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Cielo d`Alcamo Rosa fresca aulentissima

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Cielo d`Alcamo Rosa fresca aulentissima
Lezione profilo 6 • La lirica delle origini: dalla Francia all’Italia
Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
VOLUME 1
Le origini e il Duecento
Cielo d’Alcamo
Rosa fresca aulentissima
Opera: Rosa fresca aulentissima
Punti chiave:
Metro: contrasto
Affinità con le pastorelle provenzali
Registro basso, popolare
Ritmo vivace, serrato
sempre più pressante; dal canto suo, l’amata continua a respingerlo con convinzione via via minore fino a cedere, lasciando supporre che fin dall’inizio
fosse intenzionata ad accettare il poeta. È importante ricordare che l’amore in gioco è quello prettamente fisico, cosa che configura il dialogo come qualcosa di molto diverso dalla richiesta di essere presi a
servizio mossa da molti trovatori e dagli stessi poeti
siciliani: anzi, il linguaggio del componimento definisce una parodia piuttosto accesa in questo senso.
uesto componimento ci è stato tramandato in
maniera anonima, ma viene attribuito a Cielo
d’Alcamo da alcune postille dei codici del filologo
cinquecentesco Angelo Colucci. Il componimento
appartiene al genere del contrasto, già sperimentato
in ambito trobadorico: nelle strofe si alternano infatti la voce di un giullare e quella di una donna,
secondo alcuni studiosi una contadina, secondo altri una più generica figura femminile. Il giullare
propone il proprio amore alla donna in maniera
Q
Schema metrico: strofe di cinque versi, di
cui tre alessandrini e una coppia di endecasillabi, con rima AAABB. Sono inclusive le rime ai vv. 11, 12 e 13 (morto: diporto: orto), 24
e 25 (Deo: eo), 71, 72 e 73 (bale: scale: ale),
91, 92 e 93 (ài: assai: prai) e 126, 127 e 128
(Matteo: giudeo: eo); sono numerosissime
le rime siciliane ai vv. 21, 22 e 23 (fare: agostari: Bari), 36, 37 e 38 (aucisa: ripresa: distesa), 89 e 90 (dire: abere), 111, 112 e 113
(parenti: jente: mente), 121, 122 e 123 (fina:
marina: rena), 129 e 130 (‘ntutto: disdotto),
151, 152 e 153 (seno: patrino: meno) e 159
e 160 (ora: ventura). La rima ai vv. 81 e 83
(strutto: frutto) è ricca, mentre fare: fare ai
vv. 131 e 133 è una rima identica; è infine
equivoca la rima amo: amo ai vv. 134 e 135.
1-2. Rosa... maritate: fresca rosa profumatissima, che compari verso l’estate, (tutte)
le donne ti desiderano, fanciulle e sposate.
La rosa citata nell’incipit è metafora dell’amore, della bellezza e della donna: per
questo il fiore è desiderato da tutte, ma in
particolare dal poeta, come meglio si evince dal v. 13. La metafora della rosa è piuttosto diffusa nella letteratura medievale
non solo italiana, come testimonia il Roman
de la Rose (XIII sec.). Il v. 2 è una traduzione pressoché letterale del Cantico dei Cantici I 2: adulescentulae dilexerunt te, dove
l’oggetto del desiderio è la sposa. Disiano
significa “desiderano”. La prima strofa è recitata dal giullare.
3. tràgemi... bolontate: toglimi da questi
fuochi, se questa è la tua volontà. La frase,
citata anche da Dante nel De vulgari eloquentia I, XII 6, è colma di meridionalismi:
per esempio, l’uso di b- per v- in bolontate (“volontà”); este inteso nel primo caso
come “queste” e nel secondo caso come
“è”; focora, termine neutro plurale che indica i fuochi. I suddetti fuochi sono chiara-
5
10
«Rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state,
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:
tràgemi d’este fòcora, se t’èste a bolontate;
per te non aio abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia.»
«Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere, avanti asemenare,
l’abere d’esto secolo tuto quanto asembrare:
avere me non pòteri a esto monno;
avanti li cavelli m’aritonno.»
«Se li cavelli artóniti, avanti foss’io morto,
donna, ch’aisì mi pèrdera lo solaccio e ’l diporto.
mente quelli dell’arsura d’amore, qui intesa prettamente come desiderio fisico. L’immagine dell’amore come fuoco che consuma trova già attestazione nella letteratura
latina, ma è particolarmente diffusa nella
poesia dei trovatori.
4-5. per te... madonna mia: a causa tua
non ho riposo di notte né di giorno, mentre
continuo a pensare a voi, mia signora.
Abento significa “requie”, “pace”, “riposo”, mentre aio è la forma siciliana per
“ho”. Notte e dia è un sintagma piuttosto
diffuso con i significati di “sempre” oppure,
come in questo caso, di “mai”. Il giullare si
rivolge alla donna passando dal tu al voi e
usando il linguaggio tipico delle poesie di lode già dei trovatori e della scuola siciliana.
In questo contesto le formule della lingua
cortese hanno una funzione parodistica.
6. Se di meve... fare: se soffri per me, è la
follia che te lo fa fare. Meve è pronome
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1
meridionale, coniato su teve, dal latino tibi. Il secondo emistichio mantiene l’ordine
antico dei pronomi.
7-10. Lo mar... m’aritonno: potresti arare
il mare, prima di averlo seminato, accumulare tutte le ricchezze di questa terra: ma
non puoi avere me in questo mondo; piuttosto mi taglierei (m’aritonno) i capelli. È da
notare il duplice adynaton, figura retorica
che consiste nel presentare situazioni impossibili: il giullare potrebbe riuscire a
compiere entrambe queste azioni che la
donna propone, ma lei, piuttosto di cedere,
si ritirerebbe in convento. L’allusione al taglio dei capelli, infatti, è quasi sempre, nella letteratura medievale, immagine della
monacazione. Monno e aritonno sono forme meridionali con assimilazione del nesso -nd- in -nn-.
11-12. Se li cavelli... diporto: se ti tagli i capelli, preferirei essere ucciso, donna, per-
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Lezione profilo 6 • La lirica delle origini: dalla Francia all’Italia
Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
VOLUME 1
Le origini e il Duecento
L’AUTORE
Di questo autore vissuto nel XIII secolo sappiamo molto poco.
“Cielo” sarebbe la forma toscana del siciliano “Celo”, da “Miceli”, cioè “Michele”, e la città di Alcamo si trova, effettivamen-
ché con essi perderei la mia gioia e il mio
piacere (lo solaccio e ’l diporto). Il verbo morire con il significato di “essere ucciso” è un
gallicismo, come la dittologia sinonimica
solaccio e diporto, che si trova spesso nella lirica provenzale. Pèrdera è condizionale siciliano.
13-15: Quando... amore: quando passo di
qui e ti vedo, fresca rosa del giardino, mi doni sempre un gentile conforto: decidiamo di
congiungere il nostro amore. Il termine
rosa è, qui, immagine della donna; véioti e
aiunga sono forme meridionali.
16-18. Che ‘l nostro... corenti: che il nostro
amore si congiunga non voglio che mi piaccia: se mio padre con gli altri miei parenti ti
trova qui, stai attento che non ti raggiungano, questi che corrono veloci. Si tratta dell’allusione a una vendetta da parte dei parenti della donna. M’atalenti è un gallicismo
e significa “mi piaccia”, “mi faccia piacere”.
In pàremo (“mio padre”), pare è un gallicismo, mentre l’uso del pronome possessivo
enclitico (-mo) è tipicamente siciliano.
19-20. Como... partuta: come ti è piaciuta
la venuta, ti consiglio di fare attenzione alla partenza.
21-23. Se i tuoi... Bari: se anche i tuoi parenti mi trovano, che mi possono fare? Impongo loro una multa di duemila augustali: tuo padre non mi toccherebbe per tutte
le ricchezze di Bari. La difensa venne istituita da Federico II con le Costituzioni di
Melfi del 1231: si trattava della possibilità
da parte della persona che veniva aggredita, di invocare la difesa imperiale e una
multa, il cui ammontare era stabilito dalla
vittima; gli augustali erano invece monete
d’oro coniate nello stesso anno. Da questa
citazione possiamo dedurre che il contrasto sia stato composto dopo il 1231, ma prima del 1250, anno della morte di Federico
II. Di fatto, il giullare minaccia, in caso di aggressione, di imporre al padre della giovane una multa altissima, a causa della quale avrebbe dovuto rinunciare alla vendetta.
Il modo di dire quanto avere ha ’n Bari è dovuto al fatto che Bari era a quel tempo una
delle città più ricche.
24-25. Viva... dico eo?: viva l’imperatore,
grazie a Dio! Capisci, bella, quello che ti sto
dicendo?
26. né sera né maitino: mai. La donna lamenta l’insistenza del giullare. Maitino è un
gallicismo.
27. Donna... massamotino: sono padrona
di monete d’oro e oro massamotino (cioè,
“sono una donna ricca”). I pèrperi sono
monete d’oro bizantine; l’oro massamotino era ritenuto particolarmente pregiato e
deve il suo nome ai califfi Amoadi, che regnavano nell’Africa settentrionale.
28-30. se tanto... mano: se tu mi donassi
tante ricchezze quante ne ha il Saladino, e
te, in Sicilia. Secondo alcuni studiosi, Cielo sarebbe stato un
giullare attivo presso la scuola siciliana e il suo celebre contrasto Rosa fresca aulentissima – unica attestazione della sua
attività poetica – andrebbe datato tra il 1231 e il 1250.
15
Quando ci passo e véioti, rosa fresca de l’orto,
bono conforto donimi tutore,
poniamo che s’aiunga il nostro amore.»
20
«Che ’l nostro amore aiùngasi, non boglio m’atalenti:
se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,
guarda non t’arigòlgano questi forti corenti.
Como ti seppe bona la venuta,
consiglio che ti guardi a la partuta.»
25
«Se i tuoi parenti trovami, e che mi pozon fare?
Una difensa mètoci di du mili’agostari:
non mi tocara pàdreto per quanto avere à ’n Bari.
Viva lo ’mperadore, grazi’a Deo!
Intendi, bella, quel che ti dico eo?»
30
«Tu me no lasci vivere né sera né maitino.
Donna mi so’ de pèrperi, d’auro massamotino;
se tanto aver donàssemi, quanto à lo Saladino,
e per aiunta quant’à lo Soldano,
tocare me non poteri a la mano.»
35
«Molte sono le femine ch’ànno dura la testa,
e l’omo con parabole l’adimina e amonesta;
tanto intorno procazzala fin che·ll’à in sua podesta.
Femina d’omo non si può tenere:
guàrdati, bella, pur de ripentere.»
40
«Ch’eo ne pur ripentésseme? Davanti foss’io aucisa
ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
Aersera passàstici, corenno a la distesa.
Aquìstati riposa, canzoneri:
le tue parole a me non piacion gueri.»
in aggiunta quelle che ha il sultano, non potresti nemmeno toccarmi sulla mano. Saladino è il famoso sovrano di Siria ed Egitto, citato anche da Dante nella Commedia.
31-33. Molte... podesta: sono molte le
donne che hanno la testa dura, e l’uomo le
domina (adimina) e ammonisce (amonesta)
con le parole: la incalza (procazzala) tanto
da tutte le parti finché l’ha in suo potere (potesta). Amonesta e procàzzala sono gallicismi, mentre potesta è un latinismo. Il
termine femine ha forse qui e al verso successivo il valore di “donne di basso rango”,
o anche di facili costumi. Si trova infatti, per
esempio, nella lirica provenzale, l’opposizione della femna alla domna, cioè la “si-
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2
gnora”. Si noti il passaggio dal plurale al
singolare.
34-35. Femina... ripentere: una donna
non può fare a meno dell’uomo: attenta,
bella di non pentirtene. Ripentere è gallicismo.
36-37. Ch’eo... ripresa: che io debba pentirmene? Preferirei essere uccisa piuttosto
che qualche buona donna fosse rimproverata per colpa mia (cioè, piuttosto di gettare, attraverso il mio cattivo esempio, discredito su tutte le altre donne oneste).
38-40. Aersera... gueri: tempo fa passasti
di qui, correndo a più non posso. Prendi riposo, cantastorie: le tue parole non mi piacciono per niente. Aersera è un gallicismo.
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Lezione profilo 6 • La lirica delle origini: dalla Francia all’Italia
Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
VOLUME 1
Le origini e il Duecento
41-42. Quante sono... fore!: quante sono le
pene (schiàntora) che mi hai inflitto al cuore, anche soltanto riflettendo tra me, di
giorno, quando esco! Schiantora è un neutro plurale; purpenzànnome è un gallicismo.
43. secolo: è un latinismo e significa “mondo”.
44. teve: te.
46-47. Se distinata... bellezze: se fossi
destinata a te, cadrei in basso, perché nelle tue mani le mie bellezze sarebbero mal
riposte. Caderia e fora sono forme di condizionale siciliano e teve è forma meridionale derivante dal latino tibi.
48-50. Se tuto... persone: se mi capitasse
tutto questo, mi taglierei le trecce e mi farei monaca in un monastero, piuttosto che
tu possa toccare la mia persona. Tagliàrami è condizionale siciliano. La donna ribadisce la “minaccia” già attuata al v. 10.
51-53. Se tu consore... volontieri: se tu ti
fai suora, donna dal viso luminoso, vengo
anch’io al monastero e mi faccio frate: per
vincerti attraverso una prova tanto grande,
lo farei volentieri. Cleri, mostero e confleri sono francesismi.
54-55. Conteco... dimino: starò con te mattino e sera: è necessario che io ti abbia in
mio possesso. L’espressione la sera e lo
maitino significa “sempre”, “senza sosta”.
56. Boimè... distinato!: Ahimé, povera infelice!, che crudele destino (distinato) ho!
57-58. Gieso Cristo... blestiemato: l’Altissimo Gesù Cristo è del tutto arrabbiato con
me: mi hai concepito affinché mi imbattessi in un uomo empio. Si noti l’apostrofe a
Cristo, dopo averne parlato in terza persona. Il giullare è definito empio (blestiemato)
a causa del suo proposito sacrilego di farsi
frate per ottenere le grazie della donna.
59-60. Cerca... troverai: percorri, cercando, la terra, che è tanto grande: troverai una
donna più bella di me. Il verbo cercare ha
qui il significato di “percorrere/vagare mentre si cerca”. Chiù (“più”) è forma tipicamente meridionale.
61-65. Cercat’aio... prese: ho percorso
Calabria, Toscana e Lombardia, Puglia,
Costantinopoli, Genova, Pisa e Siria, Germania e Babilonia e tutta l’Africa del nord:
non vi ho trovato una donna nobile come voi,
per questo vi ho presa come mia signora.
66-70. Poi tanto... comannamente: poiché hai tanto sofferto, ti faccio una richiesta: che tu vada a domandarmi a mia madre e a mio padre. Se si degnano di darmi
a te, portami al monastero e sposami pubblicamente, poi farò quello che desideri.
Davanti da la iente significa “davanti a tutti” e menami significa “portami”. La proposta di matrimonio da parte della giovane è
un primo segnale di cedimento nei confronti del cantastorie.
71-72. Di ciò che tu dici... scale: quello
che dici, vita mia, non ti giova a niente,
perché delle tue parole non ne parlo nemmeno più. Il giullare rifiuta di rispondere alla richiesta di matrimonio della ragazza.
L’espressione fatto n’ò ponti e scale sarebbe, secondo Gianfranco Contini, un modo di
dire siciliano.
73-75. penne... villana: “pensavi di mette-
45
«Quante sono le schiàntora che m’à’ mise a lo core,
e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore!
Femina d’esto secolo tanto no amai ancore
quant’amo teve, rosa invidïata:
ben credo che mi fosti distinata.»
50
«Se distinata fósseti, caderia de l’altezze,
ché male messe fòrano in teve mie bellezze.
Se tuto adivenìssemi, tagliàrami le trezze,
e consore m’arenno a una magione
avanti che m’artochi ’n la persone.»
55
«Se tu consore arènneti, donna col viso cleri,
a lo mostero vènoci e rènnomi confleri:
per tanta prova vencerti fàralo volontieri.
Conteco stao la sera e lo maitino:
besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino.»
60
«Boimè tapina misera!, com’ao reo distinato!
Gieso Cristo l’altissimo del tuto m’è airato:
concepìstimi a abàttare in omo blestiemato.
Cerca la terra ch’èste grane assai,
chiù bella donna di me troverai.»
65
«Cercat’aio Calabria, Toscana e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonia, e tuta Barberia:
donna non ci trovai tanto cortese,
per che sovrana di meve te prese.»
70
«Poi tanto trabagliàstiti, facioti meo pregheri,
che tu vadi adomànimi a mia mare e a mon peri.
Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri,
e sposami davanti da la iente;
e poi farò le tuo comannamente.»
75
«Di ciò che dici, vìtama, neiente non ti bale,
ca de le tuo parabole fatto n’ò ponti e scale:
penne penzasti mettere, sonti cadute l’ale;
e dato t’aio la bolta sotana.
Dunque, se poti, tèniti, villana.»
«En paura non metermi di nullo manganiello:
istòmi ’n esta groria d’esto forte castiello;
prezo le tuo’ parabole meno che d’un zitello.
re le penne e ti sono cadute le ali; io ti ho dato il colpo di grazia (la bolta sotana). Dunque, se puoi, difenditi, villana”. Con queste
parole il giullare accusa la giovane di essere poco sincera e di aver fatto un’offerta di
matrimonio interessata, che lui ha rifiutato. Il tema delle false penne che cadono potrebbe derivare dalla leggenda di Icaro op-
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pure dalla favola di Fedro, Graculus superbus et pavo.
76-78. En paura... zitello: non mi metti
paura di nessun manganiello: me ne sto al
sicuro tra le mura di questo forte castello;
stimo le tue parole meno di quelle di un
bambino. La metafora dell’assalto è provocata dalla bolta sottana della strofa prece-
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Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
VOLUME 1
Le origini e il Duecento
dente. Il manganiello è una sorta di catapulta, utilizzata spesso negli assedi. Probabilmente è da ravvisare, in questa strofa,
una certa ambiguità di linguaggio. Prezo
viene dal provenzale prezar e vuol dire “stimare”. Lo zitello è il ragazzino.
79-80. Se tu... chiaci: se non ti levi e non te
ne vai di qua, mi piacerebbe che tu vi fossi
ucciso. Morto con il significato di “ucciso”
è un gallicismo, mentre chiaci è la forma siciliana per “piace”, qui con il valore di condizionale.
82-85. Se morto... matino: se anche dovessi essere ucciso o completamente sfregiato, non mi muoverei di qui (di quaci non
mi mòsera) senza ottenere il frutto che
sta nel tuo giardino: lo desidero mattino e
sera. Mòsera è condizionale siciliano. Il
frutto contenuto nel giardino della donna è
una chiara allusione alle grazie della ragazza stessa; la metafora della donna come
giardino è piuttosto ricorrente nella letteratura medievale.
86-88. Di quel frutto... feri: non hanno
avuto quel frutto né conti né cavalieri; lo desiderarono molto marchesi e giudici regionali, ma non riuscirono ad averlo: per
questo se ne andarono fortemente adirati.
La ragazza si vanta di aver rifiutato le profferte amorose di pretendenti ben più degni
di un giullare. Nell’elenco figurano anche
iustizieri, cioè i giudici a cui Federico II affidava una certa porzione di territorio affinché facessero rispettare le leggi; si trattava quindi di una carica di una certa
importanza. Pòttero sta per “poterono”;
feri ha qui il significato di “adirati”.
90. Men’èste... abere: quello che possiedi
vale meno di mille once. L’oncia era una
moneta in uso in vari Stati italiani durante
il Medioevo.
91-92. Molti... m’assai: sono molti i chiodi di garofano, ma non così tanti che tu
possa formare una salma: bella, non disprezzarmi, se prima non mi provi. La salma è un’unità di misura diffusa soprattutto in Sicilia ed equivalente all’incirca a tre
ettolitri; i chiodi di garofano sono una spezia che viene dall’Oriente, e dunque nel
Medioevo era merce abbastanza rara e
preziosa. Alcuni studiosi stabiliscono un
rapporto metaforico tra i garofani e i corteggiatori ricchi della donna; seguendo quest’ultima ipotesi, il giullare direbbe alla
donna che in realtà i suoi estimatori non sarebbero tanti come si era lasciato intendere nella strofa precedente: ma si tratta di
un’interpretazione piuttosto improbabile.
Un’altra interpretazione ancora vede i garofani come le qualità della donna: essa non
ne sarebbe così piena quanto crede. Assai
è un gallicismo e significa “provi”.
93-95. Se vento... dole: se il vento cambia
ed è in proda e ti raggiungo sulla spiaggia,
ti ricorderò queste parole, che quest’animella, dentro di me, soffre assai. Il giullare torna sul tema del dolore e della sofferenza, benché l’uso del termine animella
sembri abbassare il tono del discorso. La
metafora sottintesa è, in questo caso, quella della navigazione, piuttosto diffusa in
ambito amoroso per indicare il compiersi
del desiderio.
80
Se tu no levi e va’tine di quaci,
se tu ci fosse morto, ben mi chiaci.»
85
«Dunque voresti, vìtama, ca per te fosse strutto?
Se morto essere déboci od intagliato tuto,
di quaci non mi mòsera se non ai’ de lo frutto
lo quale stäo ne lo tuo iardino:
disïolo la sera e lo matino.»
90
«Di quel frutto non àbero conti né cabalieri,
molto lo disïarono marchesi e iustizieri,
avere no ’nde pòttero: gìro ’nde molto feri.
Intendi bene ciò che bole dire?
Men’èste di mill’onze lo tuo abere.»
95
«Molti so’ li garofani, ma non che salma ’nd’ài;
bella, non dispregiàremi s’avanti non m’assai.
Se vento è in proda e gìrasi e giungioti a le prai,
a rimembrare t’äo ’ste parole,
ca dentr’a ’sta animella assai mi dole.»
100
«Macara se doléseti che cadesse angosciato,
la gente ci coresoro da traverso e da·llato;
tut’a meve dicessono: “Acori esto malnato!”,
non ti degnara porgere la mano
per quanto avere à ’l Papa e lo Soldano.»
105
«Deo lo volesse, vìtama, te fosse morto in casa!
L’arma n’anderia cònsola, ca dì e notte pantasa.
La iente ti chiamaràno: “Oi periura malvasa,
ch’à’ morto l’omo in càsata, traìta!”
Sanz’onni colpo lèvimi la vita.»
«Se tu no levi e va’tine co la maladizione,
li frati miei ti trovano dentro chissa magione.
96-100. Macara... Soldano: Volesse il cielo che tu soffrissi al punto da cadere morto tra i tormenti: la gente accorrerebbe da
tutte le parti e tutti mi direbbero: “Soccorri questo poveretto!” Non mi degnerei di
porgerti la mano per tutti gli averi del papa e del sultano.
Il tema della sofferenza è ripreso dalla
donna, che arriva a dichiarare che non
soccorrerebbe il giullare per tutto l’oro del
mondo, quando questo cadesse svenuto
per amore suo. Angosciato significa “privo
di sensi”; degnara è condizionale siciliano.
La locuzione da traverso e da·llato significa “da ogni direzione”; da·llato presenta il
raddoppiamento fonosintattico.
101-102. Deo... pantasa: lo volesse Dio, vita mia, che fossi ucciso in casa tua! L’anima se ne andrebbe consolata, perché giorno e notte delira a causa tua.
Morto è di nuovo impiegato come gallicismo, con il significato di “ucciso’”; arma è
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l’anima, mentre cònsola è participio forte e
vuol dire “consolata”. Pantasa significa
“delira”.
103-105. La iente... la vita: la gente ti direbbe: “Ohi, malvagia spergiura, che hai ucciso l’uomo in casa tua, traditrice!”. Mi togli
la vita senza nemmeno colpirmi.
Il giullare riprende l’immagine della folla
che giungerebbe in suo soccorso, rivolgendola a proprio favore. La gente biasimerebbe la donna per aver lasciato morire il
cantastorie. Chiamàrano è condizionale
siciliano; traìta significa “traditrice”. La
forma càsata presenta il pronome possessivo enclitico in fine di parola, come
nell’uso meridionale. L’espressione sanz’onni colpo significa “senza colpire”: la
donna infatti ucciderebbe l’uomo senza alzare una sola mano su di lui, ma continuando a resistergli e a fargli proposte assurde.
106-110. Se tu... aitare: se non ti alzi e non
te ne vai con la mia maledizione, i miei
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fratelli ti troveranno in questa casa. [...]
certo lo sopporterei, che tu qui perda la vita, perché sei venuto a importunarmi con le
parole; nessun parente né amico di potrà
aiutare. La donna minaccia il giullare dell’arrivo e della ritorsione dei suoi fratelli, se
lo trovassero in casa a importunarla con
questi discorsi. Il tono tuttavia suona un po’
debole, quasi un avvertimento più che una
minaccia. La prima parte del vv. 108 è andata perduta. La persone indica il corpo vivo e, quindi, la vita. Sormonare significa letteralmente “parlare”, “fare discorsi”.
111-112. A meve... iente: non mi sono
d’aiuto amici né parenti: sono straniero, mia
cara, in mezzo a questa buona gente.
113. Or fa... mente: ora è un anno, vita
mia, che mi sei entrata nella mente (è passato un anno da quando mi sono innamorato di te).
114-115. Di canno... feruto: da quando hai
vestito il maiuto, bella, da quel giorno sono ferito (dall’amore). Il maiuto è un panno
grezzo, usato per gli abiti delle fanciulle di
bassa estrazione sociale o dalle donne di
servizio. La frase si presta a molteplici interpretazioni, soprattutto per quanto riguarda il maiuto: in ogni caso, il giullare dichiara di essersi innamorato della donna
dal primo momento in cui l’ha vista.
116-117. Ai!... sciamito?: ah ti sei innamorato tanto, tu, Giuda traditore, come se (il
maiuto) fosse porpora, scarlatto o sciamito? Porpora, scarlatto e sciamito sono tessuti preziosi.
118-120. S’a le Vangele... perfonno: se
anche mi giurassi sul Vangelo che sarai mio
marito, non potresti avermi in questo mondo: piuttosto mi butto nel profondo del mare. La donna asserisce che preferirebbe
gettarsi in mare piuttosto che cedere al
giullare. Il tema del giuramento sui Vangeli tornerà nelle strofe finali del componimento.
121-125. Se tu... pecare: se ti getti in mare, donna cortese e nobile, ti seguirò per
tutta la marina e, quando sarai affogata, ti
troverò sulla spiaggia solo per raggiungere questo scopo: voglio congiungermi a
peccare con te. Misera, anegàseti e trobàrati sono condizionali siciliani; cortese e fina è una dittologia sinonimica tipica della
lirica trobadorica. A questo punto il giullare tocca con mano la necrofilia: arriva infatti a dire alla donna che, anche se si lasciasse affogare in mare, lui ne seguirebbe il
corpo per potervisi congiungere.
126-128. Segnomi... anch’eo!: mi segno
nel nome del Padre, del Figlio e di san
Matteo: so che non sei eretico o figlio di giudeo, ma non ho mai sentito dire parole come queste. La donna, sentendo le parole
blasfeme del giullare, fa il segno della croce. La citazione di san Matteo non è chiara: probabilmente si tratta dell’autore del
primo Vangelo, forse patrono della località in cui è ambientata la vicenda. Retico significa “eretico”; la congiunzione e del
v.128 ha valore avversativo.
129-130. Morta... disdotto: se la donna è
morta, si perdono il piacere e il diletto. Saboro e disdotto è un’altra coppia sinonimica tipica della lirica provenzale.
110
[...] be·llo mi sofero pèrdici la persone,
ch’a meve sè venuto a sormonare;
parente né amico non t’àve aitare.»
115
«A meve non aìtano amici né parenti:
istrani’ mi so’, càrama, enfra esta bona iente.
Or fa un anno, vìtama, ch’entrata mi sè ‘n mente.
Di canno ti vististi lo maiuto,
bella, da quello iorno so’ feruto.»
120
«Ai!, tanto ‘namoràstiti, tu Iuda lo traìto,
como se fosse porpore, iscarlato o sciamito?
S’a le Vangele iùrimi che mi sia a marito,
avere me non pòter’a esto monno:
avanti in mare gìtomi al perfonno.»
125
«Se tu nel mare gìtiti, donna cortese e fina,
dereto mi ti mìsera, per tuta la marina,
e da poi c’anegàseti, trobàrati a la rena,
solo per questa cosa adimpretare:
conteco m’aio agiungere a pecare.»
130
«Segnomi in Patre e ’n Filio ed i·santo Mateo:
so ca non sè tu retico o figlio di giudeo,
e cotale parabole non udi’ dire anch’eo!
Morta sì è la femina a lo ’ntutto,
pèrdeci lo saboro e lo disdotto.»
135
«Bene lo saccio, càrama: altro non pozo fare.
Se quisso nonn-arcòmplimi, làssone lo cantare.
Fallo, mia donna, plàzati, ché bene lo puoi fare.
Ancora tu no m’ami, molto t’amo,
sì m’ài preso como lo pesce a l’amo.»
140
«Sazo che m’ami, àmoti di core paladino.
Levati suso e vàtene, tornaci a lo matino.
Se ciò che dico facemi, di bon cor t’amo e fino.
Quisso t’adimprometto sanza faglia:
te’ la mia fede, che m’ài in tua baglia.»
«Per zo che dici, càrama, neiente non mi movo.
Inanti prenni e scànnami: to’ esto cortello novo.
132. Se quisso... cantare: se non fai questo per me, smetto di cantare. Arcòmplimi
significa letteralmente “compi per me, a
mio favore”.
133. plàzati: ti piaccia.
134-135. Ancora tu... a l’amo: tu non mi
ami ancora, io ti amo molto, così mi hai preso come un pesce all’amo. In pratica, secondo il giullare, la donna l’avrebbe fatto innamorare di sé illudendolo, con tutto
questo gioco di profferte e di rifiuti, così come illusoria è l’esca usata dal pescatore.
136. «Sazo che m’ami... paladino»: lo so
G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta
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che mi ami e io ti amo di amore sincero. Paladino qui significa “sincero”, “nobile”, come i paladini di Carlo Magno.
137-140. Levati suso... in tua baglia: alzati e vattene, torna domani mattina. Se fai per
me ciò che ti dico, ti amerò con cuore nobile e buono. Ti prometto questo, senza inganno: credi alla mia buona fede, perché mi hai
in tua balìa. Sanza faglia è un modo di dire
della lirica cortese e significa “senza fallo”,
“senza inganno”. Faglia è gallicismo.
141-142. Per zo che dici... cortello novo:
proprio per quello che mi dici, cara mia, non
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Lezione profilo 6 • La lirica delle origini: dalla Francia all’Italia
Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
VOLUME 1
Le origini e il Duecento
mi muovo affatto. Piuttosto prendi e scannami: tieni questo nuovo coltello. Il giullare rifiuta di andarsene proprio perché la
donna ha dichiarato di amarlo. L’urgenza
del desiderio è tale da chiederle di scannarlo piuttosto che rimandare.
143. Esto fatto... un uovo: quest’azione si
può compiere più facilmente di quando si
scalfisca un uovo. Cioè: impiegheresti meno tempo a cedere ai miei desideri che a
rompere un guscio d’uovo.
144-145. Arcompli... mi s’infella: adempi
il mio desiderio, amica bella, perché l’anima si rattrista con il mio cuore. Talento e infella sono gallicismi; «amica bella» è invece un sintagma tipico della lingua amorosa,
piuttosto diffuso nella lirica provenzale.
146. Ben sazo... arsura: so bene che la tua
anima soffre come chi prova arsura (amorosa). Omo è forma impersonale.
147-150. Esto fatto... la testa: quest’azione non può compiersi in nessun altro modo: se non hai i Vangeli, affinché possa
dirti “giura!”, non puoi avermi in tuo potere; piuttosto prendi e tagliami la testa. Podesta è un latinismo. La donna è, in realtà,
pronta a cedere: il giuramento sui Vangeli, da lei proposto, è reso blasfemo dall’atto che verrebbe a legittimare.
151-152. Le Vuangelïe, càrama... patrino:
i Vangeli, cara mia? Io li porto in seno: li ho
presi al monastero, non c’era il confessore.
Il giullare dichiara, in pratica, di aver rubato i Vangeli; Ferroni avanza l’ipotesi che il
cantastorie in realtà finga semplicemente
di averli con sé. Il patrino qui citato è il padre confessore.
153-155. Sovr’esto libro... sutilitate: ti
giuro su questo libro di non venirti mai
meno. Compi il mio desiderio, per carità,
perché la mia anima si va consumando.
Non ti vegno meno significa “non ti lascerò mai”. Il giuramento è ovviamente fasullo e finalizzato al raggiungimento del solo
piacere fisico. “Stare in sutilitate” significa
“consumarsi”; caritate e sutilitate sono
due latinismi.
145
Esto fatto far pòtesi inanti scalfi un uovo.
Arcompli mi’ talento, ’mica bella,
ché l’arma co lo core mi s’infella.»
150
«Ben sazo, l’arma dòleti, com’omo ch’ave arsura.
Esto fatto non pòtesi, per null’altra misura:
se non à’ le Vangelie, che mo’ ti dico: iura,
avere me non puoi in tua podesta:
inanti prenni e tagliami la testa.»
155
«Le Vuangelïe, càrama? Ch’ïo le porto in seno;
a lo mostero présile, non ci era lo patrino.
Sovr’esto libro iùroti mai non ti vegno meno.
Arcompli mi’talento in caritate,
che l’arma me ne sta in sutilitate.»
160
«Meo sire, poi iuràstimi, eo tuta quanta incenno;
sono a la tua presenzia, da voi non mi difenno.
S’eo minespreso àioti, merzé, a voi m’arenno.
A lo letto ne gimo a la bon’ora,
ché chissa cosa n’è data in ventura.»
a cura di M. Spampinato Beretta, in I poeti della scuola siciliana, vol II,
Poeti alla corte di Federico II, dir. C. Di Girolamo,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, vol. II.
156-158. Meo sire... difenno: mio signore,
poiché me l’hai giurato, mi accendo tutta
quanta. Sono davanti a voi, da voi non mi difendo più. Se ti ho disprezzato, pietà, mi arrendo a voi.
La prontezza della donna dopo il giuramento è la conferma che in effetti la sua riluttanza era solo parte di una schermaglia
amorosa. Le parole della fanciulla, l’immagine dell’incendio, la resa e la richiesta di
IN PRIMO PIANO
I temi e le scelte stilistiche
ANALISI DEL TESTO
sonaggi è notevole, ed è a vantaggio dell’uomo. Qui, al contrario, l’uomo è quasi sicuramente un giullare, mentre per
quanto riguarda la donna non se ne conosce il rango. Tutto
sommato questo contrasto sembra essere più vicino alla tenzone Domna, tant vos ai preiada, scritta dal trovatore
Raimbaut de Vaqueiras, dove un giullare cerca di sedurre una
popolana genovese. Anche il personaggio maschile di Rosa fresca aulentissima condivide questo scopo, mentre la donna reagisce con vigore, ora ritraendosi, ora rispondendo apertamente al giullare, senza mai celare completamente la possibilità di
accettare il pretendente.
La fanciulla inizialmente oppone infatti un rifiuto deciso (si veda, per esempio, la seconda strofa), per poi proporre al cantastorie di sposarla, se proprio la vuole avere (vv. 66-70), e quindi concludere chiedendo all’uomo di giurarle sui Vangeli
amore eterno e cedendo infine alle sue richieste.
Affinità con la pastorella provenzale Il celebre contrasto
di Cielo d’Alcamo si configura come la schermaglia amorosa tra due personaggi che gli studiosi non hanno identificato con sicurezza: se la voce maschile sembra essere quella di
un giullare (al v. 39 viene chiamato canzoneri), non è certo se
quella femminile appartenga a una contadina o a un personaggio di rango superiore. Quello che è sicuro è invece il desiderio dell’amore della donna provato dal cantastorie, che,
in maniera sempre più pressante e blasfema, cerca di convincerla ad amarlo. La situazione presentata non è nuova, e sono evidenti alcune affinità con il genere della pastorella provenzale e francese: sul piano stilistico-compositivo, per la
presenza del dialogo diretto; sul piano tematico, per la sfrontatezza delle richieste del giovane. Tuttavia, la pastorella
d’Oltralpe mette in scena normalmente un cavaliere, o un trovatore, e una contadina, e dunque il divario sociale tra i perG. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta
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pietà sono stilemi trobadorici, solitamente legati alla figura maschile. Minespreso
(“disprezzato”) e merzé (“pietà”, “perdono”)
sono gallicismi.
159-160. A lo letto... ventura: andiamocene a letto di buon’ora, perché questo ci è
stato dato in sorte. Il distico finale suggella la caduta di ogni resistenza da parte della donna e il compimento del desiderio.
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Le origini e il Duecento
Lezione profilo 6 • La lirica delle origini: dalla Francia all’Italia
Cielo d’Alcamo, Rosa fresca aulentissima
la corte di Federico II: si tratta di un linguaggio di registro più
umile, popolare, che alterna, tuttavia, l’uso di gallicismi,
espressioni marcatamente cortesi e auliche, addirittura citazioni illustri a un lessico basso, dialettismi, modi di dire e
doppi sensi; il linguaggio cortese è inoltre impiegato in senso parodistico e ironico. Tutto questo concorre a rendere più
divertente e beffarda questa contesa, in cui l’amore richiesto alla donna non è più quello, quasi mistico, tra un trovatore e una dama, ma si limita al mero atto sessuale.
Gli aspetti linguistici Lo scambio di battute avviene a ritmi
serrati, in un’alternanza regolare delle voci da una strofa all’altra. La forma dialogica è sottolineata dall’impiego diffuso
di coblas capfinidas e di riprese più o meno estese tra un intervento e l’altro. La lingua del giullare non differisce in alcun
modo da quella della donna, come invece avviene nel contrasto bilingue di Raimbaut de Vaqueiras, cui già si è accennato.
Entrambi infatti parlano un volgare siciliano diverso dal linguaggio poetico di Giacomo da Lentini e dagli altri poeti del-
SPAZIO
Per tornare al testo
COMPETENZE
Comprensione e analisi
1. Riassumi il contenuto del testo facendo attenzione ai mutamenti nell’atteggiamento della fanciulla nei confronti del giullare: in quante fasi è divisibile il componimento?
2. La donna minaccia più volte di farsi monaca. Con quali parole esprime questa intenzione? Come reagisce il giullare?
3. Gli studiosi hanno discusso a lungo riguardo all’identità della ragazza, per capire se si tratti di una nobile o di una
popolana: raccogli i dati che vengono forniti su di lei nel componimento e tracciane una descrizione.
4. Cerca nel testo tutte le parole con cui il pretendente si rivolge alla fanciulla: a quale registro stilistico appartengono?
5. Nella seconda strofa vengono elencate alcune azioni che il giullare dovrebbe fare per provare a conquistare la ragazza: quale figura retorica viene usata? In che cosa consiste? Quale effetto ne risulta?
Approfondimenti
6. Nella quinta strofa sono presenti chiari riferimenti al tempo in cui la poesia è stata scritta: delinea la figura dell’imperatore di cui si parla e dei letterati che facevano parte della sua corte. (15-20 righe)
G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta
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