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Fidanzato da 11 anni, sull`altare dice no! Giovane donna albanese

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Fidanzato da 11 anni, sull`altare dice no! Giovane donna albanese
Voci dal Sud
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Anno IV° nr. 9 Settembre 2008
w w w . s o s e d . eu
C u r i o s i t à
... per la serie “non è mai troppo tardi”
Fidanzato da 11 anni, sull’altare dice no!
Gazzetta del Sud
PERNUMIA (PADOVA) - Quando il sacerdote
gli ha posto la fatidica domanda non ce l’ha fatta a
pronunciare il SI e ha scosso la testa e abbandonato
l’altare.
Il ripensamento in extremis dello sposo ha lasciato
tutti allibiti nella chiesa di Pernumia.
Anche perché Demis Berto, vivaista di 38 anni, e
Lara Salmistraro, commercialista di 39, erano assieme da 11 anni e avevano progettato quel giorno,
incuranti fosse venerdì, nei minimi particolari.
Il gesto dell’uomo ha lasciato sgomenta la mancata
moglie e allibiti i 181 invitati che di li a poco avrebbero
dovuto festeggiare l’unione, come indica Il Mattino di Padova, in
un’antica villa a Piove di Sacco (Padova).
”Ce l’ho messa tutta - ha detto Berto - ma davanti a Dio
non me la sono sentita di mentire.
Quella persona negli ultimi tempi mi aveva creato molti
problemi”.
“Sembra strano ma in parte lo capisco - ha commentato Lara Salmistraro (futura mancata moglie) ultimamente ha sempre pensato a tutto lui, probabilmente sta vivendo un periodo di profondo stress.
Prendo questa scelta come un momento di pausa. Non può essere tutto finito così “.
Giovane donna albanese, sposa da un mese,
viene arrestata per omidicio
L’ignaro marito è rimasto di stucco
SALUDECIO (RIMINI) Si era sposato meno di un mese fa, ma la «luna di miele» è stata interrotta dai carabinieri: la
sposa era ricercata per omicidio.
È successo lunedì a Saludecio. Ignaro di tutto, e allibito, il protagonista della vicenda, novello sposo e cittadino del
paese. Lì infatti, sulle colline dell’entroterra riminese, in serata, attorno alle 20, i carabinieri del Nucleo investigativo del
reparto operativo di Rimini e quelli della stazione del paese, collaborando
con l’Interpol, hanno arrestato Artine Hyzellari, latitante internazionale,
albanese di 33 anni, nata a Pogradec (Albania), ma di fatto domiciliata nel
borgo romagnolo.
Sul capo della donna pendeva, infatti, un provvedimento di cattura,
per conto dell’autorità giudiziaria albanese, emesso il 18 novembre 2007
dal tribunale di Korce. La trentatreenne deve scontare una pena di 25
anni di reclusione. È ritenuta responsabile di un omicidio commesso nel
2005.
A individuare la nuova residenza della donna nel Riminese è stata
l’Interpol, che l’ha segnalato ai carabinieri alcuni giorni fa. È bastato
poco ai militari del paese per trovare la donna, nuova arrivata nel piccolo
borgo. Dopo averla individuata e pedinata per un po’, lunedì sera la
sposa è stata fermata mentre era a passeggio con il marito, R.C., un
camionista di 55 anni di Saludecio.
L’uomo, hanno spiegato gli inquirenti, era del tutto ignaro dello stato di latitanza della moglie, e non rischia alcuna
accusa di favoreggiamento. Alla notifica dell’ordine d’arresto, anzi, sarebbe rimasto letteralmente esterrefatto. Lei invece
è sembrata relativamente tranquilla; ha detto di non aver fatto nulla di male.
I due si erano sposati da pochissimo: le nozze civili erano state celebrate sabato 26 luglio. A sposarli era stato un
assessore del Comune che abita a pochi passi da loro, in una piccola frazione del paese. Lì, a Saludecio, la giovane
donna, una bella ragazza alta e mora, viene descritta come molto gentile, sempre cortese e affabile. Per lei, raccontano, il
marito letteralmente stravedeva. E lei aveva da poco chiesto anche la residenza.
La latitante, dopo la notifica del mandato d’arresto, è stata portata nella casa circondariale di Forlì, in attesa che venga
definito l’iter per l’estradizione in Albania.
Voci dal Sud
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Anno IV° nr. 9 Settembre 2008
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Ingegnere disoccupato
(36 anni) chiede “la paghetta” al padre
Il Tribunale di Milano dà ragione al genitore che si rifiuta
di versare duemila euro al mese
Gazzetta del Sud
MILANO - Un ingegnere di 36 anni, disoccupato, e che vive con la madre separata dal marito, chiede al
padre, decisamente facoltoso, un mensile di duemila euro, da versargli fino a quando non troverà un lavoro
confacente al suo titolo di studio.
Ma il papà rifiuta: si va in tribunale, e il giudice dice no all’assegno mensile per il figlio
Il magistrato del Tribunale civile di Milano, argomentando nel
corso della causa – come riferito dal legale dell’ingegnere, Giacinto Canzona – che il lavoro poteva essere trovato anche all’estero,
ha respinto la richiesta.
No ai 2.000 euro mensili, e no anche a un somma ben più cospicua: 57 mila euro di arretrati e un risarcimento di un milione richiesto per il «disinteresse morale e materiale del padre» nei confronti del figlio.
Il giudice ha stabilito che un assegno di mantenimento di 650 mila lire era stato
corrisposto dal padre a partire dal 1986, anno in cui si separò dalla moglie, fino a
qualche anno fa, e che nulla è dovuto all’ingegnere come arretrati.
Per quanto riguarda il mensile di 2.000 euro, secondo il giudice il laureato in
ingegneria «non ha fornito alcuna prova della sua concreta attivazione per
reperire un’attività lavorativa corrispondente al titolo di studio, e quindi del
fatto che egli si trovi senza colpa in stato di disoccupazione».
Sul fatto che, non trovando lavoro in Italia, avrebbe potuto cercarlo e trovarlo
anche all’estero – come osservato dal giudice – l’avvocato Canzona sottolinea invece, sulla scorta di una sentenza della
Cassazione, che «il titolo di studio deve essere spendibile anche nel proprio Paese».
Da qui l’annuncio di un ricorso in appello che, annuncia il legale, si rifarà anche alla sentenza della Cassazione che
stabilì, nel 2006, un precedente contrario alla sentenza milanese, nella causa che vide opposti Al Bano e Romina Power
per quanto riguarda il mantenimento dei figli: «Perdura l’obbligo del mantenimento, indipendentemente dal
raggiungimento della maggior età, finché i figli non diventino autosufficienti dal punto di vista economico».
Gli ermellini stabilivano infatti che, anche se in presenza di un affidamento congiunto, non veniva meno «l’obbligo di
uno dei genitori a contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro
esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza».
L’avvocato contesta anche l’asserzione secondo cui il suo assistito non si sarebbe dato da fare per trovare un lavoro
adeguato alla sua laurea: aveva mandato numerosi curricula a varie aziende che si erano limitate a rispondere «le faremo
sapere».
Sposo inglese prende cognome della sposa
Gazzetta del Sud
“Rinnega tuo padre, ricusa il tuo casato”: la prova d’amore che Shakespeare fa chiedere a Giulietta al suo innamorato
Romeo è una pratica che sta lentamente e faticosamente prendendo piede. In Gran Bretagna sempre più uomini, stando
al quotidiano britannico ‘The Independent’, sull’altare rinunciano al cognome di famiglia per prendere quello della
sposa.
Kris Myddleton, 29 anni, nato Dyer ma ora felicemente sposato dallo scorso ottobre con il cognome della moglie Jo,
dice di non sentirsi capito. Un matrimonio rigorosamente tradizionale il loro, con la sposa che spazzava il pavimento con
il lungo strascico bianco, il bouquet e tutto il resto. Tranne per il “particolare” del cognome. “Forse (il cognome di mia
moglie) non sarà molto macho, ma è piacevolmente lezioso”. Il cognome paterno Dyer (più o meno equivalente all’italiano Conciatore) è di umili origini, mentre Myddleton ha un suono gentile, reso inoltre più altolocato dalla “y”. Semplicemente, dice Kris, “il mio cognome era brutto, il suo no”. Inoltre Jo è figlia unica e il cognome di famiglia si sarebbe estinto:
farlo vivere “ci sembrava una cosa carina da fare”, dice lo sposo.
Una scelta pagata prima con una robusta dose di burocrazia: Kris e Jo non si sono trovati a riempire i soliti moduli con
qualche casella da vistare: al contrario, ci sono stati “mesi di inferno” per notificare l’anomalo cambio di cognome alla
banca, al lavoro, per non parlare delle varie utenze. Poi hanno dovuto scontare il velato rifiuto di parenti e invitati, che
dopo il matrimonio li hanno sommersi di biglietti di ringraziamento indirizzati, come se nulla fosse, “Signore e signora
Dyer”. Ma l’onta peggiore, raccontano Kris e Jo all’ ‘Independent’, è stato affrontare l’atteggiamento degli amici più
intimi: “Ho sempre considerato i miei amici piuttosto aperti, ma anche loro hanno avuto problemi a confrontarsi con la mia
scelta. Pensavano che fosse tutto uno scherzo, e ho dovuto mostrare loro i miei nuovi documenti perché mi credessero.
E allora mi chiedevano ‘Ma perche’’? Sembrava contrari, come se avessi infranto una regola”.
L’esempio di Kris e Jo non è andato tuttavia perduto, e l’ ‘Independent’ cita anche Martin, 27 anni, che intende
seguirne le orme. “I matrimoni oggigiorno non vogliono dire che un uomo possiede una donna. Io sposo una persona
indipendente con una sua testa, una sua vita e un suo lavoro. Quando prenderò il nome di mia moglie sarà un passo
avanti verso la parità fra uomo e donna, in cui credo”. “Anzi - dice Martin - credo che la donna sia anche leggermente
superiore”. Forse nella scelta di Martin e della sua sposa un qualche peso l’ha avuto anche il cognome di lui, Willie:
troppa assonanza con “Willy”, il nomignolo che i bambini danno al membro maschile.
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