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gli effetti del fallimento
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO FALLIMENTARE
LEZIONE IV
“GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO”
PROF. SIMONE LABONIA
Diritto Fallimentare
Lezione IV
Indice
1 Gli effetti del fallimento --------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Gli effetti del fallimento nei confronti del fallito --------------------------------------------------- 4 2.1 Inefficacia degli atti ------------------------------------------------------------------------------------ 5 2.2 Formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento -------------------------------------------- 6 3 Beni sottratti alla procedura fallimentare ----------------------------------------------------------- 7 3.1. Effetti di natura personale -------------------------------------------------------------------------- 7 3.2. Il pubblico registro dei falliti ----------------------------------------------------------------------- 9 3.3. Effetti di natura processuale ---------------------------------------------------------------------- 10 3.4. Effetti del fallimento nei confronti dei creditori ----------------------------------------------- 11 3.5. Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali --------------------------------------------- 12 3.6. Sequestri -------------------------------------------------------------------------------------------- 13 3.7. Fallimento di società esecutata ------------------------------------------------------------------- 14 3.8. Il concorso dei creditori --------------------------------------------------------------------------- 14 3.9. I crediti privilegiati -------------------------------------------------------------------------------- 15 3.10. Il regime degli interessi --------------------------------------------------------------------------- 15 3.11. Effetti del fallimento sui debiti pecuniari ------------------------------------------------------- 16 3.12. Crediti condizionali (art. 1353 coc. Civ.) ------------------------------------------------------- 16 3.13. La compensazione --------------------------------------------------------------------------------- 16 3.14. I crediti infruttiferi --------------------------------------------------------------------------------- 17 3.15. I crediti derivanti da obbligazioni e da altri titoli di debito ----------------------------------- 17 3.16. I crediti per rendite--------------------------------------------------------------------------------- 17 3.17. Fallimento di uno o più debitori coobbligati --------------------------------------------------- 17 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Gli effetti del fallimento
La sentenza dichiarativa di fallimento produce effetti di varia natura che vanno ad incidere
nella sfera giuridica del fallito, dei creditori e dei terzi.
Con la riforma del 2006 si è statuito che la sentenza produce i suoi effetti dalla data del
deposito in cancelleria ma è stato, altresì, apposto un limite a tutela dei terzi in buona fede,
stabilendo che gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data della iscrizione della sentenza
nel registro delle imprese.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2 Gli effetti del fallimento nei confronti del fallito
La dichiarazione di fallimento, nella prospettiva della liquidazione concorsuale, secondo
quanto disposto dall’art. 42 L.F., priva il fallito (imprenditore individuale o società),
dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, esistenti alla data della dichiarazione stessa,
trasferendoli all’amministrazione della curatela fallimentare (art. 31 L.F.), tenuta alla gestione del
patrimonio ai fini del soddisfacimento dei creditori.
La perdita del potere di disposizione è correlata alla destinazione del patrimonio del debitore
al soddisfacimento dei creditori concorsuali ed attiene al profilo espropriativi dell’esecuzione
fallimentare.
A differenza di quanto avviene nell’esecuzione individuale, nella quale l’indisponibilità dei
beni e diritti del debitore consegue all’attuazione di formalità necessarie al perfezionamento del
pignoramento sui singoli beni e diritti, l’indisponibilità fallimentare costituisce effetto automatico
della dichiarazione di fallimento.
In questa prospettiva occorre premettere che il fallito non può compiere atti che possano
diminuire il suo patrimonio in danno ai creditori e subisce una serie di limitazioni personali e
processuali.
Il fallito non è privato della capacità d’agire, ma perde la possibilità di utilizzare
concretamente i suoi beni (cd. spossessamento), si traduce, dunque, nella destinazione della totalità
dei beni a soddisfare i creditori.
Lo spossessamento avviene di diritto alla data della dichiarazione del fallimento, riferita al
deposito in cancelleria della relativa sentenza, ed ha ad oggetto i beni di qualsiasi natura, sia quelli
materiali (mobili ed immobili), sia quelli suscettibili di utilizzazione o trasformazione economica,
compresi i beni immateriali.
Non occorre che si tratti di beni di cui il fallito è titolare, poiché cadono nel fallimento tutti i
beni di cui il fallito ha la disponibilità materiale o giuridica alla data della sentenza dichiarativa di
fallimento: i terzi pregiudicati dallo spossessamento potranno far valere i propri diritti sui beni
attraverso le domande di rivendicazione e di restituzione in sede di verifica della stato passivo (artt.
93 ss. E 103 L.F.).
I beni coinvolti nello spossessamento sono i beni mobili ed immobili, i diritti, i crediti, le
azioni di impugnativa e risoluzione, la facoltà di acquistare beni o diritti (ad esempio accettazione di
eredità, legati e donazioni), nonché le azioni di danno ex artt. 2393 2394 c.c.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Vengono acquisiti al fallimento anche i beni che pervengono al fallito a qualsiasi titolo
durante il fallimento (art. 42, 2° co., L.F.), al netto delle spese sostenute per l’acquisto e la
conservazione dei beni medesimi.
Lo spossessamento non comporta la perdita, da parte del fallito, della titolarità dei propri
beni, ma consiste, più semplicemente, nella destinazione del suo patrimonio al soddisfacimento dei
suoi creditori.
2.1 Inefficacia degli atti
In tale ottica è opportuno premettere che lo spossessamento implica l’inefficacia degli atti
compiuti dallo stesso (art. 44 L.F.) e delle formalità eseguite dopo il fallimento per rendere
opponibili ai terzi gli atti anteriori (art. 45).
Ai sensi dell’art. 44 L.F., tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti dallo stesso eseguiti
dopo la dichiarazione di fallimento, come naturale conseguenza della previsione di cui all’art. 42
L.F., sono inefficaci, nei confronti dei creditori.
Sono, ugualmente, inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di
fallimento.
L’inefficacia di tali atti, che è operativa ex lege a far data dalla pubblicazione della sentenza
dichiarativa di fallimento ed è imprescrittibile, ha carattere relativo ed opera a prescindere dalla
revoca del negozio cui l’atto inefficacia di riferisce, dall’idoneità di tale atto ad arrecare pregiudizio
ai creditori e dalla conoscenza da parte del contraente dello stato del fallito.
Tale inefficacia è, infatti, una diretta conseguenza della impossibilità, per il fallito, di
disporre, in costanza di fallimento, del proprio patrimonio e, pertanto,.
L’art. 44 L.F. ha finalità di conservazione dell’attivo fallimentare e di tutela della par
conditio creditorum, riguardando solo quei beni che si trovano nel patrimonio del fallito, prima
della dichiarazione di fallimento, o vi giungono per effetto della gestione del patrimonio
fallimentare.
Qualora il fallito, dopo la data di apertura della procedura fallimentare intraprenda una
nuova attività, la curatela può appropriarsi solo degli utili dell’attività imprenditoriale svolta dal
fallito.
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2.2 Formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento
Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiuti dopo la
dichiarazione di fallimento, sono prive di effetti rispetto ai creditori, e tanto al fine di tutelare il
fallimento da manovre fraudolente poste in essere dal fallito e dai terzi.
La sentenza dichiarativa di fallimento anche se non trascritta, rende inopponibile ogni atto
trascritto successivamente alla sua data.
In particolare:
• il terzo che rivendichi la proprietà o altro diritto reale sui beni compresi
nell'attivo fallimentare deve dimostrare, con atto di data certa anteriore alla
dichiarazione di fallimento di aver acquistato in passato la proprietà del bene
e altresì che il bene stesso non era di proprietà del debitore per essere stato a
lui affidato per un titolo diverso dalla proprietà o altro diritto reale.
• ove deduca inopponibilità alla massa, ai sensi art. 45 L.F. dell'atto di vendita
stipulato dal fallito, il curatore agisce nella veste di terzo, in sostituzione dei
creditori al fine della ricostruzione del patrimonio originario del fallito, egli è
legittimato a proporre opposizione ordinaria di terzo, avverso il lodo arbitrale
pronunciato nella controversia tra l'acquirente ed il fallito nascente dal
contratto medesimo, potendo accampare un proprio diritto autonomo.
• la compravendita di un bene immobile che quantunque anteriore
all'assoggettamento del venditore a fallimento risulti trascritta solo
successivamente non è opponibile, giusta disposto art 2914 c.c. alla massa
concorsuale, nei cui confronti resta inefficace anche il contratto con il quale il
compratore abbia concesso il bene in locazione.
• art. 2914 c.c. alienazione anteriori il pignoramento non hanno effetto in
pregiudizio al creditore pignorante e dei creditori sebbene anteriori al
pignoramento le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in
pubblici registri che siano state iscritte successivamente al pignoramento.
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3 Beni sottratti alla procedura fallimentare
Alcuni beni sfuggono per legge allo spossessamento rimanendo nel godimento e nella libera
disponibilità del fallito.
Il legislatore fallimentare ha precisato quali beni siano sottratti allo spossessamento del
fallito nell’art. 46 L.F.
La norma, modificata soltanto nella previsione originaria del non più esistente istituto dei
beni dotali e nell’inserimento dell’istituto attuale del fondo patrimoniale, non possono essere
acquisiti al fallimento:
1.
i beni ed i diritti di natura strettamente personale;
2.
gli assegni aventi carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari e tutto
ciò che il fallito guadagna con la propria attività, entro i limiti di quanto occorre per
il mantenimento proprio e della famiglia; tali limiti vengono fissati dal giudice
delegato tenendo conto, secondo la norma novellata, della condizione personale del
fallito e di quella della sua famiglia;
3.
la disposizione contempla anche il caso, se efficace e opponibile al
fallimento perché non revocabile, del fondo patrimoniale, i frutti che si producono
dal medesimo o dall’usufrutto legale sui beni dei figli minori, salvo quanto disposto
dall’art. 170 c.c.;
4.
le cose impignorabili per disposizione di legge (art. 514 c.p.c.: ad
esempio cose sacre, anelli nuziali, biancheria, utensili casa).
Se al fallito vengano a mancare i mezzi di sussistenza il giudice delegato, sentiti il curatore e
il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per se stesso e la propria
famiglia (art. 47 L.F.).
3.1.
Effetti di natura personale
Il diritto concorsuale che emerge dalla legge del 1942 era fortemente ispirato ad una
impostazione sanzionatoria verso l’imprenditore fallito. I riflessi più evidenti si traducevano negli
effetti personali del fallimento che riducevano, sino a negarle, alcune delle libertà fondamentali del
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cittadino, oggi garantite al più alto livello delle fonti, per cui la normativa inserita nell’ordinamento
repubblicano ha suscitato qualche fondato dubbio di tenuta costituzionale.
Occorre denotare che la riforma, pertanto, ha notevolmente limitato gli effetti personali del
fallimento, cercando di restringerne le conseguenze ai soli aspetti riguardanti la procedura, al fine di
evitare l’eccessiva compressione di diritti costituzionalmente garantiti e con l’intento di superare
quella visione del fallimento come di un marchio infamante per l’imprenditore.
La disciplina risultante dalla riforma ha fortemente attenuato questo regime repressivo.
In particolare, la sentenza dichiarativa di fallimento incide, innanzitutto, su due diritti civili
dell’imprenditore, costituzionalmente garantiti: il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza
e il diritto di locomozione e soggiorno.
In primo luogo, per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento, il fallito continua a
ricevere la corrispondenza a lui indirizzata, con l’obbligo di consegnare al curatore tutta la
corrispondenza, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento (art. 48
L.F.).
Nel caso di mancato ottemperamento dell’obbligo di consegna della corrispondenza al
curatore, il fallito decade dal beneficio dell’esdebitazione, di cui parleremo in seguito.
Secondo la disciplina ante-riforma, invece, tutta la corrispondenza indirizzata al fallito
veniva recapitata direttamente al curatore, il fallito aveva il diritto di trattenere solo quella
strettamente personale e il diritto di prendere visione della corrispondenza trattenuta dal curatore.
Analogamente il diritto di circolazione e soggiorno, prima limitato dall’obbligo di residenza,
è ora maggiormente tutelato con la previsione del mero obbligo per il fallito, di comunicare al
curatore ogni variazioni della residenza o del proprio domicilio.
In caso di mancato adempimento, è prevista una sanzione penale (art. 220 L.F.).
Inoltre, l’imprenditore fallito ha l’obbligo di presentarsi personalmente a questi, al curatore
o al comitato dei creditori, ogni qualvolta fosse convocato, salvo che, per legittimo impedimento,
non fosse stato autorizzato dal giudice delegato a comparire tramite mandatario; nell’ipotesi di
inottemperanza all’ordine di convocazione il giudice poteva disporre l’accompagnamento del fallito
a mezzo forza pubblica.
La disciplina precedente alla riforma prevedeva che il fallito non potesse allontanarsi dalla
sua residenza senza il permesso del giudice delegato, e che dovesse presentarsi agli organi del
fallimento ogni qualvolta fosse chiamato, sotto pena di accompagnamento a mezzo della forza
pubblica.
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Nel caso di fallimento di società, gli effetti personali del fallimento investono gli
amministratore e i liquidatori della società fallita, come accade per l’obbligo di consegna della
corrispondenza sociale relativa a rapporti compresi nel fallimento, nonché per l’obbligo di
comunicare al curatore i cambi di residenza e domicilio; quanto alle incapacità che colpiscono la
persona fisica, invece, le stesse si estendono ad amministratori e liquidatori, per cui troveranno
applicazione solo incapacità riguardanti direttamente la società, quale, ad esempio, l’esclusione
degli appalti per le opere pubbliche.
Le predette limitazioni perdurano fino alla chiusura del fallimento.
Le modifiche in tema di effetti personali della dichiarazione di fallimento, introdotte dal
D.lgs. n. 5/2006, per espressa disposizione del decreto stesso sono entrate in vigore il 16 gennaio
2006, giorno della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale.
3.2.
Il pubblico registro dei falliti
Nell’ottica di eliminare le sanzioni personali conseguenti al fallimento e, soprattutto, in
coerenza con le novità rappresentate dall’abrogazione dell’istituto della riabilitazione e
l’introduzione della procedura dell’esdebitazione (artt. 142 ss. L.F.), è stato abrogato, sempre dal 16
gennaio 2006, l’art. 50 L.F., che disciplinava il pubblico registro dei falliti, istituito presso ciascun
Tribunale, nel quale dovevano essere iscritti coloro che venivano dichiarati falliti dallo stesso
Tribunale, quelli dichiarati falliti altrove ma il cui luogo di nascita si trovava sotto la giurisdizione
di quel Tribunale.
Con l’iscrizione del fallito nel pubblico registro dei falliti lo stesso veniva assoggettato ad
una serie di incapacità disposte da singole leggi speciali, tra le quali, ad esempio, la perdita
dell’elettorato attivo e passivo fino alla chiusura del fallimento, ma non oltre 5 anni dalla data di
dichiarazione di fallimento, la perdita della capacità ad esercitare alcune professioni (avvocato,
titolare di farmacia, geometra) con cancellazione dei relativi albi professionali, la perdita della
capacità di assumere determinati uffici (tutore, curatore, giudice popolare, esattore delle imposte,
amministratore o liquidatore di società per azioni), l’impossibilità di frequentare sale di borsa per
negoziare titoli o merci.
Permangono, tuttavia, alcune di situazioni di incapacità che il codice civile e le leggi
speciale ricollegavano alla figura del fallito.
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Infatti, accanto alle limitazioni di natura personale sopra evidenziate, a carico del fallito si
producono effetti (negativi) ulteriori quali l’impossibilità di iscrizione in un albo professionale ( o la
cancellazione dall’albo in caso di fallimento in corso di iscrizione), l’impossibilità di partecipare
alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi,
l’impossibilità di svolgere l’incarico di tutore, amministratore, liquidatore o sindaco di società di
capitali etc. E’ venuta meno, invece, l’incapacità di esercitare l’elettorato attivo e passivo.
Con l’entrata in vigore della riforma della legge fallimentare, il venir meno dell’istituto della
riabilitazione comporta per tutti gli iscritti nel registro dei falliti la riabilitazione ex lege, con la
conseguenza che la nuova legge fallimentare trova immediata applicazione e che, pertanto,
dovranno essere cancellati dal registro tutti i nominativi che vi sono attualmente iscritti, non
essendovi alcuna ragione per ritenere che ogni ex fallito presenti la propria istanza di riabilitazione.
In ogni caso, restano a carico del fallito, finché dura il relativo status, alcune incapacità
specificamente previste da singole norme (come l’ufficio di tutore e protutore, quello di curatore
dell’emancipato e dell’inabilitato, quello di amministratore, di liquidatore, sindaco o revisore di
società, o di rappresentante comune degli obbligazionisti, o le funzioni di arbitro, la professione di
avvocato, di ragioniere, o dottore commercialista, ingegnere, mediatore, farmacista, o le funzioni
giudiziarie e notarili, o l’esclusione di diritto del fallito quale socio di società personali e
cooperative) e ciò a prescindere dalla riabilitazione e finché rimane aperta la procedura di
fallimento.
3.3.
Effetti di natura processuale
Con la dichiarazione di fallimento il fallito perde la legittimazione processuale sia attiva che
passiva, per cui, a norma dell’art. 43 L.F., nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di
diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, sta in giudizio il curatore, sia come attore
che come convenuto.
E’ il curatore, pertanto, che sostituisce il fallito nei giudizi ed ha, conseguentemente, anche
la possibilità di spiegare intervento, sia volontario che coatto, nel giudizio.
Il fallito può intervenire solo per le questioni dalle quali può dipendere una imputazione di
bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge.
Il fallito perde, dunque, la capacità di agire o di continuare le azioni aventi contenuto
patrimoniale.
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Con la chiusura del fallimento il curatore perde la legittimazione processuale.
La riforma, nell’ottica di accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia
fallimentare, ha previsto che l’apertura del fallimento determini di diritto l’interruzione del processo
a quella data pendente, proprio a seguito della perdita della legittimazione processuale della parte
fallita, risolvendo i contrasti dottrinali e giurisprudenziali sorti nell’incertezza della vecchia
formulazione della norma che non prevedeva l’interruzione automatica del processo per cui
accadeva che l’interruzione del processo avvenisse a distanza di tempo dalla data di fallimento,
allorquando le parti ne davano formalmente notizia al giudice.
La riforma ha poi introdotto ex novo l’art.83 bis l.F. in materia di clausola arbitrale, a norma
del quale il procedimento arbitrale pendente alla data del fallimento non può proseguire allorquando
il contratto contenente la clausola arbitrale viene sciolto secondo le disposizioni della sezione V, e
tanto al fine di evitare che il giudizio arbitrale sopravviva al regolamento degli interessi
convenzionali travolto dal fallimento e che era destinato a risolvere.
Un residua legittimazione del fallito di iniziare o proseguire le azioni tuttavia rimane nelle
cause personali, nelle azioni dirette a rivendicare o contestare una condizione personale, quelle di
riconoscimento o disconoscimento della prole; le azioni strettamente connesse alla procedura
fallimentare per le quali la legge gli riconosce la legittimazione.
3.4.
Effetti del fallimento nei confronti dei creditori
La sentenza dichiarativa di fallimento produce effetti di varia natura nella sfera giuridica dei
creditori, tuttavia, l’effetto fondamentale che consegue alla sentenza dichiarativa di fallimento è il
conferimento ad essi del diritto di partecipare alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione del
patrimonio del fallito, sulla base dell’importo del credito al momento della dichiarazione di
fallimento.
In particolare, il sistema concorsuale proprio della procedura fallimentare è informato, oltre
che sul principio della universalità oggettiva, derivante dall'art. 42 L.F, ossia privazione integrale
del debitore dalla disponibilità del suo patrimonio, anche sul principio della universalità soggettiva
derivante art. 51 e 52, soggezione dei suoi creditori alle norme specifiche sulla formazione dello
stato passivo e l'esclusione della possibilità di azioni autonome sui beni del fallito o della
possibilità di proseguire o iniziare azioni volte alla conservazione del patrimonio del fallito.
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In altri termini, poiché il fallimento intende realizzare il principio di parità di trattamento dei
creditori (par conditio creditorum), i quali hanno tutti eguale diritto di soddisfarsi sui beni del
fallito, salve le cause legittime di prelazione (art 2741 c.c.) le regole applicabili sono, in linea
generale, quelle del divieto di azioni esecutive individuali da parte dei singoli creditori (art. 51 L.F.)
e di inammissibilità di eccezioni al principio di parità di trattamento dei creditori, salve quelle
espressamente previste dalla legge.
3.5.
Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali
Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna
azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere
iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
Ciò ai sensi dell’art. 51 L.F. che, nella sua nuova formulazione, contiene, ora un espresso
riferimento ai crediti in prededuzione ed a quelli maturati durante il fallimento in relazione al
divieto di azioni esecutive individuali o cautelari nel corso della procedura fallimentare.
Tale norma persegue l'evidente finalità di garantire la par condicio creditorum nel
soddisfacimento delle loro pretese sul patrimonio del debitore.
Si tratta di una norma funzionale alla tutela dell'interesse della collettività dei creditori ad
escludere che un bene compreso nel fallimento sia sottratto alla disciplina concorsuale
Ai fini del divieto di azioni esecutive individuali di cui all'art. 51 la procedura esecutiva
deve ritenersi in corso fino a che non sia avvenuta la distribuzione e unico soggetto legittimato a far
valere l'inefficacia delle esecuzioni individuali è il curatore.
Quanto all'ambito oggettivo di applicazione, rientrano nel divieto di cui all'art. 51, le azione
esecutive aventi ad oggetto il patrimonio spossessato.
Le azioni esecutive sono improcedibili dopo la dichiarazione di fallimento (es. azione
esecutiva vendere un bene).
La regola del divieto delle azione esecutive individuali, sopravvenuto il fallimento presenta
alcune eccezioni:
1.
il trattamento esecutivo privilegiato che la legge accorda a certi creditori e
l'ipotesi art. 107 L.F., dove si stabilisce che "se alla data di dichiarazione di fallimento sono
pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi , in tal caso di applicano le
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disposizioni del cod. proc. Civile, altrimenti su istanza del curatore il giudice dell'esecuzione
dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione, salvi i casi di deroga di cui art. 51
2.
si consente all'istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l'azione
esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito. La disposizione ha natura eccezionale
allo scopo di tutelare il sistema di formazione e funzionamento del credito fondiario,
attribuisce un privilegio meramente processuale che si sostanzia nella possibilità di iniziare
o proseguire la procedura esecutiva individuale, ma anche di conseguire l'assegnazione della
somma ricavata dalla vendita forzata di beni del debitore nei limiti del proprio credito, senza
che l'assegnazione ed il conseguente pagamento si debbano ritenere indebiti (immeritato,
ingiusto) e senza che l'istituto abbia l'obbligo di rimettere la somma ricevuta al curatore.
3.
I crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli art. 2756
2761 del cod. civ. possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati
ammessi al passivo con prelazione.
3.6.
Sequestri
Le sezioni unite della cassazione penale hanno ritenuto legittimo il sequestro preventivo, di
beni provento di attività illecita e appartenenti ad un'impresa dichiarata fallita, nei cui confronti sia
instaurata la procedura concorsuale, a condizione che il giudice, nell'esercizio del suo potere
discrezionale, dia emotivamente conto della prevalenza delle ragioni della confisca rispetto a quelle
attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare.
In ordine alle altre tipologie di sequestro i giudici di legittimità hanno sottolineato:
1.
sequestro probatorio (che costituisce elemento di prova), può legittimamente
essere disposto su beni già appresi al fallimento e se anteriore alla dichiarazione di
fallimento, conserva la propria efficacia anche in seguito all' apertura della procedura
concorsuale per perseguire il superiore interesse della ricerca della verità nel procedimento
penale.
2.
il sequestro conservativo previsto rientra nel caso di fallimento dell'obbligato,
nell'area di operatività del divieto di cui all'art. 51 secondo cui dal giorno della dichiarazione
di fallimento nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni
compresi nel fallimento.
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il sequestro preventivo c.d. impeditivi, di beni appartenenti ad un'impresa
dichiarata fallita è legittimo, a condizione che il giudice, nel discrezionale giudizio sulla
pericolosità della cosa, operi una valutazione del motivo di cautela e delle ragioni attinenti
alla tutela dei legittimi interessi dei creditori,
4.
sequestro preventivo avente oggetto un bene confiscato in via obbligatoria
deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare, prevalendo l'esigenza di
inibire l'utilizzazione di un bene oggettivamente pericoloso.
3.7.
Fallimento di società esecutata
Anche in caso di dichiarazione di fallimento della società esecutata il socio che agisca anche
in qualità di creditore della società esecutata, non è abilitato ad agire in via surrogatoria per la tutela
del patrimonio della medesima, in quanto l'inammissibilità delle azioni esecutive individuali o della
loro prosecuzione sui beni del debitore discendente dagli art. 51 e 52, si traduce nell'inammissibilità
anche delle azioni ad esse strumentali, quali le azioni cautelari, la cui esperibilità, in applicazione
dei principi generali cui il sistema concorsuale proprio della procedura fallimentare è informato
dell'universalità oggettiva (secondo cui dalla data del provvedimento di fallimento il debitore è
privato della disponibilità di tutto il suo patrimonio, inventariato e preso in consegna dal curatore) e
soggettiva (in base al quale il creditore, per soddisfarsi sul patrimonio del debitore deve sottostare
alla disciplina sulla formazione dello stato passivo, essendo i beni del debitore destinati alla
soddisfazione delle ragioni creditorie concorrenti).
3.8.
Il concorso dei creditori
Con la dichiarazione di fallimento si dà inizio al concorso dei creditori sul patrimonio del
fallito.
Tutti i crediti, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi art. 111 L.F., nonché
i diritti reali e personali, mobiliari o immobiliari, dovranno essere accertati secondo gli artt. 92 ss. in
tema di accertamento del passivo, salvo che la legge disponga diversamente (cd. principio di
esclusività del procedimento di accertamento del passivo, ex art. 52 L.F.).
In base alla nuova previsione il principio di esclusività del procedimento di accertamento del
passivo coinvolge espressamente anche i diritti reali e personali immobiliari ed i crediti da
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soddisfare in prededuzione, salve le deroghe di cui all'art. 111 (coordinamento con lo stato passivo e
con la ripartizione dell'attivo).
Il concorso dei creditori che con il fallimento si apre sul patrimonio del fallito non
comprende i crediti sorti dopo l'apertura della procedura, anche se riferiti a precedenti
comportamenti del fallito, per valutare la natura concorsuale o meno di un credito occorre tenere
conto del momento in cui è sorta l'obbligazione.
Il credito deve considerarsi sorto prima della dichiarazione di fallimento ossia il credito da
contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione.
3.9.
I crediti privilegiati
L’art. 53 L.F. impone un’eccezione alla regola della par conditio creditorum stabilendo, per i
crediti assistiti da pegno o da privilegio speciale ex artt. 2756 e 2761 c.c., , i quali possono essere
realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione.
In particolare, per tali crediti il legislatore dispone una disciplina che prevede:
1.
la vendita del bene effettuata direttamente dal creditore;
2.
la vendita del bene effettuata dal curatore;
3.
il riscatto del bene ad opera del curatore previo pagamento del
creditore.
Per la vendita del bene il creditore deve essere autorizzato dal giudice delegato, il quale,
sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, nonché se
la vendita debba eseguirsi a offerta privata o all’incanto, indicando le relative modalità.
Le somme ricavate dal creditore pignoratizio o assistito dai privilegi attraverso la vendita ex
art. 53 ss L.F. non concorrono con gli altri creditori, anche se assistiti da una causa di prelazione
sullo stesso bene.
Il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche
autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o
ad eseguire la vendita nei modi previsti per la vendita del bene da parte del creditore.
3.10.
Il regime degli interessi
Al fine di garantire che la partecipazione dei creditori alla distribuzione dell’attivo realizzato
avvenga in base alla misura del credito al momento della dichiarazione di fallimento, gli interessi,
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convenzionali o legali, sono sospesi dalla data di dichiarazione di fallimento fino alla chiusura dello
stesso, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio e salvo quanto
disposto dal 3° co. dell’art. 54 l.F.
3.11.
Effetti del fallimento sui debiti pecuniari
1. la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali
o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti
non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto disposto dal terzo
comma art. 54;
2. i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso,
alla data di dichiarazione del fallimento.
3. i crediti condizionali partecipano al concorso art. 96, 113 e 113 bis. Sono
compresi tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se
non previa escussione di un obbligato principale.
3.12.
Crediti condizionali (art. 1353 coc. Civ.)
Anche i crediti sottoposti a condizione partecipano al concorso, a norma dell’art. 93,
113 e 113 bis l.f., compresi quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa
escussione di un obbligato principale.
il termine finale è invece quello che limita nel tempo l'efficacia del contratto.
La condizione è un avvenimento futuro ed incerto al verificarsi del quale e' subordinata
l'iniziale efficacia del contratto, o di una sua clausola (condizione sospensiva) oppure la cessazione
degli effetti del contratto o di una sua clausola (condizione risolutiva).
I crediti non scaduti aventi ad oggetto una prestazione in danaro determinata con
riferimento ad altri valori o una prestazione diversa dal danaro, concorrono secondo il loro valore
alla data della dichiarazione di fallimento (art. 59 L.F.)
3.13.
La compensazione
In sede di fallimento, ai sensi dell’art. 56 L.F., lasciato immutato dalla riforma, è
possibile la compensazione: in particolare, la norma in oggetto riconosce ai creditori il diritto di
compensare i propri crediti nei confronti del fallito con i propri debiti verso il fallito, ancorché non
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scaduti prima della dichiarazione di fallimento, salvo, per questi ultimi, che il creditore abbia
acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.
3.14.
I crediti infruttiferi
I crediti infruttiferi non ancora scaduti alla data di dichiarazione di fallimento sono
ammessi al passivo per l’intera somma; tuttavia, ad ogni singola ripartizione, saranno detratti gli
interessi composti, in ragione del cinque per cento all’anno, per il tempo che resta a decorrere dalla
data del mandato di pagamento sino al giorno della scadenza del credito (art. 57 L.F.).
3.15.
I crediti derivanti da obbligazioni e da altri titoli di debito
L’art. 58 l.F. è stato completamente riformato anche per esigenze di coordinamento
con le modifiche introdotte dal diritto societario.
Nella sua attuale formulazione la norma prevede che i crediti derivanti da obbligazioni e da
altri titoli di debito sono ammessi al passivo per il loro valore nominale, detratti i rimborsi già
effettuati e che, se è previsto un premio da estrarre a sorte, il suo valore attualizzato viene
distribuito tra tutti i titoli che hanno diritto al sorteggio.
3.16.
I crediti per rendite
L’art. 60 l.F. prevede che, se nel passivo del fallimento sono compresi crediti per
rendita perpetua, questa è riscattata a norma dell’art. 1866 c.c.
Il creditore di una rendita vitalizia è ammesso al passivo per una somma equivalente
al valore capitale della rendita stessa al momento della dichiarazione di fallimento.
3.17.
Fallimento di uno o più debitori coobbligati
Se un creditore ha più debitori coobbligati in solido ed uno o più di essi falliscono, il
creditore concorre nel fallimento dei falliti per l’intero credito in capitale e accessori, sino al totale
pagamento. Il regresso tra coobbligati falliti può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato
soddisfatto per l’intero credito (art. 61 L.F.).
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Se il creditore, prima della dichiarazione di fallimento, aveva ricevuto da un coobbligato in
solido con il fallito o da un fideiussore una parte del proprio credito, egli ha diritto di concorrere nel
fallimento per la parte non riscossa e il coobbligato che ha diritto di regresso verso il fallito ha
diritto di concorrere nel fallimento per la somma pagata.
Il creditore, tuttavia, ha diritto di farsi assegnare la quota di riparto spettante al coobbligato
fino alla concorrenza di quanto gli ancora dovuto e, se rimane parzialmente insoddisfatto, resta
impregiudicato il suo diritto verso il coobbligato.
Il coobbligato o il fideiussore del fallito, che, a garanzia dell’azione di regresso, vanta un
diritto di pegno o ed’ipoteca sui beni del fallito, concorre nel fallimento per la somma per la quale
vanta il diritto di pegno o ipoteca (art. 63 L.F.)
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