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«Fiero di mio figlio, ma ora finisca la scuola»

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«Fiero di mio figlio, ma ora finisca la scuola»
Trento e Provincia
Corriere del Trentino Domenica 29 Novembre 2009
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TN
L’intervista Prima la separazione, poi la cassa integrazione e i soldi che non bastano per i tre ragazzi. Ieri l’incontro con il presidente di Metalsistem
«Fiero di mio figlio, ma ora finisca la scuola»
Parla il padre del ragazzo del Fontana. Da Briosi un lavoro compatibile con le serali
TRENTO — Ha 42 anni, una vita
passata sui cantieri e poi, qualche
anno fa, la fabbrica. Basta stringergliela la mano, per capire che non è
mai rimasta a lungo senza far niente. È il padre del ragazzo di Rovereto che lo scorso anno ha lasciato la
scuola, il Fontana, per poter aiutare
economicamente la famiglia. Prima
una dolorosa separazione, poi l’incubo della cassa integrazione e quei
soldi che non bastano più ad andare avanti. L’ultimo anno non è stato
il più felice della loro vita. Dopo tanto tempo, è arrivata finalmente una
buona notizia: Antonello Briosi, patron di Metalsistem, ha offerto un
lavoro sia al padre che al figlio. Ora
c’è stato il contatto. Se il ragazzo accetterà, avrà anche la possibilità di
frequentare le serali e ottenere il diploma di geometra, senza dover rinunciare a mantenersi da solo.
Lei oggi ha accettato di parlare
con il nostro giornale della sua
storia. Cos’è che si sente di dire,
adesso che il futuro della sua famiglia sembra farsi più sereno?
«L’ultima delle mie intenzioni
era fare del vittimismo. So che nella
mia situazione si sono trovate e si
trovano molte persone. Anzi, devo
dire che mi sento anche fortunato,
perché in molti si sono mossi per
darci una mano. Però mi piacerebbe che quello che è successo a noi
servisse a capire come tante storie
che vengono definite "normali" alla
fine tanto normali non sono. Mio figlio ha fatto una scelta, quella del
lavoro. Avrebbe potuto farne tante
altre e di certo meno positive».
In questi giorni si sono sentite e
lette molte cose sulla vostra vicenda. Ma come è andata veramente?
Lo stabile La sede della Metalsistem in zona industriale a Rovereto
«Lo scorso anno io e mia moglie
abbiamo deciso di separarci. Ricchi
non lo eravamo già prima, ma con
la separazione le spese raddoppiano. Guadagnavo 1.500 euro al mese, seicento mi andavano di mutuo,
gli altri li dovevo dare a mia moglie: abbiamo tre figli. Poi la crisi.
Sono stato messo in cassa integrazione, non sapevo più come andare
avanti. Quando potevo lavorare, lavoravo, ma poi tornavo in una casa
vuota e mi chiedevo chi me lo faces-
se fare ad andare avanti. Neanche a
farlo apposta, una nostra nipote è finita in coma dopo un’incidente e
anche mio cognato ha avuto i suoi
problemi».
A quel punto suo figlio ha deciso di aiutarvi, nonostante la scuola da finire e la media del sette.
«Sì. All’inizio ci siamo anche rivolti a uno psicologo, per capire se
era davvero quello che voleva. Ma
lui era determinato. Cercava un lavoro a tempo pieno. Io ho insistito
perché non si impegnasse definitivamente, volevo che finisse la scuola. So che dopo otto ore di lavoro di
energia ne resta ben poca. Per fortuna il suo allenatore gli ha trovato
un posto che gli ha permesso di capire cosa significa lavorare, senza
però chiudersi subito altre possibilità».
E adesso cosa le dice?
«La sera torna a casa distrutto. A
marzo ha fatto diciotto anni e si è
trasferito da me. Però non ha cambiato idea. Per questo spero che accetti l’offerta che ci ha fatto oggi il
dottor Briosi. Vorrei che potesse finire gli ultimi due anni di scuola e
ottenere un diploma. A lui lo dico
sempre: se ha così tanta voglia di lavorare potrà mettersi in proprio,
aprirsi una partita Iva, ma il diploma serve. Spero che anche la madre
possa convincerlo, anche se i rapporti sono quelli che sono».
E lei accetterà l’offerta?
«Intanto ringrazio molto chi me
l’ha fatta. Ci voglio pensare un attimo. Da agosto la mia ditta ha ripreso a lavorare, io ho dovuto accettare un demansionamento per poter
rientrare, ma adesso almeno lavoro».
Di suo figlio e della sua scelta
cosa pensa?
«Sono fiero di mio figlio. A diciassette anni si è trovato a gestire una
situazione non facile. Io stesso non
sapevo cosa fare e lui, alla sua età,
ha reagito con la maturità di un
adulto. Ora vorrei solo che finisse
la scuola, senza rinunciare alla sua
autonomia e alla strada che ha scelto».
Servizi Festeggiati i 10 anni della coop Il Sorriso. Il messaggio del ministro Carfagna
Tristano Scarpetta
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il retroscena Decine le offerte di aiuto
La preside dell’istituto
«Gara di solidarietà»
TRENTO — L’offerta di Anto- ordini professionali. Quello che
nello Briosi è probabilmente più mi ha colpita sono state le ofquella più interessante per il ra- ferte di privati cittadini. Un’argazzo che di rinunciare al lavoro chitetta di Agrate ha offerto un
non sembra voler nemmeno sen- lavoro al ragazzo. Un’altra persotir parlare. Ma, in questi giorni, na si è detta disponibile a versala preside del Fontana di Rovere- re venti euro al mese su un conto, Flavia Andreatta, è stata som- to, dicendo che pur rendendosi
mersa da offerte di aiuto.
conto di quanto fosse modesta
Dopo avere anche lei saputo la cifra, pensava che se fosse didella proposta di lavoro fatta da ventata un’iniziativa collettiva,
Briosi a padre e figlio, la dirigensi sarebbe potuto
te tiene a far sapearrivare a mille
re quanta gente si
euro al mese».
è mossa per cerca- Solidarietà
Adesso la speranre di dare una ma- C’è stato anche chi ha
za della preside è
no. «Una vera e proposto una colletta
che il ragazzo acpropria gara di socetti la proposta
lidarietà — rac- collettiva per assicurare
di Briosi. «In queconta — da parte la fine degli studi
sto modo potrebdelle istituzioni,
be finire i due ancome di privati
ni che gli mancacittadini. Alcune direi addirittu- no e diplomarsi. Sono quasi sicura toccanti. Spero di non dimen- ra che si troverebbe bene. È un
ticare nessuno. Per quanto ri- ragazzo molto maturo per la sua
guarda le istituzioni, siamo stati età e studiare insieme a gente
contattati dall’Agenzia del lavo- adulta secondo me lo stimolero, dal Comune di Rovereto, dal- rebbe positivamente. Quando se
la Provincia e dal ministro Gel- ne è andato il suo rendimento
mini. Chi ha offerto borse di stu- era buono, sarebbe davvero un
dio, chi lavoro al padre e chi a peccato se rinunciasse».
T. Sc.
entrambi. Si è mossa che la Cassa dei geometri di Roma e alcuni
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il convegno La proposta della psicologa Schelotto
Tagesmutter, 70 famiglie in attesa Il rapporto tra stampa e sanità?
Boom di richieste. Il governo stanzierà 10 milioni
«Seguiamo le lezioni di Calvino»
TRENTO — Tutto nasce da un bigliettino appeso nella sala d’attesa
del reparto di ostetrica dell’ospedale
di Trento. «C’è qualche altra donna
che condivide il problema di conciliare il lavoro con i figli?». Di lì a poco
46 donne trentine hanno fondato
una cooperativa che ieri ha festeggiato i suoi primi dieci anni. È la cooperativa sociale tagesmutter del Trentino «il Sorriso», primo esempio italiano del servizio nido familiare, riconosciuto nel 2002 da una specifica legge provinciale. Per festeggiare l’attività svolta in questi primi dieci anni
d’attività si è tenuto un convegno nazionale, nella sala della cooperazione.
Il servizio tagesmutter offre la possibilità di conciliare i tempi di vita e
lavoro per tante famiglie e rappresenta un’occasione di lavoro per 180
donne in tutto il Trentino. Dal 1999 a
oggi si è diffuso in tutto il Trentino
al punto che oggi sempre più famiglie chiedono di poterne usufruire.
«Attualmente — ha detto Maria Grazia Gasperoni, presidente della cooperativa tagesmutter Il Sorriso — abbiamo una lista di attesa di 70 famiglie in attesa di un posto in un nido
familiare, ma le nostre socie hanno
tutte raggiunto il numero massimo
di bambini che possono accudire».
Si apre quindi per molte donne la
possibilità di intraprendere un percorso professionale che permetterebbe loro di conciliare la vita privata
con quella familiare.
Di conciliazione dei tempi ha parlato anche l’assessore alla solidarietà
internazionale e convivenza. Lia Giovanazzi Beltrami. «La formula del tagesmutter si è rivelata una soluzione
per la conciliazione dei tempi famiglia e lavoro — ha spiegato —. Da un
lato le donne possono avviare una
professione come educatrici, dall’altro possono utilizzare un servizio
che consente di andare a lavorare».
TRENTO — L’imprescindibile rapporto tra salute e comunicazione spesso si fa intricato.
Come gestire allora l’informazione in sanità? Seguendo le
«Lezioni americane» di Calvino: «Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, e molteplicità». Cinque valori, cinque specificità della letteratura che
possono diventare fonte d’ispirazione per guidare la professione giornalistica e quella sanitaria.
L’idea parte da Gianna Schelotto, firma del Corriere della
Sera e psicologa che, nell’auditorium Santa Chiara, ha preso
parte al convegno «Salute e Comunicazione», organizzato dal
Servizio formazione e dall’ufficio stampa dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari.
Gianna Schelotto, guidata dalle domande di Enrico Franco,
direttore del Corriere del Trentino, ha raccontato il mondo
sanitario con gli occhi della
cronista. Grazie alla sua esperienza professionale nel reparto di gastroenterologia dell’azienda ospedaliera S. Martino di Genova, Gianna Schelotto si è fatta ponte tra due realtà, inevitabilmente a contatto
e spesso in conflitto quando si
tratta di notizie nel mondo sanitario. «Calvino nelle Lezioni
Americane ci ha lasciato cinque regole — ha spiegato —
che possono diventare ispirazione per un percorso condiviso sia dalla professione sanitaria che da quella giornalistica». È una sorta di vademecum composto da semplici valori quali: «La leggerezza, intesa come qualcosa che
sappia alleggerire la vita della
gente; la rapidità, nella diagno-
In questo senso, per l’assessore Beltrami il Trentino con il progetto tagesmutter è diventato un laboratorio a
livello di metodo. È proprio su questo versante — ha precisato l’assessore Beltrami — che ci stiamo muovendo con il Libro bianco sulle politiche
familiari e per la natalità, che presto
diventerà vera e propria legge sulla
famiglia».
Il successo di questa cooperativa,
è cresciuto di anno in anno. Le Tagesmutter in Trentino sono 180 e offrono il proprio servizio a circa 400 famiglie ogni mese. Ma ce ne sono altre
70 in lista di attesa. Oggi, in Trentino, la cooperativa gestisce 75 nidi familiari, offrendo il proprio servizio a
circa 400 famiglie ogni mese. Le socie sono 180, di cui 110 lavoratrici
impegnate quotidianamente. Dal
1999, quando le 46 socie fondatrici
diedero vita a questa realtà, sono state circa 3.500 le famiglie che hanno
beneficiato del servizio di nido familiare.
L’esperienza trentina è cresciuta e
ha valicato i confini provinciali dan-
La platea
Sala della
cooperazione gremita per il
convegno
sull’attività della cooperativa
di tagesmutter
do vita a una vera e propria rete nazionale. «Seguendo l’esempio della
cooperativa tagesmutter Il Sorriso —
ha spiegato Caterina Masè, presidente dell’Associazione nazionale Domus e fondatrice della cooperativa
Tagesmutter il Sorriso — sono già
nate 11 cooperative in Lazio, Lombardia, Emilia, Veneto e Calabria». Per
promuovere il progetto tagesmutter
il governo stanzierà 10 milioni di euro «destinati a quelle cooperative sociali o enti di formazione ritenuti idonei». Ad affermarlo è il ministro delle pari opportunità Mara Carfagna,
che non ha potuto partecipare al convegno per i 10 anni della cooperativa
ma ha voluto ugualmente intervenire con un messaggio. «Il sogno che
vorremmo realizzare — scrive il ministro —è quello di avere una tagesmutter in ciascun condominio italiano per consentire alle mamme di lasciare il figlio appena fuori dal loro
appartamento senza dover così rinunciare al lavoro».
Marika Damaggio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Relatrice La psicologa Schelotto e il direttore Enrico Franco (Rensi)
si come nell’informazione;
l’esattezza, la visibilità e da ultimo la molteplicità».
Questo codice valoriale reciproco vuole favorire una relazione più trasparente e meno
complicata. Del resto, come ha
sottolineato Fabrizio Franchi,
presidente dell’Ordine dei giornalisti, «il nostro rapporto magari sarà conflittuale ma resta
imprescindibile». Franchi, citando George Orwell, si è fatto
portavoce della categoria: «La
libertà di stampa è la libertà di
dire ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire. È diritto-dovere del giornalista informare. La professione giornalistica spesso oscilla come un
pendolo tra normalizzazione e
rivendicazione di chissà che
cosa. L’importante è trovare
un equilibrio». Quando poi il
cronista deve raccontare notizie di salute pubblica, per Franchi, il segreto è che ci sia trasparenza: «Se un giornalista
non riceve risposte da un medico, o da un professionista sanitario state certi che andrà fino in fondo. Se c’è chiarezza,
invece, ci si può confrontare».
Di trasparenza ha parlato anche il direttore del quotidiano
l’Adige, Pierangelo Giovanetti.
«La sanità è al top degli argomenti che fanno notizia — ha
spiegato Giovanetti —. I lettori sono molto più interessati a
notizie riguardanti la salute. Allora si può lavorare insieme
per capire come dare la notizia». La collaborazione tra media e sistema sanitario, per
Giovanetti, si dovrebbe concretizzare in uno scambio di informazioni trasparente e tempestivo. Un tasto toccato con forza anche da Laura Strada, caporedattore responsabile della
Rai di Trento, che ha ben illustrato anche le particolarità
dell’informazione televisiva.
Ma. Da.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Domenica 29 Novembre 2009 Corriere del Trentino
TN
Lettere Dalla parte del cittadino
Le lettere vanno inviate a:
Corriere del Trentino
Via delle Missioni Africane, 17 - 38100 Trento
Indirizzo e-mail: [email protected]
IL RAGAZZO DI ROVERETO
E IL PANDEMONIO MEDIATICO
Il caso
di Enrico Franco
Egregio direttore,
la vicenda del ragazzo di Rovereto
che ha lasciato la scuola per aiutare
il padre licenziato ha suscitato tanto
clamore su tutto il territorio
nazionale. Mi sovviene un semplice
quanto banale interrogativo: e se il
giovane non volesse essere aiutato?
Se il ragazzo avesse fatto questa
scelta perché desideroso di dare una
mano alla famiglia? Mi pare che si
stia sollevando un pandemonio fuori
luogo.
Antonio Lucin, MEZZOCORONA
Caro Lucin,
i primi a riferire della vicenda siamo
stati noi, con un accenno sbrigativo in
un articolo. Il giorno dopo un altro
giornale ha dedicato al caso un titolo
nelle pagine interne, senza richiamar-
lo in prima pagina. Poi un’agenzia lo
ha rilanciato a livello nazionale e si è
scatenato il circo mediatico. Insomma, a furia di maneggiarlo e farlo rotolare, il granello è diventato un macigno.
I meccanismi dell’informazione, ammettiamolo, talvolta sono un po’ distorti, eppure non credo che in questo
caso il pandemonio — come lei lo definisce — sia stato fuori luogo. Ciò per
varie ragioni.
Primo. La privacy del ragazzo e della famiglia — grazie allo straordinario
rigore etico della preside Flavia Andreatta — è stata preservata. Anche se tale riserbo non ha consentito di avere
tutti i dettagli della situazione, i riflettori della stampa non sono stati invasivi in una condizione familiare già problematica.
Secondo. L’attenzione sull’abbandono degli studi da parte di un ragazzo
ha consentito di riflettere sui vari
aspetti della crisi. Lo spettro della cassa integrazione e della perdita del posto per il padre ha cambiato, insieme
ad altri fattori, il corso della vita di
quel giovane. Troppo spesso non ci
rendiamo conto di cosa significhi per
una famiglia la cassa integrazione o un
licenziamento. In genere, pensiamo si
tratti di un momento difficile dal quale si può ripartire. Certo che si può ripartire, ma nel frattempo può essere
stato necessario compiere scelte dolorose che hanno effetto nel tempo.
Terzo. Come ha correttamente messo a fuoco la lettera dell’ingegner Maurizio Azzolini, amministratore delegato di Metalsistem, che il Corriere della
Sera ha pubblicato in prima pagina ve-
nerdì, la nostra società non può lasciar passare l’idea che studiare sia un
lusso per giovani benestanti e senza
problemi. La reazione corale dimostra
che per fortuna molti pensano che
l’istruzione sia un bene primario.
In conclusione. Il ragazzo sta riflettendo se tornare sui propri passi, grazie all’offerta del gruppo di Antonello
Briosi che gli consentirebbe di lavorare e di diplomarsi frequentando le serali. Se ciò accadesse, sarebbe un ottimo
risultato. In vari blog, numerose persone hanno polemizzato sostenendo che
c’è chi sta assai peggio: non c’è dubbio, ma non è una buona ragione per
ignorare i problemi minori. La vicenda ci ha aiutato a considerare i vari risvolti della crisi e a pesare il valore dell’istruzione: non mi pare cosa da poco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ci scrivono
CROCIFISSO
L’Europa è laica
Egregio direttore,
premetto che sono un cattolico appassionato di politica
con approccio laico.
Questa mia affermazione è
la premessa per fare una breve riflessione senza stracciarsi
le vesti ma argomentando la
mia idea sulla ormai famosa
sentenza di Bruxelles sulla
questione crocifisso nelle aule
scolastiche. Il crocifisso, obiet-
tano i più critici alla sentenza
di Bruxelles non lede affatto
la laicità dello Stato in senso
buono, ma solo un certo perverso «laicismo».
Il principio di «laicità», però, ha osservato più volte la
Corte costituzionale: impone
una «distinzione fra ordine civile e religioso» (sentenza 334
del 1996) e «comporta equidistanza e imparzialità rispetto
a tutte le confessioni religiose» (sentenza 329 del 1997).
Secondo la Cassazione italia-
na, inoltre, imporre il crocifisso in un luogo pubblico costituisce una delle «discipline di
favore a tutela della religione
cattolica»: una forma di privilegio per una confessione religiosa il cui simbolo religioso
è esposto in tutti i locali pubblici.
Di conseguenza, le norme
sull’esposizione del crocifisso
favoriscono le persone che
hanno certe convinzioni religiose rispetto alle persone che
hanno convinzioni diverse (re-
ligiose o d’altra natura).
È dunque corretto che uno
Stato laico e liberale: non faccia sfoggio di «appartenenze
religiose» e difendi la propria
neutralità religiosa. Questo
non è «laicismo»: è semplicemente rispetto del diritto costituzionale di ogni cittadino
di professare liberamente
qualsiasi religione (o di non
professarne alcuna).
Infatti, i padri fondatori dell’Europa, tra i quali i cattolici
Alcide De Gasperi e Konrad
Adenauer, mai cedettero alla
tentazione di ancorarla a radici cristiane nel 1950. La loro
intuizione profonda era quella in cui si voleva unificare
l’Europa, intorno all’eguale diritto di tutti e di ciascuno.
Un’Europa interetnica, interreligiosa, laica. Questa è la strada maestra perché al cristianesimo, a mio parere, servono testimoni, non testimonial.
Salvatore Smeraglia,
Italia dei Valori
TRENTO
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