...

"FERMATEVI NELLA STRADA E GUARDATE..."

by user

on
Category: Documents
24

views

Report

Comments

Transcript

"FERMATEVI NELLA STRADA E GUARDATE..."
"FERMATEVI NELLA STRADA E GUARDATE..."
di Sebastiano Fascetta
"Fermatevi nella strada e guardate informatevi circa i sentieri del passato dove stà la strada
buona e prendetela, così troverete pace per la anima vostra…"( Ger 6,16)
Le parole del profeta Geremia, ci aiutano a comprendere quale dev’essere l’atteggiamento
spirituale adatto, per poter rileggere profeticamente il cammino svolto sino adesso: guardare
al passato per capire il presente ed essere bene disposti ad accogliere ciò che di nuovo il
Signore prepara .
Iniziare il nuovo triennio senza considerare cosa abbiamo fatto, nel triennio ormai passato,
quali itinerari, nel discernimento, abbiamo individuato e cercato di realizzare, significherebbe
paralizzare il cammino, non tenere in debita considerazione il livello di crescita maturato sino
a questo momento, con il rischio di proporre un nuovo cammino non corrispondente al reale
bisogno del RnS di Sicilia, con un consequenziale spreco di energie.
Prima di riprendere il cammino, bisogna fermarsi per poter “guardare” e “informarsi circa i
sentieri del passato” così da discernere la strada da prendere per trovare e sperimentare la
pace e la salvezza.
Questo è il tempo in cui responsabilmente prendiamo coscienza del cammino che abbiamo fatto
nel triennio 98-2000, per ritrovare nuovo vigore e ripartire da ciò che riteniamo essenziale per
la crescita dei nostri gruppi.
Il presente è il tempo in cui intravediamo ciò che di nuovo il Signore prepara per la nostra
regione. Far memoria del passato non alimenta la nostalgia per un tempo che fu, ma risveglia il
senso di responsabilità, di fedeltà alla vocazione ricevuta, per crescere ancor di più nella
conoscenza di Dio e nella conoscenza della realtà del RnS.
Il presente non è il tempo in cui viviamo l’esperienza nel ricordo nostalgico del passato, ne
tanto meno come ripetizione uniforme, partecipando alla vita del RnS per abitudine e con
stanchezza; ma è il tempo in cui facciamo esperienza delle cose sempre nuove che il Signore
compie nella nostra vita. La lode che tanto ci caratterizza, non è altro che il riconoscimento e la
risposta gioiosa alle opere meravigliose che il Signore compie: “grandi cose ha fatto in me
l’onnipotente e Santo è il suo nome”.
Non sempre, viene accettato il fatto che nonostante anni e anni di esperienza, la grazia del
RnS rimane comunque qualcosa da approfondire e sperimentare in maniera sempre nuova, di
conoscenza in conoscenza.
Circa la ministerialità, la pastoralità, il cammino formativo, l’esperienza carismatica, siamo
ancora agli inizi, abbiamo ancora tante cose da comprendere e sperimentare, per una maggiore
corrispondenza alla volontà di Dio. Siamo in permanente stato di apprendistato.
1)
LA SANTITA’
La meta che ci sta davanti è la salvezza, è la Santità, l’essere conformi a Cristo attraverso un
processo di continua trasformazione per opera dello Spirito Santo ( 2° Cor 3,18). Questa è la
“Terra Promessa” che siamo chiamati a raggiungere, mediante la chiamata nel RnS. Ogni
sforzo “pastorale”, le scelte formative, l’articolazione della vita di gruppo, devono essere
orientate da questo obiettivo fondamentale: essere Santi come Dio è Santo ( cfr I Pt 1,16; Lv
19,2).
La via per la Santità c’è sta tracciata in maniera definitiva da Gesù, che è venuto, come dirà
l’Apostolo Paolo nella lettera a TITo, ad “insegnarci a vivere” (cfr Tito2,14) o come afferma
l’evangelista Giovanni, a darci ”la vita e la vita in abbondanza” (cfr Gv10,10).
Vita nuova nello Spirito vuol dire vivere come ha vissuto Gesù, imparare da Gesù ad
essere pienamente uomini e donne nella storia, nel mondo. Imparare a vivere come
ha vissuto Gesù vuol dire, realizzare una vita “buona, bella e felice”, ma secondo una
logica completamente opposta alla felicità e bellezza che propone il mondo.
La bontà, bellezza e felicità della vita in Cristo deriva semplicemente dalla logica del donarsi per
amore e nella libertà, per amore di Dio e dei fratelli; la logica del mondo invece è fondata sul
possedere “tutto e subito”, amando se stessi, contro Dio e contro gli altri.
La pastoralità, la ministerialità, ogni servizio nella comunità, non sono fondati soltanto su un
carisma, su doni particolari, ma sulla mentalità “cristologica” del donarsi per amore e nella
libertà.
L’evangelizzazione che il RnS è chiamato a riprendere come uno degli elementi qualificanti
della sua identità, che riguarda tutti, prima ancora che un ministero specifico, consiste nel
testimoniare un nuovo stile di vita, la cui fonte e culmine è Cristo, che risponde al desiderio di
felicità che è inscritto in ogni uomo.
Il Card. Ratzinger durante il convegno dei catechisti e docenti di religione in occasione del
Giubileo dei catechisti ebbe a dire:
“La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo diventare uomo? Come si
impara l’arte del vivere? Quale è la strada alla felicità?
Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada, insegnare l’arte del vivere… Gesù dice sin
dall’inizio sono venuto ad Evangelizzare i poveri .(…) La povertà più profonda è l’incapacità di
gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria…L’incapacità di gioia suppone e
produce l’incapacità di amare, produce l’invidia, l’avarizia , tutti i vizi che devastano la vita dei
singoli e del mondo….Perciò abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione, se l’arte del
vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più. Ma questa arte non è oggetto della
scienza, questa arte la può comunicare solo chi ha la vita , colui che è il Vangelo in persona”
2)
LA GIOIA
La gioia che è una tra le caratteristiche del RnS è autentica ed è motivo di effusione di Spirito
Santo, come l’incontro tra Maria ed Elisabetta, se scaturisce da una vita radicata nella vita di
Cristo, se Dio è realmente Colui che svela il vero significato del nostro esistere ed orienta e
determina il nostro essere con e per gli altri.
Lo Spirito Santo ci fa dono della gioia di Maria va in fretta da Elisabetta, per amore e nella
libertà, sapendo che da quell’incontro scaturisce una nuova conoscenza di Dio, una nuova
comprensione dell’amore di Dio.
3)
UN NUOVO MODO DI ESSERE ANIMATORI
Siamo chiamati a testimoniare una pastoralità e ministerialità fondata semplicemente sulla
logica del donarsi per amore e nella libertà, senza altri interessi. (cfr I Pt 5,1 non per
avidità, né spadroneggiando).
Animatori sempre più consapevoli che la loro principale vocazione consiste nell’amare i fratelli
e le sorelle loro affidate. Non a caso Gesù chiede a Pietro quale unica e fondamentale
condizione per “pascere il popolo di Dio”, l’amore sino a morire, proprio perché non c’è amore
se non donando la propria vita.
Se guardiamo con attenzione la vita di Gesù, cercando di capire come si è presentato in mezzo
agli uomini, come ha portato avanti la sua missione, come si è comportato nei momenti difficili,
come ci amati sino a morire per noi, ci rendiamo conto che la pastoralità e la ministerialità se
non è fondata sull’umiltà, la povertà, la semplicità , lo zelo per il bene degli altri e non è
sostenuta da un intensa vita di preghiera, rimane un operazione “sterile” che non edifica e nella
peggiore delle ipotesi, diventa occasione di arrivismo, affermazione di sé, possibilità di
esercitare un potere sugli altri.
Per un’autentica pastoralità bisogna assumere come primaria preoccupazione , non tanto le
cose da fare, organizzare e programmare, anche se queste sono pur necessarie, ma
l’accoglienza delle persone che il Signore ci ha affidato,
per amarle,
comprenderle,
promovendo in loro un processo di vera conversione e di assunzione dell’identità del RNS. In
definitiva gli animatori devono prendere coscienza dell’importanza ai fini di una proficua
pastoralità, dell’accompagnamento spirituale.
ITINERARIO PASTORALE
L’INTINERARIO che abbiamo cercato di tracciare nel corso di questo triennio, relativamente
alla pastoralità, è stato mosso da questa esigenza primaria , crescere nella Santità:
I TAPPA: La Santita ( 13-15 Marzo 1998)
Il Papa, nella lettera apostolica già citata, ha definito la Santità “misura alta” della
vita cristiana ordinaria (n 30), condizione imprescindibile per ogni autentico servizio
pastorale.
II TAPPA: La comunione ( 31 Luglio 2 Agosto 98)
Il Santo Padre nella sua recente lettera apostolica, a chiusura dell’anno giubilare, “Novo
Millennio Ineunte” invita a promuovere una spiritualità della comunione (n.43). Prima
di ogni iniziativa concreta, afferma il Papa, bisogna promuovere tale spiritualità, che consiste
nel contemplare l’amore Trinitario di Dio e nel sentire il fratello come “uno che mi
appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, ed intuire i suoi
desideri, prendersi cura dei suoi bisogni e offrigli la vera amicizia .
La comunione è un cammino determinato dal passaggio dalla conoscenza superficiale degli
altri alla fraternità, e dalla fraternità all’amicizia.
III TAPPA La funzione pastorale (12-14 Marzo 99)
L’itinerario pastorale che abbiamo vissuto può essere sintetizzato così: dalla Santità alla
funzione, oppure dall’unzione alla funzione. La Santità personale, come impegno a lasciarci
conformare a Cristo, non può che concretizzarsi nella volontà di
vivere in comunione
mettendosi a servizio degli altri.
Nel corso dell’ anno 2000 abbiamo sottoposto a verifica la funzione degli organi pastorali
con particolare attenzione ai comitati diocesani. Realtà ormai acquisita da 10 anni a questa
parte, ma non per questo pienamente compresa, anzi qualche volta falsata rispetto alla sua
vocazione originaria. In questo caso ritornare al “passato” per comprendere la motivazione per
cui si decise di attuare una “struttura pastorale” diocesana, risulta necessario, per capire oggi,
la funzione di tali organismi, tenendo conto dei bisogni attuali, diversi da quelli di 10 anni fà.
In
un
tratto
sistematico
di
ecclesiologia
un
teologo
afferma:
“Essa (La Chiesa) non può mia aggrapparsi con una sicurezza quasi automatica alle
sue azioni ministeriali, sacramentali e anche carismatiche, ma deve sempre di nuovo
invocare lo Spirito e accoglierlo come dono sempre più grande che supera il suo
orizzonte istituzionale-sacramentale e carismatico.
ITINERARIO FORMATIVO MINISTERIALE
Il bisogno di sperimentare nell’oggi le nostre radici, riprendendo alcuni momenti fondamentali
del nostro cammino lo abbiamo sperimentato, anche attraverso il week-end di vita carismatica
(Marzo 2000), rivivendo una nuova effusione di Spirito Santo.
Lo stesso dicasi per la ministerialità. Abbiamo più volte approfondito questo argomento sino
a giungere ad una nuova comprensione (visione), che non sminuisce l’essenza e il valore della
ministerialità ma che segna una tappa nuova di nuova maturità.
Dato che siamo sull’argomento, circa la ministerialità, dobbiamo dire con una certa onestà
che nel tempo ci siamo accorti che da “strumento“ di servizio è degenerato, nella prassi e
quindi nella comprensione, in strumento di successo, affermazione, potere, di privilegi e
prestigio, tanto da isolarsi dal contesto del gruppo e diventare un gruppetto nel gruppo,
sganciato da ogni forma di discernimento e verifica da parte degli organi pastorali.
Ri-precisare la funzione ministeriale, come vedremo in seguito, in riferimento alla dimensione
comunitaria è un modo per non annullare la ministeriale ma per valorizzarla ancor di più per
l’edificazione comune.
Comprendere il valore del passato, nel senso di memoria viva e profetica degli inizi e delle
tappe che di anno in anno il RnS sperimenta, significa rivalutare il ruolo degli anziani, come
dono per la comunità. Non a caso per la prima volta a livello nazionale nel prossimo triennio
verrà istituito il collegio degli anziani a supporto del cammino nazionale, così come in Sicilia .
I TAPPA : IL PRIMATO DEL SERVIZIO ( 6-8 Febbraio 1998)
II TAPPA.: IL PRIMATO DELLA VITA NUOVA (IDENTITA’) (29-31 Gennaio 1999)
III TAPPA : IL PRIMATO DELLA VITA COMUNITARIA. (2-4 Giugno 2000)
Se facciamo un confronto con il cammino formativo pastorale nel caso della ministerialità
abbiamo un rovesciamento di prospettiva:
nel primo caso siamo partiti dalla Santità,
potremmo dire dall’unzione, per arrivare alla funzione; nel secondo caso dalla funzione alla
comunione. Scopo della ministerialità, dell’esercizio carismatico è l’utilità comune, quindi il
consolidamento della comunione e non lo sfaldamento, unitamente alla trasmissione
dell’identità carismatica. Se la pastoralità concorre all’armonizzazione di tutte le diversità per
un’autentica vita comunitaria, la ministerialità concorre a comunicare l’esperienza carismatica.
In origine la ministerialità nasceva in Sicilia in vista di un nuovo risveglio della vita carismatica.
Allo stato attuale l’obiettivo è lo stesso. I ministeri non sono finalizzati alla realizzazione di
piccoli gruppetti separati o sganciati dalla vita comunitaria e in contrapposizione al pastorale,
ma hanno lo scopo di favorire in ciascuno la disponibilità ad accogliere con umiltà e gratitudine
i carismi che lo Spirito distribuisce per l’utilità comune.
L’ultima tappa: la vita comunitaria, non solo richiama al principio dell’utilità comune, ma
impone una nuova visione circa la funzione ministeriale nel gruppo, come conseguenza del
cammino ormai decennale realizzato nella nostra regione.
Oltre a verificare ed approfondire il livello pastorale e ministeriale, abbiamo posto
attenzione a tutta l’articolazione della vita di gruppo, cercando di favorire la comprensione e
quindi l’impostazione di una vita di gruppo che rispecchi in qualche modo quella delle prime
comunità cristiani descritte nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli.
Uno stile di vita comunitaria, ove in particolare modo gli effusionati, si impegnano a vivere
un cammino assiduo di conversione fondato sull’esperienza carismatica, il discepolato
(l’assiduità alla formazione) e la disponibilità alla missione, al servizio ai fratelli.
A tal proposito, ritengo opportuno citare una breve riflessione da parte di un teologo
siciliano, circa il senso di appartenenza in generale, ma che ritorna utile anche per il nostro
cammino:
“Il venire a contatto con una comunità ecclesiale autentica pone sempre il
problema che l’entrarvi esige un processo serio di conversione a Dio. Quando
invece ci si imbatte in una comunità ecclesiale più simile a un club,
l’adesione, e quindi l’appartenenza, diventa facile e insieme fragile,
superficiale e , perciò, non autenticamente motivata. Potrà forse apparire
paradossale; ma in realtà l’appartenenza è fragile e inconsistente quando la
comunità ecclesiale è esistenzialmente non significativa e non esigente” (
Antonio Giliberto “ Comunione e comunità” Ed. Centro Studi Cammarata).
Se riteniamo buono questo principio , possiamo asserire una delle cause principali della
non–appartenenza dipende dallo stile di vita che il gruppo propone. Se tutta la realtà del RnS è
ridotta al solo incontro di preghiera e se questa, non viene vissuta come dialogo con Dio in
vista di un cambiamento personale ma soltanto come evento consolatorio, senza un vita
comunitaria impostata in una conoscenza graduale dell’esperienza carismatica e di tutto il
mistero cristiano, l’appartenenza risulterà debole non autenticamente motivata. Se la
ministerialità o la pastoralità è la meta immediatamente successiva all’effusione, senza un
tempo proficuo di discepolato, l’appartenenza risulterà fragile.
Il senso di appartenenza si recupera se si intervenire alla radice del problema : la vita
comunitaria. Il CRS nel corso di questo triennio e in particolare nel corso della tre giorni
ministeriale del 2000, ha dato chiare indicazioni pastorali circa l’articolazione della vita
comunitaria che fra poco riprenderemo.
Recuperando il senso di appartenenza si recupera anche l’identità. Entra a far parte del
RnS, vuol dire capire che non siamo noi a dare un identità al RnS, altrimenti dovremmo avere
tanti RnS quante sono le persone, ma riceviamo da altri l’identità del RNS, da assumere in
maniera consapevole e personale. Possiamo dire che vi è un identità oggettiva che riceviamo
dalla testimonianza di chi ci precede.
Gli organi pastorali in definitiva hanno il compito di garantire l’oggettività del RnS, in modo
tale che la radice, gli elementi fondamentali del RnS non sia snaturati. Tutto questo avviene in
un processo di accompagnamento in modo tale che ognuno sia aiutato a comprendere la
specificità del RnS e possa decidere di aderirvi consapevolmente e liberamente.
In questa fase bisogna avere il coraggio di discernere quelle forme o richieste da parte di
chi si accosta al RnS che tendono a modificarne l’identità. Ci si può accostare nel RnS per
ottenere una guarigione o persone che sono protese a privilegiare un aspetto della preghiera o
dell’esperienza carismatica, ma cammin facendo queste persone devono essere aiutate dal
pastorale, dagli anziani, dagli animatori a scoprire ciò che realmente il RnS è e propone, per
essere
messe nelle condizioni di poter decidere di
aderire attraverso un concreto
coinvolgimento alla vita del RnS, in vista di un serio cammino di santità.
Ma tutto questo attraverso la pedagogia della gradualità, attraverso un cammino per tappe,
che non può essere soltanto comunitario ma che richiede anche un’attenzione personale, un
vero e proprio accompagnamento spirituale.
Tengo a precisare il principio della “ LEGGE DELLA GRADUALITA’” e non la “gradualità della
legge”. Nel primo caso avendo chiaro gli obiettivi e l’identità, gradualmente ciascuno,
attraverso l’impegno personale e l’accompagnamento dei fratelli maturi nel cammino,
acquisisce la specificità del RnS; nel secondo caso invece ognuno adatta il RnS alle proprie
esigenza; cosicché se la maggior parte delle persone non vuole seguire alcuna formazione ,
oppure dà priorità al fatto miracolistico ecc … il pastorale si adegua a tale situazione,
determinando così una perdita di identità e appartenenza.
Le varianti o le variabili sono molte e spesso imprevedibili nel nostro cammino ma i criteri
generali d’identità e appartenenza devono esser bene chiari.
LA FRATERNITA’
L’altro elemento fondamentale per il prossimo triennio, riguarda l’impostazione della vita
comunitaria. Ritengo che sia necessario per il futuro del RnS una nuova presa di coscienza del
termine comunione e in particolare di vita fraterna. Oggi è quanto mai necessario che
all’interno dei gruppi vi sia un nucleo, un cuore, di fratelli e sorelle, che in maniera nuova,
radicale, consapevole e libera, decidano di assumere i principi evangelici della fraternità,
amicizia, sottomissione reciproca, perdono fraterno, del sostegno reciproco, impegnandosi nella
custodia reciproca fondata sulla gioia di stare insieme.
Non penso a nessuna forma di consacrazione o di comunità, ma semplicemente alla
naturale forma di vita fraterna che si ispira ai principi evangelici. Il cammino del gruppo,
l’accompagnamento dei nuovi come degli effusionati, garantire e promuovere l’identità del RnS,
dovrebbe essere affidato a persone che hanno deciso di donarsi per “la causa del RnS” con un
impegno di vita serio, sancito da una forma di reciproca sottomissione. Questa forma di
fraternità con un impegno di vita spirituale più intensa rispetto ai simpatizzanti o nuovi
effusionati,
con momenti particolari d’incontro, con un impegno serio alla reciproca
sottomissione, dovrebbe coinvolgere il pastorale, i responsabili di ministeri, gli anziani, gli
animatori.
La fraternità, nella reciproca sottomissione, dovrebbe essere la modalità ordinaria con cui il
pastorale vive la collegialità; con
cui pastoralità e ministeri vivono nella reciproca
collaborazione e si preoccupano di esercitare un vero e proprio accompagnamento spirituale nei
confronti di tutti coloro che si accostano al gruppo specialmente dei più bisognosi.
Non dimentichiamoci che la comunione, il passaggio da gruppo da un punto di vista
sociologico a comunità secondo Atti 2,42 è possibile solo se vi è un nucleo di persone, come lo
furono i 12, che testimonia la possibilità di vivere la comunione secondo i principi evangelici.
Gesù prima costituisce una piccola comunità i 12 e poi coloro che si convertono si uniscono alla
comunità dei 12. Solo a partire dalla formazione di questa piccola fraternità sarà possibile dar
vita a una nuova forma di pastorale e ministeriale, che non sia affidata al solo criterio elettivo,
che non dipenda dai soli 2 anni d’effusione, ma che sia preceduto da un apprendistato alla vita
spirituale, da una seria crescita nell’identità ed appartenenza.
Se il richiamo alla comunità, al servizio, a tutti i principi che da anni enunciamo circa il vero
volto della pastoralità, ministerialità, vita carismatica, non si incarna in un “nucleo-campione”
che dimostri la loro validità e fattibilità attraverso una vita comune, questi argomenti, pur se
affascinanti rimangono, infecondi, infruttuosi.
ANIMATORI UMILI E DOCILI.
Abbiamo più volte affermato la necessità di essere docili allo Spirito Santo, tanto che
l’espressione del Papa: “Lasciatevi veramente guidare dallo Spirito” è rimasta impressa a tutto
il RnS italiano. Ma la docilità è l’attitudine ad imparare, a lasciarsi istruire dallo Spirito, dalla
Parola di Dio, dagli eventi quotidiani, dai fratelli.
La docilità richiede l’umiltà. E’ docile chi è umile, chi si mette alla scuola di Gesù, chi
assume la responsabilità pastorale, ministeriale come chi è alla ricerca di Dio ed è consapevole
di essere conquistato da Dio e di dover continuamente conquistare Dio:
“ Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi
sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” ( Fil
3,12).
La gioia e lo stupore appartengono agli umili a coloro che confidano nel Signore.
Non è un caso che la Liturgia di oggi propone il Vangelo delle nozze di Cana e che Rimini
Nazionale avrà come tema proprio le parole di Maria : Fate tutto quello che lui vi dirà.
Parola rivolta a una categoria ben specifica: gli inservienti, i servitori, coloro che sono
preposti a servire a tavola, affinché gli invitati possano partecipare con gioia alle nozze.
Con le parole di Maria ritorniamo alle parole del Papa: Lasciatevi veramente guidare dallo
Spirito.
In definitiva il futuro si gioca sulla disponibilità di ciascuno di noi a fare tutto quello che il
Signore ci chiede, obbedendo a Lui, al punto da rinnegare noi stessi, cioè da staccarci dal
nostro egoismo, o come dicevano i Padri dalla filautia: l’amore proprio, che è l’esatto contrario
della carità.
Non ci deve sfuggire che per gli apostoli la conseguenza immediata dell’esperienza di
Pentecoste fu una nuova e radicale disponibilità a fare la volontà di Dio , ad obbedire a Dio sino
alla morte. Infatti davanti all’opposizione del Sinedrio gli apostoli ribadiscono il primato
dell’obbedienza a Dio ( cfr Atti 4,18), tanto da affermare che lo “Spirito Santo viene dato da
Dio a coloro che si sottomettono(obbediscono) a lui” ( Atti 4,32).
L’obbedienza è il vero culto spirituale:
“ Il Signore forse gradisce gli olocausti e i sacrifici
come obbedire alla voce del Signore?
Ecco, obbedire è meglio del sacrificio
Essere docili è più del grasso degli arieti” ( I Sam 15,22)
E’ questa nuova disponibilità ad obbedire a Dio che sin dagli inizi ci permetteva di fare
scelte forti, radicali che segnavano un vero e proprio cambiamento o che ci consentiva di
partecipare assiduamente alla vita del RnS , nonostante le difficoltà.
Nella prassi l’obbedienza si traduce nella capacità di ascoltare Dio e i fratelli.
Affermava Bonhoeffer, “che il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel
prestar loro ascolto. L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua Parola, e analogamente
l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. L’amore di Dio agisce in noi , non
limitandosi a darci la sua Parola, ma prestandoci anche ascolto. Allo stesso modo l’opera di Dio
si riproduce nel nostro imparare a prestare ascolto al nostro fratello. Chi non sa più ascoltare il
fratello , prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, anche al cospetto di Dio
non farà che parlare. Chi pensa che il proprio tempo sia troppo prezioso perché sia speso
nell’ascolto degli altri, non avrà mai veramente tempo per Dio e per il fratello , ma lo riserverà
solo a se stesso, per le proprie parole e i propri progetti” ( Vita comune, pag.75)
Desidero concludere con un racconto rabbinico a proposito della conoscenza dell’altro e
dell’amore per gli altri:
Un rabbino diceva: Come bisogna amare gli uomini, l’ ho imparato da un contadino. Questi
sedeva con altri contadini e beveva. Tacque a lungo con tutti gli altri, ma quando il suo cuore fu
mosso dal vino, si rivolse al suo vicino dicendo: Dimmi tu, mi ami o non mi ami? Quello
rispose: Io ti amo molto. Ma egli ancora disse: Tu dici: Io ti amo, e non sai che cosa mi fa
soffrire. Se tu mi amassi lo sapresti. L’altro non seppe rispondere, e anche il contadino che
aveva fatto la domanda tacque come prima. Ma io compresi: questo è l’amore per gli uomini
sentire di che cosa hanno bisogno e portare la loro pena.
FORMAZIONE MINISTERIALE - ANNO 1998
I° TAPPA:
IL PRIMATO DEL SERVIZIO.
LA FUNZIONE.
All'inizio del triennio 98-2000, il CRS ha proposto un itinerario formativo ministeriale, a
partire dalla chiamata a servire quale atteggiamento fondamentale e imprescindibile per ogni
esercizio carismatico nel RnS.
I carismi, sono infatti, per l'utilità comune (cfr I Cor 12,7), per l'edificazione della
comunità; "sono grazie speciali " con le quali lo Spirito Santo ci rende "adatti e pronti" ad
assumere "vari incarichi ed uffici" atti al rinnovamento della Chiesa (cfr L.G, n12) e
all'edificazione del gruppo d'appartenenza.
L'egoismo, l'egocentrismo, l'affermazione di sé, la strumentalizzazione dei carismi per la
propria gloria, snaturano ogni esercizio carismatico e disgregano la comunità.
L'uomo "carismatico" ,infatti, non è un super-uomo, ma semplicemente un Servo del Signore e
dei fratelli, continuamente sollecitato dallo Spirito a condividere i doni ricevuti per il bene
comune ( cfr Atti 4,33).
Consapevoli del fatto che l'esercizio carismatico non può prescindere dalla natura umana,
ed esige un continuo e vigilante discernimento, personale e comunitario, abbiamo ritenuto
necessario richiamare l'attenzione, oltre al riconoscimento dei carismi specifici, ad alcune
qualità basilari, sia dal punto di vista umano che spirituale, per poter accedere alla
ministerialità.
Nelle sessioni di approfondimento sono stati affrontate alcuni argomenti pratici inerenti la
costituzione dell'equipe ministeriale.
Attraverso questa prima tappa si è cercato di promuovere una ministerialità "ordinata e
decorosa", a partire dal riconoscimento dei bisogni e dei carismi realmente presenti nel
gruppo.
FORMAZIONE MINISTERIALE ANNO 1999
II° TAPPA: PRIMATO DELLA VITA NUOVA
L'IDENTITA'
Il secondo anno ,del triennio 98-2000, dopo aver precisato il primato del servizio per una
comprensione evangelica dell'esercizio carismatico, abbiamo cercato di ri-precisare la nostra
identità carismatica e in particolare il primato dell'essere rispetto al fare, il primato della
spiritualità sulla tentazione dell'efficientismo.
Assumere una responsabilità ministeriale non significa, anzitutto, darsi da "fare" per gli altri
al punto da non aver tempo per se stessi e da non crescere nella conoscenza della Signoria di
Dio. Alla domanda: " Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio", Gesù risponde: "
Questa è l'opera di Dio. Credere in colui che egli ha mandato" ( Gv 6,29).
Una ministerialità che si riduce a sola attività, senza una proporzionale crescita spirituale,
senza una vita autenticamente
fondata sul primato della fede in Dio, da
rinnovare
continuamente attraverso un autentico cammino di conversione, non può reggere il peso di
servire la comunità.
Chi è preposto a servire la comunità, non deve dimenticare che la fonte e la forza di ogni
disponibilità per gli altri è la relazione personale con il Signore (cfr Fil 3,8), che alimenta
continuamente la tensione alla conversione.
La comunità è edificata non solo tramite i carismi, ma, anzitutto, tramite i frutti di
conversione di ciascuno e in particolare di coloro che sono chiamati ad assumere, in maniera
visibile e stabile, alcune funzioni all'interno della comunità.
Se, infatti, la nostra vita è costruita sulla "sabbia", ogni occasione è buona
per litigare, criticare, perdere la stima nei confronti degli altri, abbandonare il gruppo, ritenersi
autosufficienti tanto da disprezzare la presenza e l'aiuto degli altri. Sentimenti questi, che
appartengono all'uomo carnale e che mortificano l'azione dello Spirito in noi, nella comunità e
in ogni funzione ministeriale. Ma , se la nostra vita è costruita sulla "roccia", ed è in "stato
permanente" di conversione, nulla potrà "separarci dall'amore di Cristo" e dall'amore per i
fratelli.
Nel corso della suddetta tre giorni abbiamo avuto modo di abbozzare, tracciando alcune
linee di riferimento, riprese ed approfondite nell'anno successivo, la dimensione comunitaria
per favorire una maggiore crescita nel senso di appartenenza, in vista di un'autentica
esperienza di fraternità all'interno della vita di gruppo.
La tre giorni dell'anno 1999, si concludeva con una riflessione tratta dal brano del Vangelo
di Luca 17,10, che richiamava la nostra attenzione all'umiltà e alla semplicità come condizioni
essenziale per crescere nella vita nuova e per mettere a disposizione degli altri i carismi
ricevuti ( cfr I Pt 4,10), sull'esempio di Cristo nostro Signore.
L'umiltà, la semplicità, il ritenersi servi "senza pretese", fa sì che la ministerialità sia vissuta
come possibilità di comunicazione e condivisione fraterna, dove ognuno ha bisogno dell'altro,
ogni carisma necessità del carisma dell'altro ( cfr I Cor 12,16).
Di conseguenza non è sufficiente costituire i ministeri ma, bisogna collocarli all'interno di un
progetto comunitario, dove ognuno impara a scoprire la propria vocazione a partire dalla
relazione con Dio e con gli altri, nel reciproco riconoscimento della medesima dignità umana e
battesimale, nel rispetto dei doni e carismi diversi.
FORMAZIONE MINISTERIALE ANNO 2000
III TAPPA: PRIMATO DELLA VITA COMUNITARIA
Nell'anno 2000, in continuità con il cammino svolto negli anni precedenti, abbiamo ritenuto
necessario approfondire la dimensione comunitaria della vita di gruppo , per una nuova
comprensione dell'unione fraterna (Koinonia), quale dono fondamentale dell'esperienza di
Pentecoste (cfr Atti 2,42), ma soprattutto per dare un nuovo "volto" alla ministerialità.
Con il passare degli anni , infatti, ci siamo accorti che se, da una parte la ministerialità ha
favorito un vero e proprio risveglio dell'esperienza carismatica,
dall'altra parte,
consapevolmente o inconsapevolmente, si è sempre più "istituzionalizzata", “specializzata",
tanto da creare dei veri e propri "compartimenti stagno" nel gruppo e nella diocesi.
Ministeri sempre più sganciati da una vera e propria visione comunitaria, spesso in
contrapposizione con la funzione pastorale, protesi all'autonomia, all'autosufficienza . Pur se
consapevoli che le cause di tale "parcellizzazione" della vita comunitaria, non è da imputare
semplicemente alle "strutture", ma certamente alla tensione di voler dominare e primeggiare
sugli altri propria dell' uomo vecchio che è in noi, abbiamo compreso che un maggior
approfondimento sul rapporto comunità e ministeri poteva in qualche modo aiutarci a verificare
le modalità di attuazione dell'esperienza carismatica nei nostri gruppi.
A partire da tale riflessione, siamo approdati ad una nuova tappa : dalla formazione da
realizzare all'interno dei ministeri, alla formazione ministeriale di tutta la comunità.
Infatti, la preghiera comunitaria carismatica, l'evangelizzazione, la profezia, la musica e
canto, l'intercessione, ecc.. non riguardano soltanto coloro che hanno ricevuto i carismi
corrispondenti, ma tutta la comunità, tutti coloro che desiderano condividere la "spiritualità"
del RnS.
L'esperienza carismatica non è esclusiva o patrimonio di alcuni, ma "a ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito " ( Cfr I Cor 12,7). Questo non vuol dire che tutti sono
chiamati a fare tutto, ma ognuno attraverso l'esempio di chi esercita "stabilmente" un carisma
nella comunità, viene incoraggiato e stimolato a prendere coscienza del carisma particolare per
l'edificazione comune (cfr I Pt 2,4).
La formazione comunitaria carismatica, in sintesi, ha lo scopo di "contagiare" quanti
ancora non si sono aperti all'azione carismatica " particolare" ( prendere coscienza del carisma
particolare) e far sì che tutta la comunità cresca nell'identità carismatica, partecipando
responsabilmente alla preghiera comunitaria, prendendo coscienza della comune vocazione
all'evangelizzazione, all'intercessione, al servizio reciproco, ecc.
Per rendere operativa questa nuova tappa del cammino regionale ministeriale, abbiamo, in
qualche modo, ripensato la vita di gruppo, mettendo in evidenza 3 condizioni fondamentali per
un autentico cammino carismatico:
1.
L'esperienza (l'incontro personale con la Signoria di Gesù),
2.
la formazione comunitaria ( il discepolato),
3.
la ministerialità (la missione)
.
Come si può notare, la formazione comunitaria è la tappa intermedia a sostegno
dell'esperienza e della ministeriale. Non può esserci ministeriale se l'esperienza non è
consolidata dalla formazione alla vita cristiana e carismatica. Non si può, infatti, passare
immediatamente dopo l'effusione alla ministerialità, ma è necessaria il DISCEPOLATO per una
crescita e approfondimento del cammino cristiano ed ecclesiale.
Ai fini della realizzazione di un'adeguata formazione carismatica, la proposta del CRS è
quella di "unificare" i ministeri presenti nel gruppo, previo discernimento da parte del
pastorale, in modo tale da costituire un equipe di formatori che si preoccupa di trasferire la
propria esperienza carismatica, ripensata , purificata e consolidata alla luce della Parola di Dio
e della formazione ricevuta a livello diocesano, regionale e nazionale, per realizzare l'iter
formativo comunitario.
Le conseguenza pratiche di questa tappa sono le seguenti:
1.
Il Pastorale è l'organismo preposto al coordinamento di tutta la vita comunitaria
favorendo, in modo particolare, l'armonizzazione tra i vari ministeri all'interno della vita
comunitaria;
2.
La ministerialità non dev'essere intesa come struttura rigida, autonoma che segue un
proprio progetto formativo, ma dev'essere a servizio dell'unico progetto formativo comunitario
individuato dal pastorale. Questo non preclude una formazione particolare per ministeri,
purchè non sia sostitutiva o quella comunitaria;
3.
Più che continuare a costituire i ministeri con durata triennale nei gruppi, il pastorale
deve prioritariamente costituire un equipe di formatori, tenendo conto dei doni e carismi
particolari , in vista di obiettivi formativi precisi. L' Equipe che non è legata a nessuna durata
triennale , ma la sua durata dipende dalla realizzazione del particolare progetto formativo.
Nella fase successiva, una volta che il pastorale individua una nuova tappa, l'equipe di
formatori sarà costituita da tutte quelle persone idonee a tale finalità. L'equipe dei formatori,
così concepita, favorisce un nuovo modo d'intendere la ministerialità, non più legata al
prestigio ma al reale carisma .
Affermare l'importanza della formazione comunitaria, vuol dire, anche, riscoprire il primato
della dimensione comunitaria fondata sulla valorizzazione delle differenza, ma soprattutto su
una qualità di vita di gruppo protesa a realizzare la Koinonia delle prime comunità cristiane (
cfr. Atti 2,42, 4,33 ecc..).
Tutti coloro che si accostano ai nostri gruppi vogliono" vedere Gesù", tra noi, all'interno del
vissuto comunitario.
Senza una vita di gruppo fondata sul messaggio evangelico, la stessa preghiera d'effusione
rimane un'esperienza che non trova l'ambiente adatto per potersi sviluppare. La comunione, la
fraternità, il primato dell'amore, contro ogni tensione alla divisione, all'autosufficienza;
l'amicizia, la reciproca accoglienza, sono le condizioni fondamentali per favorire un'adeguata
crescita umana, spirituale e carismatica. La fondazione di nuovi gruppi dipende molto dalla
presenza dei cosiddetti gruppi "madre", cioè gruppi che non solo si preoccupano di promuovere
la crescita di nuovi gruppi, ma che testimoniano con il proprio stile di vita l'identità del RnS,
testimoniando come i carismi doni di Dio per annunciare il vangelo dell'amore che salva,
libera, consola, guarisce, ricostruisce l'esistenza umana.
Il Santo Padre nella sua recente lettera apostolica, a chiusura dell'anno giubilare, "Novo
Millennio Ineunte" invita a promuovere una spiritualità della comunione (n.43).
Prima
di ogni iniziativa concreta, afferma il Papa, bisogna promuovere tale spiritualità, che consiste
contemplare l'amore Trinitario di Dio e nel sentire il fratello come "uno che mi appartiene", per
saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, ed intuire i suoi desideri, prendersi cura dei
suoi bisogni e offrigli la vera amicizia .
Nel corso dell'anno duemila, in armonia con le indicazioni nazionali, abbiamo vissuto un
tempo di forte esperienza carismatica nel corso di un WeeK end appositamente organizzato: gli
obiettivi dell'incontro erano i seguenti:


rivivere l'essenziale dell'esperienza carismatica lasciando ampio spazio alla preghiera,
alla profezia, all'esercizio dei carismi, per un incontro personale con il Signore e per
una rinnovata crescita nella docilità allo Spirito Santo;
proporre una modalità semplice di annuncio Kerigmatico che predisponga all'esperienza
personale e comunitaria con il Signore di Dio.
ARTICOLAZIONE DELLA VITA COMUNITARIA
VITA NUOVA : L' ESPERIENZA
PREGHIERA CARISMATICA COMUNITARIA
PRE-SEMINARIO: Tempo di accoglienza, annuncio Kerigmatico e di accompagnamento
spirituale, aperto ai nuovi
SEMINARIO DI VITA NUOVA
Aperto a coloro che partecipano da almeno 1 anno al gruppo
PREGHIERA D'EFFUSIONE
FORMAZIONE COMUNITARIA: DISCEPOLATO
Formazione comunitaria al discepolato e alla vita carismatica, aperta a coloro che, dopo la
preghiera d'effusione, desiderano intraprendere un cammino permanente di vita nuova nello
Spirito e di appartenenza all'identità del RNS.
Per poter rendere operativa la suddetta proposta, il consiglio pastorale in ascolto dello
Spirito, degli anziani e dei resp. dei ministeri, provvede:


ad individuare un itinerario formativo alla vita carismatica per tutto il gruppo
a costituire l'equipe dei formatori
N.B. Previo discernimento del consiglio pastorale, possono far parte dell'equipe dei formatori:



i resp. dei ministeri
i membri di consiglio pastorale
gli anziani, ecc..
che, per carisma e preparazione umana e spirituale, sono idonei ai fini della
realizzazione dell'iter formativo alla vita carismatica comunitaria.
Si ricorda che, ai fini della formazione alla vita carismatica, uno dei requisiti imprescindibili
è quello dell'acquisizione dell'identità da parte del formatore e della sua reale appartenenza al
RnS, oltre che, naturalmente, l'appartenenza alla vita ecclesiale.
PASTORALITA'
Il Consiglio pastorale ha il compito di :
pregare, obbedire alla Parola di Dio, discernere su tutto ciò che concerne la vita del gruppo,
stabilire rapporti di vera fraternità al suo interno e nel gruppo, servire umilmente la comunità,
garantire e promuovere l'identità del RnS, esercitare l'accompagnamento spirituale, dare
testimonianza di vita nuova, portare i pesi della comunità, partecipare agli incontri formativi
diocesani, regionali, nazionali, essere presente a tutte le dinamiche della vita comunitaria.
Tale servizio dev'essere svolto senza arroganza, presunzione, ambizione, superbia,
autoritarismo, spirito di contesa, arrivismo, egoismo, gelosia, ma con umiltà e nella reciproca
sottomissione.
MINISTERIALITA'
Il consiglio pastorale, previo discernimento, riconosce i carismi, individua i ministeri in risposta
ai bisogni reali del gruppo. Gli ambiti operativi e gli obiettivi che la ministerialità si prefigge di
raggiungere, per l'edificazione della comunità, devono essere individuati dal consiglio
pastorale, avvalendosi della collaborazione degli anziani e dei resp. dei ministeri.
I ministeri non possono svolgere alcuna funzione nel gruppo senza:


aver ricevuto mandato dal consiglio pastorale,
essere in perfetta sintonia con la visione e il discernimento dell'organo pastorale.
La ministerialità non può contrapporsi o sovrapporsi al consiglio pastorale, ma deve servire la
comunità con spirito di umiltà e nella reciproca collaborazione.
FORMAZIONE PASTORALE ANNO 1998
I° TAPPA: LA SANTITA'
L'itinerario pastorale del triennio 98-2000, rispetto a quello ministeriale, ha avuto un indirizzo
diverso anche se convergente e su certi aspetti complementare. Siamo infatti, partiti dal
primato battesimale della comune vocazione alla Santità per poi passare, nel 2000, ad
approfondire lo specifico della funzione pastorale.
Mentre, la dimensione comunionale, il primato della carità pastorale, dell'amore fraterno, sono
stati tra gli argomenti principali della II tappa formativa dell'anno 99.
Con la prima tappa, abbiamo cercato di capire l'opera santificatrice dello Spirito Santo nella
nostra vita, in vista della conformazione a Cristo( cfr I Tess 4,3; 2 Cor 3,18). La pastoralità,
la chiamata a prendersi cura degli altri è un carisma di governo, di presidenza, che richiedere
uno stile di vita fondato su Cristo Buon Pastore che dà la vita ( Gv 10,10) per noi.
Ricevere il dono e la responsabilità di servire i fratelli vuol dire testimoniare un vita fondata su
Gesù che è il "Santo di Dio".
Il Papa, nella lettera apostolica già citata, ha definito la Santità "misura alta" della vita
cristiana ordinaria (n 30), condizione imprescindibile per ogni autentico servizio pastorale.
Ancora una volta, non si tratta di "fare" qualcosa, ma di "essere" qualcuno, di "essere"
creature nuove. Se la pastoralità è soggetto alla logica "mondana", del potere, dell'avere e del
possedere, dell'arrivismo, dell'orgoglio spirituale, non mostra alcuna differenza con le strutture
di potere di questo mondo.
La Parola che Gesù rivolge ai suoi discepoli , preoccupati di occupare i primi posti, " fra voi non
è così" ( Mc 10,43), rinvia ad un altrimenti, ad un modo diverso di essere, di agire, di parlare,
di operare.
Nelle sessioni di approfondimento sono stati tratti alcuni aspetti per una comprensione "
giornaliera, quotidiana" della Santità, che siamo chiamati a vivere, non solo all'interno del
gruppo ma nei vari ambiti sociali, come ad esempio la famiglia. Inoltre sono stati evidenziati gli
strumenti primari per crescere nella Santità: preghiera, combattimento spirituale, Parola e
Liturgia-vita sacramentale.
FORMAZIONE PASTORALE ANNO 1998
II TAPPA : LA COMUNIONE
Con la seconda tappa del cammino formativo pastorale, abbiamo preso coscienza del primato
della Koinonia all'interno degli organi pastorali.
Possiamo dire che il maggiore ostacolo al buon svolgimento della funzione pastorale
l'incapacità di vivere la comunione sia al proprio interno che nel gruppo (cfr Ez 34, Lc 15).
è
Non sempre siamo consapevoli del fatto che scopo della pastoralità è quello di tenere unita la
comunità che c'è stata affidata, in modo tale che nessuno si "perda" allontanandosi dalla
comunione fraterna.
L'unità nel pastorale diventa possibile se l'atteggiamento di chi ne fa parte non è funzionale o
esclusivamente subordinato alle cose da fare, ai progetti da realizzare, ma è proteso ad
istaurare rapporti autentici di fraternità.
Si tratta, infatti, di amare i fratelli e le sorelle insieme ai quali siamo chiamati a condividere il
medesimo carisma "pastorale".
L'unico progetto e compito che Gesù ha affidato al primo Papa, Pietro, è stato quello
dell'amore: " Mi ami tu…pasci le mie pecorelle" ( Gv 21,15).
Se prendiamo alla lettera l'espressione: prendersi cura degli altri, comprendiamo che l'unità,
l'amore fraterno, ha un valore "curativo", terapeutico.
Le guarigioni riportate nei Vangeli, se le leggiamo in profondità ,rimandano all'atteggiamento
misericordioso di Gesù, che immette nella comunione con Dio e tra gli uomini: i peccatori, gli
emarginati, gli ammalati da tutti i punti di vista. Tale azione terapeutica, compiuta da Gesù si
realizza a partire dall'accoglienza.
Vivere la comunione all'interno della vita pastorale, significa riscoprire il primato
dell'accoglienza, della stima reciproca, della fraternità, della reciproca collaborazione,
correzione e perdono fraterno. Ma questo esige una nuova impostazione delle riunioni di
pastorale che non possono essere episodiche, una volta ogni tanto, né strettamente connesse
ai problemi più o meno gravi della comunità, cosicché, paradossalmente, se nel gruppo non ci
sono "problemi", non è necessario riunire il pastorale.
Al di là della presenza o meno di situazioni particolari di gruppo, le riunioni di pastorale sono
necessarie per crescere nella conoscenza umana, in mancanza della quale non è possibile
crescere nella conoscenza spirituale dei fratelli. Chi pretende di amare un fratello o una sorella
del pastorale, senza aver tempo per ascoltarla, conoscerla, pregare insieme, stare insieme,
dialogare e condividere, ama una sua proiezione, l'immagine che si è costruita del fratello o
della sorella, quindi non ama una persona ma un idolo.
La funzione pastorale richiede una vera è propria conversione, un cambiamento di mentalità:
dall'individualismo alla comunione, dal leaderismo alla collegialità.
Come l'anno precedente, si concludeva l'iter formativo con la giornata regionale per animatori.
FORMAZIONE PASTORALE ANNO 1999
III° TAPPA : LA FUNZIONE PASTORALE
Stabilito il primato della Santità e della comunione, tenuto conto che il 99 era dedicato alla
riscoperta del volto paterno di Dio, abbiamo cercato di approfondire la vocazione alla paternità
spirituale propria del pastorale.
Il ruolo pastorale non consiste soltanto nell'organizzare la vita comunitaria, da un punto di
vista tecnico, ma di costruire relazioni fraterne con ogni membro del gruppo. La peculiarità del
pastore, secondo il cap. 10 del Vangelo di Giovanni, è quella di conoscere le "pecore" ad una
ad una, di amarle sino a dare la vita per loro.
Senza conoscenza diretta delle persone affidate, senza accompagnamento spirituale non è
possibile esercitare alcuna pastoralità.
Definire il pastorale “cuore del gruppo" significa affermare che se il "pastorale" non vive con
senso di responsabilità il mandato ricevuto, influenza negativamente la vita di tutto il gruppo,
disgregandolo.
Il pastorale, inoltre, è chiamato ad amare e accogliere i fratelli. Questo è il primo e
fondamentale servizio. La qualità del pastore non può essere prioritariamente quella di essere
intraprendente, capace di iniziative, ma di avere un cuore che sa amare ed accogliere, un
cuore che è attento agli altri, che mette al primo posto la dignità delle persone, sopra
qualunque altro interesse personale.
La
funzione del pastorale può essere paragonata al movimento del cuore umano, di
contrazione e di dilatazione.
Il movimento di contrazione rimanda alla vita interna al pastorale, quella di dilatazione alla vita
di relazione con i fratelli. Il riunirsi insieme dei membri del pastorale è finalizzata al
rafforzamento dei vincoli fraterni in vista di una maggiore accoglienza di tutti i membri del
gruppo.
Dalla relazione conclusiva triennio 1998-2000
Fly UP