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un certo sguardo - Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus

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un certo sguardo - Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus
Centro di riferimento regionale per gli innesti corneali
Centro ricerche sulle cellule staminali epiteliali
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Membro Accreditato di Eye Bank Association of America
Via Felisati 109 - 30171 Venezia Mestre
tel. 041 987221 fax 041 950440
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FBOV NEWS N.1 APRILE 2008
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GRAZIE
un
certo
sguardo
SULLA CULTURA
DELLA DONAZIONE
E DEL TRAPIANTO
DI CORNEA
GRAZIE PROFESSOR RAMA.
un
certo
sguardo
un
certo
sguardo
2
3
Editoriale
Giovanni Rama: un ricordo
di Diego Ponzin
Direttore di Fondazione Banca degli Occhi
Fondazione Banca degli Occhi,
l’addio al prof. Giovanni Rama
Ho conosciuto Giovanni Rama nel 1993. Mi ha ricevuto nel suo studio, una mattina, in
un breve intervallo fra un intervento chirurgico e l’altro. Una serie di circostanze fortuite
mi avevano condotto davanti ad un oculista che conoscevo solo di nome. Con poche
parole mi ha trasmesso il suo sogno: realizzare una banca degli occhi e contribuire a
risolvere il problema dei tempi di attesa per trapianto di cornea.
Il professore e Diego Ponzin
Ho avuto la fortuna di lavorare i primi due anni al suo fianco, dentro e fuori dalla sala
operatoria mentre, all’esterno dell’ospedale, allestivamo la prima sede della banca degli occhi, dove ci saremmo successivamente trasferiti. Nei primi mesi non è stato facile
lavorare con lui. Lo vedevo come un uomo duro e silenzioso, circondato da un alone di
mistero che facevo fatica a penetrare.
Poi ho capito che l’apparente durezza era in realtà rigore, morale e di comportamenti, che chiedeva agli altri, ma applicava prima di tutto a se stesso. Il silenzio non era
mancanza di comunicazione, ma la capacità di parlare con sguardi, gesti, poche parole
mai gridate. L’alone di mistero non era altro che il carisma e la solitudine del leader.
Ho cominciato a sentirmi orgoglioso di lavorare per lui.
Negli anni la banca degli occhi si è sviluppata e, insieme a Giovanni Rama e altri colleghi entusiasti, abbiamo raccolto circa ventimila donazioni di cornea, e fatto fare più di
diecimila trapianti. La banca degli occhi ha cambiato due sedi, si avvia ad occupare la
terza, nel nuovo ospedale di Mestre, ed è diventata un’istituzione che lavora nel campo
della comunicazione sociale, della formazione, dei trapianti, della ricerca, della medicina rigenerativa con cellule staminali. La potenza del sogno di Giovanni Rama ci ha
trascinati in un’avventura che sembra ancora ricca di prospettive. I pazienti, il mondo
dei trapianti, i collaboratori, devono molto a Giovanni Rama. Se oggi in Veneto e molte
regioni d’Italia il trapianto di cornea è diventato un’attività di eccellenza, programmata,
con tempi di attesa quasi azzerati, è merito suo. Ho molti ricordi che lo riguardano,
potrei occupare diversi volumi. Qualche volta abbiamo discusso duramente, scontrandoci intorno a qualche problema. Tuttavia la discussione rimaneva sempre confinata in
un particolare ambito, e il rapporto di reciproca fiducia non è mai venuto meno. D’altra
parte litigare con lui, nel senso classico del termine, era quasi impossibile: la lite non era
altro che uno scontro di silenzi, che gareggiavano a diventare sempre più silenziosi per
poi, lentamente, tornare a riempirsi di contenuti.
Fondazione Banca degli Occhi del Veneto News
N. 1 / Aprile 2008
Direttore Responsabile: Alessandra Veronese
Editore: Fondazione Banca degli Occhi del VenetoO.n.l.u.s.
Presidente: Giovanni Mazzacurati
Vice Presidente: Giancarlo Ruscitti
Consiglieri: Stefania Bullo, Alessandro Galan,
Maria Luisa Morella, Antonio Padoan
Hanno collaborato alla redazione di questo
numero: Michela Coppola, Dario De Marco, Cesare
Gardellin, Diego Ponzin, Maria Paola Scaramuzza,
Lucia Trevisiol.
Progetto Grafico: MILKadv.com
Tipografia: Grafiche Quattro, S. Maria di Sala (VE)
Tiratura: 26.500 copie
Registrazione al Tribunale di Venezia n. 1325 07/04/1999
N.1APRILE2008
Due aspetti della sua persona costituiscono un ricordo che mi è particolarmente caro.
La sua capacità di stupirsi, che gli faceva vivere ogni impresa con un entusiasmo che
mi contagiava. Il suo sottile senso dell’umorismo, che usava con grande parsimonia,
raramente in pubblico, ma che mi ha fatto condividere con lui molte risate quando, da
soli nel suo studio, parlavamo di tutto.
Ultimamente si era ritirato e l’ho incontrato poche volte, mai da solo. L’ultimo vero incontro risale all’inizio dell’estate 2003, quando trascorsi con lui una mattinata nella sua
casa sul lago di Garda. Abbiamo parlato a lungo. Alla fine passeggiavamo nel suo splendido frutteto. Lui coglieva frutti dagli alberi, e li metteva in un cestino che voleva che io
portassi alla mia famiglia. Intanto mi parlava degli sviluppi che, secondo lui, il trapianto
di cornea avrebbe avuto. Nella sua mente aveva disegnato nuovi interventi, più selettivi
e meno invasivi. Inoltre mi parlava con foga delle cellule staminali e delle possibilità che
avremmo potuto cogliere da nuove terapie basate sulle biotecnologie.
Negli ultimi anni, tutto quello che aveva in mente quel giorno si è avverato, rafforzando
in me la convinzione di aver lavorato vicino ad un grande chirurgo, capace di essere
visionario, pioniere, trascinatore.
Un grande uomo, insomma.
Arrivederci, Professore.
Lo scorso 28 dicembre se ne è andato il professor Giovanni Rama, cofondatore di Fondazione
Banca degli Occhi. Dentro di sé l’aveva voluta, creata e fatta crescere, fino a farla diventare
un punto di riferimento a livello internazionale…
Giovanni Rama e Piergiorgio Coin, fondatori di Fondazione Banca degli Occhi,
accolgono la visita del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1997
Una telefonata e la voce comincia a correre, attraverso le mail e gli sms, tra gli
uffici, i laboratori e le aule di Fondazione
Banca degli Occhi: il 28 dicembre scorso
se ne è andato il professore.
E’ passato molto tempo, ormai più di
vent’anni, da quando il prof. Giovanni
Rama ebbe l’idea, assieme al Cavaliere
del Lavoro dott. Piergiorgio Coin, di dare
vita a Fondazione Banca degli Occhi. Da
tempo nessuno scorgeva più la sua presenza in Fondazione, tra un intervento e
l’altro negli interstizi di tempo della sua
attività ospedaliera e dopo la pensione.
Spinto dall’esigenza pratica di avere un
maggior numero di tessuti per effettuare i
trapianti e dalla consapevolezza che queste operazioni potevano restituire una
vita migliore a centinaia di persone, ha
gettato le basi per creare la Banca degli
Occhi, che venne istituita da Regione Veneto nel 1987.
Dentro di sé l’aveva pensata, creata, cresciuta, fino a farla diventare un punto di
riferimento a livello internazionale.
E la mattina del 28 dicembre 2007 Fondazione lo salutava.
Erano gli anni ’80 quando la donazione
di cornee era il gesto di buona volontà
di pochi generosi “pionieri”, e il trapianto
una pratica appena agli inizi. Non esisteva
ancora neppure la legge 301/93 sul trapianto di cornea, di cui il professor Rama sarebbe stato il principale promotore.
Fu l’uomo dei record per gli interventi,
di cui 50.000 solo a Venezia Mestre, e di
questi ben 6.000 trapianti di cornea, che
costituivano la più ampia casistica a livello mondiale. Nato il 12 dicembre 1924 a
Lazise (VR), nei pressi del Lago di Garda,
Giovanni Rama si formò all’Università di
Pavia e dopo la laurea seguì un percorso
di specializzazione nelle migliori cliniche
universitarie oculistiche d’Europa: Barcellona, Losanna, Ginevra, Lione, Parigi,
Liegi. Uomo con grande intuito creativo
chirurgico, creò e diresse prima la Divisione Oculistica dell’Ospedale di Feltre, poi
quella dell’Ospedale di Venezia Mestre,
diventata un centro oculistico di valore
europeo, polo di riferimento internazionale. A lui si deve oggi anche lo sviluppo
di una particolare tecnica di chirurgia lamellare della cornea. Nel 1999, a Roma,
la Società Oftalmologica italiana (SOI)
gli conferì la medaglia d’oro di “Maestro
dell’Oftalmologia italiana”.
Ma se ridare il dono della vista era il suo
amato mestiere, farlo anche lì dove è la
povertà a togliere ogni luce diventò la
sua passione.
Il prof. Giovanni Rama per oltre vent’anni
si recò all’Ospedale di Wamba in Kenia,
in una delle zone più povere del centro
Africa, dove i Padri della Consolata fondarono negli anni ‘60 un ospedale. Lì
due volte all’anno, affiancato dall’infermiera professionista Lucia Trevisiol e da
un’equipe sempre nuova di infermieri e
chirurghi oftalmologi suoi allievi, Giovanni Rama si recava per esercitare la professione e operare gratuitamente, fino a
quando la salute glielo permise, chiedendo comunque a Fondazione di impegnarsi per organizzare almeno una spedizione
umanitaria all’anno con la presenza di un
oculista.
L’ultimo trapianto di cornea a Mestre fu
eseguito dal professore nel 1996, l’ultimo
giorno di lavoro prima di andare in pensione. L’ultimo intervento in Africa fu nel
2000.
N.1APRILE2008
un
certo
sguardo
un
certo
sguardo
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3
Editoriale
Giovanni Rama: un ricordo
di Diego Ponzin
Direttore di Fondazione Banca degli Occhi
Fondazione Banca degli Occhi,
l’addio al prof. Giovanni Rama
Ho conosciuto Giovanni Rama nel 1993. Mi ha ricevuto nel suo studio, una mattina, in
un breve intervallo fra un intervento chirurgico e l’altro. Una serie di circostanze fortuite
mi avevano condotto davanti ad un oculista che conoscevo solo di nome. Con poche
parole mi ha trasmesso il suo sogno: realizzare una banca degli occhi e contribuire a
risolvere il problema dei tempi di attesa per trapianto di cornea.
Il professore e Diego Ponzin
Ho avuto la fortuna di lavorare i primi due anni al suo fianco, dentro e fuori dalla sala
operatoria mentre, all’esterno dell’ospedale, allestivamo la prima sede della banca degli occhi, dove ci saremmo successivamente trasferiti. Nei primi mesi non è stato facile
lavorare con lui. Lo vedevo come un uomo duro e silenzioso, circondato da un alone di
mistero che facevo fatica a penetrare.
Poi ho capito che l’apparente durezza era in realtà rigore, morale e di comportamenti, che chiedeva agli altri, ma applicava prima di tutto a se stesso. Il silenzio non era
mancanza di comunicazione, ma la capacità di parlare con sguardi, gesti, poche parole
mai gridate. L’alone di mistero non era altro che il carisma e la solitudine del leader.
Ho cominciato a sentirmi orgoglioso di lavorare per lui.
Negli anni la banca degli occhi si è sviluppata e, insieme a Giovanni Rama e altri colleghi entusiasti, abbiamo raccolto circa ventimila donazioni di cornea, e fatto fare più di
diecimila trapianti. La banca degli occhi ha cambiato due sedi, si avvia ad occupare la
terza, nel nuovo ospedale di Mestre, ed è diventata un’istituzione che lavora nel campo
della comunicazione sociale, della formazione, dei trapianti, della ricerca, della medicina rigenerativa con cellule staminali. La potenza del sogno di Giovanni Rama ci ha
trascinati in un’avventura che sembra ancora ricca di prospettive. I pazienti, il mondo
dei trapianti, i collaboratori, devono molto a Giovanni Rama. Se oggi in Veneto e molte
regioni d’Italia il trapianto di cornea è diventato un’attività di eccellenza, programmata,
con tempi di attesa quasi azzerati, è merito suo. Ho molti ricordi che lo riguardano,
potrei occupare diversi volumi. Qualche volta abbiamo discusso duramente, scontrandoci intorno a qualche problema. Tuttavia la discussione rimaneva sempre confinata in
un particolare ambito, e il rapporto di reciproca fiducia non è mai venuto meno. D’altra
parte litigare con lui, nel senso classico del termine, era quasi impossibile: la lite non era
altro che uno scontro di silenzi, che gareggiavano a diventare sempre più silenziosi per
poi, lentamente, tornare a riempirsi di contenuti.
Fondazione Banca degli Occhi del Veneto News
N. 1 / Aprile 2008
Direttore Responsabile: Alessandra Veronese
Editore: Fondazione Banca degli Occhi del VenetoO.n.l.u.s.
Presidente: Giovanni Mazzacurati
Vice Presidente: Giancarlo Ruscitti
Consiglieri: Stefania Bullo, Alessandro Galan,
Maria Luisa Morella, Antonio Padoan
Hanno collaborato alla redazione di questo
numero: Michela Coppola, Dario De Marco, Cesare
Gardellin, Diego Ponzin, Maria Paola Scaramuzza,
Lucia Trevisiol.
Progetto Grafico: MILKadv.com
Tipografia: Grafiche Quattro, S. Maria di Sala (VE)
Tiratura: 26.500 copie
Registrazione al Tribunale di Venezia n. 1325 07/04/1999
N.1APRILE2008
Due aspetti della sua persona costituiscono un ricordo che mi è particolarmente caro.
La sua capacità di stupirsi, che gli faceva vivere ogni impresa con un entusiasmo che
mi contagiava. Il suo sottile senso dell’umorismo, che usava con grande parsimonia,
raramente in pubblico, ma che mi ha fatto condividere con lui molte risate quando, da
soli nel suo studio, parlavamo di tutto.
Ultimamente si era ritirato e l’ho incontrato poche volte, mai da solo. L’ultimo vero incontro risale all’inizio dell’estate 2003, quando trascorsi con lui una mattinata nella sua
casa sul lago di Garda. Abbiamo parlato a lungo. Alla fine passeggiavamo nel suo splendido frutteto. Lui coglieva frutti dagli alberi, e li metteva in un cestino che voleva che io
portassi alla mia famiglia. Intanto mi parlava degli sviluppi che, secondo lui, il trapianto
di cornea avrebbe avuto. Nella sua mente aveva disegnato nuovi interventi, più selettivi
e meno invasivi. Inoltre mi parlava con foga delle cellule staminali e delle possibilità che
avremmo potuto cogliere da nuove terapie basate sulle biotecnologie.
Negli ultimi anni, tutto quello che aveva in mente quel giorno si è avverato, rafforzando
in me la convinzione di aver lavorato vicino ad un grande chirurgo, capace di essere
visionario, pioniere, trascinatore.
Un grande uomo, insomma.
Arrivederci, Professore.
Lo scorso 28 dicembre se ne è andato il professor Giovanni Rama, cofondatore di Fondazione
Banca degli Occhi. Dentro di sé l’aveva voluta, creata e fatta crescere, fino a farla diventare
un punto di riferimento a livello internazionale…
Giovanni Rama e Piergiorgio Coin, fondatori di Fondazione Banca degli Occhi,
accolgono la visita del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1997
Una telefonata e la voce comincia a correre, attraverso le mail e gli sms, tra gli
uffici, i laboratori e le aule di Fondazione
Banca degli Occhi: il 28 dicembre scorso
se ne è andato il professore.
E’ passato molto tempo, ormai più di
vent’anni, da quando il prof. Giovanni
Rama ebbe l’idea, assieme al Cavaliere
del Lavoro dott. Piergiorgio Coin, di dare
vita a Fondazione Banca degli Occhi. Da
tempo nessuno scorgeva più la sua presenza in Fondazione, tra un intervento e
l’altro negli interstizi di tempo della sua
attività ospedaliera e dopo la pensione.
Spinto dall’esigenza pratica di avere un
maggior numero di tessuti per effettuare i
trapianti e dalla consapevolezza che queste operazioni potevano restituire una
vita migliore a centinaia di persone, ha
gettato le basi per creare la Banca degli
Occhi, che venne istituita da Regione Veneto nel 1987.
Dentro di sé l’aveva pensata, creata, cresciuta, fino a farla diventare un punto di
riferimento a livello internazionale.
E la mattina del 28 dicembre 2007 Fondazione lo salutava.
Erano gli anni ’80 quando la donazione
di cornee era il gesto di buona volontà
di pochi generosi “pionieri”, e il trapianto
una pratica appena agli inizi. Non esisteva
ancora neppure la legge 301/93 sul trapianto di cornea, di cui il professor Rama sarebbe stato il principale promotore.
Fu l’uomo dei record per gli interventi,
di cui 50.000 solo a Venezia Mestre, e di
questi ben 6.000 trapianti di cornea, che
costituivano la più ampia casistica a livello mondiale. Nato il 12 dicembre 1924 a
Lazise (VR), nei pressi del Lago di Garda,
Giovanni Rama si formò all’Università di
Pavia e dopo la laurea seguì un percorso
di specializzazione nelle migliori cliniche
universitarie oculistiche d’Europa: Barcellona, Losanna, Ginevra, Lione, Parigi,
Liegi. Uomo con grande intuito creativo
chirurgico, creò e diresse prima la Divisione Oculistica dell’Ospedale di Feltre, poi
quella dell’Ospedale di Venezia Mestre,
diventata un centro oculistico di valore
europeo, polo di riferimento internazionale. A lui si deve oggi anche lo sviluppo
di una particolare tecnica di chirurgia lamellare della cornea. Nel 1999, a Roma,
la Società Oftalmologica italiana (SOI)
gli conferì la medaglia d’oro di “Maestro
dell’Oftalmologia italiana”.
Ma se ridare il dono della vista era il suo
amato mestiere, farlo anche lì dove è la
povertà a togliere ogni luce diventò la
sua passione.
Il prof. Giovanni Rama per oltre vent’anni
si recò all’Ospedale di Wamba in Kenia,
in una delle zone più povere del centro
Africa, dove i Padri della Consolata fondarono negli anni ‘60 un ospedale. Lì
due volte all’anno, affiancato dall’infermiera professionista Lucia Trevisiol e da
un’equipe sempre nuova di infermieri e
chirurghi oftalmologi suoi allievi, Giovanni Rama si recava per esercitare la professione e operare gratuitamente, fino a
quando la salute glielo permise, chiedendo comunque a Fondazione di impegnarsi per organizzare almeno una spedizione
umanitaria all’anno con la presenza di un
oculista.
L’ultimo trapianto di cornea a Mestre fu
eseguito dal professore nel 1996, l’ultimo
giorno di lavoro prima di andare in pensione. L’ultimo intervento in Africa fu nel
2000.
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un
certo
sguardo
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sguardo
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1989 nasceva Fondazione
Dal reparto di oculistica alla sede di via Ospedale.
Gli inizi raccontati da Marina De Rossi, la prima assunta in Fondazione Banca degli Occhi
Poche parole, ed era già tutto chiaro: «Si
capiva che quello era e quello doveva
essere, massima attenzione sul lavoro e
massima correttezza. Il professore non
sgarrava». Così cominciò l’avventura di
Marina De Rossi, oggi responsabile del
coordinamento delle attività di donazione
e trapianto, prima assunta di Fondazione
Banca degli Occhi.
Marina ricorda ancora la prima sede di
Fondazione, situata proprio all’interno del reparto di Oculistica di Mestre.
Lì nacque nell’87 l’idea, e poi nell’89 la
struttura dedicata all’ambito del trapianto
e della donazione delle cornee e pensata
dapprima per garantire la disponibilità
dei tessuti corneali ai trapianti del prof.
Rama. «Era stata la fama e l’autorevolezza del professore a convincere l’ospe-
dale anche della bontà della donazione
– continua Marina – le donazioni provenivano da tutti i reparti, con una facilità
addirittura maggiore di quella di adesso.
Il lavoro più grosso era svolto però dai
necrofori dell’Ospedale di Mestre, che
in molti casi parlavano con le famiglie e
contattavano i medici dell’Oculistica per
effettuare i prelievi».
Con il primo colloquio di Marina, e in
seguito il trasferimento nella piccola
sede a due piani di via Ospedale, il prof.
Rama cominciò ad uscire dal reparto di
Mestre per seguire il lavoro di Fondazione e ogni tanto per aggiungersi, insieme
alla moglie, anche ai primi momenti di
ritrovo: «Sono rimaste storiche certe pastasciutte preparate nella piccola sede
di Fondazione tra i primi cinque o sei
dipendenti – ricorda Marina – e pur senza mai eccedere nella confusione, anche
il professore accettava il nostro invito a
partecipare».
Quelli erano anche i pochi momenti per
incontrare faccia a faccia il prof. Rama.
Una presenza che sia in reparto che in
Fondazione era carica di fascino, ma che
non mancava di incutere un po’ di timore
e di mistero.
In lungo e in largo con il professore,
a parlare di donazione
Quando ancora la gente non comprendeva: nessun costo, ma l’intima gioia di aver dato a
tanti nuova luce
«Giorno dopo giorno,
aumentavano le adesioni,
le donazioni, i trapianti.
Era un momento esaltante,
in Oculistica si vivevano
momenti magici.
Si realizzava a Mestre oltre
il 50% di quanto veniva fatto
in Italia.
La donazione era diventata
stile di vita»
Il laboratorio di Fondazione
Il professore durante un incontro
di promozione della donazione
La vecchia sede di Fondazione
di Cesare Gardellin*
In reparto: «Resta, abbiamo bisogno di te.
Ma non con quegli zoccoli!»
Gianni Salvalaio, da infermiere a tecnico di laboratorio in Fondazione
«Ero appena arrivato e sentivo continuamente parlare del prof. Rama, ma
non riuscivo mai a vederlo. Sono rimasto con la curiosità per una settimana».
Gianni Salvalaio era infermiere al reparto
di Oculistica, prima di diventare il primo
tecnico di laboratorio di Fondazione.
«Quando sono riuscito finalmente ad incontrarlo ho capito che era una persona
rispettatissima, aveva il vero carisma del
leader, riusciva a trasmettere quello che
era importante per il nostro lavoro praticamente solo con l’esempio: nella professionalità per la cura dei pazienti, nello
N.1APRILE2008
spazio che dedicava alla ricerca, nell’arrivare in tempo al lavoro, anzi spesso prima degli altri suoi assistenti».
Bastava si affacciasse perché calasse il
silenzio più assoluto: «Lui parlava poco.
Ricordo una volta però – continua Gianni - avevo fatto domanda per trasferirmi
in chirurgia e lui disse a me e ad un’altra
collega che no, dovevamo restare, perché in oculistica c’era bisogno di noi. Poi
mi squadrò, mi guardò e mi disse che dovevo cambiare gli zoccoli perché i miei,
un poco aperti sul davanti, non erano
abbastanza professionali! Rimasi, cam-
biando il mio paio di zoccoli, ovviamente…». Il rispetto reciproco tra il professore e il reparto era un punto fermo: «E’
vero, il professore non comunicava tanto, ma fu l’unico primario ad impegnarsi
per riconoscerci degli aumenti fuori dal
contratto di lavoro – ricorda Gianni Salvalaio - prima veniva il suo reparto, poi tutto
il resto. Per questo, quando da infermieri scendevamo in farmacia a prendere i
medicinali o giravamo per l’ospedale, sapevamo del nostro prestigio. E forse gli
altri ci prendevano un po’ in giro, magari
per invidia…».
Conobbi il professor Rama giusto trent’anni or sono. Ero appena andato in pensione.
Gli amici dell’Avis mi avevano pregato di
interessarmi dell’Aido, ai suoi primi vagiti.
Inconsciamente accettai per trovarmi alle
prese con due scatoloni di carte, suggerimenti, schede dei primi aderenti.
Trovai subito collaborazione dall’architetto Cerutti, che era stato presidente
dell’Ospedale, e dal dott. Zambon, dirigente del Provveditorato al Porto.
Cosa avremmo dovuto fare? Ci incontrammo subito con il professore che faceva i
suoi primi trapianti ma lamentava che erano poche le donazioni, la gente era timorosa, aveva paura, non conosceva quanto
bello e nobile fosse il donare: nessun costo, nessuno dolore, ma l’intima gioia di
aver dato nuova luce a tanti infelici.
Forti solo della disponibilità, cominciammo a girare per tutta la provincia, andammo nelle parrocchie, nelle scuole, caser-
me, associazioni d’arma e culturali, club; il
compianto dott. Rapisardi ci aprì le porte
del Gazzettino. Il metodo era valido, trovammo altra collaborazione con La Nuova
Venezia, con Gente Veneta, con la Nuova
Scintilla di Chioggia.
Il professore non mancò mai a tali incontri
e strada facendo discutevamo di quanto
fosse doveroso ricordare chi aveva donato,
partecipando magari ai funerali, momento di maggior sensibilizzazione, ricordandoli in apposite Giornate del Donatore. E,
sempre a tal fine, demmo origine ad un
Notiziario trimestrale, cento edizioni, cui
dovemmo poi rinunciare per le esigenze
delle Poste.
Giorno dopo giorno, aumentavano le adesioni, le donazioni, i trapianti. Era un momento esaltante, in Oculistica si vivevano
momenti magici. Si realizzava a Mestre oltre il 50% di quanto veniva fatto in Italia.
La donazione era diventata stile di vita.
Il prof. Rama ci fece partecipi dell’idea di
realizzare una banca degli occhi per poter
operare con razionalità.
Pareva bastasse un particolare frigorifero,
meglio due (poteva capitare un guasto,
che infatti capitò). Provvide a queste necessità la Mestre Benefica. Ora quel piccolo seme è diventato una prestigiosa istituzione che fa onore a tutta l’Europa.
Non possiamo ancora dimenticare come
ci abbia coinvolti per il recupero di occhiali per le genti del Terzo Mondo: a quintali
ne abbiamo raccolti, puliti, classificati e
spediti.
E non posso pure dimenticare che se in
cielo vi è un premio per un semplice bicchiere d’acqua donato per amore, tanto più ci sarà un premio per chi è stato il
maggior artefice di tanto bene.
*Presidente dell’Aido provinciale di Venezia negli anni ‘80 e ‘90
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1989 nasceva Fondazione
Dal reparto di oculistica alla sede di via Ospedale.
Gli inizi raccontati da Marina De Rossi, la prima assunta in Fondazione Banca degli Occhi
Poche parole, ed era già tutto chiaro: «Si
capiva che quello era e quello doveva
essere, massima attenzione sul lavoro e
massima correttezza. Il professore non
sgarrava». Così cominciò l’avventura di
Marina De Rossi, oggi responsabile del
coordinamento delle attività di donazione
e trapianto, prima assunta di Fondazione
Banca degli Occhi.
Marina ricorda ancora la prima sede di
Fondazione, situata proprio all’interno del reparto di Oculistica di Mestre.
Lì nacque nell’87 l’idea, e poi nell’89 la
struttura dedicata all’ambito del trapianto
e della donazione delle cornee e pensata
dapprima per garantire la disponibilità
dei tessuti corneali ai trapianti del prof.
Rama. «Era stata la fama e l’autorevolezza del professore a convincere l’ospe-
dale anche della bontà della donazione
– continua Marina – le donazioni provenivano da tutti i reparti, con una facilità
addirittura maggiore di quella di adesso.
Il lavoro più grosso era svolto però dai
necrofori dell’Ospedale di Mestre, che
in molti casi parlavano con le famiglie e
contattavano i medici dell’Oculistica per
effettuare i prelievi».
Con il primo colloquio di Marina, e in
seguito il trasferimento nella piccola
sede a due piani di via Ospedale, il prof.
Rama cominciò ad uscire dal reparto di
Mestre per seguire il lavoro di Fondazione e ogni tanto per aggiungersi, insieme
alla moglie, anche ai primi momenti di
ritrovo: «Sono rimaste storiche certe pastasciutte preparate nella piccola sede
di Fondazione tra i primi cinque o sei
dipendenti – ricorda Marina – e pur senza mai eccedere nella confusione, anche
il professore accettava il nostro invito a
partecipare».
Quelli erano anche i pochi momenti per
incontrare faccia a faccia il prof. Rama.
Una presenza che sia in reparto che in
Fondazione era carica di fascino, ma che
non mancava di incutere un po’ di timore
e di mistero.
In lungo e in largo con il professore,
a parlare di donazione
Quando ancora la gente non comprendeva: nessun costo, ma l’intima gioia di aver dato a
tanti nuova luce
«Giorno dopo giorno,
aumentavano le adesioni,
le donazioni, i trapianti.
Era un momento esaltante,
in Oculistica si vivevano
momenti magici.
Si realizzava a Mestre oltre
il 50% di quanto veniva fatto
in Italia.
La donazione era diventata
stile di vita»
Il laboratorio di Fondazione
Il professore durante un incontro
di promozione della donazione
La vecchia sede di Fondazione
di Cesare Gardellin*
In reparto: «Resta, abbiamo bisogno di te.
Ma non con quegli zoccoli!»
Gianni Salvalaio, da infermiere a tecnico di laboratorio in Fondazione
«Ero appena arrivato e sentivo continuamente parlare del prof. Rama, ma
non riuscivo mai a vederlo. Sono rimasto con la curiosità per una settimana».
Gianni Salvalaio era infermiere al reparto
di Oculistica, prima di diventare il primo
tecnico di laboratorio di Fondazione.
«Quando sono riuscito finalmente ad incontrarlo ho capito che era una persona
rispettatissima, aveva il vero carisma del
leader, riusciva a trasmettere quello che
era importante per il nostro lavoro praticamente solo con l’esempio: nella professionalità per la cura dei pazienti, nello
N.1APRILE2008
spazio che dedicava alla ricerca, nell’arrivare in tempo al lavoro, anzi spesso prima degli altri suoi assistenti».
Bastava si affacciasse perché calasse il
silenzio più assoluto: «Lui parlava poco.
Ricordo una volta però – continua Gianni - avevo fatto domanda per trasferirmi
in chirurgia e lui disse a me e ad un’altra
collega che no, dovevamo restare, perché in oculistica c’era bisogno di noi. Poi
mi squadrò, mi guardò e mi disse che dovevo cambiare gli zoccoli perché i miei,
un poco aperti sul davanti, non erano
abbastanza professionali! Rimasi, cam-
biando il mio paio di zoccoli, ovviamente…». Il rispetto reciproco tra il professore e il reparto era un punto fermo: «E’
vero, il professore non comunicava tanto, ma fu l’unico primario ad impegnarsi
per riconoscerci degli aumenti fuori dal
contratto di lavoro – ricorda Gianni Salvalaio - prima veniva il suo reparto, poi tutto
il resto. Per questo, quando da infermieri scendevamo in farmacia a prendere i
medicinali o giravamo per l’ospedale, sapevamo del nostro prestigio. E forse gli
altri ci prendevano un po’ in giro, magari
per invidia…».
Conobbi il professor Rama giusto trent’anni or sono. Ero appena andato in pensione.
Gli amici dell’Avis mi avevano pregato di
interessarmi dell’Aido, ai suoi primi vagiti.
Inconsciamente accettai per trovarmi alle
prese con due scatoloni di carte, suggerimenti, schede dei primi aderenti.
Trovai subito collaborazione dall’architetto Cerutti, che era stato presidente
dell’Ospedale, e dal dott. Zambon, dirigente del Provveditorato al Porto.
Cosa avremmo dovuto fare? Ci incontrammo subito con il professore che faceva i
suoi primi trapianti ma lamentava che erano poche le donazioni, la gente era timorosa, aveva paura, non conosceva quanto
bello e nobile fosse il donare: nessun costo, nessuno dolore, ma l’intima gioia di
aver dato nuova luce a tanti infelici.
Forti solo della disponibilità, cominciammo a girare per tutta la provincia, andammo nelle parrocchie, nelle scuole, caser-
me, associazioni d’arma e culturali, club; il
compianto dott. Rapisardi ci aprì le porte
del Gazzettino. Il metodo era valido, trovammo altra collaborazione con La Nuova
Venezia, con Gente Veneta, con la Nuova
Scintilla di Chioggia.
Il professore non mancò mai a tali incontri
e strada facendo discutevamo di quanto
fosse doveroso ricordare chi aveva donato,
partecipando magari ai funerali, momento di maggior sensibilizzazione, ricordandoli in apposite Giornate del Donatore. E,
sempre a tal fine, demmo origine ad un
Notiziario trimestrale, cento edizioni, cui
dovemmo poi rinunciare per le esigenze
delle Poste.
Giorno dopo giorno, aumentavano le adesioni, le donazioni, i trapianti. Era un momento esaltante, in Oculistica si vivevano
momenti magici. Si realizzava a Mestre oltre il 50% di quanto veniva fatto in Italia.
La donazione era diventata stile di vita.
Il prof. Rama ci fece partecipi dell’idea di
realizzare una banca degli occhi per poter
operare con razionalità.
Pareva bastasse un particolare frigorifero,
meglio due (poteva capitare un guasto,
che infatti capitò). Provvide a queste necessità la Mestre Benefica. Ora quel piccolo seme è diventato una prestigiosa istituzione che fa onore a tutta l’Europa.
Non possiamo ancora dimenticare come
ci abbia coinvolti per il recupero di occhiali per le genti del Terzo Mondo: a quintali
ne abbiamo raccolti, puliti, classificati e
spediti.
E non posso pure dimenticare che se in
cielo vi è un premio per un semplice bicchiere d’acqua donato per amore, tanto più ci sarà un premio per chi è stato il
maggior artefice di tanto bene.
*Presidente dell’Aido provinciale di Venezia negli anni ‘80 e ‘90
N.1APRILE2008
un
certo
sguardo
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certo
sguardo
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7
Rama e gli allievi,
che hanno “invaso” il Veneto…
L’Oculistica di Mestre ieri e oggi
L’eredità del professor Rama continua nel reparto di Elisabetta Böhm
Il ricordo di Albino Rapizzi:
«Rettitudine professionale e morale, questo era il carisma di Rama»
Albino Rapizzi, ex Primario del
reparto di Oculistica di Treviso, fu
tra i primi collaboratori del prof.
Giovanni Rama negli anni della
grande storia dell’oculistica mestrina. «Rispettava i suoi collaboratori, ci aiutava nell’apprendere,
cosa che a me e agli altri è servita moltissimo. Di fatto, Rama ha
aiutato la sua scuola ad “invadere”,
in un certo senso, il Veneto…».
Prof. Rapizzi, quando conobbe il
prof. Rama?
Ci siamo conosciuti a Pavia, io ero
un giovane specializzando presso il prof.
Marone, a cui Rama era molto affezionato. Da lì è nata una stima reciproca e una
simpatica amicizia, suffragata dall’amicizia profonda con il dottor Dario De Marco.
Poi, prof. Rapizzi, lei arrivò a Mestre.
Sono arrivato a Mestre nel ’67, e sono
stato uno dei suoi collaboratori. Si sentiva il carisma di quest’uomo, un carisma
dato dalla sua rettitudine professionale
e morale. Si avvertiva in reparto un clima
di grande rispetto e sincerità, ed entusiasmo nel lavoro. Rama era un uomo di
grandissime visioni, chirurgo abilissimo,
lavorava non solo con le mani ma soprattutto con la testa: pianificava per intero
gli interventi prima di arrivare in sala operatoria, e soprattutto aveva il coraggio e
la professionalità di essere innovativo. Per
questo creava entusiasmo nei suoi allievi.
C’è un episodio particolare che porta
con sé?
Certo che c’è, quando mi portò in docenza. E’ stato Rama a spronarmi a scrivere lavori e poi a presentarmi, il fatto
di essere diventato “professore” lo devo
anche a lui. E il regalo che mi fece fu
quello di mettermi da solo in un caldo
pomeriggio d’estate in una sala operatoria, con altri due colleghi, per eseguire
il mio primo trapianto di cornea. OvviaN.1APRILE2008
Albino Rapizzi e il professore
mente, prima mi aveva preparato.
Cos’era per Rama la rettitudine professionale?
Onestà nei confronti del paziente, non
pensava mai al paziente come un materiale da esperimento, non faceva mai promesse che non era sicuro di mantenere.
E con i malati?
Aveva un rapporto… muto! Ma non per
questo inespressivo. Comunicava molto,
ma non parlava. Una delle grandi funzioni
della nostra collaborazione era questa: integrarsi tanto nella sua visione per essere
poi più vicini al paziente. In questo modo,
con i malati parlavamo noi.
Che cosa il professore proprio non sopportava?
La maleducazione. Il ciarlare. Lui stava
bene nel silenzio, non gli andava la confusione. Un’altra cosa che non gli piaceva
era la burocrazia sanitaria, la riteneva una
cosa semplicemente non necessaria.
I colleghi con lui che rapporto avevano?
Godeva della stima dei colleghi, era molto considerato perché lavorava sempre al
massimo delle sue possibilità: era gracile
fisicamente, ma fortissimo intellettualmente. Si sacrificava, si sentiva un monaco. Mangiava poco, andava a letto presto,
il suo fisico era sostenuto da una volontà
eccezionale.
L’esperienza dell’Africa, che
ha segnato la vita del professor Rama, ha contagiato
anche lei dottor Rapizzi?
Rama ci è andato per la prima
volta invitato dal prof. Vannini di Torino e dal prof. Galeazzi di Milano. Il suo primo
viaggio fu di grandissimo impatto umano, e proprio perché lui era un cattolico l’aveva scosso tantissimo. Io andai
per la prima volta a Wamba
in Kenya nel ’76 insieme al
dottor De Marco. C’era la soddisfazione
di poter portare la nostra esperienza di
chirurghi.
Dell’Africa cosa ricorda di più?
Quel silenzio spaventoso, il cielo a cupola, la grande luce delle notti di luna
piena. Anche alcuni serpenti che ogni
tanto vedevo, e di cui ho il terrore… I
canti notturni dei Samburu, le loro tribù,
i colori dell’alba e soprattutto i contatti
umani con le suore, i missionari e il dottor Prandoni, fondatore dell’Ospedale.
«CON I PAZIENTI AVEVA UN
RAPPORTO... MUTO! MA NON PER
QUESTO INESPRESSIVO.
COMUNICAVA MOLTO, MA NON
PARLAVA»
Dottoressa Böhm, come vivrebbe il professor Rama nella medicina di oggi?
Si troverebbe malissimo. Soprattutto per
la burocratizzazione, che non avrebbe
tollerato: gli dava fastidio anche l’idea
di timbrare il cartellino, il suo personale
se l’è formato tutto lui. Poi non amava la
tecnologia, non ha mai utilizzato il microscopio negli interventi fino a quando non fu suo figlio Paolo ad introdurlo.
Fuori dalla sala operatoria si sentiva un
pesce fuor d’acqua.
Qual è il suo ricordo del professore?
Era un oculista eccezionale, aveva la “religione dell’occhio”: non faceva mai niente che non fosse essenziale, ecco perché
non aveva mai complicazioni.
E poi c’era la sua capacità di diagnosi,
che iniziava vedendo come il paziente
entrava nella sala. Difficilmente chiedeva esami a vuoto.
E’ rimasto proverbiale anche il suo carattere…
L’unica parola con me un po’ confiden-
Elisabetta Böhm
ziale fu quando, dopo sei anni di matrimonio, gli dissi: professore, sono incinta.
Lui rispose: “ciò, gera ora!”. In reparto
avevamo 65 letti e se trovava un familiare fuori dall’orario delle visite, dimetteva
il paziente. Una volta lo fece, si sparse la
voce, e per alcuni mesi nessuno osò più
sgarrare. Era il suo modo di lavorare, e
forse aveva ragione. Se non fosse stato
così riservato sarebbe andato più spesso
in Tv, sarebbe stato un medico da rotocalco, ma non ne era capace.
Cosa conserva il reparto dell’eredità
del prof. Rama?
Senz’altro la trapiantistica, per cui siamo
ancora un punto di riferimento nazionale, nonostante oggi i trapianti siano diminuiti a quasi un decimo di quanti ne
faceva lui, ma allora eravamo gli unici.
Grazie a lui, siamo anche l’unico reparto che si occupa di tutta la chirurgia
oculare.
Lei personalmente cosa porta con sé
del professore, nella sua professione?
Ahimé tutto, a cominciare dal rapporto
con i dipendenti. Tendo ad imporre il rispetto delle regole. Una cosa che lui ci
ha insegnato è che tu al lavoro devi dare
il massimo, e non ti possono chiedere di
più. Noi qui abbiamo ancora le nostre
soddisfazioni, ma la principale è il rapporto con il paziente.
Il futuro dell’ oculistica di Mestre?
Saremo gli unici ad avere il femtolaser,
un’apparecchiatura più precisa per gli interventi. Con il nuovo ospedale di Mestre
avremo spazi piccoli, un’alta tecnologia,
ma l’assistenza è tutta da reinventare.
«Sapevamo a memoria i 65 nomi dei pazienti»
Il ricordo di Giancarlo Caprioglio, oggi primario all’Ospedale civile di Venezia
E’ difficile immaginare, per chi non l’ha vissuto, cos’era il vecchio reparto di Oculistica
dell’Ospedale Umberto I di Mestre all’inizio degli anni ‘70. Un reparto in continua
evoluzione: «La prima fu il trasloco dalla
sede di Villa Cecchini al nuovo reparto nel
Monoblocco dell’ospedale: prima eravamo
dislocati su due piani e senza ascensore,
con i pazienti da trasportare a braccia da
un piano all’altro. Poi tra luglio e agosto del
’72 è cambiato tutto». Ma le rivoluzioni più
grandi, racconta Giancarlo Caprioglio, da
15 anni primario di Oculistica all’ospedale
civile di Venezia ed allora allievo di Giovanni
Rama, provenivano dall’entusiasmo e dalla
vitalità professionale del celebre primario
dell’oculistica mestrina. «La sua più grossa
intuizione è stata la cornea e la Banca degli Occhi – racconta oggi il medico – ma
non fu certo l’unica. Nel ’71, cioè 37 anni
Giovanni Rama e Giancarlo Caprioglio
fa, c’erano pochi oculisti in Italia, ad andare
per la maggiore erano i francesi. Con il lavoro del prof. Rama cresceva l’oculistica italiana». Continua il dott. Caprioglio: «Il prof.
Rama era anche un mago delle plastiche
palmari, per la sua abilità e la sua tecnica.
E’ stato un pioniere in tutto.
Mandò me, ad esempio, a fare uno dei
primi corsi in ecografia quando in Italia gli
ecografi erano tre».
Un reparto, quello mestrino, che filava
come un treno: «Facevamo tutti il giro dei
pazienti alle 7.30, poi c’era la visita opera-
toria, ad ogni medico era quindi affidato
un intervento, a seconda dell’esperienza
e delle competenze di ciascuno. Eravamo
un’oculistica moderna».
Non si parlava di risk management o di
informatizzazione: «Cartella elettronica?
Quella dell’azienda ospedaliera di Padova
di allora, tanto per dirne una, era di trenta
pagine. La nostra era di una sola facciata.
Bastava un’occhiata, e il chirurgo veniva a
sapere tutto. Rama ha tenuto molto al suo
lavoro, senza mai cedere alle sirene della
clinica privata. Avevamo 65 letti e ricordavamo a memoria tutti i nomi dei pazienti.
Una cosa – conclude uno degli eredi del
professore – che oggi sarebbe impensabile. Il Prof. Rama era un uomo di poche
parole ma di grande carisma. Per capire
se si era fatto bene o male, bastava uno
sguardo».
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sguardo
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Rama e gli allievi,
che hanno “invaso” il Veneto…
L’Oculistica di Mestre ieri e oggi
L’eredità del professor Rama continua nel reparto di Elisabetta Böhm
Il ricordo di Albino Rapizzi:
«Rettitudine professionale e morale, questo era il carisma di Rama»
Albino Rapizzi, ex Primario del
reparto di Oculistica di Treviso, fu
tra i primi collaboratori del prof.
Giovanni Rama negli anni della
grande storia dell’oculistica mestrina. «Rispettava i suoi collaboratori, ci aiutava nell’apprendere,
cosa che a me e agli altri è servita moltissimo. Di fatto, Rama ha
aiutato la sua scuola ad “invadere”,
in un certo senso, il Veneto…».
Prof. Rapizzi, quando conobbe il
prof. Rama?
Ci siamo conosciuti a Pavia, io ero
un giovane specializzando presso il prof.
Marone, a cui Rama era molto affezionato. Da lì è nata una stima reciproca e una
simpatica amicizia, suffragata dall’amicizia profonda con il dottor Dario De Marco.
Poi, prof. Rapizzi, lei arrivò a Mestre.
Sono arrivato a Mestre nel ’67, e sono
stato uno dei suoi collaboratori. Si sentiva il carisma di quest’uomo, un carisma
dato dalla sua rettitudine professionale
e morale. Si avvertiva in reparto un clima
di grande rispetto e sincerità, ed entusiasmo nel lavoro. Rama era un uomo di
grandissime visioni, chirurgo abilissimo,
lavorava non solo con le mani ma soprattutto con la testa: pianificava per intero
gli interventi prima di arrivare in sala operatoria, e soprattutto aveva il coraggio e
la professionalità di essere innovativo. Per
questo creava entusiasmo nei suoi allievi.
C’è un episodio particolare che porta
con sé?
Certo che c’è, quando mi portò in docenza. E’ stato Rama a spronarmi a scrivere lavori e poi a presentarmi, il fatto
di essere diventato “professore” lo devo
anche a lui. E il regalo che mi fece fu
quello di mettermi da solo in un caldo
pomeriggio d’estate in una sala operatoria, con altri due colleghi, per eseguire
il mio primo trapianto di cornea. OvviaN.1APRILE2008
Albino Rapizzi e il professore
mente, prima mi aveva preparato.
Cos’era per Rama la rettitudine professionale?
Onestà nei confronti del paziente, non
pensava mai al paziente come un materiale da esperimento, non faceva mai promesse che non era sicuro di mantenere.
E con i malati?
Aveva un rapporto… muto! Ma non per
questo inespressivo. Comunicava molto,
ma non parlava. Una delle grandi funzioni
della nostra collaborazione era questa: integrarsi tanto nella sua visione per essere
poi più vicini al paziente. In questo modo,
con i malati parlavamo noi.
Che cosa il professore proprio non sopportava?
La maleducazione. Il ciarlare. Lui stava
bene nel silenzio, non gli andava la confusione. Un’altra cosa che non gli piaceva
era la burocrazia sanitaria, la riteneva una
cosa semplicemente non necessaria.
I colleghi con lui che rapporto avevano?
Godeva della stima dei colleghi, era molto considerato perché lavorava sempre al
massimo delle sue possibilità: era gracile
fisicamente, ma fortissimo intellettualmente. Si sacrificava, si sentiva un monaco. Mangiava poco, andava a letto presto,
il suo fisico era sostenuto da una volontà
eccezionale.
L’esperienza dell’Africa, che
ha segnato la vita del professor Rama, ha contagiato
anche lei dottor Rapizzi?
Rama ci è andato per la prima
volta invitato dal prof. Vannini di Torino e dal prof. Galeazzi di Milano. Il suo primo
viaggio fu di grandissimo impatto umano, e proprio perché lui era un cattolico l’aveva scosso tantissimo. Io andai
per la prima volta a Wamba
in Kenya nel ’76 insieme al
dottor De Marco. C’era la soddisfazione
di poter portare la nostra esperienza di
chirurghi.
Dell’Africa cosa ricorda di più?
Quel silenzio spaventoso, il cielo a cupola, la grande luce delle notti di luna
piena. Anche alcuni serpenti che ogni
tanto vedevo, e di cui ho il terrore… I
canti notturni dei Samburu, le loro tribù,
i colori dell’alba e soprattutto i contatti
umani con le suore, i missionari e il dottor Prandoni, fondatore dell’Ospedale.
«CON I PAZIENTI AVEVA UN
RAPPORTO... MUTO! MA NON PER
QUESTO INESPRESSIVO.
COMUNICAVA MOLTO, MA NON
PARLAVA»
Dottoressa Böhm, come vivrebbe il professor Rama nella medicina di oggi?
Si troverebbe malissimo. Soprattutto per
la burocratizzazione, che non avrebbe
tollerato: gli dava fastidio anche l’idea
di timbrare il cartellino, il suo personale
se l’è formato tutto lui. Poi non amava la
tecnologia, non ha mai utilizzato il microscopio negli interventi fino a quando non fu suo figlio Paolo ad introdurlo.
Fuori dalla sala operatoria si sentiva un
pesce fuor d’acqua.
Qual è il suo ricordo del professore?
Era un oculista eccezionale, aveva la “religione dell’occhio”: non faceva mai niente che non fosse essenziale, ecco perché
non aveva mai complicazioni.
E poi c’era la sua capacità di diagnosi,
che iniziava vedendo come il paziente
entrava nella sala. Difficilmente chiedeva esami a vuoto.
E’ rimasto proverbiale anche il suo carattere…
L’unica parola con me un po’ confiden-
Elisabetta Böhm
ziale fu quando, dopo sei anni di matrimonio, gli dissi: professore, sono incinta.
Lui rispose: “ciò, gera ora!”. In reparto
avevamo 65 letti e se trovava un familiare fuori dall’orario delle visite, dimetteva
il paziente. Una volta lo fece, si sparse la
voce, e per alcuni mesi nessuno osò più
sgarrare. Era il suo modo di lavorare, e
forse aveva ragione. Se non fosse stato
così riservato sarebbe andato più spesso
in Tv, sarebbe stato un medico da rotocalco, ma non ne era capace.
Cosa conserva il reparto dell’eredità
del prof. Rama?
Senz’altro la trapiantistica, per cui siamo
ancora un punto di riferimento nazionale, nonostante oggi i trapianti siano diminuiti a quasi un decimo di quanti ne
faceva lui, ma allora eravamo gli unici.
Grazie a lui, siamo anche l’unico reparto che si occupa di tutta la chirurgia
oculare.
Lei personalmente cosa porta con sé
del professore, nella sua professione?
Ahimé tutto, a cominciare dal rapporto
con i dipendenti. Tendo ad imporre il rispetto delle regole. Una cosa che lui ci
ha insegnato è che tu al lavoro devi dare
il massimo, e non ti possono chiedere di
più. Noi qui abbiamo ancora le nostre
soddisfazioni, ma la principale è il rapporto con il paziente.
Il futuro dell’ oculistica di Mestre?
Saremo gli unici ad avere il femtolaser,
un’apparecchiatura più precisa per gli interventi. Con il nuovo ospedale di Mestre
avremo spazi piccoli, un’alta tecnologia,
ma l’assistenza è tutta da reinventare.
«Sapevamo a memoria i 65 nomi dei pazienti»
Il ricordo di Giancarlo Caprioglio, oggi primario all’Ospedale civile di Venezia
E’ difficile immaginare, per chi non l’ha vissuto, cos’era il vecchio reparto di Oculistica
dell’Ospedale Umberto I di Mestre all’inizio degli anni ‘70. Un reparto in continua
evoluzione: «La prima fu il trasloco dalla
sede di Villa Cecchini al nuovo reparto nel
Monoblocco dell’ospedale: prima eravamo
dislocati su due piani e senza ascensore,
con i pazienti da trasportare a braccia da
un piano all’altro. Poi tra luglio e agosto del
’72 è cambiato tutto». Ma le rivoluzioni più
grandi, racconta Giancarlo Caprioglio, da
15 anni primario di Oculistica all’ospedale
civile di Venezia ed allora allievo di Giovanni
Rama, provenivano dall’entusiasmo e dalla
vitalità professionale del celebre primario
dell’oculistica mestrina. «La sua più grossa
intuizione è stata la cornea e la Banca degli Occhi – racconta oggi il medico – ma
non fu certo l’unica. Nel ’71, cioè 37 anni
Giovanni Rama e Giancarlo Caprioglio
fa, c’erano pochi oculisti in Italia, ad andare
per la maggiore erano i francesi. Con il lavoro del prof. Rama cresceva l’oculistica italiana». Continua il dott. Caprioglio: «Il prof.
Rama era anche un mago delle plastiche
palmari, per la sua abilità e la sua tecnica.
E’ stato un pioniere in tutto.
Mandò me, ad esempio, a fare uno dei
primi corsi in ecografia quando in Italia gli
ecografi erano tre».
Un reparto, quello mestrino, che filava
come un treno: «Facevamo tutti il giro dei
pazienti alle 7.30, poi c’era la visita opera-
toria, ad ogni medico era quindi affidato
un intervento, a seconda dell’esperienza
e delle competenze di ciascuno. Eravamo
un’oculistica moderna».
Non si parlava di risk management o di
informatizzazione: «Cartella elettronica?
Quella dell’azienda ospedaliera di Padova
di allora, tanto per dirne una, era di trenta
pagine. La nostra era di una sola facciata.
Bastava un’occhiata, e il chirurgo veniva a
sapere tutto. Rama ha tenuto molto al suo
lavoro, senza mai cedere alle sirene della
clinica privata. Avevamo 65 letti e ricordavamo a memoria tutti i nomi dei pazienti.
Una cosa – conclude uno degli eredi del
professore – che oggi sarebbe impensabile. Il Prof. Rama era un uomo di poche
parole ma di grande carisma. Per capire
se si era fatto bene o male, bastava uno
sguardo».
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«Scienziato accorto e medico pratico,
Giovanni Rama era una guida»
«5 minuti con Rama e pensai: mi farò
operare da lui»
Una straordinaria capacità di condurre, formare, responsabilizzare i suoi collaboratori
Nicolino Ambrosini, direttore di banca a Roma, non riusciva più a firmare i documenti, ed era
già diretto a Barcellona. Il suo fu uno dei 6.000 trapianti mestrini del professore
di Dario De Marco*
Egli si è spento nel silenzio della sua ultima notte, alla fine di una vita percorsa
in maniera esemplare. Concepiva la sua
attività come un dovere: rude anche con
se stesso, qualche volta un po’ severo
nell’apparenza. Economo di parole, agiva
con riserbo; si dedicava ai pazienti come
se offrisse un dono, un dono che, confidava ai suoi intimi con modestia, nello stesso tempo concedeva anche a se stesso. Ha
lasciato un’impronta di rigore e generosità: bontà sincera, discreta, animata da
una fede profonda, attinta alle sue origini e mantenuta a livello delle più discrete
espressioni, ma che non abbandonò mai.
Una delle sue grandi qualità fu l’interesse
e l’amicizia che portava ai suoi collaboratori, accanto a una straordinaria capacità
di condurre, di formare degli uomini, di
responsabilizzarli, che esprimeva naturalmente e che ognuno subiva con autentica deferenza.
Ultimo esempio dei grandi Maestri classici, ha fatto molto per facilitare il loro lavoro e ha avuto la soddisfazione di vederne
molti accedere a funzioni importanti.
Ha dominato, nella sua totalità, una oftalmologia che si stava scindendo in un
grande numero di specialità. In lui si sono
alleati, in maniera armoniosa, lo spirito
critico dello scienziato accorto e il senso
clinico del medico pratico: è stato innovatore e audace, con la fibra sociale e il
senso dell’interesse comune. Usava dire:
“Il diritto del paziente è la propria soddisfazione, non quella del chirurgo”.
«Soleva dire: Il diritto
del paziente è la propria
soddisfazione, non quella
del chirurgo»
* Chirurgo Oftalmologo, già primario
dell’Ospedale di Belluno
«Andai a trovarlo e lui insistette per
misurarmi l’ipertono. Fu provvidenziale»
Egidio Rigoli e l’amicizia con Rama, a Vittorio Veneto agli inizi della carriera
«Riflessivo, posato, lo conoscevo dagli
anni ’60. Allora non si era ancora specializzato. Era proiettato nell’ambito ospedaliero, voleva costruirsi come tutti una base
economica e lo presero a Vittorio Veneto
come consulente. In quel periodo venne
attivato un servizio che prima non c’era:
quando alcuni anni dopo andò via il dottor Giovanni Rama, l’oculistica di Vittorio
Veneto aveva guadagnato la sua fama.
Giovane, Rama era già un consulente di
tutto rispetto».
Fu un’amicizia particolare quella che legò
il prof. Rama al dottor Egidio Rigoli, entrambi intorno agli anni ’60 lavoravano
nello steso ospedale di Vittorio Veneto:
il primo come consulente nel reparto
di oculistica, il secondo al laboratorio
di anatomia patologica. «Il nostro fu un
rapporto d’amicizia solido, anche se
dopo quel periodo prendemmo strade
N.1APRILE2008
diverse. Andai a trovarlo a distanza di
anni, quand’ero primario all’ospedale di
Treviso, e fu una visita provvidenziale:
insistette per misurarmi l’ipertono oculare, trovando un problema latente alla
pressione dell’occhio». Dovevano essere
all’incirca gli anni ottanta, quando il prof.
Rama mostrò all’amico Rigoli l’attività
dell’oculistica mestrina: «Rama, che era
un po’ restio alla chiacchiera, quella volta mi tenne a lungo a parlare dell’attività
dei trapianti a Mestre». Da uno di quei
successivi incontri scaturì anche la collaborazione del prof. Rigoli con Fondazione Banca degli Occhi: «Il mio lavoro in
ambito sierologico e microchimico mi
portò a tenere lezioni ai medici che frequentavano la Banca degli Occhi» continua a raccontare il medico, «facevamo
conferenze per i medici per parlare degli
aspetti legati alle infezioni, e per sapere
quali erano i rischi di malattie infettive
trasmettibili».
Ma com’era il professore da giovane medico? «Io ho colto che lui non era oculista
per caso – conclude il dottor Rigoli – era
molto appassionato del suo lavoro.
Normalmente, nella professione, si partiva dall’università facendosi presentare ai
vari reparti, lui invece era uno “scalpitante”, all’inizio credo si mosse da sé.
La sua posizione la doveva solamente a
se stesso».
«Da giovane era già un
consulente di tutto rispetto.
Rama non fu mai “oculista
per caso”…»
e molto in fretta. Il 1°
«Entravo nello studio di
maggio dell’89 Lucia mi
Rama, e senza neanche
chiamò al telefono».
sentirlo parlare avevo
Il giorno della Festa dei
già deciso: mi sarei fatLavoratori non pareva
to operare da lui. E dire
una data delle più rasche la visita - racconta
sicuranti per sottoporsi
oggi Nicolino, a distanad un intervento chiza di vent’anni - non
rurgico: «Non ci avrei
durò più di 5 minuti».
sperato. Quando sono
Mai lasciarsi ingannaarrivato in reparto di
re dai nomi. Nicolino
primo acchito mi sono
Ambrosini, uomo di
chiesto: ma sono davbella presenza e di
vero in Italia? Arrivai e
robusta statura, 58
feci tutta la parte clinianni, nato a Pescara e
ca: analisi, torace, tutto
romano d’adozione,
Il
professore
quello che serviva. Due
era anche allora uno
ore dopo ero pronto per entrare in sala». Fu
stimato professionista con una vita molto
un disguido a far rimandare l’intervento al
attiva e densa di responsabilità, direttore
giorno dopo: «Lasciarono che mia moglie,
di un istituto di credito. «Scoprii il mio staquella notte, dormisse in camera con me.
to di salute casualmente, accompagnando
Quando sono arrivato qui a Mestre non vemia moglie ad una visita». Fu lì che scoprì
devo nulla, avevo una lacrimazione forte.
la propria malattia: «Cheratocono? Ma che
Mi operarono e poi mi tennero a letto per
significava? Pian piano mi sono acculturato
tre o quattro giorni. Quel ricovero, tuttavia,
– continua Nicolino - ho deciso di capire di
mi sembrò quasi un day hospital». Il trapianche cosa si trattasse. Avevo deciso di andato andò a buon fine. Due anni dopo, fu la
re ad operarmi a Barcellona, senonché mio
volta dell’altro occhio.
fratello anestesista mi telefonò dicendo
Il percorso del signor Ambrosini però non
che diversi pazienti erano andati a Mestre.
finì lì. Il suo fu uno dei casi, in realtà piuttoAvevo fatto tante visite a Roma, ma non mi
sto rari, in cui si presentò da una parte l’opasentivo tranquillo. Il 13 dicembre dell’87, il
cizzazione del tessuto corneale, e dall’altra il
giorno di Santa Lucia, venni qui a Mestre
rigetto. L’ultimo intervento di Nicolino risale
per la prima volta».
infatti appena al maggio dello scorso anno.
Fu proprio quello il giorno dell’incontro con
«Ma quello che mi resta dentro, nonostante
il prof. Giovanni Rama. «Lo vidi, e mi ispirò
tutto, è la sensazione di ritornare a vedere.
subito fiducia. Sintetico, mi spiegò tecniIo debbo dire grazie a questa struttura, a
camente l’intervento, e poi conobbi una
Lucia, e al prof. Rama.
signora “molto antipatica”…» racconta NiLa preghierina della sera la faccio sempre
colino ridendo e strizzando l’occhio a Lucia
per coloro che hanno donato. Vivo ancora a
Trevisiol, infermiera caporeparto e “angelo
Roma, ma appena c’è un problema piglio e
custode” di moltissimi pazienti che in quegli
vengo a Mestre».
anni si affidavano alle mani del professore.
«Con Rama, questo posto mi ha ridato la vi«Avevo un cheratocono fulminante in fase
sta» dice oggi Nicolino, guardandosi attorperforante, continuavo a fare il mio lavoro,
no nel reparto di oculistica di Mestre. «Quema non riuscivo più a firmare i documenti.
sta è diventata la mia seconda casa».
Il mio stato di salute peggiorava di molto
Il giorno della Festa dei
Lavoratori non pareva UNA
DATA delle più rassicuranti
per sottoporsi
ad intervento chirurgico:
«Non ci avrei sperato.
Quando sono arrivato in
reparto di primo acchito
mi sono chiesto: ma sono
davvero in Italia? »
N.1APRILE2008
un
certo
sguardo
un
certo
sguardo
8
9
«Scienziato accorto e medico pratico,
Giovanni Rama era una guida»
«5 minuti con Rama e pensai: mi farò
operare da lui»
Una straordinaria capacità di condurre, formare, responsabilizzare i suoi collaboratori
Nicolino Ambrosini, direttore di banca a Roma, non riusciva più a firmare i documenti, ed era
già diretto a Barcellona. Il suo fu uno dei 6.000 trapianti mestrini del professore
di Dario De Marco*
Egli si è spento nel silenzio della sua ultima notte, alla fine di una vita percorsa
in maniera esemplare. Concepiva la sua
attività come un dovere: rude anche con
se stesso, qualche volta un po’ severo
nell’apparenza. Economo di parole, agiva
con riserbo; si dedicava ai pazienti come
se offrisse un dono, un dono che, confidava ai suoi intimi con modestia, nello stesso tempo concedeva anche a se stesso. Ha
lasciato un’impronta di rigore e generosità: bontà sincera, discreta, animata da
una fede profonda, attinta alle sue origini e mantenuta a livello delle più discrete
espressioni, ma che non abbandonò mai.
Una delle sue grandi qualità fu l’interesse
e l’amicizia che portava ai suoi collaboratori, accanto a una straordinaria capacità
di condurre, di formare degli uomini, di
responsabilizzarli, che esprimeva naturalmente e che ognuno subiva con autentica deferenza.
Ultimo esempio dei grandi Maestri classici, ha fatto molto per facilitare il loro lavoro e ha avuto la soddisfazione di vederne
molti accedere a funzioni importanti.
Ha dominato, nella sua totalità, una oftalmologia che si stava scindendo in un
grande numero di specialità. In lui si sono
alleati, in maniera armoniosa, lo spirito
critico dello scienziato accorto e il senso
clinico del medico pratico: è stato innovatore e audace, con la fibra sociale e il
senso dell’interesse comune. Usava dire:
“Il diritto del paziente è la propria soddisfazione, non quella del chirurgo”.
«Soleva dire: Il diritto
del paziente è la propria
soddisfazione, non quella
del chirurgo»
* Chirurgo Oftalmologo, già primario
dell’Ospedale di Belluno
«Andai a trovarlo e lui insistette per
misurarmi l’ipertono. Fu provvidenziale»
Egidio Rigoli e l’amicizia con Rama, a Vittorio Veneto agli inizi della carriera
«Riflessivo, posato, lo conoscevo dagli
anni ’60. Allora non si era ancora specializzato. Era proiettato nell’ambito ospedaliero, voleva costruirsi come tutti una base
economica e lo presero a Vittorio Veneto
come consulente. In quel periodo venne
attivato un servizio che prima non c’era:
quando alcuni anni dopo andò via il dottor Giovanni Rama, l’oculistica di Vittorio
Veneto aveva guadagnato la sua fama.
Giovane, Rama era già un consulente di
tutto rispetto».
Fu un’amicizia particolare quella che legò
il prof. Rama al dottor Egidio Rigoli, entrambi intorno agli anni ’60 lavoravano
nello steso ospedale di Vittorio Veneto:
il primo come consulente nel reparto
di oculistica, il secondo al laboratorio
di anatomia patologica. «Il nostro fu un
rapporto d’amicizia solido, anche se
dopo quel periodo prendemmo strade
N.1APRILE2008
diverse. Andai a trovarlo a distanza di
anni, quand’ero primario all’ospedale di
Treviso, e fu una visita provvidenziale:
insistette per misurarmi l’ipertono oculare, trovando un problema latente alla
pressione dell’occhio». Dovevano essere
all’incirca gli anni ottanta, quando il prof.
Rama mostrò all’amico Rigoli l’attività
dell’oculistica mestrina: «Rama, che era
un po’ restio alla chiacchiera, quella volta mi tenne a lungo a parlare dell’attività
dei trapianti a Mestre». Da uno di quei
successivi incontri scaturì anche la collaborazione del prof. Rigoli con Fondazione Banca degli Occhi: «Il mio lavoro in
ambito sierologico e microchimico mi
portò a tenere lezioni ai medici che frequentavano la Banca degli Occhi» continua a raccontare il medico, «facevamo
conferenze per i medici per parlare degli
aspetti legati alle infezioni, e per sapere
quali erano i rischi di malattie infettive
trasmettibili».
Ma com’era il professore da giovane medico? «Io ho colto che lui non era oculista
per caso – conclude il dottor Rigoli – era
molto appassionato del suo lavoro.
Normalmente, nella professione, si partiva dall’università facendosi presentare ai
vari reparti, lui invece era uno “scalpitante”, all’inizio credo si mosse da sé.
La sua posizione la doveva solamente a
se stesso».
«Da giovane era già un
consulente di tutto rispetto.
Rama non fu mai “oculista
per caso”…»
e molto in fretta. Il 1°
«Entravo nello studio di
maggio dell’89 Lucia mi
Rama, e senza neanche
chiamò al telefono».
sentirlo parlare avevo
Il giorno della Festa dei
già deciso: mi sarei fatLavoratori non pareva
to operare da lui. E dire
una data delle più rasche la visita - racconta
sicuranti per sottoporsi
oggi Nicolino, a distanad un intervento chiza di vent’anni - non
rurgico: «Non ci avrei
durò più di 5 minuti».
sperato. Quando sono
Mai lasciarsi ingannaarrivato in reparto di
re dai nomi. Nicolino
primo acchito mi sono
Ambrosini, uomo di
chiesto: ma sono davbella presenza e di
vero in Italia? Arrivai e
robusta statura, 58
feci tutta la parte clinianni, nato a Pescara e
ca: analisi, torace, tutto
romano d’adozione,
Il
professore
quello che serviva. Due
era anche allora uno
ore dopo ero pronto per entrare in sala». Fu
stimato professionista con una vita molto
un disguido a far rimandare l’intervento al
attiva e densa di responsabilità, direttore
giorno dopo: «Lasciarono che mia moglie,
di un istituto di credito. «Scoprii il mio staquella notte, dormisse in camera con me.
to di salute casualmente, accompagnando
Quando sono arrivato qui a Mestre non vemia moglie ad una visita». Fu lì che scoprì
devo nulla, avevo una lacrimazione forte.
la propria malattia: «Cheratocono? Ma che
Mi operarono e poi mi tennero a letto per
significava? Pian piano mi sono acculturato
tre o quattro giorni. Quel ricovero, tuttavia,
– continua Nicolino - ho deciso di capire di
mi sembrò quasi un day hospital». Il trapianche cosa si trattasse. Avevo deciso di andato andò a buon fine. Due anni dopo, fu la
re ad operarmi a Barcellona, senonché mio
volta dell’altro occhio.
fratello anestesista mi telefonò dicendo
Il percorso del signor Ambrosini però non
che diversi pazienti erano andati a Mestre.
finì lì. Il suo fu uno dei casi, in realtà piuttoAvevo fatto tante visite a Roma, ma non mi
sto rari, in cui si presentò da una parte l’opasentivo tranquillo. Il 13 dicembre dell’87, il
cizzazione del tessuto corneale, e dall’altra il
giorno di Santa Lucia, venni qui a Mestre
rigetto. L’ultimo intervento di Nicolino risale
per la prima volta».
infatti appena al maggio dello scorso anno.
Fu proprio quello il giorno dell’incontro con
«Ma quello che mi resta dentro, nonostante
il prof. Giovanni Rama. «Lo vidi, e mi ispirò
tutto, è la sensazione di ritornare a vedere.
subito fiducia. Sintetico, mi spiegò tecniIo debbo dire grazie a questa struttura, a
camente l’intervento, e poi conobbi una
Lucia, e al prof. Rama.
signora “molto antipatica”…» racconta NiLa preghierina della sera la faccio sempre
colino ridendo e strizzando l’occhio a Lucia
per coloro che hanno donato. Vivo ancora a
Trevisiol, infermiera caporeparto e “angelo
Roma, ma appena c’è un problema piglio e
custode” di moltissimi pazienti che in quegli
vengo a Mestre».
anni si affidavano alle mani del professore.
«Con Rama, questo posto mi ha ridato la vi«Avevo un cheratocono fulminante in fase
sta» dice oggi Nicolino, guardandosi attorperforante, continuavo a fare il mio lavoro,
no nel reparto di oculistica di Mestre. «Quema non riuscivo più a firmare i documenti.
sta è diventata la mia seconda casa».
Il mio stato di salute peggiorava di molto
Il giorno della Festa dei
Lavoratori non pareva UNA
DATA delle più rassicuranti
per sottoporsi
ad intervento chirurgico:
«Non ci avrei sperato.
Quando sono arrivato in
reparto di primo acchito
mi sono chiesto: ma sono
davvero in Italia? »
N.1APRILE2008
un
certo
sguardo
un
certo
sguardo
10
11
5 buoni motivi
per sostenere Fondazione con il 5 per mille
Quaeri Aqua Nana
Arrivederci Professore
1. informare e sensibilizzare i cittadini sulla donazione di
cornee
2. salvare la vista ed eliminare le liste di attesa attraverso
trapianti programmati
3. aiutare chi ha malattie oculari complesse o rare
4. sostenere progetti di ricerca medica e in particolare sulle
cellule staminali epiteliali corneali
5. promuovere un approccio più umano e attento al paziente
5.000 persone, negli ultimi due anni,
hanno scelto di sostenere queste attività di Fondazione con il loro 5 per
mille.
Per devolvere il 5 per mille a Fondazione Banca degli Occhi basta compi-
lare il PRIMO RIQUADRO nel modello
della dichiarazione dei redditi denominato “sostegno del volontariato,
delle organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, delle associazioni e fondazioni”, inserendo il codice fiscale:
02320670272
Lucia Trevisiol ha condiviso per 25 anni l’impegno al fianco del
prof. Rama nella missione di Wamba, in Kenya
di Lucia Trevisiol*
in silenzio e in punta
Ho lavorato 33 anni
di piedi.
con il prof. Rama.
E quando ha sentito
Nei giorni in cui è manche le forze venivano
cato mi sono sentita
meno, ci ha consegnadire infinite volte: tu
to Wamba, certo che
lo conoscevi bene. Si,
avremo continuato la
ci conoscevamo così
sua opera, con serietà
bene, che bastava che
mi guardasse e sape- Da sinistra: il prof. Rama, suor Giovanna Pia, e impegno.
Carla Treccani e Lucia Trevisiol a Wamba.
Quanti occhi ha curavo sempre quello che
A destra: Lucia con donne Samburu
to, a quante persone
voleva.
ha ridato la vista! Sappia professore che
Non c’era bisogno di parole.
sono orgogliosa di aver fatto parte della
Ma oggi una parola gliela devo dire.
sua squadra.
Grazie!
Ora ci sentiamo tutti un po’ più soli, ma ci
Grazie professore a nome mio e di tutti gli
rimane il suo esempio di uomo e cristiano,
infermieri che hanno avuto la fortuna di lacoerente fino alla fine.
vorare con lei.
Mi permetta di darle l’ultimo saluto nella linAbbiamo imparato a mettere l’ammalato
gua samburu, che lei amava. “Quaeri Aqua
al centro della nostra attenzione, con lei ho
Nana”, che significa “Arrivederci professore”,
imparato ad amare il mio lavoro e a divennella certezza che ci rivedremo.
tare una brava infermiera.
Grazie di avermi portata in Africa, tanti anni
fa. Questa terra e questa gente che abbiamo
*Infermiera Caposala presso la divisione di
tanto amato. Là l’ho vista fare cose meraOculistica dell’Ospedale Umberto I di Mevigliose, con mano ferma e sicura. Sempre
stre fino al 2000
N.1APRILE2008
La missione di Wamba, in Kenya,
e l’impegno di Fondazione Banca
degli Occhi
Furono il prof. Vannoni di Torino e il
prof. Galeazzi di Milano ad invitare il
prof. Giovanni Rama a prendere l’aereo, e a raggiungere per la prima volta un lontano villaggio del Kenya: lì, a
Wamba, operava il dott. Silvio Prandoni, oggi direttore medico del Wamba
Catholic Hospital.
Grazie agli innumerevoli viaggi del prof.
Rama, e al suo entusiasmo che contagiò nel corso degli anni numerosi allievi e colleghi, Fondazione Banca degli
Occhi da oltre 30 anni sostiene il progetto di cooperazione legato all’ospedale della missione cattolica di Wamba,
organizzando mediamente due spedizioni all’anno di medici specialisti che
si occupano di curare le patologie oculari della popolazione locale, patologie
molto diffuse e invalidanti.
Il 5 per mille non costa nulla, ma può
fare molto. Per questo ti chiediamo di
moltiplicarlo: invita i tuoi familiari, i tuoi
conoscenti o quanti non sanno a chi devolvere la loro quota, a sostenere l’operato di Fondazione. Non sprecare questa
opportunità.
E ricorda loro che: il 5 per mille non sostituisce l’8 per mille; potranno trovare
la scheda del 5 per mille già inserita nel
730, nel modello Unico e nel CUD: è possibile scegliere un solo beneficiario tra
quelli iscritti nell’elenco dell’Agenzia delle Entrate.
Per sostenere i progetti di Fondazione Banca degli Occhi puoi effettuare donazioni in denaro: on line collegati al sito www.fbov.org
c.c postale n. 433300 intestato a Fondazione Banca degli Occhi del Veneto - via Felisati 109 - 30171 Venezia Mestre
c.c. bancario n. 013010000128, Banca Santo Stefano, IBAN IT 77 U 08990 02001 (Indica i tuoi dati anagrafici: solo così potremmo risponderti con il nostro grazie).
Ogni donazione a Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus gode delle agevolazioni fiscali previste dal Dlgs 460/97 e dalla legge 80/2005.
15.000 euro raccolti
con l’ultima campagna sociale.
Grazie!
Vuoi vedere quanto è importante
il tuo aiuto?
Chiudi gli occhi.
A te, per vedere di nuovo
basta riaprirli.
A qualcun altro
riaprirli non basta.
Aveva questo slogan la campagna sociale di
raccolta fondi avviata da Fondazione Banca
degli Occhi lo scorso autunno, una campagna a cui tanti hanno risposto con generosi-
tà, per sostenere quanti sono affetti da malattie oculari. Tra dicembre 2007 e gennaio
2008 abbiamo raccolto 15.089 euro grazie
al sostegno di 516 donatori.
Due amici particolari di Fondazione hanno
inoltre deciso di far sentire il proprio sostegno con una donazione di 1.000 euro.
Un risultato incoraggiante, soprattutto per
quanti attendono di migliorare la propria
qualità di vita grazie alla cura delle malattie oculari e in particolare al trapianto di
cornea.
IL RICAVATO AL PROGETTO CONTRO
LE GRAVI FORME DI SECCHEZZA
DELL’OCCHIO
I fondi raccolti attraverso l’ultima campagna, ancora in atto, serviranno a
sconfiggere le gravi forme di secchezza dell’occhio.
Questo lo scopo del progetto “Collirio
a base di siero autologo” per la cura
di patologie della superficie oculare. Il collirio a base di siero autologo,
ricavato cioè dal sangue venoso del
paziente, per i suoi effetti nutritivi e
di lubrificazione rappresenta un aiuto
terapeutico sicuro ed efficace per il
trattamento di gravi forme di occhio
secco e di altre patologie della superficie dell’occhio.
un
certo
sguardo
un
certo
sguardo
10
11
5 buoni motivi
per sostenere Fondazione con il 5 per mille
Quaeri Aqua Nana
Arrivederci Professore
1. informare e sensibilizzare i cittadini sulla donazione di
cornee
2. salvare la vista ed eliminare le liste di attesa attraverso
trapianti programmati
3. aiutare chi ha malattie oculari complesse o rare
4. sostenere progetti di ricerca medica e in particolare sulle
cellule staminali epiteliali corneali
5. promuovere un approccio più umano e attento al paziente
5.000 persone, negli ultimi due anni,
hanno scelto di sostenere queste attività di Fondazione con il loro 5 per
mille.
Per devolvere il 5 per mille a Fondazione Banca degli Occhi basta compi-
lare il PRIMO RIQUADRO nel modello
della dichiarazione dei redditi denominato “sostegno del volontariato,
delle organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, delle associazioni e fondazioni”, inserendo il codice fiscale:
02320670272
Lucia Trevisiol ha condiviso per 25 anni l’impegno al fianco del
prof. Rama nella missione di Wamba, in Kenya
di Lucia Trevisiol*
in silenzio e in punta
Ho lavorato 33 anni
di piedi.
con il prof. Rama.
E quando ha sentito
Nei giorni in cui è manche le forze venivano
cato mi sono sentita
meno, ci ha consegnadire infinite volte: tu
to Wamba, certo che
lo conoscevi bene. Si,
avremo continuato la
ci conoscevamo così
sua opera, con serietà
bene, che bastava che
mi guardasse e sape- Da sinistra: il prof. Rama, suor Giovanna Pia, e impegno.
Carla Treccani e Lucia Trevisiol a Wamba.
Quanti occhi ha curavo sempre quello che
A destra: Lucia con donne Samburu
to, a quante persone
voleva.
ha ridato la vista! Sappia professore che
Non c’era bisogno di parole.
sono orgogliosa di aver fatto parte della
Ma oggi una parola gliela devo dire.
sua squadra.
Grazie!
Ora ci sentiamo tutti un po’ più soli, ma ci
Grazie professore a nome mio e di tutti gli
rimane il suo esempio di uomo e cristiano,
infermieri che hanno avuto la fortuna di lacoerente fino alla fine.
vorare con lei.
Mi permetta di darle l’ultimo saluto nella linAbbiamo imparato a mettere l’ammalato
gua samburu, che lei amava. “Quaeri Aqua
al centro della nostra attenzione, con lei ho
Nana”, che significa “Arrivederci professore”,
imparato ad amare il mio lavoro e a divennella certezza che ci rivedremo.
tare una brava infermiera.
Grazie di avermi portata in Africa, tanti anni
fa. Questa terra e questa gente che abbiamo
*Infermiera Caposala presso la divisione di
tanto amato. Là l’ho vista fare cose meraOculistica dell’Ospedale Umberto I di Mevigliose, con mano ferma e sicura. Sempre
stre fino al 2000
N.1APRILE2008
La missione di Wamba, in Kenya,
e l’impegno di Fondazione Banca
degli Occhi
Furono il prof. Vannoni di Torino e il
prof. Galeazzi di Milano ad invitare il
prof. Giovanni Rama a prendere l’aereo, e a raggiungere per la prima volta un lontano villaggio del Kenya: lì, a
Wamba, operava il dott. Silvio Prandoni, oggi direttore medico del Wamba
Catholic Hospital.
Grazie agli innumerevoli viaggi del prof.
Rama, e al suo entusiasmo che contagiò nel corso degli anni numerosi allievi e colleghi, Fondazione Banca degli
Occhi da oltre 30 anni sostiene il progetto di cooperazione legato all’ospedale della missione cattolica di Wamba,
organizzando mediamente due spedizioni all’anno di medici specialisti che
si occupano di curare le patologie oculari della popolazione locale, patologie
molto diffuse e invalidanti.
Il 5 per mille non costa nulla, ma può
fare molto. Per questo ti chiediamo di
moltiplicarlo: invita i tuoi familiari, i tuoi
conoscenti o quanti non sanno a chi devolvere la loro quota, a sostenere l’operato di Fondazione. Non sprecare questa
opportunità.
E ricorda loro che: il 5 per mille non sostituisce l’8 per mille; potranno trovare
la scheda del 5 per mille già inserita nel
730, nel modello Unico e nel CUD: è possibile scegliere un solo beneficiario tra
quelli iscritti nell’elenco dell’Agenzia delle Entrate.
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c.c postale n. 433300 intestato a Fondazione Banca degli Occhi del Veneto - via Felisati 109 - 30171 Venezia Mestre
c.c. bancario n. 013010000128, Banca Santo Stefano, IBAN IT 77 U 08990 02001 (Indica i tuoi dati anagrafici: solo così potremmo risponderti con il nostro grazie).
Ogni donazione a Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus gode delle agevolazioni fiscali previste dal Dlgs 460/97 e dalla legge 80/2005.
15.000 euro raccolti
con l’ultima campagna sociale.
Grazie!
Vuoi vedere quanto è importante
il tuo aiuto?
Chiudi gli occhi.
A te, per vedere di nuovo
basta riaprirli.
A qualcun altro
riaprirli non basta.
Aveva questo slogan la campagna sociale di
raccolta fondi avviata da Fondazione Banca
degli Occhi lo scorso autunno, una campagna a cui tanti hanno risposto con generosi-
tà, per sostenere quanti sono affetti da malattie oculari. Tra dicembre 2007 e gennaio
2008 abbiamo raccolto 15.089 euro grazie
al sostegno di 516 donatori.
Due amici particolari di Fondazione hanno
inoltre deciso di far sentire il proprio sostegno con una donazione di 1.000 euro.
Un risultato incoraggiante, soprattutto per
quanti attendono di migliorare la propria
qualità di vita grazie alla cura delle malattie oculari e in particolare al trapianto di
cornea.
IL RICAVATO AL PROGETTO CONTRO
LE GRAVI FORME DI SECCHEZZA
DELL’OCCHIO
I fondi raccolti attraverso l’ultima campagna, ancora in atto, serviranno a
sconfiggere le gravi forme di secchezza dell’occhio.
Questo lo scopo del progetto “Collirio
a base di siero autologo” per la cura
di patologie della superficie oculare. Il collirio a base di siero autologo,
ricavato cioè dal sangue venoso del
paziente, per i suoi effetti nutritivi e
di lubrificazione rappresenta un aiuto
terapeutico sicuro ed efficace per il
trattamento di gravi forme di occhio
secco e di altre patologie della superficie dell’occhio.
Centro di riferimento regionale per gli innesti corneali
Centro ricerche sulle cellule staminali epiteliali
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tel. 041 987221 fax 041 950440
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DI CORNEA
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