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Hurbinek, un bambino nell`orrore

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Hurbinek, un bambino nell`orrore
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AUTORE: Primo Levi (1919-1987)
OPERA: La tregua (1963)
GENERE: romanzo realista
STRUMENTI DI ANALISI:
autore e narratore
primo levi
Hurbinek, un bambino
nell’orrore
Giunto al Campo Grande di Auschwitz, ora centro di raccolta, Primo Levi si
ammala e viene ricoverato in infermeria. Dopo qualche giorno di febbre altissima, comincia a sentirsi meglio e si accorge che, in un letto poco distante,
giace un bambino.
Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni
circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso
nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate1 che il piccolo ogni tanto emetteva.
5 Era paralizzato dalle reni in giù, ed aveva le gambe atrofiche2, sottili come stecchi; ma i
suoi occhi, persi nel viso triangolare e smunto3, saettavano4 terribilmente vivi, pieni di richiesta, di asserzione5, della volontà di scatenarsi, di rompere la tomba del mutismo. La
parola che gli mancava, che nessuno si era curato di insegnargli, il bisogno della parola,
premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano ad un
10 tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di
forza e di pena.
L’AUTORE n
Primo Levi
1. inarticolate: prive di significato.
2. atrofiche: piccole rispetto al
resto del corpo e prive di funzionalità.
3. smunto: magro, sofferente.
4. saettavano: lanciavano sguardi.
5. asserzione: decisa affermazione.
Nato a Torino nel 1919, Levi compie in questa città gli studi superiori e nel 1939 si iscrive
alla facoltà di Chimica; in seguito all’intervento tedesco nel nord d’Italia, nel 1943 entra a
far parte della resistenza ebraica. Arrestato, viene condotto prima in un campo
d’internamento a Fossoli, quindi deportato a Buna-Monowitz, presso Auschwitz, insieme a
centinaia di altri ebrei; qui resta fino al 1945. Salvatosi casualmente, anche grazie alla
possibilità di lavorare come chimico nel laboratorio del campo, Levi al suo ritorno scrive
Se questo è un uomo (1947), libro nato dalla profonda esigenza di raccontare gli orrori
vissuti nel campo di concentramento e di portare la propria testimonianza affinché
nessuno possa dimenticare. Anche il testo La tregua (1963) rientra in questo filone e
racconta il lungo e difficile ritorno a casa dal lager, attraverso un’Europa devastata dalla
guerra. Ancora dedicato alla riflessione sul tragico fenomeno dei campi di
concentramento è il saggio I sommersi e i salvati (1986); il romanzo Se non ora, quando?
(1982) affronta i temi della guerra e dell’ebraismo.
L’autore, secondo la sua stessa testimonianza, sente il prepotente impulso a scrivere
soltanto nel momento in cui ritorna dalla tragica esperienza di Auschwitz. All’attività
letteraria affiancherà sempre il suo lavoro di chimico. Alcuni racconti e romanzi nascono
proprio dalla fusione di questi due interessi: ricordiamo Storie naturali (1966), Il sistema
periodico (1975), La chiave a stella (1978). Levi si toglie la vita a Torino nel 1987.
© Pearson Italia S.p.A.
[tratto da L. Brunero, S. Collina, M. Masera, S. Vignale, A. Zanatta,
Sfogliare il mondo – Vol. A, Paravia 2008]
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Nessuno, salvo Henek: era il mio vicino di letto, un robusto e florido ragazzo ungherese di
quindici anni. Henek passava alla cuccia6 di Hurbinek metà delle sue giornate. Era materno più che paterno: è assai probabile che, se quella nostra precaria convivenza si fosse protratta al di là di un mese, da Henek Hurbinek avrebbe imparato a parlare; certo meglio che
dalle ragazze polacche, troppo tenere e troppo vane7, che lo ubriacavano di carezze e di baci, ma fuggivano la sua intimità.
Henek invece, tranquillo e testardo, sedeva accanto alla piccola sfinge8, immune alla potenza
triste che ne emanava; gli portava da mangiare, gli rassettava le coperte, lo ripuliva con mani
abili, prive di ripugnanza; e gli parlava, naturalmente in ungherese, con voce lenta e paziente. Dopo una settimana, Henek annunciò con serietà, ma senza ombra di presunzione, che
Hurbinek «diceva una parola». Quale parola? Non sapeva, una parola difficile, non ungherese: qualcosa come «mass-klo», «matisklo». Nella notte tendemmo l’orecchio: era vero, dall’angolo di Hurbinek veniva ogni tanto un suono, una parola. Non sempre esattamente la
stessa, per verità, ma era certamente una parola articolata; o meglio, parole articolate leggermente diverse, variazioni sperimentali attorno a un tema, a una radice, forse a un nome.
Hurbinek continuò finché ebbe vita nei suoi esperimenti ostinati9. Nei giorni seguenti, tutti lo ascoltavamo in silenzio, ansiosi di capire, e c’erano fra noi parlatori di tutte le lingue
d’Europa: ma la parola di Hurbinek rimase segreta. No, non era certo un messaggio, non
una rivelazione: forse era il suo nome, se pure ne aveva avuto uno in sorte; forse (secondo
una delle nostre ipotesi) voleva dire «mangiare», o «pane»; o forse «carne» in boemo, come
sosteneva con buoni argomenti uno di noi, che conosceva questa lingua.
6. cuccia: il letto in cui il bam-
bino è costretto a vivere per le
sue condizioni.
7. vane: superficiali.
8. sfinge: è detto in senso fi-
dizione di immobilità e mutismo del piccolo.
9. esperimenti ostinati: te-
stardi tentativi di parlare.
gurato, per esprimere la con-
L’OPERA n
La tregua
Il titolo fa riferimento al momento di “tregua” che Levi e molti dei sopravvissuti vivono nel periodo che va dalla
liberazione dai campi di concentramento al ritorno alla normalità. La narrazione si apre con l’arrivo dell’Armata Rossa
al campo di Buna-Monowitz, cui segue la ritirata tedesca dopo la distruzione del lager e l’eliminazione pressoché totale
dei prigionieri. I sopravvissuti vengono condotti al Campo Grande di Auschwitz, adibito a centro di raduno; qui Levi si
ammala e trascorre un po’ di tempo, durante il quale conosce alcuni bambini reduci dall’orrore dei campi. Fra questi il
piccolo Hurbinek, nato e cresciuto nel lager, a cui nessuno ha mai insegnato a parlare. Ristabilitosi, Levi intraprende il
lungo viaggio di ritorno verso casa, travagliato e avventuroso, a causa delle disastrose condizioni post-belliche. Giunge
dapprima in Polonia, a Cracovia e poi a Katowice, in un campo di sosta dove fa amicizia con Cesare, un italiano
proveniente anch’egli da Auschwitz che lo introduce nel commercio sotterraneo del mercato nero; da qui prosegue
verso nord nella Russia Bianca e poi a ritroso verso la Cecoslovacchia per giungere in seguito a Vienna. Il passaggio in
Italia attraverso il Brennero è pieno di angoscia: per chi rientra, l’offesa subita non potrà essere cancellata.
© Pearson Italia S.p.A.
[tratto da L. Brunero, S. Collina, M. Masera, S. Vignale, A. Zanatta,
Sfogliare il mondo – Vol. A, Paravia 2008]
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Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo respiro, per conqui35 starsi l’entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale10 lo aveva bandito;
Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento11.
Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.
(P. Levi, La tregua, Einaudi, Torino 1992)
10. potenza bestiale: l’efferata crudeltà del regime nazista,
che lo ha condannato a nasce-
re e morire nel campo di sterminio di Auschwitz.
11. libero … redento: libero,
Analisi del testo
UNA VICENDA VERA
Per comprendere il brano e il romanzo da cui è tratto bisogna chiarire una questione fondamentale: si tratta di
una testimonianza, non di un’invenzione. Primo Levi è
dunque l’autore che coincide con il narratore ed è, allo
stesso tempo, uno dei personaggi reali della vicenda
che racconta, in cui tutti i personaggi sono davvero
esistiti e tutti i fatti davvero accaduti.
Il piccolo Hurbinek è esistito, non è un personaggio nato
dall’immaginazione di un autore, che può inventare completamente o ispirarsi a un modello reale. L’Hurbinek di
cui si narra in questo brano è l’Hurbinek nato e vissuto
nel lager, e morto nell’infermeria in cui si trovava anche
Levi. Per quanto possa sembrare terribile, la vicenda si è
svolta così come è narrata e, se non fosse stato per la
testimonianza di Primo Levi, probabilmente nessuno
avrebbe saputo nulla di questo bambino: Nulla resta di
lui: egli testimonia attraverso queste mie parole (r. 38).
perché non più in campo di
concentramento, ma non riscattato nella sua umanità o
fesa (redento).
fatto che tutto gli è stato precluso, addirittura il diritto
di avere un nome e la possibilità di imparare a parlare,
ciò che distingue gli esseri umani dalle bestie. Nonostante questo, la forza vitale e la dignità del bambino
si affermano con una forza eccezionale, che sconvolge
gli adulti accanto a lui: era uno sguardo selvaggio e
umano ad un tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di forza e
di pena (rr. 9-11). La richiesta muta e forse inconsapevole di quel piccolo essere è quella della dignità che una
potenza bestiale (r. 35) gli ha sottratto.
Henek, robusto e florido ragazzo (r. 12), si prende cura di
lui con affetto, ma senza smancerie, insomma con un rispetto che fino a quel momento a Hurbinek è stato negato. Il bambino articolerà la sua prima parola, sebbene
incomprensibile, proprio dopo essere stato per una settimana a contatto con il giovane: in questo modo entrerà per un breve momento nel mondo degli uomini (r. 35),
che sarà subito costretto a lasciare.
UNO STILE SEMPLICE
LA LOTTA PER LA DIGNITÀ
La tragicità della situazione non è data solo dalle terribili condizioni fisiche di Hurbinek (Era paralizzato dalle reni in giù, e aveva le gambe atrofiche, r. 5), ma anche dal
L’autore, come in tutti i suoi scritti di testimonianza, fa
uso di uno stile semplice, dominato dalla paratassi: gli
portava da mangiare, gli rassettava le coperte, lo ripuliva
con mani abili (rr. 19-20). I verbi sono prevalentemente degli indicativi, ora all’imperfetto (era, dimostrava,
© Pearson Italia S.p.A.
[tratto da L. Brunero, S. Collina, M. Masera, S. Vignale, A. Zanatta,
Sfogliare il mondo – Vol. A, Paravia 2008]
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LABORATORIO
sapeva) per descrivere la condizione del bambino, purtroppo stabile nel tempo, ora al passato remoto (continuò, ebbe) per esprimere un’azione conclusa nel tempo, e, infine, al presente per dare voce al commento
dello scrittore (resta, testimonia). In quest’ultimo caso,
il tempo presente non serve tanto a indicare l’azione del
momento in cui si parla, ma piuttosto a esprimere una
verità, un qualcosa che è valido in quel momento, ma
resterà tale anche successivamente: egli testimonia attraverso queste mie parole (r. 38).
Nel brano troviamo l’uso della ripetizione («[…] una parola. Quale parola? […] una parola difficile […] una parola, r. 22) e dell’anafora (Hurbinek, che aveva tre anni […]
Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo […]
Hurbinek, il senza-nome, rr. 33-36), tecniche adottate
per attirare l’attenzione sul termine che viene ripetuto,
al fine di creare un forte impatto emotivo.
Comprendere
l 1. Perché l’autore sostiene che se il piccolo fosse sopravvissuto, avrebbe imparato a parlare da Henek
l meglio che dalle ragazze polacche?
l 2. Hurbinek, prima di morire, impara a pronunciare qualche parola?
l
l 3. Che cosa vuol dire l’autore quando afferma: Hurbinek era un nulla (r. 1)?
l
l 4. Secondo te, perché nessuno dei compagni di camerata di Hurbinek riesce a sostenere lo sguardo del
l bambino?
l 5. Perché l’autore dice che Hurbinek muore libero ma non redento (r. 37)?
l
Conoscere la lingua
l 6. Trova un sinonimo per ciascuna delle parole e delle espressioni seguenti tratte dal testo; i sinonimi
l dovranno essere adatti al contesto in cui i termini si trovano nel brano: si era curato, con urgenza esplosiva, florido, precaria, intimità, testardo, rassettava, bandito.
l 7. Rintraccia nel brano tutte le forme verbali al passato remoto, all’imperfetto indicativo e al presente
l indicativo, quindi trascrivile giustificando l’uso del tempo verbale di ognuna nel contesto in cui si trova.
Analizzare
l 8. Nel brano l’autore-narratore è interno o esterno? Di conseguenza come può essere definita la narral zione?
l 9. Quali sono le ripetizioni presenti nel brano?
l
l 10. In quali passi, espressioni o termini del brano emerge il giudizio dell’autore? Ti sembra espresso in
l modo esplicito o implicito? Motiva la tua risposta.
Scrivere
l 11. Riscrivi la seconda parte del brano (da Era materno più che paterno, rr. 13-14), immaginando che
l Hurbinek impari a dire qualche parola comprensibile. Quali saranno le sue prime parole? Come reagiranno Primo Levi e i suoi compagni?
© Pearson Italia S.p.A.
[tratto da L. Brunero, S. Collina, M. Masera, S. Vignale, A. Zanatta,
Sfogliare il mondo – Vol. A, Paravia 2008]
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