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Emirati Arabi Uniti porta del Golfo.

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Emirati Arabi Uniti porta del Golfo.
MED&GULF EXECUTIVE BRIEFING
Emirati Arabi Uniti porta del Golfo
Finanza, Petrolio e Opportunità di Mercato
Palazzo Clerici, 7 Ottobre 2013
Dossier a cura del Programma Mediterraneo dell’ISPI
L’incontro è realizzato nell’ambito del progetto promosso da
INDICE
POLITICA
ECONOMIA
FOCUS BUSINESS
INFOGRAFICHE
Quadro politico
Quadro macroeconomico
Fare business negli Eau
3 Fiere per il Made in Italy
Problematiche interne
Interscambio commerciale
Le Free Zone
Chi conta negli Emitari Arabi Uniti
Relazioni esterne
Il settore energetico
Operare negli Eau
Il Consiglio di
cooperazione del
Golfo
Quadro Politico
Sebbene sul piano politico non siano attori di primo piano, gli Emirati Arabi Uniti si sono
tradizionalmente distinti come protagonisti nel commercio e nella finanza internazionale. La federazione,
composta da sette emirati (Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujairah, Ras al-Khaimah e Sharjah) governati da
monarchie assolute, si caratterizza per la grande indipendenza dei singoli membri, i quali rimandano solo
una piccola parte dell’amministrazione politica ed economica allo stato federale. Quest’ultimo è composto
da tre organi principali: la presidenza, l’esecutivo e un’assemblea, il Consiglio nazionale federale, con
poteri consultivi. La carica di presidente e quella di primo ministro sono tradizionalmente ereditarie, e
sono ad appannaggio rispettivamente del sovrano di Abu Dhabi e di quello di Dubai, di gran lunga i due
emirati più importanti demograficamente ed economicamente. Il Consiglio nazionale federale, infine, è
composto da 40 membri, di cui 20 nominati direttamente dai 7 emiri, e 20 eletti dai cittadini in elezioni a
suffragio universale dal 2006.
Il progetto per il nuovo palazzo presidenziale di Abu Dhabi
Fonte: Commissione per lo sviluppo edilizio di Abu Dhabi
Pur non avendo fatto registrare particolari episodi d’instabilità, negli ultimi anni non sono mancati
contrasti tra gli stati membri, alcuni dei quali non hanno apprezzato l’iperattivismo economico dei due
membri più importanti, e soprattutto di Dubai. Quest’ultimo negli anni Duemila ha infatti fatto registrare
trend di crescita economica e demografica che l’hanno portato a superare in popolazione la vicina Abu
Dhabi, più ricca di petrolio, ma meno dinamica sul piano del business e della finanza. Abu Dhabi però ha
ripreso saldamente in mano le redini della federazione in seguito alla crisi economica del 2009, dopo aver
in parte saldato gli ingenti debiti di Dubai pesantemente colpita.
La popolazione degli Emirati è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi decenni, arrivando a circa sei
milioni di abitanti. Pur non essendoci dati precisi sul numero degli immigrati regolari e irregolari, si stima
che essi costituiscano i quattro quinti della popolazione totale, andando a costituire la quasi totalità della
forza lavoro impiegata negli Eau. La maggioranza di essi è musulmana proveniente dai paesi poveri
dell’Asia, come il Pakistan e l’India, ma piuttosto numerosi sono anche gli occidentali solitamente
impiegati per compiti manageriali.
Con lo scoppio della Primavera araba, e l’ascesa in molti paesi di partiti vicini alla Fratellanza musulmana
internazionale, gli Eau hanno sostenuto in modo compatto il fronte guidato dall’Arabia Saudita volto a
contrastare l’influenza dei Fratelli musulmani nell’area. Durante gli ultimi due anni, la politica estera degli
Emirati si può dire generalmente allineata a quella saudita, e in generale a quella del Consiglio di
Cooperazione del Golfo.
L’emiro di Dubai mentre vota per il Consiglio nazionale federale
Fonte: Afp
Problematiche interne
Pur distinguendosi come “isola di stabilità” nel mezzo degli sconvolgimenti politici che hanno
attraversato la regione negli ultimi due anni, anche gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto registrare alcuni
episodi di tensione interna soprattutto in relazione al difficile rapporto con la Fratellanza musulmana
locale e alle forti disparità economiche fra i diversi membri della federazione.
La presenza dei Fratelli musulmani in Egitto viene fatta risalire agli anni Sessanta, periodo in cui molti
fratelli egiziani si rifugiarono nel Golfo per sfuggire alle persecuzioni del regime di Nasser. Ben presto
cominciarono a fondare filiali della loro organizzazione nelle monarchie petrolifere, cercando membri
anche fra le popolazioni locali. Negli Eau l’organizzazione che rappresenta la Fratellanza musulmana è
Al-Islah, la quale ha tradizionalmente mantenuto un rapporto conflittuale con le autorità emiratine.
Queste ultime infatti non hanno esitato in più occasioni ad arrestarne i membri. L’ascesa al potere in
Egitto della Fratellanza musulmana ha esacerbato anche le tensioni all’interno degli Eau fra le autorità
governative e Al-Islah. Quest’ultima, sulla scia degli eventi egiziani e tunisini, nel 2011 ha cominciato a
pubblicare appelli per una maggiore apertura del sistema politico degli Eau, suscitando la pronta
reazione delle autorità. Tra il 2012 e il 2013 oltre 100 persone sono state arrestate – settanta delle quali
sono state poi condannate a luglio 2013 – con l’accusa di aver complottato per destabilizzare il governo
della federazione e portare al potere la Fratellanza musulmana. Tra loro alcuni residenti egiziani –
accusati di fungere da tramite con la Fratellanza egiziana – e molti cittadini emiratini, tra cui il cugino
dell’emiro di Ras al-Khaimah.
Sheikh Humaid bin Rashid al Nuaimi emiro di Ajman
Durante il 2011, inoltre, a preoccupare le autorità della federazione sono state anche alcune timide
proteste scoppiate negli emirati più poveri del nord, come Ajman, Fujairah, Ras al-Khaimah, Sharjah e
Umm al-Quwain, dove secondo l’Autorità nazionale delle risorse umane i livelli di reddito pro-capite e
disoccupazione si discostano dagli standard dei due emirati maggiori e sono in qualche caso comparabili
a quelli di altri paesi interessati dalle proteste del 2011. In alcune occasioni le forze di sicurezza di Abu
Dhabi sono intervenute direttamente in aiuto di quelle degli emirati minori e l’emiro Khalifa bin Sayed
al-Nahayan – il sovrano di Abu Dhabi – ha elargito un pacchetto di 1,6 miliardi di dollari destinato a
progetti di sviluppo negli stati membri più poveri. Il grande sviluppo di Abu Dhabi e Dubai è da tempo
al centro di alcune dispute per la distribuzione delle risorse federali tra i due emirati maggiori e gli altri
cinque – che detengono risorse petrolifere assai minori.
Skeikh Yussef al-Qaradawi, è considerato il principale
esponente della Fratellanza musulmana internazionale.
Fonte: Afp
Relazioni esterne
Gli Emirati Arabi Uniti hanno sempre mantenuto un atteggiamento pragmatico nelle proprie relazioni
internazionali. Pur avendo solidi rapporti con gli Stati Uniti – al cui fianco hanno anche mandato un
piccolo contingente in Afghanistan – e con l’Europa, in questi anni hanno coltivato intense relazioni
con i paesi dell’Asia – Cina, Giappone e India in primis – che sono diventati progressivamente i
principali acquirenti del petrolio del Golfo.
A livello regionale, negli ultimi due anni gli Eau hanno mantenuto una linea politica molto vicina a
quella dell’Arabia Saudita, volta a conservare lo status quo all’interno della penisola arabica, e a tentare
di pilotare gli sviluppi politici all’interno dei paesi interessati dalla Primavera araba, soprattutto in chiave
anti-iraniana (Bahrein, Siria) e in opposizione alla Fratellanza musulmana internazionale (Egitto, Libia,
Tunisia). Insieme all’Arabia Saudita e sotto l’egida del Consiglio di cooperazione del Golfo, gli Eau
hanno inviato forze di polizia per sedare le rivolte in Bahrein nel 2011. Diverso è stato l’atteggiamento
nei confronti della Libia, dove sono invece intervenuti a sostegno dei ribelli contro il regime di
Gheddafi partecipando alla missione internazionale. Di recente gli Eau hanno promesso, insieme
all’Arabia Saudita, 7 miliardi di dollari di aiuti al nuovo governo, egiziano dominato dall’esercito, che nel
luglio scorso ha rovesciato l’ex presidente Mohammed Morsi e i Fratelli musulmani egiziani.
Sheikh Mohhamed, principe ereditario di Abu Dhabi a
colloquio con Barack Obama
Fonte: Afp
A livello regionale gli Emirati mantengono aperta con Teheran una disputa decennale riguardante la
sovranità su tre piccole isole poste nello stretto di Hormuz (le due isole Tunb e Abu Musa). Nonostante
esse siano tuttora amministrate dall’Iran, la rivendicazione emiratiana sulle tre isole ha guadagnato in
questi anni il sostegno ufficiale del Gcc e di alcune grandi nazioni europee (fra cui l’Italia). Le tensioni
diplomatiche che ufficialmente caratterizzano i rapporti fra i due paesi non impediscono però agli Eau
di avere intense relazioni commerciali con l’Iran, di cui Dubai è diventata il primo hub di smistamento
commerciale, spesso anche di merci ufficialmente bandite dalle sanzioni internazionali a cui Teheran è
soggetta.
I due anni seguiti allo scoppio della cosiddetta Primavera araba hanno anche portato a diversi episodi di
attrito con le potenze occidentali. Due centri studi con sede negli Emirati, uno tedesco e uno
americano, volti alla promozione della democrazia sono stati chiusi dalle autorità emiratine nel marzo
2012, e nell’estate successiva le stesse autorità hanno bloccato la firma di un contratto con la BP per
un’importante concessione petrolifera ad Abu Dhabi a causa delle gravi critiche rivolte dalla stampa
inglese alla politica anti-democratica degli Emirati. Le relazioni con l’Unione europea, tradizionalmente
intense soprattutto dal punto di vista economico, a fine 2012 hanno subito un improvviso
raffreddamento a causa del documento approvato dal Parlamento europeo volto a condannare le
violazioni dei diritti umani negli Eau. La reazione delle autorità emiratine è stata molto dura, anche se
non pare aver direttamente influenzato gli intensi rapporti economici tra le due parti, tanto che da
alcuni mesi si parla della possibilità di garantire ai cittadini emiratiani la libertà di accesso senza visto
all’area Schengen, concessione che renderebbe gli Emirati il primo paese arabo a ottenere tale privilegio.
L’isola contesa di Abu Musa ripresa dal satellite
Fonte: Afp
Il Consiglio di cooperazione del Golfo
Il Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) si è costituito nel 1981 quando le sei monarchie della Penisola
arabica decisero di istituzionalizzare la loro cooperazione in materia politica e di sicurezza in seguito agli
avvenimenti che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta – il trattato di pace tra Egitto e
Israele, la rivoluzione in Iran, l’invasione sovietica dell’Afghanistan e la guerra tra Iran e Iraq – mutarono la
geopolitica regionale e le percezioni di sicurezza nell’area del Golfo.
Allo scopo di aggiungere una dimensione economica alla cooperazione politica e di sicurezza, gli stati
membri firmarono un accordo, entrato in vigore nel 1983, che fissava l’obiettivo di creare un’unione
doganale come prima tappa verso la realizzazione di un mercato comune e l’adozione di una moneta unica.
L’unione doganale, entrata in vigore a gennaio 2003, ha rappresentato un passaggio di grande importanza
dopo quasi due decenni di continui rinvii dovuti principalmente alle notevoli differenze tariffarie tra gli stati
membri. Essa è stata seguita dalla creazione del mercato comune nel 2008. Al contrario l’unione monetaria,
prevista per il 2010, non è stata ancora realizzata, sebbene la maggior parte dei criteri di convergenza
richiesti siano stati soddisfatti dai paesi membri. Questi criteri, che ricordano quelli stabiliti dall’Unione
europea, sono: 1) deficit di bilancio al di sotto del 3% del Pil (o 5% quando il prezzo del petrolio è basso);
2) rapporto debito pubblico/Pil al di sotto del 60%; 3) eccedenze di riserve di valuta estera; 4) tassi
d’interesse non superiori del 2% della media dei tre paesi con i tassi d’interesse più bassi; 5) inflazione non
superiore del 2% del tasso medio dei sei stati.
Foto di gruppo del Gcc.
Fonte: Afp
Nel 2007 gli Eau, insieme a Oman e Kuwait, hanno annunciato di voler abbandonare il processo di
unificazione monetaria. Successivamente, la crisi finanziaria e la crisi della zona euro – vista come esempio
per il processo di unione monetaria – hanno causato un’ulteriore battuta d’arresto nel processo di unione
monetaria del Golfo.
In generale tutti i membri del Gcc non si sono mostrati entusiasti nell’affrontare questioni chiave
riguardanti la necessità di una struttura istituzionale e di governance che assicuri decisioni monetarie
trasparenti ed efficaci, il miglioramento della capacità dei paesi del Gcc nel fornire dati finanziari ed
economici armonizzati e aggiornati, e infine maggiori investimenti nello sviluppo di infrastrutture
finanziarie; tutti provvedimenti che richiedono una cessione di sovranità che i monarchi sono al momento
restii a concedere.
In seguito all’ondata delle rivolte della Primavera araba, giunta fino a far tremare anche le potenti case
regnanti del Golfo, il Gcc è visto anche come strumento per garantire una maggiore collaborazione in
ambito politico. Tuttavia, la proposta dell’Arabia Saudita di creare un’unione politica, che avrebbe un
maggiore peso sul piano regionale in materia di sicurezza e della politica estera, è stata accolta tiepidamente
dalle altre monarchie, ad eccezione del Bahrein. Sul piano esterno il Gcc, sempre su impulso saudita, ha
proposto l’allargamento dell’organizzazione alle altre due monarchie arabe fuori dal Golfo – Giordania e
Marocco – con l’obiettivo di mantenere lo status quo regionale e soprattutto la stabilità delle case regnanti
al potere. Negli ultimi due anni sono stati allocati aiuti economici pari a 5 miliardi di dollari complessivi per
sostenere le economie di Marocco e Giordania e consentire le riforme economiche di cui necessitano. La
membership del Gcc in ogni caso rimane un processo di lungo periodo, al quale il Marocco non sembra
effettivamente interessato, al contrario della Giordania.
Fonte: Imf
Quadro macroeconomico
Dopo la crisi economica che ha colpito duramente gli Emirati, e in particolar modo Dubai, la
federazione presenta oggi fondamentali economici più robusti. La fiducia di investitori e
consumatori è tornata a crescere insieme al Pil (5,2% nel 2011 e 3,9% nel 2012 per un Pil procapite
di 50.000 dollari, il secondo del Gcc dopo il Qatar con 105 mila), e le autorità di Dubai e Abu
Dhabi hanno annunciato la ripresa di alcuni progetti temporaneamente accantonati nel 2009, come
la costruzione della Mohammed bin Rachid city (che dovrebbe diventare il complesso commerciale
più grande del mondo). I prezzi degli immobili – indicatore fondamentale soprattutto per
l’economia di Dubai – sono tornati molto vicini ai livelli del 2008, segnale importante della ripresa
economica. Non mancano però i timori per nuove bolle sul mercato immobiliare, resi più forti dal
cospicuo debito detenuto dal governo di Dubai e dalle aziende controllate che, nonostante
manchino dati definitivi, dovrebbe aggirarsi intorno ai 150 miliardi di dollari. Le nuove leggi sulle
attività finanziarie introdotte negli ultimi anni dovrebbero però mantenere sotto controllo i livelli
d’indebitamento evitando gli eccessi del 2009. Nel frattempo, per far fronte all’importante
incremento di consumo energetico che la nuova vitalità del mercato immobiliare stimolerà nei
prossimi anni, le autorità degli Eau hanno cominciato a premere l’acceleratore sulla messa in
sfruttamento di nuovi giacimenti di gas e fonti energetiche alternative come il solare e soprattutto il
nucleare. La costruzione della prima centrale nucleare della federazione è infatti già cominciata e
dovrebbe essere ultimata nel 2017.
Le aspettative per una graduale diminuzione dei prezzi del greggio nei prossimi anni hanno invece
portato a un rallentamento riguardo ai progetti per nuovi giacimenti. La crescita economica,
certamente aiutata in questi anni dagli alti prezzi petroliferi, non dovrebbe però risentirne grazie
anche al buon andamento degli altri settori e alle rendite generate dai grandi fondi d’investimento
della federazione (la Abu Dhabi Investment Authority è considerata la più grande del mondo e il
suo valore viene stimato in 627 miliardi di dollari). Il budget nazionale continuerà infatti a presentare
ampi surplus, nonostante le politiche espansive e la creazione di nuovi impieghi pubblici che i
sovrani degli Emirati hanno implementato in questi anni per prevenire eventuali episodi di
malcontento in seguito allo scoppio della Primavera araba. Queste politiche hanno rallentato però il
processo di “emiratizzazione” del mercato del lavoro, ovvero una serie di regolamenti per il settore
privato finalizzati a stimolare l’assunzione di cittadini locali, i quali sono per oltre il 90 per cento
impiegati nel settore pubblico, mentre quello privato resta ad appannaggio pressoché esclusivo degli
stranieri.
Infine, anche a causa dell’aumento dei sussidi dopo i disordini che hanno scosso la regione nel 2011,
l’inflazione negli Emirati è rimasta bassa nonostante le politiche espansive dello stato. Il dirham
emiratino, come molte valute di stati produttori di petrolio, è ancorato al dollaro, limitando di fatto
la capacità di manovra della Banca centrale. La ripresa americana, unita alla nuova politica meno
espansiva della Fed, dovrebbero portare in alto il valore del dollaro, contribuendo ulteriormente a
tenere basso il livello d’inflazione degli Emirati.
Fonte: FMI
Fonte: FMI
Fonte: FMI
Interscambio commerciale
Al di là delle esportazioni petrolifere, gli Eau hanno fatto del commercio un settore di punta della
propria economia, con Dubai che si distingue come vero e proprio hub commerciale regionale.
Anche quest’anno, infatti, il commercio non-oil dell’emirato ha fatto registrare una nuova
importante crescita del 16%, con le importazioni (110 miliardi di dollari) che hanno di molto
superato le esportazioni (23 miliardi di dollari). Ciò è dovuto all’aumento dei consumi di beni
d’importazione da parte di una popolazione in crescita in un territorio sostanzialmente desertico,
e dalla significativa richiesta di tecnologie e componenti di produzione straniera stimolata dai
piani di diversificazione e dal rilancio di grandi progetti immobiliari. Una fetta importante
dell’import di Dubai (51 miliardi di dollari) è però costituito da beni destinati alla ri-esportazione,
a riprova del ruolo fondamentale giocato dall’emirato come hub regionale anche attraverso la sua
controllata statale DP Dubai, il terzo operatore portuale del mondo.
Come per le esportazioni petrolifere, negli ultimi anni anche il fulcro dei traffici commerciali non
energetici si è progressivamente spostato verso Oriente. L’Unione europea nel suo complesso
detiene ancora la fetta più importante degli scambi commerciali con gli Emirati, e in particolare la
Germania si posiziona al quarto posto come paese fornitore. Se però si considerano i singoli
paesi, le economie industriali ed emergenti dell’Asia occupano le prime posizioni riguardo al
volume degli scambi. India, Corea del Sud, Giappone e Cina insieme coprono circa il 30% delle
importazioni e il 40% delle esportazioni degli Emirati con percentuali abbastanza simili fra di
loro. Da sottolineare come gli Eau, e Dubai soprattutto, importino qualunque tipo di bene, dalle
componenti industriali ai beni di lusso. Molti di questi sono infatti destinati ai mercati di altri paesi
della regione, soprattutto le altre monarchie petrolifere come l’Arabia Saudita.
L’interscambio con l’Italia nel 2012 è stato di poco più sei miliardi di euro (dati ISTAT), con un
saldo nettamente a favore dell’Italia (5,5 miliardi di esportazioni contro circa 600 milioni di euro
di importazioni). Tra le voci più importanti per le esportazioni italiane vi sono i macchinari e le
apparecchiature industriali (circa un quinto del totale), l’abbigliamento, e i prodotti di gioielleria.
Principali prodotti importati dall'Italia
(mil euro)
Articoli di abbigliamento
162.252
Prodotti petroliferi raffinati
504.311
Prodotti manifatturieri
1.322.714
Macchinari e apparecchiature nca
1.066.045
Totale esportazioni italiane nel 2012
5.517.271
Fonte ISTAT
Il settore energetico
Gli Eau hanno nel settore energetico uno dei pilastri della propria economia. La federazione,
infatti, si distingue sia come produttore di combustibili fossili “tradizionali” sia come pioniere
nelle nuove tecnologie legate alle energie rinnovabili.
Gli Emirati detengono le settime riserve mondiali di greggio (circa 100 miliardi di barili) di cui
oltre il 90% si trova nel territorio di Abu Dhabi. Negli ultimi anni la produzione giornaliera si è
attestata intorno ai tre milioni di barili, seconda solo a quella dell’Arabia Saudita (9-10 milioni di
barili) tra le monarchie del Gcc. Il consumo interno si attesta a circa 600 mila barili al giorno,
mentre tutto il resto viene esportato prevalentemente verso le potenze industriali e le economie
emergenti dell’Asia. Il settore upstream è in mano alla Abu Dhabi National Oil Company che
controlla la quasi totalità della produzione. Un’altra controllata di Abu Dhabi, la International
Petroleum Investment Company, ha recentemente ultimato la costruzione di un’importante
pipeline che collega i maggiori giacimenti di Abu Dhabi con il porto di Fujairah, bypassando in
questo modo il potenzialmente instabile stretto di Hormuz. La stessa compagnia controlla buona
parte del settore downstream degli Emirati.
Più limitate, anche se comunque consistenti, sono invece le risorse di gas naturale. Secondo la
US Energy Information Administration, le riserve sono stimate 215 trilioni di piedi cubici (6 mila
miliardi di metri cubici, le settime del mondo), ma la produzione si attesta ancora intorno a 1,8
milioni di piedi cubici (52 miliardi di metri cubici), molto al di sotto del consumo nazionale
facendo così degli Eau attualmente un importatore netto. Lo sviluppo delle risorse di gas
naturale è perciò al centro dei progetti per l’ampliamento della capacità energetica complessiva
del paese.
Oltre alle fonti fossili, gli Emirati si sono distinti in questi anni nel campo delle energie
rinnovabili, che hanno acquistato un’importanza primaria soprattutto dopo la fondazione della
Abu Dhabi Future Energy Company (solitamente conosciuta con il nome “Masdar”, “fonte”).
L’obiettivo è riuscire a coprire il 7% del fabbisogno nazionale entro il 2020 attraverso la
generazione di energia solare ed eolica. Il fiore all’occhiello della compagnia è il progetto Masdar
City, la prima città alimentata interamente da energie rinnovabili e destinata a essere uno dei
centri nevralgici per lo sviluppo di tali tecnologie in tutto il mondo. L’impegno del governo
emiratino nel campo dell’energia pulita è stato molto apprezzato dalla comunità internazionale
che nel 2009 ha assegnato ad Abu Dhabi la sede della International Renewable Energy Agency
(Irna).
Infine, da non trascurare è l’impegno della federazione emiratina nel campo del nucleare. La
costruzione della prima centrale per il nucleare civile delle quattro pianificate dalla Emirates
Nuclear Energy Corporation è infatti iniziata nel 2012 con la collaborazione di un consorzio
sudcoreano.
Fonte: US Energy Information Administration
Fare business negli Eau
Se c’è un paese del Golfo che viene assai facilmente associato all’espressione “free business
environment” questo è sicuramente la federazione degli Eau. I rapporti di business con il resto del
mondo sono ormai consolidati da tempo, come dimostrato dalla costante presenza degli Emirati
nella top-ten della classifica del World Economic Freedom Report (5° posizione nel 2013, di gran
lunga la migliore del mondo arabo). Dubai, in particolare, è da molti anni protagonista
dell’economia internazionale sia come hub finanziario sia come hub commerciale. Le infrastrutture,
i rapporti preferenziali con il resto delle ricche monarchie petrolifere, e la posizione strategica fra
Medio Oriente e Asia rendono infatti assai vantaggioso per un’azienda europea (e italiana)
intraprendere un’attività di business nel paese, dal quale l’imprenditore o l’investitore straniero è in
grado di cogliere opportunità che vanno ben oltre il piccolo mercato interno degli Eau, ma che si
estendono al resto della Penisola arabica e all’Asia.
La presenza delle Pmi italiane in loco ha assunto una certa importanza a testimonianza che, con gli
opportuni accorgimenti, anche un’azienda di piccole dimensioni può cogliere importanti
opportunità di business in questo paese. Le aziende italiane sono ben piazzate in settori tradizionali
del Made in Italy come l’abbigliamento, l’alimentare e il lusso. Quest’ultimo in particolare ha visto
un’importante espansione in questi anni andando a pesare per quasi un quarto del totale delle
esportazioni italiane nel paese. Le opportunità sono però in crescita anche in altri settori meno
tradizionali come i trasporti, settore nel quale il governo emiratino ha investito notevolmente in
questi anni (circa il 40% del budget federale). Particolarmente richieste sono inoltre le aziende
specializzate in tecnologie nella lavorazione dell’alluminio, ramo in cui la federazione punta a
diventare leader regionale e che ha visto una crescita notevole in questi anni. Infine, un settore in
grande espansione, e dove la federazione sta investendo somme cospicue, è quello sanitario (la
spesa sanitaria è cresciuta del 15% l’anno nell’ultimo decennio). La causa di tale crescita risiede
soprattutto in un innalzamento dell’età media e nella diffusione di alcune malattie legate alle cattive
abitudini alimentari della popolazione, come l’obesità e il diabete (quest’ultimo colpisce il 20% della
popolazione, quattro volte la media europea).
È in crescita anche la presenza delle aziende italiane all’interno delle Free Zone, aree speciali in cui è
possibile aprire una filiale o uno stabilimento, godendo di importanti incentivi fiscali e di un diritto
di proprietà speciale. Come in molti altri mercati esteri, è però importante tenere a mente alcuni
accorgimenti. In primo luogo l’esperienza di molte Pmi evidenzia come i rapporti personali siano
fondamentali per il business in questo mercato, così come nel resto del mondo arabo. Una presenza
fissa con partner locali di fiducia è quindi consigliabile. Come in altri paesi arabi, è inoltre
importante tenere a mente alcuni accorgimenti relativi alla alle leggi che regolano la risoluzione delle
controversie contrattuali.
Il World Trade Centre di Dubai
Fonte: Deflex- Middle East
Il porto Jebel Ali a Dubai
Fonte: DP World
Le Free Zone
Le Free Zone degli Emirati Arabi Uniti sono concentrate nei due emirati più grandi Abu Dhabi e
Dubai. Esse possono essere generaliste, ovvero aperte a tutti i tipi di business, oppure
specializzate in uno specifico settore economico. Aprire un’attività in una Free Zone è vantaggioso
per tutte quelle imprese il cui giro di affari è interamente o parzialmente concentrato nell’area del
Golfo o nelle aree limitrofe come il Medio Oriente o anche nel subcontinente indiano e in Cina.
Le free zone offrono una lista di incentivi importanti finalizzati ad attirare le imprese straniere. I
principali tra questi sono:
1-
Possibilità per il soggetto straniero di detenere il 100% della proprietà
2-
Nessuna tassa sul reddito personale o sulle plusvalenze
3-
Nessuna tassa sulle operazioni societarie per un minimo di 15 anni (variabili a seconda
della free zone)
4-
Esenzione dai dazi di esportazione e importazione
5-
Possibilità di trasferire, completamente e senza alcuna formalità profitti e utili all’estero
6-
Libertà completa di assunzione del personale che può essere interamente straniero
Per operare in una Free Zone è necessario avere una licenza. Ne esistono 4 tipi diversi a
seconda dell’attività:
1-
Licenze per attività commerciali
2-
Licenza per attività industriali
3-
Licenza per servizi
4-
Licenza per attività industriali “nazionali”. Questa licenza concede all’azienda gli stessi
diritti di una industria nazionale e permette di esportare verso gli altri paesi del Gcc
senza pagare dazi in entrata. Per ottenerla è però necessario esibire requisiti specifici
come la proprietà detenuta per almeno il 51% da soggetti residenti nei paesi del Gulf
Cooperation Council.
Il progetto Masdar City
Da evidenziare, infine, il fatto che una licenza concessa per una zona franca permette di
operare liberamente all’interno di essa e all’esterno degli Eau. Per operazioni nel mercato
interno degli Eau è invece necessaria una licenza specifica.
Dubai Out-source Zone
Operare negli Emirati Arabi Uniti
L’Italia è il terzo partner commerciale europeo degli Emirati Arabi Uniti. In questi anni le
imprese italiane hanno approcciato questo mercato in espansione attraverso diverse forme di
presenza. Il quadro legislativo degli EAU offre strumenti sia “diretti” sia “indiretti” per operare
nel mercato.
Tra gli strumenti “diretti” rientrano
1-
Le Società commerciali
2-
Le Joint Venture
3-
Il “branch”
4-
Gli uffici di rappresentanza
Le società commerciali e le joint venture hanno in comune il requisito della presenza di uno o
più partner emiratini i quali devono detenere almeno il 51% della proprietà. Il Branch invece è
costituibile in caso di previo stabilimento di una joint venture con un partner locale o di un
contratto di agenzia.
Se i metodi diretti permettono di mantenere una presenza stabile e approfondire le relazioni in
loco, essi hanno però costi piuttosto alti.
Gli strumenti “indiretti” hanno invece costi più bassi, ma non per questo prevedono una minore
dipendenza da partner locali. Il principale strumento “indiretto” è infatti il contratto di agenzia, il
quale va stipulato con un partner locale di cittadinanza emiratina. Egli avrà sempre l’esclusiva sul
prodotto e in caso di controversia la competenza spetta ai tribunali locali – che il più delle volte
tendono a favorire il cittadini emiratini.
Per quanto riguarda i contratti di distribuzione, non essendoci norme specifiche a tale proposito
all’interno del codice emiratino, le parti sono libere di delineare le principali caratteristiche
compresa la presenza o meno dell’esclusiva, gli obblighi del distributore, le modalità di tutela dei
brevetti, le clausole risolutive, il foro di competenza e la legge applicabile.
In generale, nel mercato emiratino, come in molti altri mercati della regione, è fondamentale
allacciare contatti personali diretti con partner locali. Per questo è importante investire il tempo
necessario per instaurare questo genere di rapporti e mantenere una presenza costante sul
territorio.
Dubai International Exhibition Centre
Fonte: Oye Magkasi
Una fiera internazionale a Dubai
Fonte; Joutrip
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