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l`impresa: un insieme (organizzato) di persone che comunica
L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO)
DI PERSONE CHE COMUNICA
Renato Fiocca∗
Abstract
Inserito nella logica della comunicazione integrata d’impresa, questo articolo
approfondisce il tema della comunicazione interna, rivolta al personale dell’azienda. Viene
proposta una ripartizione in base alle finalità (comunicazione gestionale, formativa e
valoriale) e, per ciascuna di queste aree, si individuano possibili modalità di misurazione del
valore economico.
Key words: comunicazione aziendale; comunicazione interna; valore economico della
comunicazione d’impresa
This paper deals with the issue of internal communication as far as integrated corporate
communication is concerned. The author proposes the division of internal communication
into three parts: “management”, “training” and “value based” communication. For each of
these areas, some insights on economic value measurements are proposed.
Key words: corporate communication; internal communication; economic value of corporate
communication
1. Premessa
L’impresa può essere intesa come un insieme di persone, ciascuna delle quali è
portatrice di valori, comportamenti, interessi, obiettivi propri, non sempre
compatibili con quelli degli altri individui e non necessariamente in sintonia con
quello generale dell’impresa.
Affinché si possano raggiungere le finalità dell’impresa è però necessario che le
forze individuali e, con esse, i valori che le animano, siano coerenti tra loro e
compatibili con le caratteristiche dell’impresa. E’ questa la naturale conseguenza dei
concetti di “sistema” e di “sinergia” fondativi dell’economia e della gestione
d’impresa. Ma per ottenere comportamenti sistemici e sinergici, capaci di generare
∗
Professore ordinario di Comunicazione aziendale - Facoltà di scienze della
comunicazione Università della Svizzera italiana (Lugano) e Straordinario di Marketing Università Cattolica, Milano
e-mail: [email protected]; [email protected]
sinergie n. 59/02
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L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO) DI PERSONE CHE COMUNICA
risultati economicamente apprezzabili, vi è la necessità di organizzare le risorse, di
coinvolgerle, motivarle e guidarle, anche gestionalmente, verso la condivisione di
obiettivi comuni e significativi sul piano economico.
E’ questo uno dei compiti della comunicazione indirizzata al target dei
dipendenti e dei collaboratori. Anche nominalmente, questa area della
comunicazione, evoca (per via delle diverse aggettivazioni succedutesi nel tempo e
con le differenti, ma non necessariamente in contrasto tra loro, interpretazioni che
vari autori ne hanno dato) la centralità dell’obiettivo poc’anzi delineato.
L’area della comunicazione in questione è stata inizialmente denominata come
“interna”, a sottolineare, prioritariamente il target al quale si indirizza.
Successivamente (Corvi E., Fiocca R., 1996), si è affiancata un’altra prospettiva che
si è semanticamente concretizzata con l’aggiunta della parola “gestionale”. Nulla
cambia per quanto attiene al target, formato prioritariamente dai dipendenti (e,
quindi, un target interno). Il richiamo alla parola gestione evidenzia in particolare
una delle finalità proprie della comunicazione interna, cioè quella di consentire il
buon funzionamento dell’impresa essendo di ausilio all’organizzazione nel
diffondere la conoscenza dei meccanismi operativi sui quali l’impresa stessa si basa.
Tuttavia parlare solo di aspetti gestionali pare limitativo; è pur vero che la parola
gestione non deve essere ricondotta agli aspetti meramente esecutivi dell’attività
d’impresa, ma è altrettanto evidente una caratterizzazione più orientata alla
dimensione tattica piuttosto che a quella strategica.
Una successiva interpretazione (Invernizzi E., 1996; 2000) ha ulteriormente
allargato il concetto di comunicazione interna e, definendola organizzativa, ne ha
evidenziato la centralità rispetto al “governo dell’impresa” nelle sue manifestazioni
tanto interne quanto di mercato (Golinelli G.M., 1990; 2000).
Pur nella diversità nominativa e di enfasi su alcuni aspetti, le tre aggettivazioni
ora citate (interna, gestionale, organizzativa) sono accomunate da un concetto di
fondo uniformante e che bene è stato sintetizzato da E. Invernizzi (1996:13):
“Comunicazione che sempre più diventa una componente strategica del governo e
dello sviluppo delle imprese attraverso un percorso complesso e composito. Tale
percorso vede nell’ampliamento e nell’integrazione della comunicazione rivolta
verso l’interno e verso l’esterno, nella definizione di un linguaggio comune per tutti
coloro che partecipano alla vita dell’impresa o sono in rapporto con essa, e nel
riferimento ai valori distintivi, i principali fattori che possono fare della
comunicazione organizzativa una componente strategica per supportare il
funzionamento delle moderne organizzazioni di tipo organico e a rete e per
sviluppare l’efficacia delle relazioni coi loro ambienti di riferimento, in particolare i
diversi mercati e i loro clienti effettivi e potenziali”.
I concetti cardine presenti nella frase ora riportata sono evidenti: “componente
strategica”, “governo”, “integrazione”, “linguaggio comune”, “valori distintivi”,
“relazioni”. Tutti concetti che sono alla base della comunicazione d’impresa
modernamente intesa. Personalmente ho sempre preferito chiamarla “comunicazione
integrata” (Fiocca R., 1993), ma al di là dei nomi (organizzativa vs integrata)
condivido a pieno la definizione di E. Invernizzi.
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Tuttavia, affinché i contenuti delle pagine che seguono possano apparire più
chiari, una breve precisazione del territorio in cui ci si muove in questo articolo è
d’obbligo. In questa sede consideriamo come comunicazione interna quella parte
della comunicazione d’impresa indirizzata in modo prioritario ai dipendenti e ai
collaboratori dell’impresa. Essa costituisce una delle quattro macroaree della
comunicazione d’impresa (le altre tre sono: “istituzionale”, “di marketing” e
“finanziaria”); un corretto funzionamento della comunicazione interna implica,
inoltre, che essa venga gestita in armonia di obiettivi e contenuti con le altre tre aree
della comunicazione d’impresa, affinché se ne ottenga un insieme integrato.
Armonia ottenibile attraverso adeguati processi di integrazione, naturalmente diversi
da settore a settore e nelle diverse situazioni e circostanze in cui si trova ad operare
l’impresa (Fiocca, 1994).
2. Le aree della comunicazione interna
Osservando i comportamenti delle imprese si può dedurre che i flussi di
comunicazione indirizzati al target dei pubblici interni, prevalentemente verso i
dipendenti e i collaboratori (anche se non necessariamente intesi quali dipendenti da
un punto di vista contrattuale), sono raggruppabili in tre aree:
a)
quella di ausilio e supporto ai sistemi operativi dell’impresa e alle attività
quotidiane degli individui (che chiameremo “gestionale”);
b) quella volta alla formazione dei dipendenti che, a livello elementare coincide
con l’addestramento, mentre ad un livello più elevato riguarda lo sviluppo delle
competenze e la diffusione delle conoscenze in impresa (comunicazione
“formativa”);
c) infine l’area più complessa e sofisticata: la comunicazione “valoriale”. Il suo
compito è di individuare e sviluppare un sistema di valori condivisibile dai
dipendenti ed in sintonia con la mission aziendale, di coinvolgere i collaboratori
al raggiungimento della mission stessa, di accrescere un senso di appartenenza e
di identità, di definire contenuti e strumenti che possano consentire all’impresa
di sviluppare una propria cultura.
Ciascuna di queste aree, a modo suo e con intensità e importanza differenti, è
generatrice di un valore economico per l’impresa. In questa prospettiva, cioè quella
ormai condivisa che la comunicazione in impresa diffonde e crea valore (Fiocca R.,
1993, Guatri L., 1997), viene affrontato il tema della comunicazione interna.
2.1 La comunicazione a fini gestionali
L’attività apparentemente più banale, cioè la trasmissione e diffusione di
messaggi aventi contenuto prettamente operativo, rappresenta il mezzo per cui
un’impresa si trasforma in un’impresa organizzata, nella quale il perseguimento di
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obiettivi di efficacia e di efficienza, anche nelle operazioni più elementari, consente
l’ottenimento di una performance positiva o, quantomeno, migliore rispetto ad una
situazione di scarsa comunicazione interna a contenuto gestionale. Le conseguenze
positive sul piano economico sono a tal punto percepibili che non vi è da spendere
molte parole. Un’impresa si regge su un’idea imprenditoriale (Coda V., 1985) ma, il
più delle volte, questa non è sufficiente se non viene accompagnata da meccanismi
operativi che ne consentano un’attuazione economicamente conveniente.
Il migliore controllo dei costi, l’attenzione ai tempi, il rispetto dei ruoli e delle
procedure sono spesso attività nascoste, ma che hanno un elevato impatto sulla
performance dell’impresa. Quello che conta non è tanto il risultato eclatante di una
volta, ma il piccolo, continuo contributo quotidiano.
In proposito può essere utile un distinguo tra nuove imprese e imprese
consolidate e, parallelamente, tra piccole e grandi imprese. Nel caso della nuova
impresa si tende ad osservare più frequentemente l’assenza di processi formali di
comunicazione gestionale; la situazione può essere spiegata con la considerazione
che la novità dell’impresa e dell’idea imprenditoriale sottostante genera entusiasmo
negli “attori” dell’impresa (certamente quelli interni, ma spesso anche negli
stakeholder esterni, clienti, fornitori, ecc.). L’entusiasmo si ripercuote sull’intera
organizzazione e, anche in assenza di modelli e procedure predefinite, i risultati
necessari vengono ugualmente raggiunti, probabilmente con un maggiore dispendio
di energie, largamente compensato dalla stessa energia generata dall’entusiasmo. In
modo del tutto simile per gli effetti, ma non per le cause sottostanti, accade nelle
piccole imprese. La presenza visibile dell’imprenditore, l’intensa familiarità che
caratterizza i rapporti tra i dipendenti, la frequente elevata anzianità di servizio in
impresa, garantiscono lo sviluppo di meccanismi operativi automatici, per
imitazione ed apprendimento diretto, che rendono sostanzialmente superflua, se non
addirittura dannosa per gli effetti burocratizzanti che potrebbe provocare, ogni
iniziativa di comunicazione gestionale.
Le situazioni opposte (impresa consolidata e impresa di grandi dimensioni)
sono invece caratterizzate dall’esistenza di elevati fabbisogni di comunicazione
gestionale (Fiocca R., 1994). Ancora una volta le cause possono essere diverse. Nel
caso dell’impresa consolidata (presupponendo che anche i mercati in cui compete
siano altrettanto consolidati), il vantaggio competitivo è spesso legato ad una
estrema attenzione all’efficienza in tutte, anche le più elementari, operazioni;
maggiore efficienza che, naturalmente, si traduce in minori costi. La grande impresa
ha generalmente altrettanto bisogno di comunicazione gestionale, anche se fonda il
vantaggio competitivo su dimensioni diverse dalla leadership dei costi. Le
dimensioni dell’impresa sono evidentemente correlate alla numerosità del personale,
spesso all’esistenza di profonde aree di specializzazione del lavoro, generatrici di
culture del lavoro e della professione non sempre in reciproca sintonia; inoltre
l’impresa può essersi sviluppata seguendo percorsi di delocalizzazione, e così via. Si
tratta, in tutti i casi, di situazioni che richiedono la presenza di livelli di burocrazia
intelligente e, quindi, l’attuazione di procedure che debbono essere comunicate per
essere quantomeno conosciute se non proprio condivise da tutti i dipendenti.
RENATO FIOCCA
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Un’altra variabile che solitamente interviene aumentando il livello di
comunicazione interna necessario è l’intensità del cambiamento ambientale ed
aziendale. Ad ogni cambiamento esterno corrispondono altrettanto elevati livelli di
adeguamento della struttura, dei processi decisionali e dei meccanismi operativi.
Tutti elementi che necessitano opportune iniziative di comunicazione interna.
Ugualmente dicasi per i cambiamenti interni all’azienda. Il lancio di una nuova linea
di produzione, la decisione di competere su mercati nuovi, ma anche l’inserimento
di una nuova funzione aziendale o elevati livelli di turnover del personale, pur
muovendosi da motivazioni diverse, ugualmente necessitano informazione e
condivisione tra i dipendenti.
Naturalmente, come per tutte le cose, anche in presenza di elevati livelli di
fabbisogno di comunicazione interna a fini gestionali, non bisogna esagerare. Si
supererebbe, infatti, il differenziale tra burocrazia intelligente di stampo weberiano e
burocrazia paralizzante i cui effetti risultano ad evidenza del tutto deleteri1.
Gli interventi relativi ai contenuti gestionali della comunicazione interna
debbono essere programmati ed eseguiti prima di procedere nelle aree “formative” e
“valoriali”. Infatti, queste ultime, ben più visibili e difficili da impostare e gestire,
tese come sono allo sviluppo delle conoscenze, della condivisione dell’identità e
della cultura d’impresa, possono prendere avvio solo se i contenuti gestionali
risultano ben assimilati. E’ infatti difficile ipotizzare lo sviluppo di attività di
comunicazione tese alla generazione di una cultura forte in un’impresa che non sia
in grado di gestire con normali livelli di efficacia e di efficienza i propri sistemi
operativi. Può anzi accadere che i dipendenti, ben consci, perché lì vivono
quotidianamente, della precarietà dell’area gestionale, considerino come un sorta di
scherno le attività di comunicazione formativa e valoriale. E’ quindi del tutto inutile
e dannoso attuare sistemi tesi allo sviluppo delle conoscenze e della cultura
d’impresa qualora la quotidianità non sia correttamente gestita.
2.2 La comunicazione formativa
La formazione dei collaboratori dell’impresa è una attività molto qualificante da
un punto di vista comunicativo. Normalmente la formazione viene decisa e gestita
dalle funzioni di organizzazione e personale ed è abbastanza raro che vengano
coinvolte le strutture preposte alla comunicazione d’impresa. Nonostante questo,
non vi è dubbio che una corretta politica della formazione contribuisca non poco al
raggiungimento di risultati importanti anche sui versanti propri della
comunicazione2.
1
2
Ho avuto occasione di visionare un “Manuale della comunicazione interna” di una
grande banca italiana. La dimensione dell’“opera”, più di mille pagine, era tale da
scoraggiarne, non solo la lettura, ma la semplice consultazione. Il reparto
“comunicazione interna” che aveva redatto il manuale ne andava assai fiero. I dipendenti
che avrebbero dovuto conoscere i contenuti, un po’ meno.
Anche in questo caso si deve osservare quanto difficile sia gestire in modo unitario ed
integrato la comunicazione nelle imprese. La trasversalità propria della comunicazione
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L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO) DI PERSONE CHE COMUNICA
Benché il target principale della comunicazione formativa sia costituito dai
dipendenti, è bene sottolineare che alcune imprese coinvolgono nelle loro attività di
formazione anche i clienti e i fornitori e, più raramente, terze parti3. In questi casi le
imprese offrono attività di formazione ai clienti e ai fornitori sia come incentivo allo
sviluppo dell’attività (nel caso dei clienti la formazione può essere considerata come
una forma di promozione delle vendite), sia come momento di trasmissione e di
condivisione del proprio sistema di management.
Nei fatti, quindi, l’impresa intende comunicare le proprie caratteristiche anche
con l’obiettivo di migliorare le relazioni con l’esterno, cercando di far condividere
ed accettare i propri sistemi operativi e le proprie caratteristiche e modalità
gestionali.
Questa prospettiva pone in chiara luce quanto una attività quale la formazione
manageriale possa avere una pluralità di funzioni: dall’incremento delle capacità e
delle competenze, allo svolgere funzioni promozionali, di immagine (come
approfondiremo tra poco), di regolazione e trasmissione dei flussi di conoscenza
all’interno dell’impresa e tra l’impresa e il suo network, e così via.
In altri casi l’attività formativa è attuata al fine di migliorare la percezione
dell’immagine dell’impresa, tanto al suo interno, quanto nei confronti degli
stakeholder esterni. Ne è un chiaro esempio, tra i tanti, lo sviluppo delle cosiddette
“Company Universities” che comportano il coinvolgimento diretto dell’impresa
nella gestione di istituzioni accademiche. Anche in questi casi gli effetti di
comunicazione sono facilmente intuibili tanto sull’immagine dell’impresa, quanto
sul miglioramento delle relazioni con l’ambiente circostante a tutto vantaggio del
cosiddetto “diritto di citizenship”, concetto caro a chi si occupa di pubbliche
relazioni (Invernizzi, 2001).
La formazione è inoltre un ottimo veicolo di diffusione delle esperienze e di
condivisione dei risultati. In proposito le aziende si stanno sempre più orientando
verso iniziative formative di tipo interno (in-company training), nell’ambito delle
quali il ruolo del formatore/docente tende a evidenziare gli aspetti di “animazione” e
di orientamento della discussione tra i discenti, piuttosto che la tradizionale
trasmissione di contenuti, di metodi e di strumenti manageriali. Non è infrequente,
in questi casi, che ci si orienti alla presentazione e discussione di casi interni
3
colloca infatti le decisioni che la riguardano un po’ ovunque nelle funzioni aziendali.
Quando si parla di comunicazione al mercato è naturale coinvolgere le funzioni
commerciali e di marketing, quando si entra nel merito della comunicazione interna è
ovvio il coinvolgimento delle funzioni di organizzazione e di gestione del personale, e
così via. Tuttavia, come sempre accade in impresa quando si gestiscono attività a
“doppia appartenenza”, si ingenerano non pochi conflitti interfunzionali, causa
primigenia di scarsa integrazione.
Questo avviene soprattutto nei contesti di business markets. In questi mercati, infatti, il
vantaggio competitivo è strettamente collegato alla posizione dell’impresa nella rete di
relazioni (network) che la circonda. Il termine stesso “terze parti” deriva proprio da
quella letteratura (Cfr. FIOCCA R., SNEHOTA I., TUNISINI A., Business Marketing,
Milano, McGraw-Hill, 2003.)
RENATO FIOCCA
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all’azienda, al fine di aumentare la condivisione delle esperienze maturate, di
evidenziare i momenti di apprendimento dall’interno (best & worst practices), di
coinvolgere i dipendenti su situazioni che hanno probabilmente già vissuto ma sulle
quali non vi è stato un momento formalizzato di apprendimento.
Anche nella comunicazione a finalità formativa, comunque, i confini formali
delle attività paiono sempre più labili. Le aziende più all’avanguardia e innovative
sull’argomento non distinguono più funzionalmente tra attività formative in senso
stretto e iniziative di comunicazione a finalità formativa. Così facendo, cioè
superando le spesso artificiose barriere poste dalle interpretazioni restrittive degli
organigrammi d’azienda, si riescono a comprendere nella comunicazione interna
attività quali il coaching che per alcuni dovrebbero far capo in modo esclusivo alle
funzioni organizzative e di gestione del personale.
D’altra parte basta considerare il contenuto dei compiti e le attività svolte dai
cosiddetti communication champions: esse sono del tutto assimilabili a quelle di
coaching.
Non è difficile intravedere in tutto quanto finora discusso in tema di formazione
rilevanti contenuti di tipo comunicazionale nella prospettiva del valore economico
per l’impresa. Il maggior valore derivante dalle attività formative e dalla
comunicazione a fini formativi è ascrivibile all’accumulo di un patrimonio di
esperienze e di conoscenze condiviso, base di riferimento per la costruzione del
cosiddetto “intellectual capital”4.
E’ nota e largamente condivisa l’opinione che il successo di lungo periodo
dell’impresa dipende in larga misura dalle conoscenze incorporate nelle persone, nei
processi e nei comportamenti. Più elevate conoscenze consentono all’impresa di
affrontare meglio il contesto ambientale; l’utilizzo dei dati e delle informazioni
migliora (Eppler M., 2002); si assumono decisioni aventi un minor grado di
incertezza e, a parità di altre condizioni, più corrette. I fattori ora rammentati
determinano conseguenze positive sugli assetti reddituali dell’impresa e dipendono
da un corretto utilizzo delle conoscenze, a sua volta supportato da una valida attività
di comunicazione interna. Infatti, le conoscenze sono spesso un patrimonio
individuale e implicito, nel senso che non esistono sistemi formalizzati e di sicuro
risultato che consentano alle conoscenze di evolvere da implicite in esplicite e da
individuali in collettive. E’ questo uno dei compiti fondamentali della
comunicazione formativa: ma affinché essa abbia successo è necessario che esista
un modello positivo e condiviso di vivere l’impresa: modello che solitamente viene
riferito ai concetti di identità e cultura d’impresa, costruite e diffuse dalla
comunicazione, particolarmente da quella componente che abbiamo definito in
precedenza “valoriale” e della quale ci occuperemo tra breve.
4
L’intellectual capital entra a far parte delle misurazioni d’impresa. Ancorché limitato a
poche aziende, inizia ad essere esplicitato il valore economico del capitale intellettuale
presente in impresa. Si veda in proposito quanto riportato nell’annual report di Skandia
(compagnia di assicurazioni e di investimenti leader nel mercato scandinavo). Cfr.
[email protected]/en/ir/annualreports.shtml: ultima visita: 16 settembre 2002.
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L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO) DI PERSONE CHE COMUNICA
2.3 La comunicazione valoriale
In ogni impresa si confrontano culture diverse. Anzitutto, naturalmente, ciascun
individuo membro dell’organizzazione è portatore di una propria identità e di una
propria cultura che ne guida i comportamenti e ne determina obiettivi, priorità,
impegno personale, ecc.
Figurativamente sovrapposte alle diverse culture individuali si collocano
ulteriori profili culturali. Questi ultimi possono essere ricondotti a diverse
componenti: l’anzianità anagrafica e/o di servizio, i ruoli e i compiti, ecc. Queste
culture possono consolidarsi in culture di “reparto” (si pensi, anche storicamente,
alla cultura degli operai del “Reparto Presse” della FIAT), di “funzione” (è più che
evidente la differenza culturale tra i componenti della funzione finanziaria, rispetto
ai commerciali o alla Ricerca & Sviluppo), di “team” più o meno ristretti che si
collocano trasversalmente rispetto alla struttura organizzativa dell’impresa, e così
via.
Spesso la presenza di diversità culturali all’interno dell’impresa è visibile anche
osservando il layout degli edifici 5 e degli uffici, oltre che osservando i diversi modi
di comportarsi delle persone (diversi livelli di formalità nei rapporti interpersonali,
ad esempio), o il modo di vestirsi, ecc. E questo testimonia il fatto che la dimensione
culturale permea l’intera organizzazione, influenza i comportamenti e spesso
determina una maggiore o minore efficacia delle decisioni assunte.
In sostanza l’impresa può essere analizzata come un insieme di culture: dal loro
continuo confronto, dalle interazioni che si determinano, spesso dalle
contrapposizioni che le animano, scaturisce la cultura dell’impresa.
La cultura d’impresa serve a far fronte alla continua esigenza di realizzare una
più intensa sintonia tra ciò che l’ambiente circostante richiede e ciò che l’impresa
riesce a realizzare. In ultima analisi la cultura può essere considerata come
l’espressione generatrice di due competenze contrapposte: quelle richieste dai
mercati che si confrontano con le competenze interne all’impresa. Lo sviluppo della
cultura presuppone l’attuazione di processi più o meno formalizzati che si attuano
tramite interazione sociale, confronti continui tra i membri dell’organizzazione,
5
Un caso “simpatico” e molto significativo di quanto stiamo affermando è il seguente. Se
si visitavano negli anni ‘80 gli stabilimenti di produzione dell’allora “Snia Fibre” si
sarebbe osservato quanto segue. L’azienda, localizzata a Cesano Maderno, poco a nord
di Milano, è situata al termine di un lungo (circa 500 metri) viale, fiancheggiato da alti
cipressi. Ci si aspetterebbe un cimitero in fondo ad esso, non uno stabilimento. Quando
compare il profilo dello stabilimento si può scorgere anche da lontano una scritta a
caratteri cubitali che campeggia sul portone d’ingresso (in realtà un passo carraio):
“Vietato l’ingresso alle donne e ai fanciulli”. La grafia richiama le scritte sui muri del
regime fascista. Evidentemente quel muro non veniva imbiancato da più di
cinquant’anni. Volgendo lo sguardo sulla sinistra si scorge un edificio di pochi piani,
stile anni trenta. Sembra la “palazzina comando” di una caserma. E, in effetti, gli uffici
direzionali e amministrativi sono lì. Poco oltre un edificio con caratteristiche totalmente
diverse: ampie vetrate, open space, circondato da prati curati ed aiuole fiorite, moderno,
essenziale, pulito nei tratti architettonici. E’ il Centro Ricerche.
RENATO FIOCCA
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processi formativi e di istruzione, attività di negoziazione, ecc. Tutte attività fondate
sullo scambio continuo di messaggi e di informazioni, cioè sulla comunicazione.
In questo contesto l’attività di comunicazione agisce prevalentemente con
l’obiettivo di modificare la cultura organizzativa, facendo sì che essa sia
continuamente adeguata alle esigenze espresse dall’ambiente esterno. Quanto ora
affermato implica evidentemente che la natura e l’intensità della comunicazione che
agisce sulla cultura d’impresa (quindi quella a prevalente contenuto valoriale) sono
strettamente correlate con la vivacità del tasso di cambiamento ambientale. Imprese
collocate in ambienti stabili non necessitano di particolari interventi di questa natura
(che anzi potrebbero provocare uno shock culturale), mentre imprese immerse in
ambienti dinamici necessitano un continuo presidio di queste tematiche.
In riferimento al cambiamento della cultura organizzativa, Bodega (1988, 1990,
1996) rammenta la necessità di un presidio diretto del vertice aziendale e la
possibilità di intervenire con la comunicazione al fine di:
a)
trasmettere a tutta l’azienda in modo non equivoco l’interpretazione che la
direzione d’impresa dà di eventi accaduti e/o di scelte intraprese;
b) generare adesione alle politiche e ai comportamenti;
c) motivare i membri dell’azienda e mobilitarli all’azione;
d) tranquillizzare i gruppi insoddisfatti, assicurandosi così il loro appoggio e
minimizzando l’opposizione, il conflitto e lo scontro sociale;
e) aiutare a controllare e a guidare i comportamenti organizzativi affinché siano
conformi agli obiettivi prescelti dalla direzione aziendale. (Bodega D., 1996:43)
La comunicazione, quindi, non produrrebbe il cambiamento organizzativo (è il
vertice che deve esserne motore), ma senza la comunicazione, il cambiamento
organizzativo non si produce.
Da questa visione della comunicazione intesa come elemento diffusore
all’interno (e all’esterno) dell’impresa delle idee e dei desideri del vertice aziendale,
seppur condivisibile in linea di principio, deriva una concezione sussidiaria della
comunicazione stessa. Ad essa spetterebbe esclusivamente il compito di “ascoltare”
gli ordini e le disposizioni del general management e si incaricherebbe di diffonderli
all’interno dell’impresa secondo le modalità più convenienti (presumibilmente
quelle desiderate o indicate dal vertice stesso).
In realtà, a questa collocazione tattica della comunicazione, si può contrapporre
un ruolo molto più importante e articolato. Non solo la comunicazione gestisce il
processo di diffusione delle informazioni scegliendo in autonomia modi e forme del
comunicare, ma presidia l’intero processo di formulazione della vision e della
mission aziendale. Inizia con l’analizzare lo status quo, stima i gap rispetto alla
situazione ideale, formula proposte di intervento, aiuta a concretizzare le proposte in
statements condivisibili, decide (naturalmente in armonia con il vertice) le
alternative migliori e, infine, comunica, concludendo così il ciclo di definizione
della vision e della mission.
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L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO) DI PERSONE CHE COMUNICA
La circolarità del processo è evidente, così come è altrettanto chiaro quanto
strategico sia in questo caso il posizionamento aziendale delle funzioni di
comunicazione. Una vera funzione di general management.
Quando la cultura riesce a generare comportamenti di successo ne consegue,
normalmente, un incremento di valore economico dell’impresa. Non sfugge ad
alcuno, infatti, che un’impresa dotata di una cultura e di un’identità forti e coerenti
con la missione che si è data, vale di più di un’impresa priva di tale caratteristica o,
comunque, nella quale la cultura non sia in grado di tramutarsi in comportamenti,
decisioni ed azioni competitivamente apprezzabili. Parallelamente è importante
sottolineare l’impatto che il successo genera sull’immagine dell’impresa, non solo
per quanto attiene l’immagine esterna presso gli stakeholder di mercato, quanto
soprattutto in questo contesto, sull’immagine interna presso i dipendenti: il successo
condiviso (quindi comunicato) genera autogratificazione ed entusiasmo, si rafforza
la coesione interna, ci si incammina con maggiori energie verso obiettivi più
sfidanti. In ultima analisi, l’impresa ottiene una risorsa aggiuntiva fondamentale e
continuamente autogenerata: la “passione”6.
Pertanto, se la cultura è appropriata e in sintonia con il contesto ambientale ed è
consapevole e in qualche misura rispettosa delle differenze individuali e di gruppo
esistenti in azienda, si innesca un processo a catena che può essere rappresentato
graficamente come un circolo virtuoso (si veda la Figura 1). In questo processo
assume una notevole importanza la fase di “consapevolezza” che richiede forti e
costanti capacità diagnostiche al fine di cogliere la differenza tra i fatti e i
comportamenti meritori da un lato e la fortuna o la casualità dall’altro (Corvi E.,
Fiocca R., 1996).
La “passione” presente in impresa e sostenuta da iniziative di comunicazione
interna a finalità valoriale, rigenera le competenze distintive. Queste ultime sono
spesso a tal punto sedimentate che paiono scontate, soprattutto agli osservatori
interni, cioè ai dipendenti.
Questo può innescare un fenomeno assai pericoloso. Quanto più una risorsa
viene data per scontata, tanto maggiore è il rischio che se ne dimentichino contenuti
ed importanza. Trattandosi di “competenze distintive” (cioè ciò che fa o dovrebbe
fare la differenza rispetto alle altre imprese, in particolare i concorrenti, il pericolo di
“dimenticarsi” dei propri fattori di successo è estremamente grave. A questo
proposito, Schein (1991:409) afferma che ciò che qualifica un valore come “cultura”
è questa attività del “dato per scontato”, in virtù della quale gli assunti impliciti
diventano virtualmente indiscutibili.
Il contributo della comunicazione valoriale si qualifica proprio in queste
circostanze: rammentare all’impresa da dove si origina il suo successo senza con
questo indurre comportamenti arroganti, ugualmente antipatici tanto nelle persone
quanto nelle imprese.
6
La parola “passione” va intesa, naturalmente, nella sua accezione positiva, di entusiasmo
e felicità, e non certo come sinonimo di martirio.
RENATO FIOCCA
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VALORI
COMUNICAZIONE - COMPORTAMENTI
APPRENDIMENTO
CULTURA – IDENTITA’ – COMPETENZE DISTINTIVE
INNOVAZIONE
SUCCESSO
AUTOIDENTIFICAZIONE
RAFFORZAMENTO DEI VALORI
Fig. 1: Il ciclo virtuoso della creazione di valore della comunicazione gestionale
Fonte: Ns. elaborazioni
La tutela delle competenze distintive è fondamentale per evitare all’impresa di
incamminarsi in una pericolosa spirale. Accade infatti che quando un’impresa
incontra alcune significative difficoltà, generalmente riconducibili ad un minore
adattamento al dinamismo ambientale e/o a un depauperamento delle capacità di
integrazione interna, appare chiaro quanto inadeguate siano le soluzioni e i
comportamenti tradizionali. In questi casi il più delle volte si inizia un processo, più
o meno strutturato e formalizzato, di ricerca di nuove soluzioni alternative. Ma se
queste non sono in sintonia con la cultura esistente rischiano di essere rifiutate a
priori. Si innesca allora un circolo vizioso: l’obsolescenza e l’inadeguatezza delle
competenze distintive non aggiornate verrà negata anche di fronte alle evidenze più
eclatanti e l’insuccesso verrà attribuito a cause e contingenze esterne; i risultati
ovviamente non miglioreranno, aumenteranno semmai le tensioni interne
all’impresa che, spesso, verranno facilmente percepite anche all’esterno. Diminuirà
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L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO) DI PERSONE CHE COMUNICA
la coesione, con essa l’efficienza e, come logica conseguenza, il risultato
economico.
In simili circostanze il cambiamento è possibile solo in presenza di una
leadership carismatica, riconosciuta e innovativa, come i migliori processi di
turnaround ben evidenziano (Salvemini S., 1995). Il ruolo del leader è quello di
condurre l’impresa verso nuove sperimentazioni per ricostruire le competenze,
ricreandone la distintività perduta, e con questo ridefinendo, spesso ab origine,
identità e cultura dell’impresa. Sono spesso i leader che ridefiniscono le
caratteristiche della cultura di un’impresa. Attraverso meccanismi di pura imitazione
personale o per tramite di un pianificato processo di comunicazione dei valori del
leader ai suoi collaboratori, si assiste a fenomeni di assimilazione culturale,
certamente vantaggiosi per accelerare i processi di cambiamento secondo la
direzione indicata (o imposta) dal leader.
Il tema della leadership, della sua diffusione in azienda e dei legami che essa ha
con le attività di comunicazione è estremamente ampio e la sua trattazione
renderebbe meno equilibrato il presente intervento. Si rinvia quindi all’ampia
bibliografia esistente in argomento. Ci limiteremo quindi solo ad alcune
considerazioni maggiormente connesse al tema in discorso. Una caratteristica
piuttosto originale della leadership è che essa si manifesta visibilmente nelle
circostanze “estreme” (positive e negative) della vita dell’impresa. Il leader viene
osannato, spesso ben al di là dei suoi meriti personali, allorché l’impresa riesce ad
ottenere performances fuori dall’ordinario. Con identica intensità viene denigrato
qualora i risultati siano deficitari. Pare, da un certo punto di vista, che il leader
assolva una funzione di catalizzazione dei flussi comunicativi positivi e negativi e li
amplifichi. Una sorta di parafulmini dell’impresa. La presenza di un leader
carismatico diviene condizione indispensabile per le imprese che vogliano uscire da
una crisi. La sua presenza, spesso avvolta da un alone di mistero, trasmette energia,
volontà di cambiamento e di rivincita che rappresentano condizioni indispensabili
per individuare e perseguire una positiva via di uscita dalla crisi. In questi casi, in
particolare, il valore della leadership appare evidente e con esso il valore della
comunicazione che essa trasmette.
La necessità di mantenere ed accrescere la cultura dell’impresa e con essa le
competenze distintive dell’azienda, nella continua ricerca di un vantaggio
concorrenziale altrettanto distintivo, risulta strettamente legata alle problematiche di
comunicazione interna, in particolare alle sue componenti di natura valoriale. La
cultura, infatti, si mantiene, si alimenta e si diffonde per tramite di azioni
comunicative. E benché la comunicazione sia giustamente considerata una risorsa
intangibile dell’impresa, i suoi effetti sul sistema aziendale (così come sull’ambiente
circostante) sono assai visibili ed economicamente tangibili.
La cultura è una risorsa molto “intima” dell’impresa. Comunicarla in modo
manifesto potrebbe comprometterne l’efficacia. In proposito, alcuni sostengono
l’opportunità di non comunicarla in modo esplicito (Gilardoni A., 1988:60). Ciò che
è bene che sia oggetto di comunicazione dovrebbero essere la filosofia guida, l’idea
astratta d’impresa, la sua missione e i valori di fondo. Filosofia, valori di fondo e
RENATO FIOCCA
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missione dovrebbero sempre essere esplicitate per tramite di adeguate azioni di
comunicazione al fine di ispirare “silenziosamente” l’impresa nel suo complesso e,
individualmente, i singoli collaboratori, ricordando a tutte le persone coinvolte il
ruolo e le responsabilità (anche sociali) dell’impresa.
A tutto questo è chiamata a contribuire la comunicazione interna, soprattutto
nella sua dimensione valoriale.
3.
Misurare il valore della comunicazione interna: un problema insolubile ma
affrontabile
Il problema della misurazione del valore economico generato dalla
comunicazione interna (nelle sue tre aree: gestionale, formativa e valoriale) presenta
non poche difficoltà. In realtà la questione non è né nuova né esclusiva della
comunicazione interna. L’intera comunicazione d’impresa comporta difficoltà di
misurazione degli effetti economici, spesso superabili solo a condizione di porre più
d’una limitazione e dovendo soggiacere a compromessi valutativi non di
second’ordine.
Le incertezze di valutazione sono però ingigantite da una caratteristica assai
evidente nella comunicazione interna: la trasversalità degli effetti da essa prodotti,
per cui questa area della comunicazione d’impresa non può essere compiutamente
valutata in modo autonomo. Più di una volta ci si deve interrogare sull’intersezione
di effetti (dalle e nei confronti delle altre aree della comunicazione d’impresa).
Inoltre, la compresenza di iniziative di comunicazione a forte impatto operativo
(e quindi più tangibili), accanto a modalità fortemente connotate da elementi molto
intangibili (la conoscenza, la cultura, i valori di fondo, ecc.) non consente di
proporre un sistema di misurazione dei suoi effetti unico e valido per le tre aree.
Per quanto riguarda la comunicazione gestionale può non essere problematico
correlare la presenza dei più comuni strumenti che la caratterizzano (ordini di
servizio, manuali operativi, ecc.) con l’ottenimento di una migliore performance
d’impresa.
Ma per le altre aree della comunicazione interna la misura degli effetti è molto
più complessa e soggetta a più di una incertezza.
Certamente è possibile misurare l’evoluzione del clima aziendale e altrettanto si
può fare per il concretizzarsi di un patrimonio di conoscenze. Ma ciò che non si
riesce a misurare in termini economici è l’effetto di tutti questi elementi, tra loro
strettamente combinati, sul valore economico dell’impresa
Questo è il fascino della comunicazione. Quando si riuscirà, se si riuscirà, a
svelarne tutte le conseguenze sul piano economico e dei risultati d’impresa,
probabilmente le verrà meno buona parte del grande interesse che oggi la
caratterizza.
Ciò che importa è che tutti in impresa si rendano conto di quanto la
comunicazione interna contribuisca alla crescita dell’impresa e che le incertezze di
misurazione non determinino una sensazione di non utilità economica.
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L’IMPRESA: UN INSIEME (ORGANIZZATO) DI PERSONE CHE COMUNICA
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