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GIOVANDOMENICO LEPORE, Procuratore

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GIOVANDOMENICO LEPORE, Procuratore
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BOZZA NON CORRETTA
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COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE
CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI
RESOCONTO STENOGRAFICO
MISSIONE MARTEDÌ 14 LUGLIO 2009
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GAETANO PECORELLA
INDICE
PAG.
Audizione del dottor Giovandomenico Lepore, procuratore capo della Repubblica presso il
tribunale di Napoli accompagnato dai magistrati: Aldo De Chiara, Federico Bisceglia, Antonino
Demarco, Alessandro D’Alessio, Paolo Sirleo e Maria Grazia Ribera (DDA).
Pecorella Gaetano, Presidente …………………………………………………………………
Bisceglia Federico, sostituto procuratore presso la procura di Napoli ………………………..
Bratti Alessandro (PD) ………………………………………………………………………….
Castiello Giuseppina (PdL) ……………………………………………………………………..
D’Ambrosio Gerardo (PD) ……………………………………………………………………..
D’Alessio Alessandro, sostituto procuratore presso la procura di Napoli ……………………..
De Angelis Candido (PdL) ………………………………………………………………………
De Chiara Aldo, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli ……………………………
Demarco Antonino, sostituto procuratore presso la procura di Napoli ………………………...
De Toni Gianpiero (IdV) ………………………………………………………………………...
Lepore Giovandomenico, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli …..
Nespoli Vincenzo (PdL) …………………………………………………………………………
Piscitelli Salvatore (PdL) ………………………………………………………………………...
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Ribera Maria Grazia, direzione distrettuale antimafia di Napoli ………………………………..
Russo Paolo (PdL) ……………………………………………………………………………….
Sirleo Paolo sostituto procuratore presso la procura di Napoli ………………………………...
Audizione del dottor Giovandomenico Lepore, procuratore capo della Repubblica presso
il tribunale di Napoli accompagnato dai magistrati: Aldo De Chiara, Federico Bisceglia,
Antonino Demarco, Alessandro D’Alessio, Paolo Sirleo e Maria Grazia Ribera (DDA).
La seduta comincia alle 15,20.
PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Lepore e i magistrati che lo accompagnano. Come sapete,
l’audizione sarà registrata e verrà redatto un resoconto stenografico, motivo per cui, se ci sono
informazioni riservate, vi invitiamo a farcelo presente e comunque a mantenere questa parte delle
informazioni per ultima, in modo da interrompere la registrazione e proseguire i lavori in seduta
segreta.
So che siete tutti impegnati in una difficilissima battaglia che vede sul fronte, da un lato, gli
amministratori che dovrebbero consentire lo smaltimento globale dei rifiuti, per togliere acqua alla
criminalità organizzata e dall’altro lato il vostro intervento, per riuscire a sradicare la criminalità
organizzata.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Signor presidente, lei ha convocato anche i procuratori aggiunti della DDA (Direzione distrettuale
antimafia). In effetti, dato che io sono ancora procuratore distrettuale della DDA, sono miei
collaboratori, ma sono nuovi e non hanno seguito procedimenti in materia di rifiuti di camorra.
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L’unica è la dottoressa Ribera, che ne ha fatto uno solo, ma buono. Per questo motivo gli altri non
sono venuti.
PRESIDENTE. Dottor Lepore, noi le avevamo chiesto, tempo addietro, una documentazione per
renderci conto di quali sono i procedimenti attualmente in corso e le caratteristiche che ha la
criminalità organizzata, in particolar modo che si occupa dei rifiuti. Purtroppo lei ci ha mandato una
serie di numeri che abbiamo cercato di interpretare, senza successo.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. In
effetti, sono numeri che riflettono la situazione attuale dei rifiuti. In quella richiesta, in effetti, si
parlava soltanto di dati statistici.
PRESIDENTE. Credo che fosse una richiesta sui procedimenti in corso.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Ne parlammo a Roma, io l’ho rivista.
PRESIDENTE. Comunque, ci sarà tempo e modo. Era solo per farle presente che magari, oggi faremo
alcune domande…
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Il
dottor De Chiara ha preparato una relazione, che possiamo lasciarvi, soprattutto sulla materia dei
rifiuti e sull’incidenza della nuova legge, che, a dire tutta la verità, ha creato un guaio enorme in
procura regionale. Un’interpretazione veramente assurda.
PRESIDENTE. La sua opinione è diversa da quella del procuratore generale. Ebbene, acquisiamo agli
atti la vostra relazione e possiamo partire proprio da questa prima questione. Ovviamente, come lei sa,
l’obiettivo era quello di un coordinamento territoriale delle indagini, perché uno dei problemi – che
peraltro il procuratore Grasso ci ha rappresentato – è proprio che le indagini in materia di rifiuti, se
non riguardano anche la criminalità organizzata di stampo mafioso, sono tra loro scoordinate. Quindi
nessuno sa quello che sta facendo l’altro magistrato.
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Lei invece ci dice che questa legge ha creato difficoltà. Siamo qui apposta per vedere cosa si
può fare, quindi l’ascoltiamo.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Si
tratta di difficoltà enormi, di cui ho parlato diverse volte con il sottosegretario Bertolaso.
Il fine – parliamoci chiaramente – del decreto legge n. 90 del 2008 era quello di consentire al
sottosegretario, la nuova figura che ha sostituito l’ex Commissario rifiuti, di poter avere un unico
interlocutore in materia di rifiuti. Invece di avere a che fare con i vari procuratori dei vari circondari,
che creavano naturalmente difficoltà e fra i quali non c’era collegamento, avevano creato questa figura
del procuratore capo, addossandomi una responsabilità non soltanto distrettuale, bensì regionale.
Ciò ha comportato che, già dall’interpretazione della legge, comprendessimo che in effetti la
materia che dovevamo regolamentare era quella dei rifiuti, limitatamente però a quanto di competenza
del sottosegretario, cioè dell’ex commissario. Ciò è stato maggiormente precisato in una legge di
conversione. Ne parlammo prima, proprio per cercare di mostrare le difficoltà che ci sarebbero state
nel caso di un’interpretazione estensiva.
Invece, la Corte di cassazione, nel risolvere alcuni conflitti di competenza che si erano
determinati, ha dato un’interpretazione estensiva, dicendo che tutti i rifiuti presenti in Campania sono
di competenza regionale e non ambientale. Ciò significa che se qualcuno eseguiva una riparazione in
un palazzo e metteva fuori di casa i residui della demolizione, automaticamente la competenza era
nostra. Questa competenza, fra l’altro, ne comporta anche un’ulteriore: la competenza del tribunale
collegiale per le misure cautelari, per i sequestri preventivi e quant’altro.
Inoltre, dato che questa competenza si estendeva fino a Sala Consilina e oltre, cioè fino al
confine con la Lucania, quando è intervenuta la successiva legge che ha ampliato i reati per i rifiuti (il
deposito del frigorifero o della lavatrice in mezzo alla strada) con facoltà di arresto, siamo arrivati
all’assurdo che potevamo arrestare la persona, ma il mezzo non potevamo sequestrarlo, perché
avrebbe dovuto farlo il collegio giudicante di Napoli.
Una serie di difficoltà, quindi, che purtroppo stiamo affrontando con la speranza – pare non
vana – che la Cassazione riveda la propria interpretazione.
È vero che la legge è temporanea e che dovrebbe finire a dicembre del 2009, però siamo in
Italia e molte volte questi termini finali sono stati prorogati, il che naturalmente comporta difficoltà
enormi, per la competenza sia del collegio che nostra.
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Era stato previsto un aumento di organico, da noi richiesto, ma non ci è stato dato niente di più
che un po’di personale in soprannumero. Del resto, anche se ci fosse assegnato del personale nuovo,
nelle condizioni in cui ci troviamo, non saprei dove collocarlo, poiché non ho le stanze neppure per
ospitare i magistrati.
Oggi come oggi la situazione è gravissima, per la magistratura, soprattutto per la carenze
amministrative. Si tratta di una lamentela annosa. È inutile mettere cento magistrati: se non si
aggiungono duecento amministrativi, i magistrati non possono fare nulla. Questo è un problema che,
chi frequenta le aule giudiziarie, conosce benissimo. Al nord sono a terra, anche a Milano, perché non
c’è più personale.
In conclusione, questa legge, giustissima, è stata interpretata male. Spero che la Cassazione
riveda la propria interpretazione, che giudico veramente assurda. Questa è la nostra maggiore
difficoltà.
PRESIDENTE. Abbiamo notizia di diversi procedimenti – nonostante le difficoltà denunciate – nei
confronti della criminalità organizzata locale, in corso, o terminati. Le volevamo chiedere quali siano
le caratteristiche di queste organizzazioni criminali che si occupano dei rifiuti e, parlando in generale,
con quali modalità si occupino di questa materia, quali rapporti abbiano con le aziende del nord.
Vorremmo un quadro del fenomeno criminale organizzato, collegato naturalmente al traffico di rifiuti.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Secondo me bisogna fare una distinzione, poiché il traffico al quale lei accennava fa parte già del
passato, quando i camion dal nord scendevano al sud trasportando i rifiuti tossici, sui quali
naturalmente la camorra, soprattutto casertana, ha fatto grandi affari.
Oggi la situazione non c’è più questa, tanto è vero che con una nostra indagine abbiamo visto
che erano i nostri camion a portare rifiuti tossici al nord, in un caso soltanto. Comunque, parlando di
coinvolgimento della camorra, vado sempre ripetendo, in tutte le sedi, che la camorra è un grande alibi
per tutti. Dovunque c’è qualche malaffare, di qualsiasi tipo, si tira sempre e solo in ballo la camorra.
Ebbene, oggi la camorra è un’impresa, quindi si inserisce là dove si possono fare affari, però non è
tutta camorra, ci sono anche gli interessi personali e quant’altro.
La camorra, oggi, si inserisce nei traffici, creando false società, emettendo false quietanze,
mettendosi in collusione con i pubblici funzionari.
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Abbiamo avuto il caso dei fratelli Ursi, nel casertano, nell’ambito dell’indagine
sull’Ecoquattro, che ha portato a scoprire come agiva la camorra nell’organizzazione del traffico dei
rifiuti, cioè nella raccolta e nello smistamento dei rifiuti.
La dottoressa Ribera ha condotto un’indagine che ha portato a dimostrare come, addirittura, la
camorra, cioè direttamente i Calabria, i Forte e i Marcianise, si intestassero alcune società, così da
poter avviare tutto un sistema di riciclaggio dei guadagni della camorra nel traffico dei rifiuti.
Non ci sono grandi ipotesi di commistione tra traffico di rifiuti e camorra. Oggi come oggi,
almeno per quanto riguarda le indagini in corso, la camorra si interessa soprattutto alla materia degli
appalti e di opere edilizie e in altri campi, non tanto dei rifiuti.
È pur vero, peraltro, che in passato è stato diverso e che tutta la zona di Acerra e del casertano
è piena di rifiuti tossici. Dove è stato poi fatto il termovalorizzatore sono state create quelle situazioni
che sono a tutti note.
PRESIDENTE. Quindi, se ho capito bene, secondo lei oggi il traffico illecito di rifiuti tossici non è più
gestito dalla camorra.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. O
se è gestito, lo è in misura molto minore, prima di tutto perché i controlli sono aumentati
notevolmente. La gente ha aperto gli occhi, si è talmente parlato di rifiuti fino a esserne sommersi,
quindi è un po’ più difficile inserirsi, o almeno questa è l’idea che mi sono fatto attraverso i processi
che si stanno celebrando. Ci saranno anche altre indagini in corso, forse, che possono portarci anche
all’ipotesi da lei prospettata, però non è una delle predominanti, come invece è stata nel passato, con
alcuni casi veramente eclatanti.
PAOLO RUSSO. Signor procuratore, vorrei chiederle di parlarci dei filoni di indagine che riguardano
i rifiuti. Ricordo di aver letto qualcosa circa vicende che riguardavano fitti di aree, di intermediazioni
nel fitto di queste aree.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Originariamente, con Impregilo, quando si doveva istituire la raccolta…
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GERARDO D’AMBROSIO. Insomma, il clan dei casalesi non esiste più!
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Come no! Esiste assolutamente, però il clan dei casalesi non può diventare…
GERARDO D’AMBROSIO. Mi perdoni, ma a me pare che lei abbia fatto osservazioni abbastanza
inquietanti. È inquietante sentir dire che la camorra diventa un pretesto per il mancato smaltimento dei
rifiuti, o per i rifiuti tossici che vengono scaricati ovunque, quando tutti quanti, credo, non solo oggi,
ma anche ieri, hanno visto in televisione le nostre cave usate come scarico di rifiuti tossici, velenosi.
Abbiamo sentito per televisione intercettazioni telefoniche tra gente che parlava in dialetto
napoletano e gente che parlava in veneto, in cui si intuivano questi trasporti di rifiuti speciali o tossici;
anche sui giornali, a parte il libro di Roberto Saviano, abbiamo letto per esempio che la camorra si
sarebbe impadronita, addirittura, di una delle più grosse ditte in possesso di mezzi attrezzati che
trasportano rifiuti urbani, o già differenziati; leggiamo che avrebbero concorso, imprese camorristiche,
addirittura ad avere l’appalto per il trasporto dei rifiuti a Genova. Sono tutte cose che leggiamo sui
giornali e naturalmente ci aspettiamo dei chiarimenti su questo punto e ci meravigliamo, anche.
Sappiamo già dalla precedente legislatura che è stata fatta una inchiesta abbastanza seria sui
rifiuti, in cui si dice che i rifiuti a Napoli, a parte questi speciali, hanno provocato il forte
inquinamento di alcune zone, che rimangano inquinate e per la bonifica delle quali abbiamo sentito
dal governatore Bassolino che sono stati stanziati diversi milioni di euro.
Certo, sentire dire da lei che la camorra è un pretesto, che la camorra ha una parte molto
limitata in tutto ciò, ci meraviglia.
Sicuramente, sullo smaltimento dei rifiuti urbani ci saranno colpe anche di altri, ma mi sembra
abbastanza riduttivo dire che la camorra sia un pretesto, perlomeno attualmente.
So per esperienza – anche io sono stato magistrato e mi sono occupato di criminalità
organizzata – che la cosa più importante è non sottovalutare mai la criminalità organizzata, non
cessare mai, neanche per un secondo, la lotta a questa realtà.
Credo che una delle ragioni principali del mancato sviluppo della regione Campania sia stata
proprio una presenza molto forte della criminalità organizzata, da anni, che ha condizionato gli
investimenti in questa regione e che condiziona anche i giovani, che preferiscono naturalmente trovare
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lavoro presso la camorra, invece di cercare lavoro altrove. Se vi fosse una possibilità diversa, sarebbe
una grande cosa.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Come avevo premesso, se parliamo del traffico di rifiuti tossici, è una cosa passata, di cui abbiamo già
riferito in una precedente Commissione.
Oggi come oggi, la camorra casalese assolutamente non è stata eliminata, ma non tratta solo
rifiuti, la fa – secondo me – in minima parte, rispetto ad altre attività più redditizie che i casalesi
curano, anche per loro natura, provenendo da zone in cui abbondano le imprese edilizie, sulle quali
hanno quasi il predominio.
D’altra parte, si sono estesi anche al nord, quindi in effetti stanno sviluppando l’attività
imprenditoriale. Fanno anche affari in materia di rifiuti, ma non come una volta, quando, con i
camion, trasportavano a basso costo i rifiuti tossici. A questo mi sono limitato, non ho negato il
fenomeno della camorra, per carità. Personalmente, non ci sto a invocare la camorra, a Napoli, anche
quando non funziona il tram! Non voglio essere riduttivo, ma diamo alla camorra quel che è della
camorra.
PAOLO RUSSO. Anche sul fronte traffico è chiaro che non tutto è camorra e molto è anche
malversazione di un’imprenditoria senza scrupoli e quant’altro.
Vorrei che rispondesse anche alla domanda sulla vicenda riguardante i fitti, le aree, i suoli e le
intermediazioni.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Sono vicende ancora in corso e in parte sono già a dibattimento. C’è la vicenda del fitto alle società
Impregilo, per quanto riguarda lo stoccaggio.
In parte coinvolgeva la camorra e ci sono indagini ancora in corso sulla vendita di certe aree e
sulle relative intermediazioni.
PAOLO RUSSO. Sono indagini datate.
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GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Sì,
perché risalgono all’inizio di tutte le attività, cioè al 2003 o al 2001-2002…
ALESSANDRO BRATTI. Sulle bonifiche dei siti contaminati e dell’attività che ruota attorno, volevo
chiedere se abbiate notizie, oppure indicazioni su elementi legati alla malavita organizzata, non
necessariamente alla camorra.
Mi sembra che questo sia un business notevole, oggi, soprattutto alla luce anche dei cospicui
finanziamenti che sono arrivati, per cui volevo capire se abbiate indicazioni rispetto a imprese, o ad
attività, che comunque ruotano attorno a questa situazione.
CANDIDO DE ANGELIS. Ho seguito attentamente il suo discorso, procuratore, secondo cui il
traffico di rifiuti tossici è stato un momento, durante il quale si è lucrato molto, ma che oggi, con
l’attenzione dei mass media, si è molto attenuato.
Ebbene, è da questa mattina che ragioniamo su un’economia drogata, su un commissariamento
oramai quindicennale di una regione, relativamente a uno dei servizi più importanti e fondamentali per
lo stile di vita dei cittadini.
A fine mese finisce questo commissariamento e si dovrebbe rientrare nella normalità. Sembra
che ci sia, nell’economia globale di questo settore, un’intromissione, un’interferenza seria da parte
della criminalità.
Ebbene, vorrei sapere se ciò corrisponda al vero. Non parlo del trasporto, bensì del ciclo
integrale dei rifiuti: dalla raccolta, al trasporto, allo smaltimento. Chiedo se sia possibile fare una
mappa e cercare di capire se sussiste un’economia illegale.
Vengo alla seconda domanda. Oggi il presidente della regione diceva che, rispetto al
commissariamento e al settore rifiuti, siamo alla fase due, forse alla fase tre.
Prima c’è stato il dramma ambientale e nessuno, stranamente, vedeva migliaia di camion che
trasportavano rifiuti tossici e creavano discariche abusive; ora è il momento del commissariamento,
poi arriverà la fase tre, con le bonifiche e il presidente ci parlava di un primo investimento di 50
milioni di euro per bonificare.
Il primo di una serie, giustamente. Il presidente ha detto che per adesso investono 50 milioni e
poi interverrà il Governo, interverranno i fondi FAS e altre forme di finanziamento, poiché si dovrà
bonificare tutto.
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Vi chiedo se non riteniate utile, a quel punto, creare qualcosa. Date anche voi dei suggerimenti
a questa Commissione, magari su situazioni che possano prevenire fenomeni negativi in un settore che
sarà ricco e dove, diversamente, con finanziamenti di centinaia e centinaia di milioni di euro, si
continuerà lungo un percorso perverso di non sviluppo della regione.
Questi nuovi flussi di denaro, se si persiste con il tipo usuale di percorsi, si incanaleranno
sempre nella situazione che abbiamo già conosciuto.
MARIA CRISTINA RIBERA, Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Vorrei fare qualche
precisazione, per rispondere alle domande, integrando le considerazioni del procuratore in merito
all’attività della Direzione distrettuale antimafia nel contrasto alla criminalità organizzata.
Voglio specificare, in primo luogo, un dato importantissimo. Da anni mi occupo di gestione
illecita dei rifiuti, da ben prima del momento in cui sono approdata alla Direzione distrettuale
antimafia.
In realtà, da pochissimo la Direzione distrettuale sta riuscendo ad ottenere dei brillanti risultati
in questo settore e non perché ci sia arrivata io, quanto perché, per la prima volta, abbiamo raccolto le
dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che hanno finalmente svelato quello che c’era dietro
alle nostre indagini sul traffico illecito di rifiuti.
È successo quello che normalmente non accade, quando si gestiscono i collaboratori di
giustizia: invece di raccogliere dichiarazioni che poi si deve andare a riscontrare, noi già avevamo il
riscontro, cioè l’indagine sui traffici illeciti. Con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,
finalmente abbiamo potuto dare una veste processuale a quello che tutti dicevano: c’è la camorra
dietro il traffico dei rifiuti.
È per questo che si è verificata una sorta di sfasamento temporale, tra l’esecuzione delle
indagini sul traffico illecito e la correlazione delle stesse indagini con l’aggravante dell’agevolazione
mafiosa, del collegamento di quell’attività illecita con l’attività della criminalità organizzata.
Infatti, è successo che proprio io sia riuscita, per dirla in parole povere, ad «afferrare per i
capelli» alcune attività che già erano al dibattimento e per le quali, quindi, la Procura già aveva
esercitato l’azione penale. Ho così potuto contestare a quegli stessi imputati, che erano stati carcerati
per traffico organizzato dei rifiuti, il reato di disastro ambientale nonché il collegamento con alcuni
clan camorristici.
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Questo è avvenuto, per ora, in ben tre procedimenti, tutti in fase dibattimentale. In uno di essi è
stata contestata ad alcuni imputati l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, in relazione al
funzionamento del clan Belforte di Marcianise. Questo è proprio uno di quei traffici illeciti a cui si
faceva riferimento, con intercettazioni di dialoghi fra imprenditore del nord e gestore meridionale. In
due ulteriori dibattimenti, parimenti di traffici illeciti avvenuti in direzione nord-sud, è stata contestata
l’aggravante dell’agevolazione del clan Bidognetti.
Abbiamo, oltre ai procedimenti che nascono e a cui faceva riferimento il Procuratore, quelli
delle corruzioni dei fratelli Orsi, quest’ultima operazione «Giudizio finale», oppure l’operazione con i
boss del clan di Marano Giorgio, sempre del clan dei Casalesi.
Oltre a queste indagini, che già nascono come connotate dall’aggravante dell’agevolazione
mafiosa, abbiamo avuto la possibilità – questo è il dato fondamentale – solo con le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, di contestare l’aggravante della agevolazione mafiosa anche ad altri
dibattimenti, per i quali già era stata esercitata l’azione penale.
Ho voluto sottolineare tutto ciò per un semplice motivo: non a caso il procuratore parla di una
criminalità che potremmo definire più diffusa e latente. L’attività della gestione illecita dell’intero
ciclo dei rifiuti viene svolta attraverso società che sono formalmente lecite, tramite operatori
economici che, apparentemente, hanno tutte le autorizzazioni idonee per poter operare nel settore.
Voglio fin da subito sottolineare che l’esperienza investigativa ci dimostra come il sistema con
cui, in maniera più permeante, la criminalità organizzata si inserisce nella gestione rifiuti è con le
società di intermediazione, cioè quelle società che mettono in contatto il produttore e lo smaltitore
finale, o anche i titolari degli altri passaggi di gestione dei rifiuti.
Questo perché, in realtà, le società di intermediazione non hanno bisogno di particolari
provvedimenti autorizzativi, trattandosi di semplici società che mettono in contatto e forniscono una
sorta di servizio. Possono, di fatto, effettuare un’attività di intermediazione anche senza detenzione del
rifiuto, per cui più difficilmente sono controllabili, più difficilmente si possono evidenziare, per
esempio carenze, dal punto di vista strutturale e autorizzatorio.
Ancora di più sottolineo che, con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si è riusciti
finalmente a capire che queste società, che formalmente operano nel mercato in maniera lecita, in
realtà sono espressione diretta di uno o diversi clan operanti nel settore. Le società con cui i camorristi
operano sono formalmente dotate di tutti gli elementi per poter agire sul mercato. Quindi, solamente
chi è all’interno del settore, cioè i diversi collaboratori di giustizia, hanno potuto ricondurre quel
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determinato imprenditore a una o più società operanti nel settore dei rifiuti. Questo è il ragionamento,
in linea di massima.
Pertanto, abbiamo le tradizionali direttrici del traffico illecito dei rifiuti, che ha vissuto la sua
fase culminante, fortissima, negli anni 2001-2003, ma anche negli anni 2004-2005, come dimostrano
le ultime nostre attività investigative. Ora, finalmente, hanno avuto la loro giusta colorazione, con la
collocazione in un contesto non di «semplice illeicità», ma di illeicità camorristica. Con ciò credo di
avere risposto alla prima domanda.
Quello che mi si chiedeva in merito alla patologia della gestione dei rifiuti, mi permetto di
tornare a un tema a me caro, che sollevai, a dire la verità, quando fui ascoltata in Commissione rifiuti.
Un momento purtroppo critico è stato, sicuramente, quello delle società che agiscono in regime
semplificato. Abbiamo verificato che, purtroppo, poiché queste aziende lavorano sulla base di
autocertificazioni, quindi operano in un regime di comunicazione svincolato da un controllo «a
monte», in questo settore si innesta la pratica dei falsi, che portano a far funzionare un’azienda senza
che ne abbia i requisiti.
Banalmente, tutta la nostra esperienza investigativa portava a concludere che lo smaltimento
finale di enormi quantità di rifiuti avveniva in impianti che, apparentemente, avrebbero dovuto
produrre del compost, ma che in realtà non avevano alcuna possibilità di funzionare, perché privi dei
necessari requisiti.
La questione non riguarda i provvedimenti autorizzatori, trattandosi di un regime di
comunicazione. Tutte le carte erano in regola…
PAOLO RUSSO. Vorremmo conoscere la posizione dei laboratori, in questa vicenda.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia. I laboratori di analisi forniscono le
certificazioni di analisi. Sono completamente diversi…
ALESSANDRO BRATTI. Se non sbaglio, chi riceve è la provincia, in questo caso.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia. In questo caso, sì.
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ALESSANDRO BRATTI. Quindi, sussiste un problema di controllo da parte dell’amministrazione
provinciale e dell’agenzia tecnica…
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia. Il discorso è un po’ più complicato,
poiché siamo in Campania. Quindi mi permetto di interloquire.
Per tutto il resto d’Italia, dovrebbe essere così. Ma in Campania si è inserita, per un
determinato periodo, anche la competenza del Commissariato per l’emergenza rifiuti. Faccio
riferimento a processi in corso, quindi non sussiste alcuna esigenza di riservatezza. Ad esempio, nel
processo Marano Giorgio, che stiamo celebrando presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere,
emerge il problema delle autorizzazioni degli impianti della RFG, dei fratelli Roma. Ovviamente,
l’impianto rientra anche nel processo sullo smaltimento illecito attualmente in corso dinanzi alla I
Sezione, Collegio B, del Tribunale di Napoli. Alludo alla famigerata operazione «Re Mida», una di
quelle che riguardano il traffico dal nord verso il sud.
Questi impianti RFG sono impianti di destinazione finale per rifiuti prodotti, per la maggior
parte, dalla Nuova ESA di Marcon, nel Veneto…
PAOLO RUSSO. Quindi, rifiuti speciali.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia. La lista non è completa: ce n’è per tutti.
Dicevo che si trattava di rifiuti provenienti sia dalla Nuova ESA, sia dal Consorzio Milano Pulita
nonché dal Consorzio TEV di Massarosa, in Toscana. Tutti questi rifiuti venivano impropriamente
declassificati presso impianti intermedi tipo Agroter, SEV…
PAOLO RUSSO. Si tratta di impianti toscani.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia. Non solo, anche di Pesaro, delle Marche
e del centro Italia in genere. Quasi tutte le regioni erano coinvolte.
I rifiuti venivano poi indirizzati a due impianti, formalmente, di compostaggio, che erano la
Biofert di Cancello Arnone e la RFG di Trentola-Ducenta. Questo impianto RFG, quindi, veniva
sistematicamente utilizzato per far uscire i rifiuti dal ciclo, poiché formalmente (come anche la
Biofert) avrebbe dovuto produrre compost. In realtà, le indagini hanno verificato che ciò non era.
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Qui arrivo al discorso dell’autorizzazione: l’impianto RFG funzionava in base ad una serie di
provvedimenti in regime semplificato, alcuni dei quali, ovviamente, erano stati formalmente visti dalla
provincia – quanto meno l’iscrizione provinciale – mentre altri erano stati visti dal Commissariato per
l’emergenza rifiuti.
Una volta passati formalmente da questi impianti, i rifiuti venivano illecitamente smaltiti in
cave e terreni, molti dei quali, ovviamente, non rinvenuti.
Qui do la nota interessante per la procura antimafia: le indagini ci hanno consentito, grazie alle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed altri provvedimenti giurisdizionali che nel frattempo
sono arrivati (basti pensare alla sentenza a carico di Marano Giorgio come capo clan di un gruppo
all’interno del clan dei Casalesi), di colorare i rapporti tra i gestori di RFG, che sono di Roma, con
alcuni gruppi di criminalità organizzata, nella fattispecie specifica con il clan dei Casalesi, gruppo
Bidognetti e anche con il sottogruppo (sempre del clan dei casalesi) di Marano Giorgio.
Diverso è il discorso – perciò mi rifacevo fortemente alle società di intermediazione – per
l’altro processo in corso (quello dinanzi alla VI Sezione, Collegio B, dibattimento Addonisio più altri)
riguardante la famosa operazione «Ultimo atto carosello» nonché l’ultima misura cautelare relativa
all’operazione «Giudizio finale», che ci ha portato a individuate un gruppo societario di
intermediazione, facente capo essenzialmente alla Sem, alcuni gestori del quale si sono rivelati essere
interni al clan Belforte.
Quindi, sono molteplici i sistemi con cui la criminalità organizzata lucra dal ciclo dei rifiuti.
Ciò che mi premeva dire e che già avevo sottolineato quando fui sentita dalla Commissione
ambiente, è che purtroppo, per quanto riguarda alcuni tipi di aziende (si veda il caso dell’impianto di
compostaggio), sin dall’origine non rispondono a una regola di mercato. Questo era il ragionamento
che, come investigatore, avevo portato avanti. Se l’impianto di compostaggio funzionasse in maniera
assolutamente lecita, probabilmente non riuscirebbe a restare nel mercato, perché sopporterebbe costi
elevati.
Si tratta di aziende che fin dall’origine sono destinate a essere utilizzate (se non
esclusivamente, almeno prevalentemente) in maniera illecita, con collegamenti totali o parziali con la
criminalità organizzata. Il problema dello smaltimento dei rifiuti è questo.
Riagganciandomi a questa conclusione, vorrei aggiungere, per prima cosa, che tutti i rifiuti che
non sono mai stati recuperati sono stati illecitamente smaltiti. Durante l’indagine abbiamo individuato
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alcuni enormi siti. Non ricordo chi ha fatto riferimento alle foto delle enormi cave: infatti sono tali,
completamente riempite di rifiuti pericolosi, di cui moltissimi cancerogeni.
Ebbene, dal 2003, data in cui sono stati fatti i primi arresti con l’operazione «Re Mida»,
nessuno di questi terreni è stato bonificato, con l’eccezione di un piccolissimo terreno e soltanto
perché è cambiato il proprietario (era un terreno intestato a tale Nebbia Maria), ma si tratta
assolutamente…
PAOLO RUSSO. Dottoressa, ci dica qualcosa sulle indagini sulla vicenda Recam.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia di Napoli. Ci siamo occupati, come
direzione distrettuale antimafia, di una piccola tranche dell’attività di questo ente di diritto pubblico,
la Recam, che, come tutti sanno, è molto particolare, in quanto è interamente partecipato dagli enti di
controllo.
Ci siamo occupati della Recam non come LSU, bensì in relazione all’affidamento effettuato da
questo ente. La Recam è una società di diritto pubblico, che ha appaltato i lavori di bonifica, tra l’altro
di bassissime zone da bonificare, quali gli alvei dismessi…
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Mi scusi, presidente, ma desidero che questa parte dell’audizione venisse segretata.
PRESIDENTE. Va bene, la rimandiamo al termine dell’audizione. Evidentemente la nostra attenzione
sulla Campania è collegata a quello che, peraltro, oggi tutti ci hanno comunicato, cioè che esiste una
forte presenza della criminalità organizzata nel traffico dei rifiuti.
Vorremmo capire se ciò di cui lei ha parlato sino a questo momento – peraltro di grandissimo
interesse – si riferisca a situazioni attuali, oppure estinte. Vogliamo capire se dobbiamo andare a
cercare i collegamenti tra traffico dei rifiuti e criminalità organizzata attuali, oppure se voi avete dati
obiettivi per escludere che il traffico di rifiuti, ormai, sia di interesse della criminalità organizzata.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia di Napoli. Presidente, credo che la
risposta sia abbastanza ovvia. Per tutti noi che ci siamo occupati minimamente di criminalità
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organizzata, mi sembra abbastanza banale sostenere che qualsiasi attività più o meno lucrosa è di
interesse della criminalità organizzata.
Solo per dare una nota di colore, ricordo che uno dei collaboratori di giustizia che ho ascoltato
ci ha riferito che, per esempio, si chiedeva il pizzo anche su chi vinceva al totocalcio.
All’inizio della mia risposta ho sottolineato il grande gap che, purtroppo, esisteva tra l’attività
investigativa e la nostra risposta giudiziaria. Ora stiamo riuscendo a dare la giusta connotazione ai
fenomeni di traffico illecito, di gestione illecita di rifiuti, rispetto a qualche anno fa, perché ora i
collaboratori di giustizia ci stanno riferendo in proposito.
Quindi, sussiste sempre una cesura temporale tra il dato investigativo e il dato storico. In
questo settore, ancora più che in altri (come per esempio il traffico di droga e le estorsioni, che sono
fatti oggettivamente illeciti rispetto ai quali un’attività investigativa, una volta che riesce a disvelare
un certo traffico, oggettivamente riesce a dare la giusta connotazione), con tutti gli sforzi che si
riescono ad effettuare, attraverso le indagini al massimo si riesce a contestare un traffico illecito
organizzato. Solo quando si riusciranno ad avere elementi in più, si potrà sostenere che una certa
società non soltanto appartiene all’imprenditore Tizio, che fa traffico illecito organizzato, trucca gli
appalti e corrompe, ma anche che l’imprenditore Tizio è espressione di un determinato clan.
Per ottenere quest’ultimo dato, che poi è l’unico che riesce a colorare l’indagine e dare una
connotazione camorristica, ci vuole, purtroppo, un’enorme fortuna, poiché dovremmo avere dei
collaboratori nel momento in cui si sviluppa l’attività illecita, fatto che, come tutti ci insegnano, è
rarissimo.
Ritengo che l’attività che abbiamo svolto nell’indagine «Giudizio finale» rappresenti già un
grandissimo risultato, perché ci parla comunque di una attività in corso, perché dagli appalti effettuati
vediamo che questo gruppo societario attualmente operativo è riconducibile al clan Belforte.
Il nostro sogno, come Direzione distrettuale antimafia, è riuscire a mappare gli interessi della
criminalità organizzata, anche nel settore dei rifiuti attuale. Già ora stiamo riuscendo ad arrivare a
qualche piccolissimo risultato in più, rispetto al passato. Sarebbe bellissimo poter avere una mappatura
valida per l’attualità e gli sforzi che stiamo compiendo vanno in questa direzione.
Il nostro procuratore distrettuale lo sa: man mano che la procura di Napoli sta beneficiando di
alcune collaborazioni di particolare rilievo (per esempio di soggetti non solo appartenenti all’ala
militare, ma anche all’ala dirigenziale del clan, quindi abituati ad avere contatti con gli imprenditori),
si ottengono risultati maggiori.
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Tra l’altro, l’affiliazione dei soggetti che erano diretta espressione dei clan camorristici non era
nota a tutti. Cioè, il semplice estorsore o il trafficante di droga afferente al clan non li conosceva
proprio, erano soggetti indifferenti. Per questo esistono solamente rare collaborazioni, che sono state
importantissime per tutti questi gruppi e che ci hanno portato ad entrare in settori tradizionalmente
poco esaminati nonché ai risultati che vi ho ricordato.
Siamo purtroppo, potremmo dire, appena agli inizi di un percorso.
VINCENZO NESPOLI. Da questa mattina stiamo ascoltando le istituzioni, tutti i nostri riferimenti.
Purtroppo rappresentiamo la «casta» e la politica è accusata di tutto.
Da questa mattina debbo registrare che in questa mia regione siamo da 15 anni in emergenza e
sono state buttate – come ci dicono le indagini di questa Commissione, che è politica – diverse
migliaia di miliardi delle vecchie lire. La regione vive un disastro ambientale senza precedenti, siamo
a malapena usciti dalla fase di emergenza, ma non esiste ancora un sistema industriale dei rifiuti, che è
tutto da costruire. Siamo inondati da rifiuti tossici, dappertutto, abbiamo le «terre dei fuochi», ci hanno
rappresentato che vengono tranquillamente bruciati pneumatici e quant’altro in giro, generando fumi
tossici e quant’altro. Ebbene, da cittadino, mi domando, tutto ciò, chi abbia portato in carcere, chi sia
stato accusato di qualche reato in questi anni.
Il cittadino si interroga: tutti denunciano, dall’una e dall’altra parte; stamattina il presidente
Bassolino ha detto che la colpa è del «fronte dei no», dei sindaci che hanno protestato perché si è
creata l’emergenza. Ognuno cerca di individuare altri soggetti su cui ricadano le responsabilità, ma
non ci interroghiamo su cosa tutto ciò abbia determinato.
Chi conosce questo territorio sa che, molto spesso, la camorra diventa un alibi per coprire
negligenze e responsabilità. Convengo con una tale affermazione, che non mi scandalizza, collega
D’Ambrosio. Lei, peraltro, dovrebbe conoscere bene anche questa regione. Non mi scandalizzo,
poiché molto spesso avviene che le negligenze istituzionali vengano ammantate di una responsabilità
altrui. Anche questa mattina, Bassolino ci ha fatto capire che tutto quello che è successo è stata colpa
della camorra.
Ebbene, chi sta nelle istituzioni qualche volta si deve anche assumere le proprie responsabilità.
Il procuratore dichiara che la camorra cura molto un altro aspetto della questione ambientale
campana, cioè l’abusivismo edilizio. Non sempre dietro ai fenomeni c’è la camorra: molto spesso c’è
disattenzione da parte delle istituzioni, che non agiscono e non contrastano il fenomeno. Si
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rappresenta che dietro un determinato caso c’è la camorra e tutti pensano che quest’ultima sia l’unica
responsabile dell’abusivismo.
Chiariamoci, anche su queste cose. Non sto accusando nessuno, ma sto registrando, in
definitiva, che in 15 anni si è perpetrato in quest’area un disastro ambientale enorme; Sono state
sprecate risorse finanziarie enormi; siamo appena usciti dall’emergenza solo riaprendo le discariche
(dobbiamo dircelo fino in fondo); non esiste un sistema industriale e nessuno ha pagato. Alla fine, mi
sembra che le indagini in corso riguardino casi specifici di trasporti, o di commercio di rifiuti tossici.
PRESIDENTE. Direi proprio di no, perché i Bidognetti e i Vassallo non sono piccoli trasportatori.
VINCENZO NESPOLI. Sta di fatto, lo si evince dalle parole del procuratore Lepore, che questo
traffico si è rallentato notevolmente, quindi stiamo parlando di indagini che si riferivano a molti anni
addietro. Guardando all’attualità, dobbiamo registrare che questo è il quadro che emerge dagli incontri
che stiamo avendo. È una riflessione, la mia, più che una domanda.
SALVATORE PISCITELLI. Mi volevo ricollegare proprio a questo aspetto della collusione che può
sussistere tra l’apparato burocratico amministrativo e la criminalità organizzata, per quanto riguarda la
gestione dei rifiuti.
In questo senso, vorrei sapere dalle vostre indagini e dai processi che sono in corso, quale
effettivo grado di collusione risulti tra l’apparato burocratico amministrativo, tra chi gestisce gli enti
locali e la criminalità organizzata.
Inoltre, se posso essere concreto, vorrei sapere quali e quanti siano i procedimenti aperti a
carico del presidente della regione Bassolino, risalenti a quando era Commissario per l’emergenza.
L’ho chiesto a lui, stamattina, ma purtroppo non ho avuto risposta e mi è stato detto di chiedere a voi.
Vorrei capire bene quali siano questi procedimenti e i relativi capi di imputazione.
MARIA GRAZIA RIBERA, direzione distrettuale antimafia di Napoli. Posso rispondere per una
piccola parte, poi passo la parola ai colleghi che se ne sono occupati.
Solo per inciso, a chi ha preceduto l’ultimo interlocutore volevo dire che, in realtà, non si tratta
di piccoli trasportatori. Grazie anche all’attività di chi mi ha coordinato, sono personalmente riuscita a
ottenere più di 100 arresti, dal 2003 fino ad oggi, per questi trafficanti di rifiuti. Con le operazioni
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«Eco boss» e «Giudizio finale», dell’inizio del 2008, a carico di imprenditori è stata configurata
l’associazione di stampo camorristico, con l’applicazione del 416 bis. È un piccolo risultato, ma è tutta
questione di proporzioni: per noi della procura ottenere un titolo cautelare ex 416 bis a carico di un
soggetto che formalmente risulta imprenditore e che invece è individuato come elemento di spicco di
un clan camorristico, rappresenta un risultato eclatante, che si aggiunge a quei 100 arresti di trafficanti
di rifiuti.
Sono i dati che riguardano direttamente chi vi parla, cioè un singolo sostituto, mentre il
procuratore ha tutti i numeri delle operazioni globali, relativi all’attività dell’intera procura.
Per rispondere sul coinvolgimento di pubblici funzionari, fornisco solo un dato. Come tutti
sanno, queste sono le indagini più difficoltose da realizzare e la procura di Napoli ha ottenuto un
ottimo risultato, atteso che non so chi ricorderà quell’operazione denominata «Mazzettus» , per la
quale operammo alcuni arresti per corruzione, anche di imprenditori operanti nel settore dei rifiuti e
operatori del genio civile, per alcune «mazzette», cioè dazioni di danaro, che filmammo. Siamo
arrivati alla condanna per tutti gli imputati, nel giudizio di primo grado.
Per quanto riguarda la Recam, abbiamo detto che dobbiamo rispondere all’esito, mentre per il
resto passo la parola a chi se ne è occupato direttamente.
FEDERICO BISCEGLIA, sostituto procuratore presso il tribunale di Napoli. Riprendo da dove ha
lasciato la collega. Il coinvolgimento dei pubblici funzionari nelle indagini in materia di rifiuti è
sempre molto complesso, perché le norme – su questo vorrei essere sintetico – sono veramente poco
chiare. Difficilmente riusciamo a provare la corruzione o la concussione e dobbiamo procedere con
l’abuso d’ufficio.
Vi racconto un episodio capitato di recente, nell’udienza del 29 o 30 giugno e il presidente
Pecorella comprenderà subito quello che intendo dire. Nel corso di un processo che avevo istruito a
Nola a carico di un dirigente della regione Campania e stralciato, poiché il tribunale di Nola si era
dichiarato incompetente in quanto il reato era stato commesso a Napoli, l’avvocato è venuto a dirmi
che non avrebbe chiesto alcun rinvio, altrimenti sarebbe maturato il termine di prescrizione e lui non
avrebbe avuto più diritto alla parcella pagata dalla Regione.
Questo è importante per farvi valutare come, quando facciamo un processo contro un pubblico
amministratore, lo si cerchi di farlo in maniera ragionata, senza rinviare a giudizio sic et simpliciter, in
ogni situazione.
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Le norme sono poco chiare e, siccome qualcuno, poco fa, ha fatto riferimento a un’economia
drogata, che comporta un non sviluppo da parte della Regione, ebbene, io credo che il problema sia
tutto qui.
In regione Campania la situazione è ancor più aggravata dal fatto che le norme sono in parte
emergenziali e in parte ordinarie. Mi ricollego, su questo, al tema delle bonifiche: non ho notizia di
bonifiche effettuate, né dalla Recam, né da società private. Quindi, non riusciamo a dirvi come siano
utilizzati, allo stato, i finanziamenti a cui qualcuno faceva cenno (futuri, ma qualcosa è già arrivato),
ma sicuramente non per fare la bonifica.
Per quanto riguarda la vecchia ASL Napoli 4 Pomigliano d’Arco – oggi confluita in un’unica
ASL che ha unito quelle di Pomigliano e di Castellammare di Stabia – non si è riusciti a fare
un’indagine epidemiologica sugli effetti che questi rifiuti dell’area nolana hanno provocato sulla
salute dei pazienti, perché il responsabile ci ha riferito che occorreva prima eseguire uno studio sulla
direzione prevalente del vento.
Questa è un’indagine in corso, con una delega che ho firmato unitamente al procuratore
Lepore, dopo che i fascicoli che avevo istruito alla procura di Nola sono rientrati a Napoli a seguito
della legislazione emergenziale. Me ne sono ritrovato assegnatario il mese scorso, anche se ero già
assegnatario alla procura della Repubblica.
CANDIDO DE ANGELIS. Scusi se la interrompo un attimo. Volevo solamente segnalarle che, questa
mattina, ci è stato detto che il fondo di 50 milioni di euro, più altri del FAS, verranno comunque
deliberati con gara europea, secondo il patto di legalità firmato insieme al Ministro Maroni. Ciò faceva
parte di un ragionamento svolto insieme al ministro dell’interno sul patto di legalità, nel quale, se non
mi sbaglio, anche voi dovreste in qualche modo rientrare.
FEDERICO BISCEGLIA, sostituto procuratore presso la procura di Napoli. Sì, ma in un secondo
tempo.
CANDIDO DE ANGELIS. Certamente dopo, visto che siamo ancora in fase di progettazione. Dottor
Bisceglia, lei ha già riso quando prima io ho detto che, a fine anno, finirà il commissariamento. Ha
fatto un gesto beffardo e vorrei che me lo commentasse.
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GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Mi scusi se interloquisco. L’emergenza rifiuti, effettivamente, a Napoli è rientrata e non vediamo più
immondizia per le strade. Basta andare a San Giorgio a Cremano, che è proprio al confine con Napoli,
per trovare i sacchetti per strada. Ogni singolo Comune non fa quello che dovrebbe fare per la
raccolta, vuoi per mancanza di fondi, vuoi per uno sciopero. Non parla riamo poi, naturalmente, della
differenziata a Napoli. Tutti oggi si domandano dove vadano a finire i rifiuti. Ebbene, in parte vanno a
finire negli inceneritori (quando funzionano), ma soprattutto nelle discariche, che sono state riattivate
in attesa di fare gli inceneritori.
D’altra parte in Italia, lo sappiamo, il provvisorio diventa definitivo. Magari venissi smentito e
assieme alla legge speciale finisse l’emergenza rifiuti!
Sulle bonifiche siamo d’accordo, abbiamo indagini in corso su società che prendono soldi,
falsificano bollette, cedole e codici, che vanno e vengono come vogliono loro. Naturalmente abbiamo
anche procedimenti in corso.
PRESIDENTE. Di questo ne parleremo nell’ultima parte.
ALESSANDRO BRATTI. Vorrei sapere su chi vi appoggiate, dal punto di vista tecnico.
FEDERICO BISCEGLIA, sostituto procuratore presso la procura di Napoli. Utilizziamo le ASL e
l’ARPAC, cercando di essere molto attenti nella lettura delle loro risposte.
PAOLO RUSSO. In passato non sempre utilizzavate l’ARPAC.
FEDERICO BISCEGLIA, sostituto procuratore presso la procura di Napoli. È vero. Vorrei però
tornare sulla necessità di regole chiare. In particolare, mi riferisco alla necessità di coordinare
l’urbanistica con le strutture che vanno a produrre rifiuti.
Abbiamo attualmente una legislazione per cui, chi decide di costruire al centro di una
bellissima area agricola – anche questo è un caso capitato nell’area mariglianese – un impianto di
trattamento di rifiuti chimici (quindi il massimo che ci possa essere), presenta una certificazione
giurata redatta da un tecnico di parte, dichiara di avere la disponibilità di locali adeguatamente
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attrezzati, dopodiché richiede l’autorizzazione regionale, quando non proceda addirittura attraverso le
forme semplificate.
Ebbene, l’autorizzazione regionale costituisce variante al piano regolatore (laddove questo
esiste) e in definitiva questo soggetto (sicuramente uno dei «bene informati» di cui ci parlava la
collega Ribera) riesce a realizzare un impianto di natura industriale altamente inquinante in un’area a
vocazione agricola e va a snaturare tutto lo sviluppo omogeneo del territorio.
Questa è una norma già contenuta nel decreto Ronchi ed è stata ripetuta anche nel Testo Unico
ambientale.
L’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di trattamento rifiuti costituisce variante al
Piano regolatore generale. Questa situazione fa sì che noi non si possa istruire processi a carico dei
pubblici amministratori, in quanto non sussiste alcuna illecita condotta da parte di questi ultimi. Con la
semplice autorizzazione all’impianto, infatti, non c’è più violazione del piano regolatore generale.
CANDIDO DE ANGELIS. La regione deve comunque rilasciare la Valutazione di impatto ambientale
FEDERICO BISCEGLIA, sostituto procuratore presso la procura di Napoli. In Campania, la VIA c’è
quasi sempre, quando la richiedono i «bene informati». Difficilmente troviamo, qui da noi,
Valutazioni di impatto ambientale negative.
A volte si rallentano, quando la Procura inizia a fare l’istruttoria e a sentire le persone che le
hanno rilasciate. Si tratta però di valutazioni di carattere tecnico nell’ambito delle quali, ovviamente,
la magistratura non può entrare.
Una cosa, secondo me, doveva essere disposta in via emergenziale: in una regione che non
riesce a smaltire i propri rifiuti solidi urbani dovrebbe essere tassativamente vietata la realizzazione di
nuovi impianti che producono rifiuti industriali. Se non si riesce a smaltire il necessario, a maggior
ragione non si possono realizzare ulteriori impianti, che producano ulteriori rifiuti, che
necessariamente vanno a finire sotto i ponti.
So, peraltro, che su questo la politica non è d’accordo.
PRESIDENTE. Non è compito nostro decidere al riguardo. Per la verità, vorremmo che il sud fosse
più industrializzato, magari trovando una soluzione per i rifiuti. Do la parola al dottor De Chiara.
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ALDO DE CHIARA, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli. Sono il dottor De Chiara,
procuratore aggiunto che coordina l’attività della V Sezione ambiente e territorio della procura di
Napoli.
Se mi è concesso, vorrei sviluppare le riflessioni ad alta voce del senatore Nespoli.
Ribadisco che nessuno, tanto meno il procuratore Lepore, vuole affermare che in Campania
non esista una camorra attiva. Niente di tutto ciò si voleva affermare.
Però credo che vada ribadito un concetto: la camorra è forte, nella misura in cui le istituzioni
non sono efficienti e non fanno il proprio dovere. Più la pubblica amministrazione e le istituzioni sono
inefficienti, più la camorra prende piede.
Il senatore si chiedeva, dopo 15 anni di «disastro ambiente», chi abbia pagato. È una
sacrosanta domanda, che anch’io, come cittadino, mi pongo. In questo momento sono dinanzi al
Parlamento e cerco di dare un contributo, frutto della mia esperienza di magistrato.
Ebbene, credo che la procura della Repubblica su questo fronte abbia le carte in regola, sia
pure con i ritardi inevitabili della macchina giudiziaria per le ragioni note, che è inutile stare qui a
ripetere.
Abbiamo oggi due dibattimenti a carico, complessivamente, di oltre 50 soggetti rinviati a
giudizio, tra amministratori pubblici di rango, dirigenti pubblici di estrazione burocratica, imprenditori
privati di rango. Alludo al processo a carico dell’ex Commissario straordinario Bassolino e di oltre 24
persone, accusate di reati oggettivamente gravi: falso in atto pubblico, truffa in danno dello Stato,
frode in pubbliche forniture, più altre ipotesi più lievi, quale abuso in atti di ufficio.
Ma l’uomo della strada non è interessato al fatto che si celebrino questi processi. Nella
percezione comune – che, mi si consenta di dirlo, alla fine condivido – la gente si chiede chi sia
andato a finire in galera. La gente vuole che, chi sbaglia, vada in prigione. Ebbene, personalmente
rispondo che, in definitiva (fatta salva la presunzione di non colpevolezza, su cui la sappiamo lunga,
fin dai banchi dell’università), nessuno finisce in prigione perché il sistema, in fondo, non lo consente.
Ci si domanda perché non siano stati arrestati i 28 imputati del primo processo sfociato a
dibattimento, al di là della sussistenza o meno delle condizioni di cui all’articolo 274 del Codice di
procedura penale. Gran parte dei reati, di fatto, si riteneva che potessero essere ampiamente coperti
dall’indulto concesso dal Parlamento.
Si comprende allora facilmente che diventa assurdo, per una procura della Repubblica,
chiedere sulla base della verosimile presunzione di reiterazione dei reati la cattura di pubblici ufficiali
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che, probabilmente, verranno condannati a pene pari o inferiori ad anni tre. Ci si verrebbe subito a
contestare il fatto di esserci permessi di chiedere l’arresto!
Infatti, queste critiche ci sono piovute addosso quando abbiamo chiesto e ottenuto da un
giudice terzo alcune misure cautelari personali, nel procedimento a carico dei supposti falsi collaudi
degli impianti di CDR. C’è stata una pioggia di critiche nei confronti della procura della Repubblica,
la quale però, avendo lavorato seriamente, si è vista confermare la richiesta dal GIP e poi dal tribunale
del riesame.
Anche nel secondo dibattimento a carico del Sottosegretario Bertolaso abbiamo chiesto e
ottenuto gli arresti domiciliari. È superfluo aggiungere che l’uomo della strada avrebbe voluto la
prigione; questo vuole il cittadino comune quando ci sono elementi probatori – dicono i tecnici –
«granitici», come in questo caso. Le ipotesi accusatorie, infatti, sono state confermate dal GIP
monocratico, nonché, in forza del decreto-legge n. 90 del 2008 retroattivo, anche dal GIP cosiddetto
collegiale. Infine, anche dal tribunale del riesame. Ogni imputato, come è suo diritto, ha infatti
presentato ricorso al tribunale del riesame, che ha confermato queste misure.
Tanti giudici che dicono di sì alle ipotesi accusatorie indicano che la procura ha lavorato bene.
Molto di più non possiamo fare. Non veniamo incontro alle aspirazioni del cittadino perché
esiste un Codice di procedura penale che limita molto la custodia intramuraria…
PRESIDENTE. Non riusciamo a capire fino in fondo perché a lei tutto ciò dispiaccia così tanto.
ALDO DE CHIARA, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli. Ho premesso che sviluppavo
certe riflessioni ad alta voce del senatore. Dico semplicemente che la procura ha fatto tutto quello che
poteva fare, in base alla legge vigente. Altro non credo che potesse fare.
PRESIDENTE. Credo che il senatore si riferisse soprattutto ai risultati dei processi.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Sono in corso i dibattimenti. Però, non v’è dubbio che fin qui l’ipotesi accusatoria non si può ritenere
destituita di fondamento, poiché, come ricordavo, ci sono state varie verifiche.
Tuttavia, non si può negare che c’è un’aspettativa della collettività che non trova una risposta
nella legislazione italiana vigente.
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PRESIDENTE. Lei sa che il 50 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Quindi, non credo
proprio che siamo in un sistema che non consente la misura cautelare. Mi meraviglio, piuttosto, che
riguardo al 50 per cento dei cittadini in carcere, non si sappia ancora se sono colpevoli o innocenti.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Ma questo è uno dei nodi della giustizia italiana, su cui non mi permetto di ribattere.
Alla domanda posta su chi, alla fine, paghi andando a finire in galera, rispondo che è difficile
(giustamente, tenuto conto dei precetti costituzionali) mandare in galera le persone prima delle
sentenze definitive di condanna. E questa è una realtà di cui dobbiamo prendere atto. Solo questo
volevo precisare.
PRESIDENTE. Va bene. La ringraziamo. Chiedo se ci siano altri interventi.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli .
Riguardo ai processi contro Bassolino, ce n’è uno grande, che è in corso di dibattimento, in cui
saranno ascoltati più di 100 testimoni da parte della difesa e che quindi richiederà del tempo.
È opportuno comunque rilevare che non «si paga» con l’arresto, bensì solo dopo una sentenza
di condanna. Se qualcuno è riconosciuto colpevole di un reato, allora pagherà. Purtroppo, permane la
lentezza dei procedimenti e quant’altro, pur tuttavia non possiamo fare considerazioni ex abrupto,
anche perché sono previsti tre gradi di giudizio.
A prescindere da questo aspetto, anche in altri processi vi sono filoni di indagine che stiamo
sviluppando. Chiaramente si risale a fatti lontani nel tempo, in quanto Bassolino è stato Commissario,
mi pare, fino al 2004.
GIUSEPPINA CASTIELLO. Vorrei porre una domanda da «cittadina». A questo punto è meglio
parlare al procuratore in questa veste.
Nessuno vuole fare processi sommari. Però, spicca un dato, rispetto a quello che si diceva in
precedenza, relativo alla questione della crisi dei rifiuti e, quindi, rispetto a 15 anni di disastri. Lo
spunto mi viene un po’anche dall’aver avuto un ruolo di consigliere regionale.
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Questa è una procura molto attenta, che emette legittimamente anche misure cautelari rispetto
a vari reati di conclamata evidenza.
Ebbene, rispetto ai milioni di euro sperperati, all’infinità di consulenze affidate in
continuazione e a tutta una serie di vicende arcinote, mi chiedo come sia possibile che ci sia un solo
processo in corso, che coinvolge il presidente Bassolino in qualità di Commissario straordinario, ma
non in qualità politico che in effetti ha esercitato un ruolo evidentissimo, rispetto a cose che vengono
denunciate quotidianamente. Questa è la domanda che pongo e la riflessione che faccio ad alta voce in
questa sede.
GIANPIERO DE TONI. Signor presidente, è da stamattina che ascolto e non mi piace dire che sono
qui come «cittadino». Sono qui come senatore della Repubblica, membro di questa Commissione
bicamerale, per un’inchiesta su quello che succede in questo pezzo importante d’Italia.
La mia sensazione è che siamo chiamati a capire se si ridà speranza e certezza del diritto,
rispetto ad una questione morale e di legalità, in una parte bellissima e importante di questo Paese.
Pertanto, o scatta un colpo d’ala complessivo da parte delle istituzioni, della politica, dei
responsabili, della magistratura, o non faremo la grande storia, temo.
La questione che pongo – ringrazio il dottor De Chiara per la chiarezza con la quale ha
affrontato il problema, mettendo in chiaro le responsabilità e non gli alibi da parte di chicchessia – è la
seguente: come parlamentari abbiamo la responsabilità della legislazione, quindi chiedo fortemente ai
rappresentanti dello Stato, sul fronte della magistratura (alla quale rivolgo un ringraziamento
particolare, come senatore dell’Italia dei valori, per il lavoro che state svolgendo) se ci siano
suggerimenti, per esempio nel tema delle intercettazioni, o del modo con cui voi svolgete il vostro
lavoro, per riuscire insieme a combattere fino in fondo l’illegalità. Diversamente, non vedo alcun
futuro.
Il procuratore generale ha detto cose che mi hanno fatto rabbrividire, cioè che chi viene eletto
nelle amministrazioni locali deve per forza sapere che condivide di fatto il potere con le «famiglie»
forti, altrimenti non può governare, indipendentemente che sia di destra o di sinistra. È un’assurdità,
una sconfitta che rifiuto con veemenza.
Vorrei andar via da Napoli con qualche speranza.
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GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. La
speranza gliela concedo, perché se viene meno la speranza possiamo solo alzarci e chiudere i battenti,
però essa comporta la collaborazione di tutti, non soltanto della magistratura.
Lei è di Brescia, ma forse non sa una cosa: a Napoli si pensa sempre alla provvidenza del
Padreterno. Lei sentirà sempre dire che «deve pensarci lo Stato», senza capire che lo Stato siamo noi e
che ci vuole collaborazione.
Quando parlo del napoletano – consentano a me di fare una critica, poiché sono napoletano
anch’io – parlo di un popolo tutto particolare, che si distingue dal salernitano (che è confinante), o da
altre popolazioni. È del tutto particolare e, d’altra parte, la storia ce lo insegna.
Nel DNA del napoletano è scritto che si deve fare tutto quello che è contrario alla legge: non
avendo rispetto di se stesso, difficilmente il napoletano ha rispetto degli altri.
Se lei, senatore, passeggia per i vicoli, vedrà che quelli che vivono nei «bassi» scopano la
strada, ma non prendono secchiello e paletta per mettere i rifiuti nel proprio cestino: li buttano in
mezzo di strada. Se si chiede loro cosa stiano facendo, rispondono che poi passerà lo spazzino, pur
sapendo che l’operatore ecologico non passa. Se si va dietro a una macchina, ben presto si vedrà
qualche fazzolettino di carta buttato a terra dal finestrino.
Bisogna fare uno sforzo comune e convincere i napoletani. Se si mette un napoletano insieme a
due milanesi, fra i tre il migliore è il napoletano. Se si mettono assieme due napoletani, però,
cominciano a fare «ammuina», cioè chiasso. Se si mettono assieme tre napoletani, fanno quasi una
rivoluzione. Questo è lo spirito del napoletano e i molti napoletani qui presenti lo sanno benissimo.
Venendo alle intercettazioni, la nuova legge – se vogliamo andare sullo specifico – non ci
consentirà in futuro di poter eseguire intercettazioni per questo tipo di reati.
Parlo ora all’avvocato Pecorella, più che al presidente della Commissione: lei sa benissimo che
le uniche prove sono quelle tecniche. I testimoni sono scomparsi, di documenti non se ne parla
proprio: abbiamo soltanto le prove tecniche.
Naturalmente gli abusi vanno colpiti, ma le intercettazioni servono.
Tenga conto che, a Napoli, con le intercettazioni facciamo il controllo del territorio.
Molte volte siamo costretti ad intervenire e ad attivare la discovery dell’indagine in corso per
evitare omicidi: ascoltiamo attraverso i telefoni l’intenzione di uccidere qualcuno e dobbiamo
intervenire. Questa è una forma di controllo del territorio, che, da sole, le forze di polizia non possono
affrontare.
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È giusto riformare la legge sulle intercettazioni, a mio parere, evitando gli abusi. Quello che
interessa – diciamo le cose come stanno – è evitare che le intercettazioni, quelle che servono per i
processi e quelle che non servono, vadano, purtroppo, a finire sui giornali.
Il rimedio c’è ed è molto semplice, solo che non conviene.
La galera non fa più paura a nessuno, mentre agli italiani fa paura che si metta le mani nelle
loro tasche. Se per un giornale (quotidiano o settimanale), che pubblichi notizie che non deve
pubblicare, fosse prevista una sanzione di sospensione della pubblicazione per un mese, ben presto
l’inconveniente cesserebbe, poiché il danno economico sarebbe abbastanza rilevante.
PRESIDENTE. C’è un problema di libertà di stampa.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Qualcosa bisogna pure sacrificare. Dobbiamo pur toccare il fondo e penso che ci siamo già arrivati.
Ma, come in tante altre occasioni, risorgeremo. È questa la speranza.
ALESSANDRO BRATTI. Signor presidente, vorrei parlare del cuore dei lavori. Mi interessa capire il
punto in cui lei faceva riferimento ai supporti tecnici.
Credo che, sempre di più – lo abbiamo anche ascoltato in altre audizioni sul Lazio – cambiano
certi meccanismi: l’uso di laboratori privati per adulterare le analisi, il cambiamento dei codici.
A questo punto, si cerca anche di capire quale potrebbe essere una garanzia sia per chi deve
investigare, sia per chi deve prendere decisioni, per poter fare riferimento a strutture tecniche che
siano affidabili. Queste materie non sono molto facili: se uno non ne capisce, ha bisogno di un
supporto tecnico di un certo spessore.
Per legge, esistono strutture tecniche che dovrebbero fornire tale supporto. Vorrei capire se le
strutture tecniche presenti nella regione Campania siano adeguate, o meno, per espletare questo
servizio. Queste sono cose dette e ridette, ma non si capisce mai fino in fondo quale sia la verità,
mentre ritengo che sarebbe utile averne effettiva conoscenza.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Il
problema dell’Italia in genere e di Napoli in particolare è la mancanza di controlli. Le strutture
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tecniche ci sono, ma se le corrompo non c’è niente da fare e posso cambiare la legge quante volte
voglio. Questo è il problema.
Se manca il controllo, o se il controllore è già corrotto, non potremo fare più niente.
FEDERICO BISCEGLIA, sostituto procuratore presso la procura di Napoli.
In Campania abbiamo le strutture tecniche, di cui fanno parte anche soggetti sufficientemente
preparati. Un problema è che queste strutture sono poche, l’altro problema è la modalità di selezione
del personale.
Faccio un’analogia: se il procuratore Lepore è colui che mi seleziona e che, in caso di
contrasto, mi può mandare via, è chiaro che non andrò mai in contrasto con lui.
Ebbene, questo è il problema delle strutture regionali, in cui il personale viene assunto sempre
senza concorso: si parte con un contratto a tempo determinato, successivamente questo contratto
diventa definitivo attraverso il titolo che ci si è precostituiti con il periodo di lavoro già espletato nella
struttura stessa. Questo è il problema delle strutture tecniche, che tuttavia non mi pare sia prerogativa
della sola Campania, bensì di tutto il Paese.
ALESSANDRO BRATTI. Assolutamente no, in altre parti del Paese non funziona certo così. Da noi
esiste una parte di precariato, ma su un’agenzia di 1.200 addetti ci saranno 100 precari. Credo che
l’ARPA Campania abbia 300 addetti, di cui forse la metà precari. Non è questo, io credo, il tema.
PAOLO SIRLEO, sostituto procuratore presso la procura di Napoli. Per quanto riguarda il
funzionamento dell’ARPA Campania, devo dire che, per l’esperienza che abbiamo avuto nei processi
Bassolino-Impregilo e nel procedimento contro la gestione successiva (quella, in buona sostanza, con
la dottoressa Di Gennaro, più altri), abbiamo visto che tutto sommato, salvo eccezioni, l’ARPAC si è
dimostrata attendibile.
Il problema è che il risultato dell’attività svolta dall’agenzia non sempre è presentato in
maniera molto intellegibile. Mi spiego meglio: nel processo Bassolino abbiamo acquisito tutta una
serie di relazioni dell’ARPAC, che sono assolutamente fedeli circa quello che era il funzionamento
degli impianti ex CDR e che quindi ci hanno consentito di avere una fotografia del funzionamento e
dei disservizi degli impianti stessi.
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Quando però chiedevamo una maggiore incisività nell’esposizione dei fatti, i funzionari
dell’ARPAC rispondevano di non svolgere funzioni di polizia giudiziaria, essendo soltanto organi di
controllo. Quindi si limitavano a riportare quanto avevano constatato. Quando le loro relazioni
arrivavano sul tavolo di un magistrato, questi si trovava a leggere che nell’impianto di CDR non
funzionava l’area di stabilizzazione automatica, oppure che la frazione organica veniva lavorata per 25
giorni, anziché per 28 giorni. Se il magistrato non aveva una conoscenza a monte del contratto di
appalto, di tutte le specifiche tecniche francamente non capiva niente.
Per noi è stata un’esperienza preziosa, perché studiando abbiamo incontrato difficoltà ad
arrivare alla conclusione del processo Bassolino e abbiamo dovuto mettere assieme tutti questi pezzi,
però bisogna dire che gli elementi raccolti, alla fine, li abbiamo trovati utili.
Semplicemente, non essendo contenuta nella nota presentata dall’ARPAC una spiegazione su
quelle che erano le condizioni contrattuali relativamente alle caratteristiche del servizio offerto, il
magistrato che non avesse avuto già una conoscenza del problema, francamente, prendeva la relazione
per quello che valeva, cioè come una conoscenza assolutamente staccata da un contesto preciso.
In altri casi, sempre nel processo Bassolino, abbiamo notato come l’ARPAC non fosse dotata
di macchinari comunque importanti. Uno degli elementi che le ordinanze commissariali individuavano
come parametri per la frazione organica stabilizzata è l’Indice respirometrico statico. Ebbene, quando
abbiamo assunto sommarie informazioni da tecnici ARPAC, abbiamo saputo che l’ARPAC stessa era
sprovvista del macchinario per calcolare questo indice che, in buona sostanza, ci dice se la frazione
organica è stabilizzata, quindi non suscettibile di produrre percolato ed esalazioni nauseabonde.
L’ARPAC non lo aveva, pur non essendo un macchinario particolarmente costoso.
Volevo inoltre rispondere all’onorevole Castiello, sul problema delle consulenze. Prendendo
spunto dal procedimento Bassolino, per l’autorità giudiziaria è difficoltoso costruire un’ipotesi di reato
sulla base della assegnazione di consulenze intesa come forma di sperpero di denaro pubblico, perché
ci si risponde che questa attività rientra nella discrezionalità amministrativa e, come tale, non è
penalmente sanzionata.
Abbiamo cercato (nei limiti del possibile, perché è chiaro che si deve riuscire a provarlo) di
dimostrare che in realtà sussisteva un accordo con il consulente, per cui una parte del denaro veniva
girata per certe forme di corruzione.
Abbiamo utilizzato il tema delle consulenze nel quadro dell’ambito contestativo dei reati di
truffa e falso. Per esempio, abbiamo trovato una consulenza molto utile, anche questa volta in materia
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di frazione organica stabilizzata, che diceva chiaramente quali erano i doveri che dovevano essere
assolti per produrre appunto frazione organica stabilizzata, o compost, più propriamente, nel rispetto
del contratto di appalto. Questa consulenza era stata messa nel cassetto, per cui abbiamo potuto
contestare che si aveva la consapevolezza degli obblighi contrattuali, che era stata ricevuta una
certificazione da parte del proprio consulente e che quindi tale consulenza era da noi utilizzabile come
prova a carico nel concorso in truffa da parte di pubblico ufficiale, o nella frode in pubbliche forniture.
Al di là di questi poteri contestativi non possiamo andare, poiché il semplice sperpero di
denaro pubblico non è penalmente sanzionato.
PRESIDENTE. La ringrazio. Prima di passare ad altre audizioni, vorrei ricordare che per riempire una
discarica illegale ci vuole molto tempo, in quanto è solitamente molto grande. Ebbene, procuratore, le
domando di chi sia la responsabilità – visto che i tempi sono lunghi, e che i rifiuti sono visibili, non
trattandosi di mezzo chilo di droga – per il fatto che si sia arrivati al riempimento di queste discariche
senza che ci sia stata alcuna segnalazione alle autorità giudiziarie opuure, se ci sono state, senza che si
intervenisse. Mi pare assolutamente inverosimile e inaccettabile che ci vogliano magari anni per
riempire una discarica abusiva e che nel frattempo non avvenga alcuna segnalazione all’autorità in
proposito da parte del sindaco, della polizia locale, della polizia amministrativa.
Ripeteremo questa domanda anche agli altri soggetti, ma vorrei sapere a suo avviso, magari
riferendovi alle indagini svolte, a chi sia da attribuire questa responsabilità.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Si
tratta di una domanda cui è molto difficile rispondere. Per esempio, abbiamo a Pianura l’unica
discarica di Napoli, sulla quale tutta la Campania ha campato per molto tempo, fino a quando si è
riempita, o quasi. Quando fu chiusa, mi è stato detto, ed è stato anche accertato, che di notte
arrivavano i camion e andavano a scaricare. È stato addirittura trovato un camion «smaltito»
direttamente, con tutto il carico tossico. Hanno preferito gettare direttamente il camion!
Naturalmente, la gente della zona non poteva non vedere e non sapere, così come il locale
maresciallo. Molto probabilmente, c’è stata una responsabilità collettiva, di molte persone. In tutto il
territorio di Acerra, dove poi sono avvenute le sommosse, le reazioni sono avvenute fino a un certo
momento, poi sono cessate. Pure lì si andava a sotterrare i rifiuti tossici, ma nessuno ha parlato.
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GIANPIERO DE TONI. È la famosa intimidazione collettiva.
GIOVANDOMENICO LEPORE, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Napoli.
Non è soltanto intimidazione. Molte volte è anche una partecipazione, perché queste pratiche
convenivano un po’ a tutti. Abbiamo arrestato molte persone, marescialli compresi, ma il fenomeno si
è protratto per 14 anni!
Non è possibile risolvere un problema del genere solo arrestando un maresciallo.
PRESIDENTE. La ringrazio. Passerei all’ultima fase relativa alle bonifiche, che abbiamo rimandato.
Dispongo la continuazione dei lavori in seduta segreta.
Iniziano i lavori in seduta segreta alle 17,04.
PRESIDENTE. Dispongo la ripresa dei lavori in seduta pubblica.
Riprendono i lavori in seduta pubblica alle 17,10.
ALDO DE CHIARA, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli. Le rispondo per la mia
esperienza. Gli organi della polizia giudiziaria denunciano all’autorità giudiziaria la discarica del tutto
illegale, però – ritorno un po’ al discorso precedente – se non ricordo male, l’esercizio di discarica
illegale costituisce mero reato contravvenzionale e che solo in Campania, dal 2008, è stato trasformato
in delitto. Tuttavia, ai giorni nostri, le pene previste per i reati contravvenzionali non fanno paura a
nessuno. I sigilli alla discarica, che eventualmente sono stati apposti dalla polizia giudiziaria, vengono
violati il giorno dopo. Certo, viene integrato un delitto, la violazione dei sigilli, appunto, ma nessuno
se ne cura, perché – ritorno a monte – si rischia poco. Per un 349 capoverso, pur punito da tre a cinque
anni di reclusione e multa, per l’incensurato (in genere chi si espone nel quadro di un organismo
criminale organizzato è una «testa di legno» incensurata), giustamente – qui nessuno vuol chiedere il
plotone di esecuzione – c’è la prospettiva della sospensione condizionale della pena, per cui si procede
a piede libero.
Quando si procede a piedi libero, i sigilli vengono violati continuamente.
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Mutatis mutandis, caro presidente, lo stesso schema lo si riconosce nello sviluppo
dell’abusivismo edilizio. A camminare per la periferia occidentale di Napoli, a Pianura, nei quartieri a
nord di Napoli, c’è da mettersi le mani nei capelli.
Per fermare l’attività edificatoria illecita, nella quale la camorra svolge un ruolo – qui glielo
posso dire cognita causa, poiché già alle mie esperienze di pretore nei primi anni ottanta si sono
trovati collegamenti documentali tra i gruppi di costruttori abusivi e camorra – ci vogliono i
piantonamenti.
Insomma, occorre disporre, come abbiamo fatto ad Afragola, che la polizia giudiziaria piantoni
una certa zona, notte e giorno. Solo così si ferma l’abusivismo edilizio.
PRESIDENTE. Forse, la discarica è più pericolosa per la salute pubblica di una casa abusiva.
ALDO DE CHIARA, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli. Non v’è dubbio, però vi
sono anche responsabilità pregresse. Non è che qui uno si vuole tirare fuori, ma di questi affari mi
occupo ora. Altrimenti, credo che certi piantonamenti avrebbero potuto anche essere disposti.
Occorre valutare se violare la legge penale convenga, o no. Dobbiamo concludere amaramente
che, purtroppo, conviene ed è molto diffuso il convincimento che, alla fine, in un modo o in un altro,
uno se la cava.
La prima cosa importante è essere processati a piede libero, l’altra è portare i procedimenti
penali per le lunghe, per cui, prima o poi, scatta la prescrizione. Signor presidente, questa è una realtà
sotto gli occhi di tutti.
Il senatore di cui non ricordo il nome ci chiedeva un contributo tecnico. Sono in magistratura
dal 1971 e, nel mio settore cerco di dare contributi, non so se buoni o cattivi. In ogni caso, non ho
visto un solo contributo tradotto in norme giuridiche. Quindi, c’è anche scarsa attenzione da parte di
chi deve decidere.
Vi chiedo, ad esempio , se dobbiamo ritenere credibile una proposta di modifica legislativa sul
contrasto all’abusivismo edilizio (che non è molto diverso dal ciclo dei rifiuti illegale e quant’altro)
per cui si vieti per legge la trasmissione mortis causa della costruzione abusiva. L’ho proposta io e
oggi propongono la stessa misura alcuni professori universitari di rango.
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Attenzione, stiamo per assistere ad un ulteriore sacco: il cosiddetto Piano casa. Le procure
della Repubblica del sud Italia saranno sommerse di lavori e, quindi, saranno impegnate per questioni,
in definitiva, neanche molto rilevanti, mentre saremo distratti dalle cose più importanti.
PRESIDENTE. Noi ci occupiamo di rifiuti.
ALDO DE CHIARA, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli. Lo so, ma il discorso
dovrebbe essere molto, molto lungo.
PRESIDENTE. Ho capito, ma dobbiamo limitarci. Già è molto ampio il nostro settore.
Vi siamo molto grati per il vostro lavoro e per ciò che fate per il Paese. Ci rendiamo conto che
bisognerà cambiare alcune leggi. Cercheremo di ascoltare di più i suggerimenti che ci arrivano.
Dichiaro chiusa l’audizione.
La seduta termina alle 17,16.
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