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SENTIRSI CITTADINI INSIEME AI TESTIMONI NEL“GIORNO DEL
SENTIRSI CITTADINI INSIEME AI TESTIMONI
NEL“GIORNO DEL RICORDO”
Nell’ambito delle iniziative legate al “Giorno del Ricordo”, istituito con la legge 30 marzo
2004 n. 92, “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di
tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra”, gli studenti delle classi Terze della Scuola M. M. Boiardo hanno avuto modo di conoscere questa dolorosa pagina della storia italiana attraverso la visione del
documentario “L’esodo” e le testimonianze di Flavio Rabar (Presidente del Comitato di
Ferrara dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) e Luciana Miani, due esuli, il primo fiumano, la seconda istriana.
L’incontro è stato aperto da Flavio Rabar che ha spiegato perché il “Giorno del Ricordo”
venga celebrato il 10 febbraio: fu, infatti, proprio in quel giorno del 1947 che a Parigi
l’Italia e le potenze alleate firmarono il trattato di pace in seguito al quale “le città di Fiume, Zara, tutta l’Istria e le isole di Cherso, Lussino furono cedute alla Iugoslavia. Per gli italiani iniziò così un periodo di violenze, sopraffazioni, umiliazioni e contemporaneamente
divenne sempre più massiccio l’esodo da quelle terre nelle quali erano vissuti da secoli”.
Ed è a questo punto che si inserisce la sofferta testimonianza di Luciana Miani che rievoca alcuni momenti della sua vita di bambina, a Piemonte d’Istria, il paese natale.
Dai suoi ricordi riemergono i rumori assordanti degli scarponi degli uomini armati; i latrati dei cani, definiti come “amici […], perché, all’arrivo dei partigiani di Tito, abbaiavano,
consentendo ai paesani di nascondersi nelle pareti doppie o all’esterno o sui tetti delle loro
abitazioni. Ma purtroppo non era sempre così e allora, chi rimaneva nella propria casa, veniva catturato portato via e, il più delle volte, ucciso”. Sensazioni uditive scandiscono altri
momenti della testimonianza di Luciana come ad esempio: il fragore metallico dei mitra,
posati sul comò, il giorno in cui uomini armati fecero irruzione nella sua abitazione per
imprigionare il padre; il rimbombo degli spari contro persone inermi; il bisbiglio della
madre che, “in una stanza sicura, dove nessuno dall’esterno potesse sentire” parla con
un’amica per spiegare la situazione di pericolo in cui si trova un triestino, giunto da pochi giorni in paese per coltivare la sua terra, e per pregarla “di convincere questo signore
a fuggire per mettersi in salvo dal rastrellamento notturno, cosa che avvenne con violenza
e devastazione, ma senza morti, perché, grazie all’intuizione di mia madre e alla solidarietà dei vicini quest’uomo, andandosene, aveva potuto mettersi in salvo”.
Nel suo racconto, ai suoni si alternano descrizioni visive come quella del padre che, scalzo e in pigiama, si allontana dalla casa, sotto scorta, colpevole di aver compilato il modulo con cui si sceglieva “di rimanere o andare in Italia. Era il 1° marzo 1947.
Questo è stato il segnale che per noi non c’era più posto in Istria. Siamo partiti il 6 gennaio
1949 con le poche cose che ci permisero di portare […]. E come non dimenticare le fiamme
che avvolsero i libri della biblioteca del nonno, scritti a mano e conservati fino ad allora con
la massima cura?”.
Molto coinvolgente è anche la descrizione della vita della piccola Luciana da profuga,
dapprima a Udine poi a Ferrara, in Via Romei 12, quindi a Pontelagoscuro.
Le immagini prevalenti di questa seconda parte della sua testimonianza di bambina isolata, messa in disparte, umiliata sono in prevalenza di tipo tattile come ad esempio
quando ricorda il sonoro ceffone ricevuto dalla maestra per non aver svolto bene il compito di matematica oppure quando rievoca l’accurata ispezione a cui venne sottoposta,
davanti a tutti i compagni di classe, per verificarne l’igiene.
Né mancano i riferimenti ai suoni, legati alla molteplicità delle lingue che si parlavano
nel campo profughi. La sua immagine di bambina, trattata nella scuola “non come alunna, ma come profuga” viene rinforzata anche dal ricordo di un dono ricevuto alla fine della settimana da parte di una famiglia italiana, presso la quale si era recata per giocare
con il figlio, coetaneo di Luciana e per imparare la lingua italiana. Il regalo consisteva in
“un pacchettino avvolto in una carta che riproduceva il marchio di una nota ditta ferrarese, produttrice di caramelle e cioccolatini. Dentro di me già pregustavo il sapore di queste
delizie, ma quando lo scartai vidi che dentro c’erano due polpette”.
La testimonianza della signora Miami si conclude con l’augurio rivolto agli studenti che
non possano “mai provare quello che ho provato io. Avevo paura di non avere un futuro!”
e con la raccomandazione di applicarsi “nello studio con impegno e determinazione”.
Dopo questo intervento, seguito con molta partecipazione dai ragazzi, è stato proiettato il
documentario “L’Esodo” che ha permesso agli studenti di inquadrare in modo approfondito gli eventi di quel periodo storico, dalla Prima Guerra Mondiale, alla dittatura fascista, al periodo dell’invasione iugoslava, al dopo guerra e all’esodo di massa degli italiani
dalle terre istriane e dalmate.
A conclusione dalla proiezione è intervenuto Flavio Rabar, spiegando che la documentazione contenuta nel filmato “riguarda in prevalenza Pola, dal momento che in questa città,
circa a metà del mese di giugno del 1945, come del resto a Gorizia e a Trieste, si era costituito un governo militare alleato che permise alle cineprese di entrare in azione”.
Il Presidente del Comitato di Ferrara dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, dopo essersi soffermato sulle cause storiche dell’esodo forzato in Italia di migliaia di
profughi giuliano-dalmati di etnia italiana, ha raccontato la sua esperienza di profugo
nel Campo di Via Romei 12 e, dall’agosto 1949, anno in cui la struttura fu chiusa, in
quello di Pontelagoscuro, località Boschino.
“Eravamo in una delle nove baracche di legno che ospitavano tre famiglie l’una. […] Non
c’era l’acqua corrente e i servizi igienici erano all’esterno. Gli orari erano rigorosissimi […].
A distanza di tempo sembra incredibile anche a noi come si sia potuto vivere in queste
condizioni”.
L’incontro ha lasciato una profonda traccia nei ragazzi che hanno ringraziato i testimoni
con un sentito e lunghissimo applauso, mentre alcuni di loro hanno voluto dimostrare
personalmente la propria gratitudine nei confronti dei due relatori.
GRAZIE
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