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Catalogo - Armanda Gori Arte

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Catalogo - Armanda Gori Arte
OMAR RONDA & PAOLO VEGAS
COMPAGNI DI BIENNALE
14 ottobre/30 novembre 2011
Curatori:
Armanda Gori
Leonardo Marchi
Progetto grafico:
Luciana Badii
Aldo Marchi
Impaginazione e stampa:
Tipografia Il Bandino
In copertina:
Omar Ronda Brigitte frozen
2011 cm. 50x120
Quarta di copertina:
Paolo Vegas L’attesa
cm. 100x150 collage su stampa lambda
montata su leger 40mm.
pezzo unico 1/1 - 2008 - archiviato
2
Organizzazione:
Viale della Repubblica, 66
59100 Prato
Fisso 0574 604801- 562890
Mobile 335 303142 - 338 5924449
Fax 0574 604901
e-mail: [email protected]
www.armandagoriarte.com
OMAR RONDA & PAOLO VEGAS: COMPAGNI DI BIENNALE
Una delle cose più difficili del mondo è sicuramente quella
di scegliere i compagni di viaggio… ed io generalmente sbaglio! Quando andavo in barca a vela c’erano gli amici o peggio le loro mogli che ai primi beccheggi si sentivano male e
vomitavano, non parliamo delle gite a cavallo con ruzzoloni
e piaghe al deretano, ai viaggi intelligenti nelle città d’arte e
nei musei, un vero e proprio incubo, ore di attesa nelle hall
degli alberghi e discussioni sulla scelta dei ristoranti… a
qualcuno fa male l’aereo, ad altri la nave e ad altri ancora
l’auto, e via di questo passo. Ma un viaggio è una parentesi
che si chiude velocemente, mentre scegliere un compagno
per una grande mostra o per un lavoro continuativo comporta dei rischi davvero enormi. Io ho sbagliato quasi sempre anche in queste occasioni, amici che credi fratelli non
esitano a tradirti per un soldo bucato e sei fortunato se non
ti rubano il portafogli. Ormai vado per i sessantaquattro ed
i miei capelli sono biondi con tendenza all’argento, i miei
baffi e la mia barba sono segni di saggezza e di esperienza,
così che da tempo mi ero ripromesso di non viaggiare più
con altri, “MEGLIO SOLI CHE MALE ACCOMPAGNATI” mi dicevo! Ma non si può cambiare la propria natura, non si può negare l’amicizia o non riconoscere la
bravura e l’estro quando si presenta, ed è così che l’anno
scorso alla Biennale di Venezia dell’Architettura del 2010
ho presentato un lavoro realizzato con un giovane e bravis-
simo architetto: Filippo Chiocchetti ed alla Biennale di Venezia di quest’anno ho presentato una serie di opere realizzate in simbiosi con lo straordinario fotografo Paolo Vegas.
Conoscevo Vegas fisicamente ma non avevo mai visto le sue
intriganti invenzioni. Un giorno fui invitato nel suo studio
per scoprire con grande piacere che Vegas non è un fotografo qualunque ma un ribelle della fotografia, un artista
visionario che non si limita a documentare una situazione
o a lasciarsi abbindolare dai chiari e scuri o dal tramonto
sui monti o al mare dei Caraibi. Vegas le immagini le violenta, le assembla, le rielabora rendendole stupefacenti e
surreali. Come un demiurgo tecnologico Paolo Vegas ribalta la realtà usando le figure che animano i suoi “Tableau
Vivant” come pedine di una scacchiera cervellotica e metafisica. Molto spesso i protagonisti della scena vengono
sdoppiati e clonati in un parallelismo che induce lo spettatore a riflettere e a pensare. È proprio questo costringermi
ad immaginare che mi fa amare l’opera di Paolo Vegas; è
questa sua ricerca non parassitaria che mi ha convinto ancora una volta a sceglierlo come compagno di viaggio per
la mostra d’arte più importante del mondo: La Biennale di
Venezia 2011 curata da Vittorio Sgarbi, nel padiglione Italia
all’Arsenale e nella sua sezione più cara, Il Museo della
Mafia di Salemi.
Omar Ronda
3
4
Gibellina, Omar Ronda con il Cretto di Burri senza pale eoliche.
OMAR RONDA
Come teche di cristallo multicolori, le opere di Omar
Ronda accolgono immagini e le trasformano in messaggi
capaci di sfidare il tempo. Nella loro apparente leggerezza,
queste opere sono dotate di un’insospettabile stabilità,
frutto della sintesi chimica operata dalle alte temperature
a partire da reagenti artificiali: polveri plastiche, forme primarie, elaborati digitali.
Mescolando sapientemente questi ingredienti, l’artista avvolge l’immagine di polveri colorate e forme simboliche
che, sottoposte all’impatto del calore, si fissano insieme
dando luogo a quelle che appaiono quasi nubi di cristallo,
tanto leggere quanto permanenti. Il processo naturalmente
è rischioso, Omar Ronda non può controllarne completamente gli esiti, stabilendo a-priori il risultato. C’è, in altre
parole, un’immancabile componente di casualità che concorre alla realizzazione di queste opere, attrice ormai tradizionale del processo creativo, apprezzata nelle migliori
famiglie delle avanguardie storiche: dopo il “lancio di dadi”
che cambia faccia all’esperienza artistica, si allineano sulla
stessa tensione estetica e comunicativa Duchamp e i dadaisti, Breton e i surrealisti oltre che naturalmente gran parte
degli action painters. Duchamp in particolare, come ben
sappiamo, amava macchine, meccanismi e non considerava
la sua intelligenza critica e operativa più affidabile dell’inter-
vento di elementi esterni, casuali, aleatori: i tre “Rammendi
tipo”, per esempio, sono il frutto di una compartecipazione
di agenti e condizioni date; e così la nube della sposa del
Grande Vetro; e molto altro ancora.
Omar Ronda gioca con questi precedenti, esplorandone
con curiosità il potenziale creativo ed estetico. A volte può
essere una macchia d’umidità, altre volte un flusso di colore
liquido che si sparge da una parte piuttosto che dall’altra;
le varianti sono innumerevoli e soprattutto imprevedibili.
L’artista ha deciso per prima cosa di non sottrarsi a nessuna
delle sfide e delle risorse che il suo/nostro tempo gli propone
e ha rinunciato da parecchio a tele e pennelli senza tuttavia
abdicare affatto né al dipingere nè al piacere del colore in
tutte le sue variazioni e possibilità espressive.
Come pittore, Omar Ronda è versatile e ghiotto, curioso
di nuances e effetti di ogni genere: dipinge con le plastiche,
con i materiali sintetici, confezionando rilievi densi e solidi
come la pietra dall’aspetto intensamente pop (anche qui,
come non riconoscere il gusto che caratterizza le nostre società) che ha battezzato Genetic Fusion.
Perché? perché in essi vengono rifusi insieme e rimescolati,
nelle sostanze plastiche, vari rappresentanti del regno animale e vegetale e minerale, come sassi e granchi, conchiglie
e pesci. Oggetti ibernati, finti (ça va sans dire) pronti per
5
una nuova ricombinazione generale. In questo momento
in cui le sperimentazioni genetiche sono all’ordine del
giorno, la brillante intuizione di Omar Ronda lo porta a parafrasare il ruolo e l’attività del biologo operando appunto
alterazioni chimiche che corrispondono poi ad alterazioni
formali, a deflagrazioni di senso e di colore e di materiali.
Come saranno i microrganismi del futuro? e gli animali e
gli uomini? tutte le specie sono in mutazione più accelerata
che mai e risposte credibili non ce ne sono. Per questo potremmo paragonare quello di Ronda a uno sgargiante gioco
di simulazione di un possibile futuro prossimo: al tempo
stesso però il suo è un lavoro sulla memoria. Memoria delle
cose, delle forme, dei volti e dei codici, appunto inscritti
nelle eliche del DNA. Memoria di organismi e materiali
che un tempo abitarono la terra. Le immagini, stabilizzate
nel supporto sintetico, esibiscono fasto cromatico e brillantezza, appagano gli occhi, insinuano un’altra idea o
un’altra varietà di natura, post-naturale, se mi si consente
il gioco di parole. E trattengono qualche cosa della storia
delle forme, della loro infinita varietà morfologica, alias
della loro bellezza.
Nel suo Manuale di zoologia fantastica (scritto insieme a
Margarita Guerrero) Jorge Luis Borges esplora tradizioni
popolari e mitologie, poemi classici, testi sacri e favole, inseguendo l’esigenza umanissima di trasformare, nella parole e,
appena possibile, nei fatti, la realtà circostante. In parte mostro, in parte meraviglia, la creatura inventata popola l’im6
maginario umano e trova nelle letterature il suo habitat
ideale. Setacciando Omero e il Talmud, le Mille e Una Notte
e la Bibbia, Il Milione, Erodoto e Plinio il Vecchio, Borges
incontra esseri quasi metafisici e veri ibridi mostruosi, creature dell’aria, dell’acqua e della terra in cui l’immaginazione
umana sembra aver raggiunto il suo apice: la Chimera e la
Manticora, il Grifone e il Drago, il Garuda e il Centauro si
ritrovano nelle tradizioni classiche e orientali, e altri esseri
ancora scaturiscono dalla creatività di autori come Kafka,
Poe, C.S. Lewis. Accanto a questi, volutamente senza altro
ordine che quello alfabetico, troviamo esseri a metà tra il
mondo vegetale e animale: la ben nota Mandragora il cui
urlo porta la pazzia quando viene estratta dalla terra, e il
Borametz, simile ad un agnello e divorato dai lupi, che produce un succo del colore del sangue. Animali puntuali, scaturiti da un sogno che l’umanità ha sognato una volta sola,
in circostanze ben date e definite, oppure archetipi ricorrenti, che fioriscono simili in diverse latitudini e civiltà: per
esempio del drago, lo scrittore argentino ci assicura che
“c’è qualcosa, nella sua immagine, che s’accorda con l’immaginazione degli uomini; e così esso sorge in epoche e latitudini diverse”.
Però non bisogna illudersi: “La zoologia dei sogni è più
povera di quella di Dio”. E di conseguenza, gli animali fantastici sono in sostanza molti meno di quelli nati ad opera
della Creazione.
Forse è proprio da una riflessione come questa che Omar
Ronda è partito nella costruzione delle sue invenzioni bioplastiche e artistico-sintetiche, trasformando genialmente
in oggetti e in visioni quelle che erano nate come parole e
costruzioni letterarie.
E Borges non a caso: pubblicato in italiano da Einaudi per
la prima volta nel 1979, il Manuale di zoologia fantastica era
stato tradotto da Franco Lucentini, che Omar Ronda
avrebbe frequentato qualche anno dopo nell’accogliente
salotto di mio padre, dove i pomeriggi trascorrevano fra
discettazioni letterarie e identificazioni di quadri difficili,
opere minori di secoli lontani, in attesa di cene prelibate
che avrebbero appagato anche i desideri più ardui e ricomposto provvisoriamente divergenze e opinioni contrastanti.
In circostanze come quelle, forse, era nata in Omar Ronda
l’esigenza di avventurarsi a sua volta, con i suoi mezzi visivi
e visionarsi, in questi territori di confine fra immaginario e
arte, fra scienza e apocalissi, anticipando così rischiose spe-
rimentazioni scientifiche successive alla mappatura del
DNA, clonazione in primis. Sono nati così ibridi e ritratti
genetici, animali di plastica e fusioni chimico-pittoriche,
insomma tutta quella lunga e fervida catena di opere realizzate dall’artista, conseguenti e coerenti l’una all’altra
come perle di una collana. Così l’arte di Omar conferma il
suo potere rabdomantico mentre le sperimentazioni scientifiche, guarda caso, per il momento confermano la sicura
diagnosi di Borges sulla povertà relativa della fantasia
umana. I cloni benché giovanissimi muoiono infatti prima
e più gracili dei loro “originali”, le combinazioni genetiche
sono ben più spesso nefaste e distruttive che provvide e
buone. I giochi restano aperti, mentre quei pochi artisti che
ancora sono cercatori d’acqua si rimettono al lavoro.
Martina Corgnati
7
Biografia
Omar Ronda nasce a Portula (Biella) Italia il 11 settembre
1947. Nel 1967 conosce Gian Enzo Sperone e Lucio Amelio e con loro organizza una serie di grandi mostre di Pistoletto, Kounellis, Penone, Zorio, Merz, Boetti, Paolini,
Calzolari e più tardi di Paladino, De Maria, Chia. Nel
1973/74 passa un intero anno a New York dove conosce
Leo Castelli ed Eleana Sonnabend e tramite loro Rauschenberg, Warhol, Dine, Wesselmann, Twombly, Lichtenstein,
Indiana, Oldemburg, fino ai minimalisti Sol LeWitt, Carl
Andre, Bob Morris ed altri. A New York in seguito conosce
e frequenta Basquiat e Heit Haring con il quale si lega in
un rapporto di vera amicizia. Collabora assiduamente con
Giorgio Marconi a Milano e con Lucrezia De Domizio Durini a Pescara con lei organizza alcune conferenze e mostre
di Joseph Beuys. Nel 1990/91 realizza installazioni estreme
sulla vetta del Monte Bianco e nelle grotte di Is Zuddas in
Sardegna dove vive sei giorni e sei notti in una piramide
vegetale sotto al reattore del Cracking Catalitico della raffineria Saras Petroli di Moratti. Nel 1993 fonda un gruppo
con altri artisti e con questi organizza mostre e installazioni
utilizzando animali in plastica: Epocale a Milano nel 1993,
curata di Tommaso Trini e Luca Beatrice, 1994 Chiostro
del Brunelleschi, Santa Maria degli Angeli (Firenze) -
S.O.S. Maremuore, Mole Vanvitelliana (Ancona) - 1996
Mille delfini a Milano, Piazza del Duomo, Arengario di Palazzo Reale, Assessore alla Cultura Philippe Daverio - 1998
La Posteria (Milano) e Galleria Pananti (Firenze) - 1999
- 2001 Invito ufficiale e partecipazione alla 49ª Biennale Internazionale d’Arte di Venezia curata da Harald Szeemann,
cataloghi a cura di Lucrezia De Domizio Durini, Maurizio
Sciaccaluga e Alessandro Riva - Città di Arezzo per il Twin
Tower Found di Rudolph Giuliani, Ambasciata Americana
in Italia - Tutto l’odio del mondo, Palazzo Reale (Milano)
a cura di Alessandro Riva - Città di Vilnius, Istituto Italiano
di Cultura (Lituania) - 2002 inaugurazione del Centro
Studi e Documentazioni (Biella) - Denaro e Valori (Bienne
Svizzera) a cura di Harald Szeemann - 2003 Beaufort
Triennale D’arte del Belgio, a cura di Willy Van den Bussche, Klaus Bussmann, Rudi Fuchs, Jean Hubert Martin Plastica d’Artista, Museo Nazionale della Scienza e della
Tecnica (Milano) a cura di Tommaso Trini - Guy Pieters
Gallery, a cura di Willy Van den Bussche - 2004 Arte stupefacente, edizioni Mazzotta, testi di Philippe Daverio.
2005 Sul filo della lana (Biella) a cura di Philippe Daverio
- Museo di Santa Apollonia (Venezia) in occasione della
51ª Biennale di Venezia, catalogo Mazzotta a cura di Mar9
tina Corgnati ed Elena Forin - Galleria Civica d’Arte Contemporanea Palazzo Collicola (Spoleto) a cura di Martina
Corgnati - Fondazione delle Stelline (Milano) a cura di
Martina Corgnati - Museo d’Arte Moderna di Louisville
Ketucky Centre d’Art Villa Tamaris, La Sein sur Mer
(Tolon) Beaufort 2006, UFO Gallery (Ostenda) 2007
SOMA Museum, (Seul - Korea) - Chiostro del Bramante
(Roma) - Arte Tornabuoni (Firenze) Fondazione Antonio
Mazzotta (Milano) Catalogo a cura di Piero Adorno,
Claude Lorent e Francesco Santaniello - Una Mostra Bestiale, (Orio al Serio, Bergamo) interventi di Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi - Old Port Sea (Tel Aviv - Israele)
2008 Iniziano le collaborazioni con le Gallerie Tornabuoni
Arte Moderna, Orler e Opera Gallery - Chiesa di San Gallo
10
e Caffè Florian, Omar Ronda e Luca Missoni, conferenze
di Martina Corgnati, Philippe Daverio e Francesco Santaniello (Venezia) - 2010 Metamorfosi di Primavera, Firenze,
Palazzo Medici Riccardi e Museo del Territorio di Biella
Catalogo Skira a cura di Francesco Santaniello e Giovanna
Lazzi XII Biennale di Venezia dell’Architettura spazio
Thetis L’albero della Kimere con Filippo Chiocchetti a
cura di Fortunato D’Amico - 3ª Biennale d’Africa (Malindi)
a cura di Achille Bonito Oliva - Roma Campidoglio, premio alla carriera e personalità europea 2010 - Biennale di
Venezia 2011 curatore Vittorio Sgarbi.
Centinaia sono i libri e i cataloghi pubblicati dai principali
editori Italiani e migliaia i testi critici e gli articoli divulgati
in tutto il mondo.
Brad frozen 2011 cm. 70x70
11
12
Angelina frozen 2011 cm. 50x120
Angelina frozen 2011 cm. 50x50
13
14
Elvis frozen 2011 cm. 50x120
Claudia frozen 2011 cm. 70x70
Brigitte frozen 2011 cm. 100x100
15
Marlon frozen 2011 cm. 50x120
17
18
Audrey frozen 2011 cm. 50x120
Audrey frozen 2011 cm. 50x50
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20
Paolo Vegas
PERSONE, IMMAGINI E OGGEttI: LE fOtOGRAfIE DI PAOLO VEGAS
Nella molteplicità dei linguaggi artistici contemporanei, che
talvolta rasenta la confusione, le opere di Paolo Vegas si caratterizzano per una chiarezza di significati e di soggetti raffigurati. Si tratta di una serie di fotografie – o meglio collage
– su stampa Lambda, montate su supporto Leger o alluminio di varie misure; alcune di esse sono conservate in una
teca in plexiglas. Possiamo raggruppare i suoi lavori in tre
categorie: la prima costituita da venti fotografie che riproducono altrettanti disegni di Egon Schiele, una seconda categoria di venticinque opere in cui prevale la “ricostruzione
d’ambiente” e in fine un ultimo gruppo dove emerge con
chiarezza il tema del doppio o clonazione di un soggetto.
Spesso nel corso dei secoli gli artisti si sono idealmente ispirati o hanno preso spunto o talvolta copiato opere dei loro
predecessori; conosciamo infatti oramai una opera come
la Sagra di Masaccio dipinta al Carmine solo attraverso le
copie parziali cinquecentesche, tra le quali figura all’Albertina di Vienna un disegno di Michelangelo1. Tutto ciò non
deve essere stato casuale né costituisce una diminuzione
della figura del Buonarroti il fatto che uno degli artisti
d’oro del Rinascimento italiano abbia di fatto copiato
1
J. Spike, Masaccio, Milano 1995, p. 204. Il disegno di Michelangelo si
conserva a Vienna, Graphische Sammlung Albertina, SR 150.
un’opera ai suoi occhi evidentemente eccelsa. In fondo si
pensi a quanti artisti durante il Quattrocento e il Cinquecento si sono fermati a raffigurare opere della classicità, lasciandoci fogli sparsi o taccuini pieni di disegni o quanta
importanza ebbe la riscoperta della Domus Aurea per la
diffusione della grottesca2.
Ancora si potrebbe citare la copia di Van Dyck dell’Ultima
Cena di Leonardo da Vinci in Santa Maria delle Grazie3, o
lo studio di mani di Edgard Degas da un disegno dello
stesso Leonardo ora alla Royal Library di Windsor4. Anche
in questo caso si tratta di un vero e proprio omaggio da
parte di Vegas ad Egon Schiele: in particolare vengono
scelti venti disegni, che si conservano oggi per la maggior
parte in collezione privata, in cui ben si evidenzia la componente sensuale ed erotica tipica del pittore austriaco5.
2
N. Dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques à la Renaissence, Londra-Leida 1969.
3
M. Diaz Padron, Scheda 136, in Il Genio e le Passioni Leonardo e il
Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001,
pp. 346-347.
4
P.C. Marani, scheda 175, in Il Genio e le Passioni Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, p.
402-403.
5
Si possono vedere riprodotti in Schiele, catalogo della mostra di Martigny, Martigny 1995, nn. 55, 74, 80-81, 83, 84-85, 87, 100, 111-112, 115116, 126-127, 129-132, 134.
21
Le fotografie sono rigorosamente fedeli agli schizzi del pittore, e tuttavia appaiono modificate proprio da una aggiunta coloristico-cromatica nuova e personale, da un tono
meno espressionistico e dall’applicazione di un oggetto sulla
stampa, su cui torneremo tra breve. Mi sembrano sull’argomento particolarmente importanti ed appropriate le parole di Josef Brodskij: “La paura dell’influenza, la paura
della dipendenza è la paura di un barbaro, non della cultura
che è tutta continuità, è tutta un’eco”6. Forse sono maggiori
di quello che si pensi le analogie tra la Vienna d’inizio secolo, – fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e al
conseguente ridimensionamento dell’impero austriaco sullo
scacchiere europeo –, e la realtà contemporanea. Basti pensare al ruolo che oggi occupa la sensualità, o forse la sessualità, nella società e nelle sue infinite espressioni, come la
pubblicità, la vendita di giornali, scandalistici o meno, e le
trasmissioni televisive spesso di livello culturale non troppo
elevato, ma invece seguitissime dal pubblico.
Passando al secondo gruppo di opere, come Look and
touch, La dolce vita e il guardone, L’attesa, What’s for dinner, solo per fare qualche esempio, ci troviamo di fronte
ad una serie di fotografie originali dell’artista, dove colpisce
in maniera immediata la collocazione di persone in una ri-
costruzione d’ambiente pensata e ben definita. Anche in
questo caso si rischia di scivolare in un ambito piuttosto
difficile e complesso e dove già esistono maestri affermati
come David Lachapelle7.
Tuttavia più che sottolineare le analogie col fotografo americano, mi pare siano da evidenziare le differenze. Vegas
infatti si contraddistingue per una maggiore aderenza al
dato reale mentre in Lachapelle le scene si permeano di un
surrealismo per un certo verso più aderente allo sviluppo
artistico d’oltreoceano. Ma la peculiarità dell’opera del fotografo italiano è certamente la applicazione di un oggetto
presente nell’immagine sulla fotografia stessa. A differenza
della pittura, dove possono essere dipinti oggetti o persone
nate dalla fantasia dell’artista, una fotografia dovrebbe raffigurare qualcosa che è presente fisicamente davanti ad un
obiettivo, e quindi si dovrebbe contraddistinguere per una
maggiore adesione alla realtà. Oggi tutto ciò può essere falsato dalla tecnologia e dall’informatica, grazie alla quale le
forme e le figure vengono ritoccate o addirittura ricostruite
ex novo, ma ciò esula dal nostro discorso. Tornando alle
opere di Vegas, ci si trova quindi di fronte ad una sorta di
ambiguità voluta, dove l’oggetto raffigurato (reale) ne è una
semplice “raffigurazione” rispetto a quello applicato sulla
6
7
Traggo la citazione da T. Kustodieva, I leonardeschi nelle collezioni
dell’Ermitage, in Leonardeschi. Da Foppa a Gianpietrino dipinti dall’Ermitage di San Pietroburgo e dai Musei Civici di Pavia, Milano 2011, p 19.
22
Si veda come esempio dell’opera di Lachapelle David Lachapelle, catalogo della mostra di Milano, Firenze 2007; Lachapelle. Cofanetto, Colonia 2010.
stampa, che possiamo toccare fisicamente. In un mondo
dove sempre maggiore trova posto la confusione tra ciò che
è reale e ciò che è virtuale, queste grandi fotografie esprimono al meglio questa ambiguità, che talvolta diviene vero
e proprio disagio visivo8. Questa “tragica ambiguità” è stata
per altri versi lucidamente messa a fuoco nel film Matrix,
dove i protagonisti – gli uomini appunto – vivono in una
realtà fittizia creata ad arte dalle macchine. Analizzando in
modo più dettagliato il linguaggio che tali fotografie esprimono, non ci si può esimere dal ritrovare tangenze con
l’onnipresente comunicazione pubblicitaria9 , tuttavia proprio l’intersezione di linguaggi differenti e di varie culture
sarà la caratteristica dell’arte del ventunesimo secolo, e mi
pare opportuno aggiungere che già oggi gli artisti si esprimono in modo variegato e molteplice, tanto che proprio
uno spot pubblicitario o un video musicale, se di qualità,
può indubbiamente essere considerato a tutti gli effetti una
opera d’arte, se a questo termine si dà una accezione ampia.
Caratteristica peculiare del terzo gruppo di opere è invece
la rappresentazione multipla di un soggetto, nella fattispecie
8
Di “gioco di prestigio” parla giustamente G.A. Farinella, Babel o dello
stato dell’arte, in Babel linguaggi e forme del contemporaneo, Torino, 2009,
s.i.p.
9
La cosa è sottolineata da F. Santaniello, Cavour e Mazzini. Icone di un’Italia giovane, in Cavour e Mazzini due protagonisti del Risorgimento rivisti
da artisti contemporanei, Catalogo della mostra Biella, Biella 2011, p. 13.
una o più persone in atteggiamenti e pose differenti. Esempi
significativi sono le due fotografie intitolate Cloning girls
dove in un caso le due ragazze danzanti sono viste dall’alto
e poi dal basso in due ambienti differenti, mentre nel secondo caso ancora due ragazze sono ritratte in differenti
pose, quasi due frame di una stessa scena di un film, così
come in Nel cantiere lavori in corso, o ancora in Cloning
dance. In Cloning on the terrace e Cloning lolita invece una
sola ragazza è fotografata in vari atteggiamenti e pose riunite
in un’unica scena. Allo stesso modo ne L’Illusionista, lo
stesso personaggio è colui che effettua il gioco di prestigio
e l’oggetto di tale illusione, racchiuso in un cubo di vetro,
tanto che appare una sorta di magico inganno su se stesso.
Si può continuare ricordando Cloning shopwindow, dove
le due figure che osservano la vetrina come possibili clienti
di un negozio di abbigliamento, si “rispecchiano” nei modelli (manichini?) esposti nella vetrina stessa. Vale la pena
ancora di soffermarsi sulla La tenera Italy Italy 1861-2011,
opera eseguita per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia,
dove una seducente e giovane Italia, ammicca a Mazzini, e
allo stesso tempo però con uno scettro in mano è osservata
con soddisfazione da Cavour: come sia andata a finire è cosa
nota ed è testimoniato dalla figura centrale. Ora scorrendo
le varie forme di arte occidentale, si incontra spesso il tema
del doppio, a partire per esempio dalla commedia di Plauto
intitolata Menecmi. I due gemelli figli di un mercante di
Siracusa vengono portati al mercato di Taranto, ma uno
23
dei bimbi si smarrì. Dopo la perdita del padre Menecmo
II, rimasto a Taranto, si mise alla ricerca del fratello e giunse
a Epidamno dove viveva Menecmo I, dando luogo ad una
serie di equivoci nei confronti dell’amante Erozia, del servo
Spazzola solo per citarne alcuni, e tuttavia la commedia si
conclude con il ricongiungimento dei due fratelli. Un clima
più cupo e angosciante invece caratterizza il romanzo Il
sosia di Fëdor Dostoevsky, poiché il consigliere titolare
Jakov Petrovich Goljadkin cadrà in un degrado psicologico
progressivo. Egli è innamorato di Klara Olosufevna, senza
esserne corrisposto, ed è cacciato da una festa da ballo dal
palazzo di lei, incontrando in seguito una inquietante figura
che somiglia in tutto e per tutto a se stesso, che ha il suo
stesso nome e proviene dallo stesso paese. Il finale del romanzo appare chiaro: il sosia acquisterà il rispetto di tutti,
mentre Goljadkin, ormai ridicolizzato dai membri della società pietroburghese sarà rinchiuso in un istituto di igiene
mentale. Mi piace ancora ricordare il caso di un film di
Mario Monicelli del 1981, cioè il Marchese del Grillo, dove
appunto Onofrio del Grillo trascorre le giornate nell’ozio,
frequentando bettole e osterie romane, e ingegnandosi a
progettare scherzi, prendendosi gioco anche del pontefice.
Ma proprio quando sarà condannato a morte, sul patibolo
salirà non lui, bensì un suo perfetto sosia, il povero Gasparino il carbonaio, che avrà salva la vita solo in virtù della
grazia concessa dal Papa, (il quale naturalmente pensa di
aver salvato il Marchese !!).
24
Limitando il nostro campo di indagine alla pittura del Novecento, un esempio affine alle opere di Vegas è La bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla, conservata alla
Galleria d’Arte Moderna di Milano del 1912, dove la figura
è dipinta in sequenza e in movimento nello spazio, o possono essere citati ancora esempi tratti dal Realismo Magico
di Cagnaccio di San Pietro, come Dopo l’orgia (collezione
privata, 1928) dove la donna distesa a terra sembra ruotata
tre volte attorno ad un asse centrale immaginario e dipinta
però in tre posizioni differenti tra loro. Cercando esempi
più vicini ai nostri tempi si possono menzionare le Tre bandiere di Jasper Johns (Meriden, Mr and Mrs Burton Tremaine collection 1958), le varie raffigurazioni di Marilyn
Monroe o di Jacqueline Kennedy da parte di Andy Warhol,
e per finire La mano ubbidisce all’intelletto di Carlo Maria
Mariani (collezione privata, 1983) dove due figure speculari di giovani laureati sono intenti a dipingersi a vicenda.
Gli sviluppi tecnologici e scientifici della società contemporanea sono stati molti e in particolare nel campo della
medicina e dell’ingegneria genetica, tanto che si intravvedono possibilità concrete di cura per pazienti affetti da malattie fino a poco tempo fa ritenute incurabili. Tuttavia si
manifestano anche ricerche più discutibili come quelle che
hanno portato alla clonazione animale e alla nascita della
pecora Dolly, di cui fu data comunicazione il 14 febbraio
1997. La recente mappatura del genoma umano apre interessanti prospettive e al tempo stesso inquietanti interro-
gativi sulla possibilità della clonazione umana, della quale
non siamo in grado di valutare con precisione vantaggi e
svantaggi, e che ha acceso nuove polemiche tra laici e cattolici. Viene da chiedersi infatti, al di là delle proprie convinzioni, quanti sarebbero felici di vedersi “riprodotti in
serie” come un bell’oggetto di design, ma a quel punto
privo della unicità che contraddistingue nel bene e nel male
ogni essere umano.
Nelle fotografie di Vegas mi pare che questi interrogativi vengano posti in essere, seppur con un linguaggio colorato, divertente e lieve, ed un atteggiamento
distaccato da parte dell’autore, il quale non pare trovare una risposta definitiva a questi che sono in fondo
i quesiti del nostro futuro.
Simone Riccardi
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Biografia
Paolo Vegas, diplomato all’Istituto Europeo di Design nel
1992, inizia la sua attività di fotografo a Milano dove collabora dal 1993 con diversi fotografi e agenzie pubblicitarie.
Nel novembre del 1997 a Milano presenta i suoi lavori in
una mostra intitolata People and Things. Nel dicembre ‘97
prende parte ad una iniziativa di beneficenza, collaborando
ad una realizzazione fotografica per Emergency. Ha collaborato come assistente per fotografi internazionali come
Giac Casale, Joe Oppedisano, Giovanni Gastel alla realizzazione di campagne pubblicitarie per Barbour (con Piero
Chiambretti, in Scozia nel ‘96), Peugeot ‘98, Algida ‘99, Pagine Gialle, Richard Ginori, Irge e al calendario Same. In
questi anni continua a collaborare con diverse aziende quali
Bosch, Sep, Filatura di Crosa, Diva Cravatte, Ritmonio,
Inab Dekonab, Maio Group, NextEvent e altri.
Il percorso personale di Paolo Vegas come artista è stato
fortemente influenzato da questo periodo. Nel mondo della
pubblicità ciò che viene ritratto è un’emozione costruita ad
hoc affinché essa venga trasmessa al fruitore.
Nel 2010 nasce il “Progetto clonazioni”, ove nella stessa immagine il medesimo soggetto è ritratto almeno due volte
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creando dei veri e propri cloni. In questi esempi Vegas ha
effettuato più scatti della medesima ripresa mantenendo invariate le distanze focali per ottenere un’uniforme profondità di campo; la macchina ferma, posizionata al centro e
semplicemente ruotata a seconda della inquadratura che
doveva essere fotografata. Ogni inquadratura, ogni ripresa
andava a costituire un frammento dell’immagine finale.
Ha partecipato a diverse mostre tra le quali, 2009 “Look
and touch”, mostra nonsolofotografica presso “Il cantinone”, Palazzo della Provincia di Biella, 2009 collettiva
“Babel” forme e linguaggi del contemporaneo, alla Torre
della Filanda di Rivoli, 2010 Settimana della Fotografia di
Rivanazzano Terme, 2010 “PEOPLE AND THINGS” noi
biellesi, 2010 “Don’t be Yourself” Artisti Mangiati con gli
Occhi (A.M.O) Milano, 2011 “Cavour e Mazzini: due protagonisti del Risorgimento rivisti da artisti contemporanei”
Museo del Territorio Biellese, 2011 54ª Biennale Internazionale di Venezia COSA NOSTRA SACRO SANTO NOSTRA COSA Padiglione Italia – Museo della Mafia,
Arsenale – Tesa delle Vergini, Direttore – Vittorio Sgarbi,
2011 Museo della Mafia, città di Salemi, Fondazione Sgarbi.
Cloning on the terrace
cm. 100x100
collage su stampa lambda
montata su leger 40mm.
pezzo unico 1/1
2011 - archiviato
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Cloning dance cm. 80x120 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato
What’ s for dinner cm. 100x150 collage su stampa lambda montata su leger 40mm.pezzo unico 1/1 - 2008 - archiviato
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30
La dolce vita e il guardone cm. 100x150 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2008 - archiviato
Cloning Lolita cm. 80x120 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato
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Gold woman
cm. 150x100
collage su stampa lambda
montata su leger 40mm.
pezzo unico 1/1
2008 - archiviato
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Cloning maind cm. 85x155 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato
Cloning shopwindow cm. 80x120 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato
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Finito di stampare nel mese di settembre 2011
presso la Tipografia Il Bandino srl - Bagno a Ripoli (FI)
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