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Riflessioni sull`ammissibilità di una società di fatto tra persone

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Riflessioni sull`ammissibilità di una società di fatto tra persone
Giurisprudenza
Diritto societario
Società di fatto
Riflessioni sull’ammissibilità di
una società di fatto tra persone
fisiche e giuridiche
Tribunale di Milano, sez. impr. B, 30 settembre 2013 - Giud. A. Mambriani - PLS s.r.l. c. R. P.
Società di fatto tra persona giuridica e persona fisica - Assenza contratto scritto - Configurabilità
(Cod. civ. artt. 2247 e 2361)
Una società di fatto è certamente ammissibile anche tra una persona giuridica e una persona fisica. In assenza di un contratto formale scritto e dell’iscrizione nel registro delle imprese, risulta comunque configurabile
una società di fatto tra una persona fisica e una giuridica nel caso in cui siano rinvenibili, anche per fatti concludenti, l’accordo avente ad oggetto l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne
gli utili, il fondo comune costituito dai conferimenti dei soci, l’affectio societatis, l’alea comune dei guadagni
e delle perdite e l’esteriorizzazione del vincolo sociale.
Conferimenti - Formalità di costituzione - Partecipazione alle perdite
(Cod. civ. artt. 2253 e 2263)
La percentuale di partecipazione dei soci alle perdite si presume uguale a quella di partecipazione agli utili,
ma se i conferimenti non sono determinati, si suppone che i soci siano obbligati a conferire quanto necessario
per l’esercizio in comune dell’attività commerciale oggetto della società. Di conseguenza, in caso di conferimento indeterminato da parte di un socio, costituito dall’esercizio limitato nel tempo dell’azienda, che si concretizza sostanzialmente in un apporto in società dei mezzi finanziari volti a coprire i costi di esercizio, per
procedere alla ripartizione delle perdite, è necessario confrontare il valore delle perdite di esercizio risultanti
dal rendiconto con quello della prestazione d’opera conferita dall’altro socio già determinata quantitativamente e qualitativamente.
Il Tribunale (omissis).
Con atto di citazione notificato il 26 giugno 2009,
P.L.S. s.r.l. (di seguito PLS) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 12334 emesso da questo
Tribunale in data 29.3-15.4.2009 su ricorso di R. P., per
la somma di € 160.000,00, oltre accessori, chiedendo la
revoca del decreto stesso e, in via riconvenzionale, previo accertamento che l’ingiungente è stato “socio della
gestione” dell’esercizio commerciale denominato “Beach
Paradise” sito in Riccione alla via …omissis… (di seguito: Beach Paradise), con diritto di partecipazione agli
utili ed obbligo di rifondere le perdite in ragione del
50%, conseguentemente condannarlo a pagare a PLS la
somma di € 78.260,25 di cui € 72.611,00 a titolo di
quota parte della perdita inerente la gestione del predetto esercizio commerciale ed € 5.649,25 a titolo di
saldo del corrispettivo dei pasti, degli alberghi e dei servizi spiaggia usufruiti dall’opposto.
Si è ritualmente costituita in giudizio parte convenuta
opposta, che ha insistito per la conferma del decreto in-
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giuntivo e per il rigetto della domanda riconvenzionale
avversaria, negando che con PLS fosse intercorsa una
società di fatto concernente la gestione dell’esercizio
commerciale predetto, ed assumendo invece che fosse
stato stipulato tra le parti un contratto di prestazione
d’opera regolarmente adempiuto da parte sua e non da
parte di PLS, che non aveva pagato il corrispettivo pattuito.
Alla stregua delle prove acquisite ritiene questo Tribunale di accedere alla tesi sostenuta da parte convenuta
secondo cui il rapporto intercorso tra le parti è da qualificare in termini di società di fatto tra PLS e R.P. nella
gestione dell’esercizio commerciale Beach Paradise per
la stagione da aprile-maggio 2008 a settembre 2008.
La giurisprudenza ha definito la società di fatto - certamente ammissibile anche tra una persona giuridica ed
una persona fisica (arg. ex art. 2361 comma 2 c.c.) - come quella società nella quale sono rinvenibili tutti gli
elementi previsti dall’art. 2247 c.c., desumibili anche
per fatti concludenti, pur in assenza di contratto sociale
scritto e, quindi, di iscrizione nel registro delle imprese.
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In particolare ne costituiscono elementi essenziali, nei
rapporti interni tra le parti, l’accordo avente ad oggetto
l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili, il fondo comune costituito da
conferimenti dei soci finalizzati all’esercizio dell’attività
medesima, l’affectio societatis, cioè il vincolo di collaborazione in vista dell’esercizio dell’attività, l’alea comune
dei guadagni e delle perdite, nonché, nei confronti dei
terzi, l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di uno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole convincimento dell’esistenza della società (Cass., n. 4529 del 2008; Cass.,
n. 9250 del 2006; Cass., n. 12663 del 1998; Cass., n.
4089 del 2001; Cass., n. 1573 del 1984; Cass., n. 84 del
1991).
Come noto, alla società di fatto si applica, quanto ai
rapporti tra i soci - di cui si discute in questa sede -, la
disciplina della società in nome collettivo irregolare
(Cass., n. 4709 del 1977; Cass., n. 722 del 1971; Cass.,
n. 7236 del 1995).
Pertanto, tra l’altro, i conferimenti ben possono essere
costituiti anche da un apporto d’opera o servizi da parte
di uno dei soci.
Costituiscono invece manifestazioni rivelatrici dell’esistenza del contratto sociale, ad esempio, la tenuta di
una contabilità congiunta, la pubblicità dell’attività con
nomi congiunti, la spendita del nome sociale.
Nel caso di specie, occorre anzitutto verificare quali siano stati i termini dell’accordo intervenuto tra le parti.
Va premesso, in proposito, che il contenuto dell’accordo non risulta da scrittura firmata dalle parti, tuttavia il
suo oggetto e la sua conclusione ben possono essere ricostruiti a mezzo di presunzioni, che siano gravi, precise
e concordanti, concernenti sia la proposta (qui scritta:
v. postea) sia l’accettazione, qui desumibile anche dalle
modalità dell’ intervenuta esecuzione (artt. 1326 e ss.,
1365 cc.). Va altresì premesso, in fatto, per la miglior
comprensione di quanto si dirà in seguito che: - R. P.,
in arte DJ Ferrari, è una delle voci più conosciute del
panorama radiofonico giovanile in quanto conduttore
di una trasmissione di successo (“Sciambola”) presso
l’affermata emittente radiofonica “Radio Deejay”; - il
Beach Paradise è un’azienda corrente in Riccione, avente ad oggetto la gestione di una discoteca, di un ristorante e di uno stabilimento balneare, costituenti branche strettamente interconnesse di una medesima azienda; - l’azienda Beach Paradise risulta concessa in affitto
a PLS da parte di Beach Village s.r.l., amministrata da
P. L.;- PLS gestiva altresì altra azienda - uno stabilimento balneare a fianco del Beach Paradise, denominato
Operà, ed attività connesse -, che non ha attinenza con
quanto controverso in questa sede.
Considerato quanto sopra, al fine di verificare la configurazione del rapporto intercorso tra le parti, si devono
distinguere fonti ed elementi di prova concernenti i
rapporti interni tra i soci e fonti ed elementi di prova di
prova concernenti i rapporti con i terzi e, segnatamente, la spendita del nome della società di fatto e la spendita della qualità di socio da parte del P.
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Quanto alle fonti di cui al primo gruppo, sono da registrare anzitutto proposte contrattuali scritte inoltrate
dal P. - e, per esso, dalla persona di sua stretta fiducia,
G. C. - a P. L., socio di PLS al 50%, di cui ai documenti di parte attrice n. 9), 10) e 11) costituiti da messaggi
mail rispettivamente in data 26 marzo 2008, 28 marzo
2008, 8 aprile 2008, riconosciuti da entrambe le parti.
Questi messaggi mail, inviati prima dell’inizio della stagione estiva e proprio in vista della definizione dell’accordo, ne definiscono il contenuto, perché: - ad essi
non segue una controproposta scritta di P./PLS ed invece senz’altro l’esecuzione; - se vi è traccia che ad essi
siano seguiti ulteriori colloqui e precisazioni tra le parti,
tuttavia queste precisazioni non si sono tradotte in alcuna comunicazione scritta ad opera di alcuna delle parti,
sicché è arduo attribuire ad esse un contenuto effettivamente rilevante; - PLS, dal canto suo nega che esse abbiano sostanzialmente mutato le proposte scritte provenienti da P. come sopra indicate ed accettate; - le dichiarazioni rese dal P., secondo cui a fronte della mancata accettazione da parte del P. di quelle condizioni si
sarebbe addivenuti ad una configurazione del rapporto
completamente diversa in termini di contratto d’opera,
risultano del tutto inattendibili, come di seguito si dirà.
Sempre in punto di contenuto dell’accordo, occorre invece trattare subito della questione inerente il pagamento del canone d’affitto (€ 80.000) dell’azienda
Beach Paradise, essendovi elementi per ritenere che il
P. ebbe a chiedere una somma al P. in vista del suo ingresso in società, somma forse da imputare appunto al
pagamento dei canoni d’affitto. In tal senso convergono
le dichiarazioni del P. e quelle della C., nonché il tenore del documento n. 19 di parte attrice, in cui persona
il cui ruolo non è stato chiarito ma riferibile al P. - tale
“E.” -, al fine di “redigere una scrittura privata riguardante il coinvolgimento di R. nella gestione del Beach
Paradise”, chiede alcuni documenti (copia bilanci del
Beach Paradise, copia contratti vostri sponsor, copia attestante forma giuridica del Beach Paradise con eventuale statuto e poteri) tra cui anche il contratto di affitto “o quant’altro relativo al pagamento dei 50 mila euro
da parte di R.”.
In particolare, un accenno alla pattuizione del versamento di una somma di denaro è svolto da P. L. nel
corso della sua deposizione. Tuttavia l’accenno non è
per nulla chiaro, non comprendendosi se di se esso dovesse essere di 100.000 euro o di 50.000 euro, se a carico di P. o della C., se a titolo di ingresso in società,
dunque di generico conferimento, o più specificamente
da impiegare per il pagamento dell’affitto. Esso, dunque,
è intrinsecamente poco attendibile proprio perché poco
chiaro. La deposizione, tuttavia, non è nulla per non
avere il procuratore di parte convenuta eccepito la nullità ex artt. 246 e 157 comma 2 c.p.c. subito dopo la deposizione ma avendo soltanto eccepito l’incapacità a testimoniare prima della deposizione stessa ed avendola
poi tardivamente ribadita in atti successivi (cfr. Cass.,
n. 8358 del 2007; Cass., n. 16116 del 2003).
Concludendo circa il versamento di una somma per
l’ingresso in società, si deve ritenere che questa condi-
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zione non sia stata accettata dal P. In tal senso convergono le nette affermazioni della C., le dichiarazioni del
P. nel corso dell’interrogatorio, il fatto che la scrittura
menzionata al citato doc. 19 non fu mai redatta, il fatto
che non risulta minima traccia scritta del pagamento di
una somma comunque piuttosto ingente, il fatto che
nessuna delle parti abbia reso questa circostanza, che
pur dovrebbe essere rilevante nell’economia delle difese
di entrambe, oggetto di uno specifico capitolo di prova
e che, a ben vedere, essa, è stata al contrario negletta
negli atti di entrambe le parti. La mancata accettazione
del versamento di una somma d’ingresso, tuttavia, come
si vedrà, non fa certo venire meno l’accordo sociale, posto che il conferimento del P., invece d’essere costituito
mediante un versamento finanziario ed un contributo
d’opera, venne limitato al secondo, senza che si possa
certo escludere, che, per effetto della limitazione, esso
abbia perduto la sua natura.
Tanto premesso, nei messaggi mail sopra indicati viene
chiarito l’apporto che il P. si sarebbe obbligato a conferire: - l’organizzazione e la conduzione di 40 serate nel
corso della stagione estiva 2008, dalla fine del mese di
aprile al mese di settembre incluso; - la promozione del
locale medesimo sia attraverso l’abbinamento con la sua
immagine, sia tramite annunci e passaggi pubblicitari
nel corso della trasmissione radiofonica da lui condotta.
Nei messaggi viene indicato il valore del conferimento
dell’opera del P. [“… - 1 serata di R. F. in discoteca costo € 2.500,00, calcolando 8 serate al mese per 5 mesi
(fine aprile/fine settembre) sono 100.000 euro; - 1 passaggio pubblicitario di 30 secondi all’interno di Sciambola costo 3.000 euro, calcolando in media 3 passaggi
settimanali sono 180.000 euro; - Valore dell’immagine
come testimonial di un marchio beach in questo caso,
per la durata di 5 mesi: 50.000 euro; Totale: 330.000
euro”].
In proposito si precisava tuttavia più volte e molto
chiaramente che “Il totale, completamente verificabile,
non inciderà sui costi come da precedenti accordi verbali, ma va considerato come potenziale perdita per l’artista nell’arco dei 5 mesi recuperabile in parte con gli
sponsor che andrà a coinvolgere nell’operazione e per i
quali si riserva totale gestione”.
Veniva indicato il calendario (apertura di aprile, maggio e settembre: venerdì e sabato sera; giugno, luglio,
agosto: tutte le sere salvo giorno di chiusura). Venivano
indicati altri accordi particolari in merito alle serate
sponsorizzate, alla presenza di personaggi dello spettacolo invitati da P., ecc.
A fronte di tale apporto si affermava: “la proposta è
questa: divisione pari al 50% sull’incasso netto”.
Risulta altresì che i messaggi mail appena menzionati
erano a conoscenza dell’amministratore di PLS – C.G. e venivano custoditi nell’ufficio amministrativo della
società (dich. R.), a riprova della loro rilevanza contrattuale.
Sono altresì rilevanti due messaggi SMS inviati dal P.
al P.
Nel primo, in data 10 luglio 2008 – dunque a stagione
già inoltrata -, P., confermando il coinvolgimento nella
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gestione del Beach Paradise, lamenta il suo scarso potere decisionale nell’ambito della società, rispetto al P.
(“… questa non è una società ma una dittatura, io non
ho potere decisionale. O troviamo una soluzione o altrimenti te la gestisci tu il beach”). Nel secondo, del 16 luglio 2008 spedito anche a S. L. - l’altro socio di PLS (dich. C.), P. esordisce significativamente con la locuzione “Cari soci” ribadisce di “avere messo la faccia”
nell’operazione, paventa una “operazione di gestione in
perdita”, rivendica rispetto per il lavoro proprio e della
C. ed il rispetto della divisione dei ruoli, evitando interferenze, affermando che, a tali condizioni, si potranno
ottenere buoni risultati.
Quanto ai rapporti con i terzi, alla spendita del nome
Beach Paradise e alla spendita da parte del P. della qualità di socio insieme a P. e L., sono rilevanti sia le interviste rilasciate dal medesimo ad organi di stampa, sia la
circostanza che egli ebbe a presentarsi come socio ai dipendenti di PLS che lavoravano al Beach Paradise.
Quanto al primo aspetto, sono stati acquisiti due articoli di giornale – uno per vero senza data, l’altro del maggio 2008 - in cui figurano dichiarazioni virgolettate del
P. in merito all’acquisita gestione del Beach Paradise
(doc. 3, 4 att.). In particolare il primo è intitolato “Il
DJ R. F. prende in mano il Beach Paradise” e vi si legge:
“… R. F., noto conduttore … quest’estate andrà a gestire il Beach Paradise … Da qualche giorno R. ne parla
dai microfoni di Radio DJ e, come ci conferma, il 24
aprirà i battenti del locale. Insieme a L (P. n.d.r.) e all’altro socio gestiremo il Beach Paradise. Rispetto al locale com’era prima, toglieremo il latino americano … Il
mio punto di riferimento sarà lì – continua F -. Avevo
già un locale a Milano, poi venduto, quindi sono venuto qui perché ne volevo uno sul mare.”
Il secondo articolo è dello stesso tenore: intitolato “R.
F. ha preso in gestione il locale e promette una grande
estate … Radio DJ mette su casa sulla spiaggia di Riccione”, vi si parla della “collaborazione nella gestione”
di R. F. e questi riferisce non essere la prima volta che
gestisce un locale – riferendosi al ristorante di Milano
poi venduto – ed al suo “pallino” di “aprire un locale al
mare”, che veniva appunto così realizzato; seguono
quindi dichiarazioni sulla organizzazione del locale,
compreso il ristorante, lo stile, il tipo di musica, ecc.
Quanto all’esecuzione del contratto, dall’escussione dei
testimoni e dalle risultanze documentali, è emerso che:
- il P. ha prestato la sua attività di disck jokey e organizzatore di 40 serate al Beach Paradise di Riccione nella
stagione estiva 2008, come risulta dai testimoni che
hanno reso dichiarazioni sul punto (C.; D., che, facendo
anch’egli il DJ al Beach Paradise il venerdì nella parte
iniziale e finale della serata, ha riferito di avere sempre
visto il P. ogni venerdì sin da metà maggio e che egli si
occupava della parte centrale della serata; L.) e dalla
circostanza che parte attrice ha contestato molto genericamente le presenze del P. presso il locale;
- il P. ebbe in più occasioni a pubblicizzare il Beach Paradise nel corso delle trasmissioni radiofoniche da lui
condotte (cfr. articolo giornalistico di cui al doc. 3 att.;
dep. C., L.);
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- il P. concesse la sua immagine per la confezione e distribuzione di volantini e manifesti che pubblicizzavano
il Beach Paradise (dep. C., L.).
- il P., durante una riunione con il personale dipendente allo scopo di puntualizzare la situazione gestionale ed
amministrativa dell’azienda, ebbe a presentarsi come socio del Beach Paradise e i dipendenti lo ritenevano tale
(dep. R.);
- la C., delegata dal P. a supervisionare l’attività del
Beach Paradise e sempre presente in loco, anche in orari
diurni, aveva tra l’altro il compito di addetta alle casse,
di assegnare le cassiere (dich. P.) e di controllo degli incassi a fine giornata, in uno con l’impiegata contabile
(R. o L.);
- il P. stesso ebbe ad assegnare le dipendenti alle casse
del locale impedendone la rotazione (dich. R., P.);
- quanto alla gestione del magazzino del locale, la teste
Ravaglia – all’epoca dei fatti dipendente di PLS addetta
alla contabilità – ha riferito in modo molto preciso di
un inventario iniziale effettuato per conto del P. Quest’ultimo e la C. hanno riferito di un inventario limitato
alle bevande Dark Dog, sponsor del P., che sarebbero
state utilizzate in modo improprio. Quanto meno le suddette dichiarazioni fanno ritenere che al P. fosse riservato ampio potere di verifica e controllo del magazzino
della società;
- è stato redatto da PLS un rendiconto dell’attività
commerciale svolta nella stagione (doc. 8 att.), significativamente intitolato “Società – P. R. e PLS s.r.l. –
Beach Paradise di Riccione – Rendiconto relativo alla
gestione 2008 -”, che reca una perdita di € 145.222,08.
Il documento è stato confermato dalla teste R., che ha
riferito di averlo redatto personalmente in base ai documenti contabili inerenti (fatture, incassi, pagamenti del
personale, ecc.). Ella ha anche riferito che “questo rendiconto è stato oggetto di una riunione a fine stagione
alla quale hanno partecipato, oltre a me, i soci e cioè
P., P., L. e l’amministratore C.; in tale riunione i soci
hanno discusso tra loro animatamente ed in particolare
il P. contestava alcune voci, tra cui le utenze ed altro”.
Lo stesso P., seppure minimizzando, non ha escluso che
il rendiconto gli sia stato mostrato. Alla stregua di tali
elementi il rendiconto stesso, sottoposto al contraddittorio delle parti, deve essere ritenuto attendibile.
Premesso quanto sopra, rimane certamente esclusa la
qualificazione del rapporto PLS-Porchera in termini di
contratto di prestazione d’opera.
Si pongono in netto contrasto con tale deduzione, sostenuta da parte convenuta: - il contenuto dei messaggi
mail sopra indicati, anteriori all’inizio dell’esecuzione
del rapporto, in cui la prestazione del P. è palesemente
configurata come conferimento in società in quanto
non imputato ai costi ed invece completamente assoggettato al rischio d’impresa; il contenuto dei messaggi
sms, inviati quando l’esecuzione del contratto era già
iniziata (v. supra) ed il contenuto delle dichiarazioni
dello stesso P. alla stampa, fonti entrambe nelle quali
egli parla di società e di soci; - i poteri di gestione e
controllo (decisioni in materia di stile del locale e delle
serate quale “direttore artistico”, magazzino, disposizione
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delle cassiere, incassi, rendiconto dell’intera gestione) a
lui riconosciuti.
Risultano del resto del tutto inattendibili le dichiarazioni del P. secondo cui le proposte da lui inviate a P. nei
messaggi mail sopra indicati si sarebbero trasformate,
per colloqui successivi, in accordo circa un “compenso
a prestazione mio ed un compenso forfettario per la direzione artistica”, sia perché di ciò non v’è la minima
traccia in atti, sia perché il doc. 19 di parte attrice, testimonia semmai della pretesa del P., successiva ai messaggi mail predetti, in termini di versamento di un contributo d’ingresso da parte del P., versamento, questo sì,
sul quale non risulta intervenuto accordo né, tantomeno, esecuzione (v. supra). Del resto, sarebbe stato assai
semplice per il P., se gli accordi successivi avessero avuto termini radicalmente diversi da quelli descritti nei
messaggi mail, inviarne un altro a P. e L. che descrivesse il nuovo contenuto, sicché, con l’esecuzione successiva, fosse dimostrato il loro consenso su questi (presunti)
accordi sopravvenuti.
È appena il caso di aggiungere che la deduzione del P.
secondo cui egli avrebbe falsamente propalato alla stampa la sua qualità di socio del Beach Paradise con P. e L.
al solo scopo di legare maggiormente la sua immagine al
locale, così da rafforzare il messaggio promozionale è palesemente in contrasto tanto con il suo qualificarsi socio anche nelle comunicazioni con gli altri soci – cosa
che, se socio non fosse stato, avrebbe accuratamente
evitato di fare -, quanto con il presentarsi come socio ai
dipendenti che lavoravano presso il Beach Paradise.
Rimane altresì esclusa la qualificazione del rapporto in
termini di associazione in partecipazione (art. 2549 e ss.
c.c.).
La giurisprudenza ha da tempo individuato, almeno in
linea di principio, alcuni punti guida nella distinzione
tra associazione in partecipazione e contratto di società:
a differenza di quest’ultimo, infatti, il primo non prevede un fondo comune (Cass., sent. n. 5353 del 1987) né
attribuisce la titolarità dell’impresa all’associato, restando questa, come la responsabilità verso terzi, esclusivamente in capo all’imprenditore (Cass., sent n. 6610 del
1991). In sostanza manca, nell’associazione in partecipazione, l’elemento costituito dall’esercizio in comune
dell’attività economica (Cass., sent. n. 6549 del 1983).
Orbene, nel caso di specie:
- il contributo d’opera del P. che non può affatto qualificarsi come apporto in associazione in partecipazione,
perché nei richiamati messaggi mail, si esclude che l’apporto in questione fosse configurabile come costo, si
esclude perciò stesso la sua retribuzione, si prevede invece espressamente la possibilità della sua perdita integrale a seguito dell’esercizio della comune attività d’impresa, si prevede la partecipazione agli utili eventualmente conseguiti da quell’esercizio, sicché esso apporto
risulta espressamente assoggettato al rischio d’impresa e
può perciò essere qualificato esclusivamente in termini
di conferimento;
- a seguito del conferimento del P., cui ha fatto riscontro il conferimento di PLS, come appresso si dirà, si è
formato il fondo comune della società di fatto. Si deve
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solo aggiungere che, come accade spessissimo nelle società di persone, specie quando almeno uno dei soci è
socio d’opera, il fondo comune si forma nel corso dell’esercizio dell’attività in comune, man mano che il conferimento d’opera da parte dei soci si realizza. Esso, quindi, è dunque quantificabile solo ex post;
- l’intento delle parti, pacificamente oggetto dell’accordo, era quello di una gestione comune dell’attività dell’azienda Beach Paradise tra PLS e P. allo scopo di dividerne gli utili;
- il comune intento, dunque il contenuto dell’accordo,
è stato propalato al pubblico tanto da determinare un
evidente affidamento incolpevole nei confronti dei terzi
(cfr. articoli giornalistici, dich. R., intestazione rendiconto);
- nemmeno dunque è azzardato sostenere una coincidenza tra il nome dell’azienda e il nome della società di
fatto che l’ha gestita, per tutto il tempo in cui la società
è esistita. Significativa, in tal senso, l’intitolazione del
rendiconto redatto dalla teste Ravaglia. Del resto se è
vero che il Beach Paradise si è avvalso dell’immagine
del P., è anche vero che lo stesso P. si è avvalso del nome del Beach Paradise per accreditare la sua immagine
non solo di DJ ma anche di imprenditore;
- altresì il P. ha dichiarato al pubblico di assumere, con
la gestione del Beach Paradise, il ruolo di imprenditore,
in luogo di altra attività parimenti imprenditoriale in
precedenza dismessa, cioè la gestione di un ristorante in
Milano;
- al P. sono stati conferiti poteri gestionali concernenti
l’attività di direzione ed organizzazione artistica e stilistica del locale e tutta l’attività promozionale, ritenute
rilevantissime da entrambe le parti; gli sms in cui egli
lamenta la difficoltà nell’esercizio di tali poteri dimostrano che quei poteri gli erano stati contrattualmente
riconosciuti ed egli ne rivendicava il libero esercizio,
contrastando semmai indebite interferenze altrui;
- al P. sono stati riconosciuti penetranti e continuativi
poteri di controllo riguardanti l’intero esercizio dell’attività del Beach Paradise: poteva controllare il magazzino, la persona di sua fiducia – C. G. - era presente nel
locale lungo tutto l’arco della giornata, controllava costantemente gli incassi, ed aveva poteri dispositivi in
ordine alla collocazione delle cassiere;
- è acquisito che il P. avesse assunto l’alea della perdita,
poiché, come chiarito sia nei messaggi mail che nell’sms
del 16 luglio 2008, egli non la ricusa, ma se la assume,
proponendo semmai soluzioni volte ad evitare un esito
economicamente infausto dell’esercizio comune dell’attività in questione. Infine va sottolineato con forza che
entrambe le parti concordemente non condividono la
qualificazione del rapporto in termini di associazione in
partecipazione, non considerando quello schema contrattuale rilevante nemmeno in via subordinata ed evidentemente ritenendolo estraneo all’accordo intercorrente tra loro. La qualificazione giuridica data dalle parti al rapporto controverso, come noto, non vincola il
Giudice, ma la posizione da loro espressa sul punto deve
essere tenuta in debita considerazione, specie quando la
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situazione di fatto oggetto di qualificazione è complessa
e ricca di sfumature come nel caso di specie.
In conclusione non v’è dubbio che le parti si siano accordate per l’esercizio in comune di un’attività commerciale allo scopo di dividerne gli utili e l’abbiano effettivamente esercitata di fatto.
Rimane dunque confermata la qualificazione del rapporto
intercorso tra le parti in termini di società di fatto PLSP. nella gestione dell’azienda Beach Paradise di Riccione
per la stagione estiva 2008 (aprile-settembre 2008).
È appena il caso di aggiungere che ogni deduzione di parte convenuta, in punto di invalidità del rapporto tra le
parti in ragione di un’applicazione analogica di norme
concernenti la s.r.l., non ha fondamento, applicandosi,
come noto, alle società di fatto esercenti attività commerciale, la disciplina della s.n.c. irregolare (v. supra).
In proposito è tuttavia necessario aggiungere alcuni
chiarimenti essenziali in punto di formazione e quantificazione del fondo comune.
Nel caso di specie, come si diceva, il P. ha apportato la
sua opera, nei termini sopra indicati, all’esercizio in comune con PLS del Beach Paradise.
Alla stregua dei documenti prodotti da parte convenuta
(contratti e fatture concernenti serate tenute inoltre occasioni), la valorizzazione delle prestazioni del P. avvenuta ex ante ed in astratto nei messaggi mail del marzo
2008, più volte citati, appare corretta. Si è già detto,
inoltre, che sono state adempiute le obbligazioni concernenti l’opera che il P. avrebbe dovuto conferire in
società.
Ciò posto, la quantificazione in € 40.000,00 del valore
dell’opera prestata dal P. come “Testimonial” del Beach
Paradise risulta corretta (fatt. n. 23 dell’1.9.2008).
Viceversa non è corretta la quantificazione in €
120.000,00 del valore delle 40 serate condotte presso il
Beach Paradise (fattura n. 22 dell’1.9.2008). Invero nei
messaggi mail del marzo 2008, più volte richiamati, ogni
serata era valorizzata € 2.500,00 e non € 3.000,00, sicché
il conferimento deve essere quantificato in € 100.000,00.
Il totale del conferimento di parte P. è dunque pari ad €
140.00,00.
Ciò posto, si deve sottolineare per un verso che PLS,
nelle sue difese, dimentica totalmente di quantificare
l’apporto dalla stessa conferito in società e pretende, nel
contempo, di addossare a P. la metà delle perdite di
esercizio, risultanti dal rendiconto citato, così in sostanza azzerando, del tutto scorrettamente, il valore del suo
conferimento d’opera nella società.
Viceversa, da un lato deve essere identificato e quantificato il conferimento di PLS, dall’altro deve essere considerato l’apporto d’opera di P.
Inoltre, il rendiconto di cui al doc. 8) è assimilabile alla
parte di conto economico del bilancio sociale.
Manca tuttavia, come eccepito da parte convenuta, la
parte di stato patrimoniale, sulle cui risultanze devono
invece essere quantificati i risultati dell’attività di una
società che, delimitata nel tempo, è oggi certamente in
stato di scioglimento, vuoi per decorso del termine,
vuoi per conseguimento dello scopo, vuoi per volontà
dei soci (art. 2272 c.c.).
Le Società 7/2014
Giurisprudenza
Diritto societario
Deve dunque essere verificato quale sia stato il conferimento di PLS nella società di fatto di cui si discute.
Come noto, la percentuale di partecipazione alle perdite
si presume pari alla percentuale di partecipazione agli
utili (qui pari al 50%: cfr. messaggi mail marzo 2008;
conformi deduzioni PLS) (art. 2263 ult. comma c.c.).
Ma, se i conferimenti non sono determinati, si presume
che i soci siano obbligati a conferire quanto è necessario per l’esercizio in comune dell’attività commerciale
oggetto della società (art. 2253 comma 2 c.c.).
Orbene, nel caso di specie - premesso che il conferimento di P. nella s.d.f. è determinato quantitativamente e qualitativamente e che la stessa PLS ha sostenuto
che la società era partecipata in modo paritario -, il
conferimento di PLS nell’attività commerciale esercitata in comune con il P. deve essere ravvisato non già
certo nell’azienda in sé, bensì solo nel suo esercizio nel
limitato periodo della stagione estiva 2008, esercizio
concretatosi, in definitiva, nel progressivo pagamento,
nel corso dell’esercizio dell’attività e successivamente,
dei debiti sociali, peraltro ovviamente avvenuto anche
mediante l’utilizzo dei ricavi sociali, alla cui realizzazione l’opera del P. ha fattivamente contribuito.
Il conferimento di PLS nella società di fatto che ha gestito l’attività commerciale realizzata in comune con P.
è perciò pari alle perdite di esercizio risultanti dal rendiconto di cui al doc. 8 (€ 145.222,08), diminuite delle
voci di debito non inerenti all’attività della società di
fatto. Tali sono “compensi amministratore” per €
7.800,00 e “spese notarili e legali” per € 1.050,00, che
figurano nel rendiconto stesso e che non riguardano la
società di fatto, la prima evidentemente riferendosi ai
compensi del C. e le altre non risultando connesse a
prestazioni del genere commissionate dalla s.d.f. Tali
costi devono quindi essere imputati solo a PLS.
In totale il conferimento di PLS è dunque pari ad €
136.372,08.
Ne conseguono percentuali di partecipazione alla s.d.f.
pari al 50,65% in capo a P. ed al 49,35% in capo a
PLS. Rimangono sostanzialmente confermate, per questo aspetto, delle allegazioni di PLS sul punto.
Ciò posto, è evidente che ciascuna delle parti ha conferito in società mezzi rispettivamente finanziari - volti a
coprire i costi di esercizio - e d’opera - volti alla produzione di ricavi - di valore quasi identico.
In conclusione, per l’esercizio in comune dell’azienda
Beach Paradise, entrambi i soci hanno effettuato conferimenti di entità sostanzialmente uguale che, in presenza di perdite, sono andati interamente perduti: fondo
comune (€ 140.000 + € 136.372,08) - perdite (€
140.000 + € 136.372,08) = 0.
La minima differenza in favore di P. nella partecipazione alle perdite è compensata dal debito di questi verso
la società per pranzi e cene consumati presso il ristorante del Beach Paradise nel corso della stagione 2008. È
da ritenere che solo in parte tali consumazioni abbiano
avuto scopo ed effetto promozionale, e, come tali siano
addebitabili alla società anche in forza dell’accordo di
cui alle mail di marzo 2008 (“…ci sarà inoltre la presenza di personaggi dello spettacolo amici di Roberto …”;
v. anche conformi dich. C.). La restante parte, quantificabile equitativamente, va appunto posta incompensazione con il credito residuo del P.
Alla stregua delle superiori considerazioni l’opposizione
deve essere accolta, con revoca del decreto ingiuntivo
opposto e deve invece essere rigettata la domanda riconvenzionale proposta da parte attrice. Si registra pertanto la soccombenza reciproca delle parti, dovendosi di
conseguenza disporre la compensazione integrale delle
spese processuali.
(omissis).
IL COMMENTO
di Francesca Attanasio (*)
Il Tribunale di Milano si sofferma sul tema dell’ammissibilità di una società di fatto tra persona fisica e
giuridica. La problematica rientra nella più ampia discussione relativa all’ammissibilità della partecipazione di una società di capitali in una società di persone. La soluzione adottata, oggetto della presente analisi, è nel senso della piena configurabilità di una società di fatto tra società di capitali e persone fisiche,
pur in mancanza di un accordo espresso tra le parti. L’ammissibilità di una super-società di fatto resta però una questione molto dibattuta in dottrina.
Premessa
La vicenda processuale che si commenta affronta
un problema di qualificazione del rapporto di collaborazione intercorso tra una persona fisica ed una
società a responsabilità limitata, le quali non erano
mai addivenute alla stipula del contratto di società.
In mancanza di una espressa manifestazione di
volontà, ma dinanzi allo svolgimento in concreto
(*) Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
Le Società 7/2014
821
Giurisprudenza
Diritto societario
dell’attività, i giudici si interrogano sulla qualificazione da attribuire al rapporto, allo scopo di individuare la disciplina applicabile.
La sentenza conclude nel senso dell’esistenza di
una società di fatto tra persona fisica e giuridica,
essendo state offerte prove sufficienti dell’esercizio
in comune di un’attività economica, escludendo
l’astratta riconducibilità sia al contratto di associazione in partecipazione (1) che al contratto di prestazione d’opera.
Il tema della partecipazione di una società di capitali in una società di fatto rientra nell’ambito
della più ampia problematica che ha diviso dottrina e giurisprudenza in ordine all’ammissibilità della
partecipazione di società di capitali in società di
persone (2).
La questione è stata definitivamente risolta dal
legislatore della riforma; difatti gli artt. 2361, secondo comma, c.c. e 111 duodecies disp. att. c.c.,
espressamente ammettono che le società di capitali
possano assumere partecipazioni in società di persone.
Il legislatore ha imposto però alcune cautele; la
decisione è riservata all’assemblea e occorre altresì
fornire una specifica informazione relativa alla partecipazione nella nota integrativa del bilancio d’esercizio.
Si è così attuato un radicale mutamento normativo (3), trovando un punto di equilibrio e compromesso tra le opposte posizioni di chi, soprattutto in
giurisprudenza, escludeva detta ammissibilità (4) e
chi, per contro, la riteneva senz’altro compatibile
con il sistema (5).
(1) L’istituto del contratto di associazione in partecipazione,
di cui agli artt. 2549 c.c. ss., si qualifica per il carattere sinallagmatico tra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una
sua impresa o di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto,
da quest’ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura,
purché strumentale per l’esercizio di quella impresa o per lo
svolgimento di quell’affare. Elemento discretivo rispetto alla
società è l’assenza di un esercizio in comune dell’attività economica, sul punto vedi R. Costi e G. Di Chio, Società in generale - Società di persone - Associazione in partecipazione, Torino,
1980, 723 ed in giurisprudenza Cass. 15 marzo 1976, n. 958,
in Arch. civ., 1976, 1196; Cass. 17 maggio 2001, n. 6757, in
Corr. giur., 2002, 1, 82. Sulla difficoltà di distinguere tra associazione in partecipazione e società di fatto, soprattutto in considerazione dell’eventualità che l’associato rivesta un ruolo
operativo e intrattenga in nome e per conto dell’associante
rapporti con i terzi si veda F. Di Sabato, Manuale delle società,
V ed., Torino, 1995, 28.
(2) Il principale riferimento normativo è rappresentato da
Cass., sez. un., 17 ottobre 1988, n. 5636, pubblicata, ex multis,
in Giur. comm., 1989, II, 5 ss., con nota di L. Barbiera, ivi, 708,
Partecipazione di s.p.a. a società commerciali di persone: una
nuova motivazione dell’ammissibilità nel confronto con le ridimensionate obiezioni della giurisprudenza di legittimità; in Riv.
dir. comm., 1989, II, 195, con nota di A. Comola, ivi, 1990, II,
289, Società di capitali socie di società di persone: profili civili e
fiscali; in Foro it., 1988, I, 3248, con nota di G. Marziale, Ancora
in tema di partecipazione delle società di persone alle società di
capitali; in Corr. giur., 1988, 1288, con nota di V. Mariconda,
Una nota stonata delle Sezioni Unite: la s.p.a. non può essere
accomandante di s.a.s.; in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 463,
con commento di L. Delle Vergini; in Giur. it., 1989, I, 1, 1368,
con nota di D. Preite, Mezzi di tutela per i soci di società di capitali accomandante, alternativi alla dichiarazione di nullità della
s.a.s.; in Dir. fall., 1989, II, 315, con nota di G. Ragusa Maggiore, È nulla la partecipazione di una società per azioni ad una accomandita semplice?
(3) Sulla portata della disciplina si veda U. Tombari, La partecipazione di società di capitali in società di persone come nuovo
“modello di organizzazione dell’attività di impresa”, in Riv. soc.,
2006, 185 ss.
(4) Si veda in particolare Cass. 16 febbraio 1993, n. 1906,
in Dir. fall., 1993, II, 779 e in Foro it., 1993, I, 1875, la quale afferma che «la partecipazione di una società di capitali, in qualità di accomandante, ad una società in accomandita semplice,
comportando la violazione di norme inderogabili (concernenti
l’amministrazione ed i bilanci della società di capitali) è nulla
per violazione di norme imperative, restando peraltro tale nullità limitata, ai sensi dell’art. 1420 c.c., alla partecipazione della
società di capitali come accomandante, ove la stessa non debba considerarsi essenziale».
(5) Si veda ad esempio Trib. Udine 25 novembre 1996, in
Giur. comm., 1997, II, 576 e in questa Rivista, 1997, 323, la
quale afferma che: «È da ritenersi ammissibile la partecipazione di una società di capitali ad una società di persone e, in
particolare, come accomandante di una società in accomandita semplice, non esistendo alcuna norma imperativa che vieti
una tale partecipazione»; nonché Trib. Udine 9 novembre
1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 734 e in Dir. fall., 1997, II, 746, con
nota di G. Ragusa Maggiore, Partecipazione di una società di
capitali ad una società di persone. Il problema non è ancora definitivamente risolto, la quale afferma che: «La partecipazione
di società di capitali in società in accomandita semplice, in
qualità di socio accomandante, è ammissibile non essendo
ravvisabile alcun motivo d’incompatibilità tra le normative dettate per le due categorie di società». Per la generale ammissibilità della partecipazione di società di capitali in società personali vedi A. Borgioli, Partecipazione di società di capitali in società di persone, in Riv. dir. comm., 1989, I, 301; G.E. Colombo,
La partecipazione di società di capitali ad una società di persone,
in Riv. soc., 1988, 1513 ss.
(6) Da ultimo si veda C. Amatucci, La partecipazione di società di capitali a società di persone, Napoli, 1996. Sia consentito il rinvio a F. Attanasio, La partecipazione di società di capitali
in società di persone alla luce della riforma societaria, Napoli,
2005.
(7) Così A. Sraffa e E. Bonfante, Società in nome collettivo
tra società anonime, in Riv. dir. comm., 1921, I, 612 ss., per i
quali «La società in nome collettivo è nata come società di per-
822
L’ammissibilità della partecipazione di
società di capitali in società di persone
L’ammissibilità della partecipazione di società di
capitali in società di persone è un tema (6) che è
stato per oltre un secolo al centro di una annosa
disputa tra dottrina e giurisprudenza.
Già negli anni venti, a seguito di alcuni contributi dottrinali (7), era emerso un atteggiamento
contrario all’ammissibilità di detta partecipazione.
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Giurisprudenza
Diritto societario
Nel dopoguerra, la questione si era riproposta, in
virtù dei nuovi stimoli derivanti dall’apertura dei
mercati e dall’integrazione europea che avevano
indotto a constatare che numerosi erano i paesi europei nei quali le partecipazioni a società personali
erano aperte a chiunque.
L’orientamento consolidato della giurisprudenza
della Suprema Corte escludeva, però, l’ammissibilità della partecipazione di una società di capitali in
società di persone, in considerazione del fatto che
nel quadro normativo esistente non era contenuta
alcuna regola espressa sull’argomento (8).
Veniva, poi, affermato il principio secondo il
quale tra le società di capitali e le società di persone sussisterebbe una incompatibilità ontologica e
di struttura tale da escludere in radice la possibilità
che una società a base capitalistica possa far parte
di una società a base personale, perché ne risulterebbe una figura ibrida (9) di società allo stesso
tempo di capitali e di persone con un’inammissibile commistione fra i due regimi.
Gli argomenti tradizionalmente addotti per negare l’ammissibilità della partecipazione di società
di capitali a società di persone risiederebbero, secondo la giurisprudenza, nelle seguenti circostanze:
1) impossibilità di configurare, nei confronti del
socio società di capitali, quell’intuitus personae o affectio societatis su cui si regge il vincolo associativo
nelle società di persone;
2) differente regime della responsabilità in ordine all’adempimento delle obbligazioni sociali;
3) inapplicabilità di alcune norme delle società
di persone alle persone giuridiche.
Quanto all’intuitus personae, esso veniva considerato la caratteristica essenziale delle società di persone e delle società in nome collettivo, in particolare, essendo un vincolo che si contrae tra persone
fisiche in considerazione di qualità personali di in-
tegrità, attitudine, solerzia, reputazione ed altro e si
scioglie per la morte e la sopravvenuta incapacità
sia pure limitata di uno dei soci.
L’intuitus personae è innanzitutto fiducia negli altri soci, affidamento nelle qualità personali ed
umane di chi sta compiendo la stessa impresa e
correndo gli stessi rischi; esso non è espressamente
menzionato dalla legge, ma è un principio che caratterizza la tipologia sociale di più antica origine.
In relazione al diverso regime di responsabilità si
sosteneva che «non basta dire che anche la società
di capitali, come la persona giuridica in genere, risponde con tutto il proprio patrimonio; che limitata è la responsabilità dei partecipanti e non quella
della società; che la qualità di socio è della seconda, non dei primi. La responsabilità illimitata non
viene qui in considerazione solo come (estensione
della) garanzia patrimoniale ma come garanzia di
una condotta del socio adeguata agli interessi coinvolti nell’azione della società: ed è chiaro che l’efficacia di stimolo e di remora è ben diversa a seconda che la responsabilità coinvolga l’intero patrimonio dell’agente, lo coinvolga limitatamente
all’apporto o addirittura coinvolga un patrimonio
da lui amministrato» (10).
Nello stesso senso si affermava (11) che, poiché
il negozio di costituzione di società aveva ripercussioni principalmente all’esterno, in quanto creava
una organizzazione destinata a svolgere un’attività
e ad assumere obbligazioni nei confronti di terzi,
esso determinava «imponenti fenomeni di affidamento e di tutela degli interessi variamente coinvolti. A maggior protezione di questi interessi l’autonomia privata è stata ristretta alla scelta fra i tipi
di società previsti dalla legge ed è stata in diversa
forma limitata, attraverso la formazione di schemi
inderogabili» (12).
sone fisiche, è stata ed è tuttavia società di uomini vivi e reali,
non di capitali. E ciò non per ragioni di responsabilità illimitata
o limitata o per altre norme particolari al regime positivo della
società anonima o della società in nome collettivo, ma per
quelle ragioni di conoscenza personale, di fiducia nell’attività,
nell’integrità, nella stessa fortuna commerciale delle persone,
su cui per lunga tradizione si è basata la società in nome collettivo» e ancora l’ipotesi «non è propriamente in contrasto
con i principi positivi sanciti nel codice di commercio, né con i
principi più generali desunti da quelle norme positive, bensì
con quello spirito delle istituzioni commerciali, che si vuole ricercare anche all’infuori della struttura positiva di esse».
(8) Cass., sez. un., 17 ottobre 1988, n. 5636, cit., che ha
confermato, pur se con diversa motivazione, l’orientamento
inaugurato da Cass. 18 giugno 1955, in Giur. it., 1956, I, 1, 186
e seguito da Trib. Milano 31 gennaio 1969, in Riv. dir.
comm., 1969, II, 295, con nota critica di C. Stolfi. Si sono poi
conformate alla decisione delle Sezioni Unite del 1988, Cass.
10 novembre 1992, n. 12087, in Mass. Foro it., 1992; Cass. 16
febbraio 1993, n. 1906, cit.; Cass. 2 gennaio 1995, n. 7, in Dir.
fall., 1995, II, 545. Nella giurisprudenza di merito vedi Trib. Milano 18 giugno 1990, in questa Rivista, 1990, 1356; Trib. Torino
24 febbraio 1998, in Giur. it., 1998, 1195; Trib. Verbania 21
aprile 1997, in Riv. not., 1997, 1221.
(9) Così App. Milano 25 maggio 2004, in Banca borsa tit.
cred., 2006, II, 22, con nota di M. Garcea, È inammissibile la
partecipazione di una società di capitali ad una società di persone: l’ultimo respiro del veto della Cassazione? e in Giur. comm.,
2005, II, 269, con nota di F. Dagnino, La partecipazione di società di capitali in società di persone.
(10) G. Oppo, Sulla partecipazione di società a società personali, in Riv. dir. civ., 1976, I, 4.
(11) Trib. Milano 30 gennaio 1969, in Giur. mer., 1969, I,
355.
(12) Trib. Milano 30 gennaio 1969, cit., 358.
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823
Giurisprudenza
Diritto societario
Da ciò deriverebbe la non cumulabilità del vantaggio consistente nella responsabilità limitata
concessa dalla legge ai soci della società di capitale
da una parte, e dalla posizione di vantaggio dei
componenti di una società di persone che scaturisce dalla struttura semplice e duttile delle società
personali, struttura che consente ridotti doveri di
pubblicità esterna ed esclusione dall’obbligo di redazione di bilancio e delle più impegnative comunicazioni sociali.
Infine, per quel che riguardava l’inapplicabilità
alle persone giuridiche di alcune norme previste
dal codice civile per le società personali, si faceva
in particolar modo riferimento agli artt. 2257,
2266, 2292, 2284 e 2286.
I primi tre disciplinano l’amministrazione, la
rappresentanza e la ragione sociale della società, facendo personalmente riferimento ai soci.
Gli articoli 2284 e 2286 disciplinano la morte,
l’interdizione e l’inabilitazione del socio, che chiaramente non possono che applicarsi a persone fisiche.
Gli argomenti tradizionalmente addotti furono
respinti dalla sentenza della Cassazione del 17 ottobre 1988, n. 5636, fondamentale in materia, che
li ritenne privi di reale fondamento normativo e
ne elaborò dei nuovi.
Richiamando brevemente le motivazioni di detta pronuncia quanto alla irrilevanza degli argomenti fondati sull’intuitus personae e sull’affectio societatis, entrambi detti requisiti non sono contemplati
da norme inderogabili dalla cui violazione possa
derivare una sanzione di nullità.
Nessuna rilevanza ha altresì l’argomento secondo
il quale vi sarebbe una distanza incolmabile tra la
struttura della società di capitali e quella della società di persone, essendo il primo modello basato
sull’intuitus rei, il secondo sull’intuitus personae, poiché anche nelle società di capitali vengono in rilievo le qualità dei soci.
Il rapporto fiduciario non è carattere indefettibile delle società di persone, dove si può prevedere
anche la libera trasferibilità della quota; inoltre, la
fiducia può essere configurabile anche verso una
persona giuridica.
Le caratteristiche personali si possono differenziare e tutelare anche nei soggetti forniti di personalità giuridica, tanto che alcuni di essi vengono
appositamente creati per amministrare gli altrui patrimoni.
Analogamente deve dirsi per quanto riguarda l’idea della incompatibilità tra responsabilità illimita-
824
ta del socio di società personale e limitazione della
responsabilità nelle società di capitali.
Era, infatti, stato facile obiettare che, così ragionando, si confondevano due piani di responsabilità, quella della società di capitali, che è illimitata
per quanto riguarda il proprio patrimonio, integralmente esposto al rischio d’impresa, e quella dei soci della società stessa, per essere limitata alla quota
da ciascuno conferita.
Sempre irrilevante viene riconosciuta la circostanza che alcune norme della disciplina delle società di persone non possono applicarsi quando ad
essa partecipi una società di capitali.
In concreto, che alla s.p.a. socia non si possano
applicare la disciplina della morte del socio (art.
2284 c.c.), o dell’esclusione per interdizione o inabilitazione, non può certo costituire ostacolo all’assunzione da parte della s.p.a. della qualità di socio.
Tali norme rimarranno semplicemente inapplicate, ma da questa circostanza non è possibile dedurre alcuna contrarietà alla legge che possa portare alla nullità della società stessa.
Gli argomenti accolti dalle Sezioni Unite riguardavano, invece, la diversità delle regole sulla gestione e sul controllo dell’attività societaria nelle
s.p.a. e nelle società di persone e, inoltre, l’assenza
nelle società di persone degli obblighi rigorosi posti
per le s.p.a. in materia di bilancio.
In primo luogo, ammettendo la partecipazione di
una società di capitali in una società di persone, si
avrebbe la conseguenza che la parte di patrimonio
investita in quella partecipazione verrebbe sottratta
alle regole in materia di amministrazione delle società di capitali, che mirano ad assicurare la tutela
dell’integrità del patrimonio sociale nell’interesse
dei soci e dei creditori e che costituiscono, nel loro
complesso, norme imperative ed inderogabili, applicandosi invece le norme in materia di amministrazione della società di persone, per le quali i soci
amministratori non sono soggetti a quei controlli.
Nelle s.p.a. il potere di gestione è, infatti, assegnato in via esclusiva agli amministratori; con la
partecipazione ad una società di persone tali poteri
verrebbero esercitati da soggetti estranei, in quanto
parte del patrimonio delle s.p.a. ricadrebbe sotto il
potere degli amministratori della società di persone
partecipata.
Tutto ciò sarebbe contrario alle norme che pongono determinati controlli rigorosi sulla gestione
del patrimonio di una s.p.a., in quanto tali norme
non sono applicabili all’amministrazione della società di persone partecipata e ciò, sostanzialmente,
a danno dei soci della s.p.a. partecipante.
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Diritto societario
In secondo luogo, quanto alla disciplina del bilancio, che costituisce un momento essenziale e caratterizzante del tipo di società di capitali, ammettendo la partecipazione in società personali, si aprirebbe un contrasto interno di regole tale da porre
in serio pericolo l’osservanza del principio fondamentale della chiarezza e precisione.
Da ciò deriverebbe una diminuzione della trasparenza del bilancio della s.p.a., la quale avrebbe
parte del patrimonio investito in una società senza
obblighi particolari nella redazione del bilancio.
Da queste premesse si trassero conseguenze severe: fu considerato illecito l’acquisto, da parte di
una società di capitali, di una quota persino in
qualità di accomandante, asserendo la nullità del
vincolo particolare e, nel caso specifico, della stessa società, che si era costituita senza altri soci limitatamente responsabili.
La fondamentale sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, sulla nullità della partecipazione di società di capitali in società di persone, non ottenne
però il consenso della dottrina, che, anzi, la criticò
aspramente (13).
L’art. 2361, secondo comma c.c., così come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (14), prevede oggi espressamente la possibilità che una società di capitali assuma partecipazioni in altre imprese comportanti responsabilità illimitata.
Il testo riformato dell’art. 2361 c.c. ha disposto
che la partecipazione in oggetto debba soggiacere
ad alcuni specifici requisiti e, precisamente, deve
essere deliberata dall’assemblea e gli amministratori
debbono darne specifica informazione nella nota
integrativa al bilancio.
È, quindi, necessario un preventivo intervento
dell’organo assembleare, a tutela dell’affidamento
dei soci circa la non alterazione delle condizioni di
rischio ordinariamente connesse alla loro partecipazione e la necessità di una specifica informazione
in sede di bilancio, a tutela dell’interesse dei creditori sociali e dei terzi a poter effettuare una compiuta valutazione delle condizioni di rischio gestionale della società con la quale intendano intrattenere rapporti implicanti una valutazione di merito
creditizio, ovvero di affidabilità per la concessione
di credito, o nella quale intendano acquisire delle
partecipazioni.
Prescrizione, quest’ultima, opportuna alla luce di
quanto è emerso nel noto caso Enron, in cui i conti non riportavano adeguatamente il coinvolgimento della società in svariate general partnership aventi
sede in paradisi fiscali (15).
Inoltre, il nuovo art. 111 duodecies, delle disposizioni di attuazione (16) al codice civile, aggiunto
in sede revisione finale del progetto di decreto legislativo, stabilisce che, qualora tutti i soci illimitatamente responsabili, di cui all’art. 2361, secondo
comma, c.c., siano società per azioni, in accomandita per azioni o società a responsabilità limitata,
le società in nome collettivo o in accomandita
semplice devono redigere il bilancio secondo le
norme previste per le società per azioni; esse devono inoltre redigere e pubblicare il bilancio consolidato come disciplinato dall’art. 26 d.lgs. 9 aprile
1991, n. 127.
Quanto al suo ambito applicativo, la norma
estende la disciplina in tema di bilancio delle s.p.a.
solo alle società in nome collettivo e in accomandita semplice in cui tutti i soci illimitatamente responsabili rivestano la forma giuridica di società di
capitali, con ciò ripetendo testualmente il contenuto della direttiva comunitaria 8 novembre 1990.
Sembra però corretto ritenere che il legislatore
della riforma non abbia inteso limitare alle sole società per azioni la possibilità di partecipare a società di persone, ma ha attribuito alla norma dettata
dall’art. 2361 c.c. la portata di principio applicabile
a tutte le società di capitali (17).
(13) Vedi V. Mariconda, Una nota stonata delle sezioni unite:
la s.p.a. non può essere accomandante di s.a.s., cit., 1293; per
una critica analitica della posizione della giurisprudenza, cfr.
F.M. Giuliani, Partecipazione di società di capitali a società personali: ricostruzione critica della tesi di nullità e delle sue possibili
conseguenze, in Giur. comm., 1993, I, 728.
(14) Pubblicato nella G.U. del 22 gennaio 2003, n. 17, s.o.
Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n.
366. Nel suddetto decreto sono state riportate le rettifiche e le
correzioni di cui ai Comunicati del 4 luglio 2003 (G.U. 4 luglio
2003, n. 153) e 18 luglio 2003 (G.U. 18 luglio 2003, n. 165), e
le modifiche ed integrazioni di cui al d.lgs. 6 febbraio 2004, n.
37.
(15) La reale situazione della famigerata corporation texana
fu occultata, cedendo attività e passività a numerosissime
partnerships ubicate prevalentemente in paesi accoglienti (off
shore) alle quali prendevano parte anche dirigenti della società
o fidati prestanome. In tal modo agli occhi delle società di revisione, le regole contabili e gestionali venivano formalmente rispettate. Sul tema vedi R. Weigmann, Luci ed ombre del nuovo
diritto azionario, in questa Rivista, 2003, 271.
(16) Norma, quest’ultima assente nella bozza di decreto legislativo, diffusa nel settembre 2002, e aggiunta in sede di redazione del testo definitivo, presumibilmente raccogliendo il
suggerimento proveniente dalla dottrina (vedi il Parere dei
componenti del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in
Diritto commerciale interno e internazionale, Università Cattolica
di Milano, in Riv. soc., 2002, 1453).
(17) Sul punto si veda A. Bartalena, La partecipazione di società di capitali in società di persone, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum di G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G. Portale, Torino, 2007, 99; U. Tombari - O. Cagnas-
Le Società 7/2014
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Giurisprudenza
Diritto societario
Non sembrano sussistere ostacoli, quali l’eccezionalità della norma oppure il difetto di eadem ratio delle discipline, che impediscano la praticabilità
di tale scelta ermeneutica (18).
La società per azioni può, dunque, essere socia illimitatamente responsabile di una società di persone purché l’assunzione di tale partecipazione venga
espressamente deliberata dall’assemblea (19).
La recente riforma del diritto societario accoglie,
come è noto, il principio della libertà delle forme
organizzative, con un’ampia autonomia statutaria.
Con questi interventi che abilitano la società di
capitali a partecipare a quelle di persone, l’Italia si
avvicina all’esperienza di altri paesi, come la Francia e la Germania (20).
Va evidenziato che tali meccanismi giuridici
possono essere utilizzati al fine di eludere il rischio
d’impresa; essi, inoltre, permettono di beneficiare
del trattamento tributario delle società personali.
La società di persone partecipata da un ente capitalistico è sembrata, però, la forma societaria più
adatta a sopportare i continui mutamenti di cui i
mercati attuali si rendono protagonisti: in un contesto concorrenziale sempre più competitivo ma
fortemente instabile ed incerto, la combinazione
societaria in esame potrebbe rivestire un ruolo decisivo data la sua capacità di unire facilità di finanziamento ad una gestione snella e flessibile, idonea
a garantire il soddisfacimento dell’esigenza di speditezza dei traffici.
Il problema della responsabilità è, quindi, stato
accantonato in considerazione della presenza di interessi diffusi meglio attuabili con il ricorso a strumenti di agevole articolazione come nel caso di
una joint venture (21).
Il legislatore delegato, risolvendo il contrasto interpretativo a favore della tesi più liberale, ha sol-
levato però una serie di questioni inedite, talune
derivanti direttamente dall’esegesi delle nuove norme, altre determinate dalla conseguente ridefinizione del sistema.
Sarà compito della giurisprudenza affrontare i
complessi problemi che deriveranno dall’applicazione della normativa.
Si pensi, oltre al tema della configurabilità di
una società di fatto, argomento che verrà trattato
nel prossimo paragrafo, alle disposizioni in tema di
bilancio, dalla cui lettura emerge il pericolo di spostare all’esterno del consiglio di amministrazione di
una società per azioni talune importanti scelte gestionali e finanziarie, senza che i risultati indirettamente conseguiti siano riportati in misura adeguata
nel bilancio della partecipante.
Né è stato risolto in maniera corretta il problema dell’opacità dei conti di gruppo, a causa della
difficoltà di riferire l’attuale nozione di controllo di
una società sull’altra alle società di persone alle
quali partecipi una società di capitali, in veste di
socio illimitatamente responsabile.
so, Sub. art. 2361, in G. Alpa - V. Mariconda (a cura di), Codice
civile commentato, Milano, 2009, 1368.
(18) Vedi V. Donativi, Partecipazioni, sub. art. 2361, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino,
2003, 237.
(19) Secondo F. Galgano, Diritto Commerciale, Le società, Bologna, 2009, 45, «l’assunzione della partecipazione in società di persone dovrà sempre essere espressa e non potrà
mai essere tacita, ossia desumersi dal comportamento concludente degli amministratori. Sicché resta l’inammissibilità di società di fatto fra società di capitali esplicitamente dichiarata,
cioè risultante da deliberazioni delle rispettive assemblee e stipulata nella forma della società regolare». In senso contrario si
veda G. Cottino, M. Sarale, R. Weigman, Società di persone e
consorzi, in Tratt. dir. comm., diretto da G. Cottino, vol. III, Padova, 2004, 91, dove, in palese contrasto con la disposizione
dell’art. 2361, secondo comma, c.c., si afferma che, anche in
assenza di una preventiva deliberazione assembleare o comunque di una decisione dei soci, per semplice iniziativa degli
amministratori, la società di capitali potrebbe assumere la par-
tecipazione in società di persone, sicché sarebbe ammissibile
una società di fatto tra società di capitali.
(20) La partecipazione di persone giuridiche (quindi anche di
società di capitali) ad una società in nome collettivo è esplicitamente consentita in Francia dalla legge 24 luglio 1966, n.
537 (Loi sur le societes commerciales), art. 12; in Germania è
ammessa da oltre settant’anni, e qui può essere interessante
notare che la decisione dalla quale prese origine il formarsi
dell’attuale opinione dominante (Reichsgericht 4 luglio 1992, in
RGZ, 11, 101 ss.) risolse il problema proprio respingendo l’argomento della incompatibilità tra limitata responsabilità dei soci della AG e illimitatezza della responsabilità del socio di
OHG. Vedi R. Genghini, Spunti per uno studio comparato della
partecipazione di società di capitali a società di persone: la
“GmbH & Co. KG”, in Riv. dir. comm., 1989, I, 409; M. Tessera
Chiesa, La partecipazione delle società di capitali alle società di
persone e la nullità del contratto sociale in Italia e in Germania,
in Giur. it., 1998, II, 1086 ss.
(21) Così G. Ragusa Maggiore, È nulla la partecipazione di
una società per azioni ad una accomandita semplice, cit., 326.
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Riflessi fallimentari della partecipazione di
società di capitali in società di persone: la
società di fatto tra persona fisica e giuridica
Una volta ravvisata la nullità della partecipazione di una società di capitali ad una società di persone, la giurisprudenza concludeva per la inassoggettabilità della società di capitali al fallimento,
escludendo la configurabilità di una società di fatto
tra la società di capitali ed una persona fisica.
La Cassazione, infatti, coerentemente con una
propria consolidata impostazione, riteneva che il
sistema positivo dettato per le società personali
mantenesse le stesse “al livello della contrattualità
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Giurisprudenza
Diritto societario
e dei suoi rimedi” e, conseguentemente concludeva
nel senso che i predetti rapporti con i terzi tamquam non esset.
Tale conclusione appariva già prima dell’introduzione della nuova normativa, contrastante con
acquisizioni ormai consolidate sul piano della rilevanza nel diritto fallimentare del mero “agire apparentemente societario”, in base ad una dimensione
esclusiva di effettività.
Se il rapporto contrattuale, irregolarmente formatosi ha avuto svolgimento, appariva privo di
senso appellarsi alla nullità di esso per quanto riguarda il passato, nel richiamo di una concezione
obiettiva del contratto, secondo cui esso andava
considerato non più il portato della volontà delle
parti, ma piuttosto un assetto d’interessi.
Di qui l’immediata accessibilità al riconoscimento della giuridica rilevanza dei rapporti di fatto,
con particolare riguardo proprio alla materia societaria.
Con riferimento alla società di fatto è opportuno
precisare che essa si configura quando due o più
soggetti agiscano tra loro come soci pur non avendo manifestato esplicitamente né verbalmente, né
per iscritto, la volontà di perfezionare un contratto
di società (22).
Al fine della prova dell’esistenza di una società
di fatto la giurisprudenza ha ritenuto opportuno distinguere i rapporti interni tra i soci, dai rapporti
esterni con i terzi (23).
Nell’ambito dei rapporti interni, la prova del
vincolo sociale è data dalla sussistenza di un fondo
comune, di un’alea comune nei guadagni e nelle
perdite e dell’affectio societatis, da intendersi come
implicita volontà dei soci di vincolarsi e di collaborare per ottenere insieme i risultati derivanti dall’esercizio di un’attività economica (24).
Per quanto riguarda i rapporti esterni, è stata ritenuta sufficiente la esteriorizzazione del rapporto
societario, nel senso che, a prescindere dalla volontà delle parti di dare vita ad un contratto ex art.
2247 c.c., diventa determinante ciò che appare al-
l’esterno: se due o più soggetti si sono comportati
di fatto come soci inducendo i terzi a fare affidamento anche su un patrimonio sociale, potrà ritenersi esistente una società (25).
Costituiscono manifestazioni rivelatrici dell’esistenza del contratto sociale la tenuta di contabilità
congiunta, la spendita del nome sociale.
Il fenomeno della costituzione di una società di
fatto è connotato solo dall’assenza di formalizzazione: il contratto sociale può, quindi, essere stipulato
anche tacitamente, e risultare da manifestazioni
esteriori che evidenzino l’esistenza della società (26).
Il principio generale di diritto ricavabile appare
il principio di effettività nel diritto delle società,
rilevante anche nell’ambito fallimentare.
Secondo tale orientamento, quindi, a seguito
della modifica legislativa, appare corretto ritenere
che nell’ipotesi di insolvenza della società di persone partecipata, con conseguente dichiarazione di
fallimento, verranno automaticamente coinvolti
tutti i soci illimitatamente responsabili e, conseguentemente, anche il socio che si configuri come
società di capitali.
Negare la possibilità giuridica dell’esistenza di
una società di fatto a cui partecipi una società di
capitali, significa privilegiare i creditori particolari
delle singole persone fisiche o giuridiche che dovrebbero risultare soci della società di fatto, rispetto ai creditori dell’impresa sostanzialmente comune
e discriminare tra i creditori della società di fatto
partecipata dalla società di capitali e creditori di
una società di persone della quale si accerti aver
fatto parte un socio occulto (27).
A seguito della riforma societaria, la delimitazione che prima esisteva tra l’illimitata responsabilità
dei soci di una società di persone e quella limitata
di una società di capitali in forza del principio dell’appartenenza al modello tipico prescelto è venuta
meno.
Nulla osta, quindi, all’applicazione diretta anche
alla società di capitali partecipante ad una società
(22) In tal senso App. Catanzaro 30 luglio 2012, in Giur.
comm., 2013, 3, II, 433 con nota di M. Spiotta, Società di fatto
o “del fatto compiuto”?; Trib. Vibo Valentia, sez. fall., 10 giugno
2011, in Giur. mer., 2012, 3, 656, con nota di M. Franchi, Appunti sulla partecipazione di una s.r.l. ad una società di persone
e in Banca borsa tit. cred., 2013, II, 457, con nota di A. Dell’Osso, Periclitanti discrimina: tra società di fatto (tra società di capitali e persone fisiche), società apparente ed holding individuale.
(23) In tal senso Cass. 11 marzo 2010, n. 5961; Cass. 7 dicembre 1989, n. 5480, in questa Rivista, 1990, 466; Cass. 28
marzo 1987, n. 3029, ivi, 1988, 595.
(24) In senso conforme Cass. 10 agosto 1990, n. 8154, in
Fall., 1991, 239.
(25) In tal senso Cass. 7 giugno 1985, n. 3398, in Fall., 1986,
152.
(26) Così di recente Cass., sez. trib., 20 gennaio 2006, n.
1127: «L’esistenza di una società di fatto può ben essere desunta da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una
struttura sovraindividuale indiscutibilmente consociativa, assunte non per una loro autonoma valenza, ma quali elementi
apparenti e rivelatori, sulla base di una prova logica, dei fattori
essenziali di un rapporto di società …».
(27) Così F. Di Sabato, op. cit., 42.
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Giurisprudenza
Diritto societario
Il tema dell’ammissibilità di una società di fatto
tra persone fisiche e giuridiche si presenta denso di
criticità.
Parte della giurisprudenza di merito e della dottrina (30) sono favorevoli alla partecipazione di società di capitali in società di fatto, sancendo il fallimento in estensione di società di capitali in
quanto socie (con persone fisiche) per facta concludentia di una c.d. super-società di fatto.
Si è tentato così di aprire nuove prospettive interpretative in presenza di un abuso della personalità giuridica e di una non corretta gestione dell’impresa societaria.
Per reprimere l’abuso della personalità giuridica
si è, difatti, ipotizzata l’estensione del fallimento,
ex art. 147 l. fall., alle persone fisiche che utilizzano le società di capitali come mero schermo di copertura della loro attività.
In sede fallimentare, l’esistenza di una società di
fatto tra due o più soggetti è indiscutibilmente po-
sta a tutela del principio dell’apparenza del diritto
e dei diritti dei terzi.
Ed è proprio a questo affidamento incolpevole
nei confronti dei terzi che fa riferimento la sentenza laddove precisa che esso è stato determinato dall’intento delle parti che era quello di gestire in comune l’attività dell’azienda.
Secondo il tribunale, quindi, il rapporto intercorso tra le parti è da qualificare in termini di società di fatto, essendo gli elementi indiziari sufficienti ad integrare proprio i presupposti caratterizzanti questo tipo di società.
Gli elementi indiziari per assurgere a dignità di
prova e per legittimare l’affermazione dell’esistenza
di una società di fatto tra società di capitali, devono essere gravi, precisi e concordanti, tali, cioè, da
far desumere la ricorrenza, nei rapporti interni, dei
fattori individualizzanti un rapporto societario (ovvero il fondo comune, l’alea comune e l’affectio societatis), che deve essere, peraltro, esteriorizzato
con carattere di serietà e di sistematicità.
L’esistenza del rapporto sociale può quindi risultare da indizi rivelatori, allorquando essi, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto
siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi
sociali.
Tuttavia, la soluzione adottata dal tribunale, che
ha ritenuto certamente ammissibile la società di
fatto tra persona fisica e giuridica, appare voler risolvere forse un po’ troppo frettolosamente la questione.
Che il tema sia tuttora controverso è dimostrato
dal fatto che la prescrizione di cui all’art. 2361 c.c.,
posta dal tribunale alla base della propria decisione, lascia in realtà irrisolte numerose questioni.
La norma, difatti, non stabilisce quali siano le
conseguenze derivanti dall’assunzione di partecipa-
(28) Così Trib. Palermo 14 ottobre 2012, in questa Rivista,
2013, 392, con nota di C. S. Hamel, Il fallimento di società di
fatto tra società di capitali; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez.
fall., 8 luglio 2008, in Fall., 2009, 89, con nota di F. Fimmanò,
Il fallimento della super-società di fatto; Trib. Prato 10 novembre
2010, in Dir. fall., 2011, II, 382, con nota di M. Bailo Leucari,
La partecipazione di società di capitali ad una società di fatto:
presupposti normativi ed esigenze di tutela dei terzi e (con la data del 13 novembre 2010), in Giur. mer., 2011, 11, 2721, con
nota di M. M. Gaeta, Riflessioni sull’assunzione di partecipazioni
in mancanza della autorizzazione assembleare prevista dall’art.
2361 comma 2 c.c.
(29) Sul punto vedi Trib. Forlì 9 febbraio 2008, in Giur. it.,
2008, 1425, in Fall., 2008, 1328, con nota di M. Irrera, La società di fatto tra società di capitali e il suo fallimento per esten-
sione e in Nuovo dir. soc., 2008, 12, 86, con nota di M. Spiotta,
Un inaspettato sì all’ipotesi di società di fatto tra società di capitali. Si veda poi Trib. Bari 18 novembre 2013, che ha sollevato
d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147,
comma 5, l. fall., nella parte in cui, nell’ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali,
non consente l’estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società, per contrasto con gli
artt. 3, comma 1, e 24, comma 1 Cost.
(30) Vedi A. Bartalena, La partecipazione di società di capitali
in società di persone, cit., 112; A. Mirone, Sub. art. 2361 c.c., in
G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres (a cura di), Società di capitali, Commentario, Napoli, 2004, 418; P. Piscitello, in AA.VV.,
Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2007, 115.
personale dell’art. 147, primo comma, legge fallimentare.
Tale norma espressamente ammette l’estensione
della procedura concorsuale ai soci illimitatamente
responsabili, anche quando non sono persone fisiche (28).
I commi quattro e cinque della stessa norma prevedono l’estensione del fallimento anche nell’ipotesi di società o di soci occulti e di società di fatto.
Sebbene la norma in questione si riferisca all’estensione del fallimento nel caso di un imprenditore individuale, si reputa che la stessa costituisca
espressione di un principio generale applicabile anche all’ipotesi in cui la partecipazione alla società
di fatto risulti dopo la dichiarazione di fallimento
di un imprenditore collettivo (29).
Considerazioni conclusive
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Diritto societario
zioni in mancanza della prescritta autorizzazione assembleare.
Su tale aspetto si rinvengono, in dottrina, opinioni contrastanti.
Vi è chi ritiene che, nell’ipotesi di acquisto di
partecipazioni operato senza la previa deliberazione
dell’assemblea, l’assunzione delle stesse sia efficace
determinando l’esposizione della società di capitali
al fallimento come conseguenza dell’insolvenza
della società partecipata (31).
L’atto di assunzione di dette partecipazioni ha
natura di atto gestorio, riservato alla esclusiva
competenza degli amministratori.
I limiti del potere di rappresentanza che derivano dalla legge non sono opponibili ai terzi, fatta
salva la responsabilità degli amministratori verso la
società ed i creditori.
Tale orientamento si fonda sul disposto di cui all’art. 2384 c.c., che qualifica come generale il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori
ed esclude l’opponibilità ai terzi delle limitazioni ai
poteri degli amministratori.
Nei rapporti esterni, quindi, per tutelare l’affidamento dei terzi e, fatta salva l’exceptio doli, gli atti
compiuti dall’amministratore munito dei poteri di
rappresentanza, ma privo del potere di gestione, e,
gli atti che eccedono i limiti al potere di rappresentanza, rimangono validi.
Nei rapporti interni, invece, la mancanza del potere o l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale restano rilevanti quali base per un’azione di responsabilità, ex art. 2392 c.c.
La ratio di tale lettura della norma va identificata nell’esigenza di tutela dei creditori che, in buona
fede, abbiano fatto affidamento sull’esistenza della
società di fatto.
Tale conclusione si pone però in contrasto con
l’orientamento espresso da parte della giurisprudenza e della dottrina (32) che ritengono, al contrario,
non ammissibile la partecipazione di una società di
capitali ad una società di fatto che, proprio per il
suo carattere informale, non può essere preceduta
dall’autorizzazione dell’assemblea, né accompagnata dalla specifica indicazione nella nota integrativa
del bilancio.
In tal modo l’attività di gestione degli amministratori esporrebbe la società alle conseguenze dell’insolvenza della società partecipata in via di fatto,
senza che i soci abbiano avuto modo di apprezzare
tale rischio, attraverso l’applicazione dell’art. 2361
c.c., e senza che i creditori abbiano potuto valutare
l’affidabilità della società anche alla luce della partecipazione in esame e dei suoi riflessi sulla fallibilità della società loro debitrice.
Di ostacolo alla partecipazione di società di capitali ad una società di fatto, quindi, sarebbe proprio
la prescrizione di cui all’art. 2361, secondo comma,
c.c.
Alla tutela dell’interesse dei soci e dei creditori
sarebbe preordinata tutta la disciplina relativa alla
veridicità e correttezza dei dati di bilancio, intesi
come fondamentali strumenti di controllo della
garanzia patrimoniale offerta dalla società debitrice.
L’assunzione di partecipazioni da parte di società
di capitali in società di persone costituirebbe una
operazione che può comportare una alterazione
delle normali condizioni di rischio connesse all’esercizio dell’impresa nella forma delle società di capitali (33).
Inoltre, tale operazione sarebbe potenzialmente
lesiva anche delle ragioni dei creditori sociali, determinando un pregiudizio non solo potenziale ma
anche concreto ed attuale per questi ultimi (34).
In ordine poi all’efficacia dell’assunzione di partecipazioni in difetto di autorizzazione assembleare,
si sostiene che le violazioni ai limiti del potere di
rappresentanza posti direttamente dalla legge sono
sempre opponibili ai terzi, anche se gli artt. 2384
c.c. e 2475 bis c.c., non menzionano più espressamente le limitazioni legali di tali poteri.
(31) Così F. Platania, La partecipazione di società di capitali in
società di persone alla luce della riforma, in questa Rivista,
2005, 66; R. Weigmann, I gruppi di società, in AA. VV., La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 213.
(32) Aderiscono a tale orientamento Cass. 2 gennaio 1995,
n. 7, in Fall., 1995, 758, con nota di A. Patti, Riflessi fallimentari
della partecipazione di società di capitali in società di persone;
App. Napoli 15 maggio 2009, in Riv. soc., 2009, 1481, in Nuovo dir. soc., 16, 2009, 42, con nota di F. Angiolini, L’estensione
del fallimento della società di fatto alla s.r.l. socia e in Riv. dir.
soc., 2010, 1, 102, con nota di A. Di Febo, La partecipazione di
fatto di società di capitali in società di persone. Profili sostanziali;
App. Bologna 11 giugno 2008, in Fall., 2008, 1293, con nota di
F. Platania, Il fallimento di società di fatto partecipata da società
di capitali; App. Torino 30 luglio 2007, in Giur. mer., 2007, 10,
2219, in Giur. it., 2007, 2219, con nota di G. Cottino, Note minime su società di capitali (presunta) socia di società di persone e
fallimento, in Nuovo dir. soc., 2007, 59 con nota di M. Irrera,
Un secondo no all’ipotesi di società di fatto tra società di capitali e in Riv. dir. comm., 2008, 309, con nota di A. Bartalena, Società di fatto partecipata da società di capitali.
(33) Così V. Donativi, Partecipazioni, sub. art. 2361, in La riforma delle società, cit. 220.
(34) Così F. Vessia, Acquisto di partecipazioni da parte di società di capitali in società di persone: la tutela dei creditori della
società partecipante tra revocatoria e patrimonio destinato, in
Riv. not., 2011, 107.
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Giurisprudenza
Diritto societario
Non sarebbe, quindi, in conclusione, ammissibile l’adozione di deliberazioni assembleari o di decisioni dei soci per fatti concludenti; in assenza dei
requisiti formali minimi richiesti per le deliberazioni o per le decisioni queste sarebbero da considerare inesistenti.
Occorre però precisare che l’atto eventualmente
compiuto in assenza della preventiva autorizzazione
assembleare per difetto assoluto di potere rappresentativo potrebbe essere sanato mediante una deliberazione assembleare successiva con effetti simili
a quelli di un negozio di ratifica (35).
Il tema dell’ammissibilità di una c.d. super-società di fatto resta, quindi, molto discusso in dottrina,
laddove si ravvisa una tradizionale resistenza ad
ammetterne la configurabilità (36).
Tale orientamento non appare, però, coerente
con la tendenza legislativa, improntata all’ingresso
delle società di capitali in schemi personali al fine
di offrire al mercato strumenti più flessibili ed alla
tutela dei terzi che abbiano fatto affidamento sugli
atti posti in essere anche in assenza dei requisiti
stabiliti dalla legge e le cui esigenze di tutela, in
una ottica di bilanciamento degli opposti interessi,
sembra preferibile privilegiare rispetto a quella dei
soci.
«Negare l’ammissibilità di una società di fatto di
cui siano socie le società di capitali (e persone fisiche) significa andare contro le stesse esigenze di
tutela dei terzi che si vorrebbero soddisfare [con
l’art. 2361, secondo comma, c.c.]» (37).
(35) Così C. Pasquariello, Sub. art. 2361 c.c., in Commentario delle società, a cura di G. Grippo, Milano, 2009, 414.
(36) Vedi A. Audino, Sub. art. 2361 c.c., in Il nuovo diritto
delle società, a cura di A. Maffei Alberti, I, Padova, 2005, 416;
F. Galgano, op. cit., 45.
(37) Così F. Di Sabato, op. cit., 42.
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