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SOMMARIO: 1. Il fallimento: natura ed effetti. 2. Il
PRINCIPI GENERALI DEL FALLIMENTO E DEL PROCEDIMENTO DI VERIFICA DEI CREDITI SOMMARIO: 1. Il fallimento: natura ed effetti. 2. Il procedimento di verificazione dei crediti. 2.1. La tipologia dei crediti. 2.2 Il concorso dei creditori e la verifica dei crediti. L'esclusività dell'accertamento del passivo. 2.3 Il procedimento. 2.4 Gli effetti del fallimento sui giudizi pendenti e su quelli instaurati dopo la sua dichiarazione. 2.5 Esclusività del rito della verifica ed accertamento dei crediti fondati su atti giudiziari. 3. Uno sguardo di sintesi sulle principali novità della riforma in tema di accertamento del passivo fallimentare. 4. La fase preparatoria e la fase di verifica e di formazione dello stato passivo dinanzi al Giudice Delegato. 5. Le dichiarazioni tardive dei crediti. 6. Le impugnazioni. 1. Il fallimento: natura ed effetti. Il fallimento è una procedura esecutiva avente carattere concorsuale perché: - ha ad oggetto non singoli beni, ma l'intero patrimonio del debitore; - una volta dichiarato si svolge d'ufficio nell'interesse di tutti i creditori; - non ha bisogno della preventiva formazione di un titolo esecutivo, in quanto è la sentenza dichiarativa di fallimento il titolo esecutivo che legittima il processo esecutivo; - la sentenza di fallimento produce gli effetti del pignoramento generale del patrimonio del debitore; ciò conseguentemente determina il divieto per i creditori di iniziare o proseguire, nel caso del fallimento, azioni esecutive individuali sui beni del fallito; - realizza il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore, nel rispetto della par condicio creditorum, cioè dei creditori titolari di ragioni creditorie assistite da uguali prelazioni; - il carattere concorsuale della procedura, comporta la cristallizzazione delle posizioni creditorie alla data di dichiarazione di fallimento e, quindi, particolari effetti per gli interessi maturandi che, relativamente ai crediti chirografari, vengono • sospesi per l'intera durata della procedura, mentre, per i crediti privilegiati, v'è una loro riduzione nei limiti risultanti dagli artt. 2855, 2788 e 2749 c.c.; - il carattere concorsuale della procedura produce effetti anche sul procedimento di accertamento dei crediti, che assume la forma e si svolge secondo il rito speciale della verificazione disciplinata dagli artt. 92 ss. I. fall.; - particolarmente intensa è la tutela che i creditori, come massa, ricevono nel corso della procedura fallimentare, in quanto, oltre a beneficiare dei risultati dell'utile esperimento delle azioni revocatorie e d'inefficacia, si avvantaggiano di quanto al fallito deriva dall'esercizio dei poteri di scioglimento o subentro che gli artt. 72 e ss. I. fall. attribuiscono al curatore; - per effetto e dalla data della sentenza di fallimento, il fallito perde la capacità sostanziale e processuale; egli, infatti, perde il diritto di amministrare e disporre del proprio patrimonio; perde altresì la capacità processuale attiva e passiva; capacità e legittimazione che si trasferiscono in capo al curatore; - il processo di fallimento è condotto da uno speciale ufficio giudiziario (formato dal giudice delegato, dal curatore e dal comitato dei creditori), che si sostituisce in modo speciale ai creditori ed al fallito; - il curatore deve non solo gestire e liquidare il patrimonio del fallito, ma ricostituirlo con l'esercizio delle azioni di inefficacia, di revocatoria fallimentare ed ordinaria e di quelle di recupero crediti; - il fallimento esige una chiusura formale (decreto), ma può terminare anche con un concordato approvato dai creditori ed omologato dal tribunale. In conclusione, il fallimento è una procedura esecutiva: a) universale, perché ha ad oggetto l'intero patrimonio del fallito; b) generale, per i destinatari, che sono tutti i creditori del fallito; c) a carattere ufficioso, perché una volta instaurata, procede senza bisogno di impulso di parte. Ad a). La procedura fallimentare investe tutto il patrimonio del fallito e cioè tutti i suoi beni, mobili ed immobili, presenti o futuri, i crediti, i diritti su beni immateriali, • gli interessi, le aspettative di diritti, le possibilità giuridiche esistenti nel suo patrimonio ed utilizzabili per il soddisfacimento dei creditori (così le azioni di nullità, di annullamento, di rescissione, di risoluzione, di dichiaratoria di inefficacia atti o di negozi giuridici - in particolare l'azione revocatoria ex artt. 64, 66, 67 e 68 I. fall. -, l'utilizzazione di rapporti giuridici pendenti). Tale patrimonio è "acquisito d'ufficio" dagli organi (giurisdizionali) della procedura, in forza della sentenza dichiarativa di fallimento. Tali organi custodiscono ed amministrano il patrimonio in virtù di un potere di sostituzione che ad essi proviene dalla legge, mentre il fallito rimane titolare dei diritti e rapporti compresi nel suo patrimonio. Ad b). La procedura fallimentare ha carattere "universale" e si svolge nell'interesse di tutti i creditori del fallito. L'universalità però non è un elemento "essenziale" (in mancanza del quale, cioè, il fallimento non può essere dichiarato e, se dichiarato, deve essere revocato), ma solo "naturale", cioè normale, ricorrente, secondo quanto comunemente accade. Ciò è normativamente confermato dall'art. 118, n. 1, I. fall., a mente del quale il fallimento si chiude (e, quindi, non si revoca) se, nei termini stabiliti nella sentenza dichiarativa di fallimento, non sono state presentate domande di ammissione al passivo; dal che si desume che la presentazione anche di una sola domanda esclude la chiusura. La legge limita la categoria dei beneficiari del fallimento ai soggetti creditori "al momento della dichiarazione di fallimento" Gli altri soggetti diventati creditori dopo il fallimento, in conseguenza di atti posti in essere dal fallito, non possono partecipare al concorso, essendo tali atti "inefficaci", cioè improduttivi di effetti giuridici nei confronti dei creditori anteriori al fallimento (non anche, si noti, nei confronti del fallito, che invece ne risponderà dopo la chiusura della procedura). I soggetti divenuti creditori in forza di atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento devono, invece, essere pagati prima dei creditori fallimentari e, quindi, si pongono fuori del concorso (c.d. creditori della massa). Universalità non significa, inoltre, che tutti i creditori partecipino effettivamente al concorso; questo si apre nell'interesse dì tutti, ma i singoli creditori possono anche decidere (per le più svariate ragioni, personali o di solidarietà con il fallito) di non intervenire, riservandosi, invece, ogni azione nei confronti del fallito personalmente ad epoca successiva alla chiusura del fallimento. I creditori che possono partecipare alla procedura fallimentare si chiamano "concorsuali"; quando la loro pretesa è stata riconosciuta in sede di verifica, prendono il nome di "concorrenti". Ad c). La procedura fallimentare ha, infine, carattere "ufficioso" in considerazione dell'interesse pubblico che è destinata a soddisfare. L'attività dei suoi organi (pubblici) si svolge anche nell'inerzia dei creditori 2. Il procedimento di verificazione dei crediti. 2.1. La tipologia dei crediti. I crediti nei confronti dell'imprenditore-debitore assoggettato a procedura concorsuale liquidatoria possono essere di due tipi: 1) crediti concorsuali, se hanno titolo o causa in negozi giuridici conclusi anteriormente all'apertura della procedura concorsuale; essi possono essere chirografari o essere assistiti da una causa di prelazione; 2) crediti prededucibili o di "massa" se hanno titolo o causa in negozi giuridici validamente e legittimamente compiuti dopo l'apertura della procedura con l'organo propulsivo della stessa (curatore, commissario liquidatore, commissario straordinario), con l'eventuale autorizzazione, se richiesta dalla legge, del tribunale o dell'autorità di vigilanza. A mente del secondo comma del novellato art. 111, I. fall., sono crediti prededucibili quelli "così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge". Rientrano quindi in tale categoria sia i crediti derivanti dal sub ingresso del curatore nei contratti in corso o dai contratti proseguiti ex lege dopo la dichiarazione di fallimento, sia i crediti aventi titolo in negozi legittimamente sorti nella precedente procedura di amministrazione straordinaria o di concordato preventivo. Il nuovo art. 111 I. fall deve poi essere collegato all'art. 111-bis I. fall., che prevede l'esclusione dall'onere di insinuazione di quei crediti non contestati nella collocazione e nell'ammontare, e di quelli sorti a seguito di liquidazione di compensi dei soggetti nominati ai sensi dell'art. 25 I. fall.; in questo ultimo caso i crediti, se contestati, devono essere accertati con il procedimento di cui all'art. 26 I. fall. Pertanto, si profila la seguente situazione: - qualunque credito prededucibile non contestato per ammontare e collocazione può essere immediatamente pagato o ammesso al riparto in forza del solo decreto di liquidazione del giudice delegato; - i crediti costituiti da compensi liquidati dal giudice delegato non necessitano in alcun caso di domanda di ammissione al passivo e, se sorgono contestazioni, lo strumento per accertare il credito è il reclamo ex art. 26 I. fall.; - per tutti gli altri crediti prededucibili che siano contestati, l'unica via percorribile è costituita dall'istanza di ammissione al passivo (verosimilmente tardiva). 2.2 \I concorso dei creditori e la verifica dei crediti. L'esclusività dell'accertamento del passivo. I creditori per titolo o causa anteriore alla procedura concorsuale, se vogliono partecipare al riparto del ricavato dei beni dell'imprenditore-debitore, assoggettato a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, non hanno l'obbligo, ma l'onere (in senso tecnico giuridico di comportamento necessario ex lege per ottenere il risultato del pagamento totale o parziale, secondo le future disponibilità liquide della procedura) di far verificare (dal giudice delegato nel fallimento, dal commissario nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria) loro crediti, ottenendone l'ammissione al passivo della procedura. L'ammissione costituirà quindi il titolo giuridico per ottenere il pagamento dei rispettivi crediti, a mezzo dei piani di riparto. Il C.d. accertamento dei crediti (disciplinato dal combinato disposto degli artt. 52, 92 e ss. e 207-209 I. fall.) costituisce l'unico ed esclusivo procedimento per partecipare al concorso e, quindi, deve essere utilizzato per qualunque tipo di credito anteriore o successivo all'apertura della procedura concorsuale a carico del debitore, assistito o non da causa di prelazione, di natura contrattuale o extracontrattuale. In proposito si è esattamente scritto da una dottrina (BOllA, SCHIAVON, 1992) che: "costituisce un principio immanente nel sistema della legge fallimentare quello secondo cui qualsiasi pretesa che si concretizzi nella richiesta di pagamento di una somma di denaro o di rivendica, restituzione e separazione di cose mobili, che si voglia far valere verso il fallimento, deve essere accertata mediante lo speciale procedimento di verificazione dello stato passivo (e, nel caso questo sia già chiuso e dichiarato esecutivo, mediante la dichiarazione tardiva ai sensi dell'art. 101 I. fall.), sicché le domande di ammissione e di rivendica, restituzione e separazione di cose mobili, sono l'unico modo per proporre la domanda giudiziale nei confronti della massa e non già una forma meramente facoltativa, che si trovi in concorso elettivo con domande dello stesso contenuto in sede contenziosa ordinaria". Questo principio, della esclusività dell'accertamento del passivo, è espressamente sancito dal secondo comma dell'art. 52 I. fall., che nel testo novellato dispone che "ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell'art. 111 primo comma n. 1, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V' (artt. 92 e ss. I. fall.), "salvo diverse disposizioni della legge". Rispetto al testo previgente, la nuova formulazione della norma presenta una specificazione ed un ampliamento: la specificazione attiene ai "crediti trattati ai sensi dell'art. 111 n. 1", e quindi ai crediti prededucibili, mentre l'ampliamento riguarda il riferimento ad "ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare": riferimento ulteriormente confermato dagli artt. 92 e 93 I. fall., che espressamente prevedono fra le domande che possono essere proposte anche quelle aventi ad oggetto la restituzione o la rivendicazione di beni immobili. Si collega al nuovo art. 52 I. fall. anche l'art. 24 I. fall., che ora attribuisce alla competenza del Tribunale fallimentare anche le azioni reali o personali immobiliari. Nel nuovo sistema il terzo che vanti un diritto reale immobiliare nei confronti del fallito, non deve quindi più proporre, come in passato, la relativa azione avanti al giudice ordinario con il rito previsto dal codice di procedura civile, ma, se vuole partecipare al concorso, deve presentare domanda di ammissione al passivo secondo il rito speciale previsto dagli artt. 92 e ss. I. fall. Quindi, la società di leasing che voglia recuperare la disponibilità di beni rispetto ai quali l'utilizzatore non ha esercitato l'opzione di acquisto, deve chiedere il riconoscimento del suo diritto in sede di verifica del passivo. Così pure il comodante o il depositante, rispetto ai beni dati in comodato o in deposito, o il promissario acquirente che chieda al curatore il trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita dal fallito. Stante la lettera della norma, anche il creditore di un terzo, garantito da ipoteca sui beni del fallito, deve assoggettarsi al procedimento di verifica. 2.3 Il procedimento. La partecipazione dei creditori al processo fallimentare si deve attuare pertanto a norma dell'art. 52 I. fall. Tale partecipazione non costituisce un obbligo per il creditore, il quale ben può riservare la sua azione a quando il fallimento sarà chiuso e il debitore sarà tornato in bonis. Ma se il creditore intende realizzare la sua pretesa sui beni che attualmente compongono il patrimonio del suo debitore, l'unica strada percorribile è quella della partecipazione al concorso mediante domanda di ammissione al passivo a norma dell'art. 93 I. fall. Solo mediante l'insinuazione il creditore che è già concorsuale, e cioè soggetto a tutte le limitazioni derivanti dal fallimento, diviene concorrente, con diritto cioè di partecipare al processo e particolarmente alle ripartizioni fallimentari. Pertanto, ed esemplificativamente, i crediti per danni sono concorsuali ove conseguenti, prescindendo dal momento del loro accertamento o liquidazione, da inadempimento contrattuale o extracontrattuale verificatosi prima del fallimento. Parimenti, il credito d'imposta ha natura concorsuale qualora il presupposto tributario si sia verificato anteriormente alla dichiarazione di fallimento. In particolare, sono soggette al rito speciale dell'accertamento previsto dall'art. 52 I. fall.: a) le pretese creditorie fondate sul rapporto di lavoro (Cass., n. 4104/1993; Cass., n. 8577/1992). Poiché l'esame del quantum non può scindersi dall'esame dell'an - salvo che già sussista una pronuncia autonoma definitiva e antecedente non vi è dubbio che l'accertamento sul rapporto di lavoro subordinato tra le parti debba essere rimesso all'esame preliminare della procedura concorsuale per assicurare il rispetto del principio fondamentale sull'unità dell'esecuzione e la par condicio creditorum; b) la domanda di condanna generica al risarcimento del danno; c) la domanda per risarcimento danni conseguenti ad inadempimenti contrattuali anteriori alla dichiarazione di fallimento; d) la domanda di risarcimento danni, quale effetto di quella (pregiudiziale) di risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, per inadempimento alle obbligazioni di detto contratto, anteriori alla dichiarazione di fallimento. In giurisprudenza si è considerato il principio per il quale: "nei contratti con prestazioni corrispettive, intervenuto il fallimento del contraente inadempiente, l'altro non può proporre l'azione di risoluzione contro il curatore, con effetti cioè nei confronti della massa dei creditori concorsuali, perché il fallimento determina la cristallizzazione delle posizioni giuridiche preesistenti e quindi la destinazione del patrimonio del fallito al soddisfacimento paritario di tutti i creditori, con la conseguenza che la pronuncia di risoluzione non può produrre gli effetti restitutori e risarcitori suoi. propri, che sarebbero lesivi della par condicio creditorum. Tale principio opera per i fatti d'inadempimento anteriori al fallimento, anche quando il curatore sia subentrato nel contratto ex art. 72 I. fall." (così Cass., 30 maggio 1983, n. 3708, in Fall., 1983, 1384; Cass., 17 gennaio 1998, n. 376, in Fall., 1999, 39; Cass., 6 febbraio 2004, n. 2261, in Giur. it., 2004, 1678; Trib. Milano, 25 settembre 2002, in Gius, 2003, 606). Il fallimento produce l'indisponibilità dei beni del debitore e la par condicio creditorum, onde deve ritenersi, di regola, inefficace nei confronti della massa dei creditori concorsuali il rimedio della risoluzione per pregresso inadempimento dell'imprenditore. L'impossibilità d'invocare il fallimento come causa di risoluzione vale per tutti contratti bilaterali intercorsi con l'imprenditore, sia traslativi di diritti reali, sia costitutivi di diritti personali, purché tali che non si sciolgano ipso iure con l'apertura della procedura concorsuale o per i quali non sia data facoltà di recesso unilaterale al contraente in bonis. La risoluzione per pregresso inadempimento del debitore, per essere operativa nei confronti della massa, deve essere anteriormente acquisita: a) nel caso di condizione risolutiva tacita, mediante proposizione della domanda giudiziale in tempo antecedente alla sentenza di fallimento; b) in caso di clausola risolutiva espressa, invece, mediante dichiarazione, pur anteriore, della parte adempiente, di volersi avvalere della clausola medesima (nello stesso senso, Trib. Milano, 5 febbraio 1976, in Dir. faIl. 1976, Il, 547, per il quale "la risoluzione non è proponibile in sede fallimentare se non quando sia già stata domandata prima della dichiarazione di fallimento, nello stesso modo non è possibile far valere, per la prima volta, la clausola risolutiva di un accordo, quando i fatti posti a fondamento della domanda siano precedenti al fallimento", nonché App. Milano, 9 marzo 1976, in Dir. fall., 1976, ", 406, per la quale "non è proponibile nei confronti del fallimento l'azione di risoluzione del contratto di compravendita o di declaratoria di risoluzione del contratto per clausola risolutiva espressa o per diffida ad adempiere, salvo che la proposizione della domanda giudiziale, la dichiarazione di volersi awalere della clausola predetta o la diffida ad adempiere, siano awenute anteriormente alla sentenza dichiarativa"). La sentenza di risoluzione ha carattere costitutivo perché solo da essa sorgono, sia pur con effetto retroattivo, i reciproci diritti che ne conseguono. Alla risoluzione di diritto in forza della clausola risolutiva espressa possono essere equiparate le ipotesi affini dell'avveramento della condizione risolutiva (artt. 1353 ss. c.c.), della diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) e del termine essenziale (art. 1457 c.c.). Si sottraggono invece al procedimento di verificazione dei crediti le domande di risoluzione del contratto e di risarcimento del relativo danno per l'inadempimento causato dalla dichiarazione di fallimento, in quanto il legislatore non considera questo come un fatto colposo, fonte di danni risarcibili. Sono altrettanto inammissibili le domande di risoluzione del contratto e di restituzione del bene oggetto dello stesso, proposte successivamente alla sentenza di fallimento e la domanda di condanna generica al risarcimento del danno. Va opportunamente rilevato che l'art. 52 I. fall. si riferisce al "rito" (cioè all'obbligo di verificazione dei crediti per titolo o causa anteriore al fallimento, verificazione che avverrà nelle forme previste e disciplinate dagli artt. 93 e ss., I. fall.) e non alla "competenza" ad esaminare le domande nei confronti del fallito, secondo quanto dispone l'art. 24 I. fall. .. Nota in proposito acutamente una dottrina (G. Schiavon): "il principio dell'obbligatorietà e dell'esclusività del procedimento di accertamento del passivo non deriva, perciò, dall'art. 24 I. fall., ma solo dall'art. 52 I. fall.: l'organo giudiziario innanzi al quale si deve necessariamente svolgere la verifica dei crediti, con il rito speciale previsto, non può che essere il giudice che la stessa sentenza dichiarativa di quel fallimento ha delegato alla procedura (art. 16, n. 1, I. fall.) , con la conseguenza che un problema di "competenza" potrà porsi, non già nei suoi confronti, bensì, semmai, nei confronti del Tribunale che ha pronunciato quel fallimento, aprendo il concorso fra i creditori. Per far capire quanto diversi siano i concetti sopra esposti, si consideri il caso che un giudizio ordinario già pendente all'epoca del concorso, già promosso dal titolare di un credito concorsuale (perché sorto prima del fallimento), venga riassunto, dopo l'apertura del concorso, nei confronti del curatore, davanti allo stesso giudice ordinario: oppure si consideri l'ipotesi, del tutto identica ma meno frequente, di un creditore che proponga, nei confronti del curatore, un 'azione di accertamento di un credito concorsuale davanti al giudice ordinario. In questi casi, è pacifico che l'azione è improcedibile, che tale vizio può essere rilevato d'ufficio in qualsiasi stato e grado del processo e che l'eventuale sentenza che il giudice ordinario dovesse ciò nonostante emettere sarebbe inopponibile per il fallimento e tamquam non esset. La ragione di ciò risiede nel fatto che, nei casi ora prospettati, la sentenza avrebbe violato non tanto la "competenza" del foro fallimentare (perché, diversamente, essa, se non impugnata, sarebbe idonea, per quanto errata, ad acquistare efficacia di giudicato e potrebbe anche costituire strumento per un'insinuazione tardiva al passivo del fallimento), quanto il principio stesso della specialità del rito, cioè della regola posta dall'art. 52 I. fall. Ed una siffatta violazione comporta che quella sentenza non possa, invece, mai acquisire efficacia di giudicato opponibile al curatore". 2.4 Gli effetti del fallimento sui giudizi pendenti e su quelli instaurati dopo la sua dichiarazione. Abbiamo detto che l'unico modo che il creditore concorsuale ha per partecipare al fallimento e, quindi, per partecipare al ricavato dei beni del fallito, è di presentare domanda di ammissione secondo il rito di cui agli artt. 92 e ss. I. fall. Conseguentemente, non è proponibile la domanda di ammissione al passivo proposta con atto di citazione, in via contenziosa ordinaria. Quando, infatti, l'azione • è proposta in sede diversa da quella prevista dalla legge come necessaria ed obbligatoria, non può trovare applicazione il principio secondo cui non importa nullità del procedimento l'adozione della forma di citazione in luogo di quella del ricorso e viceversa, se ciò siasi svolto regolarmente e sia stata raggiunta la finalità di assicurare il contraddittorio tra le parti. La vis attractiva della procedura fallimentare opera, altresì, nell'ipotesi di fallimento del debitore durante il giudizio per l'accertamento di un credito nei suoi confronti, nel senso che il creditore non può riassumere e proseguire il giudizio nelle forme ordinarie nei confronti del curatore del fallimento, ma deve sottostare al procedimento concorsuale (cfr. Cass., 29 maggio 1972, n. 1707). Il difetto di accertamento del credito nelle forme e nei modi stabiliti dal procedimento di verifica dello stato passivo, comporta l'improcedibilità del giudizio in sede ordinaria (Cass., 25 novembre 1974, n. 3582). L'improcedibilità, che colpisce il giudizio in questione, non è, peraltro, di ordine assoluto, bensì relativo alla massa fallita, sicché il creditore può proseguire il giudizio in sede ordinaria contro il debitore, la cui incapacità è pure di carattere relativo, al dichiarato fine di ottenere una sentenza che, anche se inefficace nei confronti del fallimento, avrà valore nei confronti del fallito tornato in bonis (Cass., 27 luglio 1977, n. 1995, in Rep. Giur. it., 1977; Corte d'Appello, 25 ottobre 1974, in Dir. fa Il. , 1974, Il, 114). 2.5 Esclusività del rito della verifica ed accertamento dei crediti fondati su atti giudiziari. In verità, l'unica reale deroga al principio di esclusività del giudizio di verifica riguarda il caso previsto dal novellato art. 96, co. 3, n. 3, I. fai I. , secondo cui sono ammessi con riserva "i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. /I curatore può proporre o proseguire il giudizio d'impugnazione". In base a tale disposizione, se vi è una sentenza che abbia riconosciuto un credito vantato nei confronti di un. soggetto che viene dichiarato fallito prima che quella sentenza sia passata in giudicato (e cioè o nelle more della decorrenza del termine di impugnazione o nel corso del giudizio di impugnazione già instaurato dal fallito), il giudice delegato che ritenga il credito non suscettibile di ammissione perché inesistente (e non già perché lo ritenga in opponibile alla massa: in questo caso l'impugnazione non sarà necessaria) deve ammettere il credito con riserva ed autorizzare il curatore ad impugnare la sentenza o a riassumere il giudizio di impugnazione; dopodiché, una volta intervenuta sentenza definitiva nel giudizio ordinario di cognizione, si provvederà ai sensi dell'art. 113-bis, I. fall. a sciogliere la riserva. La disposizione dell'art. 96, co. 3, n. 3, I. fai I. , non trova invece applicazione nel caso in cui il fallimento del debitore intervenga nelle more del decorso del termine per proporre opposizione a decreto ingiuntivo o nel corso del giudizio di primo grado promosso dal debitore in opposizione a decreto ingiuntivo. Più in particolare, al fine di individuare quali effetti produca la sentenza dichiarativa di fallimento sui decreti ingiuntivi, occorre distinguere le seguenti ipotesi. (A) Decreto ingiuntivo emesso e non opposto alla data della sentenza di fallimento. In questo caso la mancata tempestiva OPPOSIzione rende assimilabile il decreto, quanto agli effetti, alla sentenza di condanna passata in cosa giudicata, e ciò "per effetto dell'accertamento sommario operato dal giudice del procedimento monitorio, integrato dal comportamento omissivo del debitore ingiunto, al quale può attribuirsi valore di riscontro alla fondatezza della pretesa creditoria riconosciuta nel decreto ingiuntivo" (Trib. Trani, 4 ottobre 2007, in Banca Dati Utet); il che determina l'incontestabilità da parte del curatore del decreto, il quale costituisce titolo per l'ammissione del credito al passivo del fallimento (così, da ultimo, Casso 31 ottobre 2007, n. 22959, in Fall., 2008, 785; fra i giudici di merito v. Trib. Bari, 22 marzo 2007, in Banca Dati Utet, per il quale "il 'concorso dei creditori' che a seguito della dichiarazione di fallimento si apre sul patrimonio del fallito a norma dell'art. 52 I. fall., comprende soltanto i crediti sorti prima dell'apertura della procedura fallimentare, dovendosi considerare tali i crediti derivanti da contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione, verificatosi anteriormente alla dichiarazione stessa; ne consegue che il decreto ingiuntivo diventato esecutivo prima della dichiarazione di fallimento legittima la opposizione allo stato passivo e l'ammissione al fallimento del credito ingiunto"; Trib. Milano, 11 novembre 2004, in Corro merito, 2005, 381; in dottrina v. FRANCO, 2009, 2117). Se la curatela nulla più può obiettare in ordine alla fondatezza del credito, può però eccepire l'inopponibilità di tali atti alla massa dei creditori (ad es. per la revocabilità del negozio giuridico sul quale il decreto ingiuntivo si fonda: v. Trib. Milano, 11 luglio 1996, in Gius, 1997, 336, per il quale "il decreto ingiuntivo non opposto, al pari di ogni altro giudicato, è idoneo a consacrare in modo definitivo non solo la pronuncia di condanna ma anche la ragione della condanna, per cui in sede fallimentare non è più possibile contestare né l'ammontare della somma dovuta né l'esistenza della pretesa avanzata. Tuttavia, detto decreto non opposto, ed ogni altro giudicato, non è opponibile al fallimento qualora sia inefficace il titolo sulla cui base è stato emesso il decreto stesso"; Trib. Bergamo, 7 aprile 1998, in Fall., 1999,211; Trib. Monza, 27 gennaio 1993, ivi, 1993, 1051). Con riferimento all'ipotesi qui considerata, occorre peraltro precisare che, ai fini dell'efficacia del decreto ingiuntivo nei confronti del fallimento, e quindi della sua apponibilità alla massa dei creditori, non è affatto pacifico che sia sufficiente la sola mancata opposizione nel termine di legge prima della dichiarazione di fallimento. Secondo gran parte della giurisprudenza, per l'apponibilità del credito portato dal decreto nei confronti del fallimento sarebbe infatti altresì necessario che, prima della sentenza di fallimento, il giudice abbia dichiarato esecutivo il decreto ai sensi dell'art. 647, co. 1, c.p.c., perché solo con tale dichiarazione di esecutività il decreto acquisterebbe efficacia di giudicato sostanziale, ancorché l'effetto preclusivo di carattere processuale (giudicato formale) si produca anche a prescindere da essa (così Cass., 13 marzo 2009, n. 6198, in Mass. Giur. it., 2009; Cass., 31 ottobre 2007, n. 22959, cit.; Cass., 26 marzo 2004, n. 6085, in Gius, 2004, 3165; conf. Trib. Pescara, 17 ottobre 2008, in Fall., 2009, 239; Trib. Trib. Trani, 26 gennaio 2007, in Banca Dati Utet; Trib. Sulmona, 30 dicembre 2004, in Fall., 2005, 468; Trib. Roma, 26 febbraio 2003, in Banca Dati Utet, il quale ha aggiunto che la pronuncia di esecutorietà non è sostituibile da attestazione che abbia lo stesso valore da parte del giudice delegato in fase di verifica dei crediti da ammettere al passive; Trib. Roma, 5 dicembre 2000, in Dir. prat. soc., 2001, f. 14 15, 103, per il quale "la produzione di un certificato, rilasciato dalla cancelleria ed allegato al decreto ingiuntivo, attestante che awerso quest'ultimo non risultano proposte opposizioni, non costituisce di per sé modalità equivalente a quella prevista dalla legge - e, segnatamente, dall'art. 647 c.p.c. - per l'accertamento della definitività del decreto ingiuntivo; e di conseguenza la suddetta certificazione non costituisce supporto probatorio sufficiente ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare del credito di cui al decreto ingiuntivo, vieppiù ove il suddetto certificato non faccia alcuno specifico riferimento al numero del procedimento ed al nome delle parti di esso"). In contrario - e quindi per la sufficienza della semplice decorrenza del termine per l'opposizione - si può tuttavia obiettare, con la migliore dottrina processualistica, che l'art. 650, co. 1, c.p.c., nell'ammettere l'opposizione tardiva, indica chiaramente quale momento preclusivo la scadenza del termine indicato nel decreto, mentre sotto il profilo sistematico è decisivo il rilievo della perentori età dei termini di impugnazione e perciò anche, in mancanza di una esplicita enunciazione in contrario, del termine di cui trattasi (così MANDRIOL\, 2003, 51; in senso conf. v. altresì GARBAGNATI, 1991, 123, e CONTE, 2008, 790, il quale osserva correttamente che sarebbe incongruo far condizionare l'opponibilità del decreto alla massa non da un termine certo, ma da comportamenti di terzi, ed in particolare dalla celerità del giudice preposto alla verifica delle condizioni di esecutività nel provvedere in merito). • (8) Decreto ingiuntivo emesso ed opposto prima della sentenza di fallimento. In questo caso il giudizio di OpposIzione diventa improcedibile (o. se si preferisce. improseguibile) e. di conseguenza. il decreto ingiuntivo diventa inefficace nei confronti della massa dei creditori (così. ex pluribus. Trib. Cassino. 25 ottobre 2007. in Banca Dati Utet; Trib. Udine. 12 febbraio 2002. in Dir. fall., 2003, Il, 266; Trib. Padova, 26 giugno 2000. in Mass. Giur. civ. patavina. 2000; Cass.. 22 settembre 1997, n. 9346, in Fall.• 1998. 1218): ciò in quanto, dichiarato il fallimento del debitore opponente, l'accertamento del credito può essere fatto valere unicamente con lo speciale procedimento di verifica previsto e disciplinato dal combinato disposto degli artt. 52, 93 e ss.. I. fall. In questo senso si esprime un costante orientamento giurisprudenziale. secondo il quale, nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito, tale decreto - così come l'ipoteca giudiziale che sia stata iscritta in base ad esso - diviene inopponibile al fallimento, in quanto non ancora definitivo e. pertanto. privo della indispensabile natura di "sentenza impugnabile". esplicitamente richiesta dall'art. 95, co. 3, I. fall. (oggi art. 96 I. fall.), norma ritenuta di carattere eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica. Con la conseguenza che: a) il creditore, stante appunto l'inopponibilità alla massa del decreto e della eventuale ipoteca giudiziale, non può avvalersi dell'accertamento monitorio contenuto nel decreto non definitivo. né può ottenere l'ammissione al passivo per il credito costituito dalle spese sopportate per il giudizio monitorio e per l'iscrizione dell'ipoteca; fermo restando che il credito può tuttavia essere ammesso al passivo sulla base dell'esame della documentazione allegata al decreto (così Trib. Roma, 8 novembre 2000, in Gius, 2001, 2655); b) il criterio della competenza funzionale del giudice a cui è riferibile l'emissione del decreto cede a quello della competenza inderogabile del giudice fallimentare, ed il creditore opposto. per far valere le sue ragioni, deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo; c) inoltre, il curatore non subentra, né è tenuto a riassumere quel giudizio di opposizione, le cui eventuali ulteriori vicende restano vincolanti soltanto nei confronti del fallito al momento del suo ritorno in bonis [fra le decisioni più recenti v. Cass., 13 agosto 2008, n. 21565, in Fall., 2009, 237; Casso 15 maggio 2008, n. 12305, in Banca Dati Utet; Cass., 20 marzo 2006, n. 6098, in 0 Fall., 2006, 1451; Cass., 1 aprile 2005, n. 6918, in Fall., 2006, 150; Cass., 12 settembre 2003, n. 13444, in Fall., 2004, 1107; Cass., 4 giugno 2001, n. 7539, in Fall., 2002, 505: queste due ultime sentenze hanno precisato che il curatore non ha diritto di ripetere dal creditore la somma da questo incassata a seguito del pagamento (volontario o coattivo) eseguito dal debitore ingiunto, prima della sottoposizione alla procedura concorsuale, per effetto del titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo; Trib. Chieti, 1 luglio 2008, in Banca Dati Utet; App. 0 Catania, 6 marzo 2007, in Banca Dati Utet; Trib. Bari, 7 dicembre 2006, ibidem; Trib. Sulmona, 16 febbraio 2005, in Fall., 2005, 570; App. Napoli, 31 gennaio 2005, in Banca Dati Utet; Trib. Rovigo, 31 gennaio 2005, in Dir. fall., 2006, Il, 323; Trib. Modena, 16 marzo 2004, in www.giuraemilia.it; App. Bologna, 5 marzo 2004, in Gius, 2004, 2905 Trib. Reggio Emilia, 5 agosto 2003, in www.giuraemilia.it; App. Genova, 5 febbraio 2002, in Fall., 2003, 74; in dottrina v. per tutti FRANCO, 2009, 2113 ss.]. Se quindi il creditore opposto vuole ottenere una pronuncia giudiziale (sentenza) da utilizzare non nei confronti del fallimento, ma nei confronti del debitore opponente, dopo la chiusura del suo fallimento ed il suo ritorno in bonis, deve dichiarare espressamente in giudizio questa sua volontà, manifestandola nel ricorso per riassunzione, se il processo è stato interrotto dal giudice dell'opposizione. È anche interesse del debitore opponente riassumere il processo interrotto al fine di impedire che il decreto opposto diventi definitivo e quindi possa essere fatto valere come titolo di credito e per l'esecuzione, al momento del suo ritorno in bonis, per effetto della chiusura del fallimento (Cass., 23 marzo 2004, n. .. 5727, in Mass. Giur. it., 2004; Cass., 28 giugno 2006, n. 14981, in Fall., 2007, 105). (C) Decreto ingiuntivo emesso e notificato prima del fallimento del debitore, e da questo opposto, con giudizio di opposizione concluso o con sentenza di rigetto provvisoriamente esecutiva o passata in cosa giudicata. Nell'ipotesi di sentenza di rigetto provvisoriamente esecutiva bisogna ulteriormente distinguere il caso che questa sia passata in giudicato prima della dichiarazione di fallimento dell'ingiunto per non essere stata impugnata nel termine, dalla diversa ipotesi in cui la sentenza in parola sia stata impugnata o sia ancora impugnabile al momento della dichiarazione di fallimento dell'intimato: i) nel primo caso, è evidente che il decreto ingiuntivo passa in giudicato e quindi il relativo credito deve essere ammesso, previa insinuazione, nel passivo fallimentare; ii) nel secondo caso (che ricorre anche se, al momento della sentenza dichiarativa di fallimento, non sia ancora decorso il termine per l'appello), il decreto ingiuntivo, per effetto della sentenza di rigetto dell'opposizione, ha acquistato efficacia esecutiva ex art. 653 c.p.c.; orbene, la sentenza di rigetto, ancorché non passata in giudicato, vale come titolo per l'ammissione del credito ingiunto nello stato passivo fallimentare, salvo che vi sia impugnazione da parte del curatore. A tanto induce l'art. 95, co. 3, I. fall. (ora art. 96 I. fall.), per effetto del quale, almeno nel caso in cui la sentenza provvisoriamente esecutiva che abbia respinto l'opposizione non sia impugnata e sia però pendente il termine per il gravame, il giudice delegato deve ammettere nel passivo del fallimento il credito ingiunto (così FRANCO, 2009, 2118). (D) Decreto ingiuntivo emesso prima della sentenza di fallimento, ma con termine per proporre opposizione ancora pendente al momento della dichiarazione di fallimento. In questo caso il decreto ingiuntivo diventa inefficace nei confronti della massa dei creditori (così Cass., 31 ottobre 2007, n. 22959, in Fall., 2008, 785; Cass., 21 agosto 1987, n. 6998; Trib. Trani, 4 ottobre 2007, in Banca Dati Utet; Trib. Rovigo, 31 gennaio 2005, dt.; Trib. Modena, 16 marzo 2004, cit.; ), perché travolto dalla sentenza di fallimento (Cass., 22 settembre 1997, n. 9346, cit.). Esso, invece, continuerà a produrre i suoi effetti nei confronti dell'imprenditore personalmente e, se da quest'ultimo non tempestivamente opposto, diventerà definitivo e potrà essere fatto valere nei suoi confronti dopo la chiusura del fallimento (così Cass., 27 aprile 1981, n. 2542, in Mass. Giur. it., 1981). (E) Decreto ingiuntivo emesso dopo la dichiarazione di fallimento e notificato al fallito o al curatore. Se il decreto ingiuntivo viene notificato al fallito, al dichiarato fine di avere un titolo da opporgli dopo la chiusura del fallimento, vale quanto detto sub C); il decreto ingiuntivo notificato al curatore è, invece, inefficace, non essendo proponibile la domanda di pagamento in forma diversa dal procedimento di accertamento previsto dagli artt. 52 e 92 ss. I. fall. Ma cosa succede se, nonostante l'inefficacia ex lege del detto decreto, il curatore propone comunque opposizione? Tale opposizione è ammissibile? AI quesito ha risposto affermativamente la giurisprudenza di legittimità (Cass., 24 settembre 1991, n. 9944, in FaIl. , 1992, 50, ed in Giust. civ., 1992, l, 69), secondo la quale non può negarsi l'interesse ex art. 100 c.p.c., del curatore a proporre opposizione al fine di ottenere con autonoma pronuncia ed in via principale la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo. Trattasi infatti, a giudizio della Suprema Corte, di azioni di accertamento negativo, e l'interesse del curatore andrebbe ravvisato nella esigenza del superamento di una situazione di oggettiva incertezza, che può anzitutto riguardare la concreta portata e gli effetti di un provvedimento, allo scopo di rimuovere l'allegato pregiudizio derivante dalla suddetta esecutività, incertezza che può riferirsi anche all'effettiva individuazione del soggetto tenuto alla prestazione, ben potendo non essere sufficientemente chiaro, dal contenuto del provvedimento, se il decreto abbia per oggetto un credito concorsuale o un credito prededucibile.