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nuova secondaria ricerca - Edu.lascuola
NUOVA SECONDARIA RICERCA
Alternanza e istruzione e formazione
professionale: doppia occasione persa
di Emmanuele Massagli
L’articolo 6 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 conteneva «Disposizioni in materia di istruzione e formazione» stralciate durante
i lavori di conversione del decreto in legge 99 del 9 agosto 2013. La storia dell’abrogato articolo è significativa della difficoltà del Legislatore a intervenire in materia di istruzione e formazione professionale. Il costante rinvio a futuro decreto della risoluzione dei più
gravi difetti normativi che affliggono la IeFP determina il perdurare di situazioni normativamente, culturalmente e scientificamente
discutibili come l’estrema diffusione della c.d. sussidiarietà integrativa ex punto 2.2 delle «Linee Guida di cui all’articolo 13, comma
1-quinquies del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40» approvate in Conferenza Unificata il
16 dicembre 2010, ovvero lo strumento con il quale la maggior parte delle Regioni italiane sostituisce l’obbligo costituzionale di costruzione di un’offerta triennale o quadriennale di istruzione e formazione professionale con i tradizionali percorsi scolastici. Questa
scelta è in netta controtendenza con quanto da anni è dimostrato dall’Unione Europea, che ha prodotto numerose indagini per documentare l’efficacia della vocational education and training (VET) come strumento di contrasto alla dequalificazione e alla disoccupazione giovanile grazie all’integrazione scuola lavoro. Purtroppo anche il recente decreto legge 76 non è riuscito a modernizzare
la legislazione italiana in materia.
Article 6 of Legislative Decree No. 76/2013 laid down “Provisions on education and training” which were disregarded at the time of converting
the decree into Act No. 99 of 9 August 2013. The repeal of the foregoing article points to the difficulty on the part of the Legislator to make
provisions concerning education and vocational training in Italy. Postponing the attempt to solve the serious shortcomings which characterize
national education and vocation training questions the validity of the provisions in place in legal, cultural and academic terms. An example
in this connection is the widespread recourse to sussidiarietà integrativa pursuant to ex comma 2.2., Guidelines contained in Article 13, 1quinquies of Law-Decree 31 January 2007, no. 7, converted by Law No. 40 of 2 April 2007, which was passed during an agreement concluded
between the parties involved (the State, the Regions and the social actors) on 16 December 2010. This is deemed to be an useful tool through
which the majority of Italian Regions replaces the requirement laid down in the Constitution to set up traditional vocational and educational
programmes lasting three to four years. This trend somehow runs counter what argued by the European institutions, which carried out a
number of surveys in support of vocational education and training as an instrument to tackle overqualification and youth unemployment,
by means of effective alternation between school and work. Regretfully, the foregoing decree has proven likewise unsuccessful in modernizing
relevant Italian legislation.
Sommario: 1. L’articolo 6 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 – 1.2. Il raccordo tra Istruzione Professionale e Istruzione e Formazione Professionale – 1.2.1. La sussidiarietà integrativa – 1.2.2. La sussidiarietà complementare – 1.3. Le differenze tra sussidiarietà integrativa e complementare – 2. La norma stralciata – 2.1. Il dibattito parlamentare – 3. Ciò che rimane della formazione professionale:
i commi contenuti negli articoli 2 e 9 – 3.1. Il tirocinio extra-curriculare – 3.2. L’alternanza scuola lavoro – 3.2.1. La riforma mancata –
4. La riforma mancata bis: il c.d. DL Scuola – 5. Conclusioni – 6. Nota bibliografica
1. L’articolo 6 del decreto-legge 28 giugno
2013, n. 76
L’articolo 4 della bozza del decreto-legge 28 giugno 2013 n.
76, circolato in rete fino al giorno della pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, recava «Disposizioni in materia di istruzione, formazione e Enti di ricerca» e conteneva sei commi
volti ad ampliare gli spazi di flessibilità per la sussidiarietà
integrativa, ad aumentare la dotazione economica del fondo
per gli istituti tecnici superiori (ITS), ad assumere personale
© NS Ricerca n. 3, novembre 2013
con compiti ispettivi e di monitoraggio nelle scuole, a permettere agli enti pubblici di ricerca la deroga alle procedure
sulle assunzioni.
Notizia positiva era contenuta al comma 1, quello dedicato
agli ITS; neutrali in termini di miglioramento dell’istruzione
e formazione i commi 4 e 6, riguardanti la valorizzazione e
sviluppo professionale dei docenti, l’assunzione di ispettori
e la deroga sul personale per gli enti pubblici di ricerca. La
“nota stonata” era da subito parso il comma 3, dedicato al
1
NUOVA SECONDARIA RICERCA
potenziamento delle ore di flessibilità negli istituti professionali, ovvero l’unico passato indenne alla discussione in
Consiglio dei Ministri e quindi pubblicato in Gazzetta Ufficiale, diventando comma singolo dell’articolo 6 consegnato
alla discussione emendativa del Senato per la conversione in
Legge («Disposizioni in materia di istruzione e formazione»).
1.2. Il raccordo tra Istruzione Professionale e
Istruzione e Formazione Professionale
La norma superstite permetteva agli istituti professionali statali di utilizzare anche nel primo anno del secondo biennio
spazi di flessibilità entro il 25% dell’orario annuale delle lezioni per «favorire organici raccordi tra i percorsi di istruzione e formazione professionale regionale e quelli degli
istituti professionali statali»1, svolgendo i primi in regime di
«sussidiarietà integrativa». Per farlo era permesso agli istituti di Stato derogare quanto previsto nell’articolo 5, comma
3, lettera c) del D.P.R. 15 marzo 2010 n. 87, che limita tale facoltà al solo primo biennio2.
Poche righe, apparentemente marginali, leggibili come dovuto atto amministrativo per sanare una situazione di vuoto
normativo nell’ambito dell’utilizzo della «sussidiarietà integrativa».
1.2.1. La sussidiarietà integrativa
Il termine «sussidiarietà integrativa» deve la sua formalizzazione al punto 2.2 delle «Linee Guida di cui all’articolo 13,
comma 1-quinquies del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7,
convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40» approvate in Conferenza Unificata il 16 dicembre 2010. Le Linee Guida, in seguito recepite da un decreto del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca3, hanno inteso indirizzare le
modalità di raccordo tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale, in
coerenza con le «Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli istituti professionali, primo biennio», di cui
alla Direttiva MIUR n. 65 del 28 luglio 2010 n. 65.
Al Capo II, le Linee Guida del 16 dicembre 2010 recano «Offerta sussidiaria degli Istituti Professionali». Chi ha maggiore
confidenza col termine “sussidiarietà” in ambito politico e
amministrativo, non può non notare la diversa sfumatura
di significato assunta dal termine in questo caso. Se infatti
nel campo dei poteri pubblici e dei soggetti privati è previsto che «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato,
2
sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza»4 (sussidiarietà verticale) e che tutti questi attori
pubblici «favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale, sulla base del principio di sussidiarietà»5 (sussidiarietà orizzontale), in questo caso la definizione è ribaltata: si regola il ruolo sostitutivo dello Stato rispetto
all’autonomia delle Regioni (le quali hanno competenza
esclusiva sull’istruzione e formazione professionale, IeFP) e
delle Agenzie, prevalentemente private, che operano nelle
stesse Regioni mediante i diversi sistemi di accreditamento.
Di conseguenza è sancito nelle Linee Guida che «gli Istituti
Professionali possono svolgere, in regime di sussidiarietà
(…) nel rispetto delle competenze esclusive delle Regioni,
un ruolo integrativo e complementare nei confronti dell’offerta delle istituzioni formative del sistema di IeFP». La ratio
della previsione è quella di «assicurare il diritto degli studenti in possesso del titolo conclusivo del primo ciclo di accedere ai percorsi del secondo ciclo sia nell’istruzione
secondaria superiore, sia in quelli del sistema di IeFP».
Effettivamente tale opzione è un diritto di ogni giovane italiano dal 2005, grazie all’articolo 2 comma 1 lettera g) della
legge 28 marzo 2003 n. 53 (c.d. Legge Moratti) e dai successivi Decreto Legislativo 17 ottobre 2005 n. 226 e legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 64, c. 4 bis6.
La completa fruibilità di questo diritto prevedrebbe la necessaria strutturazione di un’offerta di IeFP reale, distinta
dai tradizionali percorsi di istruzione professionale ed erogata tramite le strutture formative accreditate dalle Regioni.
I dati ISFOL7 dimostrano, però, che a quasi dieci anni dalla
1. L’Istruzione Professionale (IP), erogata tramite gli Istituti Professionali, è di esclusiva competenza statale e dipende dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca. L’offerta formativa è organizzata su cinque anni di scuola. Diversamente,
l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) è erogata tramite i Centri di Formazione
Professionale (CFP) accreditati dalle Regioni, le quali hanno competenza esclusiva su
questa offerta, previo il rispetto dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) definiti dal D.
Lgs. 17 ottobre 2005 n. 226. I percorsi formativi di IeFP prevedono 22 qualifiche triennali e 21 diplomi quadriennali. Sia l’IP che la IeFP si rivolgono prevalentemente ai giovani a partire dai 14 anni e consentono di assolvere l’obbligo di istruzione e il
diritto-dovere all’istruzione e alla formazione.
2. Al secondo biennio è dedicata la lettera b) dello stesso comma, in coerenza con
quanto concordato nelle «Linee Guida di cui all’articolo 13, comma 1-quinquies del
decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40» approvate in Conferenza Unificata il 16 dicembre 2010 (punto 2.2).
3. Decreto MIUR 18 gennaio 2011 n. 4.
4. Articolo 118, comma 1, Costituzione italiana.
5. Articolo 118, comma 4, Costituzione italiana.
6. Per una più completa ricostruzione normativa della materia si veda il Quadro riepilogativo della normativa e dei documenti di riferimento sul II ciclo e i percorsi di IFP dal
2003 al 2012 in ISFOL, Percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno della
sussidiarietà a.f. 2011-12. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, Roma, dicembre 2012, pag. 11.
7. ISFOL, Percorsi, cit.
© NS Ricerca n. 3, novembre 2013
NUOVA SECONDARIA RICERCA
parificazione di IeFP e IP (Istruzione Professionale) sono
solo sette le Regioni che hanno assicurato un’offerta strutturale di istruzione e formazione professionale recependo i
livelli essenziali di prestazione (LEP) nella propria legislazione e iscrivendo il finanziamento della IeFP nel bilancio
regionale.
La maggioranza delle Regioni, quindi, eroga la IeFP non mediante strutture formative accreditate, ma ricorrendo alle
ore di flessibilità concesse agli Istituti Professionali. Scaricando, quindi, il finanziamento della formazione sul bilancio statale, poiché strutture, organici e docenti sono pagati
dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Solo la modalità più “pura” grava sul bilancio regionale, spesata con risorse proprie, con fondi europei e con trasferimenti dall’unico stanziamento nazionale previsto a questo
scopo (nonostante la natura di LEP), ovvero un fondo destinato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di
importo pari a poco più di 180 milioni di euro nel 20128, dei
quali l’80% destinati sulla base degli iscritti ai centri di formazione professionale CFP e per il 20% sulla base degli
iscritti a scuola9.
Se si considera che gli studenti del canale formativo professionale sono quasi centuplicati rispetto al primo anno sperimentale di IeFP (da 23.562 nel 2003/2004 a 241.620 nel
2011/2012)10, pur diminuendo le risorse ad essi destinate al
momento della messa a regime dei percorsi di IeFP11, si comprende la prima e sostanziale “difesa” delle Regioni inadempienti all’obbligo di strutturazione di una vera offerta di
istruzione e formazione professionale: scarse risorse in bilancio.
Invero dietro a questa ragione, pur fondata, si nascondono
ancor più insormontabili motivi ideologico/politici, che
hanno convinto Regioni relativamente ricche come Toscana,
Marche, Umbria ed Emilia Romagna12 ad assolvere al proprio compito solo mediante la «sussidiarietà integrativa» di
cui alle citate Linee Guida.
1.2.2. La sussidiarietà complementare
Modello ben diverso è quello scelto negli anni da Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e le Province di
Trento e Bolzano in primis, ma anche da Lazio e Liguria, seppur con numeri più piccoli. In queste Regioni si è costruito
un vero canale di formazione professionale triennale e quadriennale alternativo all’istruzione professionale quinquennale, erogato da Agenzie accreditate e scelto da un numero
crescente di studenti. Questa significativa e costante moltiplicazione dei frequentanti ha però completamente assor© NS Ricerca n. 3, novembre 2013
bito la capacità dei centri di formazione professionale di rispondere alla domanda, obbligando le Regioni a ricorrere
alla «sussidiarietà complementare» degli istituti pofessionali
così come regolata dal punto 2.2, Tipologia B, delle Linee
Guida del 2010: «Gli studenti possono conseguire i titoli di
Qualifica e Diploma Professionale presso gli Istituti Professionali. A tal fine, gli Istituti Professionali attivano classi che
assumono gli standard formativi e la regolamentazione dell’ordinamento dei percorsi di IeFP, determinati da ciascuna
Regione nel rispetto dei livelli essenziali di cui al Capo III
del decreto legislativo n. 226/2005, ferma restando l’invarianza della spesa rispetto ai percorsi ordinari degli istituti
professionali secondo quanto previsto al punto 4».
1.3. Le differenze tra sussidiarietà integrativa e
complementare
Negli anni è andato quindi formandosi un sistema quadripolare, normativamente e politicamente complesso.
Le Province di Trento e Bolzano, sfruttando i maggiori margini di autonomia giuridica ed economica garantitigli dallo
Statuto Speciale e la solida cultura di formazione professionale ereditata dai confinanti Paesi di lingua tedesca, sono
riuscite a strutturare un’offerta di istruzione e formazione
professionale interamente gestita dalle Province, senza ricorrere al supporto “sussidiario” dello Stato13.
Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Lazio e
Liguria (pressappoco in ordine di rapporto tra diffusione
della IeFP e della IP) hanno costruito un sistema misto, caratterizzato dall’offerta regionale, incapace però di esaurire
la domanda e quindi necessariamente bisognosa dell’aiuto
della Istruzione Professionale, alla quale si ricorre mediante
la sussidiarietà complementare, quindi senza commistioni
8. Per comprendere le dimensioni del trasferimento, si consideri che la sola Lombardia impegna ogni anno per il diritto-dovere 210.354.015 euro. A seguire il Veneto
(82.557.337) e il Lazio (48.500.000). Per i dati completi si veda: ISFOL, Percorsi, cit., pag.
39.
9. Si veda l’ultimo Decreto del Direttore Generale per le Politiche per l’Orientamento
e la Formazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 871 del 5 novembre 2012 per le ripartizioni di dettaglio.
10. Fase terminata con l’emanazione dei regolamenti di riordino della secondaria di
II grado, come previsto dall’Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio 2011 recepito con Decreto Interministeriale MIUR/MLPS dell’11 novembre 2011.
11. Nei primi anni di sperimentazione il fondo del Ministero del lavoro era affiancato
da altri stanziamenti disposti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
12. Quest’ultimo è un caso particolarmente significativo, poiché la Regione è normativamente ferma a prima del 2003 e prevede la formazione professionale biennale
solo successivamente al periodo scolastico.
13. Non solo hanno declinato l’intervento “sussidiario” statale, ma addirittura non
hanno attivato i quinquenni dell’Istruzione Professionale. Un ragazzo di quattordici
anni può quindi scegliere o l’Istruzione Tecnica “tradizionale” o l’Istruzione e Formazione Professionale di competenza provinciale.
3
NUOVA SECONDARIA RICERCA
tra i due canali formativi, ma chiedendo alla scuola di comporre classi interamente dedicate alla Istruzione e Formazione Professionale.
Toscana, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Valle D’Aosta
hanno politicamente deciso di non costruire un’offerta regionale di IeFP, scaricando sulla scuola la responsabilità di
questo canale costituzionalmente garantito mediante la sussidiarietà integrativa, quindi permettendo agli studenti delle
classi quinquennali di conseguire anche (o solo) il titolo
triennale usufruendo degli spazi di flessibilità del primo
biennio.
Da ultimo, è doveroso segnalare anche la situazione delle restanti Regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), tuttora di difficile
interpretazione a cause di normative assenti14, numeri dichiarati non corrispondenti o addirittura nulli15, situazioni
di grave inadempimento16.
Tralasciando i due estremi, è evidente la differenza tra la sussidiarietà complementare e quella integrativa: la prima, nella
prassi, è lo strumento nelle mani delle Regioni “virtuose”
(per quanto concerne l’adempimento dei compiti assegnatigli in materia di formazione professionale) per soddisfare
la domanda di formazione non accoglibile nelle strutture
accreditate. Con la sussidiarietà complementare, infatti, si
chiede alle scuole di comporre delle classi dedicate alla Istruzione e Formazione Professionale. Che certamente, così erogata, risente della diversa preparazione della classe docente
e della diversa filosofia dell’istituzione, ma evita commistione tra i due percorsi, quello triennale e quello quinquennale.
Al contrario, la sussidiarietà integrativa è divenuta negli anni
l’occasione per le Regioni inadempienti di aggirare i compiti assegnati dalla Riforma del Titolo V della Costituzione
(1997-2001) e dalla Legge Moratti (2003). È concessa ai ragazzi la possibilità di conseguire una qualifica triennale solo
attraverso l’obbligatoria frequentazione dei corsi statali
quinquennali, terminabili dopo tre anni a patto di lavorare
più dei compagni di classe per recuperare le competenze
professionali nei momenti di flessibilità oraria. Più semplicemente: il canale di IeFP, pensato per fornire ai giovani
competenze subito spendibili nel mondo del lavoro grazie a
un rapporto più diretto con le imprese e a un periodo di formazione ridotto, diventa, nelle Regioni citate, un “lusso” formativo che impegna maggiormente il giovane obbligandolo
a rimanere ancor più tempo in aula. Si realizza il contrario
di quella che dovrebbe essere la formazione professionale
come immaginata nella legge 53 del 2003: un percorso pen-
4
sato per essere più breve, esperienziale ed economico per le
casse pubbliche, diventa più difficoltoso teoricamente e
come impegno di tempo, nonché maggiormente dispendioso per lo Stato.
2. La norma stralciata
Tale percorso è talmente complesso da organizzare nel solo
biennio (poiché a norma del DPR 10 marzo 2010 n. 87 la
quota di flessibilità di queste sole annualità è quella utilizzabile)17 che diventa impossibile per le Regioni adempiere
all’impegno preso con i ragazzi ai quali si è promesso il conseguimento della qualifica dopo tre anni.
È per risolvere questo problema, certamente non secondario,
che i tecnici del competente Ministero hanno redatto lo
stralciato articolo 6 del Decreto Legge.
Le poche righe della disposizione normativa permettevano
di rendere più agibile l’«offerta sussidiaria integrativa» come
definita dalle Linee Guida del 2010, superando il vincolo di
flessibilità al primo biennio. Si risolveva così quanto segnalato dalla prassi: l’assoluta impossibilità pratica di sfruttare
la previsione normativa entro «i limiti degli assetti ordinamentali e delle consistenze di organico» previsti dallo stesso
D.P.R. 15 marzo 2010 n. 87.
Per quanto guidata da un intento corretto, quantomeno
come attenzione verso gli incolpevoli fruitori finali, ovvero
gli studenti, la disposizione non nascondeva troppo la sua
origine “statalista”. L’articolo 6, infatti, era rilevante per i soli
istituti professionali di Stato, resi più competitivi dalla possibilità di poter effettivamente garantire anche la qualifica
triennale.
Così facendo il Legislatore, ancora una volta, dimenticava
che in Italia il vero canale di formazione professionale è
quello regionale, non scolastico e non statale, attivato a seguito della Riforma del 2003 e da essa parificato agli altri ordini scolastici. Forme ibride e “grigie” di assolvimento di
questo compito costituzionalmente assegnato restano (o dovrebbero restare) eccezioni, per quanto numericamente affermatesi come normalità. L’anomalia della norma abrogata
durante i lavori di approvazione della Legge 9 agosto 2013,
14. È il caso della Campania.
15. È il caso della Sardegna, che ha dichiarato zero studenti per l’anno 2011/2012.
16. Si ricordano alcune denunce pubbliche relative alla Sicilia, che segnalano frequenti ritardi nell’attivazione delle classi. È nota la difficoltà della Regione nel controllo di tutta la Formazione Professionale, obbligatoria e non obbligatoria.
17. Il 35% di flessibilità nel secondo biennio e il 40% nell’ultimo anno è destinato ad
altro fine: «corrispondere alle esigenze del territorio e ai fabbisogni formativi espressi
dal mondo del lavoro e delle professioni».
© NS Ricerca n. 3, novembre 2013
NUOVA SECONDARIA RICERCA
n. 99, dunque, non risiedeva tanto nella possibilità di deroga
all’utilizzo della flessibilità oraria negli istituti professionali,
quanto nella strutturalità di una concessione non finalizzata
a salvare una situazione già in svolgimento, con carattere di
temporaneità, allo scopo di tutelare gli studenti in corso
nella IP, bensì mirante esplicitamente a perfezionare il meccanismo della sussidiarietà integrativa dimostratosi difettoso nella originale formulazione delle Linee Guida del 2010
poiché ostacolato dalle previsioni del precedente D.P.R.
87/2010.
2.1. Il dibattito parlamentare
Attorno a questo articolo, apparentemente insignificante per
i non addetti ai lavori, si sono confrontate, approfittando del
dibattito parlamentare, le tradizionali correnti di pensiero
dottrinale e amministrativo sulla Istruzione e Formazione
Professionale italiana.
A favore della norma si sono espresse le Regioni del CentroNord che da sempre utilizzano la sussidiarietà integrativa e
il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
che ha tuttora “in casa” il problema che si tentava di risolvere
(il terzo anno dei giovani “sussidiariati”). Sposavano questa
direzione culturale anche due emendamenti di riscrittura
dell’articolo 6 presentati da alcuni esponenti della maggioranza18.
Bifronte lo schieramento dei contrari.
Da una parte, alcune grandi centrali della formazione professionale, diffuse su tutto il territorio nazionale, hanno visto
nella legge in conversione un ottimo veicolo per affermare la
purezza del percorso regionale, presentando un emendamento mirante ad abrogare le sussidiarietà integrativa e
complementare a partire dall’anno scolastico 2017/201819.
Posizione assolutamente ragionevole, ma contraddittoria internamente. L’affermazione di un principio fondato (anche
a parere di chi scrive), ovvero la necessità di un vero canale
alternativo all’istruzione professionale su tutto il territorio
nazionale, era declinata impedendo tanto la forma di sussidiarietà (al contrario) realmente utilizzata in funzione sostitutiva, quella integrativa, quanto quella complementare,
ovvero il veicolo attraverso il quale le Regioni che hanno
normativamente e culturalmente sposato la IeFP erogano la
formazione che non riescono a soddisfare nelle strutture accreditate (funzione realmente complementare e non sostitutiva). A questo secondo gruppo di Regioni era così negata
questa possibilità senza nessun impegno dello Stato a maggiori trasferimenti economici per accogliere le richieste respinte dalle Amministrazioni per meri, ma concretissimi,
© NS Ricerca n. 3, novembre 2013
motivi di bilancio. Probabilmente l’apposizione della curiosa
scadenza temporale riferita a settembre 2017 aveva proprio
lo scopo di dare tempo allo Stato e alla Ragioneria di trovare le risorse chieste a gran voce da Lombardia e Veneto soprattutto. Una garanzia fumosa: il rischio concreto era la
diminuzione degli iscritti alla IeFP a partire dal 2017, poiché
sia i giovani impegnati in sussidiarietà integrativa che, soprattutto, quelli impegnati nella complementare, realisticamente sarebbero stati dirottati sulla IP.
Un emendamento di questo genere ha, quindi, allarmato le
Regioni che maggiormente utilizzano la seconda forma di
sussidiarietà e ha compattato un fronte alternativo di operatori avversi all’articolo 6, che ha provato ad emendare il
Decreto Legge 20 rendendo l’articolo 6 norma temporanea,
abolendo la sussidiarietà integrativa a partire dal successivo
anno scolastico e obbligando la sussidiarietà complementare entro percentuali massime di iscrizioni ai percorsi triennali. Culturalmente la direzione di questo correttivo era la
stessa della proposta precedente, ma la soluzione legislativa
certamente più pragmatica: si salvavano così i percorsi in
svolgimento, si superava la sussidiarietà “grigia”, quella sostituiva, garantendo comunque un margine di sicurezza per
la sussidiarietà complementare assolutamente necessario in
caso di immutata quota di trasferimenti Stato-Regioni.
Gli emendamenti di entrambi questi fronti hanno ricevuto
parere contrario sia del Ministero competente che del Governo, nonostante il sostegno di parte della stessa maggioranza.
È stato probabilmente questo favore manifestato da autorevoli esponenti del Popolo delle Libertà, di Scelta Civica,
ma anche del Movimento 5 Stelle, che ha convinto l’aula
del Senato a votare una soluzione “oratoriana” (più che mai
su queste materie): nessuno degli emendamenti presentati
è stato recepito, ma è stata accolta la comune esigenza dei
contrari di abolire l’articolo 6, recependo un emendamento in tal senso dei relatori e dei senatori del Movimento 5 Stelle21.
18. Il riferimento è agli emendamenti 6.200 a firma di Santini e Lepri (Partito Democratico), poi ritirato, e 6.201 a firma Olivero (Scelta Civica) poi ritenuto precluso (ovvero
incompatibile col testo o con altri emendamenti approvati).
19. Il riferimento è all’emendamento 6.202 a firma sen. Catalfo (Movimento 5 Stelle),
ritenuto precluso.
20. Emendamento 6.205 a firma Sacconi, Mussolini, Pagano, Piccinelli, Serafini (Popolo delle libertà) ritirato nel corso dei lavori.
21. È stato quindi accolto l’emendamento 6.700 presentato dai relatori Salvatore Sciascia e Maria Grazia Gatti. Di stesso contenuto era anche l’emendamento 6.1 a firma Catalfo, Bulgarelli, Blundo.
5
NUOVA SECONDARIA RICERCA
3. Ciò che rimane
della formazione professionale:
i commi contenuti negli articoli 2 e 9
Nella legge 99/2013 non è quindi dedicato nessun articolo
alla formazione professionale. Eppure di interventi (non
solo e non tanto in materia di sussidiarietà integrativa e
complementare) il settore ha certamente bisogno e non bastano le poche e confuse righe dedicate all’apprendistato per
la qualifica e per il diploma professionale contenute all’articolo 9 o l’impegno amministrativo sui tirocini extracurriculari di cui all’articolo 2.
Gli operatori della formazione hanno perso un’occasione
preziosa di intervento e probabilmente, qualora vi fosse stato
un accordo tra questi e le Regioni nelle quali la IeFP è forte
e diffusa di modo che non fossero presentati due emendamenti diversi, un articolo pensato per rinforzare l’offerta
formativa dell’istruzione professionale poteva diventare lo
strumento col quale sanare definitivamente la cronica situazione elusiva della IeFP sancita dalle Linee Guida del
2010.
A discolpa degli operatori va comunque evidenziato che
sempre di più la formazione professionale sta diventando
materia normativamente complessa, appesantita da centinaia di disposizioni stratificatesi nel tempo, sovrapposte tra
Stato e Regioni, scritte con un linguaggio esoterico e incomprensibile a un neofita. Ulteriore riprova della direzione
sbagliata intrapresa dal Legislatore negli ultimi dieci anni,
poiché la materia inevitabilmente dovrebbe prediligere la
semplicità per essere comprensibile a famiglie e ragazzi di
14 anni.
3.1. Il tirocinio extra-curriculare
Sintomatico in questo senso è in particolar modo il comma
14 dell’articolo 2 del Decreto Legge 76 convertito in Legge
99, nel quale si demanda a futuro decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università della Ricerca, di concerto con il
Ministro dell’Economia e delle Finanze, l’individuazione dei
criteri e delle modalità «per definire piani di intervento, di
durata triennale, per la realizzazione di tirocini formativi in
orario extracurricolare presso imprese, altre strutture produttive di beni e servizi o enti pubblici, destinati agli studenti della quarta classe delle scuole secondarie di secondo
grado, con priorità per quelli degli istituti tecnici e degli istituti professionali, sulla base di criteri che ne premino l’impegno e il merito».
Anche in questo caso l’obiettivo è certamente meritorio, ma
parziale lo strumento usato per conseguirlo. La norma vuole
6
incentivare l’alternanza scuola lavoro per il tramite del tirocinio formativo in orario extracurriculare. È certamente interessante l’accento sulla extrascolasticità dello stage, poiché
è dimostrato che più le esperienze lavorative sono reali, più
sono formative per il giovane. Solitamente i momenti di lavoro vissuti fuori dall’aula non hanno la natura di esperienza simulata o laboratoriale e per questo risultano
particolarmente importanti (e, spesso, educativi) nel percorso di crescita dei ragazzi.
Non ci si può non chiedere però, visto che si tratta di una
norma “a costo zero”, perché mai il Legislatore si sia concentrato solo sulle classi quarte e sugli studenti meritevoli
in termini scolastici. È come se con una mano si fosse aperta
una finestra su un mondo di integrazione scuola lavoro finora sconosciuto, mentre con l’altra, immediatamente,
ancor prima che qualche spiffero d’aria nuova contaminasse
l’ambiente, si fossero serrate le persiane, ribadendo che più
tardi i ragazzi incontrano il lavoro “vero” meglio è (non
prima della quarta) e che comunque è innanzi tutto necessario andare bene a scuola (gli studenti meritevoli).
3.2. L’alternanza scuola lavoro
L’individuazione del “confine” tra simulazione e realtà nella
classe quarta risente della prassi in tema di alternanza scuola
lavoro. Nel nostro ordinamento si definisce alternanza
scuola lavoro la «modalità di realizzazione del percorso formativo progettata, attuata e valutata dall’istituzione scolastica e formativa in collaborazione con le imprese, con le
rispettive associazioni di rappresentanza e con le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, che assicuri
ai giovani, oltre alla conoscenza di base, l’acquisizione di
competenze spendibili nel mercato del lavoro»22. Si tratta,
evidentemente, di qualcosa di molto più complesso e strutturale del semplice tirocinio, che è uno degli strumenti a disposizione del metodo pedagogico dell’alternanza. A
legislazione vigente sarebbe già possibile, senza alcuna modifica, svolgere il percorso scolastico e formativo tra i 15 e i
18 o 19 anni in alternanza, ovvero intervallando periodi di
studio a periodo di lavoro, similmente a quanto avviene nel
modello duale tedesco.
Nella pratica, però, gli obblighi formativi imposti dalle regole nazionali, le competenze della classe docente e le modalità di svolgimento delle prove di maturità rendono
impossibile la costruzione di un percorso completo di alter-
22. Articolo 4 comma 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53.
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nanza nel sistema scolastico e difficile anche nel canale dell’istruzione e formazione professionale. Alle difficoltà burocratiche si sommano quelle culturali, tanto degli insegnanti
quanto delle famiglie, che vedono nell’alternanza uno strumento di orientamento e “diversificazione” utile solo a permettere ai ragazzi meritevoli del quarto e quinto anno di
svolgere (mediamente) quindici giorni in coda all’anno scolastico presso alcune imprese del territorio, solitamente autocandidatesi per motivi di responsabilità sociale.
È evidente l’assoluto sottoutilizzo del metodo dell’alternanza, diventata negli anni un “di più” che interessa certamente i ragazzi (agili nel comprenderne le potenzialità una
volta che è data loro la possibilità di misurarsi “sul campo”),
ma non conta nulla nel percorso e nella valutazione del giovane e non riesce a creare una rete di imprese interessate all’ospitalità non solo per mecenatismo, ma anche come
possibilità di formazione, selezione di possibili nuovi collaboratori nonché arricchimento aziendale.
La norma dell’articolo 2 si inserisce (anzi, consolida) in questo orizzonte culturale ribassato.
zione giovanile, molto più efficace di tanti incentivi e correttivi ben più fortunati politicamente e mediaticamente,
oltre che costosi.
4. La riforma mancata bis: il c.d. DL Scuola
A un mese esatto24 dalle legge 99 del 9 agosto 2013, il Consiglio dei Ministri ha varato un Decreto Legge in materia di
istruzione ancora non integralmente pubblicato mentre si
scrive25, del quale sono comunque conosciuti i contenuti
grazie a una dettagliata sintesi curata dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, diffusa sui media
nazionali26.
Per stessa ammissione del titolare delle deleghe, ancora una
volta nulla è contenuto nel decreto in materia di alternanza,
apprendistato, istruzione e formazione professionale. Argomenti rimandati a futura intesa interministeriale col Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Si tratta dell’ennesima occasione persa in pochi mesi. Sintomo di una filosofia di intervento normativo tutta spostata
sulla classe docente e l’edilizia, ma poco attenta agli studenti
e alla qualità reale dei loro percorsi. Sarà ora da monitorare
il percorso di conversione in legge del Decreto, che si an3.2.1. La riforma mancata
nuncia certamente complesso alla luce delle critiche biparIl dibattito parlamentare è stato movimentato anche da un
tisan raccolte dal testo proprio in ragione delle poche misure
ulteriore emendamento in tema di alternanza, tanto semcontenute per l’innalzamento della qualità dei percorsi scoplice quanto rivoluzionario23. Tra i correttivi bocciati dal Golastici e formativi.
verno, infatti, ve ne era uno mirante a permettere
l’alternanza scuola lavoro ex articolo 4 della Legge 28 marzo
5. Conclusioni
2003 n.53 non a partire dai quindici anni, bensì dal primo
Nel nostro Paese continuano ad essere sottovalutati27 i rianno del ciclo secondario superiore, ovvero da quattordici
sultati che, nonostante tutto, la formazione professionale è
anni. Intervento giustificato dai dati: l’assoluta maggioranza
riuscita a fare in questi anni: i qualificati presso le Istituzioni
degli abbandoni scolastici avviene nel primo biennio. La
formative sono stati l’80% degli iscritti al terzo anno; alcausa è certamente l’insoddisfazione del giovane rispetto al
meno il 45,3% dei giovani iscritti al primo anno nel 2011
percorso scelto. Talvolta per la distanza tra quanto ci si aspetpresso le Istituzioni Formative ha scelto la IFP vocazionaltava e quanto si incontra. Talaltra per l’indole poco speculamente e non come seconda opportunità; la partecipazione
tiva dello studente, a disagio con gli insegnamenti teorici.
Per queste giovani vittime di drop out l’alternanza (come
l’apprendistato di primo livello) può essere una portentosa
alternativa al tradizionale percorso scolastico, che permette 23. Si tratta del precluso emendamento 6.10 a firma Sacconi, Mussolini, Pagano, Picloro di conseguire almeno una qualifica o un diploma pro- cinelli, Serafini: «Dopo il comma 1, aggiungere i seguenti:
«1-bis. All’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono abrofessionale. Perché allora prevederla solo a partire dal se- gate le parole: “dai 15 ai 18 anni”.
condo anno, ribadendo ancora una volta che l’incontro col 1-ter. All’articolo 4, comma 1, della legge 28 marzo 2003, n. 53 sono abrogate le parole:
“che hanno compiuto il quindicesimo anno di età”.
mondo (reale) del lavoro deve essere preparato dalla teoria 1-quater. All’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge 28 marzo 2003, n. 53 sono abrogate le parole: “dai 15 ai 18 anni”»
sui banchi? Questo equivoco perdura dal 2003. L’emenda- 24.
Consiglio dei Ministri n. 23, 9 settembre 2013, Roma.
mento intendeva scardinarlo, rendendo utilizzabile il me- 25. Per questo non è possibile riportare la numerazione esatta del Decreto Legge.
26. Si vedano la sintesi e la presentazione significativamente intitolate L’istruzione ritodo dell’alternanza durante tutto il triennio o quadriennio parte sul sito del Ministero competente.
o quinquennio secondario. Si è persa un’occasione per met- 27. La risposta ai successi della IeFP di una cultura costruita sulla superiorità scientifica, educativa e morale dell’istruzione teorico/liceale non potrebbe essere che l’intere a segno un punto fondamentale contro la disoccupa- differenza.
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dell’utenza di nazionalità straniera è stata pari al 16,5% nei
primi tre anni; il costo annuale per allievo presso le Istituzioni formative non scolastiche è inferiore a quello della
scuola (mediamente -22%)28; il 56% degli studenti trova lavoro entro 6 mesi dal diploma; i soli CFP raccolgono il 40%
di precedenti abbandoni scolastici29.
Mentre l’Unione Europea produce decine di documenti per
dimostrare l’efficacia della vocational education and training
(VET) come strumento di contrasto alla dequalificazione e
alla disoccupazione giovanile grazie all’integrazione scuola
lavoro30, in Italia non è ancora tempo per superare il paradigma statalista e scolastico-centrico in materia di formazione professionale e alternanza scuola lavoro. La maggior
parte delle Regioni non ha mai attivato il percorso di istruzione e formazione professionale presente nel nostro ordinamento dal 2003. L’alternanza scuola lavoro è un metodo
pedagogico rimasto sulla carta, incapace di essere la via italiana alla formazione duale tedesca. Le esperienze di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale si
contano sulle dita di una mano, nonostante i diversi interventi normativi succedutisi negli anni, da ultimo il Testo
Unico del 201131.
Le potenzialità della formazione professionale che operatori
e politici non riescono a comprendere, sono state invece ben
individuate dai “consumatori finali”, ovvero dai ragazzi. La
centuplicazione delle iscrizioni in meno di dieci anni è un
dato che parla da sé. È anche richiamo al necessario impegno che il Legislatore deve assumersi verso questi giovani
perché possano incontrare nella formazione professionale
un vero canale alternativo ai percorsi tradizionali, incentrato
sulle competenze e l’occupabilità e non imitazione semplificata della scuola per i giovani “che non ce la fanno”. Perché
questo percorso si compia sono diversi gli interventi di cui
necessita l’apparato regolatorio della formazione professionale.
La legge 99 del 2013 e il recentissimo “DL Scuola” sono stati,
in questo senso, ulteriori occasioni perse.
6. Nota bibliografica
Per una fotografia aggiornata della formazione professionale in Italia si vedano ISFOL, Percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno della sussidiarietà a.f. 2011-12.
Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, Roma dicembre 2012 e Fondazione per la Sussidiarietà (a cura di), Sussidiarietà e…
Istruzione e Formazione Professionale. Rapporto sulla sussidiarietà 2010, Mondadori Education, Milano 2011. Per una
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più completa, culturalmente e normativamente, ricostruzione della materia sono però consigliabili i volumi curati
da Giuseppe Bertagna, Dietro una riforma. Quadri e problemi
pedagogici dalla riforma Moratti (2001-2006) al «cacciavite»
di Fioroni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008 e Lavoro e formazione dei giovani, Editrice La Scuola, Brescia 2011.
Per meglio indagare le finalità e la diffusione degli strumenti
per un migliore rapporto tra formazione e lavoro (apprendistato e alternanza scuola lavoro) si vedano: Michele Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico dell’apprendistato e le nuove
regole sui tirocini, Giuffrè, Milano 2011 (e in particolare i
contributi dedicati all’articolo 3 Impianto e significato di
Giuseppe Bertagna e Quadro regolatorio di Umberto Buratti)
e Giuseppe Bertagna (a cura di) Alternanza scuola lavoro.
Ipotesi, modelli, strumenti dopo la Riforma Moratti, Franco
Angeli, Milano 2003.
Sull’importanza della formazione professionale nel contrasto alla disoccupazione giovanile si suggerisce invece la lettura del Rapporto dell’OECD, Education at glance 2012 e del
Rapporto sul mercato del lavoro 2011/2012 curato dal CNEL
(in particolare il capitolo 8 dedicato ai giovani). Più discorsivo l’approccio del capitolo 3 di Comitato per il progetto
culturale della Conferenza Episcopale Italiana (a cura di),
Per il lavoro. Rapporto-proposta sulla situazione italiana, Laterza, Bari 2013 e di Emmanuele Massagli, La sfida per le politiche del lavoro è l’occupazione giovanile, Nuova Secondaria
n. 9 (2012), La Scuola, Brescia maggio 2012.
Da ultimo, maggiori riflessioni sui contenuti relativi alla alternanza e alla formazione professionale presenti nelle prime
bozze di Pacchetto lavoro sono contenute in Emmanuele
Massagli, Università: lo strano caso dell’alternanza studio lavoro e Alternanza scuola lavoro: un errore di mira in Michele
Tiraboschi (a cura di), Interventi urgenti per la promozione
dell’occupazione, in particolare giovanile e della coesione sociale. Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013, n. 76,
ADAPT Labour Studies, e-Book series n. 10, ADAPT University Press, luglio 2013.
Emmanuele Massagli
Università di Modena e Reggio
28. Si vedano ancora i dati contenuti nel Rapporto ISFOL citato.
29. Gli ultimi due dati sono contenuti in Fondazione per la Sussidiarietà (a cura di),
Sussidiarietà e… Istruzione e Formazione Professionale. Rapporto sulla sussidiarietà 2010,
Mondadori Education, Milano 2011.
30. Si veda, tra gli altri, l’ultimo rapporto del CEDEFOP, Benefits of vocational education
and training in Europe for people, organisations and countries, Publications Office of
the European Union, Luxembourg 2013.
31. Ovvero il Decreto Legislativo 14 settembre 2011, n. 167.
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