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Canto XXIV - Edu.lascuola

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Canto XXIV - Edu.lascuola
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Canto XXIV
Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia
Peccatori Ladri
Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subiscono
mostruose metamorfosi
Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come i
serpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubati
del loro stesso corpo
Dante incontra Vanni Fucci
■ Sequenze narrative
®
vv 1-21
TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO
Nel vedere il maestro turbato, anche Dante si sconforta, ma poi si rianima quando, vicino
alla frana del ponte, il volto di Virgilio ritorna sereno. È una sensazione simile a quella del
pastore che, dopo essersi abbattuto nel vedere al mattino i campi coperti di brina, pensando che sia nevicato durante la notte, si riprende quando la brina si scioglie e i campi ritornano a verdeggiare.
® vv 22-63
Inferno, XXIV,
91-96,
miniatura
ferrarese,
Ms. Urb. Lat. 365,
f. 63 v.
Roma, Biblioteca
Vaticana.
VERSO LA SETTIMA BOLGIA
La salita lungo la frana è faticosa e Virgilio aiuta amorevolmente il discepolo, giungendo
infine sull’argine della settima bolgia; i due poeti salgono quindi sul ponticello che la
sovrasta.
® vv 64-96
LA BOLGIA DEI LADRI
Dal ponte non è però possibile vedere il fondo del fossato né distinguere le voci che vi si
levano; per questo i due si spostano verso l’argine successivo, da cui la bolgia appare in tutto
il suo orrore. Questa è completamente ricoperta di serpenti di ogni tipo, in mezzo a cui
corrono nudi i dannati, con le mani legate con serpi dietro alla schiena.Vengono qui puniti i ladri, che, per uno degli aspetti del contrappasso, non possono ora usare le mani che
servirono loro in vita per rubare.
® vv 97-151
VANNI FUCCI
Un serpentello trafigge alla nuca un dannato, che subito incenerisce, ma immediatamente
riprende forma umana, come la mitica Araba Fenice, che ogni cinquecento anni brucia e
subito risorge, rinnovata, dalle proprie ceneri. Alla domanda di Virgilio, il dannato risponde di essere il pistoiese Vanni Fucci, che Dante ebbe modo di conoscere in vita come uomo
violento e sanguinario. Per questo infatti il poeta si meraviglia di vederlo punito tra i ladri.
Vanni Fucci confessa allora di trovarsi in questa bolgia a causa di un furto sacrilego, del
quale erano stati ingiustamente incolpati altri. Infuriato per essere stato smascherato da
Dante, gli predice per dispetto le prossime sconfitte dei Bianchi* pistoiesi e fiorentini.
211
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Inferno
C ant o XXI V
■ Temi e motivi
L’ardua impresa di Dante
Come si era già verificato nel canto XXI, aperto dal paragone tra la bolgia dei barattieri e
l’arzanà de’ Viniziani, e come si ripeterà ancora nel canto XXX, anche in questa occasione
l’esordio è affidato ad un’ampia similitudine*, secondo l’uso retorico medievale. Si tratta
di un quadro campestre di raffinata fattura letteraria – che annuncia la sfida con i poeti
classici esplicitamente dichiarata nel canto successivo (Inf. XXV, 94-99) –, ma non fine a se
stesso, in quanto la ripresa di fiducia del villanello allo sciogliersi della brina scambiata in un
primo momento per neve, cosa che gli avrebbe impedito di condurre il gregge al pascolo,
è assimilata al mutare dello stato d’animo di Dante, prima turbato nel vedere Virgilio accusare il colpo delle parole beffarde di Catalano*, rivelatrici dell’inganno di Malacoda*, poi
riconfortato dallo stesso maestro, rientrato prontamente nel ruolo di guida esperta e sicura che gli compete.
Dopo la similitudine iniziale, intessuta di precisi echi di Virgilio*, di Stazio* e di Lucano*,
il confronto con i poeti classici (i gran savi evocati al v. 106), assunto come tecnica portante per questo canto e per il successivo, prosegue attraverso la descrizione del terribile
ambiente infestato di rettili, in cui la precisione realistica (di ordine geografico e zoologico) si fonde con il fascino del favoloso e dello strano (riferimenti ad animali mitici come
l’Araba Fenice*), e della prima metamorfosi di un dannato, che subito dopo si presenterà
come il pistoiese Vanni Fucci*. La sfida è rivolta in particolare a Lucano, che nella Farsaglia
aveva descritto gli orrori del deserto libico, e a Ovidio*, poeta delle Metamorfosi, che Dante
non si accontenta di imitare, ma cerca anche di superare quanto a tecnica descrittiva, come
risulterà evidente nel canto successivo (Inf. XXV, 94-97).
Vanni Fucci
Al centro dell’episodio (tra la fine del canto XXIV e l’inizio del canto XXV) si colloca l’incontro con l’individuo che incarna il peccato nel modo più empio e bestiale: il pistoiese
Vanni Fucci*, guelfo di parte Nera*, ladro e omicida, uno dei grandi protagonisti delle lotte
interne alla propria città. Con una protervia superiore a quella dello stesso Capaneo* (cfr.
Inf. XIV), il peccatore confessa compiaciuto i propri reati e, vedendosi scoperto tra i ladri a
causa del furto sacrilego alla cappella di S. Iacopo nel duomo di Pistoia (di cui furono
ingiustamente incolpati altri), sfoga la propria rabbia predicendo la rovina dei Bianchi* e
dello stesso Dante, con la precisa volontà di ferirlo (v. 151). Su questa vendicativa affermazione termina il canto, ma la scena continuerà in quello successivo, che si aprirà con il gesto
osceno rivolto dal peccatore a Dio in segno di sfida, che si rivelerà tanto blasfemo e arrogante quanto vano, destinato ad essere immediatamente stroncato dalla divina giustizia.
3
In quella parte del giovanetto anno
che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra
e già le notti al mezzo dì sen vanno,
6
quando la brina in su la terra assempra
l’imagine di sua sorella bianca,
ma poco dura a la sua penna tempra,
9
lo villanello a cui la roba manca,
si leva, e guarda, e vede la campagna
biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca,
212
®
vv 1-21
TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI
VIRGILIO
Nel periodo (parte) iniziale (giovanetto) dell’anno in cui il sole
rende più tiepidi (tempra) i propri raggi (crin) nella costellazione (sotto) dell’Acquario e le notti già si avviano (sen vanno)
a durare la metà del giorno (al mezzo dì),
quando la brina riproduce (assempra) sulla (in su) terra l’immagine della neve (sua sorella bianca), ma la tempera (tempra) della
sua penna (con cui la brina riproduce la neve) dura poco,
il pastorello (villanello) che non ha foraggio per le pecore (a cui
la roba manca), si alza, guarda e vede tutta la campagna biancheggiare; per cui egli (ond’ei) si rammarica (si batte l’anca),
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Canto XXI V
Inferno
12
ritorna in casa, e qua e là si lagna,
come ’l tapin che non sa che si faccia;
poi riede, e la speranza ringavagna,
rientra in casa e ogni tanto (qua e là) si lamenta (si lagna),
come un poveretto (’l tapin) che non sa che fare (per rimediare qualcosa) (che si faccia); poi esce di nuovo (riede) e riguadagna (ringavagna) la speranza,
15
veggendo ’l mondo aver cangiata faccia
in poco d’ora, e prende suo vincastro
e fuor le pecorelle a pascer caccia.
nel vedere (veggendo) la terra (mondo) aver cambiato (cangiata)
aspetto (faccia) in poco tempo (in poco d’ora), e prende il suo
bastone (vincastro) e spinge (caccia) fuori le pecorelle a pascolare (pascer).
18
Così mi fece sbigottir lo mastro
quand’io li vidi sì turbar la fronte,
e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;
Allo stesso modo mi fece stupire (sbigottir) il maestro quando
lo vidi corrucciare (turbar) la fronte e altrettanto rapidamente
(così tosto) giunse il rimedio (lo ’mpiastro) allo sconforto (mal);
21
ché, come noi venimmo al guasto ponte,
lo duca a me si volse con quel piglio
dolce ch’io vidi prima a piè del monte.
dal momento che (ché), appena giungemmo al ponte franato
(guasto), la guida si rivolse a me con quell’espressione (piglio)
dolce che avevo visto la prima volta ai piedi (a piè) del colle
(nella selva oscura).
24
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco riguardando prima
ben la ruina, e diedemi di piglio.
27
E come quei ch’adopera ed estima,
che sempre par che ’nnanzi si proveggia,
così, levando me sù ver’ la cima
Aprì le braccia e, valutata (eletto) tra sé (seco) la scelta migliore (alcun consiglio) dopo aver osservato bene (riguardando…
ben) le condizioni della frana (ruina), mi afferrò (diedemi di
piglio) (per aiutarmi a salire).
E come colui che agisce (adopera) e allo stesso tempo riflette
(sul da farsi) (estima), in modo che sembra (par) sempre provvedere (si proveggia) in anticipo all’azione successiva (’nnanzi),
così, spingendomi (levando me sù) verso (ver’) l’estremità (cima)
30
d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia
dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa;
ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia».
di un masso (ronchione), adocchiava (avvisava) un’altra sporgenza rocciosa (scheggia) dicendo: «Aggrappati poi a (Sovra)
quella; ma prima (pria) prova (tenta) se essa è in grado (s’è tal)
di reggerti (ti reggia)».
33
Non era via da vestito di cappa,
ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
potavam sù montar di chiappa in chiappa.
36
E se non fosse che da quel precinto
più che da l’altro era la costa corta,
non so di lui, ma io sarei ben vinto.
Non era un cammino (via) adatto a chi indossa vestiti ampi e
pesanti (da vestito di cappa), poiché a malapena (a pena) noi,
Virgilio (ei) leggero (lieve, in quanto spirito) ed io sospinto da
lui, potevamo salire (sù montar) da un masso all’altro (di chiappa in chiappa).
E se il pendio (costa) da quella parte dell’argine (da quel precinto) non fosse stato più corto dell’altro, non so Virgilio (di
lui), ma di sicuro (ben) io sarei stato sopraffatto dalla fatica
(vinto).
39
Ma perché Malebolge inver’ la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
lo sito di ciascuna valle porta
Ma poiché Malebolge declina (pende) sensibilmente (tutta)
verso (inver’) l’apertura (porta) del pozzo più basso (bassissimo),
la conformazione (sito) di ciascuna bolgia (valle) è tale (porta)
42
che l’una costa surge e l’altra scende;
noi pur venimmo al fine in su la punta
onde l’ultima pietra si scoscende.
che un argine (l’una costa) è più alto (surge) e l’altro più basso
(scende); noi raggiungemmo finalmente (al fine) la sommità
dell’argine (punta) da cui (onde) sporge (si scoscende) l’ultimo
masso del ponte crollato.
45
La lena m’era del polmon sì munta
quand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,
anzi m’assisi ne la prima giunta.
Quando fui in cima (sù), il fiato (lena) mi era stato spremuto
(munta) dai polmoni a tal punto (sì) che io non ero più in
grado di procedere (non potea più oltre), e così (anzi) appena
arrivato (ne la prima giunta) mi misi a sedere (m’assisi).
® vv 22-63
VERSO LA SETTIMA BOLGIA
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Inferno
C ant o XXI V
48
«Omai convien che tu così ti spoltre»,
disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma,
in fama non si vien, né sotto coltre;
«Ormai è necessario (convien) che tu ti liberi dalla pigrizia (ti
spoltre) con simili sforzi (così)», disse il maestro; «perché adagiandoti sulle piume (seggendo in piuma) o stando a letto (sotto
coltre) non si raggiunge (non si vien) la fama;
51
sanza la qual chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
chi spreca (consuma) la propria vita senza la fama (la qual), lascia
in terra la stessa (cotal) traccia (vestigio) di sé che (qual) lascia il fumo (fummo) nell’aria o la schiuma nell’acqua.
54
E però leva sù; vinci l’ambascia
con l’animo che vince ogne battaglia,
se col suo grave corpo non s’accascia.
Perciò (però) alzati (leva sù); supera (vinci) la fatica (l’ambascia)
con la forza di volontà (l’animo) che vince ogni difficoltà (battaglia), se non si lascia abbattere (s’accascia) a causa del peso del
corpo (col suo grave corpo).
57
Più lunga scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito.
Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia».
60
Leva’mi allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch’i’ non mi sentia,
e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».
È necessario (convien) salire (che si saglia) una scala [la salita alla
cima del Purgatorio] ancora più lunga; non è sufficiente (non
basta) esserti allontanato (partito) dai peccatori (costoro). Se ben
comprendi il senso delle mie parole (Se tu m’intendi), fa dunque (or) in modo (fa sì) che ti giovi (ti vaglia)».
Allora mi alzai in piedi (Leva’mi), mostrandomi dotato (fornito) di forza (lena) maggiore (meglio) di quanto realmente non
mi sentissi (ch’i’ non mi sentia), e dissi: «Va pure, che ora io
sono forte e coraggioso (ardito)».
63
Su per lo scoglio prendemmo la via,
ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
ed erto più assai che quel di pria.
Ci incamminammo (prendemmo la via) lungo (Su per) il ponte
(scoglio), che era pieno di sporgenze rocciose (ronchioso), stretto e malagevole, e assai più ripido (erto) di quello precedente
(quel di pria).
66
Parlando andava per non parer fievole;
onde una voce uscì de l’altro fosso,
a parole formar disconvenevole.
69
Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso
fossi de l’arco già che varca quivi;
ma chi parlava ad ire parea mosso.
Avanzavo (andava) parlando per non sembrare (parer) stanco
(fievole); per cui (per il fatto che parlavo) (onde) dall’altra bolgia (fosso) si levò (uscì) una voce, incapace (disconvenevole) di
articolare (formar) parole comprensibili.
Non so che cosa disse, benché (ancor che) fossi già sulla sommità (sovra ’l dosso) dell’arco che in quel punto (quivi) sormonta la bolgia (varca); ma chi parlava sembrava sollecitato
(mosso) a camminare (ad ire).
72
Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi
non poteano ire al fondo per lo scuro;
per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi
Io ero rivolto (vòlto) verso il basso, ma gli occhi, appartenenti a un vivo (vivi), non potevano (poteano) giungere (ire) fino
al fondo della bolgia a causa (per) dell’oscurità (lo scuro); per
cui dissi: «Maestro, fa in modo di arrivare (fa che tu arrivi)
75
da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;
ché, com’i’ odo quinci e non intendo,
così giù veggio e neente affiguro».
sull’argine successivo (cinghio) e vediamo di scendere (dismontiam) il ponte (muro); perché di qui (quinci), così come odo e
non intendo (intendo), guardo (veggio) giù ma non distinguo
(affiguro) nulla (neente)».
78
«Altra risposta», disse, «non ti rendo
se non lo far; ché la dimanda onesta
si de’ seguir con l’opera tacendo».
«Non ti do (rendo) altra risposta», disse, «se non l’agire (lo far);
poiché la richiesta (dimanda) legittima (onesta) si deve (si de’)
soddisfare con l’azione (con l’opera) senza parlare (tacendo)».
81
Noi discendemmo il ponte da la testa
dove s’aggiugne con l’ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta:
Scendemmo il ponte fino all’estremità (testa) in cui si congiunge (s’aggiugne) con l’argine dell’ottava bolgia (ripa), e
quindi mi fu possibile distinguere (mi fu… manifesta) la bolgia:
214
® vv 64-96
LA BOLGIA DEI LADRI
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Canto XXI V
Inferno
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e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
dentro vi vidi (vidivi) una terribile moltitudine (stipa) di serpenti, e di così orribile (sì diversa) natura (mena) che il ricordo (memoria) ancora mi guasta (scipa) il sangue.
87
Più non si vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena,
Non si vanti più la Libia col suo deserto sabbioso (rena); poiché se essa produce chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfisibene,
90
né tante pestilenzie né sì ree
mostrò già mai con tutta l’Etïopia
né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
non mostrò mai, insieme all’Etiopia e alle terre a nord del
Mar Rosso (ciò che di sopra al Mar Rosso èe), tanti serpenti velenosi (tante pestilenzie) e tanto nocivi (ree).
93
Tra questa cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:
In mezzo (Tra) a quella crudele (cruda) e malvagia (tristissima)
abbondanza di rettili (copia) correvano (corrëan) dannati (genti)
nudi e spaventati, senza speranza di trovare ripari (pertugio) o
pietre miracolose (contro il morso dei serpenti) (elitropia):
96
con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
avevano le mani legate dietro la schiena con serpi; e queste
spingevano (ficcavan) il capo e la coda lungo le reni dei dannati (per le ren), e si andavano ad attorcigliare sul ventre (ed eran
dinanzi aggroppate).
99
Ed ecco a un ch’era da nostra proda,
s’avventò un serpente che ’l trafisse
là dove ’l collo a le spalle s’annoda.
102
Né O sì tosto mai né I si scrisse,
com’el s’accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse;
105
e poi che fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
e ’n quel medesmo ritornò di butto.
e subito dopo (poi che) essersi completamente incenerito (sì
distrutto) a terra, la cenere (polver) si radunò (si raccolse) da sola
(per sé stessa) e riprese immediatamente (di butto) l’originaria
forma umana (’n quel medesmo).
108
Così per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;
Allo stesso modo dai poeti e dai sapienti (per li gran savi) è
attestato (si confessa) che l’araba fenice muore (more) e subito
dopo (poi) rinasce, quando si avvicina (appressa) al compimento del cinquecentesimo anno di vita;
111
erba né biado in sua vita non pasce,
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
e nardo e mirra son l’ultime fasce.
per vivere non si ciba (non pasce) di erbe e di biade (biado), ma
solo di gocce (lagrime) di incenso e di amomo, e il suo nido
di morte (l’ultime fasce) è imbevuto (son) di nardo e di mirra.
114
E qual è quel che cade, e non sa como,
per forza di demon ch’a terra il tira,
o d’altra oppilazion che lega l’omo,
117
quando si leva, che ’ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:
E come colui (l’indemoniato o l’epilettico) che stramazza al
suolo senza rendersene conto (e non sa como), a causa (per
forza) di un demonio che lo trascina (tira) a terra, o di un’altra ostruzione (oppilazion) che gli blocca le funzioni fisiologiche (che lega l’omo),
e quando si rialza (si leva) si guarda (si mira) intorno ancora
frastornato (tutto smarrito) per la grave crisi (de la grande angoscia) che ha subito (sofferta), e guardando intorno sospira;
® vv 97-151
VANNI FUCCI
All’improvviso (Ed ecco) contro un dannato (un), che si trovava presso l’argine su cui eravamo noi (ch’era da nostra proda), si
avventò un serpente che lo trafisse nel punto in cui (là dove)
il collo si congiunge (s’annoda) alle spalle.
Non si scrisse mai così rapidamente (sì tosto) O o I come quegli (el) prese fuoco (s’accese) e bruciò (arse) e fatalmente (convenne che) cadendo a terra (cascando) incenerì (cener… divenisse);
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Inferno
C ant o XXI V
120
tal era ’l peccator levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant’è severa,
che cotai colpi per vendetta croscia!
tale era il dannato (peccator) dopo essersi rialzato (levato poscia).
Quanto è severa la potenza di Dio, che vibra (croscia) colpi
così forti (cotai) come giusta punizione (vendetta)!
123
Lo duca il domandò poi chi ello era;
per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
poco tempo è, in questa gola fiera.
Allora (poi) la mia guida gli (il) chiese chi fosse; per cui egli
rispose: «Dalla Toscana precipitai (piovvi), poco tempo fa, in
questa bolgia (valle) crudele (fiera).
126
Vita bestial mi piacque e non umana,
sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
Mi piacque condurre una vita più da bestia che da uomo,
degna di quel bastardo (sì come a mul) che sono stato; sono
Vanni Fucci detto bestia, e Pistoia fu la mia degna tana».
129
E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».
Ed io al maestro: «Digli (Dilli) che non cerchi di scappare (non
mucci), e chiedigli quale colpa lo (’l) fece sprofondare (pinse)
in questa bolgia (qua giù); perché io lo conobbi (vidi) come
uomo sanguinario (omo di sangue) e rissoso (di crucci)».
132
E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
e di trista vergogna si dipinse;
E il peccatore, che udì le mie parole (’ntese), non cercò di fingere (non s’infinse), ma rivolse (drizzò) verso di me il volto e
l’animo, e arrossì (si dipinse) di vergogna irosa (trista vergogna);
135
poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto
ne la miseria dove tu mi vedi,
che quando fui de l’altra vita tolto.
poi disse: «Mi addolora (duol) di più il fatto che tu mi abbia
colto nella miserabile condizione (miseria) in cui mi vedi, che
non il momento (quando) in cui sono stato costretto a lasciare la vita terrena (fui de l’altra vita tolto).
138
Io non posso negar quel che tu chiedi;
in giù son messo tanto perch’io fui
ladro a la sagrestia d’i belli arredi,
Non posso negarti ciò che mi chiedi; sono collocato (messo)
più in basso (di quanto credevi) nell’Inferno (in giù... tanto)
per il fatto che rubai (fui ladro) il tesoro (belli arredi) di una
sacrestia,
141
e falsamente già fu apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,
e il furto venne erroneamente (falsamente) attribuito (apposto)
a un altro (altrui). Ma affinché tu non gioisca (non godi) di
vedermi qui (di tal vista), se mai uscirai (sarai di fuor) dall’oscurità infernale (da’ luoghi bui),
144
apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;
poi Fiorenza rinova gente e modi.
apri le orecchie alla mia profezia (annunzio), e ascolta bene.
Dapprima (in pria) Pistoia si spopolerà (si dimagra) dei (d’i)
Neri; poi sarà Firenze a dover cambare partito (rinova gente) e
abitudini (modi).
147
Tragge Marte vapor di Val di Magra
ch’è di torbidi nuvoli involuto;
e con tempesta impetüosa e agra
Marte sta già traendo (Tragge) dalla Lunigiana (Val di Magra)
un fulmine (vapor) avvolto (involuto) in dense (torbidi) nuvole;
e con una bufera violenta (impetüosa) e crudele (agra)
150
sovra Campo Picen fia combattuto;
ond’ei repente spezzerà la nebbia,
sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.
si combatterà (fia combattuto) presso Pistoia (sovra Campo
Picen); per cui il fulmine (ond’ei) disperderà (spezzerà) improvvisamente (repente) la nebbia, così che ogni Bianco ne rimarrà
ferito (feruto).
E detto l’ho perché doler ti debbia!».
E ho detto tutto ciò perché tu ne provi dolore (doler ti debbia)!».
216
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