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Le azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione

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Le azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione
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SOMMARIO
Le azioni possessorie nei confronti
della pubblica amministrazione
1. Limiti interni delle attribuzioni del giudice ordinario. – 2. Proponibilità delle azioni possessorie nei confronti della p.a. – 2.1. Attività amministrativa svolta in carenza di potere. – 2.2. Occupazione appropriativa. –
2.3. Attività amministrativa svolta da un privato. – 3. Proponibilità delle
azioni possessorie da parte della p.a. – 3.1. Potere di autotutela della p.a.
1. Limiti interni delle attribuzioni del giudice ordinario
Ai sensi dell’art. 4 della legge n. 2248/1865,
Giurisprudenza
«quando la contestazione cade dopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in
relazione all’oggetto dedotto in giudizio.
L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle
competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei tribunali in
quanto riguarda il caso deciso».
Art. 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248.
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Le azioni possessorie
L’articolo citato segna i limiti interni delle attribuzioni del giudice
ordinario, nelle controversie ove sia parte la p.a. Allo scopo di scongiurare ogni possibile ingerenza dell’autorità giudiziaria nelle scelte
discrezionali della p.a., il legislatore dell’epoca ritenne di introdurre
un siffatto rigoroso limite. Pertanto al giudice ordinario è preclusa la
possibilità di modificare o revocare un atto amministrativo. Egli può
solo disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, in quanto non conformi alla legge, ex art. 5, legge n. 2248/1865. In virtù di queste disposizioni, si ritiene che il giudice ordinario possa emettere nei confronti della p.a. soltanto sentenze dichiarative. Non può invece pronunciare sentenze costitutive o di condanna, con la sola eccezione di
quelle aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro o un
facere fungibile.
È proprio in relazione a questi limiti che va valutata la proponibilità, da parte di un privato, delle azioni possessorie nei confronti della p.a. È infatti evidente come il ricorrente in un giudizio possessorio
invochi non già una sentenza dichiarativa, bensì una pronuncia giudiziale di condanna nei confronti dell’autore della lesione, diretta a
rispristinare il rapporto di ingerenza con il bene, recuperando la res
sottratta in seguito allo spoglio oppure inibendo ogni ulteriore turbativa ad opera di terzi.
2. Proponibilità delle azioni possessorie nei confronti della p.a.
La attenta elaborazione giurisprudenziale consente di individuare, con sufficiente chiarezza, i limiti entro i quali è proponibile una
azione possessoria nei confronti di una p.a. I giudici di legittimità
hanno avvertito l’esigenza di assicurare una adeguata tutela al privato
cittadino, contro atti della p.a. anche gravemente lesivi dei propri interessi, sforzandosi di mediare tra esigenze contrapposte, rappresentate dalla necessità di dare efficace attuazione al principio contenuto
nell’art. 113 Cost. e, al comtempo, di assicurare ragionevoli margini
di discezionalità all’azione amministrativa.
Si è così giunti a distinguere tra attività “funzionale” ed attività
“materiale” della p.a. Con la prima espressione si fa riferimento alla
attività della p.a. costituente espressione dei poteri autoritativi che
ad essa fanno capo. Si tratta quindi di condotte che traggono origine
da atti amministrativi, come tali idonei ad incidere autoritativamente
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nei rapporti con i privati. Al contrario, l’attività materiale non è sorretta da alcun atto amministrativo e perciò non è espressione dei poteri autoritativi della p.a. Non sono ricollegabili nemmeno implicitamente all’esercizio di un potere amministrativo. In questo caso si
afferma efficacemente che la p.a. pone in essere un’attività “sine titulo”, vale a dire in assenza di qualsiasi potere giuridico ad essa conferito dalla legge. Si pensi, per fare qualche esempio, al sindaco di un
comune il quale occupi un terreno privato, in assenza di un formale
provvedimento ablatorio, oppure ostruisca l’accesso ad un fondo
privato senza un formale atto amministrativo.
Si ritiene, ormai unanimamente, che qualora la condotta spogliatrice o molestatrice sia stata posta in essere dalla p.a., in esecuzione
di un provvedimento amministrativo, non sia invocabile la tutela possessoria da parte del privato leso dai pubblici poteri. La tutela possessoria è dunque inammissibile nei confronti di una attività funzionale della p.a. Il giudice di legittimità ha osservato che:
Giurisprudenza
«le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della p.a.
(e di chi agisca per conto di essa) solo quando il comportamento perseguito dalla medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti (di fronte ai quali
le posizioni soggettive del privato hanno natura non di diritto soggettivo, bensì di interessi legittimi, tutelabili, quindi, davanti al giudice amministrativo) ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti
amministrativi formali. Ne consegue che, ove dette azioni siano proposte in relazione a
comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o comunque di atti amministrativi,
va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 37, 1° comma, c.p.c.».
Cass. 17 aprile 2003, n. 6189, in CED Cassazione.
«È principio consolidato che la giurisdizione del giudice ordinario non sussiste relativamente alle azioni possessorie proposte nei confronti della p.a., quando la domanda,
ancorché diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo, sia rivolta contro un comportamento dell’amministrazione inteso al perseguimento di finalità di ordine generale e
attuato in esecuzione di poteri pubblici».
Cass. 13 ottobre 1997, n. 9962, in Mass. Giust. civ., 1997, 1923.
In ossequio all’enunciato principio, il giudice di legittimità, confermando le precedenti sentenze dei giudici di merito, ha escluso che
potesse invocare la tutela possessoria, nei confronti del comune, il privato al quale era stata sospesa la erogazione di acqua, in quanto mai
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Le azioni possessorie
rilasciata l’autorizzazione all’allaccio all’acquedotto pubblico. In tal caso infatti il comune aveva agito in esecuzione di una norma del regolamento comunale, regolarmente deliberato, per cui il giudice avrebbe
dovuto sindacare l’esercizio dei poteri discrezionali del comune.
Analogamente si è ribadito che qualora le azioni possessorie siano
proposte per denunciare
Giurisprudenza
«comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o comunque di atti amministrativi
va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 37, 1° comma, c.p.c., il che comporta la chiusura definitiva del giudizio di merito e la vanificazione
dei provvedimenti che durante il suo corso siano stati emessi».
Cass., Sez. Un., 25 gennaio 1995, n. 891, in Giust. civ., 1996, I, 2389.
La Suprema Corte ha inoltre chiarito che, nelle fattispecie considerate, il difetto di giurisdizione scaturisce dal divieto di elisione degli
effetti dell’azione amministrativa, posto dall’art. 4, legge n. 2248/1865,
che:
Giurisprudenza
«preclude l’unica pronunzia che sia possibile richiedere al giudice ordinario e da lui soltanto ottenibile».
Cass., Sez. Un., 24 novembre 1992, n. 12515, in Giust. civ., 1992, I, 2630.
L’attività funzionale può anche essere viziata, sotto il profilo della
legittimità degli atti amministrativi. Tale circostanza tuttavia non
esclude la insindacabilità dell’atto, da parte del giudice civile, ed, in
ultima analisi, della condotta meramente esecutiva del provvedimento viziato. Eventuali vizi potranno farsi valere solo in sede di giudizio
amministrativo, ove non è ipotizzabile una tutela equipollente a quella invocabile dinanzi al giudice ordinario. La tesi trova un autorevole
avallo nella giurisprudenza della Suprema Corte, ove si afferma che:
Giurisprudenza
«è inammissibile la tutela possessoria nei confronti della p.a. con riguardo all’esecuzione di atti amministrativi, ancorché viziati».
Cass. 21 luglio 1999, n. 488, in Mass. Giust. civ., 1999, 1687.
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Le azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione
Con specifico riferimento alla occupazione di un terreno privato,
da parte del comune, in esecuzione di un’ordinanza viziata per incompetenza del sindaco (essendo il provvedimento ablatorio di pertinenza dell’autorità statale, in ragione della tipologia del bene), si è
osservato che l’incompetenza dell’autorità sindacale
Giurisprudenza
«non si traduce in una carenza di potere, ma in uno scorretto esercizio di tale potere e
l’occupazione del terreno successiva alla predetta ordinanza non si esaurisce in una
mera condotta materiale, ma costituisce esecuzione di un provvedimento amministrativo, ancorché viziato da incompetenza».
Cass. 21 luglio 1999, n. 488, in Mass. Giust. civ., 1999, 1687.
Va però osservato che il giudice civile può, nel rispetto dei poteri
conferitigli dall’art. 5, legge n. 2248/1865, disapplicare l’atto illegittimo, che sorregge la condotta della p.a. Pertanto, nell’ambito di un
giudizio diverso da quello di spoglio o manutenzione, può pronunciare una sentenza dichiarativa della illegittimità della condotta spogliatrice o molestratrice, posta in essere da parte di un soggetto pubblico. La pronuncia assume rilievo nell’ambito di un giudizio risarcitorio.
Naturalmente diversa è la situazione nell’ipotesi in cui l’atto amministrativo, che sorregge la condotta della p.a., venga annullato. In questa ipotesi l’annullamento dell’atto, da parte dell’autorità amministrativa o giurisdizionale competente, comporta la sua automatica caducazione con efficacia ex tunc. L’effetto caducatorio (retroattivo) esclude la possibilità di considerare la condotta della p.a. sorretta da un
provvedimento autoritativo, con conseguente equiparazione della stessa alla cosiddetta attività materiale. È stata pertanto accolta la domanda di reintegrazione proposta dal proprietario di un fondo, occupato dal comune in virtù di un provvedimento di occupazione d’ur1
genza, successivamente annullato in sede di controllo .
Osserviamo ora il panorama giurisprudenziale consolidatosi in riferimento alla attività materiale, riconducibile alla p.a. In tal caso,
poiché la condotta fuoriesce dai binari tipici dell’azione amministra-
1
Cass., Sez. Un., 24 agosto 1999, n. 590, in Mass. Giust. civ., 1999, 1828.
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tiva, la giurisprudenza ritiene ammissibile la tutela possessoria dinanzi al giudice ordinario. Il giudice civile potrà quindi eventualmente condannare la p.a. a reintegrare il privato ricorrente nel possesso del bene o ad interrompere ogni turbativa, senza incorrere nel
divieto di cui all’art. 4, legge n. 2248/1865.
All’attività materiale sono state poi equiparate quelle condotte
poste in essere dalla p.a. iure privatorum, vale a dire servendosi degli
strumenti propri dei soggetti privati ed agendo perciò sullo stesso
piano di questi ultimi. In questo caso la p.a., lungi dall’avvalersi degli
strumenti pubblicistici che la legge le attribuisce, preferisce muoversi
come un qualsiasi soggetto privato, impiegando i comuni strumenti,
negoziali e non, contemplati dalle norme privatistiche. Ricorrendo
questa fattispecie, si ritiene che la scelta della p.a. la ponga inevitabilmente sullo stesso piano del privato cittadino, restando quindi esposta anche ai comuni rimedi in materia possessoria, in caso di condotta lesiva della sfera di possesso altrui.
Si è pertanto recentemente affermato che:
Giurisprudenza
«l’azione possessoria contro la p.a. è esperibile sia se questa agisca “iure privatorum”,
sia se ponga in essere un’attività “sine titulo”, cioè in assenza di qualsiasi potere giuridico ad essa conferito dalla legge, in quanto in tali casi si ha un comportamento meramente materiale e non opera, perciò, il divieto di condanna ad un “facere” previsto dall’art. 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. Qualora, invece, l’attività dell’amministrazione si risolva nell’esecuzione di un potere pubblico o di un atto amministrativo sia pure viziato, la tutela possessoria è inammissibile, perché questa, dovendo ripristinare la
situazione modificata o turbata dall’attività denunziata si attuerebbe con un provvedimento di natura costitutiva che, elidendo gli effetti dell’azione amministrativa, violerebbe
il divieto imposto al giudice ordinario dall’art. 4 della legge indicata».
Cass., Sez. Un., 22 dicembre 1999, n. 924, in Mass. Giust. civ., 1999, 2603.
2.1. Attività amministrativa svolta in carenza di potere
La giurisprudenza ha ulteriormente ampliato la sfera di tutela, riservata al privato cittadino nei confronti della p.a.
Accanto all’atto amministrativo illegittimo, sintomatico di un cattivo uso del potere, è stata costruita la categoria dell’atto inesistente
in riferimento ad un atto amministrativo emanato in carenza di potere. La carenza di potere ricorre
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Le azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione
«quando è assolutamente impossibile configurare in capo all’amministrazione il potere
di sacrificare la sfera giuridica dei cittadini, e ciò avviene non solo nell’ipotesi di invasione di settori riservati agli altri poteri dello Stato (legislativo o giurisdizionale), ma anche
quando l’atto adottato esorbiti dalla capacità dell’ente che lo ha emanato, e rientri in un
settore amministrativo completamente diverso (ad esempio, un provvedimento di competenza dell’amministrazione militare che viene adottato dall’amministrazione dell’interno)».
Galli 1990, 661.
In queste ipotesi si parla di “carenza di potere in astratto”. Si ritiene che la condotta della p.a. posta in essere in totale carenza di potere sia sindacabile da parte del giudice civile, in sede di giudizio
2
possessorio . È stato infatti precisato che il divieto di cui all’art. 4,
legge n. 2248/1865
Giurisprudenza
«non opera … relativamente agli atti che, seppur implicitamente amministrativi, risultano
emessi in totale carenza di potere».
Cass., Sez. Un., 29 maggio 1992, n. 6477, in Mass. Giust. civ., 1992, fasc. 5.
Si è così ritenuto che la installazione, da parte del comune, di una
fontana pubblica a ridosso di un muro privato, fosse avvenuta in totale carenza di potere da parte dell’ente, in quanto non preceduta
dalla individuazione, mediante provvedimento amministrativo, del bene di proprietà privata, sul quale si sarebbe dovuta realizzare l’opera.
L’utilizzazione del muro dell’edificio era quindi equiparabile ad una
occupazione sine titulo, con conseguente giurisdizione del giudice
ordinario, anche in materia di controversie possessorie insorte in re3
lazione alla vicenda menzionata .
In un altro arresto, la Suprema Corte, sul presupposto della insussistenza di una qualsiasi disposizione contemplante espressamente la possibilità di chiusura permanente dei passaggi a livello, ha ritenuto che fosse stata adottata in carenza di potere la scelta di chiudere definitivamente un passaggio a livello, precludendo il transito pedonale precedentemente esercitato dai proprietari di fondi. Si è per-
2
Cass., Sez. Un., 29 maggio 1992, n. 6477, in Mass. Giust. civ., 1992, fasc. 5; Sez.
Un., 23 giugno 1989, n. 2994, in Foro it., 1990, I, 153.
3
Cass., Sez. Un., 29 maggio 1992, n. 6477, in Mass. Giust. civ., 1992, fasc. 5.
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Le azioni possessorie
ciò ritenuto che la controversia possessoria, insorta a seguito del ricorso di questi ultimi, appartenesse alla giurisdizione del giudice or4
dinario e fosse legittimamente esperibile l’azione di reintegrazione .
La carenza di potere può sussistere anche in concreto. Ciò si verifica quando
«il potere autoritativo, pur essendo astrattamente riconosciuto all’amministrazione procedente, manca in concreto o perché il provvedimento amministrativo adottato è privo
della forma richiesta ad substantiam dal legislatore, o perché sono state violate le norme che avrebbero consentito un giusto procedimento (ipotesi, questa, estremamente
discussa), o, ancora, perché difettano i presupposti spazio-temporali che, invece, avrebbero dovuto ricorrere».
Galli 1990, 661, 662.
Anche in questi casi la giurisprudenza di legittimità è propensa ad
estendere il sindacato del giudice ordinario nei giudizi possessori.
Infatti, per costante giurisprudenza delle Sezioni Unite,
Giurisprudenza
«l’apprensione di un fondo privato da parte della p.a., ove successiva alla scadenza del
termine di efficacia del decreto autorizzativo dell’occupazione d’urgenza per la realizzazione di un’opera pubblica, integra attività materiale “iure privatorum” denunciabile davanti al giudice ordinario anche con l’azione possessoria».
Cass., Sez. Un., 27 maggio 1999, n. 301, in Mass. Giust. civ., 1999, 1189.
È stata pertanto accolta l’azione di reintegrazione proposta dal privato, proprietario di un fondo occupato dal comune per la realizzazione di un parcheggio pubblico, atteso che l’occupazione era avvenuta dopo il decorso del termine di efficacia del decreto autorizzati5
vo della occupazione . La p.a. aveva quindi agito in carenza di potere in concreto.
Analogamente, riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario,
si è ritenuto non operante il divieto di cui all’art. 4, legge n. 2248/1865
qualora la dichiarazione di pubblica utilità, legittimante la condotta
spogliatrice della p.a., sia priva dell’indicazione dei termini finali per
i lavori e per la procedura e non sia stato emanato il provvedimento
4
5
Cass., Sez. Un., 23 giugno 1989, n. 2994, in Foro it., 1990, I, 153.
Cass., Sez. Un., 27 maggio 1999, n. 301, in Mass. Giust. civ., 1999, 1189; conf.
Cass., Sez. Un., 30 dicembre 1998, n. 12906, in Mass. Giust. civ., 1998, 2666.
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di autorizzazione all’occupazione d’urgenza . Anche la fattispecie
valutata dal Supremo Collegio concerne una condotta della p.a. posta in essere in carenza di potere in concreto.
2.2. Occupazione appropriativa
L’elaborazione giurisprudenziale ha delineato un peculiare modo
di acquisto del diritto di proprietà da parte della p.a. La fattispecie è
stata definita come “occupazione appropriativa”.
7
Una prima pronuncia in tal senso risale al 26 febbraio 1983 . In
quella occasione le Sezioni Unite della Cassazione affermarono che
la irreversibile trasformazione di un suolo privato, ad opera della
p.a., mediante un’opera di pubblica utilità, determina l’acquisto, a
titolo originario, del fondo da parte dell’autorità amministrativa.
Giurisprudenza
«Nelle ipotesi in cui la p.a. (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un’opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale
mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali
l’occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell’opera pubblica, comporta l’estinzione
del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della
proprietà in capo all’ente costruttore».
Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1983, n. 1464, in Foro amm., 1984, 322.
Negli anni successivi la Suprema Corte ha mutato sensibilmente
indirizzo. Il principio è stato inizialmente posto in discussione nella
sentenza n. 3872/1987, ove si è negato che il diritto di proprietà del
privato, sul bene illegittimamente occupato dalla p.a., si estingua per
8
effetto della irreversibile utilizzazione del bene . In seguito la giurispridenza ha elaborato un nuovo indirizzo, autorevolmente espresso
in recenti pronunce del Supremo Collegio. Si è così giunti ad affermare che:
6
Cass., Sez. Un., 11 novembre 1998, n. 11351, in Foro it., 1999, I, 2616.
7
Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1983, n. 1464, in Foro amm., 1984, 322.
8
Cass., sez. II, 18 aprile 1987, n. 3872, in Foro it., 1987, I, 1727.
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