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A proposito della sfericità della Terra e la scoperta del
A proposito della sfericità della Terra e la scoperta del Mondo Nuovo Malgrado le leggende gli studiosi non credevano alla teoria del disco piatto. di Umberto Eco Sandro Botticelli, La voragine infernale, illustrazione per la Divina Commedia, 1480 cr., Biblioteca Apostolica Vaticana . Quando si è iniziato a riflettere su quale fosse la forma della Terra, era stato abbastanza realistico per gli antichi ritenere che essa fosse quella di un disco. Per Omero il disco era circondato dall’Oceano e ricoperto dalla calotta dei cieli, e – a giudicare dai frammenti dei presocratici, talora imprecisi e contraddittori a seconda delle testimonianze – per Talete era un disco piatto; per Anassimandro aveva la forma di un cilindro e Anassimene parlava di una superficie piatta, contornata dall’Oceano, che navigava su una sorta di cuscino di aria compressa. Solo Parmenide pare ne avesse intuito la sfericità e Pitagora la riteneva sferica per ragioni misticomatematiche. Su osservazioni empiriche si erano invece basate le successive dimostrazioni della rotondità della terra, come testimoniano i testi di Platone e Aristotele. Dubbi sulla sfericità sopravvivono in Democrito ed Epicuro, e Lucrezio nega l’esistenza degli Antipodi, ma in generale per tutta l’antichità posteriore la sfericità della Terra non viene più discussa. Che la Terra fosse sferica lo sapeva naturalmente Tolomeo, altrimenti non avrebbe potuto dividerla in trecentosessanta gradi di meridiano, e lo sapeva Eratostene, che nel III secolo a.C. aveva calcolato con una buona approssimazione la lunghezza del meridiano terrestre, considerando la diversa inclinazione del Sole, a mezzogiorno del solstizio di primavera, quando si rifletteva nel fondo dei pozzi di Alessandria e di Syene (l’odierna Assuan), città di cui si conosceva la distanza. 1508, Johannes Ruysch, planisfero "a mantellina" dall'edizione romana di Tolomeo Malgrado molte leggende che ancora circolano su internet, tutti gli studiosi del medioevo sapevano che la Terra fosse una sfera. Anche uno studente di prima liceo può facilmente dedurre che, se Dante entra nell’imbuto infernale ed esce dall’altra parte vedendo stelle sconosciute ai piedi della montagna del Purgatorio, questo significa che egli sa benissimo che la Terra è tonda. Ma della stessa opinione erano stati Origene e Ambrogio, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, Ruggero Bacone, Giovanni di Sacrobosco, tanto per citarne alcuni. Nel VII secolo Isidoro di Siviglia (che pure non era un modello di accuratezza scientifica) calcolava la lunghezza dell’equatore. Indipendentemente dalla precisione delle sue misure, chi si pone il problema della lunghezza dell’equatore ovviamente ritiene che la Terra sia sferica. Tra l’altro la misura di Isidoro, sia pure approssimativa, non si discosta moltissimo da quelle attuali. Allora perché si è a lungo creduto, e ancora oggi molti lo credono, che il mondo cristiano delle origini si fosse allontanato dall’astronomia greca e fosse tornato all’idea della Terra piatta? Si provi a fare un esperimento, e si domandi a una persona anche colta che cosa Cristoforo Colombo volesse dimostrare quando intendeva raggiungere il Levante per il Ponente, e che cosa i dotti di Salamanca si ostinassero a negare. La risposta, nella maggior parte dei casi, sarà che Colombo riteneva che la Terra fosse rotonda, mentre i dotti di Salamanca ritenevano che la Terra fosse piatta e che, dopo un breve tratto di navigazione, le tre caravelle sarebbero precipitate dentro l’abisso cosmico. Una parte del pensiero ottocentesco, irritato dal fatto che varie confessioni religiose stessero opponendosi all’evoluzionismo, ha attribuito a tutto il pensiero cristiano (patristico e scolastico) l’idea che la Terra fosse piatta. Si trattava di dimostrare che, come si erano sbagliate circa la sfericità della terra, così le Chiese potevano sbagliarsi circa l’origine delle specie. Si è quindi sfruttato il fatto che un autore cristiano del IV secolo come Lattanzio (nel suo Institutiones divinae), siccome nella Bibbia l’universo viene descritto sul modello del tabernacolo, e quindi in forma quadrangolare, si opponesse alle teorie pagane della rotondità della Terra, anche perché non poteva accettare l’idea che esistessero degli Antipodi dove gli uomini avrebbero dovuto camminare con la testa all’ingiù. Infine, era stato scoperto che un geografo bizantino del VI secolo, Cosma Indicopleuste, in una sua Topographia Christiana, sempre pensando al tabernacolo biblico, aveva sostenuto che il cosmo fosse rettangolare, con un arco che sovrastava il pavimento piatto della Terra. Nel modello di Cosma la volta ricurva rimane celata ai nostri occhi dallo stereoma, ovvero dal velo del firmamento. Sotto si stende l’ecumene, ovvero tutta la Terra sui cui abitiamo, che poggia sull’Oceano e monta per un declivio impercettibile e continuo verso nord-ovest, dove si erge una montagna talmente alta che la sua presenza sfugge al nostro occhio e la sua cima si confonde con le nubi. Il Sole, mosso dagli angeli – a cui si debbono anche le piogge, i terremoti e tutti gli altri fenomeni atmosferici – , passa al mattino da oriente verso il meridione, davanti alla montagna, e illumina il mondo, e alla sera risale a occidente e scompare dietro la montagna. Il ciclo inverso viene compiuto dalla luna e dalle stelle. Molti autorevoli libri di storia dell’astronomia, tutt’oggi studiati, asseriscono che le opere di Tolomeo rimasero ignote a tutto il medioevo (il che è storicamente falso) e che la teoria di Cosma divenne l’opinione prevalente sino alla scoperta dell’America. Ma il testo di Cosma, scritto in greco, fu reso noto al mondo occidentale solo nel 1706 e pubblicato in inglese nel 1897. Nessun autore medievale lo conosceva. Come si è potuto sostenere che il medioevo considerasse la terra un disco piatto? Nei manoscritti di Isidoro di Siviglia, che pure, l’abbiamo visto, parlava dell’equatore, appare la cosiddetta “mappa a T” dove la parte superiore rappresenta l’Asia, in alto, perché in Asia stava secondo la leggenda il Paradiso terrestre, la barra orizzontale rappresenta da un lato il Mar Nero e dall’altro il Nilo, quella verticale il Mediterraneo, per cui il quarto di cerchio a sinistra rappresenta l’Europa e quello a destra l’Africa. Tutto intorno sta il gran cerchio dell’Oceano. Mappamondo, da L’Apocalisse di S. Severo, 1086, Paris, Bibliothèque Nationale de France Mappa a T, da La Fleur des Histoires, 1459-1463. Paris, Bibliothèque Nationale de France L’impressione che la terra fosse vista come un cerchio è data anche dalle mappe che appaiono in molti manoscritti medievali. Come era possibile che persone che ritenevano la terra sferica facessero mappe dove si vedeva una terra piatta? La prima spiegazione è che lo facciamo anche noi. Criticare la mancanza di tridimensionalità di queste mappe sarebbe come criticare la mancanza di tridimensionalità di un nostro atlante contemporaneo. Si trattava, allora come oggi, di una forma convenzionale di proiezione cartografica. Ma dobbiamo tenere in considerazione altri elementi. Il primo ci viene suggerito da Agostino, il quale ha ben presente il dibattito aperto da Lattanzio sul cosmo a forma di tabernacolo, ma al tempo stesso conosce le opinioni degli antichi sulla sfericità del globo. La conclusione di Agostino è che non bisogna lasciarsi impressionare dalla descrizione del Tabernacolo biblico perché, si sa, la Sacra Scrittura parla spesso per metafore, e forse la Terra è sferica. Ma siccome sapere se sia sferica o no non serve a salvarsi l’anima, si può ignorare la questione. Questo non vuole dire che non ci fosse un’astronomia medievale. Tra XII e XIII secolo vengono tradotti l’Almagesto di Tolomeo e poi il De coelo di Aristotele. Una delle materie del quadrivio insegnato nelle scuole medievali era l’astronomia, ed è del XIII secolo quel Tractatus de sphaera mundi di Giovanni di Sacrobosco che, ricalcato su Tolomeo, costituirà un’autorità indiscussa per alcuni secoli a venire. Ma se il Medioevo era epoca di grandi viaggi, con le strade tuttavia in disfacimento, foreste da attraversare e bracci di mare da superare fidandosi di qualche scafista dell’epoca, non c’era la possibilità di tracciare mappe adeguate. Esse erano puramente indicative, come le istruzioni della Guida dei pellegrini a Santiago de Compostela, e dicevano più o meno: “Se vuoi andare da Roma a Gerusalemme procedi verso sud e chiedi strada facendo”. Ora, cerchiamo di pensare alla carta delle linee ferroviarie che si trova nei vecchi orari. Nessuno da quella serie di nodi, in sé chiarissima se si deve prendere un treno da Milano a Livorno (e apprendere che dovrà passare per Genova), potrebbe estrapolare con esattezza la forma dell’Italia. La forma esatta dell’Italia non interessa chi deve andare alla stazione. I romani avevano tracciato una serie di strade che connettevano ogni città al mondo conosciuto, ma ecco come venivano rappresentate nella mappa detta Peutingeriana, dal nome di chi nel Quattrocento l’aveva riscoperta. La parte superiore rappresenta l’Europa, quella inferiore l’Africa, ma siamo esattamente nella situazione della mappa ferroviaria. Tabula Peutingeriana copia del XII secolo di un’antica mappa romana che mostrava le vie militari dell’Impero. La Tavola è composta da 11 pergamene riunite in una striscia di 680 x 33 centimetri. Mostra 200.000 km di strade, ma anche la posizione di città, mari, fiumi, foreste, catene montuose Da queste mappe si possono vedere le strade, da dove partono e dove arrivano, ma non si indovina affatto né la forma dell’Europa né quella del Mediterraneo né quella dell’Africa. Certamente i romani dovevano avere nozioni geografiche assai più precise, perché nel Mediterraneo navigavano in lungo e in largo, ma nel tracciare quella mappa e cartografi non interessava la distanza tra Marsiglia e Cartagine bensì la notizia che c’era una strada una strada che collegava Marsiglia a Genova. Per il resto i viaggi medievali erano immaginari. Il Medioevo produce enciclopedia, Imagines Mundi che cercano maggiormente di soddisfare i gusto del meraviglioso, raccontando di paesi, lontani e inaccessibili, e questi libri sono tutti scritti da persone che non avevano mai visto i luoghi di cui parlavano, perché la forza della tradizione allora contava più che l’esperienza. Una mappa non intendeva rappresentare la forma della terra ma elencare le città e i popoli che si potevano incontrare. Nella mappa dal Rudimentum Novitiorum del 1475 quello che preoccupa il miniatore e di rappresentare Gerusalemme al centro della terra, non come si arriva a Gerusalemme. Tutto questo mentre mappe dello stesso periodo rappresentano già piuttosto bene l’Italia e il Mediterraneo. Mappa da Lucas Brandis, Rudimentum Novitiorum, 1475, Oxford, Oriel College Library Roma, Basilica di S. Clemente, Basilica superiore Masolino da Panicale 1428 - 1430 Ultima considerazione, le mappe medievali non avevano funzione scientifica, ma rispondevano alla richiesta di favoloso da parte del pubblico, vorrei dire nello stesso modo in cui oggi riviste in carta patinata ci dimostrano l’esistenza dei dischi volanti e in televisione ci raccontano che le Piramidi sono state costruite da una civiltà extraterrestre. Nella mappa della Cronica di Norimberga, che pure è del 1493, accanto ad una rappresentazione cartograficamente accettabile, vengono rappresentati i mostri misteriosi che si ritenevano abitare quelle contrade. D’altra parte la storia dell’astronomia è curiosa. Un grande materialista come Epicuro coltivava una idea che è sopravvissuta a lungo tanto che ne discute ancora Gassendi nel XVII secolo, e che in ogni caso è testimoniata nel De rerum natura di Lucrezio: il sole, la luna e le stelle (per nolti serissimi motivi) non possono essere né più grandi né più piccoli di quanto appaiono ai nostri sensi. Per cui Epicuro giudicava che il sole avesse un diametro di una trentina di centimetri. Ed ecco come, se alcune culture antichissime credevano davvero in una terra piatta, molti dei nostri contemporanei, in contraddizione con lo stato delle nostre conoscenza storiche, ritengono ancora che gli antichi e i medievali credessero alla terra piatta. Dove si vede che la propensione alle leggende sta più dalla parte dei moderni che da quella dei loro avi Il Mappamondo di fra’ Mauro Il monaco veneziano fra’ Mauro lavorava nella laguna venta, presso il monastero camaldoliano di S. Michele. In contatto con il Portogallo era l’esecutore delle carte del re Alfonso V. Quali erano le sue idee? Cerchiamo di comprenderle dall’osservazione del suo stupefacente Mappamondo datato 1459. La sua Africa è circondata dall’acqua molti decenni prima che Bartolomeo Diaz raggiungesse la punta australe del continente nero, battezzato Capo di Buona Speranza, per dimostrare che l’India era raggiungibile per la via del Sud (ma l’Africa era già stata doppiata dai fenici su incarico degli egizi). Il mondo sferico di fra’ Mauro ha circa due metri di diametro. Un’opera bella e colossale che, secondo gli studiosi, risente dell’influenza islamica per l’orientamento della carta e non solo. Anche lui, come molti altri studiosi, dichiara di aver attinto al Milione di Marco Polo. Si tratta, in ogni caso, dell’ultimo prodotto della cartografia medievale e un primo esempio di transizione verso la cartografia moderna. Al centro della mappa si trova Gerusalemme. Il mappamondo di Fra Mauro è un planisfero databile attorno al 1450 ed attribuito al monaco Fra Mauro che rappresenta il mondo con le tutte terre conosciute all'epoca. Il grande planisfero circolare raffigura il mondo prima della scoperta dell'America. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana Ma quando fu scoperto il Mondo Nuovo? Ma allora non fu Colombo a scoprire l’”America”? La domanda è, forse, inutile. È certo che altri approdarono sulle coste americane prima di lui, difficile dire quando, ma un fatto è incontrovertibile: Cristoforo Colombo fu l’ultimo, il definitivo, colui che mutò il corso della storia. Nel mondo antico molte sono le raffigurazioni di piante od animali anacronisticehe, “impossibili”. Vediamone qualcuna. Roma, Museo delle Terme di Palazzo Massimo, mosaico datato I sec. a.C.- I sec. d.C. Pompei, Casa dell’Efebo, I sec. d.C. La piccola statua, di epoca romana, risale al III secolo d.C. ed è conservata al Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra La Mappa di Vinland, attualmente conservata all'Università di Yale. Fonte: www.wikipedia.org La mappa è una carta del mondo (un mappa mundi, come erano chiamati i planisferi del Medioevo) disegnata su un foglio di pergamena e risalente, apparentemente, al Quattrocento. Raffigura l’Europa, l’Asia e la parte settentrionale dell’Africa, con le forme e il livello di dettaglio tipico delle carte di quell’epoca. Ma ciò che la distingue da tutte le altre mappe simili si trova nell’angolo in alto a sinistra: il profilo estremamente dettagliato della Groenlandia e, più a ovest, una massa di terra, chiamata nella legenda Vinlanda, che si può facilmente identificare come la parte occidentale del continente nordamericano. La legenda scritta latino vicino al disegno di Vinlanda riporta che questa terra fu scoperta dal capitano ed esploratore islandese Leif Ericson secoli prima. La Groenlandia, che si credeva fosse un corpo unico con l’Europa, ebbe con Pasquale II, verso il 1100, un primo vescovo eletto per le regionumque finitarum, nella persona di Eric Gnupson. I pellegrinaggi groenlandesi e islandesi giunsero fino a Roma. Nel 1448 Nicolò V eleggeva un vescovo groenlandese. Sul finire del 1400 i cristiani groenlandesi fecero giungere a papa Innocenzo VIII un’estrema petizione per la loro salvezza, minacciati com’erano dalla scarsezza dei mezzi di sussistenza, che rischiavano di far finire nel nulla l’ultimo lembo occidentale di civiltà cristiana. Di un certo vescovo Mattia, inviato da Innocenzo VIII come vescovo di Groenlandia non si ebbero più notizie. In un “breve del 10 agosto 1492 papa (!) Alessandro VI lamenta il declino della fede in Groenlandia”. Ma c’è ancora un piccolo mistero da spiegare. Nella carta di Cantino del 1502 è indicata con il nome di Isabella l’isola di Cuba (era stata inizialmente battezzata Giovanna da Colombo. Giovan Battista Cybo era il nome del papa Innocenzo VIII), isola, appunto, a dispetto del fatto che Colombo non l’avesse mai compreso confondendola per tutta la vita con la terraferma. La carta era stata comprata dal Cantino a Lisbona da un ex compagno di viaggio di Colombo, Juan de la Cosa, che a sua volta ne aveva venduta una copia a Francesco Catanio che l’aveva infine consegnata ad Ercole d’Este di Ferrara nella cui Biblioteca è ancora conservata. E infine, l’ultimo grande mistero: come mai sulla lapide tombale di papa Innocenzo VIII di S. Pietro è scritto: novi orbis suo aevo inventi gloria (vd. seconda riga) nonostante egli sia morto il 25 luglio 1492? Innocenzo VIII Cristoforo Colombo Non trovate anche voi che questi due personaggi si assomiglino molto?