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Biologia in pratica - Unaapi QUALE DIMORA PER LE API? Teniamo

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Biologia in pratica - Unaapi QUALE DIMORA PER LE API? Teniamo
QUALE DIMORA PER LE API?
Teniamo pure come punto fermo, per ovvie ragioni pratiche, l’arnia Dadant Blatt sulla
quale, con alcune diversità accessorie, si basa quasi tutta la nostra apicoltura produttiva. E
chiediamo se mai agli apicoltori di quelle zone dove sono in uso arnie di tipo diverso
(Langstroth e Marchigiana nelle Marche, ecc.) se si tratta di una semplice indiscussa
tradizione oppure di una comprovata superiorità sulla DB.
Tuttavia, soprattutto di fronte ai cambiamenti di clima e di struttura dell’agricoltura, ai danni
ambientali, alle patologie forse non è male tornare a prestare attenzione –insieme ad altri
aspetti- a quelle che sono le scelte delle api in fatto di dimora.
Marco Mantovani, apicoltore della fascia costiera tirrenica, a lato di un’apicoltura tutta in
Dadant Blatt, si è costruito alcuni esemplari di “top bar hive”, un’arnia di tipo africano,
proprio allo scopo di monitorare il rapporto tra api e dimora in relazione, per esempio, alle
patologie.
Un ottimo studio di Martin Lindauer, allievo di Von Frisch, si occupa proprio di come le api
giudichino la qualità di un luogo in cui nidificare. (in “Il linguaggio delle api sociali” edito in
italiano da Zanichelli).
L’accordo tra le api delegate a questo compito risulta spesso laborioso, e in uno degli
esperimenti citati vengono da esse esplorati anche 21 diverse possibilità di nuova dimora.
Una delle qualità più apprezzate per una dimora risulterebbe la sua collocazione in un
posto protetto, rispetto a dimore offerte in campo aperto.
La ricerca inoltre di un luogo protetto dal vento risulta accurata al punto che le api
esploratrici ripassano per più giorni consecutivi in modo da assicurarsi la protezione da
venti che soffino in direzioni diverse.
Questi criteri sono sufficientemente assimilati ed adottati nella comune cultura apistica,
nella scelta di una postazione.
In un diverso esperimento, una dimora precedentemente adottata viene scartata nel
momento in cui vi compaiono delle larve di formica. Ecco un aspetto a cui in genere gli
apicoltori hobbisti danno più importanza che non i professionisti (anche per ovvie ragioni
pratiche).
Un ulteriore criterio è dato dalla scelta di dimore dal volume appropriato: sciami piccoli
scarteranno tipi di rifugio troppo grandi per la loro possibilità di riscaldarlo (o gestirlo).
Anche questo è un aspetto che spesso viene sottovalutato, o che viene considerato
soprattutto in relazione a certe patologie.
Viene inoltre tenuto conto, nella scala di preferenze delle api, dell’isolamento di una
dimora. Nelle prove di Lindauer una buca nel terreno viene preferita a una costruzione di
legno, una costruzione di legno a un canestro. Lindauer è portato a concludere che solo in
situazioni di assoluta emergenza le nostre api siano disposte a costruirsi dei favi all’aperto,
a differenza dell’Apis florea e dell’Apis dorsata..
Ci sono apicoltori (di zone collinose interne della Toscana) che non hanno mai voluto
sostituire il fondo fisso con il fondo a rete antivarroa, e che tendono a chiudere le reti
d’aereazione dei cassettini portasciami quando non sia strettamente necessario per il
trasporto. Spesso si associa a questo approccio l’uso di un foglio di nylon aggiunto
all’interno dell’alveare sotto il coprifavo, per sopperire a periodi freddi, scarsità di provviste
o scarso numero di api. L’apicoltore Luciano Pasolini, nello stesso tipo di zona, ha
addirittura ritenuto di togliere il fondo antivarroa per tornare a sostituirlo col fondo fisso.
Evidentemente l’esperienza di questi apicoltori li porta a valutare e privilegiare l’aspetto
isolamento.
Sulla costa tirrenica è invece facile trovare apicoltori che tolgano
completamente il cassettino del fondo antivarroa contando sulla “bolla di tepore” che
permane sollevata nell’arnia. Questi apicoltori sostengono che proprio le stesse api, nella
loro zona, sembrano più disponibili a scegliere dimore con più aria e luce (incavi di olivi).
Biologia in pratica - Unaapi
Da altre province più fredde (e anche umide), quali Bologna e Cremona, a fianco di un
generale utilizzo del fondo antivarroa col cassettino chiuso, esistono anche apicoltori che
invernano le famiglie col solo fondo a rete e il cassettino aperto.
Anche se il problema dell’uso del fondo a rete può apparire di secondaria importanza, il
confronto tra queste esperienze e tra i criteri che presiedono ai diversi approcci, nonché
l’eventuale rapporto di queste diversità con diverse situazioni geografiche, potrebbe
essere di grande interesse
Anche l’assenza di corpi estranei è uno dei criteri di preferenza utilizzati dalle api nel
scegliere un alloggio.
Infine, la lontananza da altri alveari. “Se vengono offerti due luoghi della stessa qualità, ma
a distanze differenti, per esempio uno a 30 metri e un altro a 300 metri, viene preferito
quest’ultimo. Se ne può capire il significato biologico: se lo sciame si allontana dall’alveare
materno, esso deve avere la possibilità di trovare nuovi territori di approvvigionamento nei
terreni circostanti la nuova dimora e non deve assolutamente dividere con altri”.
In un suo studio sulle strategie di sopravvivenza delle api Hans Wille, dell’Istituto svizzero
di ricerche apicole di Liebefeld, parlando dell’antica usanza di distruggere annualmente
una parte delle famiglie per procurarsi il miele, avanza l’ipotesi che “questi antenati
della’apicoltura conoscessero, forse per intuito, quale era la quantità di api che una
regione poteva tollerare”.
Ecco un altro tema su cui non sarebbe male riflettere e scambiare esperienze.
Biologia in pratica - Unaapi
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