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Lettera Pastorale 2015-16 di S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di
✠ Mario Russotto
Vescovo di Caltanissetta
MISERICORDIAS DOMINI...
Va’ in pace e non peccare più
Lettera Pastorale
anno 2015-2016
DISEGNO DI COPERTINA:
Vincenzo Giovino - Curia Vescovile Caltanissetta
IMPAGINAZIONE:
Salvatore Tirrito - Curia Vescovile Caltanissetta
STAMPA:
Tipolitografia Paruzzo - Caltanissetta
A tutte le donne…
usate abusate violate nella loro dignità.
Ad ogni donna…
alla cui misericordia
si deve la vita degli uomini…
A tutti i genitori, i padrini e le madrine
perché siano testimoni credibili e responsabili
della fede dei bambini…
INTRODUZIONE
Con le Chiese nella Chiesa
1. Il tema dell’anno
Figlioli carissimi,
lo scorso anno abbiamo dato inizio al percorso dei
nostri Orientamenti Pastorali 2014-2020 con l’icona biblica di Giona, la cui chiave di lettura era
Nella conversione di Dio la conversione dell’uomo. E vi parlavo di conversione dello sguardo,
conversione del desiderio, conversione morale.
Se il volto di Dio è continuamente ri-volto e convertito a noi per rinnovare sempre in noi il dono
della vita, da parte nostra deve crescere il desiderio di non far nulla che possa offendere Dio, anzi
dobbiamo fare tutto quello che possa piacergli. E
il suo sommo piacere è il nostro massimo bene, rispondendo al suo dono di grazia che ci rende sua
immagine e somiglianza nell’Amore, cioè nella
Santità, «misura alta della vita cristiana ordinaria»
(San Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte
n. 31). E quanto più questo anelito – in ciascuno e
in tutti noi come comunità ecclesiale diocesana –
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MARIO RUSSOTTO
è vera e profonda, tanto più si tramuta in gesti concreti, in azioni che tessono trame di comunione e
promuovono il bene dell’altro, degli altri.
Tutto questo richiede ovviamente un no deciso al
peccato, una dichiarata rinuncia al male abbracciando l’àncora della fede e lasciandoci abbracciare dall’Amore avvolgente e sconvolgente della
Trinità, il cui “tatuaggio” è per sempre in noi impresso in modo indelebile con il Battesimo.
E infatti i nostri Orientamenti Pastorali ci impegnano in questo anno 2015-2016 a vivere lo slogan Va’e non peccare più, avendo come icona biblica l’adultera di Gv 8,1-11 e la prostituta di Lc
7,36-50; mentre in riferimento al rito del Battesimo siamo chiamati ad approfondire-meditare-vivere la triplice rinuncia al peccato, con le sue
cause e le sue conseguenze.
2. La conversione del cuore
Si tratta dunque della dimensione morale della vita
battesimale nella conversione del cuore, rinun8
Misericordias Domini
ciando al male e scegliendo il bene, per amare sempre più Dio e in Lui farci prossimo di ogni uomo
e ogni donna nell’inchino del perdono: «Molto le
è perdonato, perché molto ha amato» (Lc 7,47).
La conversione del cuore ci fa scoprire che Dio
è una fonte inestinguibile e che disseta sempre,
perciò l’anima non smette mai di amare Colui che
da sempre ama, perché è Amore. La conversione
del cuore ci fa innamorare di Dio e ci porta ad
una profonda libertà interiore, ad una distensione
delle pieghe dell’anima, che irradia serenità nella
comunità. La conversione del cuore ci fa prendere coscienza di essere profondamente amati e
liberati da Dio, per essere libertà d’amore in Dio
e per Dio.
Il Signore ci invita ad una profonda conversione e
noi dobbiamo raccogliere questo invito per chiedere il suo perdono accogliendo la sua infinita misericordia. Non indugiamo nell’intraprendere questo cammino che conduce ad un futuro colmo di
speranza, raccogliendo nell’intimo l’invito del Signore: «Va’in pace e d’ora in poi non peccare più!»
(Gv 8,11).
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MARIO RUSSOTTO
La nostra conversione è possibile grazie all’iniziativa d’amore di Dio. Noi ci convertiamo, cantando
le misericordie del Signore (Misericordias Domini
in æternum cantabo), perché Dio è da sempre convertito a noi. Lui è il Misericordioso! «La conversione a Dio – ha scritto San Giovanni Paolo II nella
Dives in misericordia (DM) – consiste sempre nello
scoprire la sua misericordia, cioè quell’amore che
è paziente e benigno… fedele… fino alla croce, alla
morte e risurrezione del Figlio» (DM n. 13). Dio è
fedele al suo amore. Per questo il cammino della
conversione comincia con l’accettazione riconoscente del dono divino della misericordia.
L’azione di Dio, pertanto, precede e accompagna
quella dell’uomo. Prima ancora che divenga realtà
nell’anima del cristiano, la conversione è preparata
dall’intervento della Santissima Trinità: del Padre
che invia il Figlio; del Figlio che rivela il Padre;
dello Spirito Santo che apre le porte dei cuori. Nel
suo senso più profondo, la conversione è dono di
Dio, opera della Trinità. Per questo motivo, se noi
davvero vogliamo disporci alla conversione, dobbiamo riuscire a stare molto vicini alla Santissima
Trinità: al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
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Misericordias Domini
I sacramenti, la preghiera, le opere di carità, l’amicizia costante con il Signore nella Parola e nel Pane
eucaristico: è questo il cammino della conversione.
Perché «l’autentica conoscenza del Dio della misericordia è una costante e inesauribile fonte di conversione… Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo “vedono”, non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a Lui. Vivono dunque in stato di conversione; ed è questo stato che traccia la più profonda
componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla
terra in stato di viandante» (DM n. 13).
La conversione del cuore non è un semplice desiderio di amare Dio, formulato in un dato momento,
ma è un habitus, uno stile di vita. La vita cristiana
è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi ogni giorno, facendo «frutti degni di conversione» (Mt 3,8).
3. Il Convegno delle Chiese d’Italia
A cinquant’anni dalla chiusura di quella “primavera dello Spirito” che fu il Concilio Ecumenico
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MARIO RUSSOTTO
Vaticano II e dieci anni dopo il Convegno Ecclesiale Nazionale, tenutosi nel 2006 a Verona sul
tema “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del
mondo”, le Chiese d’Italia si ritrovano a celebrare
il 5° Convegno ecclesiale, che si svolgerà a Firenze nel novembre prossimo, sul tema “In Gesù
Cristo il nuovo umanesimo”.
L’Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia, nella presentazione alla Traccia in preparazione al Convegno, ha espresso la sua fiducia che questo importante appuntamento possa essere davvero “sinodale”, come dovrebbe essere lo stile della Chiesa,
evidenziando il diffuso «bisogno di discernimento
comunitario di fronte alle sfide del mondo contemporaneo». E sottolinea due dimensioni: lo
sguardo amorevole e il gusto per l’uomo per «leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore».
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo si snoda nella
Traccia attraverso cinque verbi.
Il primo: uscire… per una «Chiesa in uscita»,
come ripetutamente sottolinea Papa Francesco.
Il secondo: annunciare… perché abbiamo un
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Misericordias Domini
Vangelo da consegnare e perché la Chiesa esiste
per evangelizzare: «Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro
ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco,
io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del
mondo» (Mt 28,19-20).
Il terzo: abitare… che richiama la definizione di
parrocchia, “abitare tra le case”, con il coraggio di
leggere e comprendere i desideri e il cuore degli
uomini e delle donne… per essere sempre più
Chiesa-Popolo di Dio in cammino nella storia.
Il quarto: educare… a pensare i “pensieri di Cristo” (Fil 2,5) assumendo la sua “mentalità”, per vivere nel mondo con responsabilità.
Il quinto: trasfigurare… per “abitare la Trinità”
lasciandoci ospitare e trasfigurare dalla Trinità, divenendo sempre più una “Comunità di trasfigurati” attraverso la Parola, la Preghiera, i Sacramenti, la Carità.
Soltanto in questo modo e vivendo la comunione
della nostra Chiesa diocesana con le altre Chiesa in
Italia e con il Successore di Pietro, possiamo sempre più riscoprire e costruire un nuovo umanesimo
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MARIO RUSSOTTO
in Cristo. Lui, e solo Lui, rivela l’uomo all’uomo
e ci impegna ad essere ed edificare la “civiltà dell’Amore”.
4. In comunione con Papa Francesco
4.1. Il Giubileo della Misericordia
Papa Francesco, con la Bolla “Misericordiæ vultus” (MV), ha indetto il Giubileo Straordinario
della Misericordia, che si aprirà l’8 dicembre 2015,
cinquantesimo anniversario della conclusione del
Concilio Ecumenico Vaticano II, e si concluderà
il 20 novembre 2016, solennità liturgica di Gesù
Cristo Signore dell’universo. La nostra Chiesa diocesana, dunque, oltre a vivere la comunione con
le altre Chiesa d’Italia, è in piena sintonia con le
intenzioni e il progetto del Successore di Pietro,
pur avendo già da tempo pianificato il nostro cammino pastorale fino al 2020.
Scrive Papa Francesco nella suddetta Bolla, che
tutti invito a leggere e a meditare: «Misericordia:
è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità.
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Misericordias Domini
Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il
quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la
legge fondamentale che abita nel cuore di ogni
persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per
sempre nonostante il limite del nostro peccato»
(MV n. 2).
E ancora: «Gesù afferma che la misericordia non
è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per
capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo
chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per
primi è stata usata misericordia. Il perdono delle
offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere… il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani
per raggiungere la serenità del cuore… Gesù ha
posto la misericordia come un ideale di vita e come
criterio di credibilità per la nostra fede: “Beati i
misericordiosi, perché troveranno misericordia”
(Mt 5,7)… La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi» (MV n. 9).
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MARIO RUSSOTTO
Perché «L’architrave che sorregge la vita della
Chiesa è la misericordia… la credibilità della Chiesa
passa attraverso la strada dell’amore misericordioso
e compassionevole… È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che
risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza» (MV n. 10).
4.2. L’Anno della Vita Consacrata
Guardare al futuro con speranza è anche l’invito
che da sempre continuo a rivolgere alle donne e
agli uomini di “vita consacrata”. E ancor più in questo speciale anno, che volge a conclusione cedendo
il passo al Giubileo della Misericordia, dedicato da
Papa Francesco alla vita consacrata. Perché la
Chiesa non sarebbe senza la vita consacrata. La
Chiesa non sarebbe senza questa radicalità evangelica, senza questa corrente di amore e noi, sull’esempio di Maria, dobbiamo esserci essendo
quello che siamo, senza bisogno di apparire.
A volte la tentazione degli uomini e delle donne
“di Chiesa” è quella di prestarsi al gioco dei mass
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Misericordias Domini
media: voler apparire ad ogni costo. Alla scuola di
Maria SS.ma siamo invece chiamati ad apprendere
l’arte dell’esserci nel nascondimento, come il sale
che dà sapore perché si perde nel cibo e dà gusto
perché scompare, o come il lievito che scomparendo nella farina la fermenta e la fa crescere. Ecco:
la vita consacrata è Amore di pura perdita, è via
esemplare perché si impara a perdere per Amore,
a morire per dare vita, a vivere donando Amore.
E allora saremo anche noi come Maria, la Donna
che ha accolto nel silenzio il Verbo divino e nel silenzio lo ha custodito durante tutta la vita, così
come ora custodisce nel suo Cuore, abisso insondabile di santità, tutti noi con ineffabile Amore e
ci conduce alla pace contemplativa dell’incontro
con Dio: in unione con Cristo Gesù, nello Spirito
Santo, a gloria di Dio Padre.
5. Un augurio
Sperando che la Lettera Pastorale venga meditata
attualizzata mediata dai diversi Uffici pastorali
diocesani e dai carissimi Parroci, mi auguro che
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MARIO RUSSOTTO
essa venga sempre più letta meditata incarnata nei
gruppi parrocchiali e nelle associazioni ecclesiali.
E come ogni anno, anzi stavolta ancor più per meglio vivere il Giubileo della Misericordia, si tengano i cenacoli nelle case, nei condomini, nei quartieri, nelle scuole e nel mondo del lavoro.
Per essere tutti quanti responsabili e credibili missionari del Vangelo, testimoni e diffusori della Parola di Misericordia che, con la consapevolezza
dei miei limiti e con la coscienza della mia paternità pastorale, a tutti e a ciascuno con amore e fiducia affido in questa Lettera Pastorale.
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I
LA DONNA
NEL MANTELLO DI MISERICORDIA
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba
si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui
ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è
stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosé, nella
Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.
Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova
e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise
a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza
peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se
ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani
fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e
d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,1-11).
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MARIO RUSSOTTO
1. Un’icona rivelativa
Il racconto di Gv 8,1-11 è un’icona evangelica di
squisita delicatezza e prorompente forza; è una
perla sperduta della tradizione antica, che inquieta
e interroga e costringe ogni lettore a prendere posizione. È un racconto che spaventa se lo si legge
con attenzione, che risulta scandaloso e profondamente imbarazzante. Non ci si può accostare a questa icona con indifferenza o superficialità: alla fine
qualcosa turba il nostro cuore. Essa, infatti, smaschera il peccatore e l’accusatore che vivono in
ciascuno di noi e forse anche il nostro ipocrita perbenismo morale: colui che accusa gli altri farebbe
bene a guardare prima se stesso: «Chi di voi è senza
peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»
(Gv 8,7).
Ma l’icona evangelica ci consegna anche il Volto
della misericordiosa tenerezza di Dio in un silenzio inedito, in un cerchio che invece di stringere
nella morsa della morte si dilata verso un’inattesa
e fascinosa speranza di vita. Questa pagina evangelica diviene così indicativa della strada da percorrere per conoscere il Signore. «Nel perdono
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Misericordias Domini
conosciamo chi è il Signore: è Uno che ci ama
senza condizioni. Così conosciamo per la prima
volta chi siamo noi nel perdono: siamo persone
amate infinitamente da Dio, senza condizioni,
questa è la nostra verità… Noi pensiamo sempre
che Dio ci perdona perché siamo pentiti. Invece
non è che Dio ci perdona perché siamo pentiti; ci
possiamo pentire perché Lui ci perdona comunque. Dio non può non perdonarci, perché è amore,
noi possiamo sempre pentirci. Non è che, poiché
noi ci convertiamo a Lui, allora anche Lui diventa
buono per noi. Lui è da sempre convertito a noi,
è sempre buono con noi, per questo possiamo convertirci a Lui» (S. Fausti).
Tre sono i personaggi del racconto: Gesù, il
gruppo di scribi e farisei, la donna. E nell’intreccio narrativo di questi tre personaggi l’evangelista
mette a confronto due giudizi: quello umano, che
condanna ed ha per giudice dei peccatori, e quello
divino che assolve ed ha per giudice l’Innocente.
Gesù ci ha resi fratelli e non ipocritamente giudici
gli uni degli altri!
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2. Il contesto
MARIO RUSSOTTO
L’evento narrato si svolge nel tempio di Gerusalemme, dove già all’alba si trova Gesù dopo aver
trascorso la notte in preghiera presso il monte degli Ulivi: «Durante il giorno insegnava nel tempio,
la notte usciva e pernottava all’aperto sul monte
detto degli Ulivi. E tutto il popolo veniva a Lui di
buon mattino nel tempio per ascoltarlo» (Lc 21,3738). Gesù sente spesso il bisogno di ritirarsi da solo
nella solitudine della preghiera; una preghiera che
si fa ascolto della parola senza suono pronunciata
dal Padre, si fa colloquio, confidenza… «Come un
bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un
bimbo svezzato è l’anima mia» (Sal 131)…
Chissà come Gesù avrà pregato il Padre! Certamente la sua preghiera conteneva sempre quella
nota: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc
22,42). Perché la preghiera è tale solo se ci fa vivere la pasqua della volontà, cioè il “passaggio” dal
nostro volere al volere di Dio in modo che l’anima
vuole solo quello Dio vuole per essa. La preghiera
non può essere emozione, sentimento o semplice
fluire di parole; la preghiera, se è tale, deve condurci
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Misericordias Domini
alla consegna della nostra volontà alla volontà di
Dio, altrimenti preghiera non è… Questa capacità
di mantenersi in sintonia con Dio Padre permette a
Gesù di affrontare le giornate con una sapienza “altra”, con la sapienza che non viene dal mondo e
sconcerta la logica umana e le umane attese…
Luogo dell’evento narrato è il tempio di Gerusalemme nel quale Gesù insegna al popolo radunato
attorno a Lui. E quello che Gesù insegna viene
dalla sua esperienza di preghiera con il Padre. Gesù
racconta la sua esperienza e la sua intimità con il
Padre, le profondità del suo vissuto. Quando noi
sentiamo parlare qualcuno che non dice solo parole e non riporta solo teorie ma ci fa cogliere la
sua esperienza di Dio, anche la nostra anima vibra
di quel “respiro”. E la gente accorre da Gesù perché finalmente sente un Maestro che insegna a partire dalla vita.
3. Un amore rubato
In un clima spirituale profondo e così intenso di
ascolto, in quel silenzio in cui solo la voce di Gesù
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MARIO RUSSOTTO
risuona, arrivano scribi e farisei che portano una
donna sorpresa in adulterio e interrompono Gesù;
interrompono quel clima di ascolto e mettono la
donna in piedi (come un’imputata in attesa di sentenza) in mezzo alla folla così come l’avevano
“sorpresa”, quindi certamente anche un po’ svestita, in modo che tutti la possano vedere. Quanto
sarà stato umiliante per questa donna essere esposta allo sguardo e al giudizio di tutti gli altri… È
mezza nuda, eppure deve stare diritta in piedi perché è l’imputata; non può abbassarsi né coprirsi.
Pensiamo alla vergogna… di aver tradito suo marito, di stare seminuda davanti a tutti… E viene
portata lì non perché sia salvata, ma perché sia condannata… esposta al pubblico ludibrio con il suo
peccato… una donna di infamia e vergogna… E
tutti intorno a lei giudici, spietatamente condannatori… Non ha nome questa donna…
Questa donna vive una sua storia fatta di bisogni
e di attese. Forse non è felice di quello che ha. Si
trova a vivere una storia che probabilmente non ha
scelto né voluto. Una cosa comunque è certa: nel
suo matrimonio non ha trovato quello che cercava,
né all’interno del suo legame familiare né nella sua
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Misericordias Domini
relazione coniugale. Non è riuscita a saziare la sua
sete di amore ricevuto e donato.
Viene sorpresa in “adulterio”; e questo significa
che era sposata. Ha cercato un incontro con un altro uomo, ha cercato un amore clandestino fatto di
sotterfugi, consapevole di tradire suo marito e la
sua famiglia. Consapevole, dunque, di tradire il
patto nuziale con Dio. E si trova impelagata in una
rischiosa e pericolosa relazione che non cambierà
la sua vita, non colmerà la sua sete di amore.
Ma ecco la tragedia, ecco ora il suo dramma. Questa donna, ancora una volta deve prendere coscienza di essere usata e strumentalizzata… e forse
per l’ultima volta! Usata da un uomo che ha approfittato di lei per poi abbandonarla senza cercare
di difenderla... Usata da rigorosi osservanti della
legge per scopi che lei neppure lontanamente immagina... È vittima di una violenza che le toglie
l’intimità, l’identità, la dignità... E scopre così l’amarezza e il disgusto per essersi accontentata degli uomini: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo» recita Ger 17,5; per aver creduto di trovare l’uomo che la amasse per se stessa e non per
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MARIO RUSSOTTO
il suo corpo, che le donasse attenzione e affetto…
E invece le ruba amore. E forse anche la vita…
4. Il volto dell’ipocrisia
«Allora gli scribi e i farisei gli conducono una
donna sorpresa in adulterio» (Gv 8,3). Si tratta
dunque di una donna sposata, perché una relazione
tra un uomo sposato e una donna nubile non era
considerata adulterio. Per essere stata colta in flagrante significa che c’erano almeno due testimoni
oltre al marito, come recita il libro di Deuteronomio: «Un solo testimonio non avrà valore contro
alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato;
qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto
dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre
testimoni» (Dt 19,15).
La Torah parla chiaro: «Qualora tuo fratello... o
il figlio o la figlia o la moglie... non coprire la
sua colpa. Anzi, devi ucciderlo; la tua mano sia
la prima contro di lui per metterlo a morte...» (Dt
13,7-12). Un fariseo che legge questo testo si
sente quindi autorizzato in coscienza ad appli26
Misericordias Domini
care la Legge, passando sopra a tutti i sentimenti
di compassione, di pietà o di scusa nei confronti
di chi ha peccato. E poi un altro testo della Legge
recita: «Qualora si trovi in mezzo a te... un uomo
o una donna, che faccia ciò che è male agli occhi del Signore... lapiderai quell’uomo o quella
donna, così che muoia... La mano dei testimoni
sarà la prima contro di lui per farlo morire» (Dt
17,2-7).
«Questa lapidazione è una forma di assassinio collettivo che è il primitivo modo di farsi giustizia.
Tutti devono essere concordi quando si fa una lapidazione, se uno si alza per difendere il lapidato,
viene lapidato anche lui… Noi stiamo sempre assieme finché c’è un nemico comune da combattere. Se non c’è, ce lo inventiamo e pensiamo che,
eliminando lui, tutto andrà bene. Infatti tutto va
bene, perché eliminando lui otteniamo due vantaggi: il primo che siamo finalmente uniti nel fare
il male; il secondo che facendo il male sfoghiamo
la nostra aggressività, la nostra violenza, in modo
legittimo finalmente. Così si fanno le guerre, così
si fan fuori le streghe, così si perseguitano i diversi,
così si sterminano popoli» (S. Fausti).
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MARIO RUSSOTTO
Questa donna è senza via di scampo. Scribi e farisei hanno già le pietre in mano, è loro intenzione
ossequiare la legge di Mosè e lapidare la donna.
Ma in realtà di essa a questi illustri difensori della
moralità non importa nulla, a loro interessa servirsi
di questa donna per accusare Gesù. Nell’intenzione di questi autorevoli maestri di ipocrisia due
sono i condannati a morte: l’adultera e Gesù. Il
peccato della donna è evidente. Quello di Gesù
cercano in modo subdolo di dimostrarlo. Così si
cerca non solo di far lapidare la povera donna ma,
soprattutto, di far morire Gesù: «Questo dicevano
per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo» (Gv 8,6). L’imputato principale è, dunque,
Gesù. Le pietre sono destinate anzitutto a Lui.
Ma come avrebbero potuto intrappolarlo e accusarlo? Secondo alcuni, la donna era già stata riconosciuta colpevole dal Sinedrio e gliela conducono
perché Gesù decida il castigo. Sembra però improbabile che la sentenza venga affidata a quello
che era considerato un predicatore itinerante o che
gli concedano di revocarla. Secondo altri, invece,
la donna non era ancora stata processata, perché i
romani avevano tolto al Sinedrio il diritto di pro28
Misericordias Domini
nunciare condanne capitali. Se così fosse, la ragione per cui conducono la donna da Gesù diventa
chiara. Comunque decida va contro qualcuno: la
legge mosaica da una parte, i romani dall’altra.
Sant’Agostino commenta: «Era la perversità che
tramava contro la rettitudine, la falsità contro la
verità, il cuore corrotto contro il cuore retto... Il Signore risponde in modo tale da salvare la giustizia senza smentire la mansuetudine».
5. Il volto dell’infedeltà
«Questo dicevano per metterlo alla prova e per
avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise
a scrivere col dito per terra» (Gv 8,6). Sembrava
una strada senza uscita. Ma Gesù non si spaventa,
né si innervosisce. Anzi, al contrario. Con calma,
come chi domina la situazione, si china e scrive per
terra con il dito. A innervosirsi sono gli accusatori,
che insistono nel chiedere a Gesù la sentenza.
«Dalla posizione di chi è seduto passa a quella di
chi si china verso terra; di più, in questo modo Egli
si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti
a Lui! Si pensi all’eloquenza di questa immagine:
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MARIO RUSSOTTO
la donna che era stata presa e fatta stare in piedi
davanti a Gesù seduto come un maestro e un giudice, la donna che ha alle spalle i suoi accusatori
con le pietre già pronte in mano, vede Gesù chinato a terra di fronte a lei» (E. Bianchi).
La donna è in piedi come un’imputata. Gesù è
chinato per terra come un servitore. Intorno solo
silenzio. Il Creatore si inginocchia di fronte alla
creatura, il Santo si inchina davanti alla peccatrice… alla folla di peccatori! Un giorno si inginocchierà davanti ai discepoli, si chinerà a lavare
i piedi al traditore, al rinnegatore, all’incredulo,
al vigliacco… al peccatore… ai Giuda di ieri e a
quelli di ogni tempo. Il Dio inchinato… Dio abbassato perché questa donna, e in lei ogni donna
e ogni uomo, possa essere sollevata e salvata…
E «chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra»
(Gv 8,6.8): quel dito con cui Dio aveva scritto a
fuoco le Dieci Parole su tavole di pietra (Es 34),
quel dito con il quale i Rabbi insegnavano indicando la Parola e le lettere dell’alfabeto. Torah, infatti, viene dal verbo ‘yarah che significa “indicare col dito” e dunque “istruire”.
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Misericordias Domini
E «chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra»:
due volte, e in silenzio, Gesù compie questo gesto
che molte congetture ha suscitato. Che cosa scrive?
Secondo una tradizione, che risale a Girolamo,
scriveva i peccati degli accusatori. Secondo un’altra interpretazione, scriveva la sentenza, com’era
uso nella pratica legale romana in cui il giudice
prima scriveva la sentenza e poi la leggeva ad alta
voce. Ma siccome i farisei sapevano leggere, se
così fosse non si spiegherebbe la loro insistenza
(Gv 8,7), perché non avrebbero più avuto bisogno
di interrogarlo. Altri studiosi danno una spiegazione più semplice, che cioè Gesù stesse semplicemente tracciando dei segni senza significato
mentre stava pensando, o per mostrare imperturbabilità o per contenere il disgusto verso gli accusatori. Nella letteratura semitica e araba ci sono
molti esempi in cui qualcuno scarabocchia per
terra nei momenti di turbamento.
Cosa dunque Gesù abbia scritto non lo sappiamo,
ma il suo gesto in questo processo per adulterio
richiama due testi dell’Antico Testamento. Il
primo è del profeta Geremia: «Quanti ti abbandonano resteranno confusi, quanti si allontanano
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MARIO RUSSOTTO
da te saranno scritti nella polvere» (Ger 17,13). Il
secondo del profeta Osea: «Poiché uno spirito di
prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio» (Os 4,12). Quindi, coloro
che abbandonano Dio sono adulteri; la loro punizione consisterà nell’essere scritti nella polvere e
non nel «libro della vita» (Sal 69,29).
Gesù, scrivendo con il dito nella polvere, fa un
gesto profetico. È come se dicesse agli accusatori,
conoscitori delle Scritture: “I veri adulteri siete
voi che accusate e i vostri nomi non saranno scritti
nel libro della vita ma nella polvere, perché Dio
vi sta giudicando e vi ha trovato mancanti”. Con
questo gesto, dunque, Gesù smaschera negli accusatori la loro infedeltà nei confronti del Signore.
Poi, siccome essi insistono, Gesù ripete il gesto:
si abbassa di nuovo e scrive, ma questa volta accompagna il gesto profetico con una parola: «Chi
di voi è impeccabile – come recita il testo greco,
ossia uno che non ha mai peccato – sia il primo
a tirare la pietra». E chi di noi è impeccabile?
Nessuno! Solo Gesù è impeccabile. Gesù, citando
Deuteronomio al cap. 17, fa dichiarare a loro stessi
di essere peccatori.
32
Misericordias Domini
Ed essi, che hanno citato la Torah, adesso vengono
smascherati dalla stessa Parola che volevano strumentalizzare. Quindi Gesù, con queste parole,
smaschera in realtà la malizia degli accusatori, inchioda la loro coscienza. Sì, questa donna è peccatrice, nessuno lo mette in dubbio… forse nel suo
cuore c’è anche il rimorso di aver tradito Dio…
Pensava di trovare un amore e ha trovato un traditore; l’adultero che ha peccato con lei infatti
non c’è: «Quando un uomo verrà colto in fallo con
una donna maritata, tutti e due dovranno morire:
l’uomo che ha peccato con la donna e la donna.
Così toglierai il male da Israele. Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola
in città, pecca con lei, condurrete tutti e due alla
porta di quella città e li lapiderete così che
muoiano» (Dt 22,22-24). Gli accusatori, dunque,
hanno già disatteso la Legge, sono già andati contro la Torah non portando lì anche l’uomo adultero. E Gesù fa notare loro che sono davvero contro la Parola di Dio: ora sono loro i colpevoli, sono
loro a dover essere giudicati.
Il vero, flagrante e ben più grave adulterio – cioè
l’infedeltà al Signore – viene commesso dagli
33
MARIO RUSSOTTO
accusatori più che dalla donna. Se proprio essi vogliono essere rigorosi osservanti della legge di
Mosè, perché non portano anche l’uomo adultero
e agiscono come se soltanto la donna fosse colpevole? Pertanto, volendo condannare la donna, essi
ottengono la stessa condanna!
Mia Martini cantava: «Gli uomini non cambiano/
prima parlano d’amore e poi ti lasciano sola./ Gli uomini ti cambiano/ e tu piangi mille notti di perché./
Invece gli uomini ti uccidono/ e con gli amici vanno
a ridere di te/ …se l’uomo in gruppo è più cattivo/
quando è solo ha più paura./ Gli uomini non cambiano/ fanno i soldi per comprarti/ e poi ti vendono».
6. La sintonia del cuore
«Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito…
alzò il capo e disse loro… E chinatosi di nuovo,
scriveva per terra… Alzatosi, allora Gesù
disse…» (Gv 8,6-10). Quattro volte in pochi versetti il testo registra il movimento della testa e dello
sguardo di Gesù: chinare il capo (in greco katalupto) e alzare il capo (in greco anakupto): è come
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Misericordias Domini
se Gesù da una posizione eretta assumesse una posizione curva sotto il peso di qualcosa. E questo
curvarsi di Gesù arriva fino a lasciare delle impronte sulla terra. È come se il narratore ci volesse
dire che di fronte agli accusatori sicuri delle proprie certezze e del proprio giudizio di condanna
verso la donna adultera, Gesù si presenta come Colui che si confonde con la terra al punto da lasciarvi
le sue impronte, come Colui che si fa peccato con
coloro che vivono nel fango del peccato.
Ma questo movimento può anche suggerire una
sorta di ginnastica dello sguardo in Gesù, un anelito, un desiderio intenso misto a tensione controllata per il momento drammatico che tutti stanno
vivendo, perché è in gioco la vita di due persone:
la donna e Gesù stesso. In questa ginnastica dello
sguardo, rivolto prima agli accusatori e alla fine
alla donna, c’è, da una parte, il desiderio di Gesù
di “convertire” quei cuori di pietra in onesti cuori
di carne e, dall’altra parte, il desiderio di donare
pace e perdono a questa donna.
E se lo sguardo dei rigorosi falsi osservanti della
legge su di lei è di disprezzo e su di Lui di odio
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MARIO RUSSOTTO
represso, quello di Gesù è soltanto uno sguardo di
compassione, un guardare negli occhi per indurre
a riflessione e sincero esame di coscienza e dunque a pentimento; un guardare nel cuore della
donna per distenderne le pieghe e offrire una possibilità ancora di vita nuova. Mai il peccato può
essere l’ultima parola, perché ogni uomo e ogni
donna, a partire dalla sincerità del loro cuore, ad
ogni angolo di strada e scelta sbagliata potranno
incontrare quello Sguardo che gratuitamente perdona e ridona respiro alla vita.
Gesù sembra presentare un nuovo modo di amministrare la giustizia, basato non sulla verità del fatto
che è fuori discussione, ma sulla sintonia del cuore
del giudice con il cuore dell’imputata. È questo il
paradosso del racconto: Gesù, l’Innocente, si coinvolge con coloro che sono colpevoli al punto che
da Impeccabile si fa peccato; invece coloro che
sono colpevoli e peccatori – e sanno di esserlo –
pretendono di giudicare e condannare come se fossero innocenti e impeccabili!
«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la
pietra contro di lei» (Gv 8,7), proprio come pre36
Misericordias Domini
scrive la legge: «La mano dei testimoni sarà la
prima contro di lui per farlo morire» (Dt 17,7).
Gesù si attiene perciò alla legge, così come pretendono di fare gli accusatori della donna.
7. Dal confronto all’incontro
«Chi di voi è senza peccato...»: è un invito a tutti
quegli uomini ad uscire dalla follia di massa, a non
trincerarsi dietro il “branco”; è un richiamo alla responsabilità personale; è un appello a cercare il
male più grave: quello che si annida dentro il cuore
e contamina l’uomo e la società.
«Chi di voi è senza peccato…»: la risposta di
Gesù sorprende l’uditorio, disarmando tutti. Egli
smaschera la malizia degli accusatori e inchioda
la loro coscienza. Il silenzio di Gesù, il suo rifiuto di un confronto, quello sguardo e quell’unica frase che pronuncia obbligano gli accusatori
a spostare la loro attenzione, a posare lo sguardo
non più al di fuori di sé, ma dentro se stessi. Questi scribi e farisei sono l’icona di tutto ciò che è
in noi: il perbenismo, l’attenzione esagerata a “ciò
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MARIO RUSSOTTO
che sembra” e non a “ciò che è”, l’adeguarsi acritico a “ciò che si è sempre fatto”, il credersi sempre e comunque dalla parte del giusto e del diritto perché apparentemente si sono rispettate le
“regole”, sempre pronti a mettere i principi davanti alle persone.
Gesù rifiuta il confronto con essi perché il confronto non gli interessa, vuole l’incontro e sa che
finché questi accusatori resteranno chiusi nel cliché della loro vita l’incontro non sarà possibile,
perché nella loro vita non c’è posto per la persona.
Per questo Gesù li aiuta a capire l’importanza della
centralità della persona… perché la vita è fatta
sempre di persone, a partire da questa donna che
pure ha sbagliato, a partire da essi stessi che subito hanno accusato…
Dall’incontro con Gesù questi scribi e farisei, che
uno alla volta se ne vanno desistendo dal loro proposito omicida, forse sono usciti cambiati, o almeno così oso sperare… Se ne vanno perché non
si riconoscono più nel ruolo che li aveva condotti
là, perché da accusatori si sentono ora accusati da
uno sguardo e una parola. Costringendoli a vedersi
38
Misericordias Domini
così come sono, e cioè un miscuglio inscindibile
di bene e di male, Gesù desidera portare questi accusatori a riconciliarsi prima di tutto con se stessi.
La parabola del grano e della zizzania (Mt 13,2430) ci dice che nessuna nostra azione, nessun nostro atteggiamento o pensiero è mai totalmente
buono o totalmente cattivo e nessuno di noi è in
grado di separare nettamente l’uno dall’altro.
Solo al tempo della mietitura è possibile operare
questa separazione e i mietitori non siamo a noi.
Non tocca a noi separare il grano dalla zizzania.
«Io neppure giudico me stesso... Il mio giudice è
il Signore!» afferma San Paolo (1Cor 4,3-4). Solo
Dio può giudicare e quindi “mietere”: non una
singola nostra azione ma l’intera nostra realtà di
persone, per conservare il grano e bruciare la zizzania al fuoco della Croce di Cristo: un fuoco che
non distrugge ma trasforma, non condanna ma
perdona.
La presunzione di eliminare il male dalla nostra
vita falsa il nostro rapporto di creature con il Dio
Creatore e porta depressione e rabbia contro noi
stessi, insofferenza verso il male che vediamo
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MARIO RUSSOTTO
negli altri come proiezione dell’impazienza contro noi stessi. Il perdono ci permette di comprenderci meglio, perché ci rivela la nostra colpa ma
anche la nostra dignità. È un messaggio di stima e
di fiducia, che fa emergere la verità più profonda
di noi, permettendoci di scoprirci peccatori senza
disperarci o deprimerci. E mostrandoci con chiarezza la verità di noi stessi, mette fine anche ai nostri sogni impossibili, perché ci fa capire che la nostra santità è fatta anche di cocci e di rottami, di
pazienza e impotenza, soprattutto di quell’umiltà
che ci fa riconoscere il male e godere del perdono.
Siamo santi perché siamo riconciliati, e siamo riconciliati perché siamo perdonati. E siamo perdonati perché tutti peccatori!
8. Il volto della tenerezza
«Questa è la voce della giustizia – afferma Sant’Agostino – si punisca la peccatrice, ma non ad opera
dei peccatori; si adempia la legge, ma non ad opera
dei prevaricatori della legge... E quelli, colpiti da
essa come da una freccia poderosa, guardandosi e
trovandosi colpevoli, uno dopo l’altro, tutti si riti40
Misericordias Domini
rarono. Così rimasero solo in due: la misera e la
Misericordia!».
La “misera” donna viene presentata come un personaggio silenzioso, passivo, fatto di sola presenza. Per i suoi accusatori non era importante
chiedersi o chiederle perché avesse commesso
l’adulterio. A loro interessa solo il fatto che l’abbia commesso, tutto il resto non conta. Ma lo
strano è che neanche a Gesù sembra interessare
il perché: infatti non le chiede nulla. A Gesù non
interessa sapere quali siano i motivi del suo peccato perché comunque sa che ci sono, ma accoglie la debolezza della donna, il suo bisogno di
amore, il suo senso di solitudine e tutti gli infiniti motivi che l’hanno spinta al peccato. Per Gesù
non ha importanza il perché: il suo perdono è assoluto, incondizionato e completo, sempre. Per
la donna, misera, Lui è solo Misericordia! E fra
loro due si crea un accogliente, rasserenante silenzio. «Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna,
dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa
rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse:
“Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non
peccare più”» (Gv 8,10-11).
41
MARIO RUSSOTTO
Il testo non dice che “si alza” e, dunque, si mette
in piedi, bensì anakypsas “alzato il capo”. È bello
vedere come Gesù guarda la donna dal basso in
alto. Anche con Zaccheo aveva agito così. Gesù
non guarda mai il peccatore dall’alto in basso, con
sguardo inquisitore e accusatore, ma sempre dal
basso in alto… per ridare dignità, per restituire vita
a chi da essa si era allontanato. Perciò… cammina
la tua vita, rimettiti in strada, non sei più emarginata… e a cominciare da ora non allontanarti più
dalla onesta via!
È sempre così ogni qualvolta noi abbiamo il coraggio di ritornare a Gesù. Lui non ci condanna:
«Io non sono venuto per condannare il mondo ma
per salvare il mondo» (Gv 12,47). Allora perché
pensiamo ancora che Dio sia un giudice e abbiamo
paura di ritornare a Lui? Dov’è la nostra fede? In
quale Dio crediamo? Ho sentito tante volte anche
in confessione espressioni come questa: “Forse il
Signore mi ha punito per questa cosa…”. Che idea
di Dio! Ora Gesù ci consegna un Dio che, anche
se il nostro peccato è gravissimo, ci guarda sempre dal basso in alto. Ma noi, in quale Dio crediamo?...
42
Misericordias Domini
«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?»
(Gv 8,10): Gesù ora volge il suo sguardo e la sua
parola alla peccatrice. È l’unico a parlarle! E la
chiama donna, come aveva chiamato sua madre
Maria alle nozze di Cana (Gv 2,4); come si era rivolto alla Samaritana presso il pozzo di Sicàr (Gv
4m21); come si rivolgerà a Maria di Magdala in
lacrime nel giardino della resurrezione (Gv 20,15).
Donna… non adultera, non peccatrice… semplicemente dignitosamente rispettosamente donna…
per aiutarla a ri-vedersi con dignità e rispetto…
donna…
«Donna… Neanch’io ti condanno. Va’ in pace e
d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11): il perdono precede il pentimento! Senza alcuna dichiarazione, senza alcun accenno ad una possibilità di ravvedimento da parte della donna, Gesù le
fa dono del perdono… gratuitamente generosamente incondizionatamente… perché «Dio non si
stanca mai di perdonarci» (Papa Francesco).
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: è la
chiara distinzione fra la persona e il male, fra la
peccatrice e il peccato. Gesù assolve la donna e la
43
MARIO RUSSOTTO
invita al proposito di non commettere più peccato
in avvenire. Gesù avvolge la donna con la carezza
liberante del suo sguardo di misericordia e nell’intimo le insegna la sapienza del cuore… Perciò,
come cantava Davide, «distogli lo sguardo dai miei
peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o
Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito
saldo» (Sal 51,11-12).
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: parole che hanno la forza di un imperativo (non peccare più) e dicono la potenza di un dono: la pace
del cuore come forza e lucidità interiore per non
cadere più. Ecco, il perdono di Gesù cancella il
passato e apre nuove inedite strade di futuro, di
vita, di armonia dell’essere…
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: mi
piace pensare che Gesù non abbia lasciato andare
via la donna così com’era, quasi tutta svestita.
Forse ha preso il suo mantello – quello dei Rabbi,
quello della preghiera (!), il cui lembo una donna
emorroissa aveva toccato guarendo – e glielo ha
messo addosso perché tornasse a casa con la dignità dell’abbraccio di divina disinteressata gra44
Misericordias Domini
tuita tenerezza… E torna a casa la donna… tradita da un uomo ma rifatta donna da Dio… E torna
a casa con il mantello di Dio! Quel mantello che
come un abbraccio di misericordia copre tutto;
perché l’amore tutto scusa, tutto crede, tutto sopporta. Gesù dice: «Va’ in pace», cioè ti restituisco
la pace. Sia ora il tuo cammino segnato dalla pace,
non esser più agitata e inquieta dentro, nessuno ti
potrà condannare perché Dio ti ha sciolta da ogni
peccato.
Gli accusatori, invece, portano il peso del proprio peccato. Gesù ha fatto cadere non solo le
pietre dalle loro mani, ma le maschere dal loro
volto, li ha liberati dall’anonimato e dal nascondimento vile del gruppo e li ha costretti a confrontarsi con la propria coscienza, perché potessero anche loro cominciare a vivere... quando accetteranno di essere peccatori! La donna è liberata, alleggerita dalla sua colpa. Perché «là dove
è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).
Il fatto di essere creata di nuovo dalla Misericordia, permette alla donna di fare della misericordia
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MARIO RUSSOTTO
il respiro stesso della propria vita: «Va’ e d’ora in
poi non peccare più!». Sì, è peccatrice, ha sbagliato.
Gesù non giustifica né condanna. Invita ad alzare
lo sguardo, ad andare oltre, a guardare col cuore la
fragilità dell’altro e scoprirvi – riflessa – la propria.
E questa donna viene liberata. Salvata dalla lapidazione, viene ora salvata dalla sua fragilità. «Non
peccare più»: anche lei viene invitata a guardare
oltre ciò che pensava essere la soluzione ai suoi
problemi.
Il gesto di Gesù chinato a terra è il gesto tipico
dello schiavo quando doveva caricarsi di un
peso: si inginocchiava, si prostrava nella polvere,
gli mettevano addosso il peso e poi si alzava e
lo portava. Ecco allora cosa ha dimostrato Gesù
a questa donna e a tutti gli altri: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… È stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che
ci dà salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue
piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5). «Padre, perdonali…» (Lc 22,34): è questo il testamento d’amore a noi consegnato da Gesù pur
nella trafittura del costato.
46
Misericordias Domini
Possa questa donna aiutarci a rileggere la nostra
vita, a guardare il nostro cuore e il nostro volto.
L’esperienza di questa donna ci dia e ci restituisca
una volta per sempre la giusta idea di Dio, che è
infinita Misericordia. Sì, Signore, aiutaci a comprendere che la misericordia è l’unico modo che
Tu hai di vedere noi miseri peccatori, da Te Creatore amate creature…
Per la riflessione e il confronto…
1. Come vedo la nostra Chiesa, quella diocesana in particolare, alla luce di questo racconto evangelico? Ritengo me stesso (e chi
altri…?) nei panni degli accusatori o della
donna? Cosa e come occorre cambiare nella
nostra Chiesa e negli uomini e nelle donne
“di chiesa”?
2. So assumermi personalmente la responsabilità del peccato e del male da me commesso
oppure cerco di accusare gli altri? Come mi
sento dopo? Ho provato sinceramente a pentirmene proponendomi di non farlo più?
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MARIO RUSSOTTO
3. Come scriverei la storia della donna se fossi al
suo posto? E cosa mi piacerebbe scrivere nella
mia vita dopo le parole di Gesù: «Va’ in pace e
d’ora in poi non peccare più»?
4. Come mi educo alla relazione con me stesso e
con gli altri attraverso la parola e lo sguardo?
Riesco a guardare l’altro evitando atteggiamenti di pregiudizio e di condanna, coniugando
misericordia e dignità e sapendo preferire la
giustizia ad una legalità osservata solo come
formalismo omologante dei comportamenti?
5. Qual è il mio modo di vivere la preghiera, personale e comunitaria? So educarmi ad una sincera relazione con Dio consegnando la mia volontà alla Sua?
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II
VA’ E NON PECCARE PIÙ
1. Il “credo” del credente
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»: è il
nuovo respiro del cuore che Gesù dona alla donna,
da Lui fatta risalire alla vita dal baratro della morte.
Come al paralitico, rattrappito nel corpo e nello
spirito, ridona il risanamento del cuore prima di
quello del corpo: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi
peccati» (Mc 2,5). E poi: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina» (Mc 2,9).
Dio soffre della nostra sofferenza, soprattutto
quella interiore che ci toglie la pace dell’anima e
la gioia della vita. Perciò… «qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20). Il “credo” del vero credente, che viene professato ogni domenica a Messa
e nel rito del Battesimo e della Confermazione, significa sapere e confidare che la propria vita è illuminata sostenuta amata da Dio, che in Cristo
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MARIO RUSSOTTO
Gesù ha per sempre sigillato il suo patto di gratuito incondizionato sacrificato Amore con l’umanità: «Questo è il sangue dell’alleanza versato per
molti in remissione dei peccati» (Mt 26,28). E San
Paolo commenta: «È stato Dio infatti a riconciliare
a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della
riconciliazione… Colui che non aveva conosciuto
peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore,
perché noi potessimo diventare per mezzo di lui
giustizia di Dio» (2Cor 5,19-21).
2. Il dono del perdono
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più»:
Gesù stabilisce una relazione di pace con questa
donna aiutandola a rimettersi in strada, a camminare la vita nell’armonia della relazione con se
stessa, con il Dio di misericordia e libertà, con gli
altri… da vedere con lo sguardo del cuore perdonato e perdonante… quale dono d’amore a chi
di per sé non lo meriterebbe. «Il perdono è la
forma che prende l’amore quando gli viene fatto
torto» (R. Guardini).
50
Misericordias Domini
Il perdono, infatti, rimette nella marcia dell’amore
e dell’amicizia sia chi subisce sia chi infierisce:
«Padre, perdonali perché non sanno quello che
fanno» (Lc 23,34). È la pazzia dell’amore possibile solo a Dio e a chi nella fede ha imparato a conoscerlo. Chiedere e donare il perdono non è segno di debolezza ma di forza, la forza dell’umile
amore, come evoca lo starec Zosima ne “I fratelli
Karamazov” di Dostoevskij: «Alcuni pensieri,
specialmente alla vista del peccato umano, ti rendono perplesso e ti domandi: Devo ricorrere alla
forza o all’umile amore? Decidi sempre: Ricorrerò
all’umile amore. Se prenderai una volta per tutte
questa decisione, potrai soggiogare il mondo intero. L’umile amore è una forza formidabile, la più
grande di tutte, come non ce n’è un’altra».
«Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe,
il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma
se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15).
La fraternità è dunque sacramento della paternità,
il perdono al fratello è il luogo del superdono di
Dio Padre nel Figlio Cristo Gesù. Il Dio di Gesù
Cristo è Padre perché è Amore che dona e perdona.
51
MARIO RUSSOTTO
E noi siamo figli di questo Padre e fratelli di Gesù
solo nell’amore che dona e perdona. Perché l’amore vive di dono e perdono: se nel bene diventa
dono, nel male si fa perdono. Per questo il perdono
è il pane quotidiano di cui ciascuno di noi – e la comunità ecclesiale tutta – ha davvero bisogno.
Perché se non perdoniamo i fratelli che ci hanno
offeso non siamo figli. Perdonare il fratello non è
un dono che a lui faccio, ma un dono che da lui ricevo: perdonando, infatti, permetto allo Spirito del
Padre di essere respiro in me. Perdonare, pertanto,
è un miracolo più grande del risuscitare un morto:
è nascere alla vita immortale, rinascere come figlio nello Spirito ed essere restituito alla comunità
come fratello. Se non perdono il fratello, non riconosco Dio come Padre, e non accetto il suo perdono per me! L’uomo giusto e il vero cristiano non
è chi non commette peccato, perché tutti pecchiamo, ma chi perdona come il Padre. E il perdono del fratello è il luogo in cui riconosco davvero Dio come Padre.
Se il cuore del cristianesimo consiste nel perdono,
non stupisce che le tre tappe decisive del formarsi
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Misericordias Domini
della Chiesa nei vangeli siano contrassegnate dalla
remissione dei peccati. L’autorità conferita a Pietro, roccia sulla quale Gesù fonda la Chiesa, è essenzialmente potere di perdono: «A te darò le
chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai
sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19).
L’Eucaristia, che genera e dà forma alla Chiesa, è
memoria efficace dell’evento in cui Cristo ha versato il suo sangue «per la remissione dei peccati»
(Mt 26,28). Il mandato missionario consegnato ai
discepoli li abilita alla remissione dei peccati: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,23).
La Chiesa, dunque, è «una comunità di peccatori
convertiti, che vivono nella grazia del perdono,
trasmettendola a loro volta ad altri» (Benedetto
XVI). La forza e la debolezza della Croce si riflettono nell’onnipotenza e nell’estrema debolezza del perdono: tutto, infatti, può essere perdonato, anche se il perdono non garantisce che il
perdonato arrivi al pentimento e neppure che il
perdonato non possa strumentalizzare il perdono
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MARIO RUSSOTTO
ricevuto per continuare a compiere il male. Il perdono, in ogni caso, rimane sempre un segno di umanità redenta e forza di umanizzazione redentrice.
Ne “I Promessi Sposi” Fra’ Cristoforo rivolge a
Renzo, per esortarlo a perdonare don Rodrigo
queste parole: «Puoi odiare, e perderti; puoi, con
un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perché, in qualunque maniera t’andassero
le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo
che tutto sarà castigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gli
perdono».
3. Rinuncio… Credo…
Rivolgendosi ai genitori e al padrino e alla madrina del bambino che sta per essere battezzato, il
celebrante dice: «Avoi il compito di educarlo nella
fede, perché la vita divina che riceve in dono sia
preservata dal peccato e cresca di giorno in giorno.
Se dunque in forza della vostra fede, siete pronti
ad assumervi questo impegno, memori delle promesse del vostro Battesimo, rinunciate al peccato
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Misericordias Domini
e fate la vostra professione di fede in Cristo Gesù:
è la fede della Chiesa nella quale il vostro figlio
viene battezzato».
E poi chiede una responsabile chiara esplicita triplice rinuncia: a satana, a tutte le sue opere, a tutte
le sue seduzioni; oppure: al peccato per vivere nella
libertà dei figli di Dio, alle seduzioni del male per
non lasciarsi dominare dal peccato, a satana origine e causa di ogni peccato. Segue la triplice professione di fede.
La forma dialogica, in questa parte del rito del Battesimo, esprime in modo significativamente eloquente ciò che si sta vivendo, perché ogni domanda
richiede una risposta personale libera esplicita, in
prima persona singolare: rinuncio... credo. È una
chiara e responsabile, personale e pubblica dichiarazione di un no deciso al peccato; no alle insidie e alle seduzioni tenebrose del maligno; no
dunque a tutto ciò che amore non è, ossia… rancore, odio, vendetta, inganno, illegalità, impurità,
sfruttamento, maldicenza, giudizio, oppressione,
ipocrisia, latrocinio… per “vivere” nella libertà liberante dei figli di Dio.
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MARIO RUSSOTTO
E dichiarando il suo credo nell’amore di Dio Padre e del Figlio suo Gesù Cristo e nell’amore dello
Spirito, che procede da entrambi, il cristiano sente
di essere plasmato dalla misericordia divina e di
vivere conseguentemente nella fedeltà all’amore
trinitario. Se Dio è carità, egli non può che vivere
di carità, perché dov’è carità e amore, lì c’è Dio.
La fede condivisa nella Chiesa (credo la santa
Chiesa cattolica) diviene per il credente condivisione piena, nella comunione dei santi, della remissione dei peccati e della speranza della resurrezione della carne e della vita eterna. Questa è la
nostra fede; è questa la fede della Chiesa, che tutti
i credenti si gloriano di professare in Cristo Gesù
loro Signore.
Con il Battesimo ai bambini viene data un grazia,
un’opportunità come un seme che può diventare
una pianta, un seme che comunque per crescere è
affidato alla cura dei genitori. Ma se il seme non
lo si cura resta seme… e non diventa mai albero…
Proprio per questo è molto importante chiedere di
professare la fede ai genitori: sono loro e non il
bambino i veri protagonisti, perché a loro è affidato questo seme.
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Misericordias Domini
Perché la triplice rinuncia a satana e al peccato?
Un tempo questo rito veniva fatto fuori dal battistero e con il dito puntato verso occidente, che simbolicamente rappresenta il luogo delle tenebre,
della morte della giornata, della fine della luce. Nel
rito poi ci si rivolgeva ad oriente, simbolo del Cristo-Sole che sorge per dare vita e illuminare il
giorno, e dunque verso il battistero dove, nel momento dell’immersione battesimale, si professava
il credo. Ecco, questo “movimento” – da occidente
ad oriente – voleva essere il segno visibile del desiderio di passare dalle tenebre alla luce, dal peccato e dalle opere del maligno alla grazia e alla
luce della fede nella Trinità SS.ma.
Peccato e perdono non fanno riferimento ad una
legge anonima, ad un ordine astratto spezzato e ristabilito, ma a una storia d’amore tra persone, con
infedeltà e restaurazione dell’amore attraverso la
fedeltà.Apartire dalla fedeltà di Dio, che non viene
mai meno, il perdono è sperimentato come il miracolo della gratitudine incondizionata dell’amore
di Dio. Il perdono di Dio è un’offerta gratuita e
mai conquista o diritto meritato dall’uomo. Perciò,
a partire dal perdono di Dio il credente scopre la
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MARIO RUSSOTTO
gravità del suo peccato, come tradimento all’amore di Dio, come infedeltà o adulterio di fronte
alla fedeltà di Dio.
Rinuncio… Credo… perché «è necessario dire un
“no”allaculturaampiamentedominantedellamorte.
Un’anticultura che si manifesta, per esempio, nella
droga, nella fuga dal reale verso l’illusorio, verso una
felicità falsa che si esprime nella menzogna, nella
truffa, nell’ingiustizia, nel disprezzo dell’altro, della
solidarietà, della responsabilità per i poveri e per i
sofferenti; che si esprime in una sessualità che diventa puro divertimento senza responsabilità, che
diventa una “cosificazione” – per così dire – dell’uomo, che non è più considerato persona, degno di
un amore personale che esige fedeltà, ma diventa
merce, un mero oggetto» (Benedetto XVI).
4. Coscienza del peccato
«Tu non hai ancora considerato seriamente quanto sia grave il peso del peccato»: sono parole di
Sant’Anselmo di Aosta quando s’interrogava sul
perché sia stato necessario che Dio si facesse uomo
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Misericordias Domini
per la redenzione dell’umanità. È importante, dunque, conoscere i propri peccati. È importante comprendere che il peccato ottenebra il cuore, confonde l’intelletto, frantuma il nostro rapporto di
amicizia con Dio e la nostra comunione con la comunità. Il peccato è il male che corrompe il cuore,
trasformandolo in tomba di impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. E ancora: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore
trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo
tesoro trae fuori il male» (Mt 12,35).
Ebbene, se è dal cuore che giungono i propositi
del male e dell’agire ingiusto, allora è proprio nel
cuore che si deve operare la conversione per vincere il peccato e ritornare al Signore. Perché il peccato schiavizza, intristisce, opprime, conduce alla
miseria dell’anima, ci tiene lontani dall’Amore di
Dio. Ma Dio è il Padre buono che ci dona la capacità d’amare attraverso il suo perdono e la sua
infinita misericordia.
«Per questo ti dico: i suoi molti peccati sono perdonati perché ha molto amato. Invece quello a cui
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MARIO RUSSOTTO
si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47). Le lacrime
della donna peccatrice, che in casa di Simone lava
i piedi a Gesù, sgorgano da un cuore pentito e straripante d’amore. Ciascuno dovrebbe, allo stesso
modo, versare lacrime amare per i tanti tradimenti
e le offese recate all’Amore di Gesù, ma dovrebbe
anche versare lacrime di riconoscenza per la Grazia di Dio che ci guarisce dalle ferite del nostro insensato peccato.
«Il veder chiaro nell’animo nostro è assai più difficile di quanto non si creda. Quanta fantasia in
certe spiegazioni del peccato! Che importa descrivere la strada dei nostri errori se nessuno c’indica quella del ritorno? La strada che ci ha fatti
fuorviare non conta più dopo che il Signore ci ha
perdonato. La vita cristiana vale solo per quello
che si può diventare rispondendo alla Grazia» (P.
Mazzolari).
Il peccato è offesa e distruzione del tessuto relazionale, è umiliazione di se stessi. Il peccato è il
non-io nel mio io e nella relazione con gli altri:
«Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi
insegni la sapienza» (Sal 51,8). Ecco, Dio ama la
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Misericordias Domini
verità anche nell’oscurità. Dio ama la verità, che
è luce anche là dove mi sento smarrito nei meandri della mia coscienza. E lì, nel segreto del mio
cuore, Dio mi insegna l’arte di ricostruire la mia
vita nella sua, in Lui che è il respiro del mio cuore.
Il peccato non dimora in un luogo lontano, ma
come un mastino che fa la guardia sta accovacciato dinanzi alla porta. Esattamente sul punto che
controlla il passaggio dall’esterno all’interno dell’uomo, dalla coscienza all’azione: là c’è la tentazione, il rischio di non riuscire più a guardarsi con
obiettività, a non amarsi, non accogliersi e, di conseguenza, a non amare e non accogliere.
Nel Libro di Apocalisse leggiamo: «Ecco, sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi
apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli
con me» (Ap 3,20). In questa piccola parabola c’è
tutta la storia della salvezza, quella di ieri e quella
di domani. Ieri già non mi appartiene, il domani non
mi appartiene ancora. Non posso cambiare quello
che ho già fatto e non ho ancora fatto ciò che potrò
cambiare domani. C’è solo un punto che non è una
storia ed è oggi, è la porta del mio presente.
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MARIO RUSSOTTO
Siccome è «dal cuore dell’uomo (che) escono le
cattive intenzioni» (Mc 7,21), noi cristiani dobbiamo saperci chinare in ascolto del nostro cuore,
che può essere generatore di «prostituzioni, furti,
omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, invidia, superbia» (Mc 7,22). Dobbiamo avvertire i diversi
palpiti che si agitano in noi, compresi i germi indistruttibili di santità che attendono di essere sottratti alle spine delle preoccupazioni terrene, per
crescere fino alla misura di Cristo Gesù. Perché il
Regno di Dio è dentro di noi! (cfr. Lc 17,21). Per
questo noi consacrati siamo chiamati a diventare
sempre più uomini e donne dell’interiorità e del
silenzio, incamminati nelle vie misteriose dello
Spirito, protesi nell’ascolto di una Voce che ha determinato tutta la nostra esistenza.
«Ascolterò che cosa dice Dio: il Signore annunzia
la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi
ritorna a Lui con tutto il cuore» (Sal 84,9). Con il
Battesimo noi ci siamo allontanati dal brusìo del
peccato, per meglio ascoltare quella Voce che parla
di pace al nostro cuore, per poter creare in noi stessi
le condizioni ideali dell’ascolto, non tanto nella
fuga dal mondo quanto piuttosto nella ricerca di un
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Misericordias Domini
silenzio interiore, dove limpida può risuonare la
Voce dello Spirito e la Parola del Vangelo. Nel Talmud Babilonese (Berakhot 7) Dio stesso prega per
l’uomo peccatore dicendo: «Possa Io volere che la
mia misericordia sottometta la mia collera, e possa
la mia pietà prevalere sul mio attributo della giustizia, affinché Io possa trattare i miei figli con la
misura della misericordia, e che Io mi trattenga di
fronte a loro dall’usare la misura del rigore».
5. Riconciliati per riconciliare
«Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova;
le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di
nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha
riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a
noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio
infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non
imputando agli uomini le loro colpe e affidando a
noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo
quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio
esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in
nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio»
(2Cor 5,17-20).
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MARIO RUSSOTTO
In greco l’espressione recita letteralmente così:
«Siate riconciliati con Dio». Questo stile paolino lo
troviamo più volte nelle sue Lettere (Rm 12,2:
«Siate trasformati»; Ef 4,23: «siate rinnovati»; Ef
6,10: «siate rafforzati»). Queste esortazioni sono formulate all’imperativo, il che significa che dobbiamo
fare qualche cosa, ma sono anche al passivo per indicare che Dio è l’Autore delle azioni, mentre noi
dobbiamo aprirgli la porta del cuore accogliendo il
suo dono… «lasciatevi riconciliare con Dio».
Sulla croce, nella morte del suo Figlio, Dio ci ha
dato la prova suprema del suo amore. Per mezzo
della croce di Cristo, Egli ci ha riconciliati con sé.
«Questa verità fondamentale della nostra fede ha
oggi tutta la sua attualità. È la rivelazione che tutta
l’umanità attende: sì, Dio è vicino con il suo amore
a tutti e ama appassionatamente ciascuno. Il nostro mondo ha bisogno di questo annuncio, ma lo
possiamo fare se prima lo annunciamo e lo riannunciamo a noi stessi, sì da sentirci circondati da
questo amore, anche quando tutto farebbe pensare
il contrario» (C. Lubich).
La Riconciliazione ha lo scopo di situare il peccatore nella condizione battesimale e di renderlo
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Misericordias Domini
degno di partecipare al convito eucaristico, nella
gioiosa e completa riconciliazione con Dio e con
i fratelli: «Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è
nella gioia salmeggi. Chi è malato, chiami a sé i
presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo
averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la
preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati
gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per
essere guariti» (Gc 5,13-16).
Il sacramento della Riconciliazione ha una chiara
e forte dimensione ecclesiale: «Quelli che si accostano al sacramento della penitenza ricevono
dalla misericordia di Dio il perdono delle offese
fatte a Lui, e insieme si riconciliano alla Chiesa,
alla quale hanno inflitto una ferita con il peccato
e che coopera alla loro conversione con la carità,
l’esempio e la preghiera» (Lumen gentium, n. 11).
Il Sacerdote nella confessione esercita un ministero di riconciliazione, di misericordia e di perdono, e non di giustizia o di divino tribunale, pur
pronunciando un giudizio spirituale in quanto
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MARIO RUSSOTTO
padre e pastore. Spesso, nell’esperienza dei fedeli,
proprio il dover presentarsi al ministro del perdono
costituisce una difficoltà rilevante: “Perché non
posso rivolgermi direttamente a Dio per avere l’assoluzione dei peccati?... Perché devo confessarmi
con uomo peccatore come me?...”. Questi interrogativi possono avere una loro plausibilità per la fatica che richiede il sacramento della Riconciliazione. E tuttavia rivelano una non-comprensione
del mistero della Chiesa.
È vero: l’uomo che assolve è un fratello che pure
lui ha bisogno di confessarsi perché, nonostante
l’impegno di santificazione, resta soggetto ai limiti
dell’umana fragilità. Ma il Sacerdote che assolve
dai peccati non offre il perdono in virtù di particolari virtù o doti personali ma lo fa nome della
Chiesa, agendo in persona Christi: non solo come
rappresentante di Cristo, ma anche e soprattutto
come colui nel quale è presente e agisce lo stesso
Signore Gesù Cristo. Nonostante il senso di disagio che può provocare la mediazione umana ed
ecclesiale, essa – per la stessa logica dell’Incarnazione – è una “via” umanissima che esprime la
prossimità presente di Dio ricco di grazia e di mi66
Misericordias Domini
sericordia. Il Sacerdote, ministro del sacramento
della Riconciliazione, è l’espressione sacramentale attraverso la quale Cristo Gesù ci raggiunge e
ci libera dai nostri peccati.
Gesù ha detto a Pietro: «A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà
legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra
sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19). Le chiavi del Regno dei cieli non sono affidate a Pietro e alla Chiesa
perché se ne servano a proprio arbitrio o per manipolare le coscienze, ma perché le coscienze siano
liberate nella Verità piena dell’uomo, che è Cristo,
pace e misericordia per tutti (cfr. Gal 6,16).
«Dio… ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il
mondo in Cristo… affidando a noi la parola della
riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo… Vi supplichiamo in nome di
Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,1820). La Chiesa attraverso il Sacerdote è lo strumento mediante il quale Dio concede agli uomini
il perdono e la pace: «Dio… ha affidato a noi il
ministero della riconciliazione». Ma c’è anche un
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MARIO RUSSOTTO
altro motivo per cui la Chiesa entra in questa nostra riconciliazione con Dio. Noi viviamo in una
Comunità di vita e di destino, in cui non possiamo
fare del male a noi senza fare, nello stesso tempo,
del male a tutta la Chiesa. Il peccato non ricade
solo su chi lo fa. Il peccato commesso da me, anche nella più grande segretezza, danneggia tutto il
Corpo mistico di Cristo perché «siamo membra gli
uni degli altri» (Ef 4,25).
Siamo “solidali” nel bene e nel male. Se è così, se
la Chiesa è coinvolta nel mio peccato, è chiaro che
dovrà essere presente anche nel momento del perdono. Per questo all’inizio della celebrazione della
S. Messa ciascuno – e tutti insieme – dichiara:
«Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che
ho molto peccato…». Di conseguenza non mi riconcilio solo con Dio, ma anche con i fratelli, con
la Chiesa. Il peccato e il perdono hanno sempre
una dimensione comunitaria: il peccato e il perdono non sono mai affari miei, ma sempre affari
nostri. Rinnovati nel perdono di Dio canteremo,
con la voce e con la vita, un canto nuovo: quello
che nasce dall’esperienza meravigliosa dell’amore
misericordioso del Padre per Cristo nello Spirito.
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Misericordias Domini
Savonarola, in un suo commento omiletico, affermava: «Ora la paura dei peccati che scopro in me
stesso mi dispera, ora la speranza della tua misericordia mi sostiene. Ma poiché la tua misericordia
è più grande della mia miseria, io non cesserò di
sperare». Si racconta che un uomo andò a consultare Rabi’a, una grande mistica musulmana dell’VIII secolo. Quell’uomo le disse: «Ho commesso
molti peccati: se mi pento, Dio mi perdonerà?». Rabi’a rispose: «No, tu ti pentirai se Lui ti perdona».
Omar Khayyam, un celebre poeta persiano, ha
scritto: «Benché, Signore, non abbia quasi mai infilato la perla dell’obbedienza alla tua legge, benché
non abbia spesso lavato la polvere del peccato dal
mio volto, io non dispero della tua bontà, della tua
generosità, del tuo perdono. Confesso il mio grande
peccato; tormentami, se tu lo vorrai; accarezzami, se
tu lo vorrai. Io so però che tu desideri abbracciarmi».
Per la riflessione e il confronto…
1. Cos’è per me e come vivo il perdono… ricevuto e donato? So tradurre nella vita quotidiana
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MARIO RUSSOTTO
la Riconciliazione come “stile” nelle relazioni
con gli altri?
2. Ho provato qualche volta a fare l’esame di coscienza? Cosa ho trovato di positivo e negativo
in me? Posso propormi di fare ogni sera l’esame
di coscienza? Sarebbe un piccolo importante
passo verso la conversione e il cambiamento…
3. Come custodisco e coltivo il seme consegnatomi nel Battesimo? Ho la consapevolezza di
aver ricevuto una grazia e un’opportunità da far
fruttificare? Da genitore o da padrino/madrina
sono consapevole dell’importanza e della responsabilità della mia professione di fede?
4. Ho chiara coscienza della dimensione ecclesiale della Riconciliazione? Percepisco il sacerdote come espressione della prossimità presente di Dio ricco di grazia e di misericordia?
Come viviamo nella mia Comunità parrocchiale la preparazione a questo Sacramento?
5. «Dio ama la verità anche nell’oscurità». So ritagliarmi spazi di silenzio durante la giornata
70
Misericordias Domini
per mettermi in ascolto del mio cuore e conoscere davvero me stesso e il mio peccato? Ho
sperimentato quanto e come il peccato opprima
il cuore? Tendo a trovare alibi e giustificazioni
per i miei errori?
71
III
MOLTO AMORE MOLTO PERDONO
Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella
casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una
peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa
del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.
A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. «Se
costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è
colei che lo tocca: è una peccatrice». Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, dì pure». «Un
creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò
il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?».
Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più».
Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E volgendosi verso la
donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato
nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con
i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando
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MARIO RUSSOTTO
sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai
cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di
profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti
peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona
poco, ama poco». Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è
quest’uomo che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla
donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!» (Lc 7,36-50).
1. Un rapido confronto
Un giorno Gesù viene invitato a cena in casa di Simone il fariseo. Non sappiamo in quale villaggio
né il perché di questo invito. Ad un certo punto accade l’imprevedibile: una donna, «una peccatrice
di quella città» (Lc 7,37), irrompe nella casa portando con sé «un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di
lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva
di olio profumato» (Lc 7,37-38).
Nel vangelo di Marco (Mc 14,3-9) e nel vangelo
di Giovanni (Gv 12,1-8) troviamo un racconto che
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Misericordias Domini
presenta alcuni tratti simili a quello di Luca, ma
con notevoli differenze. Sia Marco sia Giovanni
ambientano la scena a Betania: Marco in casa di
un certo Simone il lebbroso, Giovanni in casa di
Marta e Maria che preparano un banchetto per festeggiare il miracolo del ritorno alla vita del fratello Lazzaro compiuto dall’amico Gesù. In entrambi i casi la donna – anonima in Marco, mentre in Giovanni è Maria di Betania – non è una peccatrice, non piange e non versa lacrime, ma si limita a ungere con un profumo di prezioso nardo
il capo (nel vangelo di Marco) o i piedi (nel vangelo di Giovanni) di Gesù.
In tutti e tre i casi l’azione della donna interrompe
la cena, crea un certo disagio e provoca interiore
agitazione ed esteriore reazione in qualcuno: nel
nostro racconto in Simone il fariseo; in quello di
Marco in «alcuni che si sdegnarono fra di loro»
(Mc 14,4); in quello di Giovanni in Giuda (Gv
12,4). In questi ultimi due vangeli la reazione è
(apparentemente) scatenata dallo spreco di quel
prezioso profumo che si poteva vendere per fare
del bene ai poveri. Nel racconto di Luca, invece,
la reazione interiore ben controllata esteriormente
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MARIO RUSSOTTO
ha una causa ben diversa: non lo spreco di profumo, ma la persona stessa della donna: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie
di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice»
(Lc 7,39).
Non essendo questa la sede per ulteriori esegetici
approfondimenti, continuiamo notando gli elementi comuni: Gesù, casa, banchetto, donna, profumo e unzione, reazione di “altri” e risposta di
Gesù. Ma nel nostro racconto tutto questo trova
una contestualizzazione, una composizione narrativa e un insegnamento particolari e propri del vangelo di Luca.
2. Ipocrisia e frustrazione
«Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli
entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola» (Lc
7,36). Nella casa di Simone il fariseo Gesù trova
un’aria pesante e imbarazzante. Sì, quel fariseo lo
ha invitato e ricevuto in casa, ma evita ogni cortesia, in modo da prevenire ogni critica. Quel fariseo, come ogni uomo che agisce così, è già morto
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Misericordias Domini
“dentro”, non è sereno né veramente “cordiale”,
perché vive sempre con nervosismo e tensione,
sempre interiormente impaurito, sempre teso a cogliersi dallo sguardo degli altri e a vivere condizionato dal giudizio degli altri… soprattutto di
quelli che “contano”… E crea un clima di pesante
diffidenza e indifferenza…
Spesso noi ci relazioniamo con gli altri senza comprometterci, in una specie di equilibrio fra apertura
e chiusura, fra ospitalità e distanza. Abbiamo paura
della critica degli altri al punto che tante volte restiamo bloccati nella nostra umanità. E questo può
accadere anche a uomini e donne “di chiesa”,
quando non hanno una umanità liberata e liberante,
equilibrata e serena. Sono “ecclesiastici” che trattano gli altri, soprattutto le donne, con distanza
paura arroganza, guardandoli dall’alto in basso perché hanno paura della relazione e, ancor più, della
loro umanità. E così lasciano morire il cuore, lo tengono bloccato e sigillato… Ma non si può vivere
sempre preoccupati di cosa pensano gli altri e ricevendosi dal giudizio altrui, occorre essere se
stessi cercando il bene, vivendo il molto amore e
di molto amore.
77
MARIO RUSSOTTO
3. Donna di molto amore
«Ed ecco una donna, una peccatrice di quella
città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e
fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi
di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li
asciugava con i suoi capelli, li baciava e cospargeva di olio profumato» (Lc 7,37-38). La
donna è una prostituta ben nota in quella città.
Certamente Simone il fariseo la conosceva… Tali
“peccatrici” venivano completamente escluse
dalla comunità cultuale, come i lebbrosi, perché
vivevano sempre nell’impurità. Nel tempio c’era
il cortile delle donne, ma le prostitute non potevano entrare neanche in quel cortile, perché erano
“senza Dio”.
Ma Gesù distingue la loro situazione di peccato
dalla loro realtà personale. Afferma, anzi, con coraggio che anch’esse entrano nel Regno di Dio.
C’è perdono e salvezza anche per loro! E a coloro
che insistono nel dichiararsi giusti, risponde: «Le
prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli» (Mt
21,31), saranno accolte dunque prima di voi, per78
Misericordias Domini
ché esse prostituiscono il corpo mentre voi prostituite il vostro cuore!
Ed ecco: questa pubblica peccatrice entra in casa
del fariseo e rompe ogni convenzione, creando
un enorme disagio in tutti, tranne in Gesù. In
Oriente, nella casa dove si trovava un ospite, potevano avere libero accesso come spettatori anche persone non invitate… ma non certo persone
impure!
E chi è davvero questa donna? La nostra protagonista è l’unica donna della quale Gesù afferma: «molto ha amato» (Lc 7,47); l’unica
donna liberata dalla malattia non del corpo ma
dello spirito senza aver chiesto nulla e, infatti,
non presenta alcuna cecità né lebbra né paralisi
né possessione demoniaca… ma ha vissuto nel
peccato: è una peccatrice; è l’unica donna, dunque, perdonata da Gesù perché «molto ha
amato»; l’unica donna che piange lavando di
lacrime i piedi di Gesù. E noi, dal momento che
è “anonima” perché ciascuno possa darle il proprio nome, possiamo anche chiamarla donna di
molto amore!
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MARIO RUSSOTTO
La posizione corporale della donna è molto significativa. Gesù è reclinato verso la tavola. La donna
è sul pavimento, dietro a Lui e tocca con il suo
capo i piedi del Maestro. Gesù sta in alto e lei in
basso, il più basso possibile. E dal basso la donna
piange… in un silenzio eloquente… Parla con il
suo corpo, i suoi sentimenti, le sue emozioni e
azioni. Sta rannicchiata ai piedi di Gesù… come
farà in seguito Maria di Betania, la quale «sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola» (Lc
10,39).Tutti i commensali sono posti, come di consueto, uno di fronte all’altro. Lei, invece, sta rannicchiata dietro. Tutti vedono il volto degli altri.
Lei vede soltanto i piedi di Gesù. È esclusa dal
banchetto, è un’intrusa non desiderata, una impura
che tutta la casa rende impura. Eppure, secondo le
parole di Gesù, è lei la protagonista; lei l’unica capace di ospitare davvero. La donna di molto amore
sta in basso e dietro. Poi Gesù la porrà al centro
della scena!
Al posto delle parole la donna ricorre al linguaggio del corpo. E con il suo corpo (specialmente
con le mani, la bocca e i capelli) trasmette pienamente i suoi sentimenti di amore verso Gesù. E
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Misericordias Domini
mai pronuncia parola. Tuttavia, nel suo sorprendente silenzio, svolge una intensa attività; compie
quattro azioni con al centro i piedi di Gesù: li bacia, li bagna con le lacrime, li asciuga con i capelli,
li unge con il profumo. E Gesù entra e la lascia entrare in quella relazione, si lascia toccare lasciando
che la donna gli esprima il suo molto amore… sincero e riconoscente.
La donna di molto amore entra in scena da emarginata, esclusa dal mondo sociale, dal sistema religioso, dal banchetto, dal dialogo… Non ha nome,
prestigio, potere… Ha soltanto se stessa, il suo
amore, le mani, la bocca, le lacrime, il profumo…È
peccatrice e lo sa. Gode di cattiva reputazione e lo
sa. Ma sa pure che porta a Gesù tutta la sua umanità e la sua tenerezza. Il poco che ritiene di essere
e il poco che ha, lo rischia per Gesù. Infrange le
norme e si addentra in recinti strettamente proibiti
alle donne e, soprattutto, a lei. Tiene fronte agli
sguardi d’accusa degli invitati; sopporta il giudizio intransigente di Simone e l’umiliazione del disprezzo di tutti. Ma ha molto amore e ora è lì con
Gesù… Perché l’amore non si apprende dalla
legge ma dal cuore, non si valuta dalla legge ma
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MARIO RUSSOTTO
dal perdono; non si spiega partendo dal di fuori ma
dal di dentro.
L’improvviso ingresso della donna presuppone
che ella sapesse della presenza di Gesù in casa di
Simone e che, probabilmente, lo avesse già incontrato e si fosse ravveduta dei suoi peccati, come
si evince dal verbo greco al perfetto usato da Luca:
«afeontai ai amartiai autes ai pollai, oti egapesen
polu – I suoi peccati sono stati (nel passato e continuano ad esserlo nel presente) perdonati, perché
molto amò» (Lc 7,47). Oltretutto la donna non
avrebbe portato un vaso profumato per onorare
Gesù se non l’avesse mai incontrato prima, se non
fosse stata accolta perdonata amata da Lui. Il suo
è un gesto di gratitudine e di amore per Gesù, che
molto l’ha amata facendole dono del perdono.
La donna di molto amore, in un gesto di pubblica
confessione senza parole, compie verso Gesù quei
gesti e segni di affetto riconoscenza accoglienza,
che nessuno aveva saputo compiere. È come se lei
volesse ricompensare Gesù per l’amore, l’accoglienza, il perdono ricevuti. Forse vuole dimostrare
a Gesù che davvero è cambiata e gli effetti di quel
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Misericordias Domini
perdono sussistono ancora, perché lei continua a
vivere di quel super-dono d’amore.
La donna si rannicchia dietro, quindi si inginocchia
dietro a terra davanti ai piedi di Gesù, li bagna con
le lacrime, li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di olio profumato. È l’umanità di Gesù che
fa esprimere l’umanità della donna. Se Gesù fosse
stato un Rabbi “tutto d’un pezzo”, rigido e rigoroso,
la donna non avrebbe osato. Lei si permette di agire
così perché Gesù ha permesso alla sua umanità di
esprimersi. Ed è tutto un mondo femminile che nei
simboli si sprigiona in quella casa d’amicizia senza
amicizia. E siamo in una casa e la casa dice sempre intimità; c’è una tavola imbandita che dice condivisione; c’è una donna in lacrime, con i capelli
sciolti senza pudore, che si mette a nudo con tutta
la sua femminilità manifestando la sua intimità con
Gesù. E non le importa nulla di quello che pensa Simone il fariseo, di quello che pensano gli altri, a lei
importa Gesù. Da Lui ha ricevuto molto amore e a
Lui vuole esprimere e donare molto amore.
Quante volte nelle nostre relazioni e nel nostro cammino umano e spirituale rimaniamo “bloccati”,
83
MARIO RUSSOTTO
perché schiavi della logica del possesso o del giudizio degli altri… Quante volte non agiamo come
vorremmo per paura di essere giudicati… E così
ci si blocca e si vive tutti in uno stato di ipocrisia,
mentre la vita nostra e delle nostre comunità diventa sempre più arida, con uomini e donne d’umanità rattrappita e devota soffocante religiosità…
Non solo, ma quante volte capita che viviamo la
fede con una superficialità incredibile, per cui tutto
ciò che rientra nella “sfera di Dio” o nella “sfera
di evangelica umanità” si fa in fretta, giusto per
farsi vedere, nel minor tempo possibile… Questo
è Simone il fariseo che vive in noi… e si vede dai
volti, perché un cuore non riposato non rende il
volto sereno, luminoso, trasfigurato…
La donna di molto amore non sta neanche a pensare cosa dice la gente o il padrone di casa… non
le importa, quello che conta per lei è essere con
il suo Gesù. La donna di molto amore, senza dire
una parola, dà una lezione a tutti quegli invitati
al banchetto… A volte per “salvare la faccia” noi
trascuriamo completamente il Signore e dopo
tanti anni ci ritroviamo un’anima rattrappita e inaridita…
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Misericordias Domini
4. L’umanità di… baci lacrime profumo…
La donna di molto amore si aggrappa ai piedi di
Gesù. Tutta la sua femminile umanità si esprime
su quei piedi.
E li bacia… perché Dio è un bacio! Baciare è un
gesto di tenerezza. E la tenerezza nasce dall’amore
ed è completamente gratuita. La donna bacia i piedi
di Gesù senza pretendere ricompensa né risposta.
Li bacia per esprimergli tutta la gratitudine e l’affetto del suo cuore.
E li bagna di lacrime… che purificano il cuore e
lavano se stessa “dentro”.
E li asciuga con i suoi capelli. È un gesto sponsale scandaloso in pubblico! In Oriente, infatti, le
donne non possono mai farsi vedere in pubblico
con i capelli sciolti, solo il marito può vedere i
capelli della sua donna. Quindi la donna di molto
amore, per asciugare con i capelli i piedi di Gesù,
si toglie il velo e si scioglie i capelli nel gesto tipico della sposa davanti allo sposo. Il suo è un
gesto di “consacrazione nuziale”, un gesto di
85
MARIO RUSSOTTO
sponsale intimità. Il gesto contiene una tremenda
forza evocatrice. L’immagine ci riporta al Cantico dei Cantici: lo sposo, estasiato dalla chioma
dell’amata, esclama: «I tuoi capelli sono un
gregge di capre che scendono dalle pendici del
Galaad» (Ct 4,1; 6,5).
Nel Cantico dei Cantici leggiamo ancora: «Un re
è stato preso dalle tue trecce» (Ct 7,6). Lo sposo è
conquistato e dice: «Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa; tu mi hai rapito il cuore con un
solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia,
sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi»
(Ct 4,9-10). Siamo davvero in un clima di profonda
spirituale nuzialità, che celebra il dono e la bellezza della vita. È anche importante notare che ci
troviamo non nel tempio ma in una casa, luogo
delle relazioni quotidiane che formano la nostra
identità.
E li cosparge di olio profumato. Il profumo non
si usa inutilmente, né si dona a chiunque. È un
dono d’amore, di amicizia, di venerazione e af86
Misericordias Domini
fetto. Il profumo della donna diventa ora profumo
di Gesù, dalle mani della donna di molto amore
passa ai piedi di Gesù che ama dell’Amore più
grande. Il profumo, in ebraico shemen da shem che
significa “nome”, nel Cantico dei Cantici indica lo
sposo, chiamato profumo effuso (Ct 1,3). Il nome,
l’essenza di Dio, è profumo. Ora il profumo riempie la casa e si estende a tutti… anche a quelli
che giudicano e condannano…
Il profumo è simbolo del DioAmore. Ma diAmore
donato si può solo morire, perché si ama fino a
dare la vita. Dio è Amore, pienamente amante e
amato nella Trinità; sulla terra effonde il suo profumo e vive ovunque vi è amore. Dove c’è amore,
lì c’è Dio. Il gesto della donna di molto amore è il
principio della creazione nuova, che inizia quando
la sposa risponde allo sposo, che la ama di amore
eterno (Ger 31,3). In questa donna Dio trova ciò
che da sempre cerca: essere amato da chi Egli ama!
Nel nostro racconto, tuttavia, l’essenza dell’essenziale non è più il profumo ma l’amore.
Quando l’amore fa scoppiare l’egoismo e rompe
gli argini, nulla lo può contenere. La donna non
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MARIO RUSSOTTO
bada a ciò che dicono gli altri, non bada allo
spreco… A lei tutto questo non importa. A lei importa solo Gesù e fa tutto quello che può per Gesù,
segno di un rapporto che la stringe a Lui in modo
fortissimo.
La donna è tutt’uno con quel profumo, sue sono
le lacrime, suoi i capelli… lei è quel profumo…
Lei è la gratuità che si dona nello “spreco” di
molto amore. Perché Dio è puro dono, è Amore
assoluto, si spreca. Dio è quel profumo… E se
Dio è questo profumo che si dona – e lo comprendiamo dalla Croce – rinunciare al peccato e
vivere la fede significa impregnarsi di questo profumo e vivere di esso. Il senso della vita è amare:
amare in modo assoluto Dio, che è l’Unico Assoluto, e gli altri come Dio li ama… fino allo
spreco d’amore. In modo assoluto. Altrimenti
amiamo in modo assoluto i nostri egoismi... l’avere, il potere e l’apparire: il possedere le cose,
le persone, il prestigio... i vari idoli ai quali sacrifichiamo la vita.
Lo “spreco” del profumo è quel “molto amore”
che indica la nuzialità donata con autenticità di
88
Misericordias Domini
amore, di affezione, di affettuosità, di simpatia, di
disponibilità, di spreco. Perché la persona vale più
delle cose, ha un valore inestimabile! L’effusione
del profumo corrisponde dunque alla gioia di chi
sa di avere trovato, di chi sa di essere in presenza
della perla per cui vale la pena vendere tutto e tutta
donarsi. Ma il “profumo effuso” non si improvvisa, non è un gesto occasionale, è un cammino, è
una fedeltà, è un incontro vivo d’amore con l’Amore, è una continua risposta del no al peccato nel
sì della fede in Dio Amore nella concretezza dei
gesti, degli atteggiamenti, delle scelte.
E come sempre l’amore è irrazionale, non sa fare
calcoli… L’amore ama fino allo spreco. E Gesù
apprezza, perché lo spreco della donna di molto
amore dice la misura smisurata dell’Amore. Chi
ama ragiona con il cuore e non gioca al risparmio.
Poiché la logica dell’amore è dare e darsi tutto.
5. Noi… farisei…
«A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò
tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e
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MARIO RUSSOTTO
che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”» (Lc 7,39).
L’ingresso della donna nella casa, e durante il banchetto per di più; il suo modo di agire e le sue
stesse azioni che in quanto impura contaminano
di impurità tutta la casa, e dunque anche i commensali; il comportamento di Gesù, che invece di
reagire e scacciare quella donna si lascia toccare
accarezzare profumare i piedi… suscitano la sdegnosa irritata controllata reazione di Simone il fariseo, il quale nella sua mente lancia un duplice
giudizio: giudica la donna e giudica Gesù. Aveva
invitato Gesù come un Rabbi, uno dei nuovi predicatori e adesso pensa che non sia capace nemmeno di dire la parola di Dio: «Se costui fosse un
profeta…». La sentenza di Simone è, secondo il
suo punto di vista, ineccepibile: Gesù non è un
profeta, perché se lo fosse non avrebbe mai permesso un simile scandalo!
Simone non coglie quanto succede in casa sua, è
esterrefatto e sgomento per la situazione imbarazzante creatasi, per la brutta figura fatta di fronte
agli altri farisei, per l’impurità contratta “grazie” a
90
Misericordias Domini
quella donna e al presunto profeta. Invitando Gesù
pensava di aver fatto un gesto coraggioso, pensandolo probabilmente come Maestro saggio, rigoroso, austero. Invece le sue attese sono state deluse ed egli è desolato irritato disgustato.
Simone si considera un uomo giusto e religioso,
ma anche uno sfortunato eroe di una triste deludente vicenda. Ha cercato di accogliere Gesù, ma
senza rischiare troppo. Non pensa mai alle sue responsabilità, alle sue mancanze di sincera ospitalità; anzi, crede di essere l’unico a mantenere un
contegno decoroso in una situazione scabrosa e
difficile: «Se costui fosse un profeta saprebbe…».
Simone vede la donna come fumo negli occhi, la
disprezza disprezzando anche l’ingenuità di Gesù,
il “Maestro”, che non si accorge di essere ingannato: «Se costui fosse un profeta saprebbe… è una
peccatrice».
Simone siamo noi quando non comprendiamo le
situazioni, valutandole secondo criteri di forma
esteriore, ma senza sforzarci di penetrarne il
senso facendo attenzione alle persone. Simone
siamo noi quando giudichiamo gli altri senza
91
MARIO RUSSOTTO
comprenderli, creando così molta sofferenza.ASimone non viene assolutamente in mente che la
“peccatrice” possa avere una storia: è una donna
con dei problemi e delle angosce, che sta facendo
uno sforzo di risalita nel dono sincero di sé, cioè
nel recupero della sua vera identità e della sua profonda dignità. Simone non è morto, ma vive in
noi, vive nelle nostre comunità, nella nostra società con le sue “virtù”, la sua “onorabilità”, la sua
“ottusità” non evangelica. Simone siamo noi tutte
le volte che invece di accusare noi stessi chiedendoci in che cosa stiamo sbagliando, ci precipitiamo
a giudicare gli altri… senza remissione!
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più» (Gv
8,11) ha detto Gesù alla donna salvata dalla lapidazione. Ma il suo peccato era evidente: flagrante
adulterio. Evidente e noto è anche il peccato della
donna di molto amore: prostituzione. Il peccato di
Simone il fariseo – come quello o quelli di molti
apparenti giusti, “osservanti” delle leggi ecclesiastiche e civili, difensori e sbandieratori di legalità,
devoti e orgogliosi sfilatori nelle processioni,
ostentatori di segni e insegne di religiosità e devozione – è proprio quello di sentirsi “giusto”; di
92
Misericordias Domini
voler determinare il volere di Dio con subdoli devoti ricatti; di vivere e agire in modo esattamente
opposto alla gratuità dell’Amore e del Vangelo.
E in questo modo si tratta Dio da prostituta, si pretende di comprare il paradiso e la grazia con la pagella di impeccabilità e lo scontrino di preghiere e
opere “buone”. Ma questo è un atteggiamento e
un comportamento di stampo mafioso, seppur ammantato di religiosità. Si pensa a Dio come ad un
boss potente crudele vendicativo da tenere buono
per evitare le sue spietate reazioni. «Questa immagine di Dio è l’insidia fondamentale di tutte le
religioni ed è l’elemento sano di tutti gli ateismi
che negano questo Dio affermato dalle religioni,
perché questo non è Dio ma è l’immagine diabolica di Dio che abbiamo dentro» (S. Fausti).
6. Più debito… più amore…
«Gesù allora gli disse: “Simone, ho una cosa da
dirti… Un creditore aveva due debitori: l’uno gli
doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non
avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti
93
MARIO RUSSOTTO
e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone gli rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”» (Lc 7,40-43).
In pochissimi versetti il vangelo ci mostra innanzitutto che davvero Gesù è profeta, conosce infatti
il borbottio interiore dei pensieri non espressi del
fariseo. E, nonostante abbia ricevuto un trattamento scortese e scostante, Gesù chiama per nome
il padrone di casa: Simone. È la prima persona del
vangelo di Luca che Gesù chiama per nome. Ne
conosce dunque l’identità, l’intimità, la realtà più
profonda. Come farà con il capo dei pubblicani di
Gerico da sotto l’albero di sicomoro: «Zaccheo,
scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa
tua» (Lc 19,5).
Gesù poi, sempre rivolto a Simone, racconta la piccolissima parabola dei due debitori e della gratuita
generosa bontà del creditore. E se l’uno ha un debito corrispondente a cinquecento giornate lavorative, l’altro ha un debito del dieci per cento rispetto al primo. Ma entrambi sono nell’impossibilità di restituire e il molto e il poco che devono.
Ma il creditore, senza fare differenze fra i due, sta94
Misericordias Domini
bilisce con entrambi una relazione profonda fondata sul gratuito amore, cioè sul condono (o perdono) incondizionato. Il problema si sposta così
dall’aspetto economico a quello relazionale. E, infatti, amerà di più quel generoso creditore colui
che aveva un debito maggiore. In costui non c’è
solo gratitudine e gioia, ma il germoglio di una relazione d’amore… di più.
Con Dio non possiamo mai stabilire un rapporto
di tipo economico-commerciale fondato sulla logica umana del do ut des. Perché mai potremo restituire al Signore l’enorme debito contratto con
Lui. L’unica risposta al dono del perdono che Dio
ci chiede e attende è la decisa nostra rinuncia al
peccato vivendo con Lui una relazione d’amore…
di più! È l’unico linguaggio della fede, l’unico linguaggio di Dio… vivere d’amore!
«Vivere d’amore è custodirti,Verbo increato!...Vivere d’amore è vivere della tua vita… Vivere d’amore, quaggiù, è un darsi smisurato, senza chieder salario; senza far conti io mi do, sicura come
sono che quando s’ama non si fanno calcoli…
Non ho più nulla, e la mia sola ricchezza è vivere
95
MARIO RUSSOTTO
d’amore… Non vedo nemmeno l’impronta d’uno
dei miei peccati, ciascuno è svanito nel fuoco divino… Ma se cado ad ogni passo tu mi raggiungi,
di volta in volta mi sollevi, mi avvolgi nel tuo abbraccio, e mi dai la tua grazia… Vivere d’amore è
un navigare incessante, seminando nei cuori la
gioia e la pace» (S. Teresa di Lisieux).
Noi tutti siamo sempre e solo debitori perché tutti
peccatori! E per questo amati e perdonati, destinatari indegni e non meritevoli del libero assoluto
gratuitoAmore di Dio. Il cristianesimo, allora, non
è la religione fondata su debiti da restituire, né su
devozioni e cerimonie e riti e processioni e voti e
sacrifici… Il cristianesimo è la religione dell’Amore, delle relazioni d’amore, dell’amore che
ama di più perché ciascuno è sempre un debitorepeccatore più degli altri. Basta guardare con onestà sincerità verità la propria coscienza… Siamo
tutti debitori!
Oltre all’umanità ci accomuna sia la fragilità del
peccato sia la grazia della fede, per questo nella
preghiera di fraternità Gesù ci ha insegnato a pregare dicendo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come
96
Misericordias Domini
noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). L’altra faccia di questo insegnamento di Gesù, proprio
quello relazionale che ci permette di ricevere e donare il perdono, è l’unico e nuovo comandamento
che Lui ci ha lasciato: «Amatevi gli uni gli altri;
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli
uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv
13,34-35).
Educare i cristiani – genitori, padrini e madrine,
giovani e sposi, piccoli e grandi – alla rinuncia al
peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio significa educarli all’arte di relazionale amore. È
questo il distintivo dei cristiani. È l’amore – come
Io vi ho amato – l’unica via che porta a Dio e che
“dice Dio” al mondo! Altra strada non ci è data!
7. Fariseo e peccatrice a confronto
«E volgendosi verso la donna, disse a Simone:
“Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa
e tu non mi hai dato… lei invece…”» (Lc 7,4447). È la prima volta che nel racconto Gesù volge
97
MARIO RUSSOTTO
deliberatamente il suo sguardo sulla donna e, guardando lei con sguardo di misericordioso riconoscente cuore, invita Simone a vedere oltre la vista
questa donna, cioè a vederla con occhi nuovi, con
cuore sincero, con lo sguardo di… Dio.
Ed ecco: il Signore porta Simone dentro un confronto aperto, senza ipocrisia e senza retorica. È
il confronto fra tu non mi hai dato… lei invece…
La donna ha donato e fatto quello che avrebbe dovuto dare e fare Simone. E non solo, ma molto di
più. Di conseguenza il peccatore e trasgressore
della Torah (legge-istruzione) è proprio il rigido
presuntuoso osservante della Torah, cioè il fariseo Simone e non la peccatrice donna. Se la donna
è l’icona della gratuità e del molto amore, il fariseo è l’immagine del calcolo meschino. La gratuità è contagiosa. Il calcolo svuota, prende e pretende per sé: non solo uccide il dono, ma condanna alla sterilità.
Il molto amore non ha bisogno di giustificarsi, di
spiegarsi, di convincere, di farsi pubblicità. Si impone col suo semplice esserci. Diverso è l’atteggiamento del fariseo, che parla fra sé giudicando
98
Misericordias Domini
e condannando. Il suo comportamento ha bisogno
di parole, spiegazioni, correzioni… La verità e la
semplicità del molto amore della donna si contrappongono alla complessità e alla falsità del fariseo. La bellezza del dono della donna condanna
da sola l’ipocrisia del fariseo. E noi ci troviamo
così di fronte ad una scelta fra due alternative: il
dono del molto amore, che ci viene da Dio consegnato come perdono, o il pregiudizio e la condanna
fino alla meschineria del fariseo...
Il fariseo, che presume di essere giusto, «rischia di
restare un ragioniere che fa calcoli con Dio… La
donna è la sposa. Ama Gesù con tutta la vita, con
tutto il suo cuore, con tutte le sue forze, come il
Signore l’ha amata con tutto il cuore, con tutte le
sue forze, con tutta la sua vita. Questa peccatrice
è la prima uguale al Signore» (S. Fausti). Perché
più si riceve perdono e più si sperimenta la bellezza della relazione d’amore. Ma è anche vero che
più si ama e più si entra nella logica del perdono.
In fondo i farisei di ieri e di oggi, cioè i devotamente presunti giusti che giudicano sempre gli altri e mai se stessi, amano poco… vivono di leggi,
riti, esteriori osservanze ma… di poco o niente
99
MARIO RUSSOTTO
amore… E «alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore» (S. Giovanni della Croce).
Il mio “vecchio” amico giornalista e poeta Nino
Barraco, in un interessante opuscolo ha scritto di
vivere stupore e sbalordimento per «la predilezione di un Dio che ama, soprattutto, i lontani o,
meglio, quelli che noi abbiamo allontanato. È la
sua scelta, un Dio che condanna i “salvati”, quelli
che si ritengono al sicuro, l’ipocrisia di quanti si
proclamano giusti… Gesù spiazza tutti con la sua
verità… si china sulla Maddalena… fa l’elogio dei
peccatori, delle meretrici… È la ragione dell’amore, l’amore che ci interroga, che ci pone in
ascolto, che ci impegna».
«Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati…
La tua fede ti ha salvata; va’ in pace”» (Lc 7,4850). Folgorante rivelatrice liberante verità! Prima
Gesù ha detto che il molto perdono è dovuto al
molto amore; ora ridichiara il perdono dei peccati
e afferma che si tratta di fede. Ecco l’unica strada
che ci lega a Dio e congiunge terra e cielo… Ecco
l’unica dimensione che cancella i peccati e stabilisce chi crede e chi non crede: l’amore, l’amore, sol100
Misericordias Domini
tanto l’amore! Null’altro! Perché la fede non è primariamente adesione alle verità rivelate, non è anzitutto questione di “dottrina” (anche se questa è necessaria utile indispensabile). La fede è questione
d’amore; la fede è risposta d’amore a Dio che è
Amore donato fino allo spreco, fino alla follia!
«Signore, tu mi scruti e mi conosci… Penetri da
lontano i miei pensieri… Ti sono note tutte le mie
vie… nemmeno le tenebre per te sono oscure…»
(Sal 139). Gesù è la luce che conosce illuminando
di affettuoso calore. Ma come la luce penetra nei
corpi trasparenti e crea ombra in quelli opachi, così
Gesù ci conosce illuminando e separando nella nostra coscienza la luce dalle tenebre. Gesù-luce incontra due persone: il fariseo e la peccatrice; l’effetto però è diverso. Il fariseo è “opaco” perché
ipocrita, e la luce di Gesù fa emergere la sua oscurità; la peccatrice è “trasparente” perché sincera, e
la luce di Gesù la illumina trasformandola.
Essendo luce per tutti e due, Gesù conosce con
amore sia Simone che la donna, è disposto e pronto
a volere il loro bene. Sono queste due persone a
comportarsi in maniera diversa: Simone è pieno di
101
MARIO RUSSOTTO
sé, della propria presunta dignitosa religiosità; è
convinto di aver fatto un piacere a Gesù invitandolo a casa, ma Gesù-luce fa emergere le ombre
della superbia e della vanità, della presunzione e
del disprezzo che Simone ha per gli altri. Pur essendo luce, Gesù incontra la resistenza e la chiusura del cuore! La donna invece piange ai piedi di
Gesù pensando di non valere niente, di non meritare niente perché ha sbagliato. Gesù-Luce la illumina perdonandola e ridonandole dignità. Simone
giudica Gesù e la donna; la donna invece si lascia
giudicare da Gesù e trasformare dalla sua luce. Simone è smascherato come uomo meschino, gretto,
arido, incapace di accogliere bene un ospite. La
donna, la “peccatrice”, rivela invece di avere il
cuore più grande di tutti!
8. Gesù… alla scuola di una donna…
- «Ed ecco una donna… fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a
bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi
capelli e li cospargeva di olio profumato» (Lc
7,37-38).
102
Misericordias Domini
- «Prima della festa di Pasqua, Gesù… si alzò da
tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio,
se lo cinse alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli…»
(Gv 13,1ss.).
Forse sembrerà azzardato l’accostamento di questi due testi dei vangeli: mettere insieme il gesto
di Gesù nell’ultima cena con il gesto di una prostituta può sembrare scandaloso. Ma fra i due racconti ci sono diversi tratti in comune:
• Le due scene sono ambientate in una sala da
pranzo.
• La donna lava i piedi a Gesù, Gesù lava i piedi
ai suoi discepoli.
• Il gesto non avviene, come era usanza, prima
di mettersi a tavola, ma durante il pasto.
• Il gesto disturba: la donna scandalizza Simone
il fariseo, Gesù scandalizza Simon Pietro.
• Il gesto di Gesù è un atto di amore compiuto in
profonda umiltà: «Li amò eis to telos»: è la pienezza dell’amore, un amore traboccante che
raggiungerà il suo vertice nel legno della Croce.
Il gesto della donna è un eccezionale atto di coraggio compiuto per amore: «Molto ha amato».
103
MARIO RUSSOTTO
La donna fa ciò che può e sa fare, ma agisce con
tutta se stessa, in tutta sincerità e al di là di ogni “razionale logica”. Ciò che fa è certamente eccessivo
visto in sé e tocca il limite della convenienza. Se
avesse voluto ottenere qualcosa o semplicemente riabilitarsi, bastava meno: invece lei vuole colmare le
mancanze del fariseo verso Gesù. E agisce al di là
del calcolo! Ha compreso l’al di là di Cristo, per il
quale non si fa mai abbastanza e non ci sono regole
o limiti, perché è la totalità e richiede la totalità!
La donna personifica il dono di sé: chi ama dà ciò
che ha. La donna ha l’unguento, il suo olio profumato, ha la sua capacità di attenzione. E con molta
semplicità ne fa dono a Gesù. E il Cristo le fa dono
della sua stima, della sua attenzione, della sua accoglienza. C’è uno scambio di doni. Il dono è una
dichiarazione di importanza: la donna considera
Gesù più importante di tutte le convenienze; Gesù
considera la donna e la sua dignità più importante
di ogni gratificazione e del “buon nome”, e si
espone senza preoccuparsi del giudizio degli altri.
Io penso che Gesù abbia imparato da questa e da altre donne a vivere il dono come sbilanciamento di
104
Misericordias Domini
sé, a celebrare il servizio come consacrazione d’amore alle persone che si amano. Sì, perché il dono
implica uno sbilanciamento, un rischio! Il dono entra e scava nel mistero della persona. Per questo il
dono perfetto e sublime di Gesù alla donna è il perdono: «Ti sono perdonati i tuoi peccati...» (Lc 7,48).
Perdono è il dono che Gesù fa dalla Croce, nel momento dell’offerta suprema di sé all’umanità. Per
questo la Croce è il segno inequivocabile dell’Amore totalmente gratuito, la rappresentazione inesauribile e insuperabile del perdono.
Il sapersi molto perdonati genera una capacità di
dono. L’amore vero crea scandalo, scuote i destinatari dal loro conformismo. Il gesto di amore di
Gesù e della donna compiuto durante il pasto è un
atto che disturba; è un gesto da schiavi. Un midrash su Es 21,2 recita: «Voi non dovrete mai chiedere al vostro schiavo di lavarvi i piedi, perché
questo è un gesto di umiliazione estrema e non lo
si dovrà mai chiedere a nessuno».
Nel romanzo giudaico Giuseppe e Asenat, composto alla fine del I sec. d.C., la donna, affascinata dal suo uomo, vuole dargli una prova d’amore e gli lava i piedi come segno massimo della
105
MARIO RUSSOTTO
consacrazione al marito, dicendo: «I tuoi piedi
sono i miei piedi. Nessun altro, perciò, potrà lavare i tuoi piedi, li potrò lavare soltanto io, perciò
mi consacro a te lavandoteli». È il gesto della dedizione totale! Il fariseo non può partecipare alla
danza dell’amore perché non ha partecipato alla
danza del perdono!
Per la riflessione e il confronto…
1. La maschera dell’ingiustizia, della devota religiosità, dell’ipocrisia, dell’accusa… quale
volto hanno le maschere che indosso quando
sono con gli altri, in chiesa, in società…? Perché? Di chi o di cosa ho paura? E come posso
fare per ritrovare la mia autenticità?
2. Come vivo la relazione di amicizia? Sono sincero… ipocrita… autentico… ambiguo…? E
come vivo il mio rapporto con le persone dell’altro sesso? Provo timidezza… aggressività…
timore… serenità? Ho la consapevolezza di essere sempre debitore verso gli altri dell’amore
che ho ricevuto in modo gratuito da Dio?
106
Misericordias Domini
3. Mi capita di giudicare gli altri o di lasciarmi andare a mormorazioni esplicite o interiori nei
confronti degli altri? Perché? Come fare per superare questi peccati? Mi sforzo di entrare nel
cuore dell’altro invece di giudicarlo dalle apparenze o secondo i miei pregiudizi?
4. Com’è il mio modo di relazionarmi con gli altri? La mia umanità è equilibrata e serena o riconosco che ci sono alcuni nodi da sciogliere
nelle mie relazioni con gli altri? Nella mia comunità parrocchiale siamo capaci di vivere relazioni autentiche oppure ci lasciamo condizionare dalla logica del possesso o del giudizio
degli altri?
5. Come reagisco all’incontro con la luce di Dio?
Sono “opaco” o “trasparente”? Cosa posso fare
per permettere alla Sua luce di illuminare la mia
vita trasformandola?
107
IV
MISERICORDIA… INCHINO D’AMORE
«Misericordias Domini in æternum cantabo» (Sal
88,2): se sperimentiamo, personalmente e comunitariamente in quanto Chiesa, il «Va’ in pace e
d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11), dal nostro cuore germoglierà il canto al Signore delle misericordie. Le molteplici misericordie, i diversi
volti della Misericordia: tenerezza, amore, compassione, carezza di maternità, passione e abbraccio d’amore…Quell’amore di Dio che è il suo piegarsi amante verso la nostra piccolezza e le nostre
ferite, che è il suo inchino di Creatore dinanzi alle
fragilità di noi sue creature.
Perciò… «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia,
di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza» (Papa Francesco, MV n. 2).
«La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia… e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del
109
MARIO RUSSOTTO
Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice… Appunto perché esiste il peccato nel
mondo, che “Dio ha tanto amato… da dare il suo
Figlio unigenito”, Dio che è amore non può rivelarsi altrimenti se non come misericordia» (San
Giovanni Paolo II, DM n. 13).
1. Avere compassione
Nella quinta beatitudine proclamata nel “discorso
della montagna” Gesù afferma: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt
5,7). È la celebrazione di Dio nel cuore stesso della
miseria umana: miseri-cordia. Miseria di piccoli
uomini che spasimano per un giorno di gloria. Miseria di poveri relegati sempre più nel bunker della
povertà, umana e spirituale soprattutto. Miseria di
corpi martoriati, di cuori feriti, di spiriti alienati.
Miseria dai mille volti. Miseria del peccato. E, tuttavia, miseria che non riesce ad arginare la follia
amante di Dio. Dio Amore esprime se stesso proprio attraverso i delicati tratti della tenerezza, l’altro nome della misericordia, simpatia di Dio in
mezzo alle nostre sopraffazioni, compassione den110
Misericordias Domini
tro alle nostre passioni, pietà dentro le nostre pietose carognate.
«Quanto più la coscienza umana, soccombendo
alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola “misericordia”, quanto
più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha il
diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia “con forti grida”»; è necessario pertanto che «la Chiesa pronunci questa parola, non
soltanto in nome proprio, ma anche in nome di
tutti gli uomini contemporanei» (San Giovanni
Paolo II, DM n.15).
Il termine misericordia, in ebraico rahamîm, deriva da rehem che significa “grembo materno” e
indicherebbe il legame di amore e di tenerezza che
c’è fra Dio e l’umanità da Lui generata. È la passione d’amore che spinge Dio a chinarsi con affetto e tenerezza materna sulle sue creature: «Si
dimentica forse una donna del suo bambino così
da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15).
111
MARIO RUSSOTTO
Nei vangeli, misericordia si esprime in greco con
due verbi: splagghnizomai e eleomai. Il primo
verbo è tipico di Dio e significa “provare-avere viscere di compassione”. Il secondo verbo indica l’atteggiamento proprio degli uomini e significa “usare
compassione”. Racconta Luca: «Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo
vide e ne ebbe compassione... Chi di questi tre ti
sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?... Chi ha avuto compassione di
lui... Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,33-37).
Per comprendere la radicale novità della parabola
è importante tenere presente che nel mondo
ebraico si distingue tra avere compassione e usare
misericordia. Avere compassione (splagghnizomai) è un atteggiamento esclusivo di Dio, con il
quale il Signore restituisce la vita a chi l’ha perduta. Nella Bibbia l’espressione “avere compassione” viene sempre adoperata per indicare l’azione di Dio. Usare misericordia (eleomai), invece, è un sentimento proprio degli uomini. Ora il
testo lucano dice che il Samaritano ebbe compassione, cioè prova e vive lo stesso sentimento di Dio
nei confronti del moribondo.
112
Misericordias Domini
Il Samaritano ha occhi e viscere: ciò che vede lo
colpisce nel corpo, è una specie di shock emotivo, avviene qualcosa fra il corpo ferito e il suo
e, ad un tratto, si approssima all’altro. Egli unisce l’azione all’emozione! La compassione diviene in lui l’atto che unisce il cuore e il corpo,
creando una prossimità da uomo a uomo o, meglio ancora, divenendo segno della prossimità di
Dio all’uomo.
I vangeli ci testimoniano più volte la compassione
di Gesù che, pur osservando la Legge, mette sempre al centro il rispetto dell’uomo… anche a costo
di trasgredire la Legge. E infatti, dinanzi alla supplica di un lebbroso (Mc 1,40-42), al funerale dell’unico figlio di una vedova (Lc 7,12ss.)… Gesù
ha occhi capaci di cogliere i bisogni degli altri, sa
farsi carico della loro situazione, si fa loro “prossimo” e compie il bene di cui hanno necessità: guarisce dalle malattie e risuscita i morti!
Per Gesù il credente non è colui che osserva scrupolosamente la Legge pensando di obbedire a Dio,
ma colui che assomiglia a Dio manifestando una
compassione simile alla sua. La fede nel Signore
113
MARIO RUSSOTTO
non si vede dall’osservanza dei precetti, ma dalla
misericordia. Per questo il Vangelo dichiara che il
Signore non chiederà conto agli uomini delle volte
che sono saliti al tempio a pregare, ma di quante
volte hanno aperto la loro casa al povero e al forestiero. Il Signore non chiederà quanto è stato offerto al tempio, ma quanto è stato donato al bisognoso (cfr. Mt 25,31-46).
Il dottore della Legge aveva chiesto a Gesù chi
era il suo prossimo, ovvero fino a che punto doveva arrivare il suo amore osservando la Legge.
Gesù, a sorpresa, gli ribalta la domanda e, dopo
aver illustrato la parabola, chiede al dottore della
Legge: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il
prossimo di chi si era imbattuto nei briganti?»
(Lc 10,36). Il dottore resta spiazzato… e nella sua
balbettante risposta non riesce ad ammettere che
un uomo possa avere lo stesso sentimento di Dio,
cioè la compassione. Per questo risponde:
«Quello che ha usato misericordia» (Lc 10,37).
Ma Gesù non ha detto che il Samaritano ha usato
misericordia (in greco eleomai), bensì che ha
avuto compassione (in greco splagghnizomai)…
proprio come Dio!
114
Misericordias Domini
2. Il volto della misericordia
La storia di Israele è la meravigliosa saga della misericordia divina. Prima ancora che Israele si costituisse come popolo, Dio dichiara a Mosè: «Ho
osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho
udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso a liberarlo...» (Es 3,7-8). E dopo la liberazione dall’Egitto, Dio si autorivela a Mosè confidandogli: «Il
Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso,
lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà...» (Es 34,
6). Per questo ogni peccatore può rivolgersi a Lui
con fiducia facendo appello proprio a questa sua
infinita tenerezza: «Pietà di me, o Dio, secondo la
tua misericordia; nella tua grande bontà cancella
il mio peccato» (Sal 51,2).
Rivolgendosi a Dio il credente non può non intonare il canto fermo della gioia di Dio, perché «Egli
perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza» (Sal
103,3-5). «Di’ ai peccatori che li attendo sempre,
115
MARIO RUSSOTTO
sto in ascolto del battito del loro cuore per sapere
quando batterà per me» (S. Faustina Kowalaska).
La misericordia è Dio nella sua stessa intimità. È
il Dio cordiale! La misericordia è la sensibilità di
Dio che ci raggiunge nella parte più profonda di
noi stessi, attraverso il cuore di Dio che diventa
cuore di uomo in Cristo, il quale «doveva rendersi
in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo
sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che
riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del
popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla
prova ed avere sofferto personalmente, è in grado
di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova»
(Eb 2,17-18). La misericordia di Cristo è radicata
nella sua propria esperienza di sofferenza e di
prova e si mostra nell’aiuto effettivo agli uomini
che vengono provati: «Accostiamoci dunque con
piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16).
Gesù è il volto della misericordia del Padre, e questa sua carta di identità trova resistenza e opposizione da parte dei farisei, i quali si scandalizzano
116
Misericordias Domini
per il fatto che egli mangia con i pubblicani e i peccatori. Gesù li rimanda al testo di Osea 6,6 affermando: «Andate dunque e imparate che cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio.
Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i
peccatori» (Mt 9,13). Poi, nel suo rimprovero finale, Gesù dice loro: «Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti che...trasgredite la giustizia, la misericordia e la fedeltà...» (Mt 23,23).
Sia i pubblicani che i peccatori sono in una situazione di debolezza e di infermità. Gesù chiede che
non si respinga e condanni questa gente, ma che
si vada incontro ad essa e la si aiuti. E di questo
Lui stesso è il miglior testimone. Si pensi al suo
andare incontro ai lebbrosi, ai ciechi, agli storpi,
alla vedova che piange il suo figlio morto, a Zaccheo, alle peccatrici... Si pensi alla parabola del
“figliol prodigo”, della pecorella smarrita...
3. Cuore… che prende a cuore
Elementi essenziali della misericordia sono la
necessità del prossimo e del farsi prossimo, la
117
MARIO RUSSOTTO
compassione e l’aiuto efficace. Misericordia indica
ilgiustocomportamentodell’uomoneiconfrontidel
suo prossimo che versa in una situazione di necessità e sofferenza e chiede un aiuto che si è in grado
di offrire. Nella Lettera di Giacomo la misericordia
appare come elemento essenziale della vera sapienza e si mostra nelle opere buone: «La sapienza
che viene dall’alto è anzitutto pura; poi pacifica,
mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni
frutti, senza parzialità, senza ipocrisia» (Gc 3,17).
In Mt 18,33 troviamo un forte collegamento fra la
misericordia divina e la misericordia umana. Questo versetto e il suo contesto costituiscono un prezioso commento alla quinta Beatitudine. Dopo
aver risposto a Pietro che è necessario perdonare
settanta volte sette, Gesù fonda e conferma questo
insegnamento raccontando la parabola del servitore spietato: «Non dovevi forse anche tu aver pietà
del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di
te?». La misericordia del padrone consiste nel fatto
che egli, in risposta alla preghiera del servitore, si
impietosisce di lui, gli condona il debito e lo lascia andare in libertà. Gesù fa presente che nella
relazione uomo-creditore e uomo-debitore entra
118
Misericordias Domini
sempre la relazione Dio-creditore e uomo-debitore. La relazione fra gli uomini determina la loro
relazione con Dio. Il perdono ricevuto da Dio diventa definitivo solo dopo che abbiamo concesso
il perdono ai nostri fratelli debitori. Infatti, una dimensione essenziale della misericordia è il perdono dei torti subiti: «Rimetti a noi i nostri debiti,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt
6,12). La misericordia è il riflesso di Dio nel credente: essere misericordiosi ci fa come Dio!
Nelle Beatitudini la “povertà in spirito” indica il
riconoscimento della propria totale dipendenza da
Dio, mentre essere misericordiosi sottolinea la dipendenza del prossimo da noi. Se l’aiuto decisivo
di Dio verso di noi, che siamo deboli e poveri, ci
raggiunge, esso diviene definitivamente efficace
solo quando ci sforziamo di aiutare i nostri fratelli
in necessità. Se la misericordia è la passione di Dio
per l’uomo, la stessa passione d’amore viene richiesta da Dio all’uomo nei confronti del prossimo, chiunque egli sia.
La compassione è la sensibilità di Dio che ci raggiunge nella parte più profonda di noi stessi.
119
MARIO RUSSOTTO
Compassione è cuore che ascolta, vede e prende
a cuore il cuore dell’altro… povero, umiliato,
smarrito, assetato di verità e di senso, affamato di
affetto e accoglienza… La maturità spirituale sta
nel passaggio dal chiedere al donare compassione.
Perciò uno sposo alla sua sposa e una sposa al suo
sposo non deve dire: «Provo compassione», bensì:
“Sono compassione!”.
4. Inchino d’amore
La compassione scende nelle profondità di ogni
piccola cosa, nelle profondità di ogni persona, la
vede e non la giudica ma vi s’inchina. Che cosa
significa inchinarsi o flettersi verso qualcuno essendo compassione? Ecco: c’è una forza che ti
flette di fronte alla realtà dell’altro e della vita che
accade. Se sei compassione devi inchinarti all’altro nell’amore. La compassione non ti chiede il
permesso. Se sei compassione non ci sei tu con le
tue orgogliose ostinazioni, perché la compassione
in te diviene inchino d’amore. La compassione è
il vortice della vita che danza: se sei compassione
il tuo “io” scompare in quel vortice, perché di120
Misericordias Domini
venti amore che si inchina, si flette e si affretta
verso l’altro.
L’inchinarsi affonda le sue radici in ogni attimo
del quotidiano vissuto con consapevolezza: ogni
volta che davvero vedi l’altro con lo sguardo del
cuore, non puoi non essere compassione che si inchina. E quell’inchino non è un gesto che viene da
te: è l’essere e l’agire di Dio che in te splende, perché tu gli spalanchi la porta del cuore senza porre
ostacoli. Infatti, prima del tuo inchinarti all’altro
con compassione, è Dio che si inchina davanti a
te come Mendicante d’amore. E attraverso te e in
te si inchina verso l’altro, verso gli altri…
Nella misericordia come inchino d’amore faccio
esperienza del flettersi di Dio in me, che si fa desiderio e invito al mio flettermi davanti a Lui per
rendermi presente a Lui, che è Presenza in me. La
fede, che si nutre di perdono, è relazione, consonanza d’amore, compassione fra Dio che si inchina a me ed io, con tutta la storia della mia vita,
che mi inchino a Lui e in Lui ad ogni uomo e ogni
donna accolti amati perdonati come parte di me.
È un rapporto cuore a cuore… che si fa preghiera…
121
MARIO RUSSOTTO
Perché la vita diventa preghiera quando si nutre d’amore, quando cioè il “movente”, il fine di ogni palpito della vita è solo l’Amore. La Beata Madre Candida dell’Eucaristia, priora delle Carmelitane di Ragusa,annotava:«HosentitoilcaloredellaSuaanima
avvolgermi, circondarmi in modo quasi sensibile,
avrei voluto inabissarmi in essa, restarvi rinchiusa
per sempre, avvolta in quel dolcissimo calore, tanto
che mi è sembrato di non sentir più la mia carne,
come se non ci fosse più una separazione fra Lui e
me. Il mio cuore e la mia anima immediatamente
perduti in quella luce immensa, la mia anima come
un puntino sperduto nella Sua». E Santa Elisabetta
della Trinità ha scritto: «Amare è uscire da se stessi
per perdersi in Colui che si ama».
E allora… «Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e risorto, nello spirito della sua missione messianica che
continua nella storia dell’umanità, eleviamo la nostravoceesupplichiamoperché,inquestatappadella
storia, si riveli ancora una volta quell’amore che è
nel Padre, e per opera del Figlio e dello Spirito Santo
si dimostri presente nel mondo contemporaneo e più
potente del male: più potente del peccato e della
morte» (San Giovanni Paolo II, DM n. 15).
122
Misericordias Domini
Per la riflessione e il confronto…
1. Cosa posso fare concretamente nella mia vita
per “cantare la Misericordia di Dio”?
2. Cosa vuol dire per me avere compassione? Mi
rendo conto che al centro di essa c’è sempre il
rispetto della persona prima che delle convenzioni?
3. Come mi educo ad allenare lo sguardo del cuore
per essere “misericordioso come Dio”?
4. La mia comunità è accogliente rispetto alle situazioni di debolezza e di infermità? Cosa possiamo fare di più per andare incontro a chi ha
bisogno di compassione e misericordia?
5. Guardando alla mia comunità, parrocchiale e
diocesana, mi sembra che siamo capaci di aprire
le nostre case al povero e al forestiero? O la nostra accoglienza rimane sempre e solo di facciata?
123
CONCLUSIONE
Misericordiosi come il Padre
1. Perdono… fra riconoscimento e gratuità
«Va’ in pace e d’ora in poi non peccare più» (Gv
8,11)… «Molto le è perdonato, perché molto ha
amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama
poco… Ti sono perdonati i tuoi peccati… La tua
fede ti ha salvata; va’ in pace» (Lc 7,47-50).
L’incontro con Gesù provoca una conversione radicale del cuore e della vita… e dona la forza di
rinunciare al peccato per vivere d’amore.
Il riconoscimento del peccato conduce alla gioia
nel perdono, quale esperienza dell’amore gratuito,
l’unico amore che libera davvero. L’esperienza nascosta della colpevolezza, invece, apre oscuri canali nell’esistenza umana sotto forma di tristezza,
paura, disperazione, sensazione dell’assurdità
della vita, nausea di tutto, fastidio, con tutte le
espressioni di violenza contro se stessi e contro gli
altri.
125
MARIO RUSSOTTO
È necessario annunciare la buona notizia del “perdono dei peccati”, che presuppone il riconoscimento e la confessione del proprio peccato. L’atteggiamento farisaico di autogiustificazione e, per
conseguenza, di condanna degli altri, non fa altro
che coprire il male che dall’interno continua a distruggere l’uomo e la donna… perché il “sepolcro
imbiancato” non impedisce la corruzione interiore.
Il peccato si scopre dal perdono e perciò i cristiani
nelCredoproclamano:«Credonelperdonodeipeccati». Dove non c’è perdono non ci può essere confessione del peccato e, quindi, il peccato – germe di
morte – “rimane”. La parola del perdono, invece,
conduce alla gioiosa esperienza della conversione.
La particolarità specifica del cammino di fede per
un cristiano si esprime soprattutto nel saper dare
agli altri il perdono che si è ricevuto e sperimentato. È quanto Gesù stesso ha richiesto energicamente nella parabola del servo spietato (Mt
18,23.35). Chi rifiuta il perdono… o non ha ancora
preso il perdono di Dio come criterio della propria
vita, oppure non ha capito che cosa gli è stato donato. Perdonare vuol dire accettare gli altri così
126
Misericordias Domini
come sono, senza aspettare di vederli diventare
come dovrebbero essere e senza di pretendere che
siano come noi li vorremmo. Il perdono precede,
nel tempo e nell’intenzione, il cambiamento degli
altri… Perché il perdono è gratuito: si dona e si
riceve incondizionatamente, non si negozia né si
commercializza.
È necessario urgente doveroso, allora, uscire dal
cuore duro (sklerocardia), irrigidito nelle proprie
idee e nei propri desideri, per trasformarsi in un
cuore aperto e pronto ad accogliere Gesù, la sua
persona, il suo amore e il suo cammino. Gesù inizia il suo ministero di evangelizzazione ammonendo: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è
vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc
1,15). Gesù non invita solo ad un atto unico o ad
un fare transitorio, ma ad un comportamento costante e attivo. La conversione è un cammino mai
esaurito, una dimensione costante nell’itinerario di
fede. Il giorno di Pentecoste Pietro, a nome di tutto
il collegio apostolico, annuncia il Vangelo di Cristo Gesù, crocifisso e risorto: «All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare,
127
MARIO RUSSOTTO
fratelli?”. E Pietro disse: “Convertitevi e ciascuno
di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo,
per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo”» (At 2,37-38).
La conversione-riconciliazione riguarda tutti. Noi
spesso preghiamo, giustamente, per la conversione
dei peccatori, ritenendo che essa riguarda gli altri
e non noi. Nella Bibbia non si ha paura di dire che
tutti abbiamo bisogno di conversione, non si pone
il velo sulla fragilità umana, anzi la si mette in evidenza perché risplenda la gratuita iniziativa di Dio.
La conversione, quale cambiamento di mentalità
e del cuore, è un processo interiore che deve attraversare continuamente la nostra vita. Isacco il
Siro scriveva: «Colui che conosce i propri peccati
è più grande di colui che risuscita i morti e colui
che conosce la conversione e il pianto è più grande
di colui che è lodato nella Chiesa».
2. Conversione e Riconciliazione
La conversione non si identifica con un atto sacramentale, non è un episodio o un momento unico
128
Misericordias Domini
nella vita del cristiano, ma è una volontà interiore
e permanente dell’intera esistenza. E poiché
l’uomo può fallire e venir meno al suo impegno,
ha sempre bisogno di tornare a Colui che lo chiama
a piena realizzazione nell’amore e nella fedeltà.
La conversione non consiste nel solo sforzo
umano, nella libera determinazione del peccatore.
È anzitutto grazia e dono di Dio. In questo cammino di conversione il peccatore non è solo, ma
ha il sostegno e la preghiera costante della Chiesa.
Il sacramento della Riconciliazione è punto di arrivo del cammino di ritorno all’amicizia con Dio
e con i fratelli e, insieme, punto di partenza del rinnovato impegno di cristiana ecclesiale esistenza.
Proprio per questo ho voluto impostare e vivere
con tutti voi la mia seconda Visita Pastorale puntando solo sul sacramento della Riconciliazione. E
ho visto già tanti frutti nei primi otto paesi…
Il sacramento della Riconciliazione è un atto di
perdono e di pace, come recita la preghiera del Sacerdote prima dell’assoluzione. Riconciliazione
sottolinea che questo sacramento ricostituisce la
pace tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e i suoi fratelli
129
MARIO RUSSOTTO
nella Chiesa. Si chiama anche Confessione, in
quanto una delle sue caratteristiche è l’autoaccusa
delle colpe fatta al Sacerdote. Si chiama anche Penitenza, per indicare l’aspetto di purificazione e di
fatica, in quanto è parte di un processo di conversione e di riabilitazione. I tre nomi mostrano quindi
la vastità delle risonanze di tale sacramento nell’esistenza umana.
Il sacramento della Riconciliazione è legato a temi
umani ed esistenziali molto profondi: quello dell’offesa e del perdono, quello della trasgressione e
della riabilitazione, quello della disperazione e
della speranza, quello dell’angoscia e della pace
interiore. Esso tocca davvero le radici di ogni esistenza segnata quotidianamente da fragilità, trasgressioni, offese, tristezze, divisioni; di ogni esistenza bisognosa di fiducia, incoraggiamento, sostegno, pace, perdono… riconciliazione.
3. La verità nell’oscurità
Il peccato è la condizione dell’uomo che dovrebbe
avere una meta e un obiettivo da raggiungere e in130
Misericordias Domini
vece si perde per strada, fallisce la sua vocazione.
Davide riconosce questo peccato con sincerità:
«Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta
sempre dinanzi» (Sal 51,5). E quel suo riconosco
non vuole dire semplicemente che egli sa di essere
peccatore, bensì che sperimenta tutto il dolore,
l’avvilimento e la vergogna del suo peccato. È una
conoscenza per esperienza, che suscita dolore nell’uomo e crea una ferita in Dio: «Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi
occhi, io l’ho fatto» (Sal 51,6). Il peccato è contro
l’uomo, è offesa e distruzione del tessuto sociale,
è umiliazione della persona e della comunione
nella Chiesa.
Nel momento in cui io riconosco la mia colpa
proclamo nello stesso tempo la giustizia di Dio:
«perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio» (Sal 51,6). «Dio non è giudice: è parte
lesa. Egli, che è il principio di ogni fedeltà e di
ogni amore, è stato leso mortalmente da Davide,
è stato violentato nei suoi diritti. Per questo rimprovera Davide e questi accetta il rimprovero sapendo che il giudizio divino è giusto ed è quindi
anche un giudizio di perdono. Dio, come parte
131
MARIO RUSSOTTO
offesa, redarguisce Davide perché vuole la sua vita
e non la sua morte: se (Davide) ha tentato di uccidere Dio, Dio lo vuole salvare» (C.M. Martini). È
propriamente a questo punto che scatta il pentimento e il dolore: l’uomo si trova davanti a Colui
che ha offeso, di cui ha respinto la fiducia ma che
nuovamente gli offre fiducia.
Quando noi riconosciamo il nostro peccato, proclamiamo che Dio è giusto, che se qualche cosa
non ha funzionato è per colpa nostra. Se il mondo
non è così bello come dovrebbe, se la Chiesa non
è così santa come dovrebbe, non posso dare la
colpa a Dio. La colpa la debbo assumere e portare io, «perché tu sei giusto quando parli», cioè
non sei venuto meno alla fedeltà. L’infedeltà è
mia. Ma la piena identità di Dio si svela nel perdono dei peccati. Dio non è mai così Dio come
quando perdona!
Solo dinanzi ad un simile Dio, posso riconoscere
la mia ribellione e i miei smarrimenti con sincerità, perché Dio ama la verità anche nell’oscurità.
Sì, Dio ama la verità, che è luce anche là dove io
mi sento smarrito nei meandri della mia coscienza
132
Misericordias Domini
e lì, nel segreto del mio cuore, Lui mi insegna l’arte
di ricostruire la mia vita in Lui che è Amore, perché la vita di Dio sia il respiro del mio cuore…
4. Il pellegrinaggio… di misericordia
«Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno
Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata… Anche per raggiungere la Porta Santa a
Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio.
Essa sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede
impegno e sacrificio» (Papa Francesco, MV n. 14).
Il pellegrinaggio rivela in modo efficace il carattere finito e precario dell’esistenza umana. L’uomo
è per essenza “pellegrino e itinerante”, quasi in esilio nella storia, provocato ad un costante e progressivo esodo da sé, costretto alla fatica di un
drammatico “divenire”, per poter in qualche modo
133
MARIO RUSSOTTO
“essere”. Egli è un viandante assetato di nuovi orizzonti, affamato di pace e di giustizia, indagatore di
verità, desideroso di amore, aperto all’Assoluto e
all’Infinito.
La fede cristiana insegna che la vita dell’uomo non
è solo un cammino di ricerca della felicità, della
perfezione, ma è un cammino verso la casa del Padre, verso il possesso di quella vita piena, di cui
ora egli ha solo un anticipo, una caparra. Il pellegrinaggio esprime questa tensione dell’uomo
verso nuovi orizzonti e soprattutto l’anelito di
quella meta che supera le coordinate spazio-temporali quotidiane.
L’uomo non è un singolo destinato a vivere solo
con se stesso, ma trova la sua realizzazione nella
comunione con gli altri e perciò nella comunità:
per questo egli ha bisogno della comunicazione
più del pane. E il vertice di tale comunione-comunità sta nell’unità di tutti gli uomini in Cristo,
così da formare un unico corpo in Lui. Pertanto,
ogni singolo uomo è aperto e in cammino non soltanto verso l’Altro per eccellenza, che è Dio, ma
tende costitutivamente anche verso tutti gli altri e
134
Misericordias Domini
trova riposo solo quando, senza annullare se stesso,
diventa uno in Dio con tutti. Egli è per natura un
pellegrino che cerca la solidarietà dei fratelli, in
cammino verso una casa comune, nella quale trovare ospitalità piena e godere di una familiarità
universale. Il pellegrinaggio anticipa in parte la
realizzazione di questo “sogno”: è espressione di
questa comunità in viaggio, di queste persone che
si stringono per camminare insieme.
Gesù ha trascinato i suoi in un pellegrinaggio infinito: non più come passaggio (esodo) da una regione geografica a un’altra, da una terra di schiavitù a una “terra promessa” di libertà ancora storica, bensì come “fuori-uscita” da tutta la storia e
da tutta la geografia, come esodo verso il Padre e
ingresso nella vita della Trinità.
San Paolo ci ricorda che «finché abitiamo nel
corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2Cor
5,6-7). Per questo la Chiesa si sente pellegrina e
forestiera nel mondo ed è proiettata verso la “città
futura”. Percependo se stessa come pellegrina, la
Chiesa vede nel pellegrinaggio un simbolo della
135
MARIO RUSSOTTO
sua condizione attuale, uno stimolo a vivere in
modo autentico l’attesa, per essere sempre pronta
alla «rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19). Tuttavia Gesù ha chiesto ai suoi discepoli di non “evadere” dal mondo, ma di predisporsi alla discesa
dello Spirito Santo, per poi disperdersi sulla terra
e nella storia e trasfigurare il pellegrinaggio dell’umanità in modo radicale e assoluto, per fare di
esso il cammino di tutti gli uomini verso la Casa
comune, verso il Padre che è nei cieli.
Come lo Spirito promuove e sviluppa nella
Chiesa quel perenne “uscire da sé” per aprirla al
mondo, facendo di essa una Chiesa pellegrina,
così il pellegrinaggio di Dio verso di noi ci coinvolge portandoci ad un estremo, radicale e pieno
esodo da noi stessi (ecco il segreto dell’Amore!),
per restituirci a Dio e rientrare in Lui. Il Figlio fa
esodo dal Padre senza di noi ma per noi; e intende ritornare al Padre con noi. Il pellegrinaggio germoglia da qui: dall’amore, dalla disponibilità a vivere la vita come dono per gli altri, a
vivere la pro-esistenza, ad uscire dall’io per donarsi agli altri. La carità è la forma più vera di
pellegrinaggio!
136
Misericordias Domini
Il pellegrinaggio, espressione esterna e simbolica
della nostra identità di persone limitate in cammino verso Dio e verso gli altri, aperte al dono di
sé e all’incontro con l’altro, acquista il suo pieno
significato quando diventa occasione per crescere
in responsabilità e per farci carico della vita nostra
e altrui.
Ciascuno di noi ha un grande tesoro tra le mani:
la vita! Non l’abbiamo comprata, né costruita! Ci
è stata comunicata: attraverso i genitori come
dono. Oggi ne siamo i primi responsabili. Gestire
la vita è il primo e fondamentale compito di ogni
essere umano. La vita ci precede e ci chiede di esserne i protagonisti! Nella vita si sviluppa un duplice percorso: uno cronologico, che si misura con
il tempo che passa; e uno esistenziale, che dipende
dalla coscienza che ciascuno ha del proprio destino
e delle proprie responsabilità. Nella nostra esistenza umana possiamo distinguere la vita, come
dato fisico-temporale, dalla vitalità, come consapevolezza e responsabilità di ciò che si sta vivendo.
Questo ci permette di cogliere il vero senso del
pellegrinaggio: esso ha sì una meta geografica e
137
MARIO RUSSOTTO
un tempo prefissato, ma il suo vero obiettivo è
quello di farci camminare verso la comprensione
più profonda della vita e del progetto di Dio su di
essa. Il pellegrinaggio è sempre legato alla ricerca
di senso e della verità, al desiderio di beni spirituali, al bisogno di cambiamento e di conversione.
5. Misericordiosi come il Padre
«Misericordiosi come il Padre è il “motto” dell’Anno Santo» (Papa Francesco, MV n. 14). Perché molto amore molto perdono! E il perdono non
solo risana il passato ma, soprattutto, riapre il futuro, riaccende luci di speranza nel cammino di
ogni persona e in quello delle famiglie e dei giovani, riapre vie inedite di comunione nel cammino
della Chiesa…
Rivolgiamo, in modo speciale in questo particolare Anno Santo, lo sguardo del nostro cuore a
Maria Madre della tenerezza, «perché non si
stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto
della misericordia, suo Figlio Gesù» (Papa Fran138
Misericordias Domini
cesco, MV n. 24). Così da sentir risuonare nel nostro cuore le parole del Signore: «Va’ in pace e
d’ora in poi non peccare più… Ti sono perdonati
i tuoi peccati»… E tutti insieme ad una voce poter esaltare il suo eterno infinito misericordioso
amore per noi: «Misericordias Domini in æternum cantabo» (Sal 88,2).
A tutti e a ciascuno di voi, ai quali ancora una volta
dichiaro nel Signore il dono della mia vita e tutto
l’amore che Lui riversa nel mio cuore, giunga la
benedizione di Dio Trinità d’Amore e di Misericordia.
Vostro aff.mo
✠ Mario Russotto
Vescovo
139
INDICE
7
19 I.
INTRODUZIONE
Con le Chiese nella Chiesa
LA DONNA
NEL MANTELLO DI MISERICORDIA
49 II. VA’ E NON PECCARE PIÙ
73 III. MOLTO AMORE MOLTO PERDONO
109 IV. MISERICORDIA… INCHINO D’AMORE
125
CONCLUSIONE
Misericordiosi come il Padre
141
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI SETTEMBRE 2015
CALTANISSETTA
DALLA TIPOLITOGRAFIA PARUZZO DI
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