia giurisdizionale avverso i provvedimenti restrittivi della libertà personale, disposti in via provvisoria e
cautelare in quanto precedenti all’affermazione di un giudizio incontrovertibile di condanna.
Corollari all’affermazione di tale principio sono: la natura interinale e provvisoria delle
forme restrittive della libertà personale disposte dal potere esecutivo (atti o provvedimenti
(1) Letteralmente dal latino: «che tu abbia il corpo», indicante in senso stretto l’ordine emesso da un giudice di tradurre un
prigioniero al proprio cospetto per procedere all’elevazione dell’imputazione, alle dichiarazioni preliminari di colpevolezza
o di non colpevolezza e al giudizio penale.
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Parte V: Le indagini preliminari
di polizia giudiziaria); la necessità di un tempestivo giudizio di convalida sui presupposti
di legalità e validità del provvedimento restrittivo, rimesso all’esclusiva competenza di un
giudice terzo e imparziale; la caducazione della misura provvisoria, con contestuale immediata rimessione in libertà dell’arrestato o del fermato, qualora per un qualsiasi motivo non
si tenga nei termini perentori il giudizio di convalida o vi sia un vizio o un errore di procedura, ovvero si accerti la carenza dei presupposti che hanno condotto all’emanazione di un
provvedimento coercitivo illegittimo.
La prima affermazione formale del principio dell’Habeas Corpus si rinviene nella Magna Charta Libertarum
(2), documento scritto che i baroni inglesi riuscirono a imporre al re Giovanni Senza Terra (King John, the
«Lackland») nel 1215. La codificazione è riprodotta nelle fonti di diritto inglese citate da sir William Blackstone nel 1305 sotto il regno di Edoardo I di Inghilterra, che riprende consuetudini giuridiche precedenti (Writs,
ordini del giudice di tradurre al cospetto l’arrestato o l’imprigionato per il giudizio di convalida, cd. habeas
corpus ad subjudiciendum).
La più completa definizione del principio si ha storicamente con l’emanazione del «Habeas Corpus Act emanato il 27 maggio 1679, a tenore del quale il diritto anglosassone ha codificato per iscritto l’emissione del Great
writ, ripristinandone la piena efficacia, che nel tempo si era parzialmente affievolita nella pratica delle corti
giudiziarie.
Occorre tenere a mente l’arresto o la cattura di un individuo nell’era moderna, erano disposti ed eseguiti (enforced) immediatamente dalla stessa autorità amministrativa, senza motivazione esplicita, spesso a fini non penali
(tributari, debiti privati, ordine pubblico). Il ricorso al giudice della Corona, emanazione del potere regio di
giudicare il suddito o lo straniero presente nel territorio del regno, costituì la prima e più importante garanzia
verso gli abusi del potere esecutivo, potendo superare l’autorità dell’ufficiale locale che aveva eseguito l’arresto.
Il Great writ (3) contenente l’Habeas Corpus si configura dunque quale mezzo di gravame avverso la detenzione ingiustificata.
L’Habeas Corpus trova la sua formulazione definitiva a seguito dell’emanazione del Bill Of Right a seguito
della Gloriosa Rivoluzione inglese del periodo 1688-1689, che trasformò il Regno in una monarchia Parlamentare (4). Da quel momento l’Habeas Corpus fu il principio cardine della libertà personale del cittadino, recepito in tutte le costituzioni di matrice illuministica e ottocentesca liberale. Il Bill Of Rights è attualmente in vigore quale allegato alla Costituzione degli Stati Uniti d’America (artt. 7 e 8, cd. Quinto e Sesto Emendamento).
Analogo principio è contenuto nell’art. 9 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata in seno
all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 all’indomani della fine della Seconda Guerra
Mondiale (5).
Il tema dell’Habeas Corpus è divenuto di estrema attualità dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New
York nel fatidico 11 settembre 2001. La legislazione emergenziale degli USA a seguito di tale atto criminale
(2) Nella Magna Charta si registra la prima storica espressione del principio all’art. n. 39, line 40: «No free man shall be
taken, imprisoned or in any way destroyed, except by the lawful judgement of his Equals, and by the Law of the Land».
(3) Il writ in materia di Habeas Corpus è definito Great (grande, maggiore), poiché era il primo per importanza del diritto tutelato, la libertà personale, rispetto ad altri writs diretti a tradurre al cospetto del giudice procedente l’imputato libero e contumace per procedere al suo esame, oppure il testimone per escutere la testimonianza di costui. Si evidenzia che nell’attuale codice di procedura penale italiano, in modo del tutto analogo si atteggia il potere coercitivo del P.M. in materia di accompagnamento coattivo dell’indagato al fine di essere sottoposto ad interrogatorio o confronto, o in tema di citazione ed accompagnamento coattivo delle persone in grado di rendere circostanze utili per la prosecuzione delle indagini e per la ricostruzione dei
fatti. Ed ancora, in modo simile si tratteggia il potere di accompagnamento coattivo del giudice dibattimentale.
(4) Nell’apertura del Bill Of Right si legge: «Whereas great delays have been used by sheriffs, gaolers and other officers, to
whose custody, any of the King’s subjects have been committed for criminal or supposed criminal matters, in making returns
of writs of habeas corpus to them directed, by standing out an alias and pluries habeas corpus, and sometimes more, and by
other shifts to avoid their yielding obedience to such writs, contrary to their duty and the known laws of the land, whereby
many of the King’s subjects have been and hereafter may be long detained in prison, in such cases where by law they are
bailable, to their great charges and vexation».
(5) In cui si sancisce che nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato o detenuto, o esiliato (art. 9, Declaration of
human rights).
Capitolo 2: L’arresto ed il fermo
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(Patriot Act anno 2001, istituzione del dipartimento Homeland Security con poteri speciali) ha profondamente
inciso sul diritto di chi era indicato quale combattente in teatro di guerra (Irak, Afghanistan), o qualificato come
presunto terrorista, di essere detenuto e processato a seguito di una formale incriminazione entro perentori
termini di legge, determinando di contro il potere dell’amministrazione americana di mantenere lo stato di detenzione del prigioniero fino alla cessazione del conflitto e senza indicare una precisa imputazione sostenuta da
prove cristallizzate portate innanzi ad un giudice terzo per il necessario processo penale.
L’Habeas Corpus è riconosciuto dalla Costituzione repubblicana, alla luce della lettura
combinata degli artt. 13, 24, 25 e 27 della Carta costituzionale. L’attuazione dei principi
costituzionali è sancita dagli artt. 309, 310 (riesame e appello avverso le misure cautelari)
ed artt. 390 e 391 (giudizio e udienza di convalida dell’arresto e del fermo).
Il modello accusatorio del processo penale prevede la presunzione di non colpevolezza
dell’imputato quale principio cardine per posticipare l’esecuzione della condanna alla restrizione della libertà personale solo a seguito della sentenza di condanna penale passata in
giudicato, sia in senso sostanziale (accertamento incontrovertibile sul giudizio di colpevolezza), sia in senso processuale (esaurimento di ogni mezzo di impugnazione ordinario previsto dalla legge).
Ne consegue la generale inammissibilità di strumenti coercitivi a carattere limitativo o
privativo della libertà personale, presunto innocente per espressa previsione di legge costituzionale.
La limitazione o la totale privazione della libertà personale ante causam è consentita solo
nei casi e modi tassativi previsti dalla legge per primarie e indifferibili esigenze di difesa
sociale nei confronti di episodi di criminalità che destano allarme nell’opinione pubblica
(pericolo di reiterazione del reato, pericolo di fuga), per esigenze di garanzia di corretta
acquisizione probatoria (pericolo di inquinamento probatorio).
Il potere cautelare è astretto a stringenti limiti costituzionali. La Costituzione pone il già
indicato principio dell’inviolabilità della libertà personale (art. 13 cost., espressione dell’Habeas Corpus di matrice liberale). La riserva di legge assoluta e la riserva di giurisdizione in
materia di misure cautelari.
La sussistenza di ancor più rigidi presupposti per l’applicabilità delle misure precautelari
dell’arresto e del fermo, che sono subordinate non solo alla riserva di legge, ma anche alla
sussistenza di ragioni di necessità e urgenza, di particolari pene edittali per i reati che destano grave allarme sociale, alla necessaria convalida da parte dell’A.G. requirente e del
giudice, cui la misura deve essere rispettivamente comunicata entro le 48 ore, con giudizio
di convalida da pronunciarsi indefettibilmente entro le 48 ore successive.
Il limite costituzionale sulle misure precautelari di P.G. è di complessive 96 ore (pari a 4
giorni), con possibilità di loro sostituzione con le vere e proprie misure cautelari, laddove
ne ricorrano i presupposti di legge.
Il codice di rito prevede una disciplina precautelare più restrittiva rispetto al dettato costituzionale (art. 386, comma 3, messa a disposizione dell’A. G. dell’arrestato o del fermato
immediata e comunque non oltre le 24 ore dall’esecuzione della misura).
Innanzi tutto occorre osservare che le misure precautelari a carattere custodiale sono di
pertinenza della P.G. quanto ad arresto in flagranza o in quasi flagranza e fermo. Il P.M. non
ha il potere di arresto, ma solo di fermo in limitate ipotesi che rivestono finalità investigativa (assicurare la fruttuosità delle indagini) e generalpreventiva (difesa sociale contro la
criminalità).
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Parte V: Le indagini preliminari
Le misure precautelari sono per loro stessa natura interinali e precarie. La loro adozione
è prevista in casi tassativi diversamente declinati quanto a intensità dell’esercizio del potere coercitivo a carattere obbligatorio (art. 380) o facoltativo (art. 381).
Ai fini dell’applicazione delle predette misure la pena edittale o determinata a norma dell’art. 278.
La prevede che nei casi indicati dall’art. 380, la facoltà di arresto in flagranza è attribuita ai
privati, quando si tratta di delitti perseguibili d’ufficio.
La natura anticipatoria delle correlate misure cautelari custodiali è carattere comune del
fermo e dell’arresto di P.G.
Per il fermo di P.G. il pericolo di fuga, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, costituisce la pratica attuazione dei casi eccezionali di necessità e urgenza scolpito dall’art. 13, comma 3, Cost.
Quanto all’arresto, non sono richiamati espressamente dalla legge i parametri cautelari (art.
274), ma i medesimi devono intendersi per presupposti ai fini della sostituzione della misura a seguito dell’udienza di convalida.
Le ipotesi di obbligatorietà della misura sono correlate allo stato di flagranza o di quasi
flagranza e alla gravità edittale del reato per cui si procede; le ipotesi facoltative sono
connesse alla minore gravità edittale del fatto e alla discrezionalità di chi procede all’arresto, oltre che allo stato di flagranza o di quasi flagranza (art. 381).
Il mutamento con le misure cautelari è previsto solo se sussistono le esigenze cautelari
previste per legge (art. 274), con la conseguenza che il P.M. ha l’obbligo di porre l’arrestato o il fermato in libertà qualora non ravvisi nel fatto le predette esigenze (art. 121 disp. att.).
La sostanziale differenza fra arresto e fermo riposa sul requisito della flagranza, occorrente per l’arresto ma non per il fermo (art. 382).
2.Arresto in flagranza: nozione di stato di flagranza e di quasi flagranza. La
flagranza differita
La disposizione dell’art. 382 descrive lo stato di flagranza in chi viene colto nell’atto di
commettere il reato (cd. effetto sorpresa), mentre attribuisce lo stato di quasi flagranza in
chi subito dopo il reato è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre
persone, ovvero è sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia compiuto il
reato immediatamente prima.
Ai fini dell’arresto vi è equivalenza normativa fra flagranza e quasi flagranza. Entrambe le
situazioni sono descritte quasi come fossero una qualità personale del soggetto agente, la
cui sussistenza si protrae per un apprezzabile lasso temporale (stato) e che giustifica la reazione immediata dello Stato in casi in cui la condotta criminosa è in atto nel momento
stesso in cui viene percepita dalla P.G.
Si specifica che nel reato permanente (ad es. sequestro di persona) lo stato di flagranza
dura sino a quando non è cessata la permanenza. Il perdurare nel tempo dello stato di flagranza è una conseguenza della natura giuridica di reato permanente, nel quale la condotta
tipica si reitera nel tempo mantenendo intatta l’attualità della lesione al bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice (art. 382, comma 2). Il reato permanente desta
maggiore allarme sociale, proprio in ragione della persistenza della condotta criminosa che
presuppone una maggiore capacità criminale e una predisposizione di mezzi idonei a mantenere la consumazione del reato.
Capitolo 2: L’arresto ed il fermo
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La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che lo stato di flagranza ai sensi dell’art. 382,
si caratterizza per lo stretto nesso tra la condotta commissiva del delitto (o quella immediatamente posteriore nello stato di quasi flagranza) e la percezione della stessa ad opera della P.G.
Il collegamento sussiste e l’arresto è legittimamente operato, laddove, pur essendo trascorso un apprezzabile lasso di tempo dalla prima percezione della condotta criminosa, l’azione della P.G. si sia svolta senza soluzione di continuità (6).
La rilevanza fra commissione del reato e pronto intervento della P.G. ai fini dell’accertamento in concreto dello stato di flagranza è ribadito da altre pronunce di legittimità (7),
secondo un orientamento ormai consolidato che permette di affermare la correttezza delle
operazioni di P.G. compiute durante lo stato di flagranza, con lo scopo di espletare gli accertamenti necessari a identificare sostanzialmente il criminale, a qualificare la gravità del
fatto e a valutare l’esercizio della facoltà di arresto, essendo irrilevante ai fini della determinazione dell’arresto in flagranza la materiale redazione del verbale alcune ore dopo
l’intervento coercitivo delle forze di polizia.
Lo stato di quasi flagranza implica comunque che la P.G. abbia avuto immediata percezione della commissione del reato e che sulla base di tale subitanea percezione, si sia attivata
per inseguire o apprendere l’autore del crimine.
La percezione sensoriale non è limitata all’aspetto visivo ma anche uditivo, purché sussista il nesso di immediatezza tra fatto di reato ed intervento della P.G. (8).
Il nesso di immediatezza non è limitato alla sola P.G., ma è esteso alla persona offesa o
ad altre persone presenti in qualche modo sulla scena criminis.
Nel concetto di inseguimento, necessario per determinare lo stato di quasi flagranza, è ricompresa ogni attività di indagine finalizzata alla cattura dell’indiziato, purché la stessa non
subisca interruzioni del nesso di continuità dopo la commissione del reato e anche nelle
ipotesi in cui la predetta attività si protragga per un apprezzabile lasso di tempo, persino per
alcuni giorni (9).
Un orientamento più rigoroso, esclude che nel concetto di continuità dell’inseguimento del
reo possa rientrarvi la nozione di continuità delle indagini, atteso che il riferimento temporale non può essere dilatato ad libitum, sino a ricomprendervi condotte criminose commesse alcune ore prima, atteso che in tali evenienze la locuzione «immediatamente prima»
perderebbe ogni significato (10).
Occorre in realtà chiarire le varie ipotesi di quasi flagranza e i requisiti differenziali con lo
stato di flagranza.
La legge prescrive la relazione di immediatezza dell’azione di contrasto della P.G. con la
percezione della condotta criminosa tanto nello stato di flagranza, quanto in quello di quasi
flagranza.
Proprio in ragione della diversità strutturale e logica fra i due stati, che sono entrambi equiparati agli effetti di legge (art. 382), lo stato di quasi flagranza è tipizzato in due distinte
ipotesi e richiede oltre che il nesso di immediatezza, il nesso di continuità afferente le
(6) Cass. 10932/2004.
(7) Cfr., fra tutte, Cass. 22156/2005; Cass. 4860/1991; Cass. 3032/1999.
(8) Cass. 35458/2007 in relazione alla percezione del reato mediante telefono.
(9) Cass. 4348/2003; Cass. 29980/2006.
(10) Cass. 3980/2000.
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Parte V: Le indagini preliminari
indagini o le azioni necessarie per la cattura del reo. Le due ipotesi si possono definire
quasi flagranza da inseguimento e quasi flagranza da possesso a sorpresa di cose o
tracce del reato.
Nella prima sequenza di ipotesi, ovvero di reo inseguito subito dopo il reato dalla P.G.,
dalla persona offesa o da altre persone presenti, la legge presuppone il nesso di immediatezza (diretta percezione del fatto), ed il nesso di continuità. La giurisprudenza si mostra più
elastica nel determinare l’apprezzabile lasso di tempo fra arresto e fatto di reato, purché non
vi sia stata interruzione di azione investigativa finalizzata alla cattura (11).
Nesso di immediatezza, ovvero percezione diretta della commissione del fatto di reato, che
non è peraltro richiesto, anzi è letteralmente escluso nel caso tipizzato di soggetto sorpreso
subito dopo il reato con cose o tracce pertinenti al reato.
L’apparenza di tali tracce o cose fa presumere che il reo, pur non direttamente percepito dalla
P.G. nell’immediatezza del fatto, appaia aver commesso il reato immediatamente prima (12).
L’effetto sorpresa che contraddistingue lo stato di flagranza e di quasi flagranza e che richiede il nesso di immediatezza non è riferito in tale peculiare ipotesi alla diretta percezione dell’azione criminosa, ma alla diretta e immediata percezione delle cose e tracce
dalle quali appaia che il reo abbia commesso il reato immediatamente prima (quasi flagranza da possesso a sorpresa) (13).
In tali casi la legge utilizza un rafforzativo temporale dato dalla locuzione «immediatamente prima» che determina un irrigidimento dei confini temporali dell’arresto in quasi
flagranza a bilanciamento della carenza della diretta percezione.
La dizione temporale «immediatamente prima», va intesa nel senso che debba sussistere
una stretta connessione fra il fatto-reato e la sorpresa con cose o tracce del medesimo, tale
da potersi accertare un’azione senza soluzione di continuità per arrestare l’autore dell’episodio criminoso.
L’intervallo temporale tra fatto e sorpresa in quasi flagranza non può essere determinato alla
stregua di un rigido criterio quantitativo, ma deve comunque essere di breve entità (14).
L’apprezzamento dello stato di flagranza circa il tempo trascorso tra commissione del fatto
ed arresto è rimesso in via esclusiva al giudice di merito. Tale apprezzamento se correttamente motivato non può essere censurato in sede di legittimità (15).
(11) Da ultimo la giurisprudenza di legittimità ha statuito che non sussiste la condizione di cosiddetta «quasi-flagranza»
qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P.G. sia stato iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi (Cass. 27-9-2011, n. 34918).
(12) Sulla valutazione di «quasi flagranza» si sono consolidati in giurisprudenza due orientamenti interpretativi contrastati tra di loro. Secondo il primo, più restrittiva, non sussiste la condizione di cosiddetta «quasi-flagranza» qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P.G. sia stato iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di
terzi (Cass. 34918/2011). Per il secondo orientamento, più estensivo, la nozione di inseguimento del reo, nell’ambito della
cosiddetta quasi flagranza del reato, ricomprende l’azione di ricerca immediatamente posta in essere, anche se non subito
conclusa, purché protratta senza soluzione di continuità, sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti (Cass. 44369/2010). Sulla base di tale orientamento, pertanto, è stato ritenuto che l’inseguimento
può avvenire anche dopo un periodo di tempo necessario alla polizia giudiziaria per giungere sul luogo del delitto, acquisire
notizie utili e iniziare le ricerche, ed ha ritenuto legittimo l’arresto eseguito dagli operanti intervenuti nell’immediatezza
della commissione del fatto, i quali dopo circa quattro ore avevano trovato gli indagati sulla base delle dichiarazioni dei testimoni oculari e dei correi.
(13) Cass. 6642/1997.
(14) Cass. 5508/1998 che valorizza le locuzioni avverbiali «subito dopo» e «immediatamente prima».
(15) Cass. 1350/1998.
Capitolo 2: L’arresto ed il fermo
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L’utilizzo da parte del legislatore del verbo «commettere» in relazione all’atto di consumazione del delitto nelle ipotesi di flagranza e di quasi flagranza, impedisce di configurare tali
stati in caso di delitti non colposi omissivi, la cui perfezione si realizza mediante una condotta omissiva rispetto ad un obbligo giuridico di attivazione e giammai mediante una
condotta commissiva (tesi dell’inconfigurabilità dello stato di flagranza nei delitti omissivi).
Dalla teoria alla pratica
Un accorto passante scorge per caso un individuo che appicca il fuoco a più vetture parcheggiate
sulla pubblica via. Ne annota la targa, lo insegue ed avvisa via cellulare i Carabinieri che, immediatamente intervenuti sul posto e senza interrompere le ricerche, lo rintracciano, trovandolo in possesso di una tanica di benzina e del veicolo indicato dal passante. Il reo viene tratto in arresto per quasi
flagranza del delitto di incendio doloso (caso tratto da Cass. I, 23560/2006)
In ore notturne, i Carabinieri di pattuglia rinvengono un quantitativo di sostanza stupefacente nella
disponibilità di un cittadino extracomunitario che avevano visto essere avvicinato da alcuni individui.
La droga era occultata nel vano portabagagli del veicolo al medesimo riconducibile posteggiato poco
fuori dal parco cittadino. I militari dapprima sequestrano lo stupefacente e subito dopo traggono in
arresto il reo sorpreso in flagranza del reato permanente di detenzione illecita di sostanze stupefacenti a fini di cessione (caso tratto da Cass. VI, 751/1995).
A volte la legge, pur in presenza dei presupposti per la flagranza di reato, contempla la
possibilità di ritardare l’arresto con decreto motivato del P.M. L’ipotesi più usuale è descritta nella disposizione dell’art. 98, D.P.R. 309/1990, in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti. In tali evenienze l’accertamento dello stato di flagranza deve essere
verificato non al momento del ritardato arresto, bensì a quello in cui il provvedimento restrittivo avrebbe dovuto essere eseguito (16).
In altri casi, espressamente previsti dalla legge penale, l’arresto prescinde dalla flagranza
di reato. Nel reato di evasione ad esempio l’art. 3 del D.L. 152/1991, convertito nella legge 203/1991, prevede la possibilità di effettuare l’arresto anche oltre i casi di flagranza. Alla
medesima soluzione si potrebbe peraltro giungere considerando il reato di evasione di cui
all’art. 385 c.p., alla stregua di un reato permanente, nel qual caso la flagranza cessa al
cessare della permanenza della condotta illecita.
Per contrastare il fenomeno della violenza in occasione di manifestazioni sportive e calcistiche, il D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, convertito in L. 24 aprile 2003, n. 88 ha inciso con
modifiche sulla legge n. 401/1989 ampliando le ipotesi di flagranza differita.
Trattasi di un istituto di creazione legislativa (fictio juris), che equipara alla flagranza alcune ipotesi in cui non è possibile procedere per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica
all’arresto degli autori di gravi reati contro l’ordine pubblico (es. la Polizia osserva il lancio
di oggetti pericolosi fra due opposte fazioni di tifosi allo stadio, ma non procede all’arresto
nell’immediatezza per evidenti ragioni di opportunità).
Segnatamente, la legge prevede le ipotesi di reati commessi con violenza alle persone o alle
cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive per i quali è obbligatorio o facoltativo l’arresto in flagranza ai sensi degli artt. 380 e 381. Quando non sia possibile procedere
in via immediata all’arresto per ragioni di incolumità e di ordine pubblico, si considera
comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art. 382 c.p., colui che sulla scorta di documen(16) Cass. 14126/2007.
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Parte V: Le indagini preliminari
tazione video-fotografica o in base ad altri inequivocabili elementi oggettivi, ne risulti autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque non oltre le 48 ore dal fatto (termine di flagranza differita dilatato dalle
originarie 36 ore a mente dell’art. 4, comma 1, del D.L. 8 febbraio 2007, n. 8, convertito in
legge 4 aprile 2007, n. 41 (17).
Nei casi di arresto in flagranza differita. Le misure coercitive possono essere applicate anche
al di fuori dei limiti previsti dal codice di rito in via generica ai sensi degli artt. 274, comma
1, lett. c) e 280.
Dalla teoria alla pratica
Durante la manifestazione calcistica del derby romano, a seguito di alcuni lanci di oggetti contundenti e di lacrimogeni fra le due opposte tifoserie, la Digos identifica alcuni facinorosi. Il martedì mattina
successivo alla partita domenicale trae in arresto 24 ultras in flagranza differita.
3.L’arresto obbligatorio in flagranza
In considerazione del carattere di estrema urgenza che caratterizza l’arresto in flagranza, la
titolarità del potere coercitivo spetta alla P.G. per l’arresto e per il fermo; al P.M. per il
fermo e per i reati commessi in sua presenza in udienza, ad esclusione dei reati di falsa o
reticente testimonianza ex art. 378 c.p. (art. 476, 1 e 2 comma, unico caso di potere di arresto incardinato nelle mani del magistrato requirente); al privato (potere di arresto facoltativo) nei casi di reati perseguibili d’ufficio, in ordine ai quali la P.G. avrebbe il potere di
arresto obbligatorio (art. 383).
Come già evidenziato l’arresto in flagranza può essere obbligatorio o facoltativo.
L’obbligatorietà dell’arresto in specifici casi previsti dalla legge, si giustifica con la particolare gravità dell’azione criminosa, e con il favor per l’azione di contrasto immediata ad
opera della P.G. Non sempre alla misura pre-cautelare dell’arresto obbligatorio in flagranza
segue l’applicazione di una misura cautelare custodiale, coercitiva o interdittiva. La valutazione circa la legittimità dell’arresto e la sussistenza per l’applicazione delle misure cautelari è affidata all’A. G. e al giudice della convalida.
I presupposti cui la legge subordina l’arresto obbligatorio in flagranza si connettono alla
natura di delitto consumato o tentato non colposo; allo stato di flagranza o di quasi flagranza nei termini indicati nel paragrafo precedente; alla gravità del fatto di reato desunto da
parametri di legge che limitano le ipotesi in base alla pena edittale o ad un elenco di delitti
contenuti nel codice penale o nelle leggi penali speciali.
La quantità della pena edittale irrogabile nei reati soggetti ad arresto obbligatorio in flagranza varia dalla reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a 20
anni, ovvero la pena dell’ergastolo. Il computo si effettua sulla pena astrattamente comminata dalla legge per il delitto non colposo consumato o tentato e non alla pena applicata in
concreto dal giudice in caso di condanna (art. 380).
(17) Come detto il termine che consente l’arresto differito è stato esteso da 36 ore a 48 ore dal D.L. 8-2-2007, n. 8 (conv.
in L. 41/2007). La disposizione ha efficacia sino al 30 giugno 2016, ai sensi del dell’art. del D.L. 93/2013 (conv. in L.
119/2013).
Capitolo 2: L’arresto ed il fermo
243
Anche fuori del calcolo qualitativo della pena edittale, l’art. 380, comma 2, prevede un’elencazione tassativa di delitti non colposi consumati o tentati per cui gli ufficiali o gli agenti
di P.G. debbono obbligatoriamente procedere all’arresto in flagranza.
L’elenco dei reati riportato nell’art. 380 prevede gravi delitti anche di criminalità organizzata di stampo mafioso e comune, che destano maggiore allarme sociale:
a) delitti contro la personalità dello Stato previsti nel titolo I del libro II del codice penale per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni;
b) delitto di devastazione e saccheggio previsto dall’articolo 419 del codice penale;
c) delitti contro l’incolumità pubblica previsti nel titolo VI del libro II del codice penale per i quali è stabilita
la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o nel massimo a dieci anni;
d) delitto di riduzione in schiavitù previsto dall’articolo 600, delitto di prostituzione minorile previsto dall’articolo 600bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall’articolo 600ter, commi primo e
secondo, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e delitto di iniziative
turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall’articolo 600quinquies del codice
penale;
d-bis) delitto di violenza sessuale previsto dall’articolo 609bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, e delitto di violenza sessuale di gruppo previsto dall’articolo 609octies del codice penale;
d-ter) delitto di atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609quater, primo e secondo comma, del codice penale;
e) delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall’articolo 4 della legge 8 agosto 1977,
n. 533 quella prevista dall’articolo 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, 3) e 5), del codice penale,
nonché 7bis), salvo che, in quest’ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all’articolo 62, primo
comma, numero 4), del codice penale;
e-bis) delitti di furto previsti dall’articolo 624bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante
di cui all’articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale;
f) delitto di rapina previsto dall’articolo 628 del codice penale e di estorsione previsto dall’articolo 629 del
codice penale;
f-bis) delitto di ricettazione, nell’ipotesi di cui all’articolo 648, primo comma, secondo periodo, del codice penale;
g) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in
luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi
clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’articolo 2, comma terzo, della
legge 18 aprile 1975, n. 110;
h) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell’art. 73 del testo unico approvato con
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per il caso dei delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo;
i) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni;
l) delitti di promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni segrete previste dall’articolo 1 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, delle associazioni di carattere militare previste dall’articolo 1
della legge 17 aprile 1956, n. 561, delle associazioni, dei movimenti o dei gruppi previsti dagli articoli 1 e
2, della legge 20 giugno 1952, n. 645, delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’art.
3, comma 3, della L. 13 ottobre 1975, n. 654;
l-bis) delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione della associazione di tipo mafioso prevista dall’articolo 416bis del codice penale;
l-ter) delitti di maltrattamenti contro familiari o conviventi e di atti persecutori, prvisti dall’articolo 572 e dall’articolo 612bis del codice penale;
m) delitti di promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere prevista
dall’articolo 416 commi 1 e 3 del codice penale, se l’associazione è diretta alla commissione di più delitti
fra quelli previsti dal comma 1 o dalle lettere a), b), c), d), f), g), i) del presente comma.
244
Parte V: Le indagini preliminari
L’elencazione contenuta nell’art. 380 è stata oggetto di alcuni notevoli ampliamenti delle fattispecie, introdotti
con leggi speciali in materia di sicurezza pubblica (18).
4.L’arresto facoltativo in flagranza
Nelle diverse ipotesi contemplate dall’art. 381, l’arresto in flagranza diviene facoltativo,
ovvero è rimesso alla discrezionalità dell’operatore di P.G.
L’ufficiale o l’agente di P.G. nell’esercizio del proprio potere discrezionale deve considerare due criteri inerenti la pericolosità sociale del reo, desunta dalla sua personalità o dalle
circostanze del reato (parametro soggettivo) e dalla gravità del fatto commesso, da intendersi quale intensità della lesione o della messa in pericolo dell’interesse giuridicamente tutelato dalla norma penale incriminatrice (parametro oggettivo) (19).
La giurisprudenza ritiene che per la legittimità dell’arresto facoltativo in flagranza non
occorra la compresenza di entrambi i requisiti, essendo sufficiente che ne ricorra almeno
uno (20).
La norma non impone l’obbligo di motivazione alla P.G. Gli operanti possono indicare
specificamente le ragioni che hanno determinato la scelta di procedere all’arresto facoltativo in flagranza, al fine di permettere il sindacato sulla legittimità dell’arresto a cura dell’A.
G. procedente alla luce degli elementi contenuti nel verbale d’arresto e negli atti investigativi compiuti (21).
La tecnica legislativa che individua le ipotesi in cui poter procedere con l’arresto facoltativo in flagranza è analoga a quella prevista per l’arresto obbligatorio, differenziandosi esclusivamente per la minore gravità dei delitti individuati tramite elenco tassativo, o mediante
criteri qualitativi (fattispecie tipizzate) o sanzionatori (quantità della pena edittale irrogabile).
Differentemente a quanto previsto in tema di arresto obbligatorio, si può procedere all’arresto facoltativo anche per delitti colposi. Non è inoltre indicata una soglia edittale minima.
In linea generale, l’art. 381, comma 1, prescrive che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo,
consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel
massimo a tre anni, ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena
della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
La disposizione elenca una serie di ipotesi di reato tassative. Altre ipotesi possono essere contemplate in norme
penali incriminatrici extracodicistiche:
a) peculato mediante profitto dell’errore altrui previsto dall’articolo 316 c.p.;
b) corruzione (propria) per un atto contrario ai doveri d’ufficio prevista dagli art. 319 e 312 c.p.;
(18) La legge 26 marzo 2001, n. 128 (cd. pacchetto sicurezza) ha individuato nel furto in abitazione e nel furto con strappo
(cd. scippo) autonome figure di reato, con conseguente impossibilità di calcolarne il bilanciamento delle circostanze delle
medesime ipotesi di furto aggravato, in precedenza considerate quali mere circostanze aggravanti del furto. Altri interventi
legislativi tendenti all’inasprimento repressivo si sono registrati in materia di violenza sessuale (D.L. 11/2009, convertito
nella L. 38/2009) e in materia di sicurezza pubblica sempre sul furto aggravato (L. 94/2009).
(19) Art. 381, comma 4: si procede all’arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero
dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto.
(20) Sul principio dell’alternatività v. Cass. 25694/2003.
(21) Cfr., su tutte, Cass. 7153/1998.
Capitolo 2: L’arresto ed il fermo
245
c) violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336, comma 2, c.p.;
d) commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive, previsti dagli articoli
443 e 444 del c.p.;
e) corruzione di minorenne prevista dall’articolo 609-quinquies del c.p.;
f) lesioni personali prevista dall’art. 582 del c.p.;
g) furto previsto dall’articolo 624 c.p.;
h) danneggiamento aggravato a norma dell’articolo 635, comma 2, c.p.;
i) truffa prevista dall’articolo 640 c.p.;
l) appropriazione indebita prevista dall’articolo 646 c.p.;
m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previste dagli articoli 3 e 24, comma 1,
della legge 18 aprile 1975, n. 110;
m-bis) fabbricazione, detenzione o uso di documento d’identificazione falso, previsti dall’art. 497bis c.p.;
m-ter) falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di
altri ai sensi dell’art. 495 c.p.;
m-quater)fraudolente alterazioni per impedire l’identificazione o l’accertamento di qualità personali ai sensi
dell’art. 495ter c.p.
Se tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza può essere eseguito se la
querela viene proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di
polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l’avente diritto dichiara di rimettere la querela,
l’arrestato è posto immediatamente in libertà.
Non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni, attesa la configurabilità in tali ipotesi del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere e
della possibilità di utilizzare misure coercitive per assicurare quantomeno l’identificazione
del soggetto.
Il divieto di arresto si connette anche al delitto di false informazioni al P.M. ai sensi dell’art.
371 c.p.
Dalla teoria alla pratica
A seguito di una chiamata al pronto intervento, i Carabinieri di pattuglia intervengono per sedare una
lite familiare. Giunti sul posto scoprono che il marito aveva picchiato ripetutamente la moglie e i figli.
Assunte sommarie informazioni sul luogo del fatto, scoprono nell’immediatezza che l’atto di violenza
non è un episodio isolato, bensì l’ultimo di una serie costante di minacce e percosse. I militari operanti traggono il marito in arresto (facoltativo) per il delitto di maltrattamenti in famiglia (caso tratto da
Cass. 888/1994).
5.Il fermo di indiziato di delitto
Al pari dell’arresto in flagranza di reato il fermo è una misura precautelare privativa della libertà personale. Il fermo ha durata temporanea e provvisoria. Entro 48 dall’avvenuto
fermo il P.M. deve chiedere al G.I.P. la convalida della misura e l’applicazione di misure
cautelari custodiali o coercitive (art. 390).
L’art. 384, comma 1, recita: «anche fuori dai casi di flagranza, quando sussistono specifici
elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l’indiziato, fanno ritenere
fondato il pericolo di fuga, il P.M. dispone il fermo della persona gravemente indiziata di
un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel mino a due anni e superiore nel massimo a sei anni, ovvero di un delitto concer-
246
Parte V: Le indagini preliminari
nente le armi da guerra o gli esplosivi o di un delitto commesso per finalità di terrorismo,
anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico».
A ben osservare il testo dell’art. 384, la norma distingue fra presupposti applicativi e limiti legali o condizioni di applicabilità della misura pre-cautelare. Tutti i requisiti previsti
dalla norma devono sussistere per l’applicabilità del fermo.
Il presupposto del fermo è individuato dalla norma processuale nel fondato pericolo di
fuga del gravemente indiziato di delitto (art. 384).
Il pericolo di fuga è la tipizzazione anticipata della medesima esigenza cautelare indicata
nell’art. 274, comma 1, lett. b). Tale presupposto che caratterizza in fermo, oltre al contesto
di gravità indiziaria e ai limiti quantitativi e qualitativi del delitto per cui si procede,
consente al giudicante di applicare una misura cautelare a seguito del giudizio di convalida
che può essere anche più tenue rispetto alla restrizione in carcere o alla detenzione presso
l’abitazione.
Il fermo è adottabile anche fuori dei casi di flagranza di reato e per delitti dolosi e colposi
(art. 384). Il fermo non è mai eseguibile dai privati.
Quindi, il fermo, rispetto all’arresto ha una portata investigativa più ampia, perché prescinde
dalla flagranza di reato; pone quale presupposto il fondato pericolo di fuga; richiede quale
condizioni di applicabilità la gravità indiziaria; individua il limite legislativo nei reati a pena
edittale compresa in una forbice minima (cd. floor: reclusione non inferiore a due anni) e
massima (cd. cap: reclusione superiore a sei anni o ergastolo), ovvero in reati che destano
grave allarme sociale (armi da guerra, esplosivi, terrorismo interno e internazionale).
Il potere di disporre la misura pre-cautelare è demandato in via principale al P.M. e in via
subordinata e residuale alla P.G. di propria iniziativa prima che il P.M. abbia assunto la
direzione delle indagini (art. 384, comma 2).
Gli ufficiali e gli agenti di P.G. procedono inoltre al fermo di propria iniziativa qualora sia
successivamente individuato l’indiziato, ovvero sopravvengano specifici elementi, quali il
possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che l’indiziato sia in procinto
di darsi alla fuga e non sia possibile per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del P.M.
Ne consegue che le ipotesi di fermo ad iniziativa della P.G. sono connesse a due ordini di
situazioni: la carenza sulla scena investigativa dell’intervento del P.M. dominus delle investigazioni (art. 384, comma 2) in tali casi la P.G. svolge un ruolo di supplenza e di sostituzione dell’organo requirente); oppure il versare in una situazione di urgenza investigativa,
sopravvenuta in base a specifici elementi, anche tipizzati, quali il possesso di documenti
d’identificazione falsi, che impongano alla P.G. di procedere immediatamente senza attendere l’intervento del P.M. (art. 384, comma 3).
Qualora, nonostante il fermo disposto con decreto motivato del P.M., l’indiziato si dia con
successo alla fuga, la misura precautelare è caducata e perde automaticamente efficacia. Al
P.M. non resta che richiedere al giudice l’ordinaria misura cautelare custodiale ed accertare,
eventualmente lo stato di latitanza (22).
La giurisprudenza ha analizzato soprattutto la sussistenza del pericolo di fuga. In sintesi si
deve ritenere che per essere legittimamente disposto il fermo debba costituire condicio sine
(22) Cass. Sez. Un. 9/1993.
Capitolo 2: L’arresto ed il fermo
247
qua non per la captazione dell’indiziato di delitto e per la sua assicurazione all’autorità
giudiziaria procedente. Nel senso che se il fermo non intervenisse, si porrebbe la ragionevole probabilità che l’inquisito faccia perdere le proprie tracce (23).
Gli elementi dai quali desumere il fondato pericolo di fuga debbono essere connotati dalla
specificità e concretezza, ovvero direttamente riferibili alla persona dell’indiziato e connotanti un pericolo reale e concreto che il medesimo si dia alla fuga (24).
La probabilità del verificarsi della fuga può essere desunta da elementi indiziari, purché
gravi, univoci e concordanti (25).
Il pericolo di fuga comprende anche le ipotesi in cui l’indiziato abbia fatto perdere momentaneamente le proprie tracce e si sia reso irreperibile sia sul territorio nazionale che verso l’estero.
Il pericolo di fuga oltre i confini del territorio dello Stato, attesta una situazione di pregiudizio particolarmente qualificata.
Dalla teoria alla pratica
Il P.M. emette un decreto di fermo per un delitto per il quale è gravemente indiziato un militare americano appartenente alle forze N.A.T.O. di stanza a Napoli. Il G.I.P. non convalida la misura pre-cautelare
disattendendo la tesi secondo cui il fondato pericolo di fuga possa essere desunto dall’impossibilità per
le autorità italiane di controllare la permanenza dell’indiziato sul territorio nazionale, in ragione della
competenza a disporre la permanenza o il trasferimento da parte dell’autorità militare straniera. La
Suprema Corte per i medesimi motivi rigetta il ricorso proposto dal P.M. (caso tratto da Cass. 20969/2004).
Il P.M. può legittimamente disporre il fermo di persona già detenuta per un precedente titolo custodiale, che debba essere scarcerata per motivi formali, come nel caso di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare custodiale per tardiva trasmissione degli atti procedimentali (26).
Il potere di fermo è legittimamente esercitato dal P.M., ricorrendone i presupposti anche se
la fase delle indagini preliminari si è temporalmente conclusa per esserne scaduti i termini
determinati dalla legge (27).
Le previsioni di fermo (o di arresto) contenute in leggi speciali successive all’introduzione
della disciplina codicistica, si applicano in luogo di questa in ragione del criterio di specialità. Le ipotesi di fermo previste in leggi posteriori e speciali sono disciplinate, quanto a
presupposti di applicazione, dalle norme in esse leggi contenute.
L’art. 230 disp. att. prevede una limitata ultrattività, per le previgenti ipotesi di fermo (e di
arresto) contenute in leggi speciali precodicistiche. Il limite generale è la compatibilità con
la normativa codicistica. Ne consegue che in caso di flagranza, le precedenti previsioni
speciali di fermo o di arresto debbano tutte essere riferite all’arresto obbligatorio o facoltativo descritto negli artt. 380 e 381, purché ne ricorrano tutti i presupposti delineati dal codice di rito. Sono pertanto abrogate per incompatibilità le residuali ipotesi di fermo (e arresto) che contemplano un limite sanzionatorio inferiore a quello codici stico (pari alla reclusione superiore ad anni tre).
(23) Cass. 1520/1991.
(24) Cass. 3364/1998.
(25) Cass. 1396/1994.
(26) Cass. 8124/2005.
(27) Cass. 1331/2007.
Edizioni Simone - Vol. 7 Diritto Processuale Penale
Capitolo 2
Il dibattimento
Sommario
1. Profili generali: la pubblicità. - 2. La concentrazione. - 3. Gli atti introduttivi del dibattimento.
1.Profili generali: la pubblicità
Il titolo II del libro VII contiene le disposizioni che regolano la fase del dibattimento. Il
titolo è a sua volta suddiviso in capi, che riguardano le disposizioni generali (capo I), gli
atti introduttivi (capo II), l’istruzione dibattimentale (capo III), e le nuove contestazioni
(capo IV) (1).
Le disposizioni generali attengono alle norme che regolano il funzionamento e lo svolgimento dell’udienza dibattimentale. L’udienza in cui si svolge il dibattimento è disciplinata
e diretta dal Presidente, che decide senza formalità giusto quanto previsto dall’art. 470. Il
giudice è altresì depositario di poteri di polizia, nel senso che ai fini dell’esercizio delle
suindicate funzioni si avvale, ove occorra, della forza pubblica, che dà immediata esecuzione ai provvedimenti disposti (art. 470, comma 2). In caso di assenza del presidente, i poteri di disciplina dell’udienza sono attribuiti dalla legge al pubblico ministero.
Come detto, al Presidente spetta la funzione di direzione del dibattimento, in qualità di arbitro imparziale della contesa, avendo scarsi poteri per incidere sull’assunzione della prova.
L’intervento del Presidente è finalizzato al controllo della correttezza e della lealtà nell’applicazione delle regole processuali ad opera delle parti. Solo in via residuale e suppletiva,
il Presidente interviene, in via di sollecitazione, nell’acquisizione della prova (art. 506).
Sul regime dell’udienza influisce il principio della pubblicità e su quello del dibattimento il
criterio della concentrazione, entrambi essenziali nel modello processuale accusatorio.
La pubblicità dell’udienza (art. 471) comporta, quale regola generale, che la giustizia debba essere applicata coram populo. Pertanto, l’udienza è pubblica a pena di nullità, con due
eccezioni. La prima attiene alla limitazione dell’afflusso del pubblico nell’aula d’udienza
per ragioni soggettive, legate alle qualità della persona che intende presenziarvi. Ed infatti,
minori di anni 18, persone sottoposte a misure di prevenzione, quelle in stato di ubriachezza, di intossicazione e squilibrio mentale, le persone armate, esclusi gli appartenenti alla
forza pubblica non possono accedere in aula. Altra limitazione, di tipo quantitativa, attiene
all’esigenza di consentire l’ingresso solo ad un determinato numero di persone per ragioni
di ordine e capienza dell’aula. Il presidente può disporre in tal senso allorché ricorrano casi
eccezionali.
La seconda eccezione, che esclude la pubblicità, è rappresentata dalla celebrazione a porte
chiuse dell’udienza, peraltro limitabile ad una parte del dibattimento. Essa è disposta dal
(1) Illuminati, in Compendio di procedura penale, Cedam, 2006; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura
penale, Giuffrè, 1994; Aprile-Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Giuffrè, 2006.
Capitolo 2: Il dibattimento
423
collegio e non dal solo Presidente e concerne talune ipotesi (procedimenti relativi ai reati
di violenza sessuale et similia; buon costume, segretezza nell’interesse dello Stato etc.: artt.
472, 473).
La legge 15-2-1996, n. 66, ha introdotto nel codice di rito l’art. 472, comma 3bis, in forza del quale, allorquando si procede per delitti di violenza sessuale, su richiesta della persona offesa il dibattimento deve essere sempre
svolto a porte chiuse, anche se solo per l’espletamento di alcun atti. È sempre celebrato a porte chiuse se la
persona offesa è minorenne. La legge 3-8-1998, n. 269, ha esteso la previsione anche per i reati di prostituzione
e pedofilia minorile. La norma è stata, poi, estesa anche per i reati contro la tratta di persone per effetto della
legge 11-8-2003, n. 228.
L’imputato ha il diritto di partecipare al processo, in forza del diritto di difesa che gli è riconosciuto, tuttavia, quando la regolarità dell’udienza lo esige, l’imputato — il quale, con
il suo cattivo comportamento, comprometta tale regolarità e sia stato inutilmente ammonito — è coattivamente allontanato dall’aula con ordinanza del Presidente, fatta salva una
sua successiva riammissione (art. 475). L’imputato allontanato si considera presente ed è
rappresentato dal difensore. Nei casi più gravi, l’imputato è espulso dall’intero collegio
giudicante, con provvedimento definitivo, ed è riammesso esclusivamente per rendere
l’esame e per formulare le dichiarazioni finali, ai sensi dell’art. 523, comma 5. È sempre
consentita all’imputato la presentazione di memorie scritte (artt. 121 e 482).
Dalla teoria alla pratica
L’imputato, cittadino extracomunitario, che sia stato espulso dal territorio dello stato con provvedimento prefettizio adottato ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, deve ritenersi rappresentato in sede processuale dal proprio difensore, in quanto una tale condizione deve considerarsi a
fortiori assimilabile a quella dell’imputato allontanato coattivamente dal giudice nel caso previsto
dall’art. 475, comma 2 (Cass. 47071/2007).
2.La concentrazione
Il principio della concentrazione, che caratterizza il dibattimento, si manifesta nella tendenza ad esaurirlo nella stessa udienza ovvero, in caso di necessità, in udienze cronologicamente ravvicinate (art. 477), nonché nella immediatezza della decisione, eventualmente completa di motivazione (art. 544). In tal modo, si realizza l’ideale della amministrazione della
Giustizia improntata al contempo alla celerità ed alla trasparenza delle decisioni. Allo scopo di favorire la celerità, si è previsto che sulle questioni incidentali il giudice si pronunci
immediatamente (art. 478). Sono tali le questioni procedurali attinenti ad eventuali irritualità verificatesi nella fase dibattimentale. Esse hanno ad oggetto singole attività processuali e, pertanto, si pongono come incidenti (o parentesi) all’interno del dibattimento. Si tratta,
in sintesi, di presunte violazioni che riguardano il compimento dell’attività processuale (ad
es., questioni relative alla nullità degli atti, all’assunzione di prove, alla lettura di atti, alle
contestazioni, etc.). Esse devono essere immediatamente decise dal giudice con apposita
ordinanza, nel contraddittorio tra le parti, prima della sentenza in quanto concernono un
momento procedurale che si esaurisce e si conclude in sé stesso.
Il giudice deve altresì risolvere direttamente le questioni di natura civile o amministrative
di natura pregiudiziale, dalle quali dipenda la decisione sull’esistenza del reato oggetto del
424
Parte IX: Il dibattimento di primo grado
giudizio in corso (art. 479). Per quanto riguarda le questioni di particolare complessità, ovvero quelle che riguardino lo stato di famiglia o di cittadinanza (art. 3) in questi casi è consentita la sospensione del processo penale, sospensione sempre facoltativa (artt. 3 e 479).
Tra gli esempi di questioni pregiudiziali, che il giudice può essere chiamato a risolvere al fine di giungere alla
decisione finale sul merito dell’imputazione, si può citare — per la definizione di un processo relativo ad una
imputazione di furto — la necessità di accertare il requisito dell’altruità (rispetto all’accusato) del bene sottratto. Il giudice penale, ai sensi dell’art. 2, risolve ogni questione da cui dipenda la decisione in via incidentale.
Detta decisione, ha efficacia esclusivamente endoprocessuale, ossia all’interno del processo ove la stessa è
adottata ed in nessun altro processo. Se, ad esempio, in un processo in cui Tizio è imputato di furto in danno di
Caio, il giudice penale è chiamato a risolvere una questione civile pregiudiziale — in particolare, se la cosa sia
di proprietà di Caio e non già di Tizio — una volta che abbia deciso in via incidentale, tale decisione avrà esclusivamente efficacia interna al processo ben potendo, un altro giudice (segnatamente, quello civile), decidere la
controversia in modo diverso.
Al regime dell’art. 2 fa eccezione la regola enunciata nell’art. 3, la quale prevede la sospensione facoltativa del
processo penale (in attesa che il giudice civile, in separato processo, decida la questione con sentenza passata
in giudicato) quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di
cittadinanza. Ad esempio, se si procede in sede penale per il reato di incesto e sorge una questione circa l’esistenza del rapporto di filiazione tra l’autore del reato e la persona offesa, il giudice penale è tenuto a sospendere il processo fino al passaggio in giudicato della sentenza del giudice civile che, decide sulla questione.
La sospensione del processo, giusto quanto statuisce l’art. 479, è condizionata alla sussistenza di tre requisiti:
a) deve trattarsi esclusivamente di una questione relativa allo status familiae o allo status civitatis;
b) la questione deve presentare i caratteri della serietà, per evitare sospensioni finalizzate al solo scopo di allungare i tempi del processo;
c) l’azione deve essere già in corso, secondo le leggi civili.
La sospensione è ammissibile solo nella fase del processo, non già nelle indagini preliminari.
Per quanto riguarda i reati commessi in udienza, a norma dell’art. 476 il P.M. procede
secondo le disposizioni del codice di rito; e, pertanto, dispone l’arresto nei casi consentiti dalla legge (artt. 380 e 381). il secondo comma del citato art. 476 stabilisce altresì un
generale divieto di arresto del testimone in udienza, per fatti concernenti il contenuto
della deposizione. Ed infatti, in ossequio al carattere accusatorio del processo penale, la
configurabilità di tali reati è intimamente collegata alla valutazione delle emergenze probatorie che in quel dibattimento vengono acquisite. A tal riguardo, un eventuale ordine di
arresto in aula presuppone, da un lato, una acquisizione probatoria già avvenuta; e, dall’altro, la minaccia di un arresto potrebbe risolversi un uno strumento di compressione psicologica su un teste la cui falsità non è ancora compiutamente verificata alla luce della
dialettica processuale. Il divieto di arresto del testimone non impedisce che il P.M. possa
esercitare l’azione penale nei modi ordinari, né si applica a comportamenti del testimone
diversi da quelli relativi al contenuto della deposizione (ad esempio, oltraggio al magistrato, minacce a pubblico ufficiale, etc.), come del resto si evince dalla disposizione
dell’art. 476.
3.Gli atti introduttivi del dibattimento
A) La costituzione delle parti
La disciplina degli atti introduttivi al dibattimento riguarda gli atti compiuti dal giudice o
dalle parti dall’inizio dell’udienza, fino al momento in cui il giudice decide con ordinanza
Capitolo 2: Il dibattimento
425
sulle richieste probatorie delle parti, ai sensi dell’art. 495. Il processo presuppone la verifica circa la regolare costituzione delle parti, che compete al giudice in qualità di garante del
contraddittorio. In primo luogo, il Presidente deve assicurare la difesa tecnica all’imputato,
designando un difensore se necessario (art. 484). Per quanto attiene alla presenza dell’imputato, questi ha diritto, ma non l’obbligo di comparire al dibattimento, salva l’ipotesi eccezionale della sua presenza per l’assunzione di una prova diversa dall’esame — ad esempio, una ricognizione personale — in cui può essere disposto l’accompagnamento coattivo.
Se contro l’imputato si è proceduto in assenza nel corso dell’udienza preliminare, comparendo può chiedere di rendere le dichiarazioni previste dall’articolo 494. Inoltre, se fornisce
la prova che l’assenza innanzi al G.U.P. è riconducibile alle situazioni previste dall’articolo
420bis, comma 4, egli è rimesso nel termine per formulare le richieste di rito abbreviato o
patteggiamento (art. 489).
Dalla teoria alla pratica
L’imputato Tizio, che si rifiuti di comparire in udienza per essere sottoposto a perizia psichiatrica in
dibattimento, deve essere accompagnato in aula coattivamente, previo ordine del giudice. Un siffatto
potere rientra tra quelli attribuiti al giudice, secondo le disposizioni del codice di rito. A norma dell’art.
224, comma 2, infatti, il giudice dispone la citazione del perito e la comparizione delle persone sottoposte al suo esame, ed adotta tutti i provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione delle
operazioni peritali. In quest’ottica, deve essere interpretato il contenuto del primo comma dell’art. 132,
che attribuisce al giudice il potere di ordinare l’accompagnamento coattivo dell’imputato, ma solo se
la misura è prevista specificamente dalla legge. La norma deve essere, poi, collegata all’art. 490, il
quale prevede che l’accompagnamento coattivo possa essere disposto quando occorra assicurare la
presenza dell’imputato per una prova diversa dall’esame e tale è indubbiamente la perizia, finalizzata ad acquisire dati che richiedono specifiche competenze tecniche e disciplinata tra i mezzi di prova
(Cass. 2443/1996).
La legge 7-1-1998, n. 11 (che ha modificato alcuni articoli delle disposizioni di attuazione
al codice di rito) ha previsto la possibilità — nei processi per reati di criminalità organizzata — che l’imputato partecipi al dibattimento a distanza tramite videoconferenza (2).
La legge prevede le modalità di svolgimento della partecipazione a distanza, tali da garantire la effettività della partecipazione ed il diritto di difesa. Ciò è imposto da gravi ragioni
di sicurezza o di ordine pubblico, ovvero dalla circostanza dello speciale regime detentivo
cui è sottoposto l’imputato, ai sensi dell’art. 41bis, legge n. 354/1975 (così, art. 146 disp.
att.). La normativa è finalizzata ad evitare che detenuti pericolosi, nel corso dei trasferimenti dal carcere alle varie aule di udienza, possano evadere, comunicare o impartire direttive
(e/o propositi) criminosi ad altri detenuti incontrati. L’istituto della videoconferenza si applica altresì anche ai collaboratori di giustizia ed agli operatori di P.G. sotto copertura (art.
147bis disp. att. coord.) (3).
(2) Il D.L. 211/2011 ha esteso il regime del dibattimento a distanza anche per i testimoni detenuti, rendendolo obbligatorio per quelli sottoposti al regime carcerario dell’art. 41bis cit.
(3) Il comma 1bis dell’art. 147 disp. att. prevede che l’esame in dibattimento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, degli ausiliari e delle interposte persone, che abbiano operato in attività
sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, si svolge sempre con le cautele necessarie alla tutela e alla riservatezza della persona sottoposta all’esame e con modalità determinate dal giudice o, nei casi di urgenza, dal
presidente, in ogni caso idonee a evitare che il volto di tali soggetti sia visibile.
426
Parte IX: Il dibattimento di primo grado
Ed ancora, la videoconferenza può essere utilizzata anche quando si procede nei confronti
di imputati detenuti all’estero. In tal caso, si applicano le modalità previste dall’art. 146
disp. att., a meno che non vi sia una specifica disciplina nelle convenzioni internazionali
(art. 205ter disp. att.).
Il diritto ad essere presenti all’udienza costituisce per l’imputato un modo per esercitare il
diritto di difesa costituzionalmente garantito ed anche la scelta di non comparire rappresenta espressione di una scelta difensiva. A tal proposito, il dibattimento deve essere rinviato
se risulta che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza della vocatio in jus attuata
mediante la citazione a giudizio. La stessa deve essere rinnovata.
Allo stesso modo, il giudice provvede quando l’imputato, pur avendo avuto conoscenza
della vocatio in jus, non è comparso quando appare probabile che la mancata comparizione
sia dovuta a caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento (art. 484, comma
2bis, che richiama gli artt. 420bis, 420ter, 420quater e 420quinquies). La sospensione o il
rinvio del dibattimento sono altresì previsti anche nei casi di assoluta impossibilità del difensore a comparire all’udienza per un legittimo impedimento.
Dalla teoria alla pratica
Lo stato di detenzione, in relazione ad altro procedimento penale, rappresenta un legittimo impedimento per l’imputato Tizio, il quale per tale ragione non è potuto comparire in udienza. In questo caso,
il giudice è tenuto a rinviare l’udienza anche se l’impedimento non sia stato segnalato tempestivamente ma solo in udienza, a meno che Tizio non presti il proprio consenso alla celebrazione del
processo in sua assenza (così, Cass. Sez. Un. 37483/2006).
B) Assenza dell’imputato
Il dibattimento prosegue il suo corso regolarmente nei casi di assenza ed allontanamento
volontario dell’imputato.
A seguito della novella introdotta dalla legge n. 479/1999, per la disciplina dell’assenza
dell’imputato, nonché quella del legittimo impedimento a comparire dell’imputato e del
difensore, si applicano le disposizioni che regolano gli stessi istituti previsti per l’udienza
preliminare (art. 484, comma 2bis, che richiama gli artt. 420bis, 420ter, 420quater e 420quinquies).
Allorquando la vocatio in jus sia avvenuta regolarmente, la mancata comparizione in udienza dell’imputato, libero o detenuto, rappresenta il risultato di una sua libera scelta e, dunque,
il processo prosegue. L’imputato è assente, pur conservando il diritto di comparire in udienza per rendere, se possibile, dichiarazioni spontanee ovvero per sottoporsi ad esame.
Si richiama quanto esposto nella parte VII, capitolo 8, in ordine agli istituti della assenza e
della sospensione del processo introdotti dalla legge 28 aprile 2014, n. 67.
C) Le questioni preliminari
Nella fase degli atti introduttivi, devono essere affrontate e decise le questioni preliminari.
Sono tali quelle questioni che determinano un contrasto tra le parti e che sono precluse se
non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (art. 491, comma 1). Tali questioni devono essere decise immediatamente
dal giudice, in quanto dalla loro decisione può dipendere il prosieguo o meno dell’intero
Capitolo 2: Il dibattimento
427
dibattimento (ad es., una questione sulla incompetenza territoriale), ovvero la presenza o
meno di alcune parti processuali (es., questioni sulla ammissibilità della parte civile). Trattandosi di questioni di natura processuale, la loro risoluzione deve ritenersi logicamente e
giuridicamente preliminare a quella sul merito della pretesa punitiva azionata.
Per esigenze di speditezza processuale, le questioni preliminari devono essere proposte
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento: secondo l’art. 491, sono tali le questioni concernenti:
a) la competenza per territorio e connessione;
b) le nullità di carattere relativo, attinenti alle indagini preliminari, l’incidente probatorio,
l’udienza preliminare e la citazione a giudizio (art. 181, commi 2 e 3);
c) la costituzione di parte civile, la citazione o l’intervento del responsabile civile o del
civilmente obbligato per la pena pecuniaria, ovvero degli enti esponenziali di interessi
lesi dal reato (art. 91);
d) il contenuto del fascicolo per il dibattimento;
e) la riunione o la separazione dei giudizi.
La preclusione di cui all’art. 491 non si applica alle violazioni procedurali più gravi, come quelle concernenti
le nullità assolute, rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (art. 179); ovvero, l’incompetenza per materia, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato è grado del processo (art. 21).
Le questioni preliminari sono discusse dal pubblico ministero e da un difensore per ogni
parte privata. La discussione deve essere contenuta nei limiti di tempo strettamente necessari alla illustrazione delle questioni e non sono ammesse repliche. Il giudice decide immediatamente sulla ordinanza.
D)L’apertura del dibattimento e rinvii dell’udienza
Una volta superate le questioni preliminari, decise con ordinanza, il Presidente dichiara
aperto il dibattimento (art. 492). L’ausiliario che assiste il giudice dà lettura dell’imputazione, che fissa l’oggetto del giudizio. Successivamente, le parti (P.M., difensori di parte civile, del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e dell’imputato)
devono indicare i fatti che intendono provare e chiedere l’ammissione delle prove (art. 493,
comma 1).
È possibile l’acquisizione di prove non comprese nella lista testimoniale quando la parte
che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente (art. 493, comma 2).
Ed ancora, le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti
contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva (art. 493, comma 3).
Una volta esaurita l’esposizione introduttiva, l’imputato può esercitare il proprio diritto di
difesa, avendo, in ogni stato del dibattimento, facoltà di rendere dichiarazioni spontanee
(art. 494). Queste si caratterizzano rispetto all’esame, in quanto l’imputato non è destinatario di domande bensì ha la possibilità di rendere le dichiarazioni che ritiene opportune,
purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruzione dibattimentale. Se l’imputato non si attiene all’oggetto dell’imputazione, il presidente lo ammonisce e, se l’imputato persiste, gli toglie la parola.
428
Parte IX: Il dibattimento di primo grado
L’art. 477 prevede, come regola generale, che il dibattimento si esaurisca in un’unica udienza. Si tratta di una disposizione normalmente disattesa nella prassi, atteso che molteplici
circostanze possono indurre al rinvio ad altra udienza; ad es., una giustificata assenza
dell’imputato o del difensore, l’assenza dei testimoni, la delicatezza del processo, che impone tempi lunghi etc. È frequente, pertanto, che nel suo ordinario sviluppo il dibattimento
di articoli in una pluralità di udienze.
Si deve sottolineare che se il rinvio è determinato da un impedimento dell’imputato o del
suo difensore, ai sensi degli artt. 159 c.p. e 304, sono sospesi i termini di prescrizione; se
l’imputato è detenuto, anche i termini della custodia cautelare, salvo che il rinvio non sia
determinato da esigenze di acquisizione della prova (4). La sospensione dei termini dura
per tutto il periodo intercorrente tra le due udienze.
E) I provvedimenti del giudice in ordine alla prova
Una volta formulate le richieste di prova, il giudice provvede con ordinanza alla ammissione delle stesse, a norma degli artt. 190, comma 1 e 190bis (art. 495). Le parti hanno diritto
all’ammissione della cd. prova contraria. In particolare, l’imputato ha diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico. Lo stesso P.M. ha
diritto all’ammissione delle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto di
prove a discarico (art. 495, comma 2).
Nel corso della istruzione dibattimentale, il giudice può modificare i precedenti deliberati
in tema di ammissione o esclusione delle prove richieste dalle parti. Sussiste, infatti, sia il
potere di revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue, ovvero sia
quello di ammettere le prove in precedenza escluse (art. 495, comma 4). Sempre nel corso
dell’istruzione dibattimentale, le parti possono rinunciare all’assunzione di prove da loro
richieste; tuttavia, è necessario il consenso dell’altra parte (art. 495, comma 4bis).
Dalla teoria alla pratica
L’imputato Tizio ha il diritto alla prova contraria, garantito dall’art. 495 (in conformità con l’art. 111
Cost., l’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici). Tuttavia, tale diritto non è assoluto o inoppugnabile, ben potendo il giudice
denegare, con adeguata motivazione, le richieste di prove che siano manifestamente superflue o
irrilevanti, sulla scorta del dettato di cui all’art. 190 (Cass. 44736/2003).
(4) Cass. Sez. Un. 11/2002.
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