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Responsabilità degli amministratori di s.r.l. e prescrizione

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Responsabilità degli amministratori di s.r.l. e prescrizione
From the SelectedWorks of Valerio Sangiovanni
March, 2011
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. e
prescrizione
Valerio Sangiovanni
Available at: http://works.bepress.com/valerio_sangiovanni/125/
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» S o c i e t à
Responsabilità
degli amministratori di s.r.l.
e prescrizione
Valerio Sangiovanni
Avvocato, Rechtsanwalt e Dottore di ricerca in Diritto commerciale
SINTESI
a) L’azione di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l.
b) La prescrizione del diritto al risarcimento
L’art. 2476 c.c. disciplina la responsabilità degli amministratori di s.r.l.
Nel caso di specie il Tribunale di Salerno si occupa del problema della
sia nei confronti della società sia nei confronti dei creditori. Talvolta
prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato dagli am-
l’azione di responsabilità degli amministratori viene fatta valere solo
ministratori. Essendo decorso un lungo lasso di tempo fra il momento
una volta dichiarato aperto il fallimento della società: per tale eve-
in cui si è realizzata l’insufficienza del patrimonio della società e l’a-
nienza muta il soggetto titolato all’esercizio delle azioni, in quanto sia
zione in giudizio avviata dal curatore, quest’ultima viene dichiarata
l’azione della società sia quella dei creditori spettano al curatore.
prescritta.
Tribunale Salerno, sezione I, 25 maggio 2010, n. 1244
Pres. Ferrara – Est. Ricciardi
Società a responsabilità limitata – Amministrazione della società – Responsabilità degli amministratori – Stato d’insolvenza – Dichiarazione di fallimento – Azione di responsabilità contro gli amministratori – Prescrizione
Il dies a quo per stabilire se sia o meno decorso il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità, avviata dal curatore del fallimento nei
confronti dell’amministratore della s.r.l. fallita, va individuato non tanto nel momento in cui il patrimonio sociale è divenuto insufficiente,
ma piuttosto quando tale insufficienza è portata a conoscenza dei creditori attraverso la pubblicazione del bilancio mediante deposito
presso il registro delle imprese.
»
SOMMARIO
1. I fatti e il contesto normativo – 2. La responsabilità degli amministratori – 3. La dichiarazione di fallimento e il ruolo del curatore – 4. La prescrizione
del diritto al risarcimento – 5. Il momento da cui inizia a decorrere il termine di prescrizione
Il fatto e la motivazione
Con eccezione preliminare di merito, la convenuta costituita ... ha eccepito la prescrizione dell’azione proposta dalla curatela fallimentare, per
decorrenza dei termini di cui all’art. 2949 c.c.
È noto che per tale articolo l’azione di responsabilità dei creditori sociali
verso gli amministratori si prescrive in cinque anni, con decorrenza dal
momento in cui il patrimonio sociale sia divenuto insufficiente per il
soddisfacimento dei crediti (fra le altre Cass., 25.7.2008, n. 20476, e
18.1.2005, n. 941), e con decorrenza da quanto tale insufficienza si è
palesata o si è resa oggettivamente conoscibile, attraverso, ad esempio,
la lettura dei bilanci depositati, i quali, tra l’altro, hanno anche la funzione di rendere nota a terzi la posizione economica della società (cfr.
Trib. Napoli, 12.9.2002).
È altresı̀ noto che tale principio non subisce deroghe, anche nelle ipotesi
in cui la società sia stata dichiarata fallita e la relativa azione di responsabilità sia svolta dal curatore fallimentare per conto di tutto il ceto
creditorio ex art. 146 l. fall., il quale compendia le due azioni ordinarie ex
artt. 2392 e 2394 c.c. (cfr. sul punto Cass., 25.7.1979, n. 4415).
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Sul punto, la Suprema Corte ha anche precisato che i creditori sociali, con la
dichiarazione di fallimento, perdono la legittimazione ad esercitare l’azione di responsabilità, ma sono soggetti agli effetti della prescrizione maturata medio tempore, posto che la perdita della legittimazione attiva non è
causa di sospensione della prescrizione (cfr. Cass., 2.7.2007, n. 14961).
La Cassazione ha anche avuto modo di precisare che, nelle ipotesi di
fallimento della società, la decorrenza del termine prescrizionale di
cinque anni può anche essere anteriore alla dichiarazione di fallimento
o all’epoca di accertamento dello stato d’insolvenza, presupponendo
soltanto che la insufficienza del patrimonio sociale – intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto o insufficienza
dell’attivo sociale a soddisfare i debiti della società – sia oggettivamente conoscibile dai creditori (cfr. Cass., 25.7.2008, n. 20476).
Pertanto, alla luce di tali premesse di diritto, va individuata l’epoca in
cui il patrimonio della società si è rilevato insufficiente a soddisfare i
debitori sociali, e il momento in cui tale insufficienza sia stata oggettivamente conoscibile da parte dei creditori sociali della ..., al fine di
stabilire se la presente azione possa o meno ritenersi tempestiva.
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Tanto premesso, rileva il Tribunale che, secondo quanto accertato dal
consulente tecnico di ufficio, il bilancio per l’anno 1998, approvato il
30.6.1999, si è concluso con un risultato negativo per lire 404.675.424,
tale da azzerare del tutto il capitale sociale ben inferiore, e tale dunque
da imporre gli adempimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. (liquidazione, trasformazione o rifinanziamento della società), i quali non risultano invece effettuati dalla amministratrice dell’epoca ...
Ne consegue che il dies a quo, per stabilire se sia o meno decorso il
termine prescrizionale, va individuato nel giugno 1999, ovvero quando,
non solo il patrimonio sociale era divenuto insufficiente, tanto da imporre agli amministratori gli adempimenti di cui agli artt. 2446 e 2447
c.c., ma anche quando tale insufficienza era stata portata a conoscenza
dei creditori attraverso la pubblicazione del bilancio approvato in tale
data, mediante deposito presso il registro delle imprese di Salerno, cosı̀
come attesta il consulente di ufficio (cfr. p. 21 della sua relazione).
Non sembra poi contestabile che la pubblicazione del bilancio rende
conoscibile la condizione economica della società, atteso che la pubblicazione ha proprio una tale funzione, essendo i bilanci consultabili da
chiunque ne abbia interesse.
Peraltro, la stessa mancata pubblicazione dei bilanci successivi, in uno alle
risultanze negative dell’ultimo bilancio depositato, costituisce un evidente
ulteriore sintomo delle difficoltà economiche in cui si trovava la società.
Tanto premesso, rileva ora il Collegio che il primo atto di messa in mora
è costituito proprio dal ricorso per sequestro conservativo proposto in
data 12.10.2007 nei confronti di ..., con la conseguenza che la presente
azione deve ritenersi irrimediabilmente prescritta.
Invero, non è contestabile che la grave perdita riportata nel bilancio
approvato nel giugno 1999, con conseguente totale azzeramento del
già modesto capitale sociale, aveva messo i creditori sociali nella condizioni di avvedersi delle difficoltà economiche in cui versava la società;
essi, pertanto, ben avrebbero potuto far valere le loro ragioni creditorie
prima della dichiarazione di fallimento della ... con idonee iniziative
giudiziarie anche nei confronti dell’amministratrice della società (sul
punto, esattamente in termini, la già citata Cass., 25.7.2008, n. 20476).
Sul punto, infine, va ritenuto che, ai fini della conoscibilità della crisi
economica della società, appare del tutto irrilevante il fatto che la sua
amministratrice, ..., non abbia adottato tutte le misure a lei imposte
dagli artt. 2446 e 2447 c.c.
Pertanto, non può essere condivisa l’affermazione della difesa della
curatela fallimentare, secondo la quale la crisi della società è divenuta
riconoscibile solo con la declaratoria di fallimento.
Del pari, non può essere condivisa la tesi della curatela, secondo la
quale l’inizio della azione penale per bancarotta nei confronti delle
amministratrici della società avrebbe allungato i termini di prescrizione,
secondo quanto stabilito dal 3º co. dell’art. 2947 c.c.
Invero, secondo quanto risulta agli atti, anche l’azione penale risulta
iniziata oltre il quinquennio dal giugno 1999.
Inoltre, l’interruzione della prescrizione, per effetto della instaurazione
del procedimento penale, presuppone la costituzione di parte civile da
parte della curatela fallimentare, che non risulta invece presentata.
La domanda proposta dalla curatela del fallimento della s.r.l. ..., pertanto, non può che essere disattesa, sia nei confronti della ... che della
precedente amministratrice ... (peraltro, per quest’ultima va aggiunto
che giammai si sarebbe potuto arrivare a una pronunzia nei suoi confronti, sia per motivi di prescrizione, sia perché le contestazioni mosse
dal c.t.u. riguardano operazioni compiute dalla sola ...).
Le spese giudiziali, sostenute dalla sola parte convenuta costituita ...,
seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta la domanda proposta dalla curatela del fallimento della s.r.l. ...,
per intervenuta prescrizione dell’azione;
condanna l’attrice al pagamento delle spese giudiziali.
1. I fatti e il contesto normativo
I fatti di causa si possono riassumere come segue. Una s.r.l.(1) va
incontro a consistenti perdite, che imporrebbero – in forza di
legge – di azzerare e ricostituire il capitale sociale(2). Questa operazione non viene però compiuta dall’amministratrice della società e tale omissione viene ritenuta essere fonte di responsabilità. In conseguenza dell’omessa ricostituzione del capitale subentra lo stato d’insolvenza(3) della s.r.l., con dichiarazione di
fallimento. Nell’intento di tutelare i creditori sociali, il curatore
fallimentare cita in giudizio l’ex amministratrice della società,
ormai dichiarata fallita(4). L’azione in giudizio viene però dichiarata prescritta dal Tribunale di Salerno.
La società di cui è causa è una s.r.l. In tale tipo societario la
riduzione del capitale per perdite è ora disciplinato negli artt.
2482 bis e 2482 ter c.c. Secondo la prima di tali disposizioni
«quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in
conseguenza di perdite, gli amministratori devono senza indugio
convocare l’assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti»
(art. 2482 bis, 1º co., c.c.). Nel caso di specie si realizza addirittura
una riduzione del capitale al disotto del minimo legale. In questo
caso «gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto
minimo» (art. 2482 ter, 1º co., c.c.)(5).
(1) Per un’ampia rassegna di giurisprudenza sulla s.r.l. dopo la riforma
del 2003 cfr. LOFFREDO-RACUGNO, Società a responsabilità limitata, in Giur.
comm., 2008, II, 241 ss.
(2) In materia di riduzione del capitale per perdite v., fra i contributi più
recenti, BOLOGNESI, Riduzione del capitale di società per azioni: la situazione patrimoniale non aggiornata determina nullità della delibera, in Obbl. e
contr., 2009, 44 ss.; FRANCHI, Brevi note in tema di riduzione del capitale per
perdite e mancato deposito della relazione sulla situazione patrimoniale, in
Banca borsa tit. cred., 2009, II, 258 ss.; LEOCATA, Ancora in tema di sottoscrizione integrale condizionata nella ricostituzione del capitale ridotto a
zero, in Vita notarile, 2009, 127 ss.; POSTIGLIONE, La ricostituzione del capitale sociale ridottosi per perdite: può il versamento dei conferimenti in
denaro in un conto corrente pignorato compromettere l’effettività del capitale sociale?, in Riv. dir. impr., 2009, 157 ss.; SPIOTTA, Osservazioni in tema di
vizi della delibera assembleare di riduzione obbligatoria del capitale sociale
per perdite, in Giur. comm., 2008, II, 1222 ss.
(3) Sullo stato d’insolvenza cfr. APICE, Prova della conoscenza dello stato
d’insolvenza: un vecchio problema sempre attuale, in Fallimento, 2006,
1398 ss.; BRUNO, La prova della conoscenza dello stato d’insolvenza e la
reintegrazione per equivalente pecuniario, in Dir. fall., 2009, II, 168 ss.;
DE SANTIS, Segnalazione d’insolvenza, iniziativa fallimentare del pubblico
ministero e terzietà del giudice, in Fallimento, 2009, 524 ss.; LUBRANO DI
SCORPANIELLO, Considerazioni inattuali sulla conoscenza dello stato d’insolvenza, in Nuovo dir. soc., 2010, 76 ss.; MONDANI, Conoscenza dello stato
d’insolvenza e segnalazione alla Centrale Rischi, in Banca borsa tit. cred.,
2008, II, 25 ss.
(4) In tema di legittimazione ad agire del curatore fallimentare v., fra i
tanti, ARLEO, Legittimazione ed interesse ad agire del curatore fallimentare
per l’impugnativa del bilancio di esercizio, in Soc., 2007, 1380 ss.; BASILONE,
La revocatoria ordinaria nel fallimento in bilico tra legittimazione ‘‘esclusiva’’ del curatore e persistente legittimazione del creditore in caso di inerzia
dell’organo concorsuale, in Nuova giur. comm., 2009, I, 463 ss.; CENNERAZZO,
Azione di responsabilità per concessione abusiva di credito: gli spazi di
legittimazione del curatore fallimentare dopo la sentenza delle Sezioni Unite, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2007, II, 2 ss.; FINARDI, Legittimazione
del curatore fallimentare ad esperire l’azione di riduzione in luogo del
fallito pretermesso, in Fall., 2006, 714 ss.; PAGNI, Le azioni di massa e la
sostituzione del curatore ai creditori, in Fall., 2007, 1037 ss.
(5) Il Tribunale di Salerno, nella sentenza in commento, non si riferisce ai menzionati artt. 2482 bis e 2482 ter c.c., bensı̀ agli artt. 2446 e
2447 c.c., che – però – disciplinano nella s.p.a. le medesime fattispecie
(rispettivamente la riduzione del capitale per perdite e la riduzione del
capitale al disotto del minimo legale). Bisogna tenere conto che la vicenda di cui è causa risale all’anno 1999, prima della riforma del diritto
societario avvenuta nel 2003. Tuttavia le disposizioni vigenti ora e quelle vigenti allora non sono cambiate in misura sostanziale. I ragionamenti sviluppati dal Tribunale di Salerno sono pertanto applicabili anche nella situazione legislativa attuale.
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In alternativa all’aumento di capitale, esiste la possibilità di mettere volontariamente in liquidazione la società, cioè di cessare
l’attività. Ciò che non è invece consentito agli amministratori (e
ai soci) è una continuazione dell’attività senza previa ricostituzione del capitale, in quanto una situazione del genere determinerebbe rischi eccessivi per i creditori che si troverebbero a contrarre con una società che potrebbe non possedere le risorse per
far fronte alle proprie obbligazioni. Si tratta esattamente della
contestazione che viene mossa dal curatore fallimentare all’ex
amministratrice della società nel caso di specie.
La responsabilità degli amministratori di s.r.l. trova la sua attuale
base normativa nell’art. 2476 c.c. (rubricato, appunto, «responsabilità degli amministratori e controllo dei soci»)(6). Questa disposizione, che obbliga a risarcire il danno patito dalla società e dai
terzi per effetto dell’operato dei gestori, è di fondamentale importanza per assicurare una buona gestione dell’impresa. In forza di tale norma l’amministratore è consapevole che, nel gestire
un patrimonio che non gli appartiene (o che al più, se è socio, gli
appartiene solo pro quota), deve osservare una serie di doveri.
Nel caso violi tali obblighi, è chiamato a risponderne, direttamente nei confronti della società e, indirettamente, per il danno
che ne è derivato in capo a terzi. Il dovere di risarcire il danno ha
dunque non solo una funzione ‘‘riparatoria’’, una volta che il
nocumento si è verificato, ma svolge anche un ruolo ‘‘preventivo’’: far sı̀ che l’amministratore adotti ogni comportamento finalizzato a incrementare il valore della società.
La responsabilità degli amministratori di s.r.l. segue un doppio
binario: da un lato vi è la responsabilità nei confronti della società, dall’altra la responsabilità nei confronti dei creditori.
2. La responsabilità degli amministratori
La prima fattispecie è disciplinata nell’art. 2476, 1º co., c.c., secondo cui «gli amministratori sono solidalmente responsabili
verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri
ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società».
Il fatto che la disposizione si esprima al plurale (‘‘gli amministratori’’ e non ‘‘l’amministratore’’) non esclude che possa farsi valere
la responsabilità di un singolo gestore. Secondo il modello previsto per la s.r.l., l’amministrazione della società è affidata a uno o
più soci (art. 2475, 1º co., c.c.). Se l’amministratore è unico, questi non potrà rispondere solidamente con altri amministratori
(inesistenti), ma risponderà da solo nei confronti della società.
La responsabilità civile dell’amministratore può essere affermata
laddove vi sia la violazione di un ‘‘dovere’’ a esso imposto dalla
legge e dall’atto costitutivo.
Se è vero che il nostro legislatore si avvale di una formulazione
ampia (‘‘doveri ad essi imposti’’), si deve tuttavia rilevare che una
limitazione all’ampiezza degli obblighi incombenti sui gestori
deriva dalle fonti da cui possono risultare tali doveri: si deve
trattare della ‘‘legge’’ oppure dell’‘‘atto costitutivo’’.
A voler essere precisi bisogna rilevare che la disposizione parla di
legge ‘‘e’’ di atto costitutivo’’ (non di legge ‘‘o’’ di atto costitutivo).
Parrebbe cioè che i doveri debbano essere affermati dalla legge e
ribaditi nell’atto costitutivo. Questa soluzione non può tuttavia,
per quanto fedele alla lettera del testo legislativo, essere ragionevolmente accolta. Difatti se la disposizione di legge è imperativa,
l’atto costitutivo non vi può derogare e gli amministratori sono
tenuti a rispettarla: sia che l’atto costitutivo vi deroghi (cosa che,
peraltro, non può fare) sia che l’atto costitutivo taccia in merito,
la norma di legge si applica. Sicuramente imperative sono, ad
esempio, proprio le disposizioni concernenti la necessità di ricostituire il capitale sociale quando si verificano delle perdite, come
quelle oggetto della sentenza del Tribunale di Salerno. Si deve
pertanto anzitutto affermare che l’amministratore è tenuto a rispettare tutte le disposizioni imperative di legge che disciplinano
il suo comportamento.
Il gestore è inoltre tenuto a rispettare quei doveri, aggiuntivi
rispetto alla legge, che dovessero essere fissati nell’atto costitutivo. Gli statuti standard di piccole s.r.l. non contengono particolari doveri aggiuntivi, tuttavia capita – nelle s.r.l. di maggiori dimensioni – che i doveri degli amministratori siano meglio specificati e vadano ad aggiungersi a quelli risultanti in via generale
dalla legge.
In definitiva sussistono due gruppi di doveri che gli amministratori sono tenuti a osservare: quelli di fonte legislativa e quelli,
aggiuntivi ed eventuali, di origine statutaria.
I doveri che gli amministratori sono tenuti a osservare, anche
solo in forza di disposizioni di legge, sono numerosi: al fine di
identificarli tutti bisognerebbe passare in rassegna l’intero diritto
applicabile alla s.r.l. e individuare tutte le norme che impongono
certi comportamenti ai gestori. Laddove poi si riscontri nel caso
concreto un’inosservanza del contegno prescritto sarà possibile
affermare la responsabilità dell’amministratore. È appena il caso
di segnalare che i gestori possono rispondere sia per azioni (che
non avrebbero dovuto compiere oppure che avrebbero dovuto
compiere in modo diverso) sia per omissioni (nei casi in cui
avrebbero dovuto agire, ma si sono astenuti dal farlo).
Ai fini che qui interessano vale rilevare che, fra i doveri degli
amministratori, rientrano senz’altro quelli attinenti la conservazione del patrimonio sociale, anche in un’ottica di tutela dei
creditori. Gli artt. 2482 bis e 2482 ter c.c. impongono ai gestori
d’intervenire quando il capitale si è ridotto. Nel caso di specie si è
verificata una situazione del genere e, ciò nonostante, l’amministratrice non ha posto in essere gli adempimenti richiesti dalla
legge. L’ex gestrice della società ha omesso un comportamento
prescritto per legge, da cui è derivata l’impossibilità per la società
di continuare la sua attività e la conseguente – inevitabile – dichiarazione di fallimento.
Ulteriore requisito per poter affermare la responsabilità degli amministratori di s.r.l. è la sussistenza di un danno. ‘‘Danno’’ è qualsiasi
riduzione del patrimonio sociale (o mancata corrispondente crescita del medesimo) realizzatasi in conseguenza di azioni od omissioni
poste in essere dai gestori in spregio dei doveri che fanno loro capo. I
comportamenti degli amministratori non possono invece essere
sindacati, anche se - in ipotesi - contrari ai loro doveri, se non hanno
determinato alcun nocumento. La tutela che il legislatore vuole cosı̀
offrire è sostanziale, non formale.
(6) In materia di responsabilità degli amministratori nella s.r.l. cfr. FICO,
L’azione di responsabilità contro gli amministratori nella s.r.l., in Soc., 2008,
1400 ss.; SALVATO, Profili della disciplina della responsabilità degli amministratori della s.r.l., in Soc., 2009, 705 ss.; SANGIOVANNI, Responsabilità degli
amministratori e corresponsabilità dei soci nella s.r.l., in Danno e resp.,
2008 13 ss.; SANGIOVANNI, La responsabilità degli amministratori di s.r.l.
verso la società, in Contratto e impresa, 2007, 693 ss.; ZANARDO, L’estensione
della responsabilità degli amministratori di s.r.l. per mala gestio ai soci
‘‘cogestori’’: luci e ombre della disposizione dell’art. 2476, 7º co., c.c., in
Riv. società 2009, 498 ss.
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Il danno può assumere gli aspetti più diversi a seconda delle circostanze del caso concreto. Nella fattispecie in esame, la mancata
ricostituzione del capitale ha sostanzialmente impedito alla società
di procedere con la propria attività e da tale inattività è derivato il
fallimento. La dichiarazione di fallimento danneggia da un lato la
posizione dei soci, i quali passano da una condizione ordinaria e
operativa della s.r.l. (nella quale possono legittimamente aspirare al
conseguimento di utili) a una situazione in cui non è più possibile
perseguire tali utili; dall’altro lato la dichiarazione di fallimento
danneggia i creditori sociali, i quali non possono più ragionevolmente aspettarsi una soddisfazione completa del proprio credito.
Infine bisogna che fra il contegno (a seconda dei casi, commissivo oppure omissivo) degli amministratori e il danno sussista un
legame di causalità. Tale nesso viene espresso dal legislatore nel
passaggio in cui dice che i danni devono essere ‘‘derivanti’’ dall’inosservanza dei doveri (art. 2476, 1º co., c.c.). Il legame è dato
quando il nocumento non si sarebbe verificato se il comportamento fosse stato conforme agli obblighi. Nel caso di specie è
difficilmente revocabile in dubbio la sussistenza di un tale nesso
di causalità. Difatti l’omissione della convocazione dell’assemblea, finalizzata a ricostituire il capitale per ripianare le perdite, è
certamente causativa della situazione in cui la società si è venuta
a trovare: mancanza di risorse per continuare la propria attività
con conseguente insolvenza.
Ci siamo finora soffermati sugli elementi costitutivi della responsabilità degli amministratori nei confronti della società ex art.
2476, 1º co., c.c.
Bisogna tuttavia rilevare che i gestori rispondono anche nei confronti dei terzi. La seconda fattispecie di responsabilità civile
degli amministratori (e cioè la responsabilità verso i creditori)
trova il proprio fondamento nell’art. 2476, 6º co., c.c., secondo
cui le disposizioni sulla responsabilità verso la società «non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo
socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti
dolosi o colposi degli amministratori».
Mentre fra amministratori e società sussiste un rapporto contrattuale, nei confronti dei terzi tale rapporto contrattuale normalmente non sussiste. Per questa ragione l’art. 2476, 6º co., c.c., nel
delineare gli elementi costitutivi della responsabilità, fa riferimento – in modo generico – a ‘‘atti dolosi o colposi’’ dei gestori.
Nella relazione con i terzi la responsabilità è di natura extracontrattuale, derivante da fatto illecito degli amministratori.
3. La dichiarazione di fallimento e il ruolo del curatore
A causa della cattiva situazione finanziaria in cui versa la s.r.l., la
società non è più in grado di soddisfare regolarmente i creditori.
Accertato lo stato d’insolvenza, il Tribunale di Salerno dichiara il
fallimento.
La dichiarazione di fallimento non fa però venire meno i debiti
della società, che devono essere esaminati e trattati nel corso del
procedimento fallimentare, al fine di conseguire – nei limiti del
possibile – la soddisfazione paritaria dei debitori. Coloro che
vantano un credito nei confronti della società devono chiedere
di essere ammessi al passivo della medesima (art. 93 l. fall.).
(7) L’art. 146, 2º co., l. fall. recita: «sono esercitate dal curatore previa
autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le
azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di respon-
L’ammissione al passivo non consente, normalmente, di ottenere
la soddisfazione totalitaria del credito. Per questa ragione capita
non di rado che i creditori cerchino vie ulteriori per ottenere
soddisfazione. In particolare i creditori della società fallita, che
non accettano di essere soddisfatti solo in misura parziale, possono pensare di agire in giudizio (come vedremo meglio: mediante il curatore) nei confronti degli amministratori. In presenza
di una pluralità di basi normative che consentono di far valere
pretese nei confronti di più soggetti (società e amministratori), se
i patrimoni di alcuni di essi (nel caso di specie della società) si
prospettano come insufficienti, conviene azionare pretese nei
confronti di tutti i possibili debitori. L’esercizio congiunto dei
diritti aumenta le probabilità di ottenere soddisfazione del credito, nel senso che al patrimonio della società si aggiungono i
patrimoni degli amministratori della stessa. Il pericolo di una
soddisfazione meramente parziale è del resto tipico del contesto
fallimentare. Subentrata la dichiarazione d’insolvenza, è probabile che i creditori – perlomeno quelli non muniti di garanzie –
non riescano a essere soddisfatti completamente chiedendo solo
l’ammissione al passivo della società, in quanto l’attivo non è
normalmente sufficiente a coprire il passivo. Ecco allora che,
laddove sussistano i presupposti per affermarne la responsabilità, converrà agire in giudizio nei confronti degli amministratori.
Per il caso di fallimento la legge prevede, con una disposizione
speciale (l’art. 146, 2º co., l. fall.)(7), che le azioni di responsabilità
contro gli amministratori siano esercitate dal curatore. Si tratta di
una norma che non deroga alla regola più generale secondo cui
nelle controversie «relative a rapporti di diritto patrimoniale del
fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore» (art. 43,
1º co., l. fall.).
L’art. 146, 2º co., l. fall. è una disposizione piuttosto articolata. La
norma consente l’esercizio di azioni di responsabilità: 1) sentito
il comitato dei creditori e 2) previa autorizzazione del giudice
delegato. L’art. 146, 2º co., l. fall. inoltre non si riferisce a un tipo
specifico di società, dovendo dunque ritenersi applicabile a qualsiasi tipologia societaria (e, per quanto interessa ai fini del presente commento, la disposizione è sicuramente applicabile anche alle s.r.l.). La norma attribuisce al curatore il potere di esercitare azioni di responsabilità nei confronti non solo degli amministratori, ma anche dei componenti gli organi di controllo,
dei direttori generali e dei liquidatori. Il curatore può pertanto in
sostanza convenire in giudizio tutte le persone cui, durante la
vita della società, è stata affidata una qualche funzione di amministrazione o di controllo. La disposizione mira a concentrare in
capo a un unico soggetto, il curatore, la gestione di tutti i rapporti
con tali soggetti.
Alla luce di questa ratio (di onnicomprensività dei poteri attribuiti al curatore), si comprende come l’art. 146, 2º co., l. fall. non
distingua fra le azioni esercitate per conto della società (o dei
soci) e quelle esercitate per conto dei creditori. Secondo la Corte
di Cassazione l’azione di responsabilità sociale e l’azione di responsabilità verso i creditori, per effetto del fallimento della società e della conseguente legittimazione esclusiva del curatore al
loro esercizio, confluiscono in un’unica azione(8). L’affermazione
sabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti
dall’articolo 2476, comma settimo del codice civile».
(8) Cass., 2.7.2007, n. 14961.
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si riscontra, ovviamente, anche nella giurisprudenza di merito:
ad esempio il Tribunale di Palermo ha deciso che l’azione di
responsabilità esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall.
ha carattere unitario, perché diretta alla reintegrazione del patrimonio del fallito, visto unitariamente come garanzia per i soci e
per i creditori, questi ultimi intesi come massa e non come singolo creditore(9). Il curatore esercita pertanto un’unica azione
nell’interesse diretto della società e indiretto dei creditori.
L’obiettivo del cumulo della legittimazione in capo al curatore è
quello di consentire a un unico soggetto di far valere tutti i possibili rimedi che spettano alla società e ai creditori. I danari raccolti dal curatore, a titolo di risarcimento del danno, dagli ex
organi di amministrazione e di controllo confluiscono nella società e sono destinati, secondo le regole fallimentari, al soddisfacimento dei creditori sociali e – per l’eventuale residuo – ai soci.
Dal punto di vista della società, l’unico obiettivo da perseguire è
quello di raccogliere più danaro possibile da tutti i possibili responsabili al fine di soddisfare i creditori sociali e i soci. All’originaria possibile pluralità di azioni di singoli creditori, per titoli
che possono essere i più diversi, si sostituisce un’unica azione del
curatore.
Che il curatore fallimentare sia legittimato a esercitare, nei confronti degli amministratori, sia le azioni sociali che quelle spettanti ai creditori risulta del resto – per le s.p.a. – dal testo dell’art.
2394 bis c.c., il quale attribuisce al curatore l’esercizio delle azioni di responsabilità ‘‘previste dai precedenti articoli’’ e gli articoli
precedenti si occupano sia di azione sociale di responsabilità
(art. 2393 c.c.) sia di responsabilità verso i creditori sociali (art.
2394 c.c.). Non sussistono elementi che fanno ritenere che per le
s.r.l., pur in assenza di un’espressa previsione, debba valere una
soluzione diversa di quella valevole per le s.p.a.
Non deve dunque sorprendere che, recentemente, il Tribunale di
Roma abbia deciso che – in caso di fallimento di s.r.l. – il curatore
fallimentare è legittimato ai sensi dell’art. 146 l. fall. in via esclusiva tanto all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità quanto a quello dell’azione spettante ai creditori della s.r.l. fallita(10).
Questa soluzione, come detto, pare ragionevole non solo per il
dato letterale dell’art. 2394 bis c.c., ma anche per la ratio di tale
disposizione: assicurare una concentrazione delle azioni esercitate dalla società o contro la medesima nell’unica figura del curatore.
Nel caso che ci occupa, dal testo della sentenza del Tribunale di
Salerno non si riesce a desumere con assoluta certezza quale sia
il titolo della responsabilità fatta valere dal curatore (anche se,
nella parte iniziale della sentenza, si parla di azione ‘‘dei creditori’’; pare pertanto trattarsi di azione dei creditori esercitata dal
curatore). Ai nostri fini peraltro (si tratta, essenzialmente, di
comprendere se il diritto a ottenere dagli amministratori il risarcimento del danno si sia o meno prescritto), la questione di quale
responsabilità il curatore faccia valere in sede fallimentare non
appare particolarmente rilevante. Ci soffermeremo pertanto nel
prosieguo su altri aspetti. Come abbiamo già evidenziato sopra, è
del resto ragionevole assumere che – nel caso di specie – il comportamento dell’ex amministratrice sia stato idoneo a cagionare
un nocumento sia alla società sia ai creditori: da un lato la mancata ricostituzione del capitale sociale ha impedito alla società di
continuare a operare, con conseguente fallimento; dall’altro lato
dalla dichiarazione di fallimento è derivata l’impossibilità di soddisfare integralmente i creditori.
La presenza di uno sbilancio fra attivo e passivo della società non
è di per sé sufficiente per poter affermare la responsabilità degli
amministratori, potendo lo sbilancio essere riconducibile alla
cause più diverse, certamente non tutte ascrivibili all’operato
dei gestori. Bisognerà dunque individuare quale quota parte del
passivo fallimentare è imputabile al comportamento scorretto
degli amministratori. Con riferimento alla quantificazione del
danno da farsi valere nel giudizio instaurato dal curatore, tale
nocumento ammonta dunque solo in linea teorica al passivo
fallimentare della società. È vero che i debiti accumulati nel corso della gestione della s.r.l. trovano ora espressione nel passivo
fallimentare. Prima della dichiarazione di fallimento, ciascun interessato (socio oppure creditore) avrebbe chiesto solo il risarcimento del danno da sé subito; dopo la dichiarazione, ai soci e ai
creditori (nel loro complesso) subentra il curatore, il quale fa
valere la totalità dei danni cagionati dagli ex amministratori.
Non si può però automaticamente imputare l’intero passivo fallimentare all’operato degli amministratori, ma bisognerà indagare in che misura il comportamento dei gestori ha determinato il
nocumento.
In alcuni casi bisogna peraltro dire che si riscontra nella prassi
l’utilizzo del criterio differenziale fra passivo e attivo per quantificare il danno imputabile agli amministratori. Ciò avviene quando il nocumento è sicuramente ascrivibile in via esclusiva all’operato dei gestori. Si immagini il caso di azzeramento del capitale e di amministratori che, ciò nonostante, continuano a operare: in tale ipotesi si può ragionevolmente ritenere che tutto il
danno che la società successivamente causa ai terzi sia ascrivibile al comportamento dei gestori che – in condizioni del genere
– avrebbero dovuto astenersi da qualsiasi iniziativa, a tutela dei
creditori. Una soluzione simile può aversi in caso di assenza delle
scritture contabili. Se la loro mancanza è ascrivibile agli amministratori, questi potrebbero avvantaggiarsi ingiustamente dall’assenza della documentazione idonea a quantificare il danno. La
giurisprudenza è pertanto orientata a far ricadere sui medesimi
gestori le conseguenze di tale condotta omissiva anche in termini
di determinazione del quantum del nocumento.
Infine non si può fare a meno di rilevare come la giurisprudenza,
in alcuni casi, tenda a liquidare il danno secondo criteri equitativi. Si fa ricorso a questo meccanismo in tutte le fattispecie in
cui non è ragionevolmente possibile ricostruire l’ammontare del
nocumento.
(9) Trib. Palermo, 25.11.2004, in Dir. fall., 2006, II, 962 ss., con nota di
Carlozzo.
(10) Trib. Roma, 17.12.2008, in Banca borsa tit. cred., 2010, II, 483 ss., con
nota di Mozzarelli.
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4. La prescrizione del diritto al risarcimento
Anche i diritti in materia di società sono soggetti, come è ovvio, a
prescrizione. Sul punto la disposizione di riferimento è l’art. 2949
c.c., il quale – peraltro – si divide in due commi.
Il 1º co. dell’art. 2949 c.c. prevede che ‘‘si prescrivono in cinque
anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è
iscritta nel registro delle imprese’’. Nel caso in commento si tratta
del rapporto fra la società (che agisce, in sede fallimentare, mediante il curatore) e il suo amministratore. La società è una s.r.l.,
tipo societario per il quale è necessario procedere all’iscrizione
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nel registro delle imprese (in questo senso dispone l’art. 2330 c.c.
sulle s.p.a., a cui rinvia l’art. 2463, 3º co., c.c. sulle s.r.l.). L’art.
2949, 1º co., c.c. pare peraltro fare riferimento non tanto, astrattamente, ai tipi societari per i quali è necessaria l’iscrizione nel
registro delle imprese (fra cui la s.r.l.), quanto piuttosto al fatto
che una specifica società abbia o meno – concretamente – provveduto a tale adempimento. In altre parole può capitare che una
società, pur essendovi obbligata in forza di legge, non venga
iscritta nel registro. Anche se il provvedimento in commento
non ne parla espressamente, possiamo – ai fini di questa nota
– considerare l’iscrizione come data. La fattispecie di cui all’art.
2949, 1º co., c.c. risulta pertanto soddisfatta.
Sarebbe tuttavia riduttivo fermarsi a quanto dispone il 1º co.
dell’art. 2949 c.c. Difatti questo articolo prevede ulteriormente
che si prescriva in cinque anni «l’azione di responsabilità che
spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti
dalla legge» (art. 2949, 2º co., c.c.). Questa disposizione appare,
da un lato, meglio ritagliarsi al caso di specie, in quanto essa
menziona proprio le azioni di responsabilità e non i più generici
rapporti sociali di cui al 1º co. Da un altro lato il 2º co. si riferisce
alle relazioni intercorrenti con soggetti esterni alla società (i creditori). Al fine di individuare la disposizione concretamente applicata dal giudice, bisognerebbe pertanto capire se l’azione di
responsabilità viene fatta valere dalla società oppure da terzi.
Nel caso di specie, essendo subentrato il fallimento della s.r.l.,
l’azione di responsabilità viene esercitata dal curatore fallimentare (e non dalla società e nemmeno dai creditori). In via generale è ragionevole affermare che il curatore agisce cumulando le
due azioni (non solo per la società, ma anche nell’interesse dei
creditori sociali): difatti il recupero di eventuali somme dagli
amministratori consente di far fronte, almeno in parte, ai crediti
vantati da terzi nei confronti della s.r.l.
La questione dell’individuazione dell’esatta base normativa dell’azione del giudice può tuttavia considerarsi ininfluente se si
riflette sul fatto che sia il 1º co. sia il 2º co. dell’art. 2949 c.c.
prevedono il medesimo termine (di cinque anni) per la prescrizione dei diritti(11).
5. Il momento da cui inizia a decorrere il termine
di prescrizione
Atteso che sia il 1º co. sia il 2º co. dell’art. 2949 c.c. prevedono la
medesima durata del termine di prescrizione, il punto decisivo
non è dunque tanto la durata del termine (in ogni caso di cinque
anni), quanto piuttosto il momento da cui esso decorre. Secondo
la regola generale, «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere» (art. 2935 c.c.).
Individuare il momento dal quale decorre il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità contro gli amministratori non
è semplice, in quanto manca una disposizione espressa per le
s.r.l.
Converrà invece iniziare l’analisi con quanto previsto nella s.p.a.,
dal momento che in questo tipo societario si rinvengono almeno
due disposizioni che si occupano di definire il lasso di tempo
entro cui può essere esercitata l’azione di responsabilità: l’art.
2393, 4º co., c.c. per l’azione sociale di responsabilità e l’art.
2394, 2º co, c.c. per l’azione dei creditori. Con riferimento all’azione sociale di responsabilità l’art. 2393, 4º co., c.c. prevede che
‘‘l’azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione
dell’amministratore dalla carica’’. La disposizione si fonda sul
presupposto che, una volta cessato dalla carica, la società non
abbia più remore a far valere la responsabilità del gestore. Nel
contesto della s.p.a. vi è un’ulteriore base normativa che indica il
momento a partire dal quale l’azione di responsabilità può essere
fatta valere: l’art. 2394, 2º co., c.c. prevede che «l’azione può
essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti». Da tale momento i creditori non riescono più a ottenere soddisfazione aggredendo il patrimonio della società e, se ne ricorrono i presupposti (indicati al 1º co. del medesimo art. 2394 c.c.: «inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale»), possono agire in giudizio nei confronti degli
amministratori.
Mentre nella s.p.a. vi sono dunque disposizioni dettagliate sul
termine per l’esercizio dell’azione di responsabilità, nella s.r.l.
non esistono norme analoghe. L’art. 2476 c.c., che si occupa in
un unico articolo di tutti i profili (sostanziali e processuali, verso
la società e verso i terzi) della responsabilità degli amministratori, non detta norme specifiche sul termine di prescrizione e sulla
decorrenza del medesimo. In assenza di una disciplina specifica,
mi pare si possa ricorrere all’applicazione analogica. La ratio
delle menzionate disposizioni in materia di s.p.a. sussiste anche
nella s.r.l. È pertanto lecito assumere che, anche in questo tipo
societario, l’azione di responsabilità possa essere proposta a partire dai medesimi momenti. Dunque: 1) nel caso di azione sociale
di responsabilità, il termine decorre da quanto l’amministratore
è cessato dalla carica; 2) nel caso di azione dei creditori, il termine decorre da quanto il patrimonio è divenuto insufficiente per la
soddisfazione dei creditori.
Il problema è che, come si è evidenziato sopra, il curatore fallimentare – una volta dichiarato il fallimento – è l’unico soggetto
titolato a esercitare ambedue le azioni di responsabilità, sia quella per conto della società sia quella per conto dei creditori. Si
tratta dunque di capire se debba trovare applicazione il criterio
dell’art. 2393 c.c. (decorso del termine dalla cessazione della carica) oppure quello dell’art. 2394 c.c. (decorso da quando il patrimonio è divenuto insufficiente).
La Corte di Cassazione si è occupata più volte del momento da
cui inizia a decorrere il termine di prescrizione dell’azione di
responsabilità nel contesto fallimentare. E la giurisprudenza di
legittimità mostra di fare ampio uso del criterio dell’insufficienza
del patrimonio sociale statuito dall’art. 2394, 2º co., c.c.
Volendo passare a illustrare i più recenti precedenti in tema di
prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori nel contesto fallimentare, giova anzitutto segnalare
una sentenza del 2008, citata dallo stesso Tribunale di Salerno(12). Anche se questa pronuncia si è occupata di una s.p.a. (e
non di una s.r.l., come nel caso di specie), la relativa massima
merita di essere menzionata in quanto applicabile – per identità
(11) Si tratta di una delle (tante) deroghe al termine ordinario di prescrizione che, come è noto, ammonta a dieci anni (art. 2946 c.c.). La minore
durata del termine in materia societaria si giustifica con il fatto che, nel
settore del commercio e dell’industria, vi è un’esigenza maggiore (rispetto
a quanto avvenga ordinariamente) di una celere definizione dei rapporti.
Una soluzione veloce del conflitto, anche solo nella forma di intervenuta
prescrizione, non può che portare benefici al funzionamento della società
e a tutto il complesso d’interessi che vi ruota intorno.
(12) Cass., 25.7.2008, n. 20476, in Fallimento, 2009, 826 ss., con nota di
Meoli.
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di ratio – anche alla s.r.l. La Cassazione ha deciso che, in tema di
azione di responsabilità contro gli amministratori, la decorrenza
del termine di prescrizione quinquennale (dal momento in cui il
patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei
crediti sociali) può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento e può non coincidere con la dichiarazione dello
stato d’insolvenza, ma presuppone che detta insufficienza – intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio
netto dell’impresa o insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i
debiti della società – sia oggettivamente conoscibile dai creditori.
Ai fini dell’individuazione del momento di esteriorizzazione dell’insufficienza patrimoniale antecedente al fallimento, è senz’altro idoneo il bilancio di esercizio, tenuto conto della sua opponibilità erga omnes e della sua leggibilità anche per operatori non
particolarmente qualificati. In altre parole, anche se la dichiarazione di fallimento certifica lo stato d’insolvenza, tale condizione
non necessariamente coincide con l’insufficienza del patrimonio
sociale: questa insufficienza può esistere già precedentemente
alla dichiarazione di fallimento oppure verificarsi successivamente. Dalla decisione della Cassazione si ricava il principio
che, quando l’insufficienza patrimoniale è oggettivamente conoscibile dai creditori, inizia a decorrere il termine di prescrizione.
Secondo un’altra sentenza della Corte di Cassazione, sempre del
2008, il termine di prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare verso gli amministratori di s.r.l. ai sensi dell’art. 146 l. fall. inizia a decorrere da
quando l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata in
tutta la sua gravità, momento che non coincide necessariamente
con la dichiarazione di fallimento essendo rilevabile anche in
data anteriore in base a elementi oggettivi come il bilancio di
esercizio(13). Questa massima della Cassazione, simile a quella
illustrata prima, pare condivisibile. L’insufficienza patrimoniale
può essere anteriore (o, come si è visto sopra, anche posteriore)
alla dichiarazione di fallimento. Laddove risulti che l’insufficienza è anteriore e possa essere accertata sulla base di elementi
oggettivi, il termine di prescrizione inizia a decorrere da tale
momento anteriore. In una situazione del genere non vi è un
trattamento sfavorevole dei creditori, in quanto questi – essendo
a conoscenza già prima dell’insufficienza patrimoniale – avrebbero dovuto attivarsi diligentemente. Se non lo hanno fatto, indipendentemente da quali siano i motivi per cui sono rimasti
inerti (motivi che non sono rilevanti), il termine prescrizionale
inizia a decorrere. La Cassazione si occupa anche di onere della
prova, statuendo che spetta all’amministratore che voglia richiamarsi a un avvio del termine di prescrizione anteriore alla dichiarazione di fallimento dimostrare che l’insufficienza del patrimonio si è manifestata anteriormente. La mera messa in liquidazione della società non costituisce prova dell’insufficienza patrimoniale, in quanto essa può essere determinata da circostanze
diverse. Del resto, in condizioni normali, alla liquidazione volontaria non fa seguito il fallimento della società, ma il regolare
pagamento dei creditori (seppure all’interno della procedura di
liquidazione).
Nel 2005 la Corte di Cassazione aveva stabilito che l’azione di
responsabilità nei confronti degli amministratori di una società
esperibile dal curatore fallimentare della società fallita è soggetta
a prescrizione quinquennale con decorso non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensı̀ dal (successivo) momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, momento che, non coincidendo con il
determinarsi dello stato d’insolvenza, ben può risultare anteriore
o posteriore alla dichiarazione di fallimento(14). Anche in questo
caso la Cassazione fa uso del parametro dell’insufficienza del
patrimonio indicato nell’art. 2394, 2º co., c.c. La Corte di Cassazione specifica che l’onere della prova della preesistenza al fallimento dello stato d’insufficienza patrimoniale della società
spetta all’amministratore che, convenuto in giudizio a seguito
dell’esperimento dell’azione di responsabilità, ne eccepisca l’avvenuta prescrizione, senza che tale onere possa dirsi assolto mediante la generica deduzione, priva di qualsiasi altro utile elemento di fatto a sostegno dell’assunto, secondo cui l’insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata già al momento della
messa in liquidazione della società, non essendo il procedimento
di liquidazione necessariamente determinato dalla eccedenza
delle passività sulle attività patrimoniali.
Non è sempre facile accertare quando il patrimonio sociale risulti
insufficiente al soddisfacimento dei crediti (secondo l’espressione che utilizza l’art. 2394, 2º co., c.c.). Nella prassi, almeno nei
casi dubbi, si tende a utilizzare la data della dichiarazione di
fallimento, considerato che tale dichiarazione offre la massima
certezza possibile: quella di un accertamento giudiziale del fatto
che i creditori non riescono a essere soddisfatti regolarmente(15).
Come è noto, presupposto dell’apertura di una procedura concorsuale è lo stato d’insolvenza, secondo la definizione che ne dà
la legge fallimentare: «si manifesta con inadempimenti od altri
fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in
grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (art.
5, 2º co., l. fall.). E, dunque, il momento in cui l’azione di responsabilità può essere esercitata (e decorre il relativo termine di
prescrizione) può risultare anticipato rispetto alla dichiarazione
di fallimento e coincidere con il verificarsi dello stato d’insolvenza. Può in particolare accadere che i creditori, essendo soggetti
esterni alla società e – per tale ragione – non rendendosi conto
tempestivamente dell’esistenza di uno stato d’insolvenza, temporeggino con la domanda di fallimento. Se si riesce a dimostrare
che l’insufficienza del patrimonio sociale è anteriore a tale dichiarazione, il relativo termine di prescrizione è iniziato a decorrere prima e la prescrizione subentra prima.
Come le sentenze illustrate evidenziano, nella prassi il problema
è rappresentato dal fatto che l’insufficienza del patrimonio sociale può sı̀ risultare da un dato formale (come il bilancio che
indica gravi perdite oppure la dichiarazione di fallimento), ma
può risultare anche da altre circostanze, che legittimano ugualmente la società e i creditori ad agire in giudizio nei confronti
degli amministratori: l’accertamento di tali circostanze può risultare problematico. Le difficoltà maggiori di verifica sussistono
per i creditori, che sono esterni alla società. I soci difatti possono
esercitare il diritto di controllo che la legge loro riconosce, se-
(13) Cass., 12.3.2008, n. 6719, in Giur. comm., 2009, II, 309 ss., con nota di
Ricciardiello.
(14) Cass., 18.1.2005, n. 941.
(15) In questo senso ad esempio Trib. Palermo, 25.11.2004, in Dir. fall.,
2006, II, 962 ss., con nota di Carlozzo, secondo cui il momento in cui il
patrimonio sociale risulta insufficiente può non coincidere con l’accertamento dello stato d’insolvenza, anche se, in difetto di prova contraria e
secondo l’id quod plerumque accidit, l’insufficienza si manifesta al momento della dichiarazione di fallimento. Tale presunzione è di carattere
semplice e spetta al convenuto fornire la prova contraria.
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condo il dettato dell’art. 2476, 2º co., c.c.: «i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i
documenti relativi all’amministrazione»(16). Mentre, pertanto, i
soci non amministratori hanno maggiori opportunità di verificare l’andamento della società, i creditori potrebbero essere sorpresi nella scoprire l’insufficienza patrimoniale. I giudici, proprio
per la difficoltà di accertare quando il patrimonio sociale è divenuto insufficiente, tendono a orientarsi a qualche dato formale
(in essenza, appunto, bilanci e dichiarazione di fallimento).
Il Tribunale di Salerno afferma, nella sentenza in commento, che
il giorno di decorrenza della prescrizione è il 30.6.1999. In tale
data difatti è stato approvato il bilancio per il 1998 da cui risultavano con certezza le perdite che avrebbero obbligato la ex amministratrice a procedere al fine di ricostituire il capitale sociale(17). Usando il criterio evocato dalla Corte di Cassazione nelle
sentenze illustrate (e che è quello indicato positivamente per la
s.p.a. dall’art. 2394, 2º co., c.c.: momento in cui il patrimonio
sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei crediti), si
può affermare che – con l’approvazione del bilancio – le perdite
(e l’impossibilità di soddisfazione) risultano accertate. Secondo
la disposizione dell’art. 2482-ter, 1º co., c.c., gli amministratori –
se il capitale scende al di sotto del minimo previsto dalla legge –
devono convocare l’assemblea ‘‘senza indugio’’. Tale espressione
non indica quanti siano i giorni a disposizione per la convocazione, ma si tratta senz’altro di pochi giorni, in quanto – altrimenti – la società si trova a operare con un capitale del tutto
insufficiente, con un rischio elevato di danno in capo ai creditori.
Decorsi pertanto anche solo pochi giorni dopo l’accertamento
‘‘ufficiale’’ (mediante approvazione del bilancio) delle gravi perdite senza convocazione dell’assemblea, sussiste un comportamento omissivo dell’amministratore, in violazione di un preciso
dovere di legge, che determina la sua responsabilità.
Nel caso di specie le vicende contestate risalgono al periodo
1998-1999; l’approvazione del bilancio al 30.6.1999. Il primo atto
di messa in mora è invece del 12.10.2007: si tratta del ricorso per
sequestro conservativo(18) presentato sul patrimonio dell’ex amministratrice. Il periodo intercorso è senz’altro maggiore di cinque anni e si deve pertanto ritenere che il diritto dedotto in
giudizio (al risarcimento del danno) sia nel frattempo prescritto.
Accertato che fra la data di decorrenza del termine di prescrizione (giugno 1999) e l’atto interruttivo della prescrizione (ottobre
2007) sono passati più di cinque anni, il Tribunale di Salerno non
può che dichiarare la prescrizione dell’azione intentata dal curatore fallimentare.
Dal punto di vista della curatela fallimentare sarebbe stato importante, nel caso di specie, cercare di dimostrare che il termine
di decorrenza della prescrizione è successivo al giugno 1999 oppure che esso ha subito - per qualche ragione - un periodo di
sospensione.
Un appiglio per invocare la sospensione della prescrizione è fornito dall’art. 2941, n. 7, c.c., che - fra i casi di sospensione della
prescrizione per i rapporti fra le parti – prevede la sospensione
«tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in
carica, per le azioni di responsabilità contro di essi». Con questa
disposizione si vuole evitare che le parti siano indotte a litigare
mentre hanno ancora interesse alla continuazione del rapporto;
mediante la sospensione della prescrizione si rinvia l’eventuale
controversia a un momento successivo. A ciò si aggiunga che,
fino a quando gli amministratori sono in carica, risulta difficile
per i soci e - a maggior ragione – per i terzi accertare i fatti
causativi della responsabilità dei gestori. L’art. 2941, n. 7, c.c.
non può però essere invocato nel caso di specie in quanto la
sospensione cessa di operare una volta dichiarato il fallimento:
con tale dichiarazione gli amministratori cessano di essere in
carica e, pertanto, non può più essere invocata la sospensione
della prescrizione(19).
&
(16) Sul diritto di controllo dei soci di s.r.l. cfr. i contributi di CESIANO, Il
(limitato?) diritto di consultazione del socio ex amministratore nella s.r.l.,
in Soc., 2010, 1129 ss.; DI BITONTO, In tema di modalità di esercizio del
diritto di controllo individuale del socio di S.r.l. ex art. 2476 c.c., in Soc.,
2009, 205 ss.; GUIDOTTI, Sulla derogabilità della norma relativa ai diritti di
controllo del socio nella s.r.l., in Giur. comm., 2010, I, 422 ss.; GUIDOTTI,
Ancora sui limiti all’esercizio dei diritti di controllo nella s.r.l. e sul (preteso)
diritto di ottenere copia dei documenti consultati, in Giur. comm., 2008, II,
218 ss.; SANGIOVANNI, Diritto di controllo del socio di s.r.l. e autonomia
statutaria, in Notariato, 2008, 671 ss.; SANGIOVANNI, Il diritto del socio di
s.r.l. di estrarre copia dei documenti relativi all’amministrazione, in Giur. di
Merito, 2008, 2274 ss.
(17) A ciò si aggiunga che il bilancio va depositato presso il registro delle
imprese e al più tardi al momento del deposito la situazione patrimoniale
della società viene a conoscenza dei terzi, i quali – se lo ritengono – possono agire in giudizio nei confronti degli amministratori. Nel caso di specie le difficoltà in cui versava la società risultano evidenti anche per il fatto
che i bilanci successivi a quello relativo all’anno 1998 non vennero pubblicati. Alla luce di questa ragione addizionale i terzi avrebbero dovuto
preoccuparsi della situazione in cui versava la società e adottare da subito
le opportune iniziative a propria tutela.
(18) Si tratta della fattispecie disciplinata dall’art. 671 c.p.c., secondo cui
«il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la
garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di
beni mobili e immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei
limiti in cui la legge ne permette il pignoramento».
(19) Cfr. Cass., 12.3.2008, n. 6719, in Giur. comm., 2009, II, 309 ss., con
nota di Ricciardiello.
La Responsabilità Civile 3
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marzo 2011
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