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La gestione del credito Iva da parte del curatore

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La gestione del credito Iva da parte del curatore
Il Punto sull’Iva
La gestione del credito Iva da parte del curatore fallimentare
a cura di Ettore Trippitelli e Gianluca Festa
Considerazioni preliminari
La questione dei crediti Iva nel fallimento ha da sempre rappresentato una seria
problematica per gli organi della procedura, in primis per il curatore. Ciò, anche e non
solo per le difficoltà di recupero dovute a disposizioni di natura tributaria non sempre ben
coordinate con la normativa concorsuale.
A dire il vero, seppur con il tempo, il Legislatore fiscale da un lato e l’Amministrazione
Finanziaria in via interpretativa dall’altro, sono venuti “in soccorso” delle curatela
rendendo di fatto più agevole l’utilizzo dei crediti, ovvero la loro liquidazione nell’interesse
del ceto creditorio.
Preliminarmente andrà distinta l’ipotesi in cui il credito Iva, vantato dalla procedura, derivi
dall’attività del fallito da quella per la quale il credito si venga a formare nel corso del
fallimento. È di tutta evidenza come, secondo la fattispecie, diversa sarà la condotta che
dovrà porre in essere il curatore e, pertanto, le ripercussioni nella procedura.
Come di consueto, cercheremo di affrontare le varie casistiche privilegiando gli aspetti
tecnici ed operativi e suggerendo alcune norme di comportamento; con ciò limitando
volutamente a brevi cenni e richiami questioni prettamente giuridiche.
Nel presente contributo analizzeremo, quindi, le varie possibilità, a disposizione del
curatore, per ottimizzare il credito Iva; dalla richiesta di rimborso, passando alla
compensazione e quindi riporto del credito nella procedura, all’istituto della cessione ed
infine, qualora vi siano motivate ragioni, alla sua rinuncia.
Il tutto, coordinando le relative e specifiche norme fiscali con l’impatto che ha prodotto la
riforma fallimentare in materia di crediti fiscali.
Richiesta di rimborso o riporto nella procedura
Tralasciando, al momento, l’ipotesi che il credito si sia formato durante la procedura,
iniziamo col trattare il caso più ricorrente.
Caso 1
Caso in cui nell’attivo fallimentare sia compreso un credito Iva sorto in
dipendenza di operazioni compiute prima del fallimento.
Con quale dichiarazione chiedere il rimborso?
Innanzitutto è bene ricordare che, come per le imprese in bonis, anche per quelle
assoggettate a fallimento:
qualora dalla dichiarazione annuale
risulti un’eccedenza a credito
qualora, al contrario, ricorrano le
condizioni ex art.30 DPR n.633/72
oppure in caso di
cessazione dell’attività,
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l’importo può essere portato in detrazione nel periodo d’imposta successivo;
La riproduzione con qualsiasi metodo è vietata
può essere richiesto a rimborso.
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Ciò poiché la disciplina Iva non discrimina la fase ordinaria di gestione dell’impresa da
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quella di liquidazione anche concorsuale .
Ed ancora, è ben noto che la “cessazione attività” è da identificarsi col momento in cui
sono ultimate le operazioni rilevanti ai fini Iva, circostanza che non necessariamente (anzi
quasi mai) coincide con la chiusura del fallimento.
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Infatti sul punto, da tempo, l’Amministrazione Finanziaria ha riconosciuto che il curatore
fallimentare, proprio al fine di richiedere il rimborso dell’imposta, può presentare la
dichiarazione di cessazione di attività purché, ovviamente, non debbano essere poste in
essere operazioni rilevanti ai fini Iva.
Ciò detto, vediamo attraverso quale dichiarazione il curatore può chiedere il rimborso:
con la dichiarazione ex art.74-bis
o con la successiva dichiarazione annuale.
Come noto, la dichiarazione c.d. “74-bis” ha il precipuo scopo di “fotografare” la situazione
contabile (ai fini Iva) dell’impresa fallita alla data della sentenza dichiarativa. Secondo
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l’Amministrazione Finanziaria tale dichiarazione trova il presupposto solo nell’intervenuto
fallimento e, pertanto, non può essere assimilata alla dichiarazione annuale. Da ciò ne
consegue che il saldo a credito può essere richiesto solo se lo stesso emerge anche dalla
dichiarazione annuale ed alle condizioni previste dall’art.30 del DPR n.633/72.
In tal senso, peraltro, le stesse istruzioni ministeriali alla compilazione della dichiarazione
annuale.
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Di diverso avviso è sia la giurisprudenza della Suprema Corte sia della Commissione
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Tributaria Centrale . In buona sostanza i Giudici, con ampie argomentazioni, equiparano
tale dichiarazione alla cessazione dell’attività e, dal momento in cui la stessa renda
possibile l’insinuazione al passivo del debito d’imposta emergente, al pari, deve implicare
il diritto del curatore al rimborso del credito senza che il medesimo credito debba
necessariamente essere indicato nella successiva dichiarazione annuale.
Fermo restando che riteniamo condivisibile l’orientamento giurisprudenziale, reputando al
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tempo stesso alquanto deboli le motivazioni dell’Amministrazione Finanziaria ,
è comunque consigliabile richiedere il rimborso in sede di dichiarazione annuale
onde evitare un probabile contenzioso, seppur dal possibile esito favorevole alla
curatela.
Due diligence sul credito Iva
La prima verifica che il curatore ha il dovere di compiere è quella di riscontrare:
da un lato la correttezza
formale del credito con la
documentazione acquisita;
e dall’altro, soprattutto, accertarsi nei limiti del
possibile della “bontà” sostanziale di quanto
emerge dalla contabilità della società fallita.
In altri termini, se il curatore, già nella propria relazione al Giudice delegato che deve
presentare ai sensi dell’art.33 della Legge fallimentare, dovesse mettere in evidenza irregolarità
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R.M. n.103/E/02.
C.M. n.3/92 e C.M. n.19/93.
R.M. n.181/95.
Cass., sent. n.19072/03 e n.19169/03.
Sez. XX n.9455/04.
Non ravvisiamo alcun valido motivo per cui il curatore, qualora rispettate le condizioni ex art.30 DPR n.633/72, non possa chiedere il
rimborso in sede di dichiarazione ex art.74-bis.
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rilevanti e non marginali nella tenuta delle scritture contabili o, ancor peggio, riferisce anche
solo la possibilità che siano state emesse o utilizzate false fatture, è ovvio che, per logica
conseguenza, dovrà attentamente valutare il comportamento “fiscale” da tenere.
In caso di dissesto, un rilevante credito Iva (indipendentemente se già richiesto o no a
rimborso prima del fallimento) potrebbe celare operazioni illegittime, conseguenti spesso
a sottofatturazioni o vendite in nero, o per consentire la distrazione di somme di denaro
attraverso false fatture passive.
Tutto ciò, a maggior ragione, qualora il curatore propenda per non richiedere a rimborso il
credito ma riportarlo nella contabilità della procedura ai fini di future compensazioni,
verticali o orizzontali che siano. Chiariamo subito il nostro pensiero:
indipendentemente dall’esito della due diligence, in linea di massima
riteniamo non conveniente il riporto del credito.
Infatti, nel caso in cui il credito Iva “ante-fallimento” si riveli in tutto o in parte inesistente
ed il curatore lo abbia utilizzato in compensazione con ritenute ovvero in detrazione di Iva
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a seguito di operazioni post-fallimento , secondo la prassi ministeriale il curatore dovrà
versare, ovviamente in prededuzione, l’importo del credito Iva non spettante ed utilizzato;
con ciò lasciando ben immaginare la serietà delle conseguenze in capo al curatore.
Se vi saranno fondi sufficienti, il problema è, per così dire, limitato alle sanzioni ed agli
interessi che non dovrebbero di certo gravare sulla procedura. Altra questione è se, nel
frattempo, è stato eseguito il riparto finale. Nulla di più semplice che l’Agenzia delle
Entrate si rivolga direttamente al curatore per il pagamento del dovuto.
Tornando all’ipotesi, per i motivi di cui sopra certamente consigliata, di propendere per la
richiesta di rimborso, vediamo in cosa può consistere l’attività di due diligence.
Verificare l’esistenza e correttezza, sotto il profilo formale, della documentazione
contabile a supporto del credito
Verificare l’esistenza e la regolarità, sotto il profilo formale, delle dichiarazioni fiscali i cui
termini per l’attività di controllo non sono ancora decorsi
Verificare la pendenza di contenziosi tributari
Richiedere l’attestazione ex art.10 D.L. n.269/03 per la certezza e liquidità del credito
Richiedere l’attestazione dei carichi pendenti all’Agenzia delle Entrate ed al Concessionario
Verificare la possibilità di compensazione tra crediti e debiti ex art.56 L. fall.
È appena il caso di precisare che tale attività, in ogni caso, sarà comunque eseguita dalla
società di factoring individuata dalla curatela per l’eventuale cessione del credito.
Esecuzione del rimborso o compensazione
Ipotizzando che il curatore abbia presentato la richiesta di rimborso, sempre se ricorrenti
una o più delle condizioni stabilite dall’art.30 decreto Iva ovvero in caso di cessata attività,
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La cui Iva è da liquidare e versare in prededuzione.
R.M. n.166/E/02.
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il rimborso sarà eseguito senza la presentazione di garanzia fideiussoria purché l’importo
del credito (complessivo e non per periodi d’imposta) non ecceda €258.228,45. Appare
evidente come il curatore dovrà prudenzialmente evitare ripartizioni delle somme
rimborsate sino a quando non sarà scaduto il termine per l’attività di accertamento e
quindi rettifica del credito. O, forse, è auspicabile che l’Ufficio prima di erogare il rimborso
proceda alla verifica sostanziale della correttezza del credito, come peraltro
raccomandato con la C.M. n.19/93.
In ogni caso, anche se vi è stato un controllo dell’Ufficio, lo stesso può chiedere la
restituzione (anche in parte) del rimborso già erogato a seguito di fatti o elementi
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sopravvenuti ; pertanto, è raccomandabile la massima prudenza prima di procedere
alla ripartizione delle somme.
F Compensazione ex art.56 Legge fallimentare
Nella prassi, il curatore sovente si trova ad affrontare questa situazione:
l’Amministrazione Finanziaria, chiamata ad erogare il rimborso, eccepisce la
compensazione del credito vantato dalla curatela con i crediti vantati dall’erario.
Va da subito chiarito che nessun dubbio sorge in ordine alla compensabilità tra
crediti e debiti tributari certi, liquidi ed esigibili i cui presupposti si sono verificati
prima del fallimento.
Infatti, ai sensi dell’art.56 della L. fall., l’Amministrazione Finanziaria (al pari di ogni altro
creditore concorsuale) ha diritto di compensare con i propri debiti verso il fallito (e quindi
la massa) i crediti anche se non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
Ovviamente, l’unica condizione per l’operatività della compensazione è la preesistenza
del fatto genetico di entrambi (credito-debito) rispetto alla data del fallimento. Gli altri due
presupposti richiesti dalla legge (liquidità e esigibilità) pur necessari devono sussistere al
momento in cui la compensazione viene eccepita.
Ci si chiede: il credito dell’Amministrazione Finanziaria, per essere eccepito in
compensazione con il suo debito verso la massa, deve necessariamente
essere accertato in sede di verificazione del passivo?
L’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che:
ove il curatore
agisca per il recupero di un credito
il
terzo
convenuto
può opporre in via di eccezione
la compensazione con un
proprio credito verso il fallimento
anche se non
insinuato.
T
nel caso
in esame
l’A.F.
La ragione risiede nel fatto che il terzo chiede l’accertamento della sua pretesa creditoria
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non per partecipare al concorso ma unicamente per contrastare la pretesa del curatore .
In altri termini, il creditore-debitore in bonis con l’eccezione di compensazione non
chiede la verifica accertamento del proprio credito ai fini della procedura concorsuale
bensì il mero accertamento dell’effetto estintivo.
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Ad esempio, a seguito di controlli incrociati da cui emerge l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Cass., Sez. I, sent. n.18223/02.
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Ben diversa è l’ipotesi in cui il credito Iva sorga durante la procedura in seguito ad
operazioni compiute dalla curatela.
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In tal casi, la stessa Agenzia delle Entrate ha risolto la questione nel senso di escludere
la compensazione trattandosi di posizioni creditorie-debitorie riferite a soggetti diversi
(massa fallimentare – fallito) e a momenti diversi (successivo il credito della massa ed
anteriore il credito erariale).
Cessione pro-soluto o definitiva rinuncia
Una prassi ben nota ai curatori fallimentari, che si vedono in tal senso destinatari di diverse
offerte da parte di primarie società di intermediazione finanziaria, è quella di ricorrere alla
cessione pro-soluto dei crediti erariali, quasi sempre riconducibili ai crediti Iva.
Normalmente i crediti che sono acquisiti con maggiore celerità e pagati con una
soddisfacente percentuale sono quelli maturati in corso di procedura, stante la
sostanziale assenza di rischi per la società cessionaria.
Al contrario, per i crediti maturati antecedentemente al fallimento, tutte le società finanziarie
procedono ad un’attenta valutazione “caso per caso” prima di formulare una proposta di
acquisto. Praticamente, la medesima attività di due diligence detta in precedenza.
A nostro avviso, viste da un lato le difficoltà di cessione dei crediti ante-fallimento e
dall’altro la non esaltante percentuale che normalmente viene proposta,
è conveniente (laddove possibile) richiedere al più presto il rimborso (facendo
precedere la cessazione della partiva Iva) sempre ove la procedura per le sue
peculiarità (azioni revocatorie, azioni di responsabilità ecc…) abbia in preventivo
tempi lunghi.
In questo modo (risolto il problema delle garanzie) ed incassata la somma, il curatore
eseguirà il riparto solo dopo la decadenza del termine per l’accertamento ex art.57 del
DPR n.633/72.
Viceversa, con riferimento al credito sorto durante il fallimento o nel caso di procedura
destinata a chiudersi entro breve termine, può senz’altro convenire la cessione pro-soluto
del credito che per il fallimento ha l’indubbio vantaggio di:
 ridurre i tempi di chiusura;
 consentire una certezza e definitività nel recupero di una parte del credito ad
incremento dell’attivo e quindi a vantaggio del ceto creditorio.
Qualora, per inattendibilità del credito ovvero per la sua irrilevanza anche in ragione
dell’attivo fallimentare, il curatore ritenga non conveniente né procedere con la richiesta di
rimborso né con la cessione, dovrà essere autorizzato dal comitato dei creditori ex art.35
L. fall. a rinunciarvi; in ogni caso, qualora il credito sia superiore a €50.000, è necessaria
una preventiva comunicazione al Giudice delegato.
L’impatto della riforma fallimentare sulla gestione dei crediti fiscali
Le norme della legge fallimentare, come riformata tra il 2005 e 2007, che hanno diretta
influenza sulla gestione dei crediti fiscali sono:
art.104-ter
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in relazione al programma di liquidazione
art.106
con riferimento alle cessione dei crediti
art.107
avuto riguardo alle modalità delle vendite
art.17
in ordine all’assegnazione dei crediti in sede di ripartizione
R.M. n.279/E/02.
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Riteniamo che ogni previsione e volontà del curatore in relazione alla gestione del
credito Iva (indipendentemente se l’orientamento del curatore sia diretto alla richiesta
di rimborso, alla successiva cessione o meno pro-soluto nonché all’eventuale
rinuncia) deve trovare spazio nel programma di liquidazione.
Nel caso in cui il curatore reputi non conveniente attendere i tempi di erogazione del
rimborso (con tutte le criticità evidenziate) può, ai sensi dell’art.106, monetizzare i crediti
fiscali procedendo alla loro cessione.
È bene evidenziare che la cessione del credito, come peraltro ogni altra vendita e/o atto
posto in essere in esecuzione del programma di liquidazione, deve essere eseguita dal
curatore tramite procedure competitive (anche avvalendosi di soggetti specializzati)
ricorrendo ad adeguate forme di pubblicità al fine di assicurare la massima informazione
agli interessati; il tutto, ovviamente, per “spuntare” il miglior corrispettivo è quindi la
percentuale più alta, in relazione al credito in linea capitale.
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Infine, un accenno alla norma (di assoluta novità) prevista dal co.3 dell’art.117 L. fall.
ossia l’assegnazione dei crediti fiscali ai creditori in sede di riparto finale.
Tale previsione, sebbene sia da salutarsi in modo certamente positivo poiché andrebbe a
risolvere le annose questioni riferite nel presente contributo, è destinata almeno per ora a
restare “inattuata”.
Infatti, manca la disposizione tributaria che consenta all'assegnatario di utilizzare i crediti
(ricevuti) in compensazione, e che quindi renda l'opzione attrattiva per il creditore
concorrente. Al momento, paradossalmente, solo l’erario potrebbe essere il creditore
consenziente e interessato. Un altro esempio, tra tanti, del mancato coordinamento tra la
normativa fallimentare e quella fiscale.
SCHEMA SINOTTICO RIEPILOGATIVO
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CREDITO IVA
PRECONCORSUALE
Da valutare l’attendibilità con la massima attenzione
attraverso una due diligence fiscale
Da evitare il riporto in detrazione nella contabilità del
fallimento
Da chiedere a rimborso solo se ritenuto conveniente in
rapporto all’attivo già realizzato o presumibilmente da
realizzarsi
Da rinunziare se ritenuto non attendibile ovvero
economicamente non conveniente
Può essere oggetto di compensazione da parte dell’A.F.
con crediti erariali ex art.56 L.F.
CREDITO FORMATOSI
DURANTE IL
FALLIMENTO
Normalmente certo ed incontestabile poiché sorto a
seguito di operazioni compiute dal curatore
Da chiedere a rimborso solo se ritenuto conveniente in
rapporto all’attivo già realizzato
In alternativa da cedere pro-soluto
Da rinunziare se economicamente non conveniente
Non può essere oggetto di compensazione con crediti
erariali
Art. 117, co.3: “Il giudice delegato, nel rispetto delle cause di prelazione, può disporre che a singoli creditori che vi consentono siano
assegnati, in luogo delle somme agli stessi spettanti, crediti di imposta del fallito non ancora rimborsati”.
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