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La Psicoanalisi 42_Sulla passe Lacan Miller e gli AE_editoriale

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La Psicoanalisi 42_Sulla passe Lacan Miller e gli AE_editoriale
La Psicoanalisi n.42 Sulla passe: Lacan, Miller e gli AE
La trasmissione nelle generazioni
A questo numero della rivista avremmo potuto dare come titolo la trasmissione nelle
generazioni. Vi si trovano infatti due modalità di trasmissione: una che riguarda quella che si
realizza nelle generazioni così com’è vissuta nella nostra società attuale, un’altra che riguarda
quella particolare trasmissione che produce delle generazioni di tutt’altro ordine e che avviene
nell’ambito prettamente analitico.
Nel primo caso il veicolo di trasmissione è la famiglia, nonostante tutte le varianti che la
nostra società ipermoderna comporta. Nel secondo caso il veicolo di trasmissione è da reperire
all’interno delle Società o, come le chiamiamo noi, allievi di Lacan, Scuole di psicoanalisi.
In verità i due temi trattati – la trasmissione nella famiglia e la trasmissione nella psicoanalisi
– si trovano riuniti in questo numero per una fortunosa contingenza: da un lato, lo spunto fornito
dal convegno annuale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi sul tema delle famiglie ipermoderne e
di cui volevamo riportare se non tutti almeno alcuni degli interventi e, dall’altro, la nomina di tre
colleghi al titolo di AE, Analyste de l’Ecole, Analista della Scuola, il titolo più elevato e più ambito
nelle Scuole dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, e che si ottiene sottoponendosi a quel
dispositivo inventato da Lacan con il nome di passe. Quando uno dei cartelli preposti alla passe
dichiara AE un passant, costui, per tre anni, ha il compito di trasmettere alla Scuola quegli elementi
clinici e teorici che la propria esperienza analitica gli ha insegnato. Prima di svilupparla dal punto di
vista più strettamente epistemico, la sua testimonianza inizia sempre con la parte clinica: il nuovo
AE parla di se stesso come di un caso clinico. Egli parla del proprio percorso, ne sottolinea le
svolte, ne puntualizza quegli interventi che permettono di comprendere in che modo la parola ha
avuto una qualche efficacia sul sintomo e infine in che modo la cura si conclude logicamente. In
questo numero vengono riportate le testimonianze cliniche di due AE con il commento di Eric
Laurent, Delegato generale dell’AMP. La testimonianza della terza persona nominata AE sarà
pubblicata successivamente, dopo l’intervento che farà al prossimo congresso che si terrà in aprile a
Buenos Aires.
La passe non è l’analisi. “La passe”, dice Lacan nell’intervento riportato qui di seguito,
“consente a qualcuno che pensa di poter essere analista, a qualcuno che vi si autorizzi da sé e che
stia per farlo, di comunicare che cosa lo abbia spinto a decidersi e a impegnarsi in un discorso di cui
non è affatto facile – io credo – farsi il supporto”.
L’intento di Lacan era quello di vedere in che modo fosse possibile rendere trasmissibile il
succo di un’esperienza che prende inizio dal particolare del sintomo soggettivato e si conclude nel
reperimento, tramite il funzionamento della catena significante inconscia nella clinica sotto
transfert, di quel qualcosa che è, per un soggetto, a lui proprio, a lui tipico, a lui singolare. Come
può questo singolare, nucleo estratto dal particolare del sintomo di un soggetto, diventare un
elemento di un sapere trasmissibile e quindi valido per tutti? Ecco la scommessa di Lacan sulla
trasmissione della psicoanalisi: si tratta di una trasmissione di sapere, ma che non è valutabile
secondo i criteri della cosiddetta valutazione scientifica, poiché, mentre quest’ultima si basa sulla
quantità statistica, l’altra si basa sulla qualità dell’uno per uno.
Il meccanismo che permette che ci sia trasmissione nel campo analitico non dev’essere quindi
ricercato nel meccanismo tramite cui avviene la trasmissione generazionale nell’ambito della
famiglia.
Nella famiglia, ma anche genericamente nel sociale, la trasmissione tra le generazioni avviene
tramite identificazioni. Sono le identificazioni che trasmettono di generazione in generazione delle
insegne, dei tratti, dei dettagli, delle lettere, degli elementi che sono dell’ordine simbolico, quindi
significanti. Ma affinché questi significanti vengono consciamente o inconsciamente ripresi, oppure
– non dimentichiamolo – rifiutati, essi devono essere supposti veicolare qualcosa del godimento: è
il godimento supposto veicolato dal significante a determinare l’accettazione o il rifiuto. Il
significante è come un involucro. Ma ciò che gli dà valore è il godimento, vero o supposto, ma
sempre comunque reale, che contiene e viene trasmesso. È questo il segreto di ogni scena
traumatica. È questa la trama di ogni romanzo familiare. È questo il motivo di tante scelte di vita,
nel campo dell’amore o del lavoro. Amore e lavoro, non a caso ambiti privilegiati, come Freud
ricorda, di quel simbolico che s’impone e si ripete con il suo nucleo di godimento e che chiamiamo
sintomo.
Si potrebbe credere che anche nel caso della psicoanalisi la trasmissione avvenga tramite
identificazioni. Non è così. Non si diventa analisti né con il beneplacito del proprio analista né
identificandosi con i suoi tratti – cosa stupida ma corrente – oppure, istericamente, con l’oggetto
del suo desiderio. Non si diventa analisti neppure per cooptazione dei propri simili, dei propri pari o
dei propri padri o padrini, cosa corrente ma analiticamente scorretta. Si diventa invece analisti solo
tramite l’elaborazione di quel nucleo di godimento che il proprio sintomo celava e svelava insieme
e che Lacan chiama oggetto a ovvero, facendo il verso a Marx, plusgodere. Solo nell’elaborazione
della propria analisi il soggetto riesce – a volte sudando sette camicie, com’egli ricorda in un altro
testo – a tenere e a isolare questo nodo del sintomo.
Sia nel caso della trasmissione familiare sia nel caso della trasmissione analitica in gioco è
quindi questo nucleo di godimento. Tuttavia, almeno con una differenza. Mentre nel caso della
trasmissione familiare è l’Altro – l’altro genitoriale ovvero l’altro della serie delle identificazioni - a
iscrivere nella storia del soggetto quei significanti che veicolano il godimento, nel caso invece della
trasmissione analitica l’Altro – in questo caso l’analista – non iscrive nessuna storia ma permette
che dalla storia del soggetto che si schiude come un fiore giapponese vengano messe in luce quelle
trame della struttura inconscia di cui il soggetto è puro e semplice effetto. Lui, l’analista, non sta lì
nella cura a fare né la madre né il padre né la zia poiché il suo compito non è quello di aggiungere
qualche elemento significante in più: la sua funzione è invece quella di far sì che si sveli il segreto
iscritto in quei significanti che hanno morso la carne del soggetto e l’hanno mutata in carne che
soffre. O meglio, per essere più esatti con la struttura dell'inconscio, in carne che gode.
Antonio Di Ciaccia
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