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PDT per il paziente oncologico affetto da metastasi ossee

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PDT per il paziente oncologico affetto da metastasi ossee
FONDAZIONE
IRCCS POLICLINICO
“SAN MATTEO”
Percorso diagnostico terapeutico per il
paziente osseo oncologico affetto da
metastasi ossee
Direzione
Sanitaria
Aziendale
PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO
PER IL PAZIENTE ONCOLOGICO AFFETTO
DA METASTASI OSSEE
PDT 064.2
SC Oncologia Medica
Protocollo per il paziente oncologico affetto da metastasi ossee
Rev. 1 del 31/12/2009
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FONDAZIONE
IRCCS POLICLINICO
“SAN MATTEO”
Percorso diagnostico terapeutico per il
paziente osseo oncologico affetto da
metastasi ossee
Direzione
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1. BACKGROUND E RAZIONALE
L’osso è una delle sedi più comuni di metastasi, essendo preceduto solo da fegato e
polmone. In Italia , ogni anno, si stimano circa 35.000 nuovi casi di metastasi ossee.
I tumori che più frequentemente danno metastasi ossee sono i tumori della mammella,
della prostata, del polmone, del rene e della tiroide. Questi tumori sostengono circa l’80%
dei casi di metastasi scheletriche.
Le metastasi ossee sono la causa maggiore di morbilità nei pazienti con cancro per due
motivi, uno epidemiologico e l’altro clinico.
Negli ultimi anni, infatti, si sta osservando ad un progressivo aumento di incidenza delle
metastasi ossee e questo è principalmente dovuto ad un miglioramento delle terapie
mirate per cui il paziente oncologico, anche se già con malattia metastatica, vive più a
lungo con una maggiore probabilità quindi di sviluppare nuove sedi di metastasi.
In circa 75% dei casi, le metastasi ossee sono responsabili, dal punto di vista clinico, di
una serie di complicanze, chiamate Eventi Scheletrici Correlati (SRE), rappresentati,
secondo le Linee Guida internazionali, da:
• frattura patologica;
• radioterapia su un segmento osseo, (o meglio necessità di un trattamento
radiante);
• chirurgia ortopedica;
• compressione midollare e ipercalcemia (emergenze oncologiche).
Nel restante 25% dei pazienti, la diagnosi di metastasi ossee viene fatta, invece,
accidentalmente con esami eseguiti per altri motivi o durante la stadiazione del tumore
primitivo e questo perché il paziente è asintomatico.
Il sintomo più frequente, invece, quando presente, è rappresentato dal dolore.
La frequenza degli eventi scheletrici dipende da:
PDT 064.2
•
tipo di metastasi ossea (osteolitica o osteoaddensante);
•
sede e numero;
•
gestione e trattamento degli eventi stessi.
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Gli eventi scheletrici e il dolore hanno dimostrato in diversi studi di:
• peggiorare in maniera significativa la qualità di vita del paziente,
• ridurre l’autonomia funzionale del paziente;
• peggiorare lo stato psico-emozionale del paziente;
• incrementare la mortalità nel tumore della mammella,della prostata, del
polmone.
Problema centrale, inoltre, nella gestione del paziente con metastasi ossee e delle sue
complicanze è rappresentato dall’impatto sulla spesa sanitaria che questo determina. E’
stato infatti ampiamente dimostrato che la gestione di una o più complicanze scheletriche
è più dispendiosa della prevenzione e della gestione in modo razionale delle stesse.
2. SCOPO ED AMBITO DI APPLICAZIONE
Alla luce di quanto esposto precedentemente, lo scopo di questo PDT è quello di definire
la gestione del paziente oncologico con metastasi ossee che afferisce alla SC di
Oncologia e che necessita dell’integrazione di attività singole riguardanti la cura e il
supporto degli eventi scheletrici correlati alle metastasi ossee attraverso la strutturazione
della gestione multidisciplinare di questa tipologia di paziente.
Le attività per il trattamento di pazienti affetti da metastasi ossee comprendono:
•
terapie antineoplastiche (chemioterapia, terapie biologiche, terapie con
Bifosfonati);
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•
radioterapia;
•
radiologia;
•
chirurgia ortopedica;
•
terapie di supporto o palliative (terapia del dolore, fisiochinesiterapia)
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L’integrazione delle attività elencate si traduce nella formazione di gruppi interdisciplinari di
lavoro che prevedono il coinvolgimetno di:
• medico di settore;
• coordinatore infermieristico;
• fisioterapista;
• infermiere.
Ogni disciplina coinvolta rivestirà quindi un ruolo nella gestione del paziente affetto da
metastasi ossee.
I principali obiettivi del PDT delle metastasi ossee sono quindi rappresentati da:
•
prevenire gli eventi scheletrici correlati alle metastasi ossee (SREs);
•
ridurre il dolore secondario alla malattia ossea metastatica;
•
aumentare la sopravvivenza dei pazienti con metastasi ossee;
•
migliorare la qualità della vita dei pazienti con metastasi ossee;
•
ridurre i costi della spesa sanitaria.
IL RUOLO DELL’ONCOLOGO MEDICO
L’Oncologo Medico riveste un ruolo fondamentale nell’inquadramento e nel percorso
diagnostico-terapeutico del paziente con metastasi ossee e in particolare degli eventi ad
esse correlati (SRE’s: skeletal related events).
Egli ha il compito di gestire il paziente con lesioni ossee nella fase diagnostica, nella fase
di comparsa dell’evento scheletrico (fase acuta), nella fase successiva al trattamento.
All’Oncologo
Medico
è
demandata
l’indicazione
ai
vari
trattamenti
sistemici
(chemioterapia, immunoterapia, terapia con bifosfonati)., Il tutto nell’ottica della
valutazione globale delle condizioni cliniche del paziente (performance status, comorbidità,
età), e non ultimo della sua prognosi.
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Nella gestione multidisciplinare, l’Oncololgo Medico è lo specialista che ha in cura il
paziente e che spesso ha il compito di coordinare le altre figure specialistiche in base alle
necessità cliniche del paziente e in base alle indicazioni dettate dalle Linee Guida
nazionali e internazionali.
La gestione del paziente con metastasi ossee da parte dell’Oncologo Medico va
inquadrata identificando alcune tipologie di pazienti e di situazioni cliniche diverse:
- il paziente non è noto portatore di neoplasia e la diagnosi di metastasi ossea viene
eseguita in corso di comparsa di evento acuto (SRE’s o dolore). In questo caso la presa in
carico del paziente può avviene in un secondo momento (per es dopo il trattamento della
fase acuta come la compressione midollare), valutando PS, comorbidità, prognosi se
possibile, possibilità di trattamenti sistemici eventuale completamento diagnostico della
neoplasia, decisione di trattamenti sistemici e/o palliativi. La presa in carico comporta sin
dall’inizio
anche
il
coinvolgimento
organizzato
di
alcune
figure
professionali
(Radioterapista, Terapista del dolore, Fisiatra);
- il paziente è portatore di neoplasia nota, è già seguito dallo specialista Oncologo e va
incontro ad un SRE. In questo caso l’Oncologo Medico ha il compito di gestire l’evento
scheletrico
occorso
nell’ambito
della
multidisciplinarietà
coinvolgendo
le
figure
professionali utili al caso. La diagnosi di metastasi ossea può essere già nota oppure
viene fatta in seguito all’evento scheletrico.
La conoscenza a fondo del paziente e della sua storia oncologica sono presupposti
indispensabili per riuscire a ottimizzare il trattamento, e in questo l’Oncologo Medico
riveste un ruolo fondamentale;
- il paziente giunge all’osservazione dell’Oncologo Medico perché contattato per sospetto
diagnostico di neoplasia (quindi il paziente giunge per prima visita oncologica
ambulatoriale), oppure per riscontro occasionale durante accertamenti strumentali di
stadiazione o eseguiti per altre ragioni, oppure per consulenza in altri reparti (ambulatorio
di Fisiatria, Ortopedia, Traumatologia, Neurochirurgia, altri).
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In questi casi l’Oncologo deve avere l’opportunità di giungere rapidamente ad una
diagnosi certa di lesioni ossee e di eventuali primitività neoplastiche con la collaborazione
attiva delle figure specialistiche interessate (radiologo, chirurgo, radioterapista, terapista
del dolore, fisiatra, patologo).
La gestione multidisciplinare è quindi presupposto indispensabile per l’ottimizzazione
terapeutica del paziente con metastasi ossee e l’Oncologo Medico riveste una parte
fondamentale in questa gestione assumendo spesso il ruolo di regista delle varie fasi
diagnostico-terapeutiche sia delle metastasi ossee in fase asintomatica sia a comparsa
degli eventi ossei ad esse correlati nelle varie fasi temporali di evoluzione.
Una volta adeguatamente strutturati sul piano organizzativo interno dell’Ospedale i
passaggi principali (ad es. eventuali modalità preferenziali di accesso ad esami radiologici
ed ematochimici), il ruolo dell’Oncologo Medico è cruciale nella valutazione iniziale e nella
successiva gestione del paziente.
Una attenzione e trattatazione particolare, per la gravità clinica e per le caratteristiche di
emergenza che essa riveste, è la gestione del paziente affetto da metastasi vertebrali. Il
problema va inquadrato identificando alcune tipologie di pazienti e di situazioni cliniche
diverse che possono presentarsi all’oncologo medico:
Paziente portatore di neoplasia non nota con sintomatologia mielica acuta:
Se non c’è una prima diagnosi di neoplasia, dopo il trattamento dell’evento acuto
(decompressione midollare e/o stabilizzazione di colonna e/o cifoplastica), l’Oncologo
Medico , o l’Ematologo in caso di diagnosi accertata già al momento del trattamento
chirurgico di patologia mielomatosa ottenuta per es. tramite semplice apposizione su
vetrino di materiale asportato, ha il compito di prendere in carico il paziente. La presa in
carico può avvenire dopo consulenza presso il reparto dove il paziente è ricoverato per il
trattamento della fase acuta, entro 24 ore dalla richiesta, con decisione, a seconda del
caso (valutando PS, comorbidità, prognosi se possibile, possibilità di trattamenti sistemici),
di trasferimento in reparto di degenza di Oncologia (entro 5 giorni lavorativi dall’approccio
all’evento acuto) o assicurando una “prima visita oncologica” entro 3 giorni lavorativi dalla
dimissione dal reparto di degenza dove è stato ricoverato per l’approccio alla fase acuta,
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per eventuale completamento diagnostico della neoplasia, decisione di trattamenti
sistemici e/o palliativi. La tale presa in carico comporta sin dall’inizio anche il
coinvolgimento organizzato di alcune delle figure professionali coinvolte nel progetto
(Radioterapista, Terapista del dolore, Fisiatra).
Se invece c’è già una diagnosi di neoplasia ma fatta presso altro centro, l’Oncologo
Medico del nostro centro deve assicurare comunque una consulenza presso il reparto di
degenza del paziente sempre entro le 24 ore dalla richiesta, rimandando eventualmente il
paziente al curante Oncologo Medico di riferimento.
Paziente portatore di neoplasia nota con sintomatologia mielica acuta:
•
paziente che giunge in Pronto Soccorso: l’Oncologo Medico può essere
contattato in contemporanea alle altre figure professionali per consulenza
(valutazione PS, comorbidità, prognosi se possibile, possibilità di trattamenti
sistemici) in previsione di un intervento chirurgico. Il contatto con l’Oncologo
Medico può anche avvenire dopo il trattamento dell’evento acuto (evento
avvenuto in giorni festivi, nelle ore notturne).
•
paziente ricoverato c/o Oncologia: si impone la gestione dell’urgenza
oncologica (v. ruolo del traumatologo, ortopedico, neurochirurgo, radiologo).
L’Oncologo Medico coordina l’urgenza.
•
paziente che giunge in ambulatorio: l’Oncologo Medico gestisce l’urgenza
inviando il paziente in PS o conduce un percorso diagnostico terapeutico
come concordato dopo la stesura di questo progetto
Paziente portatore di neoplasia non nota, non mielico ma con altra sintomatologia
(astenia arti inf-sup e/o dolore del rachide o degli arti) oppure asintomatico
Si tratta di pazienti che giungono all’osservazione dell’Oncologo Medico perché contattato
per sospetto diagnostico di neoplasia (prima visita oncologica ambulatoriale), riscontro
occasionale durante accertamenti strumentali di stadiazione o eseguiti per altre ragioni,
consulenza
in
altri
reparti
(ambulatorio
di
Fisiatria,
Ortopedia,
Traumatologia,
Neurochirurgia, altri) per cui l’Oncologo può essere immediatamente contattato ai numeri
telefonici forniti per concordare con i colleghi le modalità di valutazione oncologica del
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paziente (condizione indispensabile per chi ha in corso visita ambulatoriale del paziente –
es. ambulatorio di Fisiatria)
In questi casi l’Oncologo deve avere l’opportunità di giungere rapidamente ad una
diagnosi certa di lesioni vertebrali e di eventuali primitività neoplastiche (ricovero in reparto
di Oncologia? Attivazione ambulatorio di Osteoncologia?) quindi coinvolgere le figure
professionali del progetto (incontri periodici prestabiliti?)
Paziente portatore di neoplasia nota non mielico ma con altra sintomatologia
(astenia arti inf-sup e/o dolore del rachide o degli arti ) oppure asintomatico
Si tratta di pazienti seguiti in ambulatorio per follow-up oppure in corso di trattamento
sistemico (in DH o in Degenza) o per i quali si propongono accertamenti strumentali per
sospetto diagnostico di lesioni vertebrali dopo comparsa di sintomatologia (non mielica).
Anche in questo caso necessaria una rapida diagnosi per ottimizzare il trattamento
multidisciplinare (incontri periodici prestabiliti?)
In conclusione, l’Oncologo Medico riveste un ruolo fondamentale nella gestione delle
metastasi vertebrali e degli eventi ossei ad esse correlati nelle varie fasi temporali di
evoluzione.
Una volta adeguatamente strutturati sul piano organizzativo interno dell’Ospedale i
passaggi principali (ad es. eventuali modalità preferenziali di accesso ad esami radiologici
ed ematochimici), il ruolo dell’Oncologo Medico è cruciale sia nella valutazione iniziale che
nella successiva gestione del paziente . In particolare a lui è demandata l’indicazione ai
vari trattamenti sistemici (chemioterapia, immunoterapia, terapia con bifosfonati)., Il tutto
nell’ottica della valutazione globale delle le condizioni cliniche del paziente (performance
status, comorbidità, età), e non ultimo della sua prognosi.
Il ruolo delle altre figure professionali coinvolte nella gestione del paziente affetto da
metastasi vertebrali verrà discusso nei singoli paragrafi dedicati.
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IL RUOLO DELLA RADIOTERAPIA
La radioterapia ha un ruolo fondamentale nel trattamento dei pazienti con metastasi ossee
in quanto trova indicazione nel trattamento del dolore e nel trattamento degli eventi
scheletrici come la compressione midollare e le fratture patologiche.
Il dolore da metastasi ossee è responsabile di circa il 50% dei casi di dolore neoplastico. I
meccanismi che mediano l’effetto antalgico della radioterapia non sono del tutto noti.
L’effetto citocida sulle cellule neoplastiche presenti nel focolaio metastatico rappresenta un
fattore sicuramente importante; la morte delle cellule neoplastiche riduce infatti gli effetti
meccanici di compressione ed infiltrazione del tessuto osseo, e la relativa produzione di
citochine che agiscono sui recettori responsabili del dolore.
La radioterapia induce un effetto antalgico nel 75-85% dei casi, con una risposta completa,
totale abbandono degli analgesici e recupero della funzionalità, del 30-50%.
In alcuni casi all’inizio del trattamento può comparire un iniziale aumento del dolore,
causato dall’edema radioindotto e dalla conseguente compressione dei tessuti sani vicini.
Questo evento è più frequente per lesioni estese e/o per dosi per frazione più elevate. Il
tempo di risposta del dolore alla radioterapia è variabile: nel 25% dei casi entro 2 giorni
dall’inizio della radioterapia (risposta precoce), nel 50% entro le 4 settimane dal termine
del trattamento, e nella restante percentuale dei pazienti più tardivamente. La durata
mediana della risposta varia da 11 a 29 settimane.
La radioterapia nella maggior parte dei casi è erogata in più frazioni per offrire una
tollerabilità maggiore. Il frazionamento convenzionale prevede frazioni giornaliere di 1.8-2
Gy, dal lunedì al venerdì, e la dose totale è determinata dalla radiosensibilità del tumore e
dalla tolleranza dei tessuti sani coinvolti nel fascio radiante. Si parla di iperfrazionamento
quando la dose per singola frazione è inferiore a 1.8-2 Gy, e di norma prevede due
applicazioni al giorno; si parla invece di ipofrazionamento quando viene erogata una dose
elevata per ogni frazione in poche sedute radioterapiche.
Storicamente, per il trattamento delle metastasi ossee, sono stati utilizzati schemi di
ipofrazionamento (30 Gy in 10 sedute di trattamento, 20 Gy in 5 sedute o 8 Gy in una o
due sedute in caso di breve aspettativa di vita del paziente) per due motivi
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•
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dosi relativamente basse di radiazioni sono sufficienti per controllare il dolore
nell’80% dei pazienti;
•
2) un numero esiguo di sedute è vantaggioso per i pazienti in scadute
condizioni generali, e per il Centro di Radioterapia, in quanto permette di
ridurre le liste di attesa.
Dagli anni ’80 agli anni ’90 sono stati condotti studi randomizzati che hanno valutato
diversi regimi di trattamento ipofrazionati. Alla base di questi studi vi è un razionale in base
al quale si può ottenere lo stesso effetto terapeutico utilizzando frazionamenti e dosi totali
diverse.
I risultati hanno condotto alla conclusione che non vi è differenza statisticamente
significativa nel controllo del dolore tra ipofrazionamenti di durata più protratta e quelli più
brevi e che il trattamento antalgico effettuato in fase iniziale della comparsa del dolore
consente di ottenere una maggiore percentuale di risposta completa.
Negli ultimi 15 anni, specialmente nelle scuole del Nord Europa, si è cercato di effettuare
radioterapia antalgica utilizzando una singola seduta ad alte dosi. In tal senso sono stati
eseguiti molti studi randomizzati di confronto tra un trattamento multifrazionato e quello in
singola.
Questi studi hanno dimostrato che non c’è una differenza tra il monofrazionamento ed il
trattamento in più frazioni nella palliazione del dolore, nella qualità di vita e negli effetti
collaterali.
Per quanto riguarda la prevenzione di fratture patologiche, la radioterapia erogata ad
alte dosi esercita un’azione tumoricida sulla lesione ossea bersaglio; ciò determina la
formazione di un tessuto fibroso riparatorio che può andare anche incontro a
mineralizzazione. Tuttavia il neo-tessuto cicatriziale a differenza del fisiologico tessuto
osseo manca della tipica microarchitettura trabecolare responsabile della stabilità e della
resistenza alle fratture patologiche. Da un punto di vista fisiopatologico, si potrebbe quindi
affermare che la radioterapia non garantisce una sicura prevenzione delle fratture.
Quindi per i pazienti con metastasi ossee dolenti ± rischio di frattura patologica è indicato
un trattamento radiante in seduta unica di 8 Gy.
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La possibilità di effettuare un retreatment va valutata in base alle modalità tecniche del
precedente trattamento e del segmento osseo (in funzione degli organi a rischio esposti).
Non ci sono studi randomizzati che consentano di definire quale sia la dose ottimale per il
retreatment delle metastasi ossee.
La reirradiazione delle metastasi ossee è possibile e consente di ottenere una palliazione
efficace, specie per pazienti in buone condizioni generali (ECOG 0-1) che hanno avuto
una buona risposta al primo ciclo di radioterapia. Jeremic consiglia una seduta unica di 4
Gy.
La compressione midollare metastatica (CMM). rappresenta, come visto in precedenza,
una delle complicanze più temibili nei pazienti con metastasi vertebrali e si avvale di
trattamento sia chirurgico, come descritto più avanti, che radioterapico.
Entrambi gli approcci, da soli o in associazione sono validi e consentono di ottenere pari
risultati in termini di sopravvivenza e di miglioramento dello stato funzionale del paziente.
La decisione terapeutica deve essere quindi individualizzata non essendoci una
dimostrazione certa della superiorità della chirurgia rispetto alla radioterapia.
I regimi radioterapici con frazionamenti convenzionali (2 Gy per frazione fino alla dose
totale di 30-40 Gy) oggi sono per lo più abbandonati in favore di trattamenti più brevi
(“short-course”) con la somministrazione di dosi singole più elevate. Le analisi dei dati
della letteratura hanno mostrato la pari efficacia terapeutica nel controllo del dolore degli
ipofrazionamenti rispetto a quelli convenzionali.
Pur non esistendo studi randomizzati a riguardo, in genere nei pazienti con CMM e
aspettativa di vita superiore a 6 mesi (istologia favorevole – linfoma, mieloma, seminoma e
carcinoma di mammella e prostata – , buon performance status, assenza di deficit
neurologico e malattia primitiva controllata) si tende ad utilizzare ipofrazionamenti del tipo
3 Gy per 10 frazioni fino a 30 Gy in 2 settimane ovvero 4 Gy per 5 frazioni consecutive fino
a 20 Gy. Di contro nei rimanenti pazienti, quelli a prognosi sfavorevole (aspettativa di vita
inferiore a 6 mesi) che rappresentano la maggioranza dei casi, è stato dimostrato che il
bifrazionamento della dose (8 Gy x 2 in una settimana) ovvero la dose unica di 8 Gy sono
efficaci e scevri da danno midollare iatrogeno quanto frazionamenti più prolungati.
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La RM è l’esame diagnostico ottimale per l’esecuzione di un migliore trattamento radiante,
in quanto è in grado di identificare sia il danno osseo vertebrale sia quello dei tessuti molli
circostanti causa della CMM. Dopo la radioterapia può presentarsi una recidiva nel 1625% dei casi, recidiva che spesso (64%) si verifica nei due corpi vertebrali sopra o sotto la
sede della CMM, per cui al momento della pianificazione della radioterapia bisogna
comprendere nel campo di irradiazione la lesione ossea e/o paravertebrale con un’
estensione caudale e craniale di due vertebre.
E’ necessario inoltre controllare nel tempo attentamente i pazienti trattati, programmando
prontamente un nuovo controllo RM laddove possa rilevarsi il sospetto clinico di una
nuova CMM e poter valutare l’esecuzione di una chirurgia o di una re-irradiazione.
Considerando il potenziale danno iatrogeno midollare di una re-irradiazione è possibile la
reirradiazione in pazienti adeguatamente selezionati. Se è presente un’istologia associata
a prognosi favorevole si preferisce un trattamento radiante di 2 Gy frazione fino alla dose
totale di 20-24 Gy. Se l’istologia è a prognosi sfavorevole possono essere utilizzati regimi
di radioterapia quali 8 Gy frazione fino alla dose totale di 16 Gy ovvero 8 Gy in dose unica.
Terapia radio metabolica
La maggior parte dei pazienti con metastasi ossee presenta lesioni multiple.
In presenza di metastasi ossee diffuse la radioterapia a fasci esterni deve essere erogata
su campi ampi. Ciò incrementa notevolmente il rischio di effetti collaterali sistemici, in
particolare gastroenterici ed ematologici che ne limitano le indicazioni.
La radioterapia metabolica si basa sull’utilizzo di radionuclidi somministrati per via orale o
parenterale in grado di localizzarsi specificatamente nel sito delle metastasi e di emettere
radiazioni ionizzanti in un percorso molto limitato. In pazienti con malattia metastatica
estesa la radioterapia metabolica, data la sua distribuzione sistemica, rappresenta quindi
una valida opzione terapeutica.
I radiofarmaci possono essere distinti in oncotropi e osteotropi.
I primi hanno un’affinità specifica per le cellule neoplastiche, come ad esempio lo
Iodio 131,utilizzato a fini diagnostici e terapeutici nei tumori differenziati della tiroide, e la
meta-iodio-benzilguanidina (MIBG), precursore delle catecolamine, impiegata nei tumori
neuroendocrini e nei feocromocitomi.
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I secondi non hanno affinità con il tessuto neoplastico, ma si localizzano nelle sedi
di rimaneggiamento osseo dove possono espletare l’effetto antalgico e un’azione diretta
antitumorale.
Per eseguire la terapia metabolica, è necessario effettuare una scintigrafia ossea con
difosfonati che permette di evidenziare le sedi di rimaneggiamento osseo.
I requisiti essenziali del radiofarmaco ideale per la cura delle metastasi ossee sono:
- selettiva captazione da parte delle metastasi;
- rapida clearance dai tessuti molli e dall’osso sano;
- emissione di energia compresa tra 0.8 e 2 MeV;
- biodistribuzione simile a quella dei difosfonati;
- limitato irraggiamento del midollo osseo;
- emivita fisica maggiore o uguale all’emivita biologica;
- pronta disponibilità e costi ragionevoli.
I radiofarmaci più comunemente utilizzati nella pratica clinica sono il fosforo-ortofosfato (P32), lo Stronzio-89 (Sr-39), il Samario-EDTMP (Sm-153) e il Renio-HEDP (Re-186)
La radioterapia con SR-89 è indicata principalmente nella terapia delle metastasi ossee da
carcinoma prostatico ormonorefrattario ed è efficace nel controllo del dolore nei pazienti
con multiple metastasi ossee con intensità pari alla radioterapia a fasci esterni.
Inoltre la radioterapia metabolica con somministrazione di Sr-89 associata alla
chemioterapia ottiene un maggiore controllo del dolore rispetto alla sola radioterapia,
anche se con un potenziale incremento della tossicità ematologica.
Uno degli aspetti organizzativi più importanti di cui si deve tenere conto nella
programmazione dei trattamenti di terapia radiometabolica è rappresentato dalla modalità
di ricovero dei pazienti in cura.
I radiofarmaci emettono fotoni e radiazioni beta e vengono eliminati per via renale e
intestinale. Ciò rappresenta un rischio di esposizione a radiazioni ionizzanti per la
popolazione sana a contatto con il paziente e di contaminazione ambientale (smaltimento
dei rifiuti radioattivi). E’ quindi estremamente importante che siano definite delle regole
chiare che indichino quando sia possibile effettuare la terapia radiometabolica in regime
ambulatoriale e, in caso di ricovero, quando sia possibile dimettere il paziente. Tali regole
devono garantire che l’eventuale irradiazione di individui della popolazione a contatto con i
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pazienti sia mantenuta entro livelli “accettabili”, inferiori ai limiti di dose fissati dalla
legislazione vigente.
I radiofarmaci impiegati nel trattamento delle metastasi ossee hanno una emivita molto
ridotta ed emettono radiazioni beta, con un’emissione fotonica di minima entità. Ciò
comporta trascurabili rischi di irradiazione esterna della popolazione sana, irrilevante
contaminazione ambientale, e necessità di ricovero solo per paziente incontinenti.
In definitiva i radiofarmaci sono efficaci nel trattamento del dolore per pazienti con
metastasi ossee plurime.
In considerazione della tossicità ematologia associata e della clearance renale di questi
farmaci, la terapia metabolica può essere applicata soltanto a pazienti con buona
funzionalità midollare e renale, e necessita di adeguate norme di radioprotezione previste
dalla legge La radioterapia metabolica è efficace nel controllo del dolore nei pazienti con
multiple metastasi ossee al pari della radioterapia a fasci esterni, con indicazione specifica
nel carcinoma prostatico ormono-refrattario plurimetastatizzato.
La radioterapia metabolica associata alla chemioterapia ottiene un maggiore controllo del
dolore rispetto alla sola radioterapia, con un potenziale incremento della tossicità
ematologica.
L’aggiunta della terapia radiometabolica alla radioterapia a fasci esterni non
aumenta la probabilità di controllo del dolore.
Il RUOLO DELLA TERAPIA DEL DOLORE
Il dolore osseo neoplastico e’ una manifestazione devastante del cancro metastatico ed e’
spesso uno dei sintomi piu’ comuni riferiti dai pazienti.
Il carcinoma mammario e prostatico metastatici sono i principali contribuenti alla
prevalenza del dolore osseo da cancro poiche’ le metastasi ossee sono presenti in oltre il
90% dei pazienti con queste patologie. Il dolore da metastasi ossee e’ caratterizzato dalla
presenza prevalente di dolore intenso durante il movimento anche di modesta entita’ come
il tossire, il girarsi nel letto, il muovere gli arti. La presenza di allodinia meccanica in alcune
sedi metastatiche e’ la percezione dolorosa di stimoli meccanici che non sono
normalmente percepiti come dolorosi. Il beneficio clinico delle terapie sintomatiche nei
pazienti con cancro deve essere valutato sulla base di misure soggettive dei sintomi, della
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qualità di vita e del performance status oltre al giudizio di efficacia fornito dal paziente.
Esistono delle scale unidimensionali che misurano esclusivamente l’intensità del dolore
(analogiche visive, numeriche, verbali) e scale multidimensionali che valutano anche altri
aspetti della vita del paziente [es Edmonton Symptom Assessment System ESAS, Brief
Pain Inventory BPI .
Non esistono in letteratura linee guida di trattamento farmacologico specifico nei pazienti
con metastasi ossee. Quindi, per quanto riguarda il trattamento del dolore da cancro con
farmaci analgesici ci riferiamo alle linee guida e raccomandazioni pratiche della
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e alle linee guida dell’Associazione Europea
di Cure Palliative (EAPC).
Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il trattamento del
dolore da cancro, suggeriscono un approccio sequenziale a tre scalini. La sequenza
prevede il passaggio da farmaci per il dolore lieve (non oppioidi) a farmaci per il dolore
lieve-moderato (oppioidi deboli) a farmaci per il dolore moderato-severo (oppioidi forti), in
funzione della persistenza del dolore e della sua intensità.
*l’ossicodone, quando usato a basse dosi (5 mg) in associazione al paracetamolo (325
mg) può rientrare nel 2° gradino, a dosi superiori rientra nel 3° gradino
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La tabella mostra la scala dell’OMS e i farmaci disponibili attualmente in Italia. Ad ogni
gradino possono essere associati i farmaci adiuvanti.
I farmaci non-oppioidi, oppioidi e adiuvanti (cortisonici, antiepilettici, anestetici locali,
antidepressivi) sono somministrati singolarmente o in associazione secondo il tipo e
l’intensità della sintomatologia dolorosa. Gli antinfiammatori sono raccomandati come
primo scalino della scala analgesica dell’OMS o in associazione agli oppioidi per dolore di
intensità più severa. Sono inoltre ritenuti particolarmente efficaci nel dolore da metastasi
ossee per il loro effetto inibitorio sulla ciclo-ossigenasi e quindi sulla sintesi delle
prostaglandine.
Gli oppioidi analgesici indicati per il trattamento del dolore da cancro di intensità lievemoderata sono: codeina, tramadolo e destropropossifene. Nonostante la carenza di
evidenze, lo Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN) conclude che il tramadolo
non ha sostanziali vantaggi clinici rispetto ad altri oppioidi del 2° gradino. Uno studio
pubblicato nel 2005 ha mostrato che il salto del 2° gradino si associa ad una riduzione
delle giornate con dolore più intenso, ma con un’aumentata incidenza degli effetti
collaterali. I farmaci disponibili per il trattamento del dolore da moderato a severo sono:
morfina, metadone, ossicodone, idromorfone, fentanyl, buprenorfina.
Per l’utilizzo di tali farmaci si può fare riferimento alle raccomandazioni dell’EAPC (tabella
2).
Secondo l’OMS e l’EAPC, una efficace terapia analgesica deve possedere i seguenti
requisiti:
-Prevenire l’insorgenza del dolore; per questo motivo i farmaci non devono essere
assunti al bisogno, ma a “orari regolari”, tenuto conto della loro emivita plasmatica,
biodisponibilità e durata d’azione. La somministrazione al bisogno deve essere riservata
per trattare il dolore che sopraggiunge nonostante il paziente sia già in trattamento con
farmaci somministrati ad intervalli prefissati (breakthroughpain).
-Essere di semplice somministrazione. Per questo motivo la somministrazione orale
è ritenuta la migliore.
-Essere modificata con tempestività quando l’analgesico cessa di essere efficace.
-Essere personalizzata per quanto riguarda i dosaggi, le vie di somministrazione ed
il tipo di farmaco utilizzato.
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Un approccio farmacologico al dolore, basato prevalentemente sull’uso corretto
degli oppioidi analgesici, consente di controllare il sintomo in circa il 90% dei casi (15).
Raccomandazioni EAPC:
- La morfina è l’oppioide di prima scelta per il dolore oncologico moderato-severo
- La via di somministrazione preferibile per la morfina è quella orale
- La via di somministrazione alternativa più valida per la morfina è quella
sottocutanea
-
Il rapporto morfina orale - morfina sottocutanea varia da 2:1 a 3:1
-
L’infusione endovenosa di morfina è preferibile nei soggetti con cateteri
venosi, con edema generalizzato, con disturbi della coagulazione, con
circolazione periferica compromessa, con eritema post somministrazione
sottocutanea
-
Il rapporto morfina orale - morfina endovenosa varia da 2:1 a 3:1
-
L’utilizzo di fentanyl transmucosale è efficace nel dolore acuto in pazienti
stabilizzati con morfina orale o con altro oppioide
-
L’ossicodone e l’ idromorfone sono un’alternativa efficace alla morfina per os
-
Il metadone è una alternativa efficace alla morfina per os, ma deve essere
maneggiato con cura a causa delle variabilità farmacologiche interindividuali
-
Il fentanyl transdermico è un’efficace alternativa alla morfina orale, ma
andrebbe riservato ai pazienti in terapia con oppioidi a dose stabile
-
La somministrazione spinale di oppioidi dovrebbe essere presa in
considerazione in pazienti che manifestano analgesia inadeguata nonostante
l’uso ottimale di oppioidi sistemici.
Sintesi e Raccomandazioni:
o Il rapporto morfina orale/ morfina sottocutanea/endovenosa è 2:1 , 3:1
o L’utilizzo di fentanyl transmucosale è efficace nel dolore acuto in pazienti stabilizzati
con morfina orale o con altro oppioide
o L’ossicodone ha la stessa efficacia della morfina per os
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o Il metadone ha la stessa efficacia della morfina per os, ma presenta variabilità
farmacologiche interindividuali
o Il fentanyl transdermico ha la stessa efficacia della morfina orale ma richiede
titolazione
o La somministrazione intratecale o peridurale è in grado di recuperare efficacia
terapeutica nei pazienti che manifestano analgesia inadeguata nonostante l’uso
ottimale di oppioidi sistemici
o La morfina è l’oppioide di prima scelta per il dolore oncologico moderato-severo
o La via di somministrazione preferibile per la morfina è quella orale
o La via di somministrazione alternativa più valida per la morfina è quella
sottocutanea
o L’infusione endovenosa di morfina è preferibile nei soggetti con cateteri venosi, con
edema generalizzato, con disturbi della coagulazione, con circolazione periferica
compromessa, con eritema post somministrazione sottocutanea
o ossicodone e metadone sono trattamenti alternativi appropriati alla morfina
o il fentanyl transdermico è un trattamento alternativo appropriato nei pazienti già in
terapia con oppioidi a dose stabile
o il fentanyl transmucosale può essere utilizzato nel dolore acuto incidente in pazienti
stabilizzati con altro oppiode
o La somministrazione intratecale o peridurale di oppioidi dovrebbe essere presa in
considerazione in pazienti che manifestano analgesia inadeguata nonostante l’uso
ottimale di oppioidi sistemici
o La terapia palliativa con acido zoledronico è un approccio terapeutico appropriato
nei pazienti con dolore da metastasi ossee
o La terapia radiometabolica è un approccio terapeutico appropriato nei pazienti con
dolore da metastasi ossee non in trattamento con farmaci antiblastici
o La radioterapia esterna è un approccio terapeutico appropriato nei pazienti con
dolore da metastasi ossee
Per quanto riguarda il ruolo dei bifosfonati (BP) nella terapia antalgica, diversi studi
indicano che alcuni di essi risultino efficaci non solo nel diminuire il rischio di eventi
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scheletrici ma anche nel ridurre il dolore osseo e, di conseguenza, migliorare la qualità
della vita dei pazienti in diverse patologie tumorali
Questo è stato dimostrato in numerosi studi adeguatamente dimensionati, tuttavia va
sottolineato che nella maggior parte degli studi, il consumo di analgesici si è mantenuto
quasi sempre invariato tra i pazienti trattati con BP e quelli non trattati, indicando
chiaramente che i BP non sostituiscono la terapia anti-dolorifica convenzionale ma
contribuiscono con effetto additivo coanalgesico.
Oltre ad un controllo del dolore a lungo termine dovuto ai benefici effetti sull’integrità
ossea, i BP sembrano esercitare effetti analgesici anche sul dolore non responsivo ad alte
dosi di oppioidi analgesici quando somministrati con una dose di carico.
IL RUOLO DELLA CHIRURGIA
Nei pazienti affetti da metastasi ossee, la determinazione del trattamento chirurgico
corretto e del timing chirurgico risulta fondamentale, ricordando che il trattamento di questi
pazienti deve tenere in considerazione la prognosi e la qualità di vita residua.
Da un punto di vista diagnostico, è necessario eseguire sempre, quando possibile, alcuni
fondamentali esami radiologici: esame radiografico standard del segmento scheletrico
coinvolto, anche per distinguere tra una metastasi dello scheletro assiale da quello
appendicolare; scintigrafia scheletrica globale per valutare il numero delle lesioni
scheletriche; TC total body con mezzo di contrasto per la determinazione delle eventuali
metastasi viscerali. Questo esame può essere sostituito dalla PET, anche se non tutti i
centri ne sono dotati; RMN con mezzo di contrasto della lesione coinvolta per studiare i
rapporti con le parti molli circostanti; nel caso di lesioni vertebrali la RMN deve riguardare il
rachide in toto, perché sono frequenti le lesioni vertebrali multiple contestuali, anche non
necessariamente captanti alla scintigrafia; TC del segmento scheletrico coinvolto per
studiare l’entità del danno corticale.
La RMN e la TC del segmento servono per la scelta terapeutica, che sarà tanto più
aggressiva in funzione della migliore prognosi in relazione all’istotipo, ma anche alla sede
della lesione (per es il collo del femore).
Si raccomanda comunque, in presenza di qualsiasi dubbio diagnostico, di eseguire una
biopsia, anche estemporanea, della lesione ossea anche all’atto dell’intervento chirurgico,
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ed in presenza di dubbio di nuova primitività, eseguire solo la biopsia. Ed attendere
l’istologico definitivo per pianificare il trattamento corretto.
Quando si prende in considerazione il ruolo della chirurgia in questi tipi di pazienti è
fondamentale prendere in considerazione i principali fattori prognostici della malattia
metastatica: le caratteristiche biologiche, l’aspettativa di sopravvivenza (tipo di tumore
primitivo), l’estensione della malattia (lesione unica o multipla), le condizioni generali del
paziente
(performance
status);
l’intervallo
libero
da
malattia;
le
caratteristiche
biomeccaniche: presenza o rischio di frattura patologica nelle ossa lunghe principali (sede
e dimensioni della lesione; tipo di lesione litica o addensante); sensibilità prevista alle
terapie non chirurgiche (chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia etc.).
Le indicazioni all’intervento sono ormai standardizzate, le tecniche chirurgiche sono più
difficilmente standardizzabili, richiedendo un’elettività chirurgica capace di utilizzare le
tecniche e dei mezzi di sintesi e le protesi di volta in volta in funzione delle lesioni.
Per quanto riguarda i pazienti con metastasi ossee da carcinoma degli arti e dei cingoli
sono assegnati ad una di quattro classi (Tab.1):
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Considerazioni chirurgiche:
Classe 1:
Dato che si tratta di pazienti lungosopravviventi o a buona prognosi, il trattamento
chirurgico in questi casi deve comprendere l’asportazione della lesione metastatica con
margini i più ampi possibile, e la ricostruzione stabile del segmento operato.
• Una resezione articolare o intercalare in questi casi viene ricostruita con sistemi protesici
modulari cementati e spaziatori intercalari. Le lesioni metastatiche solitarie delle ossa
spendibili (perone, coste, clavicola, ulna distale) possono essere facilmente resecate
senza alcun residuo funzionale.
Classi 2 e 3:
Le modalità di trattamento sono strettamente dipendenti dal segmento osseo interessato e
dalla localizzazione della lesione metastatica a livello delle ossa lunghe:
Metaepifisi:
Omero e femore prossimale: ad elevato rischio di fallimento meccanico: resezione e
la ricostruzione con protesi modulari cementate ± radioterapia postoperatoria.
gomito, ginocchio e tibiotarsica: quando meno della metà della metaepisi è
coinvolta dalla lesione: asportazione intralesionale del tumore (curettage) + riempimento
con cemento acrilico ed osteosintesi con placca ± adiuvanti locali (ad es crioterapia o
fenolo) + radioterapia postoperatoria.
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Nel caso in cui vi sia coinvolgimento più della metà della metaepifisi o un coinvolgimento
articolare: resezione intraarticolare del segmento interessato e la ricostruzione protesi
modulari cementate dell’omero distale, del femore distale o della tibia prossimale o
l’esecuzione di una artrodesi alla tibiotarsica.
Diafisi:
Il trattamento è strettamente dipendente dai fattori biomeccanici e biologici
associati alla lesione (vengono considerati classicamente la sopravivenza, la sede della
lesione, le dimensioni e la sensibilità del tumore primitivo alle terapie adiuvanti). In
considerazione di questi fattori, il trattamento è estremamente variabile e può andare da
una osteosintesi semplice (con chiodo endomidollare bloccato o placca e cemento) ad una
osteosintesi rinforzata con chiodo endomidollare e
cemento, all’utilizzo di fissatori esterni fino alla resezione della lesione e ricostruzione con
sistemi protesici modulari cementati nei pazienti con lesioni a maggiore aggressività locale
e che sono scarsamente radio-chemiosensibili. È importante considerare le condisioni
generali del paziente secondo il Karnosky index. I pazienti con frattura patologica delle
ossa lunghe ma non candidati ad intervento chirurgico possono beneficiare dell’utilizzo di
fissatori esterni
Classe 4:
I pazienti della Classe 4 devono essere subito inviati per terapie non chirurgiche
(chemioterapia, radioterapia, terapia ormonale etc.) ed in caso di fallimento meccanico
(frattura patologica o progressione di malattia con lesione a rischio di frattura) o di dolore
persistente dopo le terapie vengono trattati chirurgicamente.
Bacino
La pelvi rappresenta la localizzazione più frequente di lesioni metastatiche da carcinoma,
seconda solamente alla colonna vertebrale. Una valutazione radiologica adeguata
rappresenta un momento fondamentale per la definizione del trattamento chirurgico: la TC
spirale è l’esame più importante per stabilire l’integrità del segmento osseo,
particolarmente per localizzazioni periacetabolari. Lesioni dell’ala iliaca, delle sacroiliache
o dell’arco anteriore della pelvi sono raramente a rischio di fratture patologiche, e possono
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essere trattate con radioterapia. In queste localizzazioni la chirurgia (resezioni ampie o
curettage esteso con trattamento adiuvante intraoperatorio) ha un ruolo solamente in
pazienti con buona prognosi o in caso di frattura patologica [5]. Nella regione
periacetabolare invece, un trattamento conservativo non chirurgico è indicato nelle lesioni
osteoblastiche e miste quando è prevista una buona risposta alle terapie adiuvanti
(RT/CT); viceversa, un trattamento chirurgico è indicato nei pazienti della classe 1, nei
pazienti della classe 2 con una protrusione acetabolare e nei pazienti affetti da lesioni
osteolitiche con una scarsa risposta prevista alle terapie adiuvanti (classe 3). È importante
ricordare che le metastasi acetabolari raramente sono isolate, e che la chirurgia
ricostruttiva pelvica è una tecnica maggiore con elevate complicanze e una mortalità
elevata entro 12 mesi dall’intervento. L’angiografia preoperatoria con embolizzazione
selettiva è consigliata nelle lesioni molto vascolarizzate.
Quando l’osso subcondrale dell’acetabolo rimane integro, può essere eseguita
l’asportazione intralesionale (curettage) della lesione con riempimento della cavità con
cemento acrilico mantenendo integra la funzione articolare dell’anca, anche per via
percutanea. Per rinforzare la ricostruzione del tetto acetabolare, fili o barre metalliche
possono essere inseriti nell’osso sano ed immersi nel cemento secondo la metodica
descritta da Harrington et al.
La distruzione dell’osso subcondrale e la protrusione acetabolare rendono necessaria la
sostituzione protesica che deve essere eseguita utilizzando speciali componenti di rinforzo
(fili o barre metallici; anelli avvitati e cementati; componenti acetabolari cementati a
ritenzione totale o a doppia motilità) o protesi modulari a sella. Le tecniche di chirurgia
ricostruttiva della pelvi sono tecniche complesse dal punto di vista tecnico e non scevre da
complicanze anche gravi in tutte le casistiche, pertanto l’accurata selezione costituisce la
vera chiave di volta nel successo di queste metodiche che si propongono finalità curative,
così come per i tumori primitivi dello scheletro e mira ad ottenere il controllo locale della
malattia. Ciò vale per pazienti che rientrano nella Classe 1, con metastasi ossea solitaria
in qualsiasi sede (ala iliaca,periacetabolare,arco pelvico anteriore), tumore primitivo a
buona prognosi (rene, tiroide,mammella), e prolungato intervallo libero da malattia.
Per quanto riguarda le metastasi vertebrali e la compressione midollare, obiettivi del
trattamento chirurgico sono il trattamento di dolore, instabilità segmentaria e/o
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compressioni sulle strutture neurologiche. Le indicazioni chirurgiche devono essere
limitate in quanto solo pazienti selezionati possono beneficiare dal trattamento chirurgico,
mentre altri possono necessitare di RT ed ortesi o RT adiuvante postoperatoria. La
chirurgia deve esser “curativa” nei pazienti ad ottima prognosi e stato generale e con
lesione metastatica isolata. In questi casi la lesione viene trattata come un tumore
primitivo dello scheletro con exeresi en bloc.
Il paziente con metastasi spinali deve essere considerato per l’intervento una volta che
insorge un deficit neurologico. Genericamente infatti, nei pazienti in cui non sia presente
un danno neurologico in atto è ragionevole pensare ad un trattamento conservativo con
ortesi e radioterapia ± chemioterapia. Unica eccezione è rappresentata da pazienti con
lesione singola a buona prognosi, in cui è ragionevole pensare ad un trattamento
chirurgico anche in caso di assenza di deficit neurologici evidenti.
Al contrario, in pazienti che presentino deficit neurologico completo al di sotto della lesione
possono necessitare di trattamento chirurgico, ma non con carattere di urgenza, e la
finalità dell’intervento di decompressione e stabilizzazione è di migliorare la gestione a
letto del paziente.
Analogamente al problema del timing, si associa il problema del cortisone una volta
decompresso il midollo. I corticosteroidi sono spesso la prima linea terapeutica nei pazienti
con compressione del midollo spinale da metastasi. La somministrazione può essere ad
alto ed a basso dosaggio. Si possono somministrare desametasone ad alte dosi (100 mg
come dose di carico, e poi 96 mg al giorno) in pazienti che non possono camminare o con
sintomi neurologici rapidamente progressivi, mentre lasciare il trattamento a dosaggio
intermedio (10 mg come dose di carico, e poi 16 mg al giorno) nei pazienti deambulanti
con sintomi motori scarsamente o non evolutivi.
Opzioni chirurgiche:
•
L’asportazione completa della lesione necessita nella maggior parte dei casi di
approcci combinati per via anteriore e posteriore. La chirurgia anteriore quando
possibile compatibilmente con lo stato generale del paziente e con la prognosi,
migliora i risultati della chirurgia del paziente con lesioni spinali. In seguito alla
exeresi della lesione tumorale si esegue una ricostruzione del difetto osseo e
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stabilizzazione segmentarla. In pazienti con scarsa prognosi ma buono stato
generale si può eseguire una decompressione e stabilizzazione per via posteriore.
•
La vertebroplastica e la cifoplastica sono da considerare solo in pazienti con dolore
intrattabile e non responsivo da lesione spinale metastatica, o in pazienti con
fratture patologiche il cui stato clinico non permette di eseguire interventi chirurgici
tradizionali. Queste tecniche meno invasive consistono nell’iniezione di cemento
acrilico nel corpo vertebrale e, nel caso della cifoplastica, di aiutare a ripristinare il
profilo sagittale del rachide dorsale e lombare. L’esecuzione di una biopsia prima di
iniettare il cemento acrilico rappresenta un tempo fondamentale di questi interventi.
•
Ortesi spinali: le ortesi spinali rappresentano un importante coadiuvante nel
trattamento dei pazienti affetti da lesioni spinali metastatiche, sia nel perioperatorio
che nel supporto in pazienti candidati a trattamenti radio chemioterapici primari, o in
pazienti non candidabili ad intervento chirurgico a causa dello scarso quadro clinico
generale. Il tipo di ortesi varia a seconda del livello spinale affetto o instabile, e se è
stato eseguito un gesto chirurgico a quel livello.
Quando poniamo indicazione ad una tutela ortopedica la scelta è secondaria a tre principi:
tipo di lesione (stabile o instabile), livello della lesione e funzione che deve svolgere l’ortesi
(immobilizzazione cinetica, immobilizzazione e sostegno statico, immobilizzazione e
sostegno + distrazione).
Possiamo semplicemente dividere le ortesi in cervicali e dorsali alte ed in dorsali basse e
lombari:
- Cervicali e dorsali alte: Halo, collare di Schanz, Philadelphia con o senza appoggio
sternale, SOMI-Brace:
Nelle lesioni instabili del rachide cervicale si consiglia sempre l’Halo racket che permette di
immobilizzare, sostenere ed effettuare una distrazione se necessario; l’applicazione va
eseguita previa esecuzione di TC della teca cranica per escludere la presenza di lesioni
osteolitiche del tavolato cranico: in questo caso si può invece applicare un collare tipo
SOMI-Brace con aureola o ortesi occipito-cervico-toraciche con aureola effettuate su
misura previo moulage gessato; Per lesioni stabili si possono utilizzare ortesi con
immobilizzazione cervicotoracica (ad es collare tipo Phladelphia con appoggio sternale o
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SOMI-Brace senza aureola). I collari semirigidi come il collare di Schanz hanno
indicazione solo in caso di contratture cervicali in pazienti con piccole lesioni che non
compromettano la stabilità del segmento interessato.
Dorsali basse e Lombari: busto a tre punte, lombostato e busto tipo Cheneau con appoggi
acromiali (su misura): Nelle piccole lesioni dorsali basse e lombari con che non
compromettano la stabilità del segmento interessato si possono utilizzare busti a tre punte.
Nelle lesioni dorsali basse e lombari potenzialmente o francamente instabili conviene
utilizzare ortesi in materiale plastico fatte su misura con appoggio distale iliaco (ad es tipo
Cheneau), preferibilmente con appoggi di spinta a livello acromiale per evitare la cifosi del
segmento interessato. In alcuni casi ad elevata instabilità o in pazienti con lesioni multiple
è possibile realizzare ortesi su misura in materiale plastico con appoggio prossimale
occipitocervicale ed appoggio iliaco distalmente.
3. DOCUMENTAZIONE DI RIFERIMENTO
M 5.2 – Elenco documentazione di origine esterna:
-
Berruti A., F. Bertoldo, V. Denaro, T. Ibrahim, C. Ripamonti, L. Trodella,
“Trattamento delle metastasi ossee”, Linee Guida AIOM (Associazione Italiana
Oncologia Medica) (versione 2009)
-
Apro M, Abrahamsson PA, Body JJ et al., Guidance on the use of bisphosphonate
in solid tumors: recommendations of an international expert panel, Ann Oncol 2007.
4. RESPONSABILITA’
Medico di settore oncologo:
• E’ responsabile della pianificazione degli esami diagnostici e stadiativi del paziente
affetto da metastasi ossee a seconda della circostanza;
•
E’ responsabile della prescrizione di terapie sistemiche che prevedono l’utilizzo di
farmaci chemioterapici, antidolorifici, bifosfonati e qualsiasi terapia medica
finalizzata all’ottenimento degli obiettivi descritti.
• E’ coinvolto direttamente nella valutazione degli steps e del timing da seguire
nell’applicazione delle attività previste in relazione alle caratteristiche del paziente
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(età, comorbidità), alle condizioni cliniche del paziente (performance status), alla
tipologia di tumore, alla prognosi.
• Nell’ambito della gestione multidisciplinare ha la responsabilità di coordinare le
attività previste dal PDT.
•
È responsabile della gestione della lista di attesa per l’ammissione al reparto
•
Garantisce l’attività clinica assicurando continuità terapeutica.
•
Supporta l’equipe nella gestione del paziente e della famiglia
Medico di settore radioterapista:
• E’ responsabile dell programmazione e applicazione di un piano terapeutico
radiante a finalità palliativa sulle sedi di metastasi ossee a seconda della
localizzazione delle stesse (rischio di frattura patologica) e alla sintomatologia
presente (dolore, sintomi mielici in caso di compressione midollare da metastasi
vertebrali).
• Nell’ambito della gestione multidisciplinare è responsabile, in accordo con
l’oncologo, della pianificazione degli steps e del timing di applicazione dell’attività di
competenza in base al caso clinico in discussione.
• Supporta l’equipe nella gestione del paziente e della famiglia.
Medico di settore radiologo:
•
E’ responsabile della refertazione degli esami radiologici indicati (RX, TC, RMN,
TC-PET, Scintigrafia ossea).
•
Nell’ambito
della
gestione
multidisciplinare
ha
responsabilità
di
valutare,
collegialmente, le priorità di esecuzione degli esami strumentali citati in base
all’urgenza/emergenza e alle priorità e del caso discusso.
Medico di settore ortopedico/traumatologo/neurochirurgo:
•
Sono responsabili della valutazione chirurgica del paziente che presenta uno degli
eventi scheletrici descritti, con particolare riguardo alle metastasi vertebrali che
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paziente osseo oncologico affetto da
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Sanitaria
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richiedono eventuale decompressione midollare e/o interventi chirurgici sulla
colonna vertebrale.
•
Sono responsabili della prescrizione di presidi ortopedici di ausilio (per es. busti di
sostegno).
•
Nell’ambito della gestione multidisciplinare sono responsabili della valutazione
chirurgica come descritto.
Medico di settore terapista del dolore:
•
E’ responsabile della programmazione e prescrizione della più idonea terapia
antalgica a seconda del caso e di seguire l’eventuale evoluzione del quadro
sintomatologico ed apportare le modifiche terapeutiche che ritiene più consone al
caso. Pari responsabilità riveste nell’ambito della gestione multidisciplinare del
caso.
Medico di settore fisiatria:
•
E’ responsabile della valutazione e pianificazione delll’eventuale necessità di
terapia riabilitativa nel paziente affetto da metastasi ossee sottoposto a intervento
chirurgico ortopedico/neurochirurgico, o costretto ad allettamento prolungato.
•
Nell’ambito della gestione multidisciplinare, ha responsabilità di discutere la
necessità e la fattibilità di un intervento riabilitativo in base alle caratteristiche del
caso
Coordinatore del personale infermieristico (AFD):
•
Coordina le informazioni in entrata/uscita relative ai pazienti ricoverati, è a
disposizione dei pazienti e dei famigliari per informazioni
•
Gestisce, insieme al medico di settore, la lista di attesa per l’ammissione al reparto
o al DH della SC di Oncologia
•
Espleta le attività burocratiche relative alle degenze in collaborazione con il medico
•
È responsabile dell’archiviazione e conservazione dei dati
•
È responsabile dell’ottimizzazione e dell’integrazione delle risorse umane disponibili
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•
Valuta le prestazioni del personale assegnato
•
È responsabile della gestione dei sistemi di monitoraggio dei processi e dei risultati
•
È responsabile della gestione delle risorse materiali (ordini approvvigionamento,
stoccaggio,
conservazione
di
materiali
ed
alimenti,
richieste
e
verifiche
manutenzione ordinaria – straordinaria delle apparecchiature)
•
È responsabile delle rilevazioni dei bisogni formativi ed organizzativi, del sostegno
dell’equipe, delle motivazioni, dello sviluppo professionale di ciascuno
Infermiere:
•
Elabora il piano di assistenza: pianifica, conduce e valuta gli interventi assistenziali
in accordo con il medico di settore
•
Attua interventi di educazione sanitaria al paziente ed alla famiglia qualora ne
identifichi la necessità
•
Agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli operatori sanitari e sociali
•
Garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche
Tecnico radioterapista:
•
Garantisce la corretta applicazione del piano terapeutico radiante programmato
Fioterapista:
•
Garantisce la corretta applicazione del piano riabilitativo programmato, evidenzia e
segnala eventuali criticità cliniche riscontrate durante il periodo riabilitativo.
Operatore di supporto:
•
Soddisfa i bisogni primari della persona in collaborazione/su indicazione/con
supervisione del personale infermieristico secondo il piano di assistenza concordato
•
Favorisce il benessere e l’autonomia degli utenti
•
Eroga aiuto domestico/alberghiero
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5. STEP DEL PERCORSO
Step 1: paziente asintomatico affetto da tumore già noto alla SC di Oncologia che
sviluppa una o più metastasi ossee in corso della sua storia clinica, oppure prima
diagnosi di tumore e riscontro di metastasi ossee in corso di stadiazione.
In questa circostanza, la diagnosi di metastasi ossea viene fatta durante esami radiologici
(specialmente TC, TC-PET,RMN) eseguiti per la valutazione del tumore primitivo
(stadiazione) o per valutare la risposta ai trattamenti sistemici e locali, o in corso di followup.
A seconda della sede della/e metastasi ossee, viene valutatato il rischio di sviluppare un
evento scheletrico e viene proposta:
- Terapia con bifosonati;
- Eventuale chemioterapia;
- Eventuale trattamento locale a seconda delle circostanze:
Chirurgia/RT se rischio di frattura patologica o se metastasi vertebrale
con rischio di crollo vertebrale e/o compressione midollare
- Discussione in ambito multidisciplinare.
Step 2: paziente sintomatico affetto da tumore già noto alla SC di Oncologia.
In questa circostanza il paziente si rivolge alla SC di Oncologia per comparsa di
sintomatologia
(dolore,
astenia,
sintomatologia
mielica)
che
pone
indicazione
all’esecuzione di esami radiologici (TC con setting osseo e/o scintigrafia ossea, e/o PET,
e/o RMN ) ed ematochimici (emocromo,calcemia).In caso di sintomatologia mielica, il
paziente va gestito in regime di emergenza (invio in PS, ricovero se disponibilità postoletto, gestione multidisciplinare).
A seconda del sintomo viene proposta:
- Terapia con bifosfonati e terapia antalgica
- Trattamento locale: RT a finalità antalgica e/o chirurgia
- Valutazione fsiatrica e riabilitativa
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Step 3: paziente sintomatico affetto da tumore non noto alla SC di Oncologia.
In questa circostanza il paziente non si rivolge all’oncologo ma accede al PS o ad altro
servizio (per es.ambulatorio di fisiatria, altri) per la comparsa di sintomi per cui la diagnosi
di metastasi ossea viene eseguita in altra struttura. La gestione multidisciplinare, in questo
caso, garantisce un percorso preferenziale del paziente che viene preso in carica dalle
figure professionali competenti che conducono gli esami di stadiazione e le terapie
disponibili.
6. INDICATORI DI PERFORMANCE E DI PROCESSO
Indicatori di processo
•
Rispetto delle tempistiche di intervento (spec. per le metastasi vertebrali)
•
Ripsetto delle priorità di intervento in base alla gestione multidisciplinare
•
Numero totale di pazienti diagnosticati e trattati
Indicatori di performance:
• adeguato controllo dei sintomi se presenti
• riduzione dell’insorgenza degli eventi scheletrici correlati alle metastasi ossee
• aumento del tempo di insorgenza del primo evento scheletrico dalla diagnosi di
metastasi ossea
• aumento della sopravvivenza
• rilevazione del miglioramento della qualità di vita attraverso questionari di
valutazione della qualità di vita
• valutazione del soddisfacimento del servizio fornito attraverso questionari di
soddisfazione
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