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Il secondo annuncio, per il risveglio della Fede nell`età adulta

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Il secondo annuncio, per il risveglio della Fede nell`età adulta
1º Seminario teologico-pastorale
“IL SECONDO ANNUNCIO,
PER IL RISVEGLIO DELLA FEDE
NELL’ETÀ ADULTA”
Isola del Liri, 10 - 11 - 12 - Marzo 2014
CHIESA DI
SORA-AQUINO-PONTECORVO
Carissimi Sacerdoti, Diaconi, Consacrati, Operatori pastorali
e Fedeli Laici,
il percorso pastorale dell’anno è nella fase decisiva del suo svolgimento concreto e capillare. In questo periodo ogni Zona pastorale sta
attuando una verifica intermedia dell’attuazione del Progetto, un evento
più che salutare sia per l’edificazione della comunione e convergenza
pastorale, sia per il potenziamento dell’azione evangelizzatrice delle
Comunità parrocchiali.
Nel testo degli Orientamenti pastorali dell’anno 2013-2014 abbiamo fissato, tra i diversi altri, quello di raggiungere gli adulti con un
rinnovato slancio nell’annujncio della fede. Molti di loro restano sulla
soglia della comunità cristiana, riconoscendosi soltanto nella “comunità
dei battezzati”, ma molto raramente partecipi della “comunità eucaristica” segnata da una vita cristiana più regolare e convinta.
Abbiamo scritto nel testo del Progetto diocesano: “La Parola di
Dio è Gesù Cristo, Cristo crocifisso e risorto, amore rivelato e donato
dal Padre, propo-sta e risposta alle domande di senso, di vita dell’uomo di oggi. A Lui l’uomo risponde con la fede, adesione di amore
ad una Persona viva e fonte di rigenerazione, di una «vita nuova
nello Spirito» resa possibile dalla grazia donata dai sacramenti. La
sequenza logica della vita cristiana è: fede (suscitata dall’ascolto) –
sacramento (celebrazione della fede) – vita nuova (sequela di Cristo).
E’ necessario che ogni comunità, ogni parrocchia, ogni Consiglio pastorale si domandi: la nostra Comunità sta annunciando, nelle varie
forme e attraverso le varie sue attività, Gesù crocifisso e risorto,
quindi il Vangelo, o sta facendo solo devozioni e celebrazioni sterili,
abitudinarie, stantie?” (“La tua fede ti ha salvato”, pag. 15).
Al fine di approfondire e rilanciare l’obiettivo della conversione
pastorale e missionaria verso gli Adulti, invito tutti a partecipare al
I° Seminario teologico-pastorale
“IL SECONDO ANNUNCIO, PER IL RISVEGLIO
DELLA FEDE NELL’ETÀ ADULTA”
Il seminario si svolgerà nella chiesa di s. Carlo, Isola del Liri, dal
10 al 12 marzo 2014, dalle ore 18.00 alle ore 20.00. Sarà guidato da
fratel Enzo Biemmi, una delle figure più rilevanti tra gli esperti a livello europeo.
Sono particolarmente invitati i Consigli pastorali diocesano, Zonali
e Parrocchiali, le Aggregazioni Laicali, gli Operatori pastorali e i Fedeli
Laici più partecipi e sensibili al cammino ecclesiale. Tutti sapremo cogliere la preziosità formativa di questo evento.
Vi benedico con tutto il cuore, invocando su ciascuna Comunità
una speciale carezza spirituale di Maria, la Vergine Bruna di Canneto.
Sora, 22 febbraio 2014
X Gerardo Antonazzo
PROLOGO
LA LUCE DELLA FEDE
PER ILLUMINARE IL NOSTRO FUTURO
29 ottobre 2013 - Anno della Fede
S. ECC. MONS.
RINO FISICHELLA
Presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
Stiamo conoscendo e apprezzando sempre di più Papa Francesco.
Il suo stile semplice, immediato, naturale con il quale va incontro a tutti
ha suscitato la simpatia istantanea, l’affetto e il calore universali. La sua
predicazione ha consentito anche di verificare che ama riassumere il
suo insegnamento in tre punti, spesso tre verbi che vengono ripresi e
ripetuti quasi a voler fissare nella mente di chi ascolta il concetto che
intende esprimere. Lumen fidei non viene meno a questo schema. Per
alcuni versi si potrebbe riassumere il contenuto dell’enciclica in questi
tre verbi: conoscere, accogliere e seguire Gesù, comportamenti che
sono alla base della fede. Prima di addentrarsi nel suo insegnamento,
comunque, non sarà inutile ricordare cos’è un’enciclica, e quale valore
possiede per la Chiesa.
Il termine deriva dal greco che con “ένκλύκλιοι έπιστολάι”
era solito designare le lettere circolari che erano indirizzate ad alcune
Chiese nelle regioni del Ponto, della Galazia, della Cappadocia e in genere dell’Asia. Espressiva in proposito è titolazione: “A tutte le comunità
della Chiesa cattolica” che si trova in calce al Martirio di Policarpo,
uno scritto dell’anno 150 circa. Fu proprio la destinazione universale
di questi scritti che, a partire dal II e III secolo, furono chiamati “lettere
cattoliche”, mentre già nel IV secolo è facile rinvenire l’espressione “enciclica” nelle lettere che Atanasio da Antiochia e Alessandro da Alessandria indirizzavano a tutte le Chiese sui temi allora dibattuti della divinità
e umanità di Gesù Cristo. Erano scritte dall’imperatore, da papa Leone
Magno e da numerosi vescovi. Famosa rimane la “Lettera enciclica”
greco-latina scritta da papa Martino I nel 649, che insieme ad altre lettere permane per i primi otto secoli come la forma più comune di comunicazione, pur senza portare sempre in maniera esplicita il termine
di enciclica. Questo, di fatto, venne ripreso nel 1740 da papa Benedetto
XIV il quale aveva intenzione di ripristinare l’uso antico dei Papi; esso
venne ripreso in maniera ormai usuale da papa Gregorio XVI nel 1831.
Il termine si impone successivamente come uso comune così che è
possibile rinvenire 33 encicliche di Pio IX, 48 di Leone XIII, 10 di Pio X,
12 di Benedetto XV, 30 di Pio XI, 41 di Pio XII, 8 di Giovanni XXIII, 14
di Giovanni Paolo II e 3 di Benedetto XVI. L’intento di un’enciclica è
quello di trattare contenuti che toccano direttamente l’autorità apostolica del Papa come successore di Pietro. Con l’enciclica il Papa intende
trattare questioni che toccano i contenuti della fede e della morale; per
questo sono indirizzate a tutta la Chiesa sparsa nel mondo. In esse, il
Papa si indirizza anzitutto ai Vescovi in quanto “Pastore e maestro della
Chiesa universale, con l’intento di confermare e rafforzare la fede del
popolo di Dio, a volte dovendo anche correggere alcuni errori che sono
presenti in mezzo al popolo di Dio. Scopo di un’enciclica, comunque,
permane come quello di educare il popolo cristiano alla maturità della
fede dinanzi alle diverse sfide che le mutate condizioni storiche provocano, così da permanere sempre nell’unità della fede confermata dal
servizio apostolico reso visibile dall’insegnamento del successore di Pietro. L’enciclica esprime il “magistero ordinario” del Papa; ciò significa
che da parte di tutti i fedeli è richiesto l’assenso. Un’enciclica, pertanto,
si qualifica come un insegnamento costante da parte del Papa il quale
dinnanzi ad alcune esigenze della Chiesa risponde con l’analisi delle
problematiche e la risposta che proviene dalla Parola di Dio nella sua
forma scritta e nella sua permanente tradizione viva.
L’occasione di questa enciclica è data dall’Anno della fede che Benedetto XVI aveva voluto e che Papa Francesco si è trovato a celebrare.
Confesso che ripetutamente si era chiesto a Benedetto XVI di scrivere
un’enciclica sulla fede che venisse in qualche modo a concludere la
triade che egli aveva iniziato con Deus caritas est sull’amore, e Spe salvi
sulla speranza. Il Papa non era convinto di dover sottoporsi a questa
ulteriore fatica. L’insistenza, tuttavia, ebbe la meglio e così il Papa decise
che avrebbe scritto l’enciclica per offrirla appunto a conclusione di questo Anno della Fede. La storia, come si sa, ha voluto diversamente. Oggi
abbiamo questo bel testo che Papa Francesco offre alla Chiesa per riflettere sul grande dono della fede, che è luce per la vita di ogni persona. Le prime parole dell’enciclica riportano alla fede come luce per
dare senso all’esistenza personale: “Chi crede, vede” (Lf 1). L’affermazione tanto perentoria quanto simbolica immette immediatamente nel
cuore della tematica. Si è rimandati al vangelo di Giovanni dove Gesù,
tra le tante espressioni per rivelare il suo mistero, utilizza l’immagine
della luce: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà
nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Si è dinanzi, come
si vede, a un chiaro testo di autorivelazione da parte di Gesù. Egli è la
“luce del mondo”; la sua opera si estende, quindi, oltre i confini di
Israele per raggiungere ogni regione e ogni spazio in cui vive l’uomo.
Il richiamo alla luce, che con molta probabilità Gesù media a partire dai
lampadari posti sulla cima delle mura del tempio che illuminavano tutta
Gerusalemme, ha un intento universale. Non più solo la città santa viene
illuminata, ma in Gesù Cristo ogni persona che in lui crede e a lui si abbandona riceve luce. Gesù, quindi, è più di una semplice luce notturna;
egli è ormai “la luce venuta nel mondo” (Gv 3,12), e chiunque crede in
lui non può rimanere nelle tenebre (Gv 12,46). Da sempre egli era luce
degli uomini (Gv 1,4), ma con il mistero dell’incarnazione Gesù chiama
tutti a sé per diventare “figli della luce” (Gv 12,36), e camminare in essa
prima che venga il sopraggiungere delle tenebre. Come si nota, il richiamo alla luce, indica anzitutto il valore universale che possiede la
persona di Gesù. Egli non è relegato solo a un ambito della terra o della
storia; chi vuole trovare la luce sulla propria vita ha bisogno di accostarsi
e conoscere Gesù. In secondo luogo, la luce indica la condizione personale. L’enigmaticità che caratterizza la vita di ogni persona senza permetterle di guardare con certezza alla propria esistenza, può dissolversi
se si pone nell’orizzonte di Gesù Cristo, credendo in lui e nella sua parola. Questo tema della luce, pertanto, descrive lo scenario significativo
su cui Papa Francesco costruisce la sua riflessione. La fede in Gesù è la
luce che permette a ogni persona di ritrovare se stessa e di guardare al
futuro con la serenità e pace necessaria per vivere felice. Contrariamente, “Quando l’uomo pensa che allontanandosi da Dio troverà se
stesso, la sua esistenza fallisce” (Lf 19).
È bene dire da subito, a rischio di equivoci, che questa fede non
rende chi crede superiore agli altri, ma lo immette piuttosto in un sentiero di responsabilità e partecipazione, frutto del dono che ha ricevuto:
“la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta
l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sa-
pendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede.
Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende
possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (Lf 34).
Sorge, a questo punto, la prima considerazione sull’origine stessa
della fede. “La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama
e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore
riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro” (Lf 4). Si potrebbe raccogliere intorno a questa espressione l’intero contenuto della
prima enciclica di Papa Francesco. Il tema dell’incontro è un tema caro
al Papa. Già parlando lo scorso 18 maggio, nella viglia di Pentecoste, a
tutti i Movimenti e alle Associazioni, disse in modo sintomatico: “Incontro. Questa parola per me è molto importante: l’incontro con gli
altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo
fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui
quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto… Ma noi
dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede
una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove
troviamo fratelli...”. Come si nota, la fede gioca la sua parte fondamentale nell’incontro. Due persone che si guardano e si ascoltano. Prima
di ogni parola, l’incontro è segnato dal fatto di esserci, di essere presente, di poter usare le prime forme della conoscenza, quelle che
stanno alla base dell’esperienza immediata con cui si percepisce che si
è amati. Se si vuole, lo ricorda in maniera plastica il Vaticano II: “Con
questa Rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli
uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli
alla comunione con sé” (DV 2). La fede, in primo luogo, è Dio che mi
attende. Un Dio che passa sulla strada e posa i suoi occhi su di me. Mi
chiama a partecipare della sua stessa vita. In questo senso, è possibile
verificare il primato della grazia che tocca il cuore e lo trasforma per
poter accogliere la parola di Dio per ciò che essa è realmente: “la parola
di Dio, l’avete accolta non come parola di uomini, ma come è veramente, quale parola di Dio, che opera efficacemente in voi che credete”
(1 Ts 2,13).
Papa Francesco ha usato una bella espressione per indicare questo
momento primario dell’azione della grazia, quando ha detto: “Questa
esperienza nella fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare
Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci
aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo, abbiamo una parola che spiega
bene questo: “Il Signore sempre ci primerea”, è primo, ci sta aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta
aspettando”. Per questa prospettiva, che indica il primato della grazia
nella vita di fede, è bene riprendere il testo degli Atti degli Apostoli che
permette di entrare nel merito nell’azione dello Spirito Santo nel nostro
venire alla fede. Un racconto degli Atti degli Apostoli è sintomatico per
accedere al tema del primato della grazia nell’atto di fede. Come è suo
solito, Luca racconta con dovizia di particolari alcuni momenti dei viaggi
dell’apostolo Paolo. Questi, dopo essersi separato da Barnaba, cominciò
ad attraversare diverse regioni con l’intento di “ritornare a far visita ai
fratelli in tutte le città” nelle quali aveva già predicato il vangelo (At
15,36). Dopo aver attraversato la Siria e la Cilicia, a Listria incontrò Timoteo, uno dei suoi discepoli più cari e fedeli (cfr 1 Cor 16,10; Fil 2,19;
Tm 3,10) che lascerà dopo di lui probabilmente nella Chiesa di Efeso
(1 Tm 1,3). Proseguendo il viaggio l’apostolo raggiunse la Frigia e la
Galazia per scendere poi a Triade dove, in una visione notturna, gli
viene detto di passare per la Macedonia. Obbediente alla visione, Paolo
salpa verso Samotracia per raggiungere il giorno dopo Neapoli e da qui
Filippi “colonia romana e primo distretto della Macedonia” (16,11-12).
Il sabato successivo, insieme a Timoteo, l’apostolo inizia la sua predicazione alle donne della città raccolte “fuori della porta, lungo il fiume”
dove si teneva la preghiera (16,13). Presente a questa predicazione vi
era pure una donna, Lidia, “commerciante di porpora e della città di
Tiatira” (16,14) che ascoltando l’apostolo crede alla sua parola, si converte e si fa battezzare con tutta la sua famiglia (16,15). Il racconto della
conversione non si differenzia da molti altri; qui, comunque, un particolare attira l’attenzione e merita di essere sottolineato. L’evangelista
specifica che: “Il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole dette da
Paolo” (At 16,14). Per Paolo, la fede consiste anzitutto nell’aderire alla
predicazione degli apostoli. L’aggiunta che qui viene fatta però è determinante. Si dice che per aderire a quella parola e accettarla in sé è
necessario che il Signore apra il cuore e la mente per comprendere che
è veramente parola di Dio. Non c’è dubbio che l’espressione in questione voglia far riferimento all’azione dello Spirito nell’intimo degli uomini per condurli alla fede. Solo quando si è illuminati dallo Spirito,
infatti, è possibile credere.
Un secondo aspetto originale di Lumen fidei è che la fede viene
dall’amore. Il contenuto del nostro credere, in effetti, è l’amore trinitario di Dio che si rivela in Gesù Cristo, colui che è all’origine della fede
e la porta a compimento (cfr Eb 12,2). Di fatto, la struttura di queste
pagine e i suoi contenuti sono raccolti intorno all’amore che genera la
fede e alla fede che sostiene l’amore. Come c’è la “luce della fede”, così
siamo posti dinanzi alla “luce dell’amore” (Lf 34). Per entrare nella co-
noscenza coerente dei contenuti della fede, quindi, è necessario armarsi
–per dirla con Pascal- delle “ragioni del cuore”. Queste permettono di
accedere alla complessa tematica teologica della conoscenza per fede
che in queste pagine viene riletta alla luce della conoscenza per amore.
Dice Papa Francesco: “Chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo
nuovo, in unione con la persona amata… l’amore stesso è una conoscenza, porta con sé una logica nuova. Si tratta di un modo relazionale
di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella
visione dell’altro e visione comune su tutte le cose. Guglielmo di Saint
Thierry, nel Medioevo, segue questa tradizione quando commenta un
versetto del Cantico dei Cantici in cui l’amato dice all’amata: I tuoi occhi
sono occhi di colomba (cfr Ct 1,15). Questi due occhi, spiega Guglielmo, sono la ragione credente e l’amore, che diventano un solo occhio per giungere a contemplare Dio, quando l’intelletto si fa «intelletto
di un amore illuminato»” (Lf 28). E ancora: “La conoscenza della fede
non ci invita a guardare una verità puramente interiore. La verità che la
fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo, sulla
contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza” (Lf
30). È l’amore, quindi, il fondamento che consente ai credenti di costruire la loro vita sulla roccia e non sull’instabilità della sabbia. Crede
chi è amato! E l’amore apre a una conoscenza di una verità prima insperata e inattesa. Il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio offre un
orizzonte di senso completo a questa prospettiva, perché la condivisione che Gesù Cristo realizza della nostra natura umana, permette che
l’amore di Dio si riveli in tutta la sua novità e originalità. Insomma, credere vuol dire amare e viceversa; ma amare e credere comportano l’essere trasformati, il cambiare vita, a tal punto che “Nella fede, Cristo non
è soltanto Colui in cui crediamo, la manifestazione massima dell’amore
di Dio, ma anche Colui al quale ci uniamo per poter credere. La fede,
non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i
suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere” (Lf 18).
Il mistero dell’incarnazione di Dio inserisce nella storia degli uomini qualcosa di radicalmente nuovo e talmente grande da trasformarne
il percorso. L’uomo è andato sempre alla ricerca di Dio per dare voce
al desiderio di trascendenza che il Creatore ha iscritto nel più profondo
del suo cuore. Le religioni sono l’espressione visibile di questo cammino
che ha trovato forma nei diversi linguaggi dell’umanità. La nascita di
Gesù di Nazareth, tuttavia, imprime nella storia la novità della rivelazione divina. La Rivelazione di Dio in Gesù Cristo può essere descritta
come la storia del suo amore. Un amore che si rende visibile per coinvolgere l’uomo e offrirgli la gioia desiderata e la felicità ricercata. La liturgia ci aiuta a comprendere meglio la grandezza di questo mistero.
L’antico Prefazio del Natale, mentre prepara i credenti a cantare la lode
a Dio per le meraviglie del suo amore, orienta pure a vedere la logica
che vi è sottesa: “Perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo
siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. Ciò che tutto muove nel
mistero dell’incarnazione di Dio è l’amore che rapisce per rinviare a
qualcosa di straordinariamente più grande. Natale è il mistero d’amore
che giunge fino al Golgota, dove diventa visibile che quando Dio ama
dà tutto se stesso, senza nulla trattenere per sé. Pasqua è amore che
restituisce la vera vita, dove la gloria rifulge in tutto il suo splendore.
Pentecoste è l’Amore stesso che viene donato per sostenere il cammino
della Chiesa nascente, voluta da Gesù stesso per essere testimone nel
mondo della sua misericordia. Nella storia della salvezza la fede non si
allontana mai dall’amore. L’amore, genera la fede e la sostiene con la
forza della speranza. È questo stesso significato che emerge dalle parole
dell’apostolo Pietro: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza
vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime”
(1 Pt 1,8-9). I destinatari della Lettera sono identificati come coloro che
amano il Signore Gesù pur senza averlo visto. La nostra condizione di
credenti, sotto questo aspetto, è identica a quella della seconda generazione di cristiani. Noi siamo coloro che pur non avendo visto Gesù
tuttavia lo amiamo e crediamo in lui. Gesù Cristo è il contenuto della
nostra fede e a lui ci accostiamo amandolo, e per questo crediamo alla
sua parola. Da qui scaturisce la forza della speranza che suscita la gioia
del credere mentre attendiamo la pienezza della nostra salvezza.
Un ulteriore tema che viene affrontato riguarda la famosa triade
del “credere Dio”, “credere che Dio”, “credere in Dio”. Papa Francesco
scrive: “Insieme al “credere che” è vero ciò che Gesù dice, Giovanni
usa anche le locuzioni “credere a” Gesù e “credere in” Gesù. “Crediamo
a” Gesù quando accettiamo la sua Parola, la sua testimonianza, perché
egli è veritiero. “Crediamo in” Gesù, quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita e ci affidiamo a Lui, aderendo a Lui nell’amore
e seguendolo lungo la strada” (Lf 18). La sintesi offerta da questo testo
riporta a una tematica molto importante in teologia, perché al di là delle
precisazioni grammaticali lascia intravvedere la sostanza della fede. Riflettendo su queste stesse espressioni del vangelo di Giovanni, nel
Sermo de Symbolo, attribuito a s. Agostino, si legge: “Una cosa è credere
a lui, altro credere lui, altro ancora credere in lui. Credere a lui significa
credere che è vero tutto ciò che egli ha detto; credere lui equivale a
credere che lui stesso è Dio; credere in lui significa amarlo”. Come si
nota, dietro una semplice espressione si racchiude una ricchezza esistenziale che è di sostegno per l’intelligenza della fede. Il credente, in-
fatti, dà il suo assenso non solo come un atto di fiducia per quanto viene
rivelato e per il fatto che è Dio stesso a rivelarlo. Con l’uso di “credere
in” si delinea anche un percorso fecondo per la fede. Essa consiste in
una dinamica crescita di conoscenza e di impegno per sfociare in una
comunione di vita con il Signore. Una immedesimazione in lui perché
la fede è, anzitutto, l’incontro con una persona viva che viene incontro
amandomi. Credere in Gesù, pertanto, esprime al meglio la fede come
un incontro personale. Qui non si è dinanzi a una teoria né ad un mito
e neppure a una comunicazione informativa su un soggetto vissuto in
altre epoche. No, credere in lui vuol dire averlo incontrato di persona,
essere stati conquistati dal suo amore, voler vivere in comunione con
lui. Ecco perché, credere abilita anche a dare senso alla sofferenza personale e quella del mondo (cfr Lf 56-57), perché imprime nel credente
la forza della speranza che niente e nessuno possono togliere. La speranza che non è la “sorella minore” (Peguy) nel rapporto tra fede e
amore, ma quella capace di trascinare l’una e l’altra verso orizzonti e
mete spesso insperate. Si comprende, quindi, il grido ribadito più volte
in questi mesi da Papa Francesco e ben espresso nell’enciclica: “Non
facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con
soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino” (Lf 57).
Questa dimensione inserisce meglio nella responsabilità della fede
per costruire una “città affidabile” (Lf 50), che costituisce la quarta parte
dell’enciclica. “La fede –afferma Papa Francesco- non allontana dal
mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei. Senza un amore affidabile nulla potrebbe tenere veramente
uniti gli uomini. L’unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata
sull’utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla
bontà di vivere insieme... La fede fa comprendere l’architettura dei rap-
porti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore, e così illumina l’arte dell’edificazione, diventando un servizio al bene comune. Sì, la fede è un bene per tutti, è
un bene comune, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa,
né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta
a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro
di speranza” (Lf 51). Costruire una società dove la famiglia permane
come il cardine della società, dove i giovani hanno lo spazio per poter
guardare al futuro, dove l’uguaglianza tra le persone è cardine per il riconoscimento della dignità della persona e dove il rispetto per il creato
è un imperativo di responsabilità per lasciare alle generazioni future il
patrimonio del creato che abbiamo ricevuto.
Non posso tralasciare un tema che costituisce il terzo capitolo di
Lumen fidei: il rapporto tra fede e ragione. Papa Francesco ne parla in
maniera semplice mostrando le problematiche che sono sottese a questo tema che ha tagliato trasversalmente la storia del cristianesimo e
che soprattutto ai nostri giorni merita di essere affrontato per la grande
rilevanza che la scienza possiede nella cultura e nella formazione delle
persone. Accogliendo in sé il mistero di Dio che si fa uomo per amore,
il credente riesce a porre continuamente domande con l’intendo di
comprendere sempre di più ciò che già crede. Un cammino che segna
l’intera esistenza personale e della storia della Chiesa, perché è un desiderio di conoscere per amare sempre di più; così come per l’inverso,
chi ama desidera conoscere meglio la persona amata. Nel suo Proslogion, s. Anselmo ha delle pagine di estrema profondità nel riuscire a
coniugare insieme il primato della fede e il suo desiderio di comprendere sempre di più con la ragione ciò che già crede e ama: “Insegnami
a cercarti, e mostrati a chi ti cerca; perché non posso cercarti se tu non
mi insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderando,
che ti desideri cercando, che ti trovi amando, che ti ami ritrovandoti…
Io infatti non domando di intendere perché possa credere, ma credo
perché possa intendere. Infatti anche questo credo, che se non avrò
creduto, non intenderò” (Proslogion, 1).
Un’enciclica che si poggia sull’orizzonte della luce, consente di verificare un ultimo aspetto della fede, la responsabilità e la gioia di doverla trasmettere. “Chi crede non è mai solo” (Lf 39), appartiene, infatti,
a una comunità di persone con cui si relaziona nell’amore e nella comunione; per questo è anche “impossibile credere da soli” (Lf 39). Credere permette di pronunciare il “noi” della comunità cristiana che forma
un solo corpo perché possiede un solo battesimo, una sola fede e una
sola eucaristia. Per alcuni versi, noi siamo chiamati ad essere l’archivio
vivente della fede in Gesù di duemila anni. “Poiché la fede nasce da un
incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo,
essa si deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù. Come è possibile
questo? Come essere sicuri di attingere al “vero Gesù”, attraverso i secoli?... Non posso vedere da me stesso quello che è accaduto in
un’epoca così distante da me. Non è questo, tuttavia, l’unico modo in
cui l’uomo conosce. La persona vive sempre in relazione. Viene da altri,
appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri. E
anche la propria conoscenza, la stessa coscienza di sé, è di tipo relazionale, ed è legata ad altri che ci hanno preceduto… La conoscenza di
noi stessi è possibile solo quando partecipiamo a una memoria più
grande. Avviene così anche nella fede, che porta a pienezza il modo
umano di comprendere. Il passato della fede, quell’atto di amore di
Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria
di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa. La Chiesa è una Madre che ci insegna a parlare il linguaggio della fede” (Lf 38).
Appartenere alla Chiesa ed essere con lei partecipe di un ininterrotto processo di trasmissione della fede, abilita ogni battezzato alla
missione di evangelizzare. Non può essere delega alcuna né dimenticanza o indifferenza. Credere impegna a partecipare alla missione della
Chiesa nel portare Gesù Cristo ad ogni persona in ogni luogo. La gioia
della fede diventa quindi annuncio che si fa carico di una conoscenza
sempre più adeguata dei contenuti della fede. Un percorso che nessun
battezzato può tralasciare, ma che diventa un impegno permanente
con cui vivere la fede. Papa Francesco, come si nota, ha voluto con questa sua enciclica richiamare tutti noi a prendere in seria considerazione
il nostro battesimo come momento di una vita nuova che merita di essere impresso nella nostra esistenza perché inizio della vita di Dio in
noi. La fede, infatti, richiede il vedere, l’ascoltare, il toccare… insomma, tutta la persona è coinvolta in questa avventura. Nulla è lasciato
al caso. Per questo ognuno di noi singolarmente e l’intera comunità cristiana è chiamata a rinnovare la propria adesione a Cristo in questo
Anno della fede che chiede di essere continuato come vita quotidiana.
PRIMA PARTE
INTRODUZIONE
S. ECC. MONS.
GERARDO ANTONAZZO
Vescovo di Sora - Aquino - Pontecorvo
È con particolare partecipazione d’animo che saluto questa assemblea diocesana, volto concreto e visibile di una Chiesa che cammina
nella comunione, e nella condivisione del tempo e dello spazio, abitati
entrambi dalla presenza del Signore Risorto.
Saluto con affetto di padre tutti voi laici, impegnati nella testimonianza personale del vangelo con la coerenza della vostra vita cristiana,
e nell’opera evangelizzatrice della nostra Chiesa.
Abbraccio con amore fraterno tutti i sacerdoti, religiose e religiosi,
ringraziandoli della fatica ordinaria del loro ministero e del loro apostolato, una fatica silenziosa, discreta, a volte anche sofferta perché
generosa.
La preghiera appena celebrata orienta a Dio, le invocazioni del nostro animo, dilata la docilità all’ascolto della Parola, sollecita la prontezza
nel cogliere le intuizioni dello Spirito Santo che piega le durezze delle
nostre imperdonabili resistenze: “Piega ciò che è rigido, scalda ciò che
è gelido, drizza ciò che è sviato” (Sequenza allo Spirito Santo).
Le parole del “secondo annuncio”
Nella costituzione conciliare “Dei Verbum” la Chiesa descrive la rivelazione biblica in questi termini: “Con questa Rivelazione Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini
come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr.
Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” 1.
A tinte molto chiare e nitide, la Scrittura sacra presenta lo stile di
Dio come educatore del suo popolo, come accompagnatore del cammino della sua gente.
È un ottimo catecheta anche del “secondo annuncio”. Lo verifichiamo dalla rilettura di un brano, tra i diversi che potremmo considerare, che espone l’iniziativa di Dio rivolta alla rieducazione della fede
di Israele, in forma di “secondo annuncio”.
Dio è un indomabile innamorato. Ha già dichiarato il suo amore
fedele ed eterno per Israele. Il suo è sempre uno sguardo nuziale.
Israele ha detto a Dio il suo primo “sì”, quello dell’Alleanza al Sinai. Ma
nel corso dei secoli, Israele aveva contaminato la purezza della fede javista con l’introduzione di culti idolatrici. Il popolo continuava a professare con le labbra la sua fede in Dio, ma di fatto tentato di coltivare
la religione degli idoli pagani.
Dio prende “inventa” un secondo annuncio per riguadagnare il
popolo dalla sua parte, con il linguaggio dell’amicizia e con i legami
dell’amore che guarisce le ferite delle infedeltà e delle trasgressioni.
——————————————————————————————————
1
Dei Verbum, 2
In questo annuncio, Dio ripropone un amore di predilezione, ci
passa accanto e si innamora sempre nuovamente della nostra storia, in
particolare delle nostre debolezze e fragilità.
Ecco le parole del “secondo annuncio”2:
“Passai vicino a te e ti vidi.
Ecco: la tua età era l’età dell’amore.
Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità.
Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te - oracolo del
Signore Dio - e divenisti mia.
Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio.
Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo
di bisso e ti ricoprii di stoffa preziosa.
Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una
collana al collo;
misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una
splendida corona sul tuo capo.
Così fosti adorna d’oro e d’argento.
Le tue vesti erano di bisso, di stoffa preziosa e ricami.
Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo.
Divenisti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina.
La tua fama si diffuse fra le genti.
La tua bellezza era perfetta.
Ti avevo reso uno splendore. Oracolo del Signore Dio”.
——————————————————————————————————
2
Ez 16,8-14
Il secondo “primo annuncio” deve “trafiggere il cuore” negli snodi
decisivi dell’esperienza umana, per dire a tutti la bellezza dell’amore fedele di Dio che accompagna, sostiene e non ti lascia mai. È la riproposizione del kerygma dell’amore che si illumina della Pasqua di Cristo e
diviene condizione della riscoperta della fede battesimale nell’età
adulta.
Secondo annuncio: uno sguardo d’amore
L’adulto al quale noi oggi ci rivolgiamo spesso porta con sé i segni
di non pochi bisogni, soprattutto quello di sentirsi amato gratuitamente.
A questo adulto dobbiamo porgere un annuncio di speranza per la sua
vita, la speranza che si fonda sulla certezza dell’amore fedele di Dio per
lui: Dio ti ama e, nonostante le tue debolezze, anzi proprio nelle tue
debolezze, manifesta la potenza smisurata della sua misericordia e della
sua incontenibile tenerezza.
Non siamo interessati alle cose del mondo, ma siamo interessati
alla sua salvezza, al suo destino. Ci sta a cuore la sua speranza, perché
non naufraghi nel dramma del non senso, dell’anticreazione, dell’antigenesi.
Dio ci insegna a guardare il mondo degli adulti con simpatia, anzi
con passione, la stessa che Dio dimostra dall’alto del segno fragile e
sconvolgente del Crocifisso: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da
dare il suo Figlio unigenito”3.
In questo amore crocifisso, Dio entra nel mondo non da padrone,
ma da servo, e manifesta la sua regalità nel “fasciare le piaghe dei cuori
——————————————————————————————————
3
Gv 3, 16
spezzati” (Is 61,1). E si fa compagno di strada, per entrare in alleanza
con l’uomo di ogni tempo, e offrirgli “l’olio della consolazione e il vino
della speranza”4.
Compagni di viaggio
Educare non è istruire, ma è posare lo sguardo con tenerezza, e
condividere con gratuità la vita dell’altro, quale compagno di viaggio.
Raccoglieremo l’invocazione del nostro adulto che, anche quando sembra non chiederci nulla e non rispondere ad alcuna sollecitazione, resta
terreno sul quale possiamo spargere il seme della Parola, con fiducia.
Per farsi compagno di strada è necessaria una nostra conversione
pastorale e missionaria, una conversione che ci porta lontano dalle nostre sagrestie, senza per questo abbandonarle, per diffondere il piacevole
profumo dell’incenso della vicinanza e della prossimità negli ambienti
di vita e nei momenti di vita decisivi perché particolarmente significativi:
nascita, sofferenza, gioia. Dolore, prove, speranze, tragedie.
La strategia del secondo annuncio mostra la bellezza della fede,
contro la falsa immagine di un cristianesimo fatto passare come nemico
dell’uomo, della sua libertà e della sua realizzazione felice.
Il secondo annuncio suggerire agli adulti quanto il vangelo possa
contaminare felicemente la loro esistenza.
Per fare questo è necessario, anzitutto, mettersi in ascolto delle situazioni di vita e delle domande di senso, soprattutto nelle stagioni
tristi dello smarrimento, della confusione, della solitudine.
——————————————————————————————————
4
Prefazio Comune VIII
La missione è il primo attributo della Chiesa, la Chiesa è missionaria; è l’urgenza da recuperare per le nostre parrocchie. Dove non si vive
la logica, il metodo e lo stile della missione, la Chiesa è destinata a esaurire il suo compito, svilisce la sua opera, snatura la sua identità, sfigura
il suo vero volto. È irriconoscibile, perché si “lascia morire” dentro, rispetto alla gioia del Vangelo. Il primo beneficio della missione lo vive
chi annuncia, perché è provocato per primo nel dare ragione della sua
speranza, ravvivandola interiormente.
L’Evangelii gaudium bolla l’«accidia pastorale» che impedisce di
andare verso le periferie esistenziali del mondo; la «pastorale della
tomba», che a poco a poco trasforma i cristiani in «mummie da museo»;
il senso di sconfitta, che rende pessimisti scontenti e disincantati; l’immagine di una «Chiesa malata per la chiusura», nella quale non si può
entrare e dalla quale il Signore che è dentro non può uscire; l’«introversione ecclesiale», ferma in un groviglio di schemi pastorali ripetitivi
e sclerotizzati che tolgono la gioia e il dinamismo del Vangelo.
Si tratta di passare da una pastorale dedita ai molteplici servizi religiosi (sacramenti, funerali, benedizioni, catechismo dei bambini...)
svuotata di annuncio, ad una pastorale di evangelizzazione finalizzata
alla nascita (e rinascita) della fede specialmente negli adulti.
Buon lavoro a tutti.
LA CONVERSIONE MISSIONARIA
E IL SECONDO ANNUNCIO
10 marzo 2014
PRIMA RELAZIONE
FRATEL
ENZO BIEMMI
Presidente dell’Equipe europea dei catecheti
1. Un passaggio chiave della pastorale: dalla conservazione
alla missione
Per comprendere la crisi e le sfide della pastorale e della catechesi
italiana è importante a mio parere avere una chiave di lettura semplice,
che permetta di capire il punto in cui ci troviamo e la direzione che
siamo chiamati a prendere. Lo faccio prima di tutto con un immagine
molto efficace e poi con alcuni spunti di riflessione.
In un incontro di formazione che ho avuto il 24 giugno scorso con
il clero della diocesi di Rovigo, nel Triveneto, don Luigi Spirandelli,
parroco della parrocchia di Ramodipalo di Lendinara mi raccontava,
come lui solo sa fare, che proprio quel giorno, 20 anni prima, una terribile tromba d’aria si era abbattuta sulla sua chiesa. I fedeli se ne erano
già andati tutti e lui aveva appena chiuso la chiesa. Improvvisamente
tutto diventò nero, poi una nuvola di polvere e un grande boato.
Quando la polvere si fu diradata don Luigi rimase senza fiato. Non c’era
più il campanile della sua chiesa! Dalla ricostruzione che si poté fare,
ecco la dinamica: la tromba d’aria lo aveva letteralmente sradicato, girato su se stesso e lasciato cadere rovinosamente sul tetto della chiesa,
che rimase totalmente sventrata. Gli chiesi se avevano ricostruito il campanile. Mi disse che avevano ristrutturato la chiesa, riaperta 12 anni
dopo, ma il campanile no. Ora la chiesa appare una grande casa in
mezzo alle case. «Per scelta?, gli ho chiesto?. «No, per mancanza di
fondi», mi ha risposto. Ho iniziato il mio intervento con i parroci della
diocesi di Rovigo con quel ricordo. La chiesa ha conosciuto in questi
ultimi anni un vero e proprio tornado. Quel campanile, simbolicamente
al centro di ogni paese, segnava una coincidenza di fatto tra il civile e il
religioso e faceva della chiesa il centro di unità della vita della gente.
Quel campanile divelto è una realtà di tutta la chiesa dentro la cultura
annuale. Ho terminato il mio incontro con i preti di Rovigo invitando a
trasformare una disgrazia in una scelta e a ristrutturare la pastorale non
ricostruendo più il campanile, e non per mancanza di risorse economiche e umane, ma per scelta, per quella che possiamo chiamare una
nuova figura di comunità ecclesiale tra le case della gente.
Lasciamo il racconto ed entriamo nella riflessione. Il passaggio che
la pastorale è chiamata a fare è questo: da una pastorale di conservazione a una pastorale della proposta.
Ascoltiamo le parole di Papa Francesco nella EvangeliiGaudium.
«… è necessario passare « da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria» (EG 15).
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo
attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che
esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso:
fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale
ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga
gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così
la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia.
Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, « ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale». (EG 27).
Qual è la ragione della scelta di questa prospettiva? Siamo a pochi
passi dalla fine del cristianesimo sociologico. Di quel cristianesimo, cioè,
nel quale cristiano e cittadino coincidevano e nel quale non si poteva
essere altro che cristiani: la fede ereditata, e di conseguenza dovuta,
scontata, obbligata. È terminato il tempo del «catecumenato sociologico» (Joseph Colomb). Camminiamo verso un tempo nel quale le persone, immerse in un pluralismo culturale e religioso, sceglieranno se
essere cristiani o meno, perché la cultura attuale non trasmette più la
fede, ma la libertà religiosa. La risposta inadeguata a questa situazione
è quella della nostalgia, che pastoralmente si traduce nel moltiplicare
l’impegno pastorale per riportare le cose riguardanti la fede a come
erano prima, quando tutti e tutte si riferivano alla parrocchia. Si tratta
di una generosità pastorale mal orientata. Se la Chiesa continua a rimanere fissata su ciò che le sta dietro, sarà trasformata ben presto in una
statua di sale (Gn 19,26).
La direzione giusta è invece quella di una pastorale della proposta,
di una comunità che nel suo insieme, in tutte le sue espressioni e dimensioni, si fa testimone del Vangelo dentro e non contro il proprio
contesto culturale.
Noi siamo nati come lievito; nel tempo siamo diventati pasta; diventando pasta (cristianesimo sociologico) abbiamo perduto la nostra
forza lievitante. Il Signore sta riconducendo la sua Chiesa a vivere come
una minoranza. La tentazione può essere quella di ripiegarci in una “minoranza setta”, cioè “a parte” della storia e della cultura, o, peggio, una
minoranza “contro”. Come essere minoranza lievito e non minoranza
setta o minoranza contro? Questa è la posta in gioco. È su questo punto
che si gioca il futuro della fede cristiana. L’appello, di cui il papa si fa
autorevole eco, è di divenire una minoranza “per”, a favore della pasta.
Ricuperiamo allora lo spirito della lettera a Diogneto, che così si esprimeva: «i cristiani sono, nel mondo, ciò che è l’anima nel corpo»1 (Lettera
a Diogneto, 6).
C’è da rammaricarsi di fronte a questo scenario? Per EvangeliiGaudium c’è da gioire, perché quello che ci aspetta è potenzialmente
meglio di quello che stiamo perdendo. Usciamo dal cristianesimo dell’abitudine e dell’obbligo, andiamo verso una adesione alla fede segnata
da libertà e gratuità.
Occorre però riconoscere, per una corretta lettura pastorale, che
non siamo ancora del tutto in una situazione di fine della cristianità.
Noi dobbiamo ancora gestire, nel bene e nel male, i riflessi condizionati
del cristianesimo sociologico, che in alcuni paesi europei e come strato
presente in molte persone porta ancora a riferirsi alla sfera del religioso
come elemento di tradizione. Considerare questo come negativo sarebbe un errore di valutazione. È piuttosto un dato ambivalente. Questa
ambivalenza tra il permanere di alcune abitudini religiose e la secola——————————————————————————————————
1
Lettera a Diogneto, 6.
rizzazione delle mentalità è, al contempo, risorsa e fatica nella pastorale
ecclesiale. Di fronte a tale situazione dobbiamo, da una parte, valorizzare quanto ancora permane di tradizione (ad esempio, non disprezzando la domanda di riti, che «permangono credibili e incidono più a
lungo di tutti i nostri discorsi teologici»2); d’altra parte eviteremo di lasciarci ingannare dall’effetto polverone (del campanile caduto) o
dall’“effetto miraggio”.
Ciò che resta di « cristianità » nelle abitudini sociali deve essere valorizzato per il passaggio da una fede frutto di convenzione ad una fede
di convinzione. Fin d’ora lavoriamo per un cristianesimo che verrà.
Questo atteggiamento esige coraggio e saggezza pastorale.
2. I tre cambiamenti che abbiamo intuito, i tre cantieri pastorali da allestire
Passando dall’analisi della situazione al cammino da fare, possiamo
direcon una certa sicurezza che nella Chiesa italiana alcune direzioni
sono state intuite e già parzialmente avviate. Le riassumo in tre, raccogliendole attorno a tre cerchi concentri: la parrocchia, all’interno di
essa il processo di iniziazione cristiana, all’interno di questo la catechesi.
Per passare gradualmente a una logica missionaria occorra agire con
saggezza ma anche con coraggio pastorale su questi tre livelli intimamente connessi.
a) Da una parrocchia della cura delle anime a delle comunità missionarie. Le parole qui sono decisive: da una parrocchia (che dice strut——————————————————————————————————
S. TREMBLAy, Le dialoguepastoral, Bruxelles, Lumen Vitae - Montréal, Novalis
2005, p. 40.
2
tura, organizzazione, servizi…) a delle comunità (che dice persone,
gruppi, relazioni, spazi di comunicazione) missionarie (che stanno serenamente in una situazione di minoranza e testimoniano la fede non
per dovere, ma per gratitudine).
Il documento ecclesiale guida, il migliore prodotto nell’ultimo decennio dalla CEI, il più lucido e concreto, è Il volto missionario delle
parrocchie in un mondo che cambia, 2004.
« Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e
alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga
la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini
e alle donne del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al
Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera
società» (n. 1).
b) Da un dispositivo di iniziazione ai sacramenti centrato sui bambini a una iniziazione alla vita cristiana attraverso i sacramenti, che pone
al centro gli adulti3.
Si tratta del ripensamento del modello di iniziazione cristiana
in prospettiva catecumenale.
Così la definisce il Direttorio Generale per la catechesi: «La concezione del Catecumenato battesimale, come processo formativo e
vera scuola di fede, offre alla catechesi post-battesimale una dinamica
——————————————————————————————————
Per una visione sintetica della problematica attuale del rinnovamento dell’iniziazione
cristiana si veda: Catechesi e iniziazione cristiana in Italia. Una sfidacomplessa,
«RivistadelClero italiano» anno XCVIII (1/2012), 49-66.
3
e alcune note qualificanti: l’intensità e l’integrità della formazione; il
suo carattere graduale, con tappe definite; il suo legame con riti, simboli
e segni, specialmente biblici e liturgici; il suo costante riferimento alla
comunità cristiana» (n. 91).
Un esempio risulta molto chiaro per capire il cambiamento. Se un
genitore invia il figlio alla scuola di calcio, nessun allenatore si sogna di
chiudere i ragazzi nello spogliatoio, di dar loro in mano il manuale del
calciatore e di spiegare loro per un’ora gli schemi e le regole del calcio.
Li mette in campo con un pallone tra i piedi e mentre imparano a giocare dà loro le indicazioni necessarie.
c) Da una catechesi di insegnamento o di approfondimento al
primo annuncio e soprattutto al secondo annuncio, vale a dire a una
proposta che accompagna l’intiumfidei, il comininciamento o il ricominciamento della fede (secondo annuncio). In questi anni noi abbiamo
già operato una conversione della catechesi, e che ora dobbiamo affrontarne una seconda. Noi siamo passati da una catechesi “della dottrina”
a una “catechesi per la vita cristiana”, come dicono bene i sottotitoli dei
Catechismi CEI. Questi sottotitoli intendevano segnare il primo cambiamento. E questo cambiamento (la catechesi per la vita cristiana) ha
segnato i 40 anni dopo i concilio. L’abbiamo chiamata catechesi antropologica o esperienziale (secondo la denominazione dell’AC). “Per la
vita cristiana” significa per aiutare i cristiani tradizionali (per eredità) a
scoprire che tutti gli elementi della loro fede (riti, norme, dottrine) raggiungono la loro vita e rispondono alla loro ricerca (la fede come compimento dell’umano). Si tratta ora di proporre la fede a persone che
non l’hanno avuta in eredità, che non l’hanno mai realmente assunta e
non la considerano come necessaria per vivere una vita umana e sensata.
Afforntiamo qui la questione del primo e del secondo annuncio.
3. Primo e secondo annuncio
Siamo chiamati dare a tutta la catechesi una prospettiva di primo
o secondo annuncio. I Vescovi italiani, in un documento importante
sul rinnovamento missionario delle parrocchie (il più significativo dell’Episcopato italiano in questi ultimi anni) utilizzano questa illuminante
espressione: «Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali» (VMP, n. 6)4.
Questa prospettiva catechistica (“di primo annuncio vanno innervate tutte le attività pastorali”) permette anche di capire che il compito
missionario non consiste nell’azzerare la pastorale in atto per costruire
sulle sue macerie qualcosa di completamente diverso, ma di intervenire
sulla pastorale ordinaria e sulle iniziative in atto dando loro una nuova
prospettiva. Non si tratta di azzerare, ma di cambiare obiettivo. Questo
obiettivo non è altro che il passaggio dalla conservazione alla proposta.
3.1 Il primo annuncio
Veniamo ora alla questione del primo annuncio. Cosa intendiamo
per una catechesi di primo annuncio? Papa Francesco, con un linguaggio semplicissimo, si esprime così:
«Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il
centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale… Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita
——————————————————————————————————
4
........................................................
per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo
annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si
dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il
primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello
che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si
deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una
forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti….
Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento
del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre
meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e
che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi» (Evangeliigaudium,
164-165).
Questi due numeri dell’EvangeliiGaudium sono in grado di interpellare profondamente la catechesi in atto nelle nostre comunità.
Vorrei qui riprendere una espressione di Giovanni Paolo II, che paradossalmente in occasione di un Convegno sul Catechismo della Chiesa
Cattolica diceva che nel contesto culturale attuale la catechesi era chiamata a trasmettere “non omnia, sedtotum”, non tutte le conoscenze
relative alla fede, ma il cuore del messaggio evangelico, il kerygma5. Il
primo annuncio mira ad una totalità intensiva e non estensiva. Annuncia
la bella notizia della pasqua del Signore Gesù dentro ogni esistenza
umana. Di conseguenza vengono riviste tutte le priorità della catechesi
——————————————————————————————————
Le Catéchisme de Église catholique, “Catéchisme de Vatican II”,Discours de JeanPaul II au congrès organisé par deux dicastères romains, CITE DU VATICAN, Vendredi
11 octobre 2002.
4
e gli atteggiamenti che la animano: l’annuncio dell’amore di Dio precede la richiesta morale; la gioia del dono precede l’impegno della risposta; l’ascolto e la prossimità precedono la parola e la proposta.
Questo è il primo annuncio e questo è ciò che le donne e gli uomini di
oggi sono disponibili ad ascoltare. Il primo annuncio è il vangelo oggi
culturalmente udibile, quel vangelo che congeda il cristianesimo ridotto
a morale e inaugura un cristianesimo della grazia e della libertà. Non
c’è nessuno chiuso a questo annuncio.
3.2 Il secondo annuncio
Per la natura stessa della fede e per il fatto che siamo ancora a metà
strada tra un cristianesimo di tradizione e un cristianesimo di scelta, accanto al compito del primo annuncio si colloca il compito del secondo
annuncio. L’espressione “secondo annuncio” è stata introdotta da Giovanni Paolo II nel 1979: «È iniziata – diceva il Papa - una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà
è sempre lo stesso»6. Cosa intendiamo per secondo annuncio? Riprendendo l’espressione di EvangeliiGaudium, il secondo annuncio è il
“farsi carne” del primo annuncio nei passaggi di vita fondamentali delle
persone, degli adulti in particolare. Lo possiamo allora chiamare il secondo “primo annuncio”. La maggioranza dei cattolici ha ricevuto un
“primo annuncio”, ha avuto un contatto con la fede cristiana ricevendola
in qualche modo come eredità. Il “secondo annuncio” è il risuonare di
una parola del primo come parola di benedizione dentro le traversate
della vita umana. È il diventare “vero”, il prendere forma e carne del
——————————————————————————————————
Giovanni Paolo II, NowaHuta, 9 giugno 1979, Omelia nella santa messa del santuario
della Santa Croce.
6
primo annuncio negli snodi fondamentali della vita: è “secondo” perché
appare di nuovo come una grazia che si offre, e quindi di nuovo come
appello alla libertà perché si disponga, e questo possibile ridisporsi è
non raramente un primo disporsi veramente: il passare cioè da una fede
per sentito dire a una fede per affidamento personale. Ciò che è annunciato come promessa, si attua come proposta di vita buona dentro le differenti traversate della vita umana. È analogo a quanto accade a Israele:
il suo primo esodo diventa secondo primo esodo in tutte le traversate
decisive della sua storia, e quindi un ritorno genetico sulle rive del Mar
Rosso. Questo vale anche, ad esempio, per un “sì” pronunciato nel matrimonio o nella scelta di una vita consacrata a Dio. C’è sempre un primo
sì fondativo, ma spesso quello decisivo è il secondo. Per questo lo possiamo anche chiamare il secondo primo annuncio. Il secondo primo annuncio è la sfida più importante della catechesi rivolta a persone già
sociologicamente cristiane. È anche più complicato che un primo annuncio in senso stretto, perché incontra un terreno ingombrato.
3.3 Il tempo opportuno del secondo annuncio
Qual è il tempo opportuno del secondo annuncio? Il tempo opportuno sono normalmente le “crepe” che si aprono dentro le esperienze umane che come adulti e adulte viviamo nell’arco della nostra
vita. Non è nei periodi di stabilità (culturale, affettiva, economica, fisica…) che il secondo annuncio può farsi sentire in noi, ma quando
gli equilibri raggiunti vengono sconvolti. In questo senso l’attuale contesto culturale è un tempo particolarmente favorevole al secondo annuncio. A queste rotture noi diamo il nome di “crisi”, intese come
l’intervenire di una discontinuità nella propria vita, una discontinuità
per eccesso o per difetto. Per eccesso: l’apparire di un di più gratis che
sorprende (come un amore che si affaccia improvviso, un figlio che
nasce, una causa che appassiona, una cosa bella che sorprende). Per
difetto: l’affacciarsi di una minaccia di morte (una perdita, una situazione di solitudine, una ferita, un fallimento, una malattia, un lutto). Le
sorprese sono delle possibili aperture, le ferite possono diventare feritoie. Le “crisi” intese come interruzione dell’ordinario sono possibili
“soglie di accesso alla fede”7. Dentro queste esperienze ci viene incontro il mistero umano nelle sue due facce: quello della vita e quello della
morte. In ognuno di questi passaggi fondamentali è in gioco un’esperienza pasquale: il desiderio di vita e la minaccia della morte: vale per
un innamoramento, la nascita di un figlio, una crisi affettiva, una malattia, ecc. Perché da soglie queste esperienze possano diventare acconsentimento e professione di fede è necessario che ci sia una
“rivelazione” e uno “svelamento”, una testimonianza cioè di qualcuno
che aiuta a far cogliere una “Presenza a favore” in tutto quanto ci succede. In modo che le persone possano dire, come Giacobbe, «Il Signore
era qui e io non lo sapevo!» (Gen 28,16).
Perché tutto questo possa accadere ci vuole una condizione. Quella
che Paolo con particolare lucidità ed efficacia continua a ripeterci:
«Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare
senza uno che lo annunzi?» (Rom 10,13-14). Su questa parola di Paolo si
fonda l’esigenza e la forza propulsiva del secondo primo annuncio.
——————————————————————————————————
VESCOVI DELLE DIOCESI LOMBARDE, La sfida della fede: il primo annuncio,
EDB 2009, 11-26.
7
LA CATECHESI E LA PASTORALE
IN PROSPETTIVA MISSIONARIA
11 marzo 2014
SECONDA RELAZIONE
1. Riprogettare la catechesi in una prospettiva di primo e
secondo annuncio
Mi limito a indicare, senza approfondirli, tre spostamenti della
catechesi.
a) Lo spostamento del baricentro
In coerenza con una prospettiva missionaria noi ci dobbiamo interrogare su quale sia il soggetto della catechesi, attivo e passivo, attorno
al quale unificare la proposta di primo e secondo annuncio. Ora, sia le
proposte, sia le risorse ecclesiali (catechisti) sono ancora fortemente
sbilanciate sull’iniziazione cristiana dei ragazzi. Un’inchiesta a livello italiano a metà degli anni ’90 indicava che su circa 300 mila catechisti italiani, il 91,2% si dedicava all’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi
(circa 273.000). Sarebbe come se il 92% dei medici italiani fossero pediatri. Un’inchiesta successiva nel 2004 non modificava sostanzialmente
questo dato e confermava a grandi linee questo sbilanciamento8. Il nucleo unificatore attuale della catechesi è ancora il bambino (catechesi
puerocentrica). Questa scelta era adeguata a un contesto di cristianesimo sociologico (gli adulti erano già credenti), di fede ereditata e di
una pastorale di mantenimento (cura fidei). Il cambio di prospettiva
missionaria chiede che spostiamo il baricentro. Possiamo pensare a
un’ellisse con due fuochi: la famiglia, seguendo l’arco della sua storia;
l’adulto nei passaggi fondamentali della sua vita (criterio cronologico e
antropologico). Tale spostamento di asse nella catechesi va fatto progressivamente, ma senza lasciarsi ingannare dall’effetto miraggio (il polverone) .
Siamo d’accordo a prendere questi due soggetti come perno per
la proposta catechistica? Dalla risposta a questa domanda dipende tutta
la programmazione della catechesi. Se sommiamo il cambio di prospettiva (primo e secondo annuncio) con il cambio di perno (famiglia,
adulto), noi abbiamo le due coordinate per un ripensamento missionario della catechesi.
b) La scelta delle “porte di ingresso” o “ritorno”
Non è possibile avviare un cambiamento modificando contemporaneamente tutti gli elementi in campo. Occorre scegliere delle priorità
e perseverare a lungo in esse. Prendendo una prospettiva missionaria,
mettendo al centro famiglia e adulto, siamo chiamati ad individuare al——————————————————————————————————
GIUSEPPE MORANTE, I catechisti parrocchiali in Italia nei prima anni ’90. Ricerca
socio-religiosa, Elledici 1996; GIUSEPPE MORANTE, VITO ORLANDO, Catechisti e
catechesi all’inizio del terzo millennio. Indagine socio-religiosa nelle diocesi italiane, Elledici, 2004.
8
cune porte di ingresso alla fede, o porte di reingresso per coloro che
sono già stati cristiani. Presento due esempi, il primo di una parrocchia
della mia diocesi, il secondo di una unità pastorale. Il consiglio pastorale
di una parrocchia in ambiente rurale, dopo l’analisi della situazione,
decide di impegnare le proprie forze per tenere bene aperte tre porte
di ingresso: i corsi per fidanzati; il battesimo (porta di ingresso del bambino, porta di nuovo ingresso per gli adulti); l’accompagnamento dei
genitori di iniziazione cristiana e con loro i loro figli. Si tratta di una
scelta a partire da ciò che è già in atto, ma in una prospettiva di secondo
annuncio. Questa parrocchia ha deciso di investire le sue energie catechistiche in questa direzione per i prossimi dieci anni, curando queste
tre porte di entrata.
Nell’unità pastorale delle nove parrocchie del centro di Brescia,
una popolosa città del nord d’Italia che ho accompagnato per un anno
nel loro discernimento pastorale, la scelta è stata di concentrarsi su tre
priorità, una tradizionale, una emergente, l’altra nuova: la pastorale
pre/post battesimale; l’accompagnamento di coppie in situazioni difficili
(conviventi, separati, divorziati); l’accoglienza e l’annuncio del Vangelo
(implicito o esplicito) agli immigrati. I consigli pastorali di queste nove
parrocchie hanno deciso che queste tre porte di ingresso costituiranno
per i prossimi anni la palestra di allenamento per una pastorale condivisa e per una comunità missionaria. Tutto è importante nella catechesi,
ma qualcosa lo diventa di più, come avvio di un cambiamento e allenamento alla missionarietà.
Quali priorità decidiamo di scegliere? Quali porte di entrata decidiamo di riaprire e di curare particolarmente?
La risposta a questa domanda, dentro le prospettive sopra indicate,
permette di decidere dove investire le energie catechistiche, per forza
limitate.
c) Il primo e secondo annuncio in ogni passaggio della vita
Rimane una terza questione fondamentale per una catechesi di
primo e secondo annuncio: la sua capacità di ridere il kerygma pasquale
facendolo risuonare come bella notizia nelle differenti esperienze di
vita degli adulti. Il kerygma è uno solo, secondo la felice definizione di
Papa Francesco: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e
adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti,
per liberarti”.
Questo annuncio non va ripetuto come un ritornello, ma come
un canto che in ogni stagione interpreta la giusta melodia. Così, nell’accompagnamento dei fidanzati sarà il kerygma dell’amore (Dio vi
ama, è contento del vostro amore e lo benedice. Comunque andrà il
vostro cammino egli è il vostro salvatore); nell’incontro con genitori
che chiedono il battesimo sarà il kerygma della paternità e della maternità di Dio (Dio vi ama; è felice per il vostro bambino e lui che è padre
e madre vi accompagna nel farlo crescere); nell’accompagnamento dei
genitori con figli che vivono l’iniziazione cristiana sarà il kerygma della
genitorialità (Dio vi ama; egli sa che è facile mettere al mondo un figlio,
molto più difficile essere padri e madri. È esperto nel generare. Non vi
lascia soli nel vostro compito di educazione dei figli); nell’incontro con
gli adolescenti sarà il kerygma della chiamata (per Dio sei importante,
prezioso; c’è un progetto a cui puoi dare il tuo assenso libero; c’è un
posto pe te nella vita); per i giovani sarà il kerygma del viaggio, dell’itineranza (Dio ama viaggiare, come te, insieme a te; ama la ricerca, onora
i tuoi dubbi, rispetta la tua ragione e la tua libertà); per gli adulti, nei
differenti passaggi della vita, sarà il kerygma della presenza («Ecco, io
sono con te e ti proteggerò ovunque tu andrai» (Gen 28,15)).
Una prospettiva di secondo annuncio chiede alla catechesi un ritorno all’essenziale, una rivisitazione del suo linguaggio, un annuncio
di gioia che tiene indissolubilmente unite le parole di Dio e le parole
umane. Il primo e secondo annuncio chiedono alla catechesi di imparare il linguaggio della vita, di considerare la vita umana come l’alfabeto
di Dio. Chiedono, in fin dei conti, di uscire dal sacro e di tornare a dare
carne alla Parola che si è fatta carne. Il Verbo ha impiegato tutta la storia
della salvezza per farsi carne. In soli due mila anni siamo riusciti a disincarnarlo. L’amore di Dio è il canto fermo del primo annuncio, la
esperienze umane sono i suoi contrappunti. Entrare nella vita delle persone, abitarla con passione, compassione e speranza è la più alta attività
cristiana che possiamo mettere in atto. Questo è terreno sacro, nel
quale camminare in punta di piedi, togliendosi i calzari. Qui si sospende
ogni giudizio, ogni valutazione. Ogni storia umana è storia sacra e non
c’è storia sacra perfettamente lineare, senza sbagli, senza fragilità, senza
dolore. La sacralità della vita viene dalla sua vulnerabilità. Visitare e accompagnare la storia delle donne e degli uomini è il più grande atto di
amore. È anche il modo più bello, forse l’unico, per annunciare il Vangelo, per mostrare a tutti il dono di vita buona che esso contiene.
La Chiesa, concentrata spesso sul solo piano oggettivo della fede,
ha bisogno di questo trasloco nella storia che Dio scrive dentro la carne
delle donne e degli uomini di oggi. Allora capirà anche diversamente e
più in profondità l’aspetto oggettivo della Rivelazione.
2. Ridisegnare la pastorale in prospettiva missionaria
Guardiamo ora al versante della pastorale e di riflesso alla figura
della comunità. Senza pretesa di completezza, indico anche per la pastorale alcuni spostamenti.
1) Osare la disorganizzazione pastorale
Qualche anno fa mi trovavo nella diocesi di Mons. Bruno Forte
(Chieti), per un convegno nazionale dei catechisti italiani. Il tema era
“Passaggi di vita, passaggi di fede”. Fui incaricato di fare la sintesi finale
del Convegno e dedicai il pomeriggio libero di uscita per fare questo
lavoro9. Era estate ed eravamo vicini al mare. Alle ore 17 avevo terminato
la mia sintesi, cercavo solo un’immagine, un simbolo, un racconto per
riassumere la riflessione che avevamo fatto. Decisi di andare a fare un
bagno. Io non sono un buon nuotatore, mi limito a stare a galla. Arrivato
sulla spiaggia fui subito attratto da un cartello: “Il salvataggio si effettua
dalle ore 9 alle ore 17”. Guardai l’orologio: erano le 17.30! Quel cartello
era il simbolo della nostra pastorale, una pastorale pensata a partire
dalla propria logica interna, che chiede alla vita delle persone di adattarsi alla sua organizzazione. La vita delle persone inquadrata dalla pastorale e non la pastorale a servizio della realtà della vita. Ho dovuto
rinunciare al mio bagno, limitandomi a mettere i piedi in acqua, ma in
compenso avevo trovato l’immagine che cercavo.
La prospettiva missionaria richiede la disponibilità a destrutturare
i nostri impianti pastorali. Abbiamo bisogno di un po’ di disordine. Potremmo dire così: organizzare la disorganizzazione. «Mi pare che ci sia
bisogno di una Chiesa disposta a cambiare la propria impostazione pastorale di fondo e alcune delle sue strutture per renderle veramente
adeguate a quella conversione missionaria di cui si parla da anni. Si
tratta di avere il coraggio di destrutturare l’impostazione pastorale, di
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Passaggi di vita, passaggi di fede, passaggi di Chiesa, Atti del XLI Convegno Nazionale dei Direttori UCD, Vasto Marina (Ch), 18-21 giugno 2007, Notiziario dell’Ufficio
Catechistico Nazionale, anno XXXVI, n. 3, settembre 2007, 114-118.
9
renderla meno pianificata nella sua organizzazione e più flessibile, capace di piegarsi alle esperienze di vita delle persone, alle forme della
comunicazione che essi oggi privilegiano; ai luoghi che essi frequentano; ai tempi di un’esistenza frantumata, affannata e spesso convulsa.
Per incontrare i cercatori di Dio, che nel nostro tempo come forse in
ogni tempo non frequentano i luoghi della Chiesa, ma quelli della vita
e del mondo, occorre una Chiesa capace di andare verso il mondo, di
organizzarsi nella dispersione della vita di oggi (come è dire: dis-organizzarsi, per poter entrare in sintonia con una vita dispersa)»10. L’attuale
pastorale è spesso organizzata in maniera rigida e con ripartizioni di
compiti che possono portare a percorsi indipendenti. L’impianto organizzato e strutturato, la ripartizione in ambiti pastorali con relativi uffici,
gli schemi operativi consueti e collaudati operano da griglia di lettura
dell’esistente: hanno un effetto di formattazione della realtà, ci impediscono di vedere il nuovo che è in atto perché lo riconducono al già
visto, al “déjà vu”.
2) Riorganizzare la pastorale: i “tria munera” e “l’alfabeto della
vita umana”
Come può essere ripensata l’organizzazione pastorale in questa
prospettiva?
A partire dal Concilio Vaticano II la nostra pastorale si è organizzata
attorno ai “tria munera”, portando a una articolazione ormai consolidata
e sicuramente pratica: annuncio, celebrazione e comunione/carità (ca——————————————————————————————————
P. BIGNARDI, La via del dialogo e la pluralità dei cammini, in Il Primo Annuncio,
Notiziario dell’Ufficio Catechistico Nazionale, anno XXXVI, n. 1, aprile 2007, 81-84
10
techesi, liturgia e carità)11. È su questa ripartizione che ci siamo organizzati in servizi, uffici, équipe, proposte pastorali. Questa ripartizione
di settori e di compiti ha il vantaggio di salvaguardare l’unità della missione della Chiesa negli elementi che la costituiscono come dono da
parte di Dio. Salva quindi il lato oggettivo della grazia di Dio, irriducibile
ad ogni antropologia. I suoi limiti però sono apparsi nel tempo piuttosto
evidenti. La tripartizione ha portato alla parcellizzazione delle azioni pastorali e alla moltiplicazione delle mediazioni messe in atto (uffici, iniziative, percorsi, ecc.). Si dimostra debole ad assicurare una unità della
proposta tra i suoi differenti soggetti e servizi, non riesce a manifestare
la profonda complementarità di Parola, Liturgia e Carità, e soprattutto
fatica a mostrare come ogni elemento del Vangelo è per l’uomo e per
la pienezza della sua vita.
Il convegno ecclesiale di Verona nel 2006 ha lanciato alle comunità
cristiane un appello profetico. L’unità della pastorale della chiesa – ha
affermato - va ricondotta all’unità della persona, per mostrare più chiaramente la portata antropologica dei gesti della chiesa. Occorre ripensare la pastorale incentrandola maggiormente sulle esperienze
fondamentali che ogni donna e ogni uomo vivono nell’arco della propria esistenza. Il Convegno aveva in modo esemplificativo indicato cinque esperienze antropologiche come luoghi nei quali pronunciare
cinque «concreti aspetti del “sì” di Dio all’uomo, del significato che il
Vangelo indica per ogni momento dell’esistenza». Questi cinque sì, queste cinque parole di benedizione che una pastorale missionaria è chiamata a far risuonare riguardano la dimensione affettiva, il rapporto
——————————————————————————————————
Per questa parte riprendo le intuizioni di F. G.BRAMBILLA, Partenza da Verona, in
«La Rivista del Clero Italiano» 87 (2006).
11
con il lavoro e la festa, l’esperienza della fragilità, la trasmissione/tradizione dei valori tra una generazione e l’altra (l’ambito educativo),
la responsabilità e la fraternità sociale.12 La pastorale missionaria ridisegna la sua proposta articolando il criterio ecclesiologico (espresso
nei tria munera) con quello antropologico, perché risuoni in modo
più chiaro che il Vangelo è buona notizia per la vita di ciascuno, che
esso annuncia la pasqua di Dio nelle pasque umane, il suo passaggio
nelle traversate della vita umana.
Le conseguenze sull’organizzazione pastorale sono bene evidenziate dal teologo e vescovo Franco Giulio Brambilla: «Ciò rappresenta
effettivamente – scrive - una sfida nuova. Occorrerà immaginare che
cosa significhi questo per lo stile pastorale dei ministri del vangelo e
prima ancora per la testimonianza del credente. … Bisognerà ridare
scioltezza ai differenti settori della vita pastorale e alla loro organizzazione pratica (dai livelli più alti degli uffici centrali alle singole comunità,
passando per le diocesi e le strutture intermedie), rimescolando i compartimenti in cui si sono sovente cristallizzati. Occorrerà ripensare i
gesti pastorali che spesso non intercettano quelli degli altri settori, rivedere i programmi che hanno un forte carattere autoreferenziale. Soprattutto bisogna mostrare in modo chiaro che si tratta di pensare e
vivere una pastorale per l’uomo e con l’uomo, perché egli sappia di
nuovo accedere alla speranza della vita risorta. La pastorale della chiesa
– soprattutto quella che vuole ripensarsi in prospettiva missionaria– è
tutta protesa a dar forma cristiana alla vita quotidiana». Una pastorale
missionaria è una pastorale che sa al tempo stesso sintonizzarsi sul dono
di Dio e sulla vita umana, leggendola come “alfabeto di Dio”.
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12
CEI, nota past. «Rigenerati per una speranza viva» …, n.12, in ECEI 8/1678.
Se permettete una testimonianza personale, vi posso dire che da
due anni coordino una équipe a livello nazionale, chiamata équipe secondo annuncio, che per un sessennio raccoglie, analizza e orienta pratiche di secondo annuncio su cinque esperienze umane fondamentali,
così articolate: generare e lasciar partire; errare; legarsi, lasciarsi, essere
lasciati; appassionarsi e compatire; vivere la fragilità e il proprio morire13.
Noi consideriamo queste esperienze come vere “periferie antropologiche”. In questo lavoro cerchiamo di mettere insieme i diversi settori e
operatori pastorali per impegnarci insieme a far risuonare il kerygma
in ciascuno di questi passaggi della vita umana. È così che la catechesi
cerca di non essere isolata dalla pastorale e aiuta la pastorale a uscire
da una logica di settore e di compartimenti stagni. Noi intendiamo raccogliere nell’arco dei prossimi cinque anni una cinquantina di buone
pratiche di secondo annuncio nelle quali impegnarci tutti insieme, al
di là dei differenti settori e delle differenti competenze. È una sfida catechistica e pastorale al tempo stesso.
3) Allargare la ministerialità ecclesiale
Un terso elemento implicato in una conversione missionaria della
pastorale riguarda l’esigenza di allargare la ministerialità pastorale. Se
noi ci concentriamo sulla vita umana nei suoi passaggi fondamentali,
sappiamo vedere questi passaggi come pasque umane e ci facciamo
presenti per annunciare in essi la pasqua del Signore Gesù, è evidente
che un simile annuncio è una questione fondamentalmente laicale.
Sono le persone che vivono sulla loro pelle i passaggi di Dio nella loro
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13
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vita le più indicate per testimoniarli ai loro fratelli e alle loro sorelle.
Per questo dobbiamo allargare la ministerialità attuale, fidandoci dei
battezzati che conoscono il sapore dolce e amaro degli affetti, che sperimentano tutta la gamma delle fragilità, del lavoro e della festa, della
malattia, della perdita di lavoro, dei lutti, della morte. Io penso che dobbiamo avere più coraggio nel fidarci dei laici. Quando il Signore mandò
i settantadue ad annunciare il regno due a due (Lc 10, 1ss), voi pensate
che fossero preparati? Gli eventi successivi hanno mostrato che non
lo erano. Se la missione è competenza dello Spirito Santo, occorre fare
affidamento alla sua forza e alla debolezza dei testimoni. Per questo io
penso che dovremo pensare seriamente a una ministerialità della debolezza, che meglio annuncia la grazia di Dio. Chi è più adatto a portare
il primo e secondo annuncio a una coppia di divorziati? Sicuramente
una coppia di divorziati che ha fatto un cammino di fede. Come è da
ripensare la ripartizione classica dei compiti e dei servizi pastorali, così
dovremo riaprire il dossier della ministerialità ecclesiale e della sua regolazione.
4) Attivare una ritualità cristiana che dia forma alla vita
Il ripensamento della pastorale in prospettiva missionaria richiede
di rivederne tutti gli elementi. Mi limito a segnalarne ancora uno, che
ritengo fondamentale. Esso riguarda la dimensione rituale della fede.
L’annuncio della pasqua di Gesù nelle pasque umane (compito della
pastorale) non si esaurisce nelle parole, né nella vicinanza fraterna e
solidale. La benedizione di Dio nella carne dell’uomo si attua attraverso
i riti, diventa per ciascuno l’ “oggi” della grazia di Dio nella celebrazione
liturgica. Ritroviamo qui, come vedete, i “tria munera” (annuncio esplicito tramite le parole, annuncio implicito tramite la carità, annuncio
che diventa realtà per ciascuno nel rito). È confortante constatare come
i sette sacramenti (con tutti i limiti del settenario cattolico) siano tali
proprio per esprimere l’inserirsi di tutta la vita dentro la totalità del mistero pasquale. La loro articolazione orizzontale, nei tempi della vita
umana, dice che la vita, dalla nascita alla morte, è salvata, che non c’è
nulla dell’esperienza umana che sia priva della salvezza di Dio. Ad ogni
traversata della vita il Signore risorto ti raggiunge e ti custodisce. Si
tratta, come sappiamo, di un unico grande sacramento, ma il suo emergere settiforme segnala, favorisce e attua l’esperienza di essere salvati
e custoditi dalla paternità di Dio in ogni momento della propria storia
personale, familiare, comunitaria. Lavati, profumati, nutriti, resi capaci
di amare, presi in cura, accompagnati nel morire.
È questo il senso ultimo dei sacramenti e di tutti i riti della fede.
Dentro un contesto di cristianità i riti hanno corso il rischio di uno svuotamento antropologico e di una riduzione a gesti sacri, di un decadimento da riti a cerimonie. La prospettiva missionaria diventa una chance
per la ritualità cristiana. Le chiede e le permette di ricuperare la sua vocazione di dare forma alla vita umana. Noi corriamo il rischio nella celebrazione dei riti di oscillare tra la stanchezza ripetitiva, la tentazione
di tornare a vecchi formalismi nostalgici o di cercare ingenue spettacolarità. Abbiamo invece bisogno di una liturgia seria, semplice e bella,
un’azione che metta in contatto con il mistero di Dio e assuma tutto
l’umano, che coinvolga ogni aspetto dell’umano. È vero che la liturgia
non è fatta per emozionare, ma per celebrare il mistero pasquale. Ma
se la celebrazione del mistero pasquale non emoziona, cioè non raggiunge la carne dell’uomo, allora c’è un problema, allora non potrà essere mai un rito che dà forma alla vita. La prospettiva missionaria avvia
un laboratorio rituale. Tale laboratorio deve essere un affare di tutti gli
operatori pastorali, non solo dell’Ufficio liturgico o del gruppo liturgico.
La catechesi e la carità si devono mettere insieme alla liturgia per celebrare ogni situazione umana. Questa celebrazione domanda di ripensare la celebrazione dei sacramenti, ma chiede di estendersi a tutta
l’esperienza umana. Ogni gioia, ogni sofferenza, ogni fallimento, ogni
mancanza va celebrata. L’attitudine missionaria è chiamata a inventare
parole di benedizione rituale non limitate ai sacramenti, ma dentro ogni
gioia e ogni sofferenza umana.
3. La figura dell’evangelizzatore
Vorrei terminare i due interventi di queste sere parlando della figura del catechista evangelizzatore. Invito a riferirsi a un testo biblico
che ci può dare un grande aiuto. Si tratta dell’incontro tra Filippo e l’eunuco, che ci presenta lo stile missionario dell’evangelizzatore in un contesto di primo annuncio. Non facciamo certo l’esegesi del testo, ma ne
ricaviamo 7 tratti, che lascio al vostro approfondimento.
1. L’evangelizzatore lascia i luoghi sacri per le strade deserte
Luca ci ha raccontato nei capitoli precedenti le imprese di Filippo,
simbolo di tutta la comunità ecclesiale, nella missione di evangelizzazione, una missione caratterizzata dal successo, con la potenza della parola e dei prodigi. E improvvisamente l’angelo del Signore manda
Filippo su una strada deserta, in direzione di Gaza, a mezzogiorno,
quando non passa nessuno. Filippo non è a Gerusalemme, la città santa,
nel tempio, ma su una strada profana verso una città profana. E in un
ora dove è assolutamente improbabile incontrare qualcuno.
È bene sottolineare che è l’angelo del Signore (cioè lo spirito
Santo) a spingere Filippo lontano dalla Gerusalemme sacra e a portarlo
su una strada deserta. Il deserto, la strada deserta, indicano quei luoghi
profani nei quali sembra insensato o rischioso avventurarsi. Indicano
la storia e la cultura quando queste non si riconoscono più nei codici
religiosi abituali. Indicano anche le “periferie umane” di cui ci parla così
spesso Papa Francesco.
2. Sa cogliere la domanda di senso
Su quella strada deserta, su cui lo Spirito l’aveva sospinto, Filippo,
contro ogni umano calcolo e contro ogni sensata previsione, è sorpreso
da una presenza. Luca ci comunica questo senso di sorpresa e di meraviglia con un improvviso “ed ecco”, al quale fa seguire la descrizione di
un personaggio strano: “un etiope, eunuco, funzionario della regina
Candace…, venuto a Gerusalemme per il culto” che sta leggendo il
profeta Isaia (cf. At 8,27s.). Sulla strada deserta, ad un’ora non certamente propizia, per la disponibilità dell’evangelizzatore Filippo, si realizza un incontro che suscita stupore: là c’è un uomo che viene da
lontano, da quel “confine della terra” come era considerata l’Etiopia;
un uomo caratterizzato dal suo alto ruolo sociale, ma soprattutto segnato dalla sua condizione marginale e disprezzata di eunuco.
Ebbene, la sorpresa per Filippo è che quest’uomo così insolito è
in ricerca religiosa!
La seconda caratteristica dell’evangelizzare è dunque quella di
lasciarsi sorprendere da tutti, dai ragazzi, dai giovani, dagli adulti, di
guardarli tutti con simpatia, perché solo la simpatia sa vedere dietro le
persone con i loro atteggiamenti anche più strani, le domande profonde
che abitano il loro cuore.
3. Fa strada insieme
Se osserviamo il percorso di Filippo con l’eunuco etiope, lo vediamo contrassegnato da una pedagogia dell’accompagnamento (cf. At
8,29-34), chiaramente modellata su quella utilizzata dal Risorto con i
pellegrini di Emmaus (cf. Lc 24,15-24). C’è tutta una serie di verbi significativi: incontrare, correre vicino, sentire, salire sul carro e sedersi
vicino. È qui indicata tutta una delicata e profonda progressione di entrata in relazione con la persona. C’è un dinamismo interiore che
spinge, un andare, un correre vicino, una ascoltare attento, un fare
strada insieme.
In questa prima parte (che è già annuncio), Filippo è passivo: non
parla. Si limita ad avvicinarsi e ad ascoltare, cioè ad entrare in relazione
vera. L’unica parola sua è una domanda stimolo, che provoca nella persona una presa di coscienza e una domanda di aiuto: “e come potrei
comprendere, se nessuno mi guida?”.
È in fondo una pedagogia del dialogo quella che il cammino di Filippo con l’eunuco ci suggerisce.
Una terza caratteristica dell’evangelizzatore è proprio quella che
egli sa ascoltare, fare strada insieme, entrare nella storia delle persone.
4. Annuncia Gesù come bella notizia
Il racconto di Luca ci dice poi, con un versetto molto denso (v. 35)
che Filippo prende la parola e “gli evangelizzò Gesù”. È difficile rendere
la forza di questa espressione. Evangelizzare Gesù significa annunciare
Gesù come significativo per la vita. In fondo, Filippo gli dà Gesù, facendogli capire che il profeta Isaia parlava di se stesso, di un altro e insieme
dell’eunuco.
Non sappiamo quale aspetto del messaggio di Gesù Filippo abbia
detto all’eunuco. Ma il testo di Isaia sul Servo sofferente, ci fa capire
che egli è andato diritto al cuore dell’annuncio cristiano, il mistero di
morte e di risurrezione del Signore.
Perché Filippo riesce a dargli Gesù come buona notizia? Perché sa
intrecciare tre storie: quella dell’eunuco, che ha ascolto, quella di Gesù,
e la sua. Egli raggiunge il cuore dell’eunuco perché l’eunuco vede la
testimonianza di Filippo, vede che Filippo è già stato salvato dalla storia
che racconta.
Ecco dunque una quarta caratteristica dell’evangelizzatore. Non
si accompagna veramente se non si arriva a testimoniare la propria fede
nel Signore Gesù, presentandolo agli altri come la nostra gioia, come
l’annuncio che ha toccato la nostra vita.
5. Non crea impedimenti
Dopo l’annuncio di Filippo, l’eunuco fa una domanda che è rivolta
anche a noi: “Cosa impedisce che io sia battezzato?”, che io entri a far
parte della comunità dei salvati? Luca formula questa domanda in modo
molto evocativo. Nel linguaggio del suo vangelo e degli Atti degli apostoli quell’impedimento che l’eunuco evoca è quello posto molte volte
dalla comunità religiosa e cristiana. Basta pensare agli apostoli che impediscono ai fanciulli di andare a Gesù (Lc 18,15-17); ai farisei che impediscono con i loro schemi religiosi che qualcuno entri nel regno dei
cieli (Lc 11,52); ai discepoli che vorrebbero impedire che i demoni vengano cacciati da chi non è della nostra cerchia; a Pietro nell’episodio di
Cornelio, quando la comunità lo rimprovera di aver dato il battesimo a
un pagano (cf. At 10,47 e 11,17).
Abbiamo dunque qui una quinta caratteristica dell’evangeliz-
zare. Essa consiste nell’abbandonare qualsiasi pregiudizio moralistico
e religioso e credere che tutte e tutti, comunque sia la loro vita, sono
degni del Vangelo e anzi i più poveri sono i più adatti ad accoglierlo.
Noi continuiamo a pensare che ci sia un solo modo di accogliere il vangelo, quello di chi è in regola con la Chiesa e le sue norme su tutti i
punti, quelli che vengono a messa tutte le domeniche, che hanno famiglie unite, ecc. Ora sempre di più ci saranno persone che faranno
parte della comunità dei salvati anche se in modo graduale e che sono
raggiunti dalla grazia del Signore anche se per storie di vita o per scelte
non potranno mai essere del tutto “a posto”, secondo i nostri canoni,
cioè che continueranno a essere da credenti degli “eunuchi”, dei menomati. Li terremo lontani dalla comunità perché non perfetti? Se così
fosse, presto le nostre comunità saranno deserte e anche noi ce ne dovremo andare.
6. Condivide il cammino di riscoperta della fede
Il testo presenta poi un passaggio molto interessante. «38 Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli
lo battezzò».
Evangelizzatore e evangelizzato scendono insieme nell’acqua. Simbolicamente richiama l’esperienza del mistero pasquale, l’immersione
nella morte/risurrezione del Signore. Luca utilizza una forte sottolineatura del gesto attraverso una doppia enfatizzazione non necessaria:
“tutti e due”, “Filippo e l’eunuco”. Il testo sembra suggerire che chi accompagna un altro nel cammino della fede non può restare fuori da
questo stesso cammino: deve in qualche modo accettare di ripercorrere
differentemente, a partire dall’altro, il percorso della fede già una volta
compiuto. Non si esce indenni da un accompagnamento.
Abbiamo una sesta caratteristica dell’evangelizzatore come “compagno di viaggio”. Si tratta di compromettersi realmente nel cammino
di fede dell’altra persona. L’evangelizzatore non può stare fuori a guardare. Deve rischiare un ricominciamento a partire dall’altro. Questo ricominciamento porta l’evangelizzatore stesso a “credere diversamente”,
ricevendo da colui che accompagna una sorta di re iniziazione. Chi
evangelizza chi? C’è una reciproca evangelizzazione
7. Sa scomparire
Infine è bello sottolineare che il testo termina con l’indicazione
che lo Spirito rapisce Filippo e lo porta lontano, mentre l’eunuco prosegue con gioia la sua strada.
Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza per ogni evangelizzatore. Segnala il carattere di mediazione di ogni accompagnamento e la necessità di lasciare pieno spazio all’azione dello Spirito e
al cammino personale dei soggetti. L’accompagnamento mira a restituire le persone all’azione dello Spirito, il quale è l’unico missionario
competente.
Questo significa anche che l’accompagnamento rinuncia a verificare i risultati. Noi seminiamo, qualcun altro irrigherà, la solo Dio fa
crescere.
Conclusione
«Il 26 dicembre 1999, un uragano chiamato «Lothar» ha dilagato
sull’Europa, in particolar modo nell’Est della Francia, con venti a più di
150 km orari. Si stima che 300 milioni di alberi siano stati abbattuti sul
territorio francese…
Dopo la catastrofe, alcuni uffici tecnici hanno velocemente elaborato programmi di rimboschimento, progetti di reimpianto, piani di semina. Si trattava di approfittare della catastrofe per ricostruire la foresta
secondo l’immagine ideale che era possibile farsene.
Ma una volta che si è trattato di attuare questi piani di rimboschimento, gli ingegneri forestali hanno constatato che la foresta li aveva
anticipati. Hanno osservato una rigenerazione più rapida di quella prevista che veniva ad ostacolare i piani di rimboschimento manifestando
talora delle configurazioni nuove, più vantaggiose, alle quali gli uffici
tecnici non avevano pensato. La rigenerazione naturale della foresta
manifestava, sotto molti aspetti, una migliore bio-diversità e un miglior
equilibrio ecologico…
Da una politica volontaristica di ricostruzione della foresta secondo
i loro piani, gli ingegneri forestali sono passati ad una politica più duttile
di accompagnamento della rigenerazione naturale della foresta... Non
si trattava di rinunciare ad ogni intervento, ma, piuttosto, con più competenza, di accompagnare, in maniera attiva e vigilante, un processo di
rigenerazione naturale…“Giovani piantine di alberi di varie specie sono
cresciute. Il nostro lavoro è stato allora di liberarle delicatamente, di
accompagnarle, di accogliere la vita della natura invece di credere che
fosse scomparsa, invece di reimpiantarla artificialmente”.
… Anche la Chiesa ha conosciuto, soprattutto da una quarantina
d’anni, un uragano. Il panorama religioso, almeno nelle sue espressioni
tradizionali, è devastato. Certo, il paragone non può diventare norma:
l’umanità non è una foresta e gli esseri umani non sono delle piante.
Ma ciò che ci interessa, analogicamente, per il nostro scopo, è il cambiamento di atteggiamento dei forestali: il loro passaggio da una politica
volontaristica di ricostruzione della foresta ad una politica di accompagnamento, attiva e lucida, di una rigenerazione in corso. Non si do-
vrebbe operare lo stesso passaggio anche in pastorale: passaggio da
una pastorale di “conservazione” (d’encadrement) a una pastorale di
“accompagnamento” (d’engendrement)? (André Fossion).
SECONDA PARTE
ZONA PASTORALE DI SORA
SINTESI
Luci e ombre del vissuto di pastorale di evangelizzazione
degli adulti.
Circa il vissuto dell’attuale pastorale, in riferimento all’evangelizzazione degli adulti, le parrocchie hanno manifestato ombre e luci, soprattutto nell’individuare la proposta di iniziazione cristiana, come lo
spazio ideale per incontrare gli adulti e nello stesso tempo la difficoltà
nello strutturare veri e propri cammini di formazione per la loro presenza discontinua.
Inoltre gli stessi itinerari di preparazione al battesimo ed al matrimonio, sono destinati a concludersi dopo il conferimento dei rispettivi
sacramenti, la stessa pastorale mistagogica, che accompagna la vita di
fede fa fatica a decollare
È realtà che dove esiste un’esperienza di animazione dei ragazziadolescenti (ACR), la presenza degli adulti è più curiosa e corresponsabile nell’azione pastorale. Come la presenza di gruppI, movimentI,
associazioni, tiene viva e coinvolgente la presenza degli adulti.
La stessa catechesi dove sono interpellati gli adulti e dove l’incontro è intorno alla Parola di Dio, raccoglie un piccolo numero di persone
che crescono sì nella consapevolezza e comprensione della loro fede,
ma poco riescono ad incidere e aggregare persone per una presenza
più continua.
La Scuole di Formazione Teologica costituisce una luce di speranza, in tale contesto, per un serio e organico cammino di formazione
degli adulti.
La consapevolezza della semplicità e della complessità del
secondo annuncio, come punto di partenza.
1. Il progetto “secondo annuncio” è allo stesso tempo semplice e
complesso. E’ semplice perché non intende inventare niente, si limita
a sollecitare le parrocchie, a ravvivare l’ esistente. E’ complesso, perché
l’ agire pastorale è carico di una pastorale tradizionale, frammentata, di
tante buone intenzioni, ma dove gli stessi operatori , non riescono a
far emergere la forza, a capire i soggetti, a interpretare i fenomeni in
atto, in vista di una pastorale più missionaria, più estroversa.
2. Una comunità cristiana messa in causa nel suo essere e nel suo
vissuto, nella sua capacità di configurarsi come vera fraternità. Si richiede una chiesa del secondo ascolto: la parola di Dio per una operazione spirituale nel ritornare ad essere discepoli.
Non strategie comunicative o psicologiche, ma una chiesa del secondo annuncio, impegnata in un’operazione di prossimità. Il secondo
annuncio è la grazia di rincominciare: lasciarsi cambiare dalla pratica e
interrogare le pratiche, lasciandosi guidare da tre regole: il vangelo e
il dono di se ( la parrocchia), lo stupore e la meraviglia della gratitudine
(la liturgia), raggiungere le persone dentro la loro vita (la reciprocità).
Alcuni aspetti di non ritorno compresi ed accolti.
Un serio realismo: è cambiato tutto! Il territorio è tutto fuorchè
cristiano. Si richiede un cambiamento qualitativo nelle parrocchie nel
suo modo di annunciare il vangelo.
Agli adulti che vivono una fede dovuta-scontata-obbligata , è necessario mostrare il volto di un Dio desiderabile. Agli adulti lontani si
tratta di riconciliarli con la chiesa e il vangelo, aiutarli a rincominciare
a credere, a capire la vita cristiana come umanizzante.
A coloro che chiedono i sacramenti, offrire una proposta che favorisca la dimensione del dono e della sorpresa, non partire dalle esigenze morali della fede, suscitare stupore, meraviglia.
A coloro che vivono eventi tristi, farsi accanto, credenti o diversamente credenti, saper mostrare che il dono di Dio raggiunge le persone
dentro la loro vita.
Ai catechisti in ascolto del secondo annuncio, che affrontano una
sfida molto seria, è necessario chiedere un rinnovamento profondo
della catechesi: essere perseveranti nella formazione, la loro formazione
non è mai pienamente esaurita; consolidare la propria fede e la fede
ecclesiale con iniziative di formazione biblica e teologica; un’ autoformazione per una maturazione come credente che supera il catechismo
come scuola e che testimonia il loro essere inseriti in una comunità fraterna e buona. Come metodo : educare alla memoria attraverso i racconti, educare ai riti nello stare simbolicamente dentro la vita, educare
alla morale coltivando i desideri, educare alla interiorità formando alla
preghiera.
Per la catechesi per gli adulti non si può parlare di secondo annuncio se la catechesi è inesistente, frammentate trascurata. I nostri
operatori pastorali affrontano anche loro una sfida molto seria.
Alcuni passi concreti.
Partire dall’eucaristia della domenica. Nella domenica dovrebbe
apparire la bellezza di una famiglia che si riunisce per pregare, per vivere
nella gioia. La domenica edifica le comunità ecclesiali, genera i cristiani
e li plasma.
Un rinnovamento dell’iniziazione cristiana dei ragazzi nei suoi
aspetti formativi – organizzativi -pratici. Tutta la comunità è responsabile dell’iniziazione cristiana dei ragazzi. I cambiamenti in atto coinvolgono prima di tutto i ragazzi con le loro famiglie. L’iniziazione deve
aiutare i ragazzi ad entrare nella comunità.
Il battesimo come dono prima e poi come scelta. Il valore di questa
prima catechesi. La comunità è la prima catechesi che vive di amore e
di preghiera. Si tratterà di rendere veri i sacramenti, capire cosa fare
perchè non siano semplici e vuoti i riti, ma eventi che trasformano l’esistenza. In questo si necessita continuamente il discernimento e la verifica della richiesta di voler celebrare il sacramento. La pastorale
battesimale è l’ esperienza del generale che apre la coppia a una novità
dirompente: l’ attesa di un figlio è un occasione per riprendere in
mano la loro storia e la loro fede.
Questo chiama e coinvolge la comunità , l’ itinerario, gli accompagnatori, la proposta. Accanto a questa l’ esperienza della genitorialità
nelle sue varie fasi: generare ed essere generati.
ZONA PASTORALE DI PONTECORVO
SINTESI
Al laboratorio della zona pastorale di Pontecorvo non sono state
rappresentate tutte le parrocchie. I sacerdoti e i laici presenti hanno
condiviso le loro esperienze, sottolineando sia gli aspetti positivi che
quelli negativi, relativi alle iniziative e alle attività presenti nelle diverse
comunità e rivolte agli adulti.
Innanzi tutto è emerso che i dati raccolti e presentati dal relatore
fratel Enzo Biemmi, rispecchiano una situazione evidente anche nel nostro territorio. La fine del cristianesimo sociologico e di tradizione, sta
rendendo necessario ripensare lo stile dell’evangelizzazione agli adulti
anche nelle nostre parrocchie.
Relativamente al primo punto Luci ed ombre, i presenti hanno
evidenziato che in tutte le comunità del territorio sono già presenti
iniziative di tal genere. Sono attivi gli itinerari di preparazione al matrimonio, gli incontri con i genitori che chiedono il battesimo per il figlio
( in qualche caso i sacerdoti incontrano le famiglie nelle loro case), le
catechesi per i genitori e i padrini dei ragazzi che ricevono la I Comunione e la Cresima. In alcune parrocchie, inoltre, si organizzano momenti di “lectio divina” o di incontri con la Parola. I momenti di
convivialità organizzati con gruppi e confraternite hanno anche per-
messo ad alcuni sacerdoti di avvicinarsi alle persone e ai loro stili di vita
in modo più fraterno e gioioso, ottenendo in certi casi opportunità favorevoli al secondo annuncio.
Le ombre più evidenti sono quelle relative al fatto che anche dopo
periodi di catechesi o di incontri le persone tendono ad allontanarsi di
nuovo, a non partecipare alla messa domenicale a non rimanere legati
alla vita della parrocchia. L’innamoramento, la gioia dell’annuncio, il
desiderio di rapportarsi con la Parola difficilmente permangono, provocando nei sacerdoti e negli operatori pastorali un senso di insoddisfazione. “ E’ come se si seminasse sempre su un terreno sassoso, il
seme viene accolto ma stenta a germogliare”.
I passi concreti che possono essere fatti devono comunque riguardare la valorizzazione di quello che già si ha. Il primo passo, importantissimo, è quello di cambiare il punto di vista e impostare la
catechesi degli adulti in prospettiva del secondo annuncio, non bisogna avere aspettative, si deve agire con calma e perseveranza migliorando sempre più ciò che si fa’. Un altro piccolo passo è quello di
avvicinare le persone testimoniando con la propria vita l’incarnazione
del primo annuncio, entrando nelle sofferenze, nel lutto, nel disagio
economico portando sia l’aiuto concreto ma soprattutto la speranza
che viene da Cristo Risorto.
Un’altra proposta semplice, ma non del tutto scontata, è quella
di tenere le chiese aperte, pronte ad accogliere in qualsiasi momento
della giornata chi vuole entrare, ma anche pronte a far uscire tra la
gente coloro che vi si sono rinchiusi con il rischio di ammalarsi. “ Meglio una Chiesa incidentata che una Chiesa malata”. A questo proposito
i parroci di San Giovanni Incarico hanno presentato l’ iniziativa della
loro parrocchia “Notte bianca della misericordia” che si terrà alla fine
del mese di Marzo.
ZONA PASTORALE VALLE DEL LIRI
SINTESI
Iniziazione cristiana degli adulti non battezzati.
E’ un fenomeno ancora del tutto irrilevante, al quale occorre
tuttavia prepararsi soprattutto per la presenza ormai significativa di
molti stranieri appartenenti ad altre tradizioni religiose, ma che cominciano a mostrare un certo interesse per la nostra religione, se
non altro per il fatto che, essendo qui da molti anni, ritengono che
sia bene integrarsi fino in fondo nel paese in cui i loro figli intendono
costruire il loro futuro.
Riscoperta dell’iniziazione cristiana degli adulti battezzati ed esperienze in atto.
- Un numero considerevole di persone hanno preso le distanze
dalla Chiesa e dal Vangelo. Non si fa nulla per “andarle a cercare”.
Si gioca d’attesa…
- Un certo numero di persone “si riavvicina” alla Chiesa e domanda di conoscere il Vangelo. Al riguardo esperienze positive non
mancano, come quella del Rinnovamento nello Spirito e di altri
Gruppi e Movimenti ecclesiali. A livello strettamente parrocchiale
non esistono proposte significative. Coloro che, per motivi vari, “ricominciano” un cammino di fede intensificano la pratica religiosa
e, nel migliore dei casi, si fanno guidare spiritualmente da qualche
sacerdote.
- Altri, che praticano per tradizione, venendo in contatto con
laici formati, mostrano di voler approfondire la conoscenza della
fede. Le iniziative sono tante e le parrocchie ne privilegiano l’una o
l’altra (Corsi biblici, Centri di Ascolto, Pellegrinaggi, Catechesi durante i periodi forti dell’anno, incontri mensili per gli assistiti dei Centri di Ascolto Caritas…), ma mancano di sistematicità.
- Altri, dopo questi percorsi di riscoperta della fede, decidono di
coinvolgersi nell’apostolato. Nella maggior parte delle parrocchie esistono per costoro itinerari di formazione per settori pastorali.
- Sono molti i giovani che, forse solo per tradizione o per adempiere un atto ritenuto in qualche modo un dovere, chiedono di ricevere la Confermazione e di sposarsi in Chiesa. Gli itinerari per loro,
sebbene suscitino interesse ed entusiasmo, sono talmente brevi e, talvolta, così poco sistematici che non producono in essi un cambiamento di vita e, nell’azione pastorale, una significativa inversione
di tendenza.
- La pastorale giovanile è curata in modo sistemato solo nelle
parrocchie dove esistono le aggregazioni ecclesiali.
Occasioni e ambiti per l’evangelizzazione degli adulti.
- Il Battesimo dei bambini. La nascita di un figlio per la stragrande maggioranza delle famiglie è un evento che offre l’occasione
di ripensare alla fede. La realtà però è varia. Accanto a famiglie ve-
ramente cristiane, ve ne sono altre che, prese dagli affanni quotidiani, trascurano abitualmente la pratica religiosa; la nascita di un
bambino fa riemergere il bisogno di Dio e vogliono che il figlio riceva
gli stessi doni che hanno ricevuto loro da piccoli. Ve ne sono poi altre,
per lo più lontane dalla fede, che avvertono in maniera confusa il
“mistero” della vita, percepiscono nella loro creatura qualcosa di
grande, per cui desiderano assicurarle tutto ciò che può farle del
bene. Spesso si tratta di giovani conviventi, non sposati in Chiesa, divorziati addirittura con più di un fallimento matrimoniale alle
spalle. In tutte le parrocchie si fanno ormai degli “incontri” di preparazione al Battesimo con i genitori, i padrini e le madrine, senza
alcun richiamo dopo il Battesimo, eccetto in qualche parrocchia,
dove però ci si limita ad una sola convocazione per il primo anno
in occasione di feste liturgiche adatte allo scopo. Nella parrocchia di
San Lorenzo M. gli operatori pastorali si recano nelle case non appena sono a conoscenza della scelta fatta dalle famiglie e valutano
molto positivamente l’esperienza, anche se pure questa limitata solo
alla fase che precede il Battesimo.
- Gli itinerari di iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi,
battezzati da piccoli. La meta della catechesi, purtroppo, è ancora
principalmente quella di preparare a ricevere i sacramenti e non
quella di “dare inizio” all’incontro con Cristo Signore della vita. E’
condivisa da tutti l’idea che anche questa è una preziosa occasione
per rivolgersi agli adulti, ma le iniziative pastorali sono sostanzialmente quelle previste per la celebrazione del Battesimo dei figli. In
qualche caso l’accompagnamento delle famiglie si limita a qualche
incontro per preparare la “cerimonia”.
- Gli itinerari di preparazione alla vita coniugale e familiare.
E’ sempre più frequente il fenomeno di giovani che convivono e che
hanno già figli, quando si presentano dal parroco per “prenotare la
Chiesa”. E’ cresciuto, e di molto, la qualità degli itinerari, soprattutto
grazie al coinvolgimento dei laici e del paziente lavoro di formazione
di un’équipe che se ne occupa stabilmente. Possiamo dire che questo
è il settore in cui si è maggiormente investito in questi anni e in cui
c’è più sistematicità. Visto anche l’entusiasmo suscitato dagli itinerari,
sono in corso vari tentativi per riprendere il cammino anche dopo
la celebrazione del matrimonio, ma ancora non si riscontrano risultati soddisfacenti. Il problema più serio è che gli itinerari sono a
livello zonale e che non c’è, nella maggior parte dei casi, alcun coinvolgimento delle parrocchie di appartenenza.
Alcuni nodi da sciogliere
La mancanza di una seria progettualità pastorale: la pastorale
è ancora troppo frammentaria, episodica, improvvisata.
La difficoltà a passare ad una mentalità e ad un’azione pastorale più missionaria.
La scarsità di operatori pastorali capaci di farsi carico degli
adulti.
Il debole senso di appartenenza alla Chiesa da parte degli stessi
operatori pastorali e, di conseguenza, la difficoltà dei cosiddetti “lontani” a sentire la parrocchia come comunità e come casa propria.
Presenti circa 90 persone. Sono rappresentate tutte le parrocchie, eccetto quella di San
Folco in Santopadre.
ZONA PASTORALE VALLE DI COMINO
SINTESI
Nella terza serata del Seminario teologico-pastorale sul tema “Il secondo annuncio per il risveglio della fede nell’età adulta” i partecipanti sono chiamati a dividersi in gruppi a seconda delle zone pastorali
di appartenenza. Il gruppo della zona Val di Comino, presieduto dal
vicario zonale Don Akuino e costituito da laici e sacerdoti, si ritrova
per condividere quanto è emerso dalle relazioni ascoltate di fratel Enzo
Biemmi e raccogliere gli stimoli suscitati, per mettere in comune le iniziative positive in atto nelle varie parrocchie della zona relative al “secondo annuncio agli adulti” nonché le difficoltà e limiti che si
riscontrano nell’attuazione concreta.
Il gruppo fa presente che è stata già effettuata una verifica nell’ultima assemblea zonale in cui sono state presentate sia le attività pastorali
che si stanno attuando nelle parrocchie e sia le difficoltà relative soprattutto all’evangelizzazione degli adulti. In questa esperienza di formazione il gruppo ha acquisito una maggiore consapevolezza di quanto
sia necessario passare da una pastorale di conservazione delle tradizioni
fondate prevalentemente sul culto ad una pastorale missionaria che
spinge ad uscire dallo steccato delle sagrestie e trovare forme e modalità
nuove di evangelizzazione per tutte le stagioni della vita. Questo com-
porta un cambiamento di rotta, una rinnovata conversione personale
e comunitaria per poter raggiungere quanti hanno assopito la loro fede
o quanti non la considerano necessaria per vivere una vita umana e
sensata.
Dal gruppo sono emerse semplici proposte utili a creare una maggiore sinergia tra le parrocchie e a utilizzare al meglio le risorse presenti
nelle varie comunità. Don Akuino fa presente che la nostra zona pastorale conta circa quindicimila anime con quattordici parrocchie di cui
solo tre hanno più di duemila parrocchiani, le altre sono piccole comunità intorno ai mille abitanti. Pertanto si dovrà puntare ad una pastorale
integrata unitaria e favorire una maggiore apertura tra le parrocchie più
vicine. Inoltre sarebbe utile che ci fosse il supporto con l’ animazione
da parte dell’AC nelle realtà parrocchiali.
Dagli interventi è emerso quanto segue:
Intensificare i centri di ascolto nelle famiglie e soprattutto nelle
case dislocate nelle zone più isolate (Angela e Claudia - Casalattico);
Favorire momenti di lectio divina non solo in Chiesa con lettura,
ascolto e meditazione della Parola. Inoltre sarebbe necessario creare
delle situazioni affinché possa nascere nelle persone il bisogno di riscoprire la bellezza del nostro essere cristiani e magari essere noi lo
strumento per provocarlo. Nel portare la sua testimonianza di conversione avvenuta in età avanzata precisa che i quarantenni rappresentano
la fascia più critica in quanto non hanno avuto modelli di riferimento
in età giovanile. Questo ci spinge ad avere una maggiore attenzione per
questa fascia di età (Maria - Alvito);
Percorso di catechesi per spiegare il significato dei vari momenti
della Messa per far riscoprire la bellezza e il gusto della partecipazione
più attiva alla celebrazione che spesso denota una certa passività e
senso abitudinario (Simona - Alvito);
Nella parrocchia di Fontechiari don Alessandro fa presente che nel
periodo di Avvento è stato proposto un percorso mirato a spiegare i
significati dei vari momenti della messa ed ha riscontrato interesse nelle
persone.
Recuperare il tempo per far visite alle famiglie, andare nelle loro
case e parlare con semplicità di Gesù, della nostra fede e questo è un
modo per donare agli altri il tesoro che abbiamo ricevuto (Sara);
Programmare durante l’anno pastorale delle giornate per la famiglia in cui condividere momenti di riflessione, agape fraterna, momenti
di gioco per i bambini e celebrazione della Messa. Individuare spazi
nelle diverse zone della Valle adatti a questa iniziativa e invitare tutte
le famiglie a partecipare (Rosina Castello Alvito);
Don Alberto fa presente che in occasione dell’inizio del restauro
della Chiesa di San Simeone ad Alvito, ha lanciato un monito ai suoi
parrocchiani dicendo che al restauro della Chiesa materiale dovrà corrispondere anche il restauro di quella spirituale. Lo stesso invita a riprendere il discorso sulla proposta fatta già da tempo di iniziare la
missione nella zona, incitando i laici presenti in ogni parrocchia a rendersi disponibili per questa esperienza. Fa presente che spesso siamo
tentati a scoraggiarci se non vediamo adesioni numerose agli incontri
o pochi laici disponibili. Ribadisce che l’annuncio diventa testimonianza
anche solo per il fatto che si sta insieme e si condivide perché gli altri
possano vedere e rimanere affascinati dal nostro modo di fare. La fede
cammina lentamente e si trasmette per contagio anche solo per “contatto a tu per tu” e questo potrebbe essere già un inizio per dare voce
a piccole esperienze missionarie. Solo chi è veramente convinto può
incidere nel cuore dell’altro.
Maria Luisa fa presente che nel mese di maggio in quasi tutte le
parrocchie ci si riunisce per la recita del rosario nelle case in diverse
zone del paese. Questo è un’occasione per programmare dei momenti
di catechesi nei vari gruppi della valle da parte dei laici. Inoltre la stessa
chiede se nella nostra valle sono presenti associazioni laicali che possono contribuire e supportare le parrocchie in questo compito missionario. A tale domanda qualcuno risponde che è presente l’Associazione
Oasi Mariana Betania .
A tal proposito Maria Vittoria informa che domenica 16 marzo alle
15.30, presso l’Oasi Mariana, ci sarà il prossimo incontro per le famiglie
dal titolo “Famiglia ed educazione” a cui possono essere invitate a partecipare le famiglie della nostra valle.
Un’altra proposta viene da Antonella di S.Onofrio che suggerisce
di costituire un coro liturgico zonale in collaborazione con il maestro
Giacomo Cellucci.
Un’altra modalità di annuncio potrebbe essere quella di avvicinare
le persone e parlare di Gesù nel giorno di mercato ad Alvito (Loreto
Alvito).
Questo breve momento si conclude con l’augurio che possa continuare e diventare oggetto di condivisione nelle parrocchie per iniziare una riorganizzazione pastorale utilizzando tutte le risorse a
disposizione.
ZONA PASTORALE VALLE ROVETO
SINTESI
A conclusione del seminario tenutosi nei giorni 10, 11 e 12 marzo
2014 presso la chiesa San Carlo di Isola del Liri, siamo stati invitati da
Mons. Gerardo Antonazzo a riflettere sulle iniziative intraprese nelle
nostre realtà parrocchiali e sulle azioni da porre in essere in merito all’evangelizzazione o meglio seconda evangelizzazione, stimolati dalla
preziosa testimonianza del relatore Fratel Enzo Biemmi. A tal proposito
sono stati formati dei gruppi di lavoro suddivisi per Zona Pastorale. Il
nostro gruppo è costituito dai laici impegnati nelle attività parrocchiali
(operatori pastorali, catechiste…), dal Vicario di zona e dai sacerdoti
appartenenti alle diverse Parrocchie della Valle Roveto, ma non tutte le
comunità sono rappresentate, né dal sacerdote, né dai fedeli laici.
Gli interventi che hanno caratterizzato la nostra riflessione sono
stati brevi ma molto sentiti, fattore che ha evidenziato un primo aspetto
fondamentale, la volontà, di trovare insieme, attraverso la testimonianza
delle proprie esperienze, quelle strade ritenute più praticabili per il raggiungimento di traguardi, tappe essenziali nel cammino di fede da proporre. A guidare i nostri “passi” in questo itinerario di proposte da
avanzare e azioni già poste in essere, per favorire l’annuncio della fede
agli adulti, sono certamente le preziose relazioni di Fratel Enzo Biemmi
ed il progetto pastorale diocesano per l’anno 2013-2014. Due le tracce
che ci sono state affidate per sviluppare, seppur in breve tempo, la nostra riflessione:
Luci ed ombre – In base agli stimoli dalle due relazioni, mettete
in comune le iniziative positive in essere nelle nostre comunità relative
al secondo annuncio agli adulti. Indicate anche le difficoltà ed i limiti
dell’attuale proposta di evangelizzazione agli adulti.
Passi concreti – Tenendo conto della situazione concreta delle
famiglie e degli adulti nelle nostre comunità parrocchiali, verificare quali
sono i piccoli passi concreti da poter mettere in atto per una pastorale
più missionaria.
Il punto di partenza della nostra riflessione è la consapevolezza
che per poter dare una risposta più adeguata ed efficace alle richieste
provenienti dagli adulti e anche dai giovani, di un cammino di fede che
ha il suo fulcro nei sacramenti ed in particolare quelli dell’iniziazione
cristiana (battesimo-cresima-eucarestia), è necessario unire le forze e
cercare di proporre progetti a livello interparrocchiale, abbattendo quei
“muri” costruiti nel tempo tra le comunità, nella convinzione di riuscire
ad operare meglio nel piccolo, senza rendersi conto, in realtà, che la
non apertura non rinnova lo sguardo su ciò che accade intorno, non
permette di cogliere i segni dei tempi, di affrontare il cambiamento che
inevitabilmente è in atto a livello sociale, culturale, economico. A proposito di sguardo rinnovato, non possiamo non fare riferimento alle
parole di Mons. Gerardo Antonazzo durante l’omelia del 09 ottobre
2013 presso la chiesa Cattedrale S. Maria Assunta durante la celebrazione della S. Messa per l’inizio dell’Anno Pastorale, inerenti la guari-
gione della cecità fisica di Bartimeo immagine della guarigione della cecità del cuore umano e la domanda al Signore: “Maestro che io veda
in modo nuovo” da cui scaturisce il decalogo dello sguardo guarito,
rinnovato, che prendiamo in considerazione per una ulteriore riflessione: 1 - Guardarsi dentro (guardare i propri limiti, i propri difetti..); 2 – Guardare dentro (guardare la comunità da dentro); 3 –
Guardare fuori (uscire fuori dalla comunità per capire); 4 – Guardare in faccia (favorire la cultura dell’incontro, del cammino insieme); 5 – Guardare oltre (oltre il gruppetto, intercettare gli altri);
6 – Guardare tutti (universalità della famiglia di Dio); 7 – Guardare con gli occhi di Dio (occhi che incoraggiano); 8 – Guardare
avanti (costruire il presente per il futuro); 9 - Guardare lontano;
10 - Guardare alto.
La prima difficoltà che viene messa in risalto è la non continuità
delle iniziative intraprese, molte delle quali infatti vengono proposte e
messe in atto in determinati momenti dell’anno liturgico (momenti
forti) o in determinate circostanze, senza avere un seguito, per cui seppur preziose, perdono la loro efficacia nel tempo. A tal proposito riflettiamo sulle parole di Fratel Enzo, il quale, ribadendo gli insegnamenti
di Papa Francesco, sostiene che è necessario passare da una pastorale
di semplice conservazione ad una pastorale decisamente missionaria.
(Evangelii Gaudium n. 27 “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli
orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale
adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione
pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse
diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le
sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali
in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva
Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella
Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda
di una specie d’introversione ecclesiale»). Emerge un’altra difficoltà,
la mancanza di una prospettiva missionaria nella catechesi e nella pastorale delle nostre parrocchie. Altri interventi mettono in evidenza le
difficoltà di comunicare con il mondo esterno legate al fatto che si sta
troppo dentro la chiesa, si esce poco fuori se non in determinate situazioni, dedicando comunque troppo poco tempo a queste occasioni di
apertura verso l’esterno, verso le periferie della società, verso i “lontani”.
Contemporaneamente si afferma che comunque ciò che si semina oggi,
si raccoglie domani, magari quando noi non ci saremo e quindi bisogna
avere fiducia, ma viene sollevato un interrogativo: “Oggi cosa stiamo
raccogliendo di ciò che è stato seminato?”. Si mette altresì in evidenza
come sia difficile fare un cammino di fede con le famiglie, gli adulti, che
non si sentono compresi soprattutto di fronte a situazioni difficili e
quindi la domanda: “La famiglia e gli adulti epicentri dell’annuncio
– Come?”. La prima parte della riflessione assume toni un po’ pessimistici che tendono a farci perdere di vista le altre tracce assegnate, ragion
per cui nel poco tempo rimasto a disposizione, viene proposto di
esporre le iniziative positive che sono in atto presso le singole comunità
parrocchiali. Don Matteo ci parla della sua esperienza, affermando che
è fondamentale andare nelle case, approfittare di qualsiasi occasione,
la festa della prima Comunione in casa ad esempio, per poter manifestare non soltanto con le parole ma soprattutto con le azioni quello che
è il centro dell’attività evangelizzatrice, il primo annuncio o kerygma,
“Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso
è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. In questa maniera si possono condividere momenti di gioia, di dolore, di preghiera, in un ambiente che non sia
necessariamente la chiesa e mettere in pratica azioni che esprimono
totale apertura e totale accoglienza dell’altro, vicino o lontano che sia,
senza distinzioni, senza pregiudizi. Tra le iniziative condivise emerge la
Peregrinatio Mariae, momento importante per coinvolgere la comunità
e le famiglie e riaccendere la luce della fede attraverso la preghiera comunitaria a Maria Santissima. Don Bernardo organizza catechesi per
adulti ogni primo venerdì del mese.
Per quanto riguarda la seconda traccia inerente i piccoli passi concreti da mettere in atto nell’azione evangelizzatrice, si mette in evidenza
il fatto che viene dedicato troppo poco tempo alle attività proposte dai
religiosi e dai laici. Un piccolo passo da fare sicuramente, dedicare più
tempo a tutte le attività proposte, alla preparazione ai sacramenti, ad
esempio alla confessione, momento che non è più vissuto come occasione per dialogare a cuore aperto con il Signore che è lì ad ascoltare
con amore chiunque ha bisogno di condividere sofferenze, angosce,
preoccupazioni, momento che spesso si riduce, proprio per mancanza
di tempo, ad una semplice elencazione di peccati, con la conseguente
perdita del significato più profondo di questo sacramento. Bisogna recuperare il tempo anche se ciò significa non poter fare tutto, meglio
fare poche cose fatte bene piuttosto che perseguire più traguardi…è
un discorso qualitativo, qualità della testimonianza, delle relazioni…
emerge un dato chiaro ed inconfutabile il poco tempo dedicato alle iniziative non permette di mettere in pratica il principio che è alla base di
ogni annuncio, il principio del camminare insieme, del farsi compagno di viaggio, proprio come fa Gesù…a proposito di tempo appro-
fittare della benedizione delle famiglie in occasione della S. Pasqua cercando di dedicare qualche minuto in più per il dialogo oltre che la preghiera, soprattutto in quelle famiglie dove si vivono particolari
situazioni, di lutto, di sofferenza. Impostare un cammino più accurato,
in occasione della preparazione dei genitori al Battesimo del primo figlio, accompagnandoli anche dopo la celebrazione del sacramento. Le
persone hanno bisogno di essere ascoltate e questo richiede tempo,
pazienza, dedizione, bisogna uscire dalle chiese ( “la chiesa una casa
in mezzo alle altre case”), bisogna “andare incontro, cercare i lontani
e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi…bisogna
mettersi, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri per
accorciare le distanze; bisogna accompagnare con pazienza senza
pregiudizi…bisogna fare in modo che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova…. (Evangelii Gaudium n. 24). Ecco il senso pieno dell’annuncio, del secondo primo
annuncio.
Forti risuonano le parole di Papa Francesco evocate dal Vescovo
Mons. Gerardo Antonazzo prima di congedarci al termine delle riflessioni, come esortazione per quelle che saranno le nostre azioni concrete
nelle realtà di tutti i giorni, “Le sfide esistono per essere superate. Siamo
realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena
di speranza. Non lasciamoci rubare la forza missionaria!” (Evangelii Gaudium n. 109). Ci auguriamo che questo monito risuoni costantemente ed incessantemente nei nostri cuori, affinché anche nei
momenti di difficoltà, anche quando non si vedono i frutti di ciò che
seminiamo, non venga meno la volontà di svolgere il compito prezioso
di accompagnamento alla fede dei nostri fratelli cristiani.
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