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Guida alla preghiera - il Profeta del Vento
GUIDA ALLA PREGHIERA a cura di Stefano Biavaschi Cos’è la Preghiera Che cos’è la preghiera? E, in particolare, che cos’è la preghiera cristiana? E’ atto dell’uomo o è atto di Dio? In verità, nessun uomo può pregare se ciò non è suscitato da Dio; recitare formule è un conto, essere nella preghiera è un altro. E questo perché la preghiera, prima di ogni altra cosa, prima ancora che si esprima nelle sue varie modalità, di lode o di ringraziamento, di supplica o di intercessione, è uno stato d’essere. Pregare è riporre la propria vita in Dio. San Giovanni Damasceno (VII sec.) scriveva: “La preghiera è elevazione dell’anima a Dio”. Pregare è quindi un atteggiamento del cuore, in particolare un atteggiamento di umiltà: una rinuncia al proprio orgoglio, per porre la propria fiducia in Dio. Quanto a noi, “nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”, diceva San Paolo (Rm 8,26). L’umiltà è dunque il fondamento della preghiera, “la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera” (CCC 2559). La preghiera, più che esprimere la nostra ricerca di Dio, esprime la ricerca di Dio verso di noi. Più che esprimere la nostra sete, esprime la sete che Dio ha di noi: “Egli ci cerca per primo ed è lui che ci chiede da bere. Gesù ha sete; la sua domanda sale dalle profondità di Dio che ci desidera. Che lo sappiamo o no, la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui” (CCC 2560). La nostra preghiera di domanda è, in realtà, già una risposta. Qualunque sia il linguaggio della preghiera, è tutto l’uomo che prega. Ma da dove viene la preghiera? Per più di mille volte, nella Sacra Scrittura è detto che la preghiera viene dal cuore: è il cuore che prega. Dicendo questo ci indica che la preghiera viene dallo spirito, viene da Dio, perché il nostro cuore è la dimora di Dio in noi. E’ anche la dimora dove io sto (o dovrei stare), dove io abito, o, semiticamente parlando, da cui discendo. “E’ il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. E’ il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. E’ il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. E’ il luogo dell’incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’Alleanza” (CCC 2563). La preghiera cristiana è dunque relazione d’alleanza, un’alleanza fra Dio e l’uomo, realizzata in Cristo. E’ sia azione di Dio sia azione dell’uomo. Sgorga sia dallo Spirito Santo sia da noi. Nella nostra vita è, di fatto, la fedele compagna, l’amica sincera, l’alleata continua. Possiamo dire che la preghiera è la prua alta con cui affrontiamo i marosi della vita. Pregare è fidarsi, è posarsi in Dio, anziché nelle cose e nelle creature. Pregare è scegliere Dio: sceglierlo al posto della propria fragilità. La preghiera è una consegna totale, è lasciare agire Dio perché è il Signore. Lasciare che compia lui le nostre opere. Pregare non è dire parole, ma lasciare che il Verbo dialoghi attraverso di noi. E’ parlare con le parole di Dio, lasciare fluire dall’anima un linguaggio di segni arcani che racchiudono tutta l’efficacia della Grazia. Pregare è amare, perché a esprimersi non sono le nostre parole, ma il Verbo dell’Amore. La preghiera, dunque, è la Vita. E’ la Via. E’ l’Essere. E’ il ritorno alla propria origine; al proprio senso; alla propria storia. E’ ripercorrere il cammino della storia della salvezza, posare i nostri passi sulle orme dei Padri, dei Profeti, dei Patriarchi, dei Santi. Pregare è, come nella metafora del figliol prodigo, un ritorno al Padre. Un abbandono alla sua volontà. Pregare è esaudire i desideri di Dio. Nella preghiera, quando è vera, non ci s’incontra con ciò che vogliamo, ma con ciò che Dio vuole da noi. La preghiera è dunque figliolanza perfetta. E’ un viaggio interiore in cui ci si arrende all’amore. Inoltre la preghiera è tempio dello Spirito Santo, realizzazione dei suoi carismi. In particolare la preghiera cristiana non è mai atto solitario; esprime comunione anche quando si prega da soli, perché tramite l’amore si coabita insieme nell’universale comunione dei cuori. “Nella Nuova Alleanza la preghiera è la relazione vivente dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo” (CCC 2565), nell’unico corpo mistico che è la Chiesa. La preghiera nell’Antico Testamento Quando nacque la preghiera? Leggendo la Genesi scopriamo che, dopo la caduta, è Dio che per primo chiama l’uomo: “Dove sei?” (Gn 3,9). E’ Dio che fin dal principio instaura una relazione salvifica con l’uomo. Percorrendo i capitoli della Genesi possiamo scoprire i primi passi della nostra risposta, e ricostruire l’evoluzione della preghiera lungo la storia della salvezza: il primo figlio di Adamo, Abele, esprimeva la sua preghiera con l’offerta dei primogeniti del suo gregge (Gn 4,4). Con la generazione successiva, quando Set, figlio di Adamo, generò Enos, “si cominciò a invocare il nome del Signore” (Gn 4,26). Successivamente Enoch, padre di Matusalemme, cominciò a percepire la preghiera come percorso da fare assieme al Signore, e così “camminò con Dio” (Gn 5,24). Anche Noè “camminava con Dio” (Gn 6,9), ma fece esperienza della preghiera anche come obbedienza a Dio, e dopo aver eseguito in tutto i suoi comandi, elevò la sua preghiera a liturgia edificando un altare al Signore (Gn 8,20). Con lui Dio stabilì un’alleanza, e pose un segno per unire il cielo e la terra, “per ricordare l’alleanza eterna” (Gn 9,16). “Ma è soprattutto a partire dal nostro padre Abramo che nell’Antico Testamento viene rivelata la preghiera” (CCC 2569). Non appena chiamato a lasciare la sua terra, “Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore” (Gn 12,4), e ad ogni tappa del suo percorso costruisce un altare al Signore, perché la preghiera di Abramo si esprime soprattutto con azioni, ed anche tramite durissime prove: è la fede che viene messa alla prova dinanzi alla fedeltà di Dio. Con lui il Signore stabilisce un’alleanza verso tutto un popolo, rendendo grande il suo nome e trasformandolo in segno di benedizione; in lui “si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12,1-3). Tramite lui la Bibbia ci regala le prime preghiere in parole: dal velato lamento dinanzi alle promesse che tardano a realizzarsi (Gn 15,2-3), fino al grido di accoglienza verso il Signore che viene a visitarlo presso le querce di Mamre: “Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo” (Gn 18,3). In Abramo la preghiera si eleva anche a preghiera d’intercessione, perché “il cuore di Abramo è in sintonia con la compassione del suo Signore per gli uomini, ed egli osa intercedere per loro con una confidenza audace” (CCC 2571). Ne troviamo un ben noto esempio nella sua vibrante intercessione per salvare gli abitanti di Sodoma: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere” (Gn 18,27). Qui la preghiera si eleva a prezioso strumento di salvezza, anche se Sodoma non poté salvarsi per assenza di giusti. Ma quando ci si addentra nel tempo della promessa pasquale (quello dell’Esodo), la preghiera d’intercessione si mostra pienamente come segno attraverso cui si manifesta il progetto di salvezza di Dio. Ormai “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,11). Mosè s’intrattiene spesso e a lungo con il Signore, e questa confidenza eleva la sua preghiera a preghiera di contemplazione, tanto che di lui il Signore può dire: “Bocca a bocca parlo con lui, in visione” (Nm 12,8). Mosè non prega per sé, ma per il popolo di Dio. Le modalità della sua preghiera ispireranno per secoli tutti i grandi oranti dell’Antica Alleanza. Si svilupperanno anzi grandi “maestri di preghiera”, sacerdoti e profeti che insegneranno a “stare davanti al Signore”, sia all’ombra della Dimora di Dio, cioè dell’Arca dell’Alleanza, sia più tardi nel grande Tempio di Gerusalemme. Il re Davide sarà “il pastore che prega per il suo popolo e in suo nome, colui la cui sottomissione alla volontà di Dio, la lode, il pentimento saranno modello di preghiera per il popolo” (CCC 2579). Suo figlio Salomone sarà l’artefice liturgico della Dedicazione del Tempio, ed al Signore eleverà la sua preghiera di benedizione: “Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ha adempiuto con potenza quanto aveva promesso” (1Re 8,15). Il tempio fu per gli israeliti il luogo della educazione alla preghiera. Pellegrinaggi, feste, sacrifici, offerte serali, ammaestravano gli animi a elevarsi a Dio. Talvolta però la preghiera scivolava nel ritualismo, e quindi occorreva una educazione alla fede, una conversione del cuore. E fu questa la missione dei profeti, prima e dopo l’Esilio; come Elia, “padre dei profeti”, e tanti altri mandati da Dio come modelli non solo di vera fede, ma di preghiera del cuore. “I Libri Sacri contengono testi di preghiera che testimoniano come si sia fatta sempre più profonda la preghiera per se stessi e per gli altri” (CCC 2585). Il Libro dei Salmi ne fornisce un ricchissimo esempio, e non solo è uno specchio delle meraviglie che Dio ha operato in passato nell’uomo, ma anche di ciò che ancora opera oggi, perché per l’universalità dei suoi contenuti può essere adoperato dagli uomini di ogni condizione e di ogni tempo. La preghiera nella Nuova Alleanza La prima preghiera che compare nel Nuovo Testamento è il Magnificat. In questo stupendo inno Maria fa memoria dell’Antica Alleanza, durante la quale, come promesso “ad Abramo ed alla sua discendenza”, Dio ha mostrato la sua misericordia “di generazione in generazione”. La sua preghiera inaugura inoltre la “pienezza del tempo”, la nuova alleanza in cui l’Onnipotente realizza “grandi cose”, proprio attraverso Lei, “perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,46-55). E le labbra di Maria si dischiudono, tra l’altro, alla prima profezia del Nuovo Testamento, che effettivamente si realizzò: “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”. La seconda preghiera che il Vangelo ci rivela è il Benedictus, in cui Zaccaria, padre di Giovanni il Battista, riprende le antiche promesse e profezie per ricordare anch’egli le misericordie del Signore, ed annunciare quella “salvezza potente” tramite la quale Dio vuole “redento il suo popolo”, visitandolo dall’alto con la venuta di Cristo, “sole che sorge” (Lc 1,67-79). La venuta di Giovanni il Precursore, ultimo dei profeti dell’antica alleanza ma già anello di congiunzione con la nuova, tanto da essere “chiamato profeta dell’Altissimo”, è, in realtà, già il frutto di una preghiera esaudita (Lc 1,13). Nel Nuovo Testamento anche gli Angeli sono maestri di preghiera, come quando, salutando la Vergine, regalano alla cristianità le prime parole dell’Ave Maria (Lc 1,28), o come quando, alla nascita del divino Bambino, celebrano la sua gloria: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Maria educherà suo figlio alla preghiera, con la fedeltà di tutte le donne ebree, ma con l’aggiunta di quel mistero con cui “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Così Gesù “ha imparato a pregare secondo il suo cuore d’uomo. Lo apprende da sua madre... Lo apprende nelle parole e nei ritmi della preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio”; ma da lui scaturisce “la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale” (CCC 2599). Ed ogni volta, prima dei momenti decisivi della sua missione, Gesù prega il Padre: lo fa prima della discesa dello Spirito Santo al suo Battesimo (Lc 3,21), prima di scegliere e chiamare i Dodici (Lc 6,12), prima della sua Trasfigurazione (Lc 9,28), prima della sua Passione (Lc 22,41-44). Spesso Gesù si ritira a pregare in luoghi deserti, o sui monti, o di notte. Ma nel farlo “Egli porta gli uomini nella sua preghiera, poiché ha pienamente assunto l’umanità nella sua Incarnazione, e li offre al Padre offrendo se stesso” (CCC 2602). Le preghiere di Gesù cominciano spesso col rendimento di grazie (cfr Lc 10,21-22; Gv 11,41-42), insegnando così anche a noi che la preghiera è innanzitutto ringraziamento. Non è infatti facile capire, senza aiuti divini, quale sia il modo corretto di pregare. Anche i discepoli stessi di Gesù se ne accorsero, tanto da chiedergli: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). Eppure già conoscevano tutti i modi della preghiera secondo l’Antica Alleanza. Ma ora anche la preghiera doveva compiere un balzo; ed è in quell’occasione che Gesù ci lascia in dono il sublime modello del Padre Nostro, per tanti secoli ed ancora oggi immagine perfetta della preghiera cristiana. “Fin dal Discorso della Montagna, Gesù insiste sulla conversione del cuore: la riconciliazione con il fratello prima di presentare un’offerta all’altare (Mt 5,23-24), l’amore per i nemici e la preghiera per i persecutori (Mt 5,44-45), la preghiera al Padre «nel segreto» (Mt 6,6), senza sprecare molte parole (Mt 6,7), il perdono dal profondo del cuore nella preghiera (Mt 6,14-15), la purezza di cuore e la ricerca del Regno (Mt 6,21.25.33). Tale conversione è tutta orientata al Padre: è filiale” (CCC 2608). San Paolo scrive che Gesù “nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime” (Eb 5,7). Perfino sulla croce Cristo è colto in preghiera. E tramite quella croce la preghiera di Gesù diventa preghiera a Gesù. Ai suoi discepoli aveva infatti confidato il mistero della preghiera al Padre, svelando il segreto della potenza orante quando questa era presentata nel suo Nome: “Finora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,24). Cristo promette di ottenere a chi cerca e bussa, e può farlo perché egli stesso è la porta e il cammino. Egli non è quindi solo maestro di preghiera, ma via della stessa. E’ attraverso di lui che le preghiere vengono offerte, ascoltate, realizzate. Ci invita a questa audacia filiale in molte affermazioni: “Se chiederete qualcosa al Padre mio nel mio nome, egli ve la darà” (Gv 16,23); “Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera lo otterrete” (Mt 21,22); “Chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Gv 15,7); “Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò” (Gv 14,13); “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23). L’evangelista Luca ci tramanda tre importanti parabole sulla preghiera: quella dell’amico importuno (Lc 11,5-13), che esorta alla preghiera fatta con insistenza; quella della vedova importuna (Lc 18,1-8), che ci educa alla preghiera paziente e instancabile; quella del fariseo e il pubblicano (Lc 18,9-14), che ci insegna l’umiltà e la sincerità del cuore durante la preghiera. L’evangelista Giovanni ci regala invece la più lunga e solenne preghiera di Gesù: viene chiamata la preghiera sacerdotale, e rappresenta il “testamento spirituale” di Gesù, che in quest’intensa orazione ci consegna in eredità il suo cuore, erigendo la più alta testimonianza d’amore nella storia. Un intero capitolo, Giovanni 17, che basterebbe da solo a manifestare la grandezza di Cristo; una serie di parole sublimi che come dardi arrivano direttamente al cuore, portando il lettore ad un’unica conclusione “Davvero costui era il Figlio di Dio”. Nessun altro uomo, nei secoli, ha detto parole come quelle, che restano scolpite per sempre come manifestazione insuperata della nobiltà dello spirito. Se vi si accosta con cuore sincero, è impossibile leggerle senza convertirsi. La preghiera nel tempo della Chiesa Quando la chiesa cominciò a muovere i suoi primi passi, attinse i suoi modelli di preghiera sia dall’Antico Testamento che dalla nuova eredità spirituale lasciata da Gesù. Una delle prime forme di preghiera che si struttura, è la professione di fede. Questo perché, prima di ogni altra cosa, era necessario avere sempre ben chiaro in chi e in che cosa credere. Le prime professioni di fede sono a noi visibili nelle predicazioni apostoliche, spesso unite all’annuncio del kerigma. Gli apostoli, infatti, annunciavano pregando. Un esempio archetipico di professione di fede, è quello che potremmo chiamare il “credo paolino”, racchiuso in un gruppo di versetti della Lettera ai Colossesi, in cui Paolo annuncia Gesù con queste parole: “Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili. Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza, e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1,15-20). Qui appare molto bene la fusione tra annuncio e professione di fede. Inoltre vi si può benissimo individuare l’embrione di quella che sarà la più gloriosa e importante preghiera della Chiesa: il Credo, quello formulato per intero dai Padri di Nicea e Costantinopoli nel IV secolo. Ma la chiesa cominciò a pregare anche in tanti altri modi, fatti sia di parole sia di gesti. Una delle modalità più semplici era il segno di croce: esprimeva in modo molto semplice la fede nella Trinità. Ne abbiamo le prime testimonianze dagli antichi Padri, anche se inizialmente era solo la “piccola croce”, fatta col pollice sulla fronte, e talvolta su altre parti del viso o del corpo. Tertulliano (160-220) scriveva: “Sia che ci mettiamo in viaggio, sia che usciamo od entriamo, sia che ci vestiamo, ci laviamo, andiamo alla mensa o al letto, o ci sediamo, sia in queste sia in tutte le nostre azioni, ci segniamo la fronte col segno di croce” (De corona militis, III,4). L’uso del segno di croce era quindi assai diffuso, e non solo nei momenti liturgici, ma in quasi tutte le circostanze della vita, quasi a suggerire che tutta la vita, anche nel quotidiano, dev’essere preghiera. Nelle antiche liturgie battesimali, ben conoscendo la valenza anche esorcistica del segno di croce, era in uso praticarlo sulla fronte, sulle orecchie e sulle narici, come scritto nella Traditio Apostolica, antichissimo testo liturgico del 215 d.C., ove anche si legge: “Quando sei tentato, segnati devotamente la fronte: è il segno della Passione, conosciuto e sperimentato contro il diavolo se lo fai con fede”. Un altro modello di preghiera era la benedizione, nella sua duplice direzione: si benedice Cristo o il Padre, oppure se ne accolgono le benedizioni. San Paolo, scrivendo agli abitanti di Efeso, riassume in una frase entrambe le direzioni: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo” (Ef 1,3). Si pregava anche con l’adorazione: “L’adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore” (CCC 2628). Nei secoli l’adorazione verso Dio passerà spesso attraverso le effigi dell’arte (icone, crocifissi...), fino a trovare il suo culmine perfetto nell’adorazione eucaristica. I santi amavano “abbronzarsi” per ore al Sole dell’Eucaristia, che irradiava in loro le virtù mistiche e dello spirito. La preghiera di ringraziamento o di lode era invece il modo con cui i cristiani ringraziavano il Signore o semplicemente riconoscevano che Dio è Dio. Nel cammino di santità il ringraziamento e la lode vengono elevati perfino davanti alle prove e ai dolori: dinanzi alle sciagure della vita il non credente impreca o semplicemente si rassegna; il cristiano vero, invece, trova la forza per ringraziarne Dio e per lodarlo nonostante le avverse evidenze. Spesso questo tipo di coraggio capovolge letteralmente le situazioni di disgrazia trasformandole in brevissimo tempo in situazioni di grazia. La preghiera di domanda, è sempre stata particolarmente conforme alla natura dell’uomo, sempre incline a leggere i propri bisogni; ma la prima cosa che la Chiesa ha sempre insegnato a chiedere è la volontà stessa di Dio in ogni circostanza. E, quando invece cadiamo nel peccato, la nostra domanda deve saper diventare domanda di perdono. Infine, il credente incorporato nel corpo mistico, può prolungare verso i fratelli l’azione salvifica di Cristo tramite la preghiera di intercessione. San Paolo invitava a pregare “incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito Santo” (Ef 6,18), per i cristiani come per i nemici, in tutte le modalità offerte dalla fede, intrattenendosi a vicenda “con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore” (Ef 5,19). La preghiera liturgica Tra le varie forme di preghiera, quella liturgica ha un’importanza centrale nella vita cristiana. Perché? Cos’è la liturgia? Contrariamente a quello che può sembrare in superficie, la liturgia non è semplice rito, o semplice memoria collettiva fatta di formule. E’ importante capire che la liturgia (Santa Messa, celebrazione dei Sacramenti, ...), più che azione dell’uomo, è azione di Dio. Infatti, non solo è stata istituita da Cristo stesso, nella sua vita terrena, tramite gesti e parole che ne sono diventati i segni vivificanti, ma è tuttora celebrata da Lui. Cristo ne è eternamente il celebrante. Il Concilio Vaticano II, nello splendido documento Sacrosanctum Concilium, definisce perciò la Liturgia “azione sacra per eccellenza”, e aggiunge: “Nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo ed allo stesso grado, ne eguaglia l’efficacia” (SC 7). Questo perché ogni azione liturgica è direttamente “opera di Cristo sacerdote”. Nella liturgia “Cristo associa sempre a Sé la Chiesa, sua sposa amatissima”, e grazie a questo “gli uomini vengono santificati” (SC 7). Ecco perché la liturgia non è paragonabile con altre forme di preghiera (come quella personale), pure importanti: perché la liturgia ha un’efficacia sua, un’efficacia divina, è santificante. Potremmo dire che la liturgia ha corpo e anima, proprio come un essere vivente. Ha un corpo fatto di materia, riti, formule, gesti, ed un’anima che è lo Spirito Santo stesso in azione, che vivifica tutta quanta la liturgia, operando la trasformazione dell’uomo. Questo insieme di segni visibili e realtà invisibili costituisce il Corpo Mistico di Gesù Cristo che tramite la Chiesa ancora vive ed opera sulla terra. La liturgia è dunque continuazione della missione di Gesù. Attraverso gli apostoli ed i loro successori viene perpetuato quel “fate questo in memoria di Me”, che la Chiesa fedelmente attualizza ancora oggi: la liturgia è, di fatto, la messa in pratica di tutta la sua teologia. Attraverso i secoli la liturgia si riveste dei tesori dell’esperienza umana, si colora dei codici e dei linguaggi dell’arte, si arricchisce degli apporti delle diverse culture, perché la liturgia è da sempre composta da parti invariabili (l’iniziativa di Dio) e parti variabili (il contributo dell’uomo). In questo intreccio nuziale, i misteri liturgici realizzano costantemente la fusione tra il Cielo e la Terra, donandoci sia la comunione perfetta fra noi, sia quella con la Chiesa trionfante del Paradiso. La nostra liturgia è del resto impronta di quella liturgia celeste con cui i beati rendono gloria a Dio (CCC 1137). E già ora, “nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, ...verso la quale tendiamo come pellegrini” (LG 50). In questo scambio vitale ogni iniziativa viene da Dio: è Dio che si china all’uomo e lo eleva. La Sua discesa (Katàbasi) provoca la nostra ascesa (anàbasi). Prima che l’uomo compia qualcosa per Dio, è dunque Dio che compie qualcosa per l’uomo. Noi possiamo celebrare con Cristo, per Cristo e in Cristo, perché Cristo ha operato con l’uomo, per l’uomo e nell’uomo. Le Sacre Letture, parte integrante della liturgia, ogni volta ci ricordano appunto questo: siamo salvati dalla opus Dei, l’opera di Dio compiuta sulla Terra e che prosegue nell’actio sacra della Liturgia. L’intero ciclo liturgico ha per centro il Mistero Pasquale, col quale l’Opera di Salvezza giunge a compimento. L’anno liturgico riattualizza sempre l’incarnazione, la passione e la redenzione di Cristo, con un movimento apparentemente circolare (ripetitivo), ma in realtà “a spirale”, cioè tendente verso l’incontro ultimo della storia col suo Redentore (Parusia), cui la liturgia escatologicamente ci prepara. Per questo il Concilio definì la liturgia culmen et fons, “il culmine al quale tende l’azione della Chiesa, e nello stesso tempo la fonte da cui scaturisce tutta la sua virtù” (SC 10). E al centro di questa azione sacra si staglia come un Sole la divina Eucaristia, non solo nella celebrazione dei Sacri Misteri, ma anche come punto di convergenza degli spazi liturgici, del luogo sacro che è la chiesa, ove il Santo Tabernacolo appare non come semplice “riserva eucaristica”, ma come presenza viva di quel Cristo che ancora opera i prodigi della sua salvezza fra noi. I gruppi di preghiera Uno dei più grandi motori di spiritualità all’interno della Chiesa sono stati i “gruppi di preghiera”. Estremamente variegati sia nelle loro modalità che nelle loro motivazioni, hanno costituito la linfa della vita di orazione di intere generazioni. Spesso ispirati a qualche santo (come i gruppi di Padre Pio), o a qualche grande apparizione (come i gruppi di Medjugorje), o a qualche movimento ecclesiale, o semplicemente radunati attorno al santo Rosario, sono stati, di fatto, scuole di preghiera per il popolo cristiano. Talvolta visti con diffidenza, se non addirittura con ostilità, sono stati frequentemente ignorati od ostacolati, ma ad essi non si può negare il merito di aver mantenuto vivo, anche in tempi difficilissimi, lo spirito della preghiera, il gusto dell’orazione, l’educazione alla vita spirituale. Costituiti per lo più da persone semplici, ma non raramente frequentati anche da grandi nomi della cultura, politici, e perfino illustri uomini di scienza (come non ricordare Enrico Medi? O lo scienziato Emanuele Mor?), i gruppi di preghiera hanno sfidato le stagioni delle ideologie e quelle del materialismo, tramandando senza velleità la nostra più genuina tradizione. Accusati spesso ingiustamente di costituire una “chiesa nella chiesa” (rischio che poteva diventare tale proprio coll’abbandonarli, privandoli cioè dell’opportuna guida pastorale), i gruppi di preghiera sono stati all’opposto, e la maggior parte delle volte, vere fucine di fedeltà al magistero e di amore verso il papa. Anzi, talvolta è stata forse proprio questa loro caratteristica a dare fastidio. Così come dava fastidio il fatto che i gruppi di preghiera non sottostessero alle fredde omologazioni della fede. Ispirati dai propri differenti carismi, sfuggivano, infatti, a quelle pianificazioni a tavolino che pretendevano di organizzare (o estinguere) i liberi moti dello Spirito Santo, tramite decisioni cadute dall’alto, e magari senza troppa fede. Ma lo Spirito, si sa, soffia dove vuole (e il più delle volte proprio dal basso), intervenendo laddove la dimensione orante è carente, scorrendo nelle crepe lasciate dalla nostra aridità, penetrando in quelle fessure rimaste che conducono luce fino ai nostri cuori. I gruppi di preghiera, spesso riuniti in semplici case di fedeli, hanno fatto rivivere la sacralità della Domus Ecclesia; e lì, talvolta davanti a una croce o a un altarino ben curato con la statuetta della Vergine, i cristiani hanno finalmente potuto riprendere a pregare, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e per tutto il tempo che lo desideravano, senza l’ostacolo delle porte ormai quasi sempre chiuse di molte chiese, senza il lavorio rumoroso di qualche sacrestano sgarbato, senza l’irrispettoso ramazzare delle perpetue proprio sotto i piedi, senza sentirsi di troppo solo perché col rosario in mano. Nessuna strana setta si è formata in questi cenacoli domestici. Anzi, lungi dall’essere realtà chiuse su stesse, hanno molto spesso lanciato le loro reti nel mondo, restituendo un fiume di anime alle parrocchie, perché in essi confluivano misteriosamente quelle pecore smarrite che in chiesa non andavano, che non si confessavano da anni, che venivano dalla strada e dai suoi vizi, ma lì, scaldate dall’affetto di persone dal volto umano, finalmente ascoltate come persone, hanno cominciato a balbettare le loro prime Ave Marie, hanno avvertito lo sciogliersi del cuore indurito, hanno visto con stupore ricomparire il soprannaturale davanti ai loro occhi, e non per qualche temuto miracolo, ma per quel miracolo che è la preghiera del cuore. Tutta la chiesa è in realtà debitrice verso questa miriade di gruppi di preghiera spesso radunata per invisibile convocazione divina. Come dice il nostro Catechismo “I gruppi di preghiera ...sono oggi uno dei segni e uno degli stimoli al rinnovamento della preghiera nella Chiesa” (CCC 2689). Dovremmo avere tutti un gran timore che queste cellule domestiche scompaiano, di non trovare più queste case che hanno con coraggio rinunciato a un proprio vano per farne la “stanza della preghiera”, o di vedere cancellati per sempre, magari a seguito delle consuete speculazioni edilizie, quei cascinali dove ancora il popolo della città trova rifugio per la sua preghiera. Finora nessuna ricetta è riuscita a sostituirsi in pieno a queste scuole popolari di preghiera, dove il clima di fraternità ha una caratteristica propria, dove la vigilanza del cuore trabocca oltre il rito. Ad essere in via d’estinzione oggi non è la fede, ma la fede dei puri di cuore, quella educata attorno a una particolare intimità con Gesù e Maria, che dilata e scalda l’anima predisponendola all’autentica vita interiore, alla vera crescita spirituale sotto la luce irradiante di Dio. E in questo, i gruppi di preghiera hanno certamente dato un preziosissimo contributo. La preghiera in famiglia Il primo “gruppo di preghiera” è la famiglia. La famiglia cristiana è chiamata a pregare insieme, nell’unità di tutti i suoi componenti. E’ solo così che avviene la trasmissione della Fede di generazione in generazione. Serve a poco che una persona fatichi per anni per conquistare la fede, se poi non la trasmette ai suoi discendenti. Non sempre è facile giungere alla fede, spesso occorrono anni di ricerche, di fatica, di esperienze dolorose, di lacrime, fino al momento in cui si impara davvero a mettere da parte il proprio orgoglio personale per rivolgersi a Dio. Ebbene, se tutta questa conquista non è trasmessa, il mio percorso è servito a poco, è servito al massimo a me stesso e basta. Qual è il modo con cui i credenti, divenuti madri o padri, trasmettono la fede alla generazione successiva? E’ la preghiera in famiglia. Perfino i percorsi che la Chiesa attua attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana rischiano di risultare sterili se alle spalle non c’è una famiglia che prega. Dice il nostro Catechismo: “La famiglia cristiana è il primo luogo dell’educazione alla preghiera. Fondata sul sacramento del Matrimonio, essa è la «la Chiesa domestica» dove i figli di Dio imparano a pregare «come Chiesa» e a perseverare nella preghiera. Per i fanciulli in particolare, la preghiera familiare quotidiana è la prima testimonianza della memoria vivente della Chiesa pazientemente risvegliata dallo Spirito Santo” (CCC 2685). E’ stato grazie alla famiglia che il popolo ebraico ha trasmesso lungo i secoli il dono della fede e la conoscenza della Parola di Dio, spesso imparando a memoria le Leggi del Signore o i contenuti delle Sacre Scritture. E’ attraverso la famiglia che viene educato e cresciuto quel fanciullo di Nazareth che salverà il mondo. La trasmissione della fede di generazione in generazione ha permesso alla cristianità di far sopravvivere nei secoli l’intero patrimonio dei suoi valori, e il principale anello di congiunzione che ha permesso questo è sempre stata la famiglia. La candela che al Battesimo la famiglia accende alla fiamma del grande cero pasquale, rappresenta proprio questa trasmissione perenne della luce della Verità. Purtroppo non sempre la preghiera in famiglia risulta facile; spesso entrano in azione forze divergenti, tensioni psicologiche, attriti fra i componenti; ma è proprio qui che vengono guarite queste situazioni: attraverso la preghiera comunitaria familiare. In assenza di questa, tali forze negative spesso prendono il sopravvento lacerando la famiglia stessa e talvolta anche distruggendola. Dinanzi a questo rischio non è sufficiente che i genitori abbiano fede, e nemmeno che singolarmente preghino: occorre la medicina insostituibile della preghiera in famiglia. Spesso è forte la tentazione di costruirsi una propria oasi di pace, presso un gruppo di preghiera o partecipando alle riunioni di qualche movimento: una specie di zona franca dove vivo al di fuori dei problemi ed ho l’illusione di poter proseguire la mia crescita spirituale da solo, senza troppi veleni domestici. In realtà, terminata quella gratificante esperienza, riprecipito ogni volta nella situazione di partenza, e mi accorgo che non vado oltre nella mia crescita se non si cammina insieme. Non sarò nemmeno più in grado di proporre ai miei familiari un ritiro spirituale di famiglia o anche un semplice pellegrinaggio fatto in comune. E allora si ricade nel rischio di non voler perdersi queste cose praticandole da soli. In realtà è molto più fruttuosa un’ave Maria in famiglia che un intero rosario da soli, o una camminata coi figli fino alla cappellina più vicina del quartiere che non un pellegrinaggio personale di cinque giorni a qualche lontano santuario, o un confronto domestico sui temi della fede che non una solitaria immersione negli esercizi spirituali tenuti da qualche teologo. Nelle case non dovrebbe mai mancare un angolo dedicato alla preghiera, una croce, una bibbia aperta. La famiglia, anche se cristiana, non sopravvive senza la preghiera. Senza la preghiera non può anzi nemmeno definirsi cristiana. La famiglia si rifiuta di pregare con me? Pregherò con il coniuge chiedendo proprio questa grazia. Il coniuge si rifiuta di pregare con me? Pregherò per chiedere la grazia che preghi con me. Spesso la crisi della preghiera in famiglia passa proprio attraverso la crisi della preghiera di coppia. E’importante che la coppia, fin dal fidanzamento, impari a pregare insieme, e che dopo il matrimonio non faccia mai mancare questo modello davanti agli occhi dei figli. I figli non vanno mai sgridati o forzati verso tale direzione: l’importante è che vedano mamma e papà pregare; e per non sentirsi esclusi talvolta si uniranno, magari se invitati ad una piccola parte di quel rito, specie se all’inizio o alla fine del pasto o del riposo notturno. Non sempre è facile, specie quando questo non è stato fatto dall’inizio, ma lo Spirito Santo c’è, ed entra in azione se glielo chiediamo. E’ però importante puntare alla quotidianità del gesto. E’opportuno che le parrocchie aiutino le famiglie in questa direzione, creando occasioni per la preghiera comunitaria della famiglia. E in particolare della famiglia unita. La pastorale familiare non deve nella sua azione separare i componenti della famiglia, ma operare affinché si attui una vera pastorale della famiglia unita e indivisa. Gli errori nella preghiera Uno dei più consueti errori nel modo di pregare è la superficialità, per esempio quando tramite la preghiera si chiedono cose frivole, quali la ricchezza o il successo, o quando, pur chiedendo cose buone, come la salute propria o di qualcuno, si scambia la preghiera per una bacchetta magica che intende porre Dio al servizio dei nostri desideri, quasi come se Egli non fosse il Signore, ma “il genio della lampada” a cui chiedere ciò che più piace, dimenticando che i disegni di Dio sono ben più alti e diversi dai nostri. L’apostolo Giacomo ci mette in guardia da questo atteggiamento scrivendo: “Voi chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare i vostri piaceri” (Gc 4,3). Un altro errore frequente è quello della presunzione, cioè pretendere di essere esauditi senza merito, o esigere grazie troppo alte, come missioni soprannaturali o doni mistici, dimenticando che non si è degni o all’altezza di riceverli. Alla madre di Giovanni e Giacomo la quale chiedeva per i suoi figli un ...posto d’onore accanto a Gesù, questi risponde: “Non sapete quello che chiedete; potete voi bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20,20s). La presunzione può diventare perfino arroganza quando nella preghiera ci si mette davanti agli altri, come nella parabola del fariseo e del pubblicano, in cui il fariseo vantava davanti a tutti, nel tempio, i propri meriti: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri... Digiuno due volte alla settimana e pago la decima di quanto possiedo”. Osa perfino fare confronti con i presenti: “Non sono come questo pubblicano...”, mentre di quest’ultimo, che pregava con umiltà, Gesù dice: “Questi tornò a casa giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,9s). Un altro errore indicato da Gesù è l’esibizione: “Quando pregate non siate come gli ipocriti, che amano stare ritti nelle sinagoghe o negli angoli delle piazze per farsi vedere dagli uomini. In verità vi dico che essi hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt 6,5s). Oggigiorno è più facile incontrare il peccato opposto: vergognarsi di essere visti mentre si prega o si fa un segno di croce. Ma non manca chi, per raccogliere voti o consensi, si mostra alle telecamere in prima fila durante una messa, o un funerale, o un’udienza dal Papa. Gesù stesso, quando pregava, sceglieva luoghi appartati o il silenzio della notte. La preghiera esige attenzione e raccoglimento. Se questo non avviene, un altro dei pericoli è la dissipazione. Gesù diceva: “Quando preghi, entra nella tua casa, chiudi l’uscio e prega il Padre tuo che è presente nel segreto, e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6,6s). Questa concentrazione nelle cose divine non significa fare per forza il vuoto mentale, magari ricorrendo a tecniche orientali che a tutti i costi cercano di controllare il corpo, il respiro o perfino il pensiero. Non è necessario attingere dallo yoga o dal buddismo come certi cristiani che davanti a una parete bianca cercano di fare il vuoto dentro di sé. Se su quella parete c’è un crocifisso e se, più che il vuoto, si cerca la pienezza di Dio, la preghiera è più efficace perché viene realizzata non con le nostre armi, ma con quelle del Signore. Un altro pericolo è l’insicurezza, quando si prega con l’amara sensazione che Dio forse non sente o non ci considera. Gesù ci insegna ad avere fede ferma, a chiedere con fiducia: se chiediamo nella disposizione giusta e chiediamo ciò che giova al nostro vero bene, il Signore ci esaudisce. Giacomo scrive: “Se uno difetta di sapienza, la chieda a Dio, che dà con abbondanza. Chieda però con fede, senza tentennare, per non essere come un’onda sbattuta dal vento. Non pensi quel tale di ricevere qualcosa dal Signore, irresoluto e volubile com’è” (Gc 1,5s). Oltre all’atteggiamento verso Dio, è anche importante, nella preghiera, quello verso il prossimo, evitando la mancanza di carità: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro altri, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Mc 11,24s). Un altro errore diffuso è quello della verbosità. Gesù ammoniva: “Quando pregate non sprecate parole come i pagani, che credono di essere esauditi grazie alla loro loquacità. Non siate come loro perché il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno anche prima che voi preghiate” (Mt 6,7s). Non si deve cedere alla tentazione di “voler convincere Dio”, quasi come se le grazie si ottenessero con una determinata sequenza magica di parole. Dio sa già di cosa abbiamo bisogno. Ma allora, si chiederà, perché pregare? Perché la preghiera non è l’elenco sterile di tutte le nostre necessità, ma accogliere Dio nel cuore e schiudersi al suo amore trasformante. Se però non siamo capaci di vivere così nemmeno nelle altre relazioni (nel rapporto con gli altri, nel rapporto di coppia...), soffocando con parole inutili il legame intimo ed essenziale, è difficile cambiare metodo durante la preghiera. Scrive padre Vittorio De Bernardi, grande maestro contemporaneo di spiritualità e dono prezioso dell’Ordine gesuita: “Le nostre preghiere sono il frutto del nostro livello spirituale, spesso ancora imperfetto, infantile, quindi poco chiaroveggente. Ci è difficile vedere noi stessi come ci vede Dio, e vedere a che punto Dio ci vuole portare. La preghiera è tuttavia necessaria per renderci consapevoli che in tutto dipendiamo da Dio. Inoltre la preghiera ci è necessaria per creare in noi le giuste disposizioni: se chiedo di diventare sincero, mi apro già ad un atteggiamento di sincerità, e la grazia di Dio arriva al mio cuore attraverso un canale già aperto”. Per fortuna la nostra preghiera è preceduta e portata a compimento dalla preghiera misteriosa dello Spirito Santo in noi. Dice San Paolo: “Noi non sappiamo che cosa chiedere nel modo giusto, ma lo Spirito lo implora per noi con gemiti inesprimibili, e Colui che scruta i cuori sa quale sia l’anelito dello Spirito” (Rm 8,26s). I pericoli nella preghiera La preghiera cristiana non è esente da pericoli, spesso di varia natura, che possono però essere adeguatamente combattuti. Proprio per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce questa lotta il combattimento della preghiera. Nella parte IV, dedicata interamente alla grande avventura dell’orazione, si legge: “La preghiera è una lotta. Contro chi? Contro noi stessi e contro le astuzie del Tentatore che fa di tutto per distogliere l’uomo dalla preghiera, dall’unione con il suo Dio” (CCC 2725). Si tratta di una battaglia che non può che essere vinta, in quanto è condotta dallo Spirito che abita in noi. Ma è proprio qui che il Tentatore s’infiltra: facendoci credere che invece possiamo perdere. Uno dei primi pericoli è, infatti, lo scoraggiamento, che può avere diverse cause: la delusione di non essere esauditi come vorremmo, l’insofferenza efficientista verso la gratuità della preghiera, la tristezza di non riuscire a dare tutto a Dio, il ferimento del nostro orgoglio quando non si riesce a superare il peccato o non ci si accetta per quello che si è. E’una tentazione antica; il salmista scriveva: “Io dicevo nel mio sgomento: «Sono escluso dalla Tua presenza!»” (Sl 30,23). Lo scoraggiamento vuole farci credere che pregare non serve. “Per vincere tali ostacoli, si deve combattere in vista di ottenere l’umiltà, la fiducia, e la perseveranza” (CCC 2728). Altri gravi nemici della preghiera sono costituiti dalle distrazioni: possono colpire le parole o il loro senso, la concentrazione della mente o quella del cuore, e se si lascia loro spazio, alla fine si esce completamente dalla preghiera. La lotta alle distrazioni era sperimentata anche dai santi; santa Teresa d’Avila scriveva: “Mi succede alle volte di non poter formare un pensiero sensato né su Dio né su ogni altro buon soggetto, e nemmeno di fare orazione pur essendo in solitudine... Il danno mi viene dall’intelletto e dall’immaginazione. ...L’intelletto tumultua in tal modo da sembrare un pazzo furioso che nessuno riesca a incatenare: non sono capace di tenerlo fermo neppure per lo spazio di un Credo”. Ma non bisogna lottare pensando al bersaglio che ci si para davanti: ciò farebbe il gioco della distrazione. Il Catechismo saggiamente avverte: “Andare a caccia delle distrazioni equivarrebbe a cadere nel loro tranello, mentre basta tornare al nostro cuore: una distrazione ci rivela ciò a cui siamo attaccati, e questa umile presa di coscienza davanti al Signore deve risvegliare il nostro amore preferenziale per Lui, offrendogli risolutamente il nostro cuore, perché lo purifichi. Qui si situa il combattimento: nella scelta del Padrone da servire” (CCC 2729). Un altro conosciutissimo pericolo per la preghiera è l’aridità. Per prima cosa bisogna capire che c’è un’aridità buona e un’aridità cattiva. L’aridità è cattiva quando è dovuta alla mancanza di radice in se stessi, perché il seme della Parola è caduto sulla pietra: il combattimento rientra allora nel campo della conversione, e ci chiede di rendere il terreno del nostro cuore più fertile e sensibile alla grazia. L’aridità buona è invece quando si è nel campo della fede pura, che però viene messa alla prova. Anche Gesù la sperimentò nell’agonia del Getsemani. Ma allora dove sta il pericolo? Nel non riconoscerla come una prova, nel sentirsi abbandonati, o, peggio ancora, traditi. Ecco perché è molto importante conoscere bene, oltre le Sacre Scritture, le vite dei Santi: innumerevoli volte essi raccontano delle loro prove di aridità, spesso durate anni, ma coraggiosamente superate. La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede insegna: “Per chi s’impegna seriamente verranno comunque tempi in cui gli sembrerà di vagare in un deserto e di non sentire nulla di Dio, malgrado tutti gli sforzi. Deve sapere che queste prove non vengono risparmiate a nessuno che prenda sul serio la preghiera... In questi periodi la preghiera che egli si sforzerà di mantenere fermamente, potrà dargli l’impressione di una certa artificiosità, benché si tratti in realtà di qualcosa di totalmente diverso: essa è infatti proprio allora espressione della sua fedeltà a Dio, alla presenza del quale egli vuole rimanere anche quando non è ricompensato da alcuna consolazione soggettiva” («La meditazione cristiana», 15 ottobre 1989, N.30). Un po’ come insegnano i nostri maestri di spiritualità quando ci ripetono: non cercate le consolazioni di Dio, ma il Dio delle consolazioni. Occorre molta vigilanza del cuore, altrimenti l’aridità può trasformarsi in svogliatezza: e il gioco del maligno è fatto. I santi sperimentarono perfino, come a volte anche noi, l’avversione alla preghiera: “Per molti anni badai più a desiderare che l’ora dell’adorazione finisse e ad attendere il segno dell’orologio che non a suscitarmi utili pensieri; molti giorni poi, non so quale grave penitenza avrei volentieri subito, piuttosto che raccogliermi a fare orazione” (S. Teresa, «Vita», 8,7). Se questo è capitato ai più grandi santi della storia della Chiesa (e talvolta, come essi scrivono, anche per anni), non possiamo arrenderci solo perché capita a noi. Infatti, non l’errore, non la caduta occasionale, ma la rinuncia al combattimento è l’unico vero nemico della preghiera. Perché con essa non si perde una battaglia, ma la guerra. E conosciamo bene il nome della maschera con cui la rinuncia (in sé troppo spaventosa ai devoti) si presenta a noi: incostanza. Un nome che ci fa meno paura e quindi ci scopre più indulgenti. Ma quando ho smesso di pregare, non potrò mai giurare che riprenderò a farlo. In effetti, se pregando ho smesso, non è forse ancor più difficile riprendere senza aver pregato? La lontananza da Dio c’indebolisce ancora di più. Proprio per questo la Bibbia avverte: “Pregate incessantemente” (Ef 6,18; 1Ts 5,17). E la nostra vita ne sarà il riflesso. “Si prega come si vive, perché si vive come si prega” (CCC 2725). I tempi della preghiera Quali sono i tempi giusti per pregare? Si potrebbe rispondere a questa domanda nello stesso modo in cui si risponde a quella sui luoghi giusti: così come non vi è nessun luogo al mondo in cui non si possa pregare, non vi è nessun tempo in cui sia sbagliato pregare. Certo, come esistono dei luoghi più idonei (per esempio il raccoglimento di una chiesa o di un santuario), così esistono dei momenti forti in cui è più raccomandata la preghiera. Questi tempi possono riguardare la giornata, la settimana, o l’anno. Nel primo caso “la Tradizione della Chiesa propone ai fedeli dei ritmi di preghiera destinati ad alimentare la preghiera continua: la preghiera del mattino e della sera, prima e dopo i pasti, la Liturgia delle Ore” (CCC 2698). Seguendo le indicazioni della Bibbia, la cristianità riconosce, fin dall’antichità, in particolari momenti della giornata, i tempi preferenziali per la preghiera: mattino, ora terza, ora sesta, ora nona, vespri, compieta... Nei monasteri di tutto il mondo o fra le persone che conducono vita consacrata, questa liturgia delle ore scandisce, coi suoi Salmi, il tempo così consacrato a Dio. Ma anche molti laici che desiderano rafforzare la propria vita spirituale o perfezionarsi nella costanza della fede amano adottare tempi precisi per la preghiera. In particolare, risulta assai importante la preghiera del mattino, perché, appena alzati, permette di rammentare subito la propria appartenenza e di consacrare l’intera giornata a Dio. Il salmista scriveva: “Fin dal mattino ti invoco e sto in attesa” (Sal 5,4), “Al mattino giunge a te la mia preghiera” (Sal 88,14), “Al risveglio mi sazierò della tua presenza” (Sal 17,15). Anche Gesù amava assaporare il dischiudersi della grazia in quelle ore ancora di silenzio: “E alzatosi assai di buon mattino, uscì per andare in un luogo solitario a pregare” (Mc 1,35). E’ il momento della giornata in cui più ci s’immerge nella risurrezione di Cristo, rivelatasi proprio al sorgere del sole (cfr Lc 24,1). L’ora terza (le nove del mattino) ci aiuta invece a dedicare a Dio il lavoro già iniziato, affinché non si scivoli nelle distrazioni dell’efficientismo. E’ il momento adatto per invocare lo Spirito Santo sopra tutte le nostre attività. Fu all’ora terza che avvenne l’infusione di Pentecoste (cfr At 2,15). L’ora sesta (cioè le dodici) ci ricorda invece che, anche se il sole è alto, dobbiamo vigilare affinché non scendano le tenebre, quelle che avvolsero il mondo dall’ora sesta all’ora nona durante l’agonia di Gesù (cfr Mt 27,45). E’ l’ora in cui Gesù più ci mostra la sua sete di preghiera, così come in quell’ora chiese da bere alla samaritana (Gv 4,6). E’ il mezzogiorno della fede, quello in cui anche Pietro fu rapito in estasi, quando, salito “sul terrazzo della casa verso l’ora sesta per pregare”, gli fu rivelata l’universalità del cristianesimo (At 10,9). L’ora nona (le tre del pomeriggio) è chiamata dal libro degli Atti “l’ora della preghiera”, perché ci si recava al tempio per pregare (cfr At 3,1). Nella cristianità assume un’importanza particolare perché è l’ora della morte di Gesù (cfr Mt 27,46; Mc 15,34). E’, secondo certa tradizione, l’ora più idonea per chiedere delle grazie. Il centurione Cornelio fu esaudito proprio pregando verso l’ora nona (At 10,3.30). La preghiera della sera è un’altra tappa fondamentale nella giornata del cristiano. Così come il mattino è contrassegnato dalle lodi, la sera è contrassegnata dalla preghiera dei vespri. “All’offerta della sera... caddi in ginocchio e stesi le mani al mio Signore” (Esd 9,5). E il salmista aggiunge: “Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 140,2). La chiusura della giornata, contrassegnata dalla compieta o dalle preghiere prima di dormire, è il momento in cui si ringrazia Dio per tutti i doni ricevuti durante il giorno, chiedendo anche perdono per le mancanze commesse. Inoltre si affida a lui la notte perché sia protetta da ogni pericolo. Non manca chi pratica, con particolare generosità, anche la preghiera notturna. Come Gesù si ritirava spesso la notte a pregare, così monaci e monache, ma spesso anche laici ferventi, alzandosi dal riposo o prolungando la veglia, scoprono ancora oggi nella notte il momento più tranquillo per pregare, e lontano dal chiasso del mondo posano il capo sul petto di Gesù tenendogli compagnia in un rinnovato ed intimo Getsemani. L’adorazione notturna ha come frutto grandi grazie, e addestra al digiuno del sonno. Ma non è solo l’arco della giornata ad essere scandito dai ritmi della preghiera: lo è anche la settimana, con un significato evangelico per ogni diverso giorno, fino al culmine della domenica che è sempre memoria di resurrezione. E lo è anche l’anno, che dalla chiesa è ritmato secondo l’anno liturgico che ripercorre nelle sue fasi l’intera missione di Gesù. Tutto questi aiuti conferiscono al nostro tempo una direzione a spirale verso la salvezza, e ci dicono una sola cosa: la nostra storia ha per meta l’eternità. Per questo l’Eterno va continuamente chiamato nel nostro tempo. Per questo la Bibbia ci dice: “Pregate incessantemente” (1Ts 5,17). Come ricordava San Gregorio Nazianzeno: “E’ necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri”. I gradi della preghiera La preghiera può essere vissuta a diversi livelli, che sono poi i livelli della nostra santità. Più si è santi, e più è elevata la nostra preghiera. Più si è colmi di Dio e più la nostra preghiera compie salti di qualità, perché in realtà è lo Spirito che prega in noi. Scrive San Paolo: “Noi non sappiamo quello che dobbiamo chiedere come si conviene, ma lo stesso Spirito lo implora per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26s). La preghiera è la migliore dimostrazione dell’esistenza di Dio, perché nessuno può pregare se Dio non è in lui. “Nessuno può dire ‘Gesù è il Signore’ se non per lo Spirito Santo” (1Cor 12,3). “Nessuno viene a me se non è attratto dal Padre mio” (Gv 6,44). Il dialogo con Dio può avvenire in diversi modi, e raggiunge la sua perfezione quando riesce a fondere il nostro cuore con il Cuore di Dio, i nostri desideri con i suoi, la nostra volontà con la sua, fino a diventare dialogo sponsale con Dio stesso. Ecco, in sintesi, alcuni passaggi: Dall’ateismo pratico alla preghiera. I credenti vivono in realtà da atei quando non pregano. Senza Dio, e senza la preghiera che li unisce a Dio, essi sono privi di luce, e Satana li seduce facilmente con le sue finte luci insinuate fra i pensieri. “Vegliate e pregate per non cadere nella tentazione” (Mt 26,42). Senza la preghiera si è anche privi di forza. “Senza di Me non potete far nulla” (Gv 15,5). Il primo passo è dunque quello che ci porta dalla trascuratezza alla preghiera costante, fervida, incessante. “Occorre pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1). Se la preghiera è difettosa, Dio l’aggiusta, cosa che però non è possibile se nemmeno si prega. “Chi prega si salva, chi non prega si danna”, diceva S. Alfonso. E il primo livello della preghiera è la preghiera vocale, accessibile a tutti. “Siamo corpo e spirito, e quindi avvertiamo il bisogno di tradurre esteriormente i nostri sentimenti”, ”di associare i sensi alla preghiera” (CCC 2702). Sant’Ignazio di Loyola, grande maestro di preghiera, suggeriva, per i momenti di stanchezza in cui le formule sembrano dirci poco, di utilizzare come contenuti d’orazione i dieci comandamenti, o i dodici articoli del Credo, i sette doni dello Spirito Santo, le virtù teologali e cardinali, od altro; ma il metodo si può applicare ricordando i membri di una famiglia, gli alunni di una classe, le persone che ho incontrato, le intenzioni della giornata. Dalla preghiera vocale alla meditazione. Tutti conosciamo le principali formule della preghiera cristiana: alcune, come il Padre Nostro, ci sono state insegnate direttamente da Gesù, e quindi sono certamente gradite a Dio. Ma se, oltre a recitarlo, ci mettiamo a meditarlo nelle sue singole espressioni, esso si trasforma per noi in una vera e propria scuola di preghiera. Che cos’è la meditazione? E’ la preghiera approfondita con la riflessione. “I metodi di meditazione sono tanti quanti i nostri maestri spirituali. Un cristiano deve meditare regolarmente, altrimenti assomiglia ai tre primi terreni della parabola del seminatore” (CCC 2707). Meditando sui singoli contenuti della nostra preghiera, si scava fino al profondo senso delle parole, se ne scoprono le connessioni con l’intera Rivelazione, e le relative implicazioni con la nostra vita. Sant’Ignazio suggeriva perfino di non proseguire la preghiera se una delle sue parole ci sta parlando. Non è importante dire tante parole, ma entrare nel loro contenuto semantico e dischiuderne tutti gli arcani significati che il Verbo ha in esse impresso. Dalla meditazione alla preghiera del cuore. Per la Bibbia il cuore è il centro irradiante che integra tutte le facoltà dello spirito umano, pur restando nascosto nella sua misteriosa profondità. La preghiera del cuore non consiste nel trasporto emotivo o nel fervore sensibile, che può anche mancare senza che la preghiera sia meno perfetta. Consiste nel varcare le soglie della preghiera contemplativa, nella quale l’esplorazione dell’intelligenza, pur non venendo abbandonata, lascia spazio ai puri atti dell’anima. In particolare, gli atti della volontà si appropriano di quanto preghiamo, si inizia cioè a volere ciò che si chiede. Sembrerebbe scontato, eppure quante volte nel Padre Nostro abbiamo detto “sia fatta la tua volontà” ma al sopraggiungere di una situazione dolorosa ce ne lamentiamo subito con Dio? Ciò significa che quelle parole non appartenevano realmente alla nostra anima. Gli atti di volontà vanno di pari passo con il progresso spirituale. Quanto più il cuore si purifica, tanto più gli atti dell’anima nascono retti, volitivi, efficaci, atti a trasformare la vita. Macario, maestro di spiritualità copta, diceva: “Il cuore comanda e regge tutto il corpo. La grazia si impossessa dei pascoli del cuore”. E suggeriva come aiuto la tecnica dell’esicasmo: un particolare stato di quiete interiore in cui il respiro del corpo diventa quello dell’anima, e il respiro dell’anima si fonde con quello di Dio (Ruah). La spiritualità cristiana orientale da una parte e quella occidentale dall’altra si sono sempre scambiate le proprie scoperte facendo evolvere nei secoli la prassi dell’orazione. La meta ultima è l’unione sponsale dell’anima con Dio. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Ci si consegna incondizionatamente a Dio e non si desidera altro che la sua volontà. Scrive Macario: “Colui che ogni giorno si sforza di perseverare nella preghiera, è consumato dall’amore spirituale, da un eros divino e dal desiderio infiammato di Dio, e riceve la grazia della perfezione santificante”. L’essere umano è deiforme nella sua stessa struttura, e destinato alla comunione deificante. E’ capace di conoscere Dio nella misura della propria capacità di riceverlo, perché “Dio si dona agli uomini secondo la loro sete”. Le forme della preghiera La preghiera cristiana è straordinariamente ricca di forme, di modalità di espressione diverse, di contenuti sempre nuovi. In nessuna religione s’incontra la varietà e la ricchezza di modelli di preghiera come nel cristianesimo. E’ la variegata novità dello Spirito che sempre suscita e crea. Le forme della preghiera sono differenti a seconda dei contesti (preghiera liturgica, preghiera in famiglia, ed altri esempi già incontrati), a seconda dei fini (di lode, di ringraziamento...) oppure a seconda dei contenuti, di cui vediamo alcuni esempi. L’invocazione al Nome di Gesù: “Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza” dice S. Pietro in Atti 4,12. Quando il cristiano prega: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”, riassume in sé, con semplicità, tutto quanto il messaggio di salvezza. Del resto il nome di Gesù (Yeshua) significa “Dio che salva”. Il nome di Dio che era stato rivelato a Mosè nel tetragramma sacro (JHWH, l’Io Sono) si completa ed acquista senso pieno con la nuova alleanza di Gesù (“Io sono... il Dio che salva”). Nella Filocalia, raccolta di testi ascetici del cristianesimo orientale, si legge: “Invoca il nome di Gesù affinché il tuo cuore beva il Signore e il Signore beva il tuo cuore, e così facendo diventino una cosa sola”. La preghiera mariana: Gesù è l’unico Mediatore tra noi e il Padre, e Maria ne è colma fino ad esserne “pura trasparenza”. “E’ a partire da questa singolare cooperazione di Maria all’azione dello Spirito Santo, che le Chiese hanno sviluppato la preghiera alla santa Madre di Dio” (CCC 2675). L’Ave Maria, il Santo Rosario, il Magnificat e la moltitudine di preghiere mariane attinte dalla bibbia e forgiate dalla cristianità esprimono la fiducia e l’abbandono in Maria come “Orante perfetta” e “figura della Chiesa” (CCC 2679). Dante osò dire: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali.” (Paradiso, canto 33). Le invocazioni allo Spirito Santo: La Chiesa c’insegna che la forma tradizionale per chiedere lo Spirito è invocare il Padre per mezzo di Cristo (CCC 2671). Ma esiste anche la semplice preghiera diretta, verso il Santo Paraclito: “Vieni Spirito Santo!”. Tramite l’unzione che abbiamo ricevuto, è lo Spirito che impregna tutto il nostro essere. Non solo, ma Egli è anche “il Maestro interiore della preghiera cristiana”. Di più: “E’ l’artefice della tradizione vivente della preghiera” (CCC 2672). Pregare con la Bibbia: Vi sono innumerevoli modi di pregare con la Bibbia: leggendola in gruppo, o recitando i Salmi, o usando le stesse preghiere di Gesù nei Vangeli: in tal caso la nostra preghiera ha anche effetto di catechesi. Uno dei metodi più importanti è la lectio divina, che consiste nella lettura meditata accompagnata da un ascolto orante. Sebbene codificata nel medioevo dal monaco certosino Guigo (che ne formulò le tappe più importanti: statio, lectio, meditatio, oratio, contemplatio, actio), possiamo dire che la prima “lectio divina” fu quella di Gesù dodicenne fra i dottori del tempio, come del resto tutte le volte in cui egli commentò e spiegò le scritture: agli apostoli, nel discorso della montagna, ai discepoli di Emmaus. L’ardere del cuore nel petto, suscitato negli ascoltatori, era segno che l’ascolto si tramutava immediatamente in anelito di preghiera, in inno del cuore suscitato dallo Spirito. La preghiera esorcistica: “Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l’ha praticato; è da lui che la Chiesa deriva il potere e il compito di esorcizzare” (CCC 1673). In senso ampio ogni preghiera ed ogni sacramento sono “esorcistici” (“liberaci dal male”, “rinuncio a Satana”, ...), ma esiste anche il cosiddetto “grande esorcismo”, come si usa nei casi di autentica possessione, che può essere praticato solo dai sacerdoti autorizzati. Ogni credente può però formulare preghiere di liberazione nella lotta a cui siamo chiamati “contro i Principati e le Potestà” del male, “contro i dominatori di questo mondo di tenebra”, come scrive San Paolo (Ef 6,12). La preghiera per i defunti: Già nell’Antico Testamento si narra dei lutti che venivano fatti per i defunti, come alla morte di Aronne (Nm 20,30) o quella di Mosè (Dt 34,8). Nel secondo Libro dei Maccabei si legge che Giuda Maccabeo chiese al popolo di pregare per i soldati deceduti in peccato, e tutti “ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato” (2Mac 12,42). Anche nel cristianesimo prosegue l’uso di pregare per i defunti, che ancora possono salvarsi grazie all’intercessione della Chiesa. Poiché “sono anch’essi membri della medesima comunione dei santi, noi possiamo aiutarli, tra l’altro, ottenendo per loro delle indulgenze, in modo tale che siano sgravati dalle pene temporali dovute per i loro peccati” (CCC 1479). Anche fra i cristiani ortodossi si ritiene che i defunti ricambino con grazie speciali. La preghiera al Sacro Cuore: “La preghiera della Chiesa venera e onora il Cuore di Gesù” (CCC 2669) perché “soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e bellezza” (CCC 1439). Accanto a questo cuore divino, la cristianità ama contemplare anche l’immacolato Cuore di Maria. Non si tratta di sentimentalismo devozionale o di “sacrocuorismo”, ma di sensibilità dell’anima all’amore, di ricerca verso quel centro da cui scaturisce ogni salvezza. Mille sono le espressioni della preghiera, perché “vi sono tanti cammini di preghiera quanti sono coloro che pregano, ma è lo stesso Spirito che agisce in tutti e con tutti” (CCC 2672). Schema per un incontro di preghiera Gli incontri di preghiera sono un'occasione straordinaria di crescita spirituale, di vita cristiana ed ecclesiale. Se bene organizzati, possono perfino costituire la sintesi di tutt'e quattro le missioni della Chiesa: koinonia, liturgia, catechesi, carità. In tali incontri, infatti, oltre a pregare, si sperimenta la comunione fraterna, si può imparare meglio la Parola di Dio, si può sensibilizzare l'impegno al servizio. Nel mondo di oggi, materialista e dispersivo, gli incontri di preghiera possono costituire una formidabile difesa spirituale, perché, grazie all'azione dello Spirito Santo, forniscono una forza speciale per il combattimento di tutti i giorni. Possono inoltre diventare, nei riguardi di chi viene invitato, preziosa occasione di evangelizzazione e conversione. Il luogo ideale degli incontri di preghiera è la chiesa, e la guida ideale ne è il sacerdote. Tuttavia, anche i laici, nella loro autonomia, possono, se genuinamente ispirati, suscitare nuovi cenacoli di preghiera, perché, come dice il Concilio Vaticano Il, «è auspicabile che tali persone si riuniscano amichevolmente in gruppo, per potersi aiutare a vicenda più pienamente come cristiani nelle circostanze spesso difficili in cui si trovano» (PO 6). E i sacerdoti «devono riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell'ambito della missione della Chiesa, ... devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza» (PO 9). Fra questi carismi «meritano speciale attenzione quelli che spingono non pochi a una vita spirituale più elevata». Il Concilio esorta inoltre i presbiteri a garantire ai laici «libertà d'azione e il conveniente margine di autonomia, anzi invitandoli opportunamente a intraprendere con piena libertà anche delle iniziative per proprio conto» (PO 9). In questo spirito, vogliamo qui fornire ai nostri lettori che sentono vivo il bisogno di pregare e far pregare uno schema essenziale per organizzare incontri di preghiera, pomeridiani o serali, settimanali o mensili, nei locali della propria parrocchia o a casa propria con familiari, vicini, ed amici. Ogni incontro di preghiera può avere una sua struttura in base alla fisionomia spirituale dei partecipanti ed alle situazioni ambientai i. Qui possiamo però suggerire le possibili fasi di uno schema pedagogicamente adatto a produrre i frutti desiderati, attingendo dalla tradizione ascetica della Chiesa e dall'esperienza cristiana. Prima fase: l'accoglienza. I partecipanti vanno accolti con gioia e fraternità. L'incontro può cominciare con dei canti o dei brani di musica cristiana, cui segue subito la preghiera vocale. In tal modo si evita la dispersione e la tentazione alla chiacchiera, perché le persone vengono già accolte in un clima di preghiera. A tale scopo può risultare assai utile la recita del Santo Rosario, o, se si preferisce, l'invocazione allo Spirito Santo. Tramite la preghiera vocale i partecipanti si trasferiscono mentalmente dalle loro preoccupazioni quotidiane al necessario raccoglimento interiore. Inoltre, l'orazione comincia già ad attirare grazie sull'incontro stesso, mettendolo sotto la protezione di Dio. Seconda fase: la Parola di Dio. Disposti gli animi tramite la preghiera, la guida (il sacerdote o un laico preparato) incarica uno dei partecipanti ad eseguire, con voce calma e distinta, lettura di un brano della Bibbia o dei Vangeli. Si può partire per esempio dal tema della ricerca del Regno, in Mt 6,24-34. È il momento meditativo, quello in cui il seme della Parola cade nei cuori e comincia a germogliare. Questo momento comprende anche una breve catechesi sul brano stesso. La guida avrà cura di parlare in linguaggio conciso ed accessibile a tutti, umile ed amorevole. In assenza di una guida che si sia adeguatamente preparata è possibile ricorrere a qualche testo consigliato, munito dei relativi commenti sul brano. Terza fase: la sedimentazione. È il momento contemplativo, che avvia la gustazione tranquilla delle verità rivelate ed il loro radicamento nell'animo. Se l'incontro si tiene in una chiesa questo momento può rafforzarsi con l'adorazione eucaristica. Altrimenti è sufficiente il raccoglimento silenzioso. AI termine un canto, avendo cura che i relativi testi siano stati approntati per tutti. Quarta fase: la condivisione. È il momento della risonanza, quello in cui ognuno getta il proprio raggio di luce su quanto lo Spirito gli ha suggerito. È importante rimanere fedeli al tema, sebbene si possa attingere dal proprio vissuto quotidiano. La condivisione può anche riguardare le proprie ferite personali, al fine di favorire l'apertura dei cuori o di suscitare intenzioni di preghiera, ma la guida provvederà a limitare gli interventi troppo lunghi o troppo emotivi. L'incontro non deve ripiegare, come talvolta succede, in una psicoterapia di gruppo. È Cristo che guarisce tramite la sua parola. (Se l'incontro è tenuto in una chiesa, questa fase potrebbe essere opportunamente sostituita con la componente liturgica, per esempio accostandosi alla comunione). Quinta fase: la conclusione. L'incontro può essere concluso da un canto a cui segue la preghiera di benedizione (se presente un sacerdote) o da preghiere spontanee di ringraziamento, che aprono i cuori alla lode. È poi possibile un piccolo momento conviviale. Nel la-sciarsi, le persone si consegneranno un proposito di vita, in riferimento a quanto imparato, e lo assumeranno come impegno per la settimana. A tal fine si può consigliare un particolare gesto di carità. %%%%%%%