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taggia si presenta - Sanremo Promotion SpA

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taggia si presenta - Sanremo Promotion SpA
TAGGIA SI PRESENTA
Spirito e valori della Liguria arcaica
Taggia è lo spirito,
l’anima della Liguria arcaica. Senza
nulla togliere al suo
dinamismo attuale,
fortemente
legato
alle attività agricole,
a Taggia si può respirare un’ aria di altri
tempi . Non è solo per i suoi innumerevoli monumenti
storici, ma è anche per il fascino degli intonaci ripassati dal tempo, per la tipicità dei suoi locali pubblici,
per il calcolo del tempo. Qui è la natura che domina
l’orologio. E ti puoi prendere tutto il tempo che vuoi,
scandito dalle campane delle tante chiese.
palazzi, concentrati sul Pantan , una strada porticata tardomedievale che è un po’ il centro pulsante di
questo sistema di vita. Giri l’angolo ed ecco la chiesa
parrocchiale nota per la sua miracolosa statua della
Vergine e per la devozione dei Taggesi. Vai dall’altra parte ed ecco gli oratori delle confraternite, ancor
oggi vitali. In cima all’abitato la semplicità francescana dei Cappuccini, con la chiesa adorna di materiali semplici, come il legno, anche se magistralmente
lavorato. E poi, oltre la città, olivi ed olivi. E piccole
chiese o santuari, alcuni di ragguardevole antichità,
isolati fra gli alberi. Tante strade da percorrere, tante
storie da raccontare: questa è Taggia.
Taggia: un nome misterioso
L’insediamento di
Taggia sembra esistere ormai da quasi
duemila anni. Molte
fonti documentarie
ce ne parlano nella tarda età romana
(pensiamo al Kastron Tabìa citato da
Giorgio Ciprio nel
VI secolo). Altre citazioni risalgono al IX ed al X secolo. Era capoluogo
di un ambito territoriale autonomo, comunque legato al vicino territorio di Sanremo. E nel Medioevo lo
stesso torrente era il “fiume di Taggia”, mentre non si
era ancora diffuso il termine di torrente “Argentina”.
Anzi, il torrente diventava persino navigabile nella
sua parte finale, in forma di porto fluviale, ricordato
come tale nel VII secolo.
Taggia vuol dire cultura, in primo luogo. Cultura artistica
e cultura contadina.
L’immagine religiosa
medievale si incontra nell’esposizione
dei tanti polittici del
Convento dei Domenicani , centro di fede
e di cultura per molti
secoli. Si entra in una
città murata, con le sue porte porte e i ruderi del suo
castello. Con le sue fontane, alcune impreziosite da
un percorso costruttivo secolare. Si respirano profumi Nel dialetto locale Taggia è Taga , con la “g” dolce,
diversi a seconda della stagione, il mosto d’autunno, come accompagnata da una “i” successiva. Forse del’aroma dell’olio prima dell’inverno, fortissimo pres- riva da “tabia”, forma latina popolare alterata dal termine “tabula”, cioè “estensione di terreno”. Dunque
so i frantoi.
un riferimento puntuale al territorio circostante. Ma
Si risalgono le strade del centro abitato medievale e si è altrettanto probabile che il nome del luogo sia un
discende verso il piano. Qui si susseguono imponenti arcano termine di origine preromana, assolutamente e
tipicamente ligure. Anche per questo in Taggia si può
trovare l’autentico spirito arcaico della regione.
Con buona pace della mitica figura del supposto fondatore di Taggia, un personaggio di nome “Tages”,
chissà come inventato dalla tradizione, al quale è persino dedicata una strada nella parte più alta e impressionante del centro storico arroccato.
La porta dell’Orso
La porta permette
l’accesso alla città dalla strada detta
“dei signori”, che
proviene dal convento dei Domenicani , tracciata subito dopo il 1485.
La Porta , guardata
a monte da robusti
bastioni, è stata messa in opera nel quadro delle sistemazione murarie databili fra 1540 e 1547 circa. Sopra
l’ingresso campeggiavano i blasoni della Repubblica
di Genova e della città di Taggia (peraltro riproposti
attualmente), assieme a quello del Podestà, che doveva cambiare ogni anno. Si entrava quindi nel quartiere
dell’Orso o di Borgoratto, una lunga teoria di case a
schiera, di frequentazione perlopiù popolare.
il Convento dei Domenicani
Storia, Cultura e Fede
Il convento dei Domenicani: dove storia, cultura e
fede si fondono in una dimensione arcaica e suggestiva.
Il Convento dei Domenicani di Taggia è oggi uno dei
siti religiosi del Ponente ligure più ricchi di storia e di
opere d’arte, senza dimenticare il suo valore di centro
d’irradiazione di fede e di devozione, con tutta una
serie di attività pastorali aperte ai laici.
1477 e 1479.
Nel 1477 lo scalpellino lombardo Cristoforo Bunichi
scolpisce assieme alle sue maestranze le colonne del
loggiato: cinque arcate per parte, su di un perimetro
quadrato lungo il quale si svolge l’attività conventuale. I corridoi sono coperti da volte a crociera: lungo
le pareti si ricavano così le lunette nelle quali sono
dipinte (1613) le Storie di San Domenico.
Subito, di lato alla chiesa si apre la porta della sacrestia, cui segue immediatamente la sala capitolare
e quindi la cappella feriale adibita a museo. Al piano
superiore dell’ala occidentale si trovava la libreria,
ora trasferita. L’ala settentrionale è contraddistinta
dall’accesso al refettorio. Lo sguardo passa di fronte
al pozzo situato nell’angolo nordoccidentale del giardino ad aiuole con una monumentale palma Phoenix
canariensis al centro.
Sempre dal chiostro si nota la mole del campanile,
intonacato a marmorino e con cuspide a tronco di piramide secondo la tradizione dell’epica. L’imponente
struttura era stata iniziata nel 1489, ma nel 1526 non
era ancora terminata. E’ ancora opera di alcuni appartenente alla famiglia lombarda dei Bunichi, abili
muratori, ovvero Ambrogio, Napolino e Domenico.
Lungo le pareti del chiostro sono murate alcune lapidi
sepolcrali: una è quella di Bernardo Boeri (1483), padre di Giovanni Battista, medico alla corte di Enrico
VII di Inghilterra (a testimonianza dei rapporti non
solo commerciali che univano la Liguria alle isole
britanniche).
La Sagrestia
Ampio vano voltato a crociera, cui si
accede mediante un
portale in pietra daLa sua costruzione si deve alla predicazione del beatato 1462, ove camto Cristoforo da Milano (effigiato sopra l’ingresso al
peggia l’immagine a
chiostro dall’esterno), nell’anno 1459. In breve tempo
rilievo della Vergine
(la prima messa è del 1468) i Domenicani riuscirono
con il Bambino. Oriad avere chiesa e convento con il sostegno della muginariamente questa
nicipalità taggese e l’impegno di tutti i paesi vicini,
struttura permetteva
coinvolti nell’impresa.
l’accesso in chiesa dalla sacrestia ed è quindi una delIl chiostro
le prime realizzazioni scultoree del complesso. L’auLa sistemazione del silente ed elegante chiostro è in tore si può riconoscere forse nell’ambito della bottega
linea con le fasi costruttive della chiesa, terminata fra dei De Lancia, lombardi attivi a Taggia. La sacrestia
è visitabile su richiesta ed è arricchita di arredi originali: lavabo, armadio a muro in pietra e decorazioni
murali sia dipinte che in pietra, tutti databili tra XV e
XVI secolo.
Sala capitolare
La sala capitolare
è quella ove originaramente i frati
prendevano le decisioni in merito ai
provvedimenti utili
al convento. E’ visitabile su richiesta,
in quanto adattata a
cappella. Vi si trova
un notevole affresco sulla parete di fondo, opera di
Giovanni Canavesio (notizie 1472-1500) e datato al
1482. Rappresenta la Crocifissione tra i santi (da sinistra) Sebastiano, Vincenzo Ferrer, Pietro Martire e
Crispino. San Vincenzo Ferrer e San Pietro Martire
sono santi domenicani. Il secondo impressiona perché
è riconoscibile per il coltellaccio che reca infisso in
testa, memoria del suo martirio. E’ rappresentato varie volte nelle opere decorative del convento.
Cappella feriale
adibita a museo
Questo
ambiente
era il dormitorio dei
conversi, cioè di quei
laici che si adoperavano per i lavori utili
al convento, portando altresì un abito
simile a quello dei
frati. E’visitabile su
richiesta. Ora è adibito a cappella feriale e soprattutto
a museo, tale da accogliere quella quantità di opere
che non è stato possibile sistemare in chiesa in quanto
frammenti di strutture di maggiore ampiezza, in gran
parte scomparsa durante i periodi, a cavallo tra XIX e
XX secolo, in cui i Domenicani erano stati allontanati
dal convento .
Spiccano la bacheca con manoscritti ed opere a stampa facenti parte della ricca biblioteca del convento e
molti dipinti: notevoli la Decollazione di San Giovanni Battista, copia dell’originale di Bernardino Campi in Duomo a Cremona, il ritrattistico dipinto con i
Quattro inquisitori tabiesi, ricordo di un loro incontro al capitolo generale di Bologna del 1640, alcuni
frammenti di polittici dovuti a Francesco Brea (notizie 1512-1556), i Misteri del Rosario di Ludovico
Brea (notizie 1475 e morto nel 1522-23), già parte
della pala del Rosario ora in chiesa, un Volto della
Vergine di non facile attribuzione, pertinente ad un
più ampio dipinto del XVI secolo, nonché numerose
altre opere, ove spiccano soprattutto quelle di produzione genovese.
La Libreria
Pure visitabile su richiesta, è uno degli spazi principali del convento. Non vi sono più conservati codici e libri per vari motivi spostati altrove. L’impegno
dei padri Domenicani, che sono soprattutto studiosi
e predicatori contro la diffusione delle eresie, rendeva necessaria la presenza di una cospicua libreria .
Qui si trovavano codici miniati (celebri quelle di padre Ludovico da Taggia) ed opere a stampa, talvolta
assai antiche. La libreria era stata già saccheggiata
nel 1564 dai pirati barbareschi, quando alcuni Francesi che probabilmente erano con i predoni avevano
asportato volumi poti rivenduti ai Domenicani di Tolone. Molte altre spoliazioni erano avvenute dopo la
chiusura del convento nel 1866. Nella sala c’è un affresco che accompagnava lo studio e la meditazione
dei frati, ovvero la San Tommaso d’Aquino ha la visione della Crocifissione, opera del 1495 di Ludovico
Brea. Secondo la tradizione il santo avrebbe l’aspetto
di un priore del convento di fine Quattrocento, Pietro
Ardizzone.
il Refettorio
Ampia sala destinata al pasto, accompagnato da letture devote e meditazioni. Non mancano neppure qui
le immagini sacre: spicca la tesa Crocifissione con
San Domenico, affrescata da Giovanni Canavesio.
L’immagine di San Domenico riprende le fattezze del
beato Cristoforo da Milano, fondatore del convento.
Un dipinto primoseicentesco riferibile a Giovanni
Battista Gastaldi da Triora (notizie 1628-1646) raffigura invece un Incontro tra San Domenico e San
Francesco, sintomo del clima di riappacificazione tra
i Domenicani ed i nuovi arrivati Cappuccini, la cui
presenza a Taggia all’inizio del XVII secolo era stata
inizialmente osteggiata.
il Convento dei Domenicani - Arte
Le superbe armonie della chiesa,
con le sue significative opere d’arte
L’edificio sacro presenta forme ariose
ed armoniose, in
linea con l’edilizia
domenicana lombarda del secondo Quattrocento. La Cronaca manoscritta
del convento opera di Padre Nicolò Calvi, che copre il
periodo tra il 1461 e il 1623 pone in evidenza le qualità della struttura. Anche se non è noto il nome dell’architetto, pur sapendo della partecipazione di maestranze lombarde alla costruzione fra gli anni Sessante e Settanta del Cinquecento. Si fa notare infatti che
le cappelle della parte sinistra sono quadrate e molto
più profonde di quelle rettangolari della parte destra:
in questo modo si poteva contenere maggiormente la
spinta delle strutture verso il fondovalle.
Ludovico Brea - Madonna della Misericordia e
Santi - 1483-1488
E’ la pala principale della chiesa, posta sull’altare
maggiore di giuspatronato della famiglia Pasqua di
Taggia e realizzato nel 1651 dalla bottega lombardogenovese dei Ferrandino.
L’ opera del Brea è la prima di una lunga serie per il
convento di Taggia. L’impegno nasce in modo curioso: il priore del convento si era accordato per avere
un grande polittico per l’altare maggiore con il pittore
Francesco da Pavia, che si trovava a Genova e che
forse va identificato con Francesco Grasso da Verzate.
Quest’ultimo però
era forse troppo impegnato e aveva girato la commissione
al giovane Ludovico
Brea, cresciuto all’ombra della pittura
provenzale. Da qui
l’inizio di una stagione ininterrotta di
Un’altra curiosità: originariamente la navata era dicommissioni, favorivisa in due settori da un muro: nella parte più vici- ta dalla qualità didattica e penetrante della dimensiona all’altare maggiore andavano a prendere posto gli ne figurativa del Brea.
uomini, in quella dietro il muro, verso il fondo della
chiesa, le donne, secondo l’uso in voga all’epoca. Gli Nello scomparto centrale è rappresentata l’immauomini entravano da un ingresso laterale, impreziosi- gine della Madonna della Misericorda che stende il
to tuttora da un architrave in marmo con le immagini suo manto sul popolo cristiano, difendendolo dai dardella Madonna della Misericordia, Santa Caterina da di degli angeli, che simboleggiano le pestilenze e le
Siena e San Pietro Martire opera di uno sculture ligure morti improvvise, tanto frequenti nel Medioevo. E’
lombardo. Sopra l’ingresso principale si trova invece un’immagine di grande abbandono alla Misericordia
una Pietà, rilievo in marmo del XVI secolo mutuato divina e mariana. Il polittico non è completo, manda modelli nordici.
cando almento predella (parte bassa) e cimasa (settore
centrale in alto) e molti elementi decorativi. Fra i sanLe cappelle all’interno della chiesa ebbero fin dall’ini- ti spicca la presenza di molti domenicani.
zio titoli prevalentemente relativi a santi domenicani.
La disposizione originaria è stata alterata dalla perdita Il presbiterio ospita anche un bancone forse dell’oridi molte opere durante il periodo di allontanamento ginale coro della chiesa, opera lombarda del XVI sedei Domenicani dal Convento, dopo il 1866 e fino al colo, ricco di figure in rilievo e di notevoli sequenze
1926. Sono stati demoliti tutti gli altari, tranni quel- decorative.
li in marmo di maggior pregio. Fortunamente molte
opere tardomedievali e cinquecentesche sono rimaste Ludovico Brea e bottega - Battesimo di Cristo e
in chiesa, alcune ancora al posto di origine. Scopritele Santi - 1495
con noi, ma soprattutto, andate a vederle di persona Si tratta dell’unico polittico giunto fino a noi completo
da vicino.
di ogni parte. Non ha nemmeno cambiato posizione,
essendo stato concepito per questo spazio, la cappella
di San Giovanni Battista della famiglia Curlo. Nel di-
Giacomo Antonio Ponsonelli - La Madonna del
Rosario
L’imponente complesso d’altare del Rosario è la più
significativa opera presente nel convento relativa al
periodo fra XVII e XVIII secolo, oltre ad un dipinto di Gregorio de
Ferrari. La “macchina” presenta caratteri tipici della
scultura marmoraria
lombardo-genovese della prima metà
del Seicento (mensa
a forma di parallelepipedo con specchiature anteriori)
ed elementi fortemente barocchi (le colonne tortili in
“mischio” di Francia). E’ dovuta alla ditta di Giorgio
Scala, Francesco Mazzetti e Carlo Solaro e sostituisce
un altare precedente, posto sempre nel transetto destro, ma fortemente danneggiato dall’incursione dei
pirati barbareschi del 1564. Su quell’altare si trovava la pala di Ludovico Brea ora conservata in diverse
Bottega della Liguria di Ponente - Crocifisso - Pri- parti tra la seconda cappella a destra e il museo.
ma metà del XV secolo
Ci si presenta una delle immagini più crude nel cam- L’immagine dipinta viene sostituita nel verso il 1709
pionario sacro del convento. Il crocifisso ligneo si tro- da una elegante statua marmorea di Giacomo Antonio
va collocato dietro la grata nella cappella che ospita Ponsonelli (1654-1736), allievo del più importante
il sepolcro del Beato Cristoforo da Milano, fondatore scultore ligure fra XVII e XVIII secolo, ovvero Fidel convento. L’opera non ha notevoli dimensioni e si lippo Parodi. L’importante opera era stata finanziata
presta alla devozione personale, in un intimo rapporto inizialmente dai Novaro, poi sostituiti dalla famiglia
con gli avvenimenti della Passione e Morte di Gesù Pastorelli.
Cristo tanto meditati sia attraverso la visione dei cicli
dipinti lungo le pareti di chiese e cappelle sia median- A fianco dell’altare si trovano le porte di accesso a sate apposite preghiere ed orazioni. Normalmente si crestia e chiostro dovute a Gio Andrea Manni (1658crede alla produzione spagnola o catalana per questi 1723), un ticinese che abitava a Sanremo. Sopra gli
oggetti, ma oggi si sa che nel Ponente Ligure tra XIV ingressi le classiche immagini scolpite di San Domee XVI secolo esisteva una fiorente attività produttiva nico e Santa Caterina da Siena completano l’iconografia del Rosario così vicina alla predicazione dei
legata all’immagine di questi crocifissi.
Domenicani.
Ultima curiosità: l’opera, in legno d’olivo, ha il capelli veri, come un’altra celebre crocifisso taggese, quel- Giovanni Canavesio - San Domenico e i quattro
lo della Confraternita dei SS.Sebastiano e Fabiano (i Padri della Chiesa - 1472 ca.
L’ opera originariamente si trovava nella cappella a
“Bianchi”).
destra del presbiterio, quella del sepolcro del Beatro
Si noti altresì una lapide sepolcrale, competente ad Cristoforo. La committenza va ricercata ancora presso quell’Edoardo Reghezza del quale si conserva anEdoardo Reghezza, con precisa iscrizione del 1472.
cora una lapide sepolcrale. Giovanni Canavesio qui
realizza una delle sue opere più convincenti, per cura
pinto si riconoscono
i committenti Lazzaro e Benedetto Curlo.
Come detto l’opera
è completa di ogni
parte: predella (parte bassa con la teoria dei SS.Apostoli
e Cristo al centro),
stipiti laterali, popolati da piccole figure
di santi, registro superiore ed inferiore, cimasa, tutte le complesse decorazioni lignee dorate di gusto tardogotico e la reversa in cima, tettuccio ricurvo atto ad impedire che la
polvere cadesse sul prezioso dipinto, anche grazie ad
una tela opportunamente posta a mo’ di tenda a protezione ulteriore. La tenda veniva aperta in occasione
di celebrazioni e feste. Nella cappella vi sono ancora
due sepolcri seicenteschi di componenti della famiglia Curlo. Il loro blasone, l’aquila rossa, si riconosce
nella parte alta del polittico.
dei particolari di sapore nordico e ancora legata al decorativisimo tardo gotico, cosa alla quale si accoppia
una certa ricerca monumentale. L’immagine di San
Domenico, secondo la tradizione, riprende a livello
ritrattistico l’effigie del Beato Cristoforo. Vi sono poi,
da sinistra, i Santi Ambrogio, Gregorio, Gerolamo ed
Agostino. Nel registro superiore spicca all’estrema
destra San Luigi IX re di Francia. I blasoni del Reghezza sono stati abrasi durante il periodo della Repubblica Ligure, in odio ai privilegi nobiliari (1797).
Emanuele Macario - Crocifissione e santi - 1550
ca.
La pala si trovava all’altare della quarta cappella a
destra, dedicata a San Pietro Martire. Il Crocifisso è
attorniato da diversi santi: in basso ci sono San Pietro
Martire a destra, con il suo consueto coltello piantato in testa e San Gerolamo. In piedi, a destra opera
d’Alessandria e a sinistra San Domenico. Quest’ultimo, in qualità di uomo di studio e di meditazione,
è rappresentato addirittura con gli occhiali. L’opera è stata danneggiata dai
pirati
barbareschi
durante l’incursione del 1564. Sono
ancora ben visibili i
colpi inferti sul volto
e sul seno di Santa
Caterina. Durante il
restauro non sono stati eliminati, in quanto traccia di
una importante vicenda storica. L’opera è riferibile ad
Emanuele Macario da Pigna (notizie 1518-1552), uno
dei più apprezzati pittori attivi in Liguria di Ponente
nel XVI secolo. Le pareti della cappella sono altresì decorate da parte di un ciclo dipinto relativo alla
Passione, riferibili alla prima metà del XVI secolo. Si
noti che l’Ultima Cena deriva dal modello dell’analogo celebre soggetto del Refettorio di Santa Maria
delle Grazie di Milano, opera di Leonardo da Vinci.
Santa Maria delle Grazie era infatti un convento domenicano e presso il convento di Taggia si conservava persino un disegno dell’opera leonardesca, evidentemente famosa già all’epoca della sua originale
realizzazione.
Il Convento dei Cappuccini
Una serena dimensione di raccoglimento e preghiera, a misura d’uomo
Dove cercare la pace ?
Lasciando appena le strade più ricche di umanità taggese…lasciando i palazzi signorili del “Pantan”. Salire verso l’alto, fra abitazioni sempre più popolari, che
trasudano storia di vita vissuta.
Elementi decorativi medioevali e antichi oratori immediatamente lasciati salendo via Campo Marzio,
inoltrarsi nella storia via San Dalmazzo, prendere una
ripida quanto scenografica salita.
Per “farci stare” il
convento, le mura
della città sono state modificate, con
opportune aggiunte.
Si deve entrare in un
bastione, il Rastello
(1614). Si capisce
però che si va verso
una realtà sacra.
Vi campeggia un dipinto murale con l’Immacolata tra
San Bonaventura e San Francesco di Assisi. Un’immagine francescana, originariamente settecentesca,
poi ridipinta e restaurata.
Detto la Grammatica, questo dipinto annuncia il clima
francescano che accoglie: una piazza lunga e stretta
punteggiata dagli alberi, fra le mura che stringono e
difendono.
In fondo, la facciata semplice di una chiesa, dedicata
all’Immacolata Concezione, a San Francesco e a Sant’Andrea. Anche questa chiesa, anche questo convento, forse meno reclamizzato, è un prestigioso forziere
d’arte e di cultura religiosa.
La presenza dei Cappuccini a Taggia
I Cappuccini a Taggia arrivano con il sostegno della
gente. Di molta gente.
Sia delle classi più semplici che di alcune famiglie signorili, le quali immediatamente collocano le proprie
cappelle all’interno della semplice chiesa.
Secondo i testi sto- giore ed altari laterali, balaustre e qualunque arredo
rici dell’ordine, alla in legno, sia pure in un progressivo trionfo del gusto
base della presenza barocco vivo in Liguria di Ponente fra Seicento, e
cappuccina a Taggia Settecento.
c’è la volontà di Catella Arnaldi vedo- La chiesa, il coro, i corridoi sono ricchi di opere d’arva Asdente, che ha te di rilievo. La quadreria è di notevole qualità. Molti
lasciato importanti dipinti sono riferibili ad autori di notevole rilievo loproprietà all’ordine cale, da Francesco Bruno da Porto Maurizio, attivo
mediante il suo te- tra XVII e XVIII secolo, ad autori genovesi, fino alla
classica presenza di artefici appartenenti allo stesso
stamento del 1605.
ordine cappuccino, come Fra Giovanni Antonio da
La Comunità di Taggia raccoglie la proposta e sostie- Taggia.
ne l’arrivo dei Cappuccini, non senza difficoltà: era
necessario incanalare l’acqua per portare acqua ad un In ogni caso ci si può concentrare su opere di notevole
convento e ad una chiesa che si dovevano ancora tro- prestigio, acquistate in città lontane, in capitali della
cultura o comunque espressione della fede e della culvare o costruire.
tura cappuccina.
Per finanziare i lavori si era dovuto anche ricorrere
ad una tassa sulla vendita di carne, cosa che aveva Domenico Fetti. - Pentecoste. - 1611. - Prima capprovocato la reazione dei Domenicani, allora unico pella a sinistra.
E’ una recente sensazionale scoperta. Si tratta della
ordine monastico presente in città.
prima opera nota del celebre pittore mantovano DoCon una non facile mediazione si era tornati alla cal- menico Fetti (1588/89-1624), cresciuto artisticamenma: ancora oggi Cappuccini e Domenicani festeggia- te a Roma e divenuto poi famoso a Venezia. La morte
no insieme le rispettive feste dei patroni, San France- prematura ne avrebbe stroncato una luminosa ed afsco e San Domenico. Il convento viene costruito fra fermata carriera. La tela si trova nella cappella Lombardi, posta in opera, con il sepolcro familiare, per
1610 e 1614.
Giovanni Lombardi già nel 1610. In quel momento
Se ne occupano i capimastri locali. Il complesso in- il Fetti era allievo nella bottega romana del toscano
globa anche il bastione cinquecentesco della Vergine Ludovico Cardi detto il Cigoli. La struttura composied una aggiunta alle mura sopra la porta del Colletto tiva dell’opera ed il disegno appaiono effettivamente
racchiude il giardino ed il vasto orto. Il titolo di San- toscani, anche se sono alquanto originali le tendenze
t’Andrea, che si affianca a quelli “classici” dell’ordi- nell’uso della luce, in un preciso rapporto chiaroscurane, è dovuto all’originaria presenza sul posto di una le. Va detto che l’attribuzione al Fetti è del tutto certa:
firma e data sono stati scoperti in un recente restauro.
piccola cappella dedicata al santo.
Il dato è importante a livello di conoscenza storicoartistica internazionale, tanto quanto in rapporto alla
Semplicità e purezza dell’arredo cappuccino
Non materie nobili, non marmo, non oro, per la chiesa dimensione della cultura locale. La committenza delle opere pittoriche già all’inizio del Seicento appare
cappuccina. Il raccoinfatti rivolta verso Roma, oltre al più consueto e loglimento e lo spirito
gico riferimento genovese.
di servizio si materializzano nell’uso
Giuseppe Palmieri. Madonna con Gesù Bambinio
del legno. Traccia
e Santi Antonio da Padova e Fedele da Sigmarindistintiva della chiegen.1730-40 circa - Seconda cappella a sinistra.
sa cappuccina: una
In primo luogo colpisce la singolare caratteristica delsemplice
navata,
banche, sedie e sola cappella. E’ quella dei Curlo, importante famiglia
prattutto altare magtaggese. La cappella sembra essere stata attiva dal
1696. Dell’anno successivo è il sepolcro. Spicca soprattutto un insieme di reliquie davvero ragguardevole, inserito entro teche disposte all’interno della struttura d’altare e persino nelle pareti, grazie alle teche
di ambito romano databili al XVII secolo. Il dipinto
è legato alla più incisiva iconografia cappuccina ed è
opera del Palmieri, un pittore genovese (1677-1740)
fortemente legato all’ordine. Si tratta di una realizzazione matura, in cui compaiono tutti i caratteri specifici di questo autore, a lungo malconsiderato dalla critica. Nelle sue opere dominanto “grande semplicità e
forme controllati, sicché nulla può essere considerato
fuor di misura” (R:Dugoni). Anche nel caso di Taggia
si notano i panneggi rigidi e le fisionomie consuete
dei personaggi, aderenti all’iconografia cappuccina.
Si tratta del resto di un’opera nella quale il Palmieri si
esprime in tutta la sua maturità. Si può così arricchire
di un altro caposaldo il catalogo assai scarso di un
pittore in corso di importante rivalutazione.
l’austero sistema decorativo cappuccino, che accoglie
pure una statua dell’Immacolata in gesso policromo
di Salvatore Revelli, acquistata nel 1862 dopo la morte dell’autore. Il tabernacolo trova ispirazione nelle
chiese a pianta centrale, con una chiarezza di riferimento alla decorazione barocca e con la presenza di
notevoli piccole statue a tutto tondo di santi cappuccini. Persino la porticina è un prezioso esempio di artigianato di qualità, con l’immagine del Compianto
di Cristo realizzata con l’impiego di avorio. Durante
il recente restauro è stato scoperto un piccolo foglio
di carta inserito nel tabernacolo che ricorda la data e
rivela il nome dell’autore, nonché la sua appartenenza al convento di Oveglia. Si conosce così un nuovo autore cappuccino, forse allievo di un altro frate
cappuccini, fra Vittore Fazio da Bastia. L’opera può
essere stata commissionata dai Curlo, che avevano
forti legami con la Corsica, fin dai tempi del vescovo
Gerolamo Curlo, il quale, ad inizio Seicento, era stato
visitatore apostolico nell’isola e consacratore del conGiovanni Odazzi. I Santi Francesco da Paola, Pa- vento dei Cappuccini di Taggia. In Corsica si trovano
squale Baylon e Felice da Cantalice in adorazione diversi tabernacoli simili, uno proveniente anche dal
del Santissimo Sacramento. 1715-1720. Terza cap- convento di Oveglia, nel Capo Corso, opera verosimile dello stesso Fra Tiburzio.
pella a sinistra.
Eccoci nella piena dimensione della cultura cappuccina di età barocca. La cappella era quella dei Vivaldi, Spazi nobiliari e popolari presso la chiesa parrocvoluta nel 1676 e poi passata ai Lercari. Entro una chiale
raffinata quanto monumentale struttura d’altare in le- dal Brakì delle Confrarie agli imponenti palazzi
gno di noce compare ancora una tela di provenienza dell’alta società taggese
romana, segno di un continuo riferimento specifico Dal rione dell’Orso o da quello del Ciazo, dalla chiesa
da parte delle più prestigiose famiglie taggesi. E’ parrocchiale o dalla strada dell’antico Ospedale, pasun’opera di Giovanni Odazzi (1663-1731), pittore sando sotto il presbiterio dell’edificio sacro: in ogni
presente in altri siti del Ponente ligure, quali il santua- modo si arriva ad uno degli spazi civici più frequentati, quasi un passaggio
rio di Santa Croce di Monte Calvario. In una lettera di
obbligati ai margini
del Marchese Domenico Maria Lombardi, abitante a
meridionali dell’abiRoma e destinata al cugino Desiderio Lombardi, abitato. E’il sistema
tante invece a Taggia, è citato un dipinto con San Piedella piazza Farini
tro d’Alcantara per la cappella di Tommaso Lercari ai
Cappuccini. Evidentemente non c’è identità di sogche si conclude nelgetto, ma il riferimento è per Sebastiano Conca, che è
la via Curlo, spazio
stato un punto di riferimento formativo per l’Odazzi.
peraltro noto come
Il dipinto all’altare conserva i caratteri di una precisa
piazza delle Confraresa iconografica, fortemente legata alla cultura caprie. La vita del popuccina. Vi compare infatti il primo santo dell’ordine,
polo si concentrava
quel Felice da Cantalice canonizzato nel 1712.
attorno alla celebre fontana del Brakì , il cui aspetFra Tiburzio da Cagnano. Tabernacolo. 1701. Al- to tardomedievale è in linea con quello delle fontane
tare maggiore.
dell’intera area delle Alpi Marittime. Vi si svolgeva
Il monumentale altare maggiore accoglie una gemma all’intorno un’attività di mercato, come testimoniano
preziosa. E’un fantastico tabernacolo, inserito nel- le aste per le misure di lunghezza che sono collocate
lungo il muro esterno della vicina chiesa parrocchiale. il recente restauro. Infatti si notano iscrizioni ed una
Il mercato è citato negli statuti del 1381; sulla stessa data riferibile al XVI secolo su di una delle lastre che
area si svolgeva anche la vendita del bestiame, alme- delimitano la vasca. Il restauro è stato abile e meritorio, affidato alla ditta DAB di Taggia sotto il controllo
no a partire dal XIII secolo.
delle Soprintendenze della Liguria.
L’area periferica è stata infine caratterizzata a fine
XVII secolo dall’intensa attività edilizia di alcune fa- Il palazzo Lercari
miglie signorili locali, che si sono ivi costruiti le loro E’ il palazzo di una famiglia di origine genovese digrandiose residenze: il palazzo Lercari ed il palazzo morante a Taggia. Costituisce un elemento tardoseicentesco che va ad occupare la periferia in espansione
Curlo-Spinola.
della città. La sua
costruzione
semLe Confrarie
bra essere iniziata
Le Confrarie sono
nel 1646, anche se
associazioni laiche a
le fasi decisive vanfinalità religiosa con
no situate intorno al
funzioni di mutuo
1676. Comprende
soccorso e misericordue corpi di fabbrica,
dia per poveri e pelcollegati da un paslegrini. La più nota
saggio pensile molto
nel Ponente ligure è
agile sopra il vicolo
quella del Santo Spidel Banchero. L’esterno rivela una stuccatura databile
rito, che manteneva
alla fine del XVII secolo, opera di maestranze forse
anche magazzini di
grano e castagne ad uso dei poveri e gestiva ospedali provenienti dalle valli di Oneglia, mentre all’interno
per i pellegrini in quasi tutti i paesi della regione. La compaiono decorazioni più tarde, fra cui quelle, fisua festa, il giorno di Pentecoste, radunava la popola- nissime, del grande salone. L’edificio è stato in parte
restaurato e accoglie un centro culturale, la biblioteca
zione per un particolare pranzo.
e soprattutto l’archivio storico comunale, ove sono
conservati gli Statuti del 1381, i catasti a partire dal
La fontana del Brakì
Struttura di grande importanza sociale, la fontana fa XV secolo e moltissimi altri documenti (ingresso da
parte di un complesso di luoghi di approvigionamento via Spagnoli).
idrico disseminati nel centro storico di Taggia, anche
se di forme diverse. Questa fontana possiede la tipica Il palazzo Curlo-Spinola
forma con pila cen- E’ una delle strutture edilizie più imponenti di Taggia,
trale e vasca poligo- pur attendendosi da anni un recupero. Nasce in seguinale visibile anche to alla volontà dei Curlo di abbandonare il palazzo sul
ad Isolabona (valle “Pantan” (via Soleri), di fondazione tardomedievale,
Nervia) e nei centri per godere di una residenza di maggior prestigio. E’
delle valli del Basso stato infatti iniziato verso il 1707, con l’impiego di
Piemonte, soprattut- maestranze locali, senza venire mai completato. Infatto in ambito alpino. ti è stata costruita l’ala sinistra, mentre a destra, dietro
Il suo nome è una la monumentale facciata, non vi sono che piccole case
contrazione dialetta- originariamente da demolire. L’edificio si contraddile arcaica del termi- stingue proprio per la sua unificante facciata con porne “barchile”, che individua questo tipo di fontana. tale monumentale. Spiccano all’interno i grandi spaLa sua prima costruzione risale al 1462, come testi- zi: l’atrio, gli scaloni con i gradini comodi e bassi (li
monia un documento che ne affida l’opera alla botte- si potrebbe quasi salire a cavallo) e il salone che si
ga di Donato Da Lancia. Ma il continuo uso ha reso affaccia sulla strada mediante un’agile balconata. In
necessari diversi rifacimenti, come è emerso durante questo edificio sono stati ospitati l’Infante di Spagna
nel 1744 e il giovane capitano d’artiglieria Napoleone
Bonaparte durante la campagna d’Italia del generale
Massena nel 1794.
Il cuore della vita civile e pubblica di Taggia
il ‘Pantan’ ovvero via Soleri
Recandosi a Taggia è possibile vivere un’emozione
storica irripetibile percorrendo gli ariosi portici di via
Soleri. Scivolare a passi lenti sulle ardesie consumate
dall’andirivieni giornaliero, dal Quattrocento in avanti, superando l’esposizione di verdura dei negozi, occhieggiando tra i negozi di antiquariato e le panetterie
con le specialità locali, i bar ove si respira un’aria che
è quella della Liguria di Ponente rurale, pur a poca distanza dal mare. Tutto questo è il “ Pantan “, cioè via
Soleri. “Pantan” perché questa è un’area di espansione dell’abitato nel tardo Medioevo, quando le maggiori famiglie locali decidono di bonificare una zona
altrimenti soggetta agli straripamenti del torrente Argentina (dunque pantanosa) per stabilirvi le loro residenze monumentali, lungo una strada porticata. Un
percorso che va dal passaggio verso la piazza della
parrocchiale fino all’oratorio dei Santi Sebastiano e
Fabiano dei Bianchi, lungo il quale si è sempre svolta la vita sociale e commerciale della città. Giovanni
Ruffini, nel suo celebre romanzo “Il Dottor Antonio”
(1855) la faceva definire “la Regent Street” dei Taggesi, per il volume di traffici commerciali e finanziari
che vi si svolgevano. E’ un percorso elegante tanto
quanto robusto, lungo il quale si fondono quasi tutti
gli stili architettonici che si leggono nella stratigrafia
edilizia di Taggia.
Residenze monumentali
L’aspetto attuale della sequenza dei palazzi di via Soleri è dovuto alle profonde trasformazioni di molti di
questi a causa dei danni subiti con il terremoto del
1887. Vi sono state ricostruzioni quasi integrali. Senza descrivere minutamente i caratteri di ogni singolo
edificio, cosa che potrete apprezzare con
una visita diretta,
possiamo evidenziare qualche elemento caratterizzante. I
portici, ad esempio:
si va da quelli autenticamente tardomedievali (il palazzo
Curlo, primo a sinistra dopo il passaggio che porta alla
piazza della chiesa), fino ad altri più modesti, quando non completamente ricostruiti dopo il terremoto
del 1887. Talora, la luce più ampia delle arcate poteva suggerire la maggiore importanza dei proprietari
nell’ambito della scala sociale. Gli ingressi sono generalmente il “biglietto da visita” dei queste residenze. Ve ne sono di vari tipi, dai più semplici con scala
rettilinea, stretta e ripida, a quelli con ampio atrio e
scalone monumentale. Spicca il corredo ornamentale,
costituito da portali e sopraporta ricchi di decorazioni
a rilievo. Suggestioni medievali (Agnus Dei, trigramma IHS) si succedono a soluzioni più moderne e classiche, come il portale con semicolonne e splendido
fregio fitoforme dell’altro palazzo Curlo già Pasqua,
non lontano dall’oratorio dei Bianchi, sulla destra del
tracciato. Qualche ingresso è stato rimaneggiato e gli
elementi decorativi spostati: la strada è anche, dunque, una esposizione a cielo aperto di lastre di ardesia scolpite. E anche di portoni in legno rivestiti di
lamiera ribattuta, a partire da quelli cinquecenteschi
e di robuste inferriate a gabbia, che permettevano di
osservare il passaggio della gente ed ascoltarne gli
umori. I valori di Taggia si concentrano qui e da qui
si può partire alla scoperta di situazioni analoghe nei
vicoli più riposti.
Sei un viaggiatore che, come nel passato, arriva a
Taggia da levante
Il passaggio sul ponte monumentale ti è obbligato
Sei un viaggiatore che, come nel passato, arriva
a Taggia da levante. Il passaggio sul ponte monumentale ti è obbligato e osservi quello ti sta attorno, successione di realtà storiche e monumentali.
Il ponte sull’Argentina ponte sull’Argentina: 250
metri di fettuccia sospesa sulla piana coltivata, sugli
agrumi, sulle verdure e sul verde ornamentale, infine
sul torrente, sovente minaccioso e gonfio per le piogge. Un simbolo delle difficoltà di collegamento tra le
varie aree della Liguria di Ponente, ma anche un eccezionale modo di sentirsi parte di un mondo che affonda le sue radici nel passato e che fa rivivere questo
passato nel presente. Basta uno sguardo a 360 gradi.
Immediatamente ai margini delle campagne che risalgono verso Castellaro c’è la villa Curlo, di proprietà
comunale, che fa immagine la raffinata vita delle “vacanze” settecentesche di una famiglia signorile locale. Sull’altro versante della valle, tra gli olivi, spicca
la villa Ruffini, che ci ricorda i primi anni di vita e di che transitavano sul passaggio proprio durante il roviricerca dei patrioti Giovanni e Jacopo Ruffini, guida- noso sisma del 1831.
ti dalla madre Eleonora. Un campanile svettante tra
La villa Curlo
gli olivi è il simbolo della silente e misteriosa chiesa
E’ una villa suburdi Santa Maria del Canneto, le cui origini affondano
bana di età moderin un Medioevo remoto e si nobilitano in elementi e
na, con cappella e
cicli dipinti decorativi fino al XVI secolo, che si sta
parco, destinata alle
riportando agli onori di una comoda visita pubblica.
“vacanze” di uno dei
E infine, risalendo con lo sguardo dal convento delrami della prospera
le Domenicane, alle estreme propaggini di Taggia, si
famiglia taggese dei
può seguire il profilo dell’abitato fino alla mole fraCurlo., giunta a Tagstagliata di quel che resta del castello sommitale, sigia nel XIII secolo
lenziosa ed affascinante rovina.
da Ventimiglia. La
proprietà è disposta come una tipica residenza di fine
Il ponte sull’Argentina
E’ uno dei simboli di Taggia, uno dei passaggi obbli- Seicento, con lungo prospetto concluso dalla facciata
gati nel passato per arrivare in città, uno dei luoghi da della cappella verso il ponte e aperta sulla strada. La
non mancare durante una visita. Un lungo ponte, ad villa è munita di pozzo, cantine e stalle. Ma lo spettauna corsia di muli, come appariva nel passato, selcia- colo si incontra nei due piani nobili che dispongono
to interamente in ciottoli (rissoli, in dialetto rissoi). attorno ad una sala distributiva una serie di ambienNon è possibile sapere se questro tracciato sospeso ri- ti, tra i quali salottini, stanze da letto e servizi, tutti
prenda il punto di passaggio del torrente già utilizzato dotati ancora della decorazione originale, sia stuccata
in età romana. Sicuramente ci si trova di fronte ad che dipinta. Il parco è stato modificato varie volte ed
un percorso arcaico, già utilizzato in pieno Medioe- oggi ha un aspetto legato alla dimensione ottocentevo, come dimostrano le prime due arcate del ponte sca. Percorrere il lungo viale centrale riserva singoagganciate alla riva sinistra. Infatti il ponte è frutto lari emozioni, potendosi spingere verso angoli silenti
di un lavorio incessante e progressivo, dovuto ad un del giardino, in cui le piante esotiche si affiancano a
ampliamento continuo. Lo si nota anche dal cambia- grandi alberature. Fra queste spicca un monumentale
mento di direzione: i primi due archi, partendo dalla Pinus pinea che accoglie presso l’ingresso del parco,
riva sinistra, pur collegati da altri archi minori, con- memore di un passato in cui signore in seta e crinolina
servano le strutture medievali (e non romane) origina- godevano delle prime ombre della sera, al fresco del
rie del XIII, massimo XIV secolo. Successivamente le parco.
restanti tredici arcate piegano ad angolo retto verso la
città, determinando un brusco mutamento direziona- I progetti di sviluppo del sito sono orientati verso una
le. Il ponte si è allungato nel termpo, perché le rovino- dimensione direzionale in senso turistico-culturale.
se piene dell’Argentina hanno periodicamente mutato
l’andamento dell’alveo. Il ponte ha insomma seguito La villa Ruffini
il corso del torrente, che ora fiancheggia l’abitato. Le Si tratta di una antica villa di campagna , fortemente
fonti documentarie citano gli interventi del 1477, per legata alla vicina ampia proprietà olivata. L’aspetto
esempio, finanziati in parte da privati. E poi ancora attuale è caratterizaltri poco dopo la metà del 1556 (con il permesso di zato da un riferimenutilizzare una tassa pubblica per il finanziamento). to vagamente neoNel 1720 vengono collaudati altri due archi, iniziati medievale e da una
nel 1675. Il quarto e l’undicesimo arco sono stati rico- cromia elegante di
struiti nel 1832, essendo crollati durante il terremoto gusto ottocentesco.
del 1831. Si tratta di un work in progress non privo E’ un luogo silendi presenze religiose: due edicole si susseguono per zioso e raccolto, che
le devozioni personali. La seconda, sulla tredicesima va considerato meta
arcata, è l’ex voto di un padre che ha visto salvi i figli di “pellegrinaggio”
per i cultori del Risorgimento italiano. In questa villa
hanno passato lunghe ore di studio i patrioti Jacopo
(1805-1833) e Giovanni Ruffini (1807-1881). Il primo, eroe taggese, imprigionato dal governo del Regno di Sardegna, si ucciderà in carcere. Il secondo,
invece, sceglierà l’esilio in Gran Bretagna, senza mai
dimenticare la patria natia, come dimostra il suo celebre romanzo Il dottor Antonio, che fece comunque
conoscere la Riviera di Ponente al pubblico internazionale. Determinante per la formazione giovanile dei
due patrioti è stata la figura della nobile madre, Eleonora Curlo, di nobile famiglia taggese.
La chiesa di Santa
Maria del Canneto
Silente e misteriosa,
si erge tra gli olivi
la mole articolata di
questa chiesa di fondazione medievale.
E’ frutto di una serie di sistemazioni
successive, anche in
forma di restauro ricostruttivo della prima metà del Novecento (che ha
interessato, per esempio, l’abside attualmente visibile). In quell’occasione si scoprì anche la intrigante
cripta, che dà l’idea delle minime dimensioni di un
edificio sacro forse originario. La presenza di questa
chiesa è legata alla supposta presenza altomedievale
di un’abbazia benedettina, mai accertata peraltro neppure a livello di scavo archeologico. Le prime citazioni del Canneto risalgono comunque al XIII secolo
e riferiscono ad una proprietà del monastero benedettino di San Dalmazzo di Pedona. E dal Canneto è
facile l’accesso tramite la porta del Colletto proprio
all’antica strada principale di Taggia, detta via di San
Dalmazzo. Alla chiesa attuale era collegato un sito sacro inferiore, ormai scomparso. La volta dell’antico
presbiterio, originariamente coperto in legno, venne
decorata nel 1547 grazie alla collaborazione di Giovanni e Luca Cambiaso (padre e figlio), famosi pittori genovesi, con il ligure-nizzardo Francesco Brea:
un esempio elegante di pittura manierista. Nel XVIII
secolo si mutò l’orientamento della chiesa, con la costruzione della attuale facciata monumentale. Il portale è stato posizionato con i restauri del XX secolo e
proviene dalla chiesa inferiore: è opera di Gasparino
da Lancia e datato al 1467. Ma il fulcro visivo del
complesso è il campanile, che conserva una tessitura muraria originale, databile al massimo alla prima
metà del XIII secolo. Nel settore sommitale è ricamato da ghiere di archetti pensili e finestre bifore che
conferiscono a tutto l’insieme un aspetto coinvolgente e suggestivo. Il recente restauro favorirà un pieno
godimento pubblico del sito.
Il convento delle suore Domenicane
L’ampio complesso del convento delle suore Domenicane oggi costituisce uno dei maggiori sistemi di
servizi pubblici di Taggia, assommando edifici scolastici e uffici già giudiziari. Spicca soprattutto l’antica
struttura del convento, che ebbe una gestazione molto
complessa. Già nel primo Seicento si voleva avere un
convento di clausura
femminile a Taggia,
ma tale collocazione si determina solo
all’inizio del XVIII
secolo. Si susseguono avvenimenti curiosi ed interessanti.
I progetti vengono
affidati ad architetti
del Ponente ligure.
Dopo una iniziale riduzione a convento di alcune abitazioni private
(1712) si passa alla costruzione di una grande struttura sotto la guida di Giacomo Filippo Marvaldi di Candeasco (valle Impero alle spalle di Oneglia). Nel 1716
le suore sono ben guidate da due nobildonne piemontesi, che organizzano l’attività religiosa e soprattutto
quella didattica, in forma di scuola anche di cucito e
ricamo per le ragazze di Taggia. E’ questa un’attività
molto importante, continuata anche dopo la soppressione del convento (periodo 1866-1895), quando le
suore si devono trasferire in palazzo Curlo Spinola.
La chiesa affacciata
sulla piazza, dedicata a Santa Caterina da Siena, ormai
sconsacrata, è frutto
di una costruzione
del 1845-46: la facciata è stata recuperata in un recente
cantiere-scuola. Nel
convento svolse la sua attività anche suor Rosa Colomba Asdente, la quale ebbe fama di straordinaria
veggente.
Il castello
Tutti i punti panoramici nella bassa valle Argentina
restituiscono l’immagine di Taggia che si apre a ventaglio con le sue case affastellate le une sulle altre. Il
vertice a monte di questo ventaglio è il castello. Anche
quando si lascia il ponte sull’Argentina, in direzione
dell’abitato, appare il profilo del pittoresco rudere del
castello. L’insediamento si è dunque posto sotto il
controllo di un punto fortificato, forse già a ridosso
del X-XI secolo. I Genovesi smantellano il castello
nei primi anni del XIII secolo, per bloccare l’intraprendenza della Comunità di Taggia, salvo poi risistemare la struttura con l’acquisto del feudo ceduto dai
Clavesana nel 1228. Sono pochissime le parti autenticamente medievali riscontrabili nell’attuale sistemazione. In particolare si tratta di una torre sull’angolo
di nordest, cui si salda un altro elemento difensivo. La
“cittadella” è stata effettivamente risistemata dopo il
1564, per difendere la città dalle incursioni dei pirati
barbareschi. Nell’occasione vengono riutilizzate parti di mura o addirittura singole pietre già squadrate
del sistema medievale, lavorando in fretta e furia per
scongiurare l’imminente pericolo. In seguito la struttura è stata abbandonata: ridotta a cospicuo rudere,
appare un’area destinata al recupero, alla possibile
visita ed alla ricerca archeologica.
La chiesa parrocchiale dei SS.Giacomo e Filippo
Dal monumento al santuario della Madonna Miracolosa
Una chiesa monumentale, nella quale si riconosce la
popolazione di Taggia. Una chiesa che ne esalta la
devozione, attraverso i secoli, ricchissima di opere
d’arte di rilievo, anche se meno conosciuta rispetto ad
altri monumenti taggesi. Queste pagine Vi aiuteranno
a scoprirla.
Un’immagine della chiesa precedente
Il titolo dei SS.Giacomo e Filippo è particolarmente
arcaico. Fa riferimento a due apostoli e dunque appare
in relazione con fasi molto antiche della cristianizzazione della Liguria. Già nel XIII secolo risulta presente anche un collegio di canonici, i quali sono incaricati della celebrazione sugli altari delle chiese cittadine,
ma al tempo stesso prendono iniziative comunitarie,
come la fondazione dell’Ospedale nel 1212.
E’ nota peraltro la costruzione di un grande complesso
quattrocentesco situato già nel sito dell’attuale edificio. Di questa struttura è rimasto ben poco. Si trattava
di un edificio comunque imponente, a tre navate, con
una serie di cappelle talvolta decorate da dipinti murali, come quelli relativi alla leggenda di San Benedetto Revelli. Nel corso del tempo le singole cappelle
erano state dotate di grandi tavole dipinte e l’aspetto
complessivo non doveva essere dissimile da quello
delle cappelle del convento dei Domenicani.
La facciata appariva in pietra accuratamente squadrata: forse non era estraneo l’apporto delle stesse maestranze lombarde attive presso di Domenicani, tanto
quanto a Montegrazie o in altri importanti siti religiosi del Ponente ligure. Le figure dipinte della Vergine
assieme a San Giacomo e San Giorgio accoglievano i
fedeli sopra l’ingresso principale, mentre in alto svettavano le effigi della Madonna con i santi titolari Giacomo e Filippo.
Gli elementi architettonici rimasti della chiesa tardomedievale
E’identificabile con sicurezza un solo pezzo rimasto
della chiesa tardomedievale. Si trova ai margini del
parcheggio del complesso scolastico a monte della
città, non lontano dall’antico ponte sull’Argentina. Si
tratta di un capitello derivato dalla tipologia sferocubica comunemente in uso nel tardo Medioevo ligure
ponentino, ma decorato da motivi a crochet (simile ad
un ricciolo scanalato) che conclude una sottile quanto elegante ornamentazione a foglia che maschera i
profili angolari. Le notevoli dimensioni dell’oggetto
lasciano intendere il volume delle colonne che lo sostenevano e dunque la grandiosità dell’antica chiesa.
Un rilievo del “Cristo in pietà” si trova murato nel
sottopasso che conduce all’ingresso nella strada porticata del Pantan a sinistra della facciata della chiesa.
Il tabernacolo è smembrato: la parte inferiore è rimasta in chiesa, nel presbiterio, murato sulla parete sinistra mentre il settore sommitale è collocato in forma
di edicola in via San Dalmazzo 32. Recentemente restaurato, offre una splendida resa della Resurrezione
in marmo bianco di Carrara, in relazione alla produzione lombarda alla fine del XV secolo.
La ricostruzione del tardo Seicento
Il segno della ricchezza, della devozione e dell’autoriconoscimento di una città. Così è possibile spiegare
un motivo recondito di una ricostruzione che sembra
essere motivata soprattutto dalla necessità di avere
un luogo di culto principale che potesse rispondere
alle risoluzioni del Concilio di Trento, svolto nella
seconda metà del XVI secolo. Durante il Seicento
moltissime chiese del Ponente ligure furono demolite e ricostruite in rapporto ad un gusto moderno ed
alle risoluzioni necessarie per le nuove forme di celebrazione.della Messa. Infatti la ricostruzione non
sembra aver definito una chiesa molto più grande di
quella già esistente. Sicuramente si è risolto un ampliamento in altezza e pare che sia stata riutilizzata la
base del campanile antico. Appare chiaro soprattutto
un ingrandimento dell’area absidale, che oggi si vede
arditamente passare sopra il tracciato della strada che
collega la piazza Farini (dove si trova la fontana del
Brakì) con via Ruffini.
Già nel 1668 si ha notizia di lavori di ristrutturazione all’edificio tardomedievale. Poco tempo dopo ci si
risolve alla completa ricostruzione, iniziata nel 1675
(prima pietra il 23 maggio). Principale organizzatore,
responsabile di fabbrica e collettore dei finanziamenti
è stato il taggese Gerolamo Gastaldi, cardinale di Santa Prudenziana e Sant’Anastasia a Roma, già committente delle due famose chiese di Piazza del Popolo.
Egli muore nel 1685 e non potrà vedere la chiesa del
suo paese completata, con la consacrazione del 1689,
quando la costruzione non era forse ancora finita.
La tradizione assegna il progetto della chiesa taggese
addirittura al Bernini, non foss’altro per la collocazione romana del cardinale. In realtà l’architetto di fiducia del Gastaldi era il romano Giuseppe Arcucci, il
quale può aver fornito il primo progetto della chiesa.
Il cantiere è stato poi condotto dal capomastro Girolamo Arlotti di Riva Ligure.
La nuova chiesa è configurata secondo i canoni postridentini: unica ampia navata, sette cappelle per
ciascun lato e profondo presbiterio adatto ad ospitare
tutto il clero locale. Molto scenografica è la facciata,
incastonata fra i palazzi signorili di alcune importanti
famiglie cittadine. E’divisa in due ordini monumentali, con una decorazione sobria ed elegante, conclusa
da un timpano regolare.
Uno sguardo all’interno: le principali opere d’arte
Le varie cappelle disposte lungo il perimetro, il presbiterio e la sacrestia conservano una grande quantità di opere d’arte, sia relative alla precedente chiesa
tardomedievale, sia disposte per il nuovo edificio. Ci
si trova quindi a contatto con una prestigiosa raccolta
di arte religiosa, con qualche spunto di autentico misticismo, che non deve comunque far dimenticare il
ruolo religioso della struttura.
Andrea de la Mayrolla
Crocifisso con la Vergine ed i Santi Giovanni Evangelista, Maria Maddalena, Stefano ed un donatore.
1517 circa. - Prima cappella a destra.
Si entra in chiesa dal portale laterale sinistro, dalla
soglia marmorea ormai consumata. La prima cappella
a destra accoglie immediatamente con una preziosa
tavola dipinta, che raffigura il Crocifisso ed alcuni
santi. Si tratta di un’opera singolare, caratterizzata
da alcuni elementi stilistici specifici, non ultimo lo
sfondato atmosferico degli sfondi. La committenza
va ricercata nella famiglia Roggeri, detentrice dei diritti sulla cappella, anche nella precedente chiesa. La
cappella era stata fondata nel 1517 e dunque a questa
data si riferisce l’esecuzione dell’ancona. Nello stesso anno 1517, nota il Cervini, il pittore lombardo Andrea de la Mayrolla è attivo a Taggia per la cappella
di Santa Margherita nella vecchia chiesa. E’ probabile
l’esecuzione anche di quest’opera, piena di riferimenti ad un asciutto realismo lombardo, pur con qualche
concessione alla dimensione spettacolare della muta
conversazione.
Luca Cambiaso
Santi
Paolo
Eremita
e
Antonio
Abate
Settimo decennio del XVI secolo - Terza cappella a
destra.
E’ un robusta prova pittorica della presenza di Luca
Cambiaso nel Ponente ligure. Luca era il più importante pittore del Cinquecento ligure, tanto da essere
chiamato alla corte di Spagna, ove sarebbe morto nel
1585. Si tratta di un’opera di notevole vivacità dinamica, ove si coglie il rapporto intenso e colloquiale
fra i due grandi eremiti paleocristiani. L’opera si colloca nel filone del rapporto fra la famiglia Cambiaso e l’ambito della valle Argentina. Il padre di Luca,
Si tratta del primo di due dipinti laterali che arricchiscono la cappella di San Girolamo, dotata di una pala
principale di possibile riferimento lombardo. Al San
Gerolamo si affianca il San Giovanni Battista, posto
di fronte. Peraltro non si tratta di opere originariamente pertinenti a Taggia, Provengono infatti dalla
chiesa dell’Annunziata annessa al convento dei MiNella figura di Sant’Antonio Abate si nota un rappor- nori Osservanti di Porto Maurizio, ove si trovavano
to originale con l’immagine di San Domenico dipinta nella cappella Littardi. Questi ultimi, imparentati a
per la pala con la Vergine ed il Bambino con santi do- Taggia, avevano ottenuto il patronato della cappella
menicani ora nell’esposizione ricavata nell’oratorio e vi avevano collocato le due opere nel 1845. Il San
Gerolamo presenta un taglio caratteristico di tre quardi San Giovanni Battista di Triora
ti, con un efficace brano pittorico nella resa del volto,
del braccio nervoso e nel panneggio dell’avvolgente
Ignoto pittore genovese
San Benedetto Revelli ed i Santi Domenico e France- manto rosso.
sco Saverio
Ultimo quarto del XVII secolo - Quarta cappella a Giovanni Assereto
San Giovanni Battista
destra.
Terzo decennio del XVII secolo - Sesta cappella a deSi è di fronte ad una realtà simbolica cittadina. L’alta- stra, lato sinistro
re è infatti dedicato al patrono di Taggia, quel San Benedetto Revelli mitico Vescovo di Albenga, al quale si Un ascetico San Giovanni Battista attrae lo sguardo.
attribuiscono miracolosi salvataggi della città da as- Giovane e teso, si ritaglia uno spazio nella dimensedi ed assalti. Non ultimo quello francosabaudo del sione esigua della tela. Si tratta di una realizzazione
1625. Da quell’episodio ne scaturisce la celebrazione pienamente in linea con le migliori opere della prima
della famosa notte dei “fuochi” o “furgari” a ridosso metà del Seicento genovese. Vi si afferma un sottile
della festa del santo, nel mese di febbraio. L’opera in naturalismo, tipico della diffusione anche a Genova
questione sostituisce gli affreschi medievali che erano di una dimensione realistica di carni sfatte e lumegsituati nella cappella del santo della vecchia chiesa giate. Il restauro ha restituito all’opera un suo spedemolita. Si nota in questo caso un pieno riferimento cifico luminismo che ravviva panneggi e riflessi sul
a modelli di derivazione genovese, anche se lo sche- corpo nervoso del santo. L’attribuzione è a Giovanni
ma del dipinto è molto tradizionalista. La presenza Assereto, recentemente rafforzata dall’opinione della
di due santi predicatori fa riferimento all’importan- studiosa Tiziana Zennaro sull’importante rivista stoza di queste figure nel contesto religioso locale. Due rico-artistico-letteraria “Paragone”.
curiosità: di è scoperto durante il restauro che la tela
utilizzata è “di seconda mano”, cioè era una tela già Bartolomeo Pincellotti
dipinta precedentemente e forse per questo costava di Santi Giacomo Minore e San Filippo
meno. Sopra questo dipinto ve ne è un altro con i San- 1730 - Statue ai lati del passaggio in ingresso al preti Quattro Coronati, patroni di scalpellini e muratori, sbiterio.
molto numerosi a Taggia e dotati di una loro compaUn dono simbolico e significativo per la parrocchiale.
gnia, fondata nel 1728.
Le due statue sono state commissionate allo scultore carrarese Bartolomeo Pincellotti dal ricco tabieLuciano Borzone
San Gerolamo
se Domenico Maria Lombardi. Lo scultore è poco
noto, morto precocemente nel 1740. All’epoca della
1640 circa. - Sesta cappella a destra, lato destro.
commissione taggese il Pincellotti era un giovane
Un piccolo dipinto, ma un importante brano di pittura emergente nell’ambito della scultura romana. La cirligure del Seicento.
costanza conferma la tendenza della famiglia Lombardi all’acquisto di opere d’arte nella città dei Papi.
Giovanni Cambiaso, aveva ripetutamente operato nel
Ponente ligure a metà del XVI secolo, portando con
sé, quando possibile, il giovane Luca e lasciando valide realizzazioni nel contesto taggese, sia in chiesa
parrocchiale che nella chiesa della Madonna del Canneto.
Le opere appaiono legate ad una tensione dinamica
notevole, modellata sull’esempio del Bernini. Al Pincellotti sono riferibili alcune significative opere in rilevanti chiese di Roma.
Nicola Alberti da Ventimiglia; Ortensio Simonetta
Coro ligneo
XVI secolo-1681 - Abside
Un’opera poco nota, ma di grande impatto decorativo.
Questo coro monumentale è uno dei meno conosciuti
fra quelli della Liguria di Ponente, ma appare di grande interesse, anche perché se ne conoscono gli autori.
E’ frutto di un percorso di adattamento, essendo stato
recuperato dalla vecchia chiesa. L’impianto si deve
all’intagliatore ventimigliese Nicola Alberti, nel pieno Cinquecento. Taggia era già un centro di notevole
importanza per la presenza di arredi lignei di rilievo,
utilizzati ad esempio nel convento dei Domenicani.
Con la costruzione della nuova parrocchiale, si affida al milanese Ortensio Simonetta l’adattamento del
coro alla nuova struttura. L’intervento dell’artista
lombardo non è invasivo. Si riconosce all’Alberti un
impianto singolare. Si affiancano infatti le strutture di
inquadramento con le colonne scanalate, il fregio e
le specchiature di fondo, tutte legate ad un’ispirazione rinascimentale, ad alcune suggestioni di rimando
ancora medievale, nelle figure mostruose che costituiscono alcuni elementi funzionali, come braccioli o
spigoli.
t’Andrea a sinistra; nel presbiterio Simone Zelota e
Filippo a destra, Matteo e Giuda Taddea a sinistra. Si
tratta di grandi figure monumentali, assai muscolari,
concepite per essere viste anche da una certa distanza
e in scorcio. Sono immagini di anziani dalla barba secolare, in atto benedicente, riconoscibili per i loro attributi ovvero gli oggetti che portano con loro, spesso
legati al loro martirio. Basti pensare che Simone Zelota presenta una lunga sega da boscaiolo. Le opere,
anche per la loro ampiezza, sembrano essere prodotti
di una attrezzata bottega. Le figure presentano anche
panneggi ampi e tendenzialmente squadrati, con uno
spirito di fondo, comunque, relativamente realistico.
L’attribuzione all’ambito lombardo, cui Taggia è storicamente legata, risulta una interessante ipotesi di
lavoro.
Ignoto scultore ligure
Madonna con il Bambino
1429 circa - Settima cappella a sinistra
La statua arricchisce come punto focale principale la
cappella della Candelora, fondata nel 1429 dal preposito Antonio de Germanis, originario di Balestrino,
vicinoa Toirano. E’ stata oggetto di notevole dibattito fra gli studiosi: c’è chi l’ha ritenuta parte di un
polittico e chi l’ha individuata come immagine della
Madonna del Rosario. La sua realizzazione deve essere legata al momento di istituzione della cappella E’
particolarmente curiosa l’effigie del Gesù Bambino
che “cammina” sulla gamba della Vergine, andando
Ignoto pittore (forse lombardo)
verso l’osservatore. Il gruppo è contraddistinto da una
Apostolado
preziosa eleganza, che ne colloca l’esecuzione entro
Secondo o terzo quarto del XVII secolo l’ispirazione ad una gentilezza tardogotica ricca di riControfacciata e presbiterio.
ferimenti in ambito norditaliano. Resta da valutare la
data dell’iscrizione mariana in caratteri capitali inseEcco quel che rimane di un sistema decorativo ed rita lungo il piedistallo, che pare essere stata eseguita
esemplare di grande respiro. Un “apostolado”, cioè almeno nel XVI secolo.
una serie di immagini degli Apostoli, che potevano
popolare le superfici della chiesa antica e fornire mo- Ignoto scultore ligure
delli di virtù ai fedeli. La pratica di porre le immagini Crocifisso
degli apostoli a corredo della decorazione finale di Seconda metà del XIV secolo un edificio sacro principale è molto raccomandata da Sesta cappella a sinistra
San Carlo Borromeo, uno dei campioni della Riforma
Cattolica. Nel 1672 l’inventario della chiesa parroc- Un inquietante crocifisso per un percorso misterioso.
chiale rivela l’esistenza dei quadri dei 13 apostoli (era L’opera, recentemente restaurata, si trova ora in chiesa
compreso San Paolo) con un’immagine della Vergine parrocchiale, ma proviene dall’eremo di Santa Maria
ed una di Gesù. Ne sono arrivati solo sei fino a noi: Maddalena nel bosco. A questa luogo non privo di un
in controfacciata ci sono San Pietro a destra e San- forte misticismo cristiano, è legata tutta la paralitur-
gia della festa della Maddalena, con la veglia notturna
dei Maddalenanti, le celebrazioni religiose ed il “bal- Nel 1850 l’importante scultore taggese aveva cominlo della morte” al ritorno in città. Il grande crocifisso ciato a lavorare ad una statua di Santa Filomena, la
presenta un aspetto assai arcaico e si pone a confronto quale, però, in corso d’opera, viene trasformata in
con le tante opere simili prodotte nella zona fra la fine un’immagine della Vergine. Per essere precisi neldel XIV secolo e l’inizio del XVI. Appaiono del tutto l’effigie della Madonna del Sacro Cuore, in ragione
notevoli gli aspetti drammatici nello spasimo dolente di una forte dimensione devozionale che coinvolgeva
della morte, nella tensione delle braccia dalle vene in lo stesso autore. L’opera era solamente un modello
rilievo, nel torace appena accennato. E’ un’immagine per una statua in marmo, mai realizzata. Revelli dona
forte, di dolore e morte, volta a suggerire una forte questo bozzetto scultoreo in gesso policromo alla sua
immedesimazione per il fedele.
città nel 1851.
Giovanni e Luca Cambiaso, con la partecipazione
di Francesco Brea (per la predella)
In data 11 marzo 1855 alcuni fedeli presenti in chiesa
La Madonna con il Bambino ed i Santi Crispino e Cri- per le funzioni in onore dell’Immacolata, assistono ad
spiniano
un miracoloso movimento degli occhi della statua. Il
1547 - Sesta cappella a sinistra.
prodigio si ripete nei giorni successivi, mentre anche
l’incarnato delle guance si fa più vivace. L’indagine
Patroni per ogni lavoratore…il significato di questa vescovile sul miracolo è stata molto rapida e conpresenza devozionale è direttamente in relazione con vincente. Il 21 giugno 1856 il Papa Pio IX autorizza
la compagnia dei Calegari, cioè dei ciabattini, dei l’incoronazione della statua, anche in ragione della
quali Crispino e Crispiniano erano i protettori. In que- recente proclamazione del dogma dell’Immacolata
sto caso si assiste ad una particolare prova dell’asso- Concezione. Lo stesso autore dell’opera viene ricevuciazione tra il pittore genovese Giovanni Cambiaso, to in udienza privata dal Santo Padre. Comincia allora
coadiuvato dal figlio Luca e l’artista di ambito locale la grande vicenda di fede legata alla sacra immagine,
(si definiva abitante di Nizza) Francesco Brea. Ai pri- nella quale si riconosce l’intera comunità tabiese.
mi due si deve l’ordine principale del dipinto, mentre
il terzo si occupa della predella (la base della tavola). Giuseppe Massa
Ovviamente appare evidente la differenza stilistica Serie dei Misteri Gaudiosi e Fuga in Egitto
fra le realizzazioni: l’opera del Brea è legata a schemi Ante 1719-1720 ca.. - Pareti della Navata, sopra le
narrativi popolari, mentre risultano più eleganti e se- cappelle laterali.
vere le immagini di produzione cambiasesca.
Un complesso settecentesco tutto da scoprire. In attesa di completo restauro, collocato piuttosto in alto,
Salvatore Revelli
non è certo conosciuto come altre opere della chiesa.
Statua della Madonna Miracolosa
La serie viene donata dal benefattore Tommaso Calvi.
1850 - Quarta cappella a sinistra.
Costui era molto amico del pittore Giuseppe Massa,
Un simbolo di Taggia, un’umile effigie della Vergi- un milanese trasferitosi nel Ponente ligure. L’attribune che diviene realtà miracolosa e infiamma la devo- zione al Massa è confortata anche dal restauro che ha
zione. L’altare è quello della Compagnia del SS.mo interessato l’opera con la Fuga in Egitto.Spiccano le
Sacramento. Un grande altare barocco era stato com- sue tipiche figure, legate al realismo lombardo, ma inmissionato a Daniele Solaro nel 1683. I pagamenti si gentilite da una dimensione gradevole fortemente agprotraggono a lungo, fino ad oltre il 1694. La struttura ganciata alla chiarezza ed alla luminosità del colore.
dell’altare barocco è stato profondamente alterato per
valorizzare la collocazione della statua della Madonna Eumene Baratta
Miracolosa, opera di Salvatore Revelli. Quest’ultimo Busto di Salvatore Revelli
è il più importante scultore taggese, uno degli artisti Collocato nel 1886. - Presso l’ingresso laterale deliguri più rilevanti dell’Ottocento, attivo lungamente stro.
a Roma ed autore di importanti monumenti collocati
Un piccolo omaggio per un grande scultore. In linea
anche in America Meridionale.
con il carattere schivo del Revelli, il busto offre comunque la possibilità di familiarizzare con l’effigie
dell’autore della “Madonna Miracolosa”. L’opera è
stata offerta alla città di Taggia dal Eumene Baratta,
uno scultore di Carrara, che si è fatto pagare le sole
spese vive relative al materiale. Un dono, insomma,
da parte di chi aveva ammirato Revelli in vita. Non è
chiaro se il Baratta è stato allievo di Revelli, ma poco
importa. L’immagine presenta i caratteri celebrativi,
tipici di un ritratto ufficiale.
Giovanni e Luca Cambiaso
Resurrezione
1547 - Sacrestia
Un piccolo omaggio per un grande scultore. In linea
con il carattere schivo del Revelli, il busto offre comunque la possibilità di familiarizzare con l’effigie
dell’autore della “Madonna Miracolosa”. L’opera è
stata offerta alla città di Taggia dal Eumene Baratta,
uno scultore di Carrara, che si è fatto pagare le sole
spese vive relative al materiale. Un dono, insomma,
da parte di chi aveva ammirato Revelli in vita. Non è
chiaro se il Baratta è stato allievo di Revelli, ma poco
importa. L’immagine presenta i caratteri celebrativi,
tipici di un ritratto ufficiale.
Ignoto scultore ligure
Tabernacolo ligneo
Ultimo quarto del XVI secolo - Sacrestia
Un entusiasmante complesso ligneo, restituito alla
piena godibilità da un sapiente restauro. Si tratta di
una vera riscoperta. Un monumento alla devozione
per il Santissimo Sacramento, che rinnova la struttura
dei vecchi tabernacoli marmorei anteriori al Concilio
di Trento, riproponendone una centralità dimensionale di notevole valore strutturale. La circostanza può
essere sostenuta anche dalla volontà di dare grande rilievo all’amministrazione del Sacramento minacciato
dalla diffusione della Riforma nel Nordeuropa. Questo tabernacolo è una complessa architettura in scala
ridotta. Attinge al repertorio dell’immagine costruttiva classica, con digressioni in un certo decorativismo
tardomanierista. Consta di un base piuttosto ampia,
poligonale, con specchiature che inquadrano nicchie
già abitate da piccole statue; non è rimasto che il Cristo portacroce. Al centro compare una prospettiva che
rimanda l’immagine del tabernacolo sormontato dallo
Spirito Santo in forma di colomba. Sopra il cornicione annunciato da una serie di dentelli a mo’ di mensole, si staglia il più stretto corpo principale; manca
evidentemente un settore di raccordo, che senz’altro
rendeva assai più monumentale l’intero insieme. La
struttura sommitale è provvisto di base modanata, con
un ordine principale costituito da nicchie inquadrate
da un lesene scanalate e timpani regolari e curvilinei
secondo un’elegante alternanza. Gli spigoli sono coperti da colonne tortili sormontate da erme colorate,
di impostazione manierista. Tutto è sormontato dalla
cupola, interamente dorata, che richiama le cuspidi
dei campanili nel suo essere interamente a scagli con
robusti costoloni e finestre a lunetta entro gli spicchi.
Infine la struttura è conclusa da una lanterna, che riecheggia motivi ancora tardomedievali nei contrafforti in risalto. Non mancano elementi accessori, come
statue a tutto tondo, accuratamente recuperate, che
facevano parte della sistemazione originale e tuttora
oggetto di studi, anche in rapporto a possibili provenienze da altre opere lignee.
L’opera si colloca pienamente nel contesto della realtà
tardocinquecentesca locale e trova molti punti di riferimento in opere contemporanee, imponendosi come
notevole dimensione di studio ed approfondimento.
Taggia come immagine storica
nelle sue case l’evoluzione del tempo
Visitare Taggia permette di fare un viaggio nel tempo. Anche solamente osservando le case, il suo aspetto edilizio, in sequenza dal basso verso l’alto, dalla
sponda destra dell’Argentina fino all’altura del castello. Quali sono dunque le fasi che attraggono il
visitatore e lo proiettano di volta in volta in una diversa realtà storica ? I tempi più recenti sono quelli
della viabilità automobilistica, lungo l’Argentina. Si
tratta solo di una barriera architettonica che non può
nascondere il passato che emerge. Se il bastione detto
del “gombo” (del frantoio), si incunea fra gli edificio
otto-novecenteschi, bastano pochi passi per vedere
la grandiosa facciata del palazzo Curlo poi Spinola.
Ci si trova quindi nel pieno dell’Antico Regime, nel
pieno periodo compreso tra Seicento e Settecento. In
questa fase Taggia vede un profondo rinnovamento
edilizio, che si concretizza nell’aspetto e nelle comodità di tanti edifici privati così come nella costruzione di molti complessi soprattutto religiosi. Questi
ultimi sono inseriti nel tessuto urbano, come la rico-
struita chiesa parrocchiale oppure sono ragguardevoli
strutture ai margini dell’abitato, come i conventi dei
Cappuccini, il convento delle Domenicane, quello
delle Carmelitane e diverse cappelle territoriali. Dal
palazzo Curlo Spinola al palazzo Lercari ed a tutte
queste grandi e spettacolari iniziative edilizie, è tutto una successione di stucchi fantasiosi ed illusivi, di
decorazioni dipinte, di pinnacoli e di colonne tortili,
di sontuosi arredi e pregevoli dipinti. Questa grande
fase di espansione taggese succede a quella del tardo
Medioevo, che in Liguria è un momento prolungato
nel tempo. Si tratta di un periodo che vede la grande espansione dell’abitato di Taggia. Uno sviluppo
che è abitativo ed anche monumentale e coincide con
momenti storici di grande importanza. I limiti inferiori dell’abitato fino all’inizio del XV secolo coincidevano con un lungo tracciato, quello di via San
Dalmazzo. Si tratta della via più estesa di Taggia, nel
cuore del centro storico, capace di consentire i collegamenti tra la costa e l’entroterra verso Badalucco.
Questo percorso ha sì un rinnovamento nel corso del
XV secolo, ma limitato in modo tradizionale alle case
a schiera, in sequenza le une dopo le altre, nonché
alla decorazione con importanti sopraporta o portali
per gli ingressi. La rivoluzione monumentale avviene
più in basso, in particolare lungo il tracciato del Pantan, che diventa una strada porticata. Qui si vanno a
collocare le più importanti famiglie taggesi, costruendo una sequenza di palazzi arricchiti da importanti
decorazioni in ardesia o dipinte. I portici sono uno
sviluppo naturale, che facilità lo scambio commerciale ed il rapporto sociale. L’introduzione massiva
dell’olivicoltura arricchisce sempre di più i maggiori
proprietari terrieri e si trova il terreno fertile per un
importante avvenimento edilizio, qual è la costruzione del convento dei Domenicani a partire dal 1460.
Le mura del XVI secolo, in parte ancora conservate
con i loro bastioni, rappresentano i limiti di questa
espansione. In ragione di questo clima culturale, si
concretizza il rapporto fra i lavoratori della pietra e
del cantiere di origine lombardo-ticinese e quelli di
ambito locale. La presenza dei lombardo-ticinesi in
alcuni tra i più importanti cantieri cittadini sostiene
interventi di grande importanza, soprattutto in campo
decorativo. L’opera dei lombardo-ticinesi, detti anche
maestri “antelami”, è una costante della realtà medievale del Ponente ligure. È dunque necessario cercare
di capire se e quando i professionisti della pietra sono
intervenuti nelle diverse strutture. In ogni caso gli an-
telami erano attirati dai grandi cantieri, dallo sviluppo
dei grandi centri. Taggia era fra questi anche nel XII
e XIII secolo. In questo caso le tracce più importanti
vanno cercate nel dedalo di strade che si apre a ventaglio sotto l’altura del castello. Qui bisogna guardare
verso l’alto e vedere quando le case a schiera si innalzano fino a diventare case-torri, punti difensivi legati a singole famiglie. Portali sempre più semplici ed
essenziali si aprono al centro di murature ordinate, in
piccoli blocchi di pietra. Una dimensione arcaica che
si ritrova anche nella prima campata del grande ponte
sull’Argentina. La realtà edilizia delle strade sommitali del centro storico è legata ad una vitalità minima,
arroccata, difensiva, però capace di produrre, attraverso lo sviluppo dei fruttuti, dei vigneti e dei campi
lungo il torrente. E non va dimenticata la possibilità
di sfruttamento delle risorse idriche mediante il grande canale che dal XIII secolo serve i molini e poi i
frantoi della città. Siamo ai margini delle mura o fuori
le mura del Cinquecento. Si pensi dunque ai due poli
di una città che cresce: da un lato i suoi molini e anche
l’ospedale, tuttora esistente nel fondovalle, dall’altro
il castello e le sue case aggrappate alla collina. Il castello è oggi in fase di recupero, con le sue cortine di
mura duecentesche legate dalla ricostruzione del XVI
secolo. Le case sono ancora abitate e si rincorrono
il profumo delle vivande tipiche, il colore dei panni
stesi, le chiacchiere da una finestra all’altra. Taggia è
vita d’altri tempi in uno scenario unico, singolare ed a
suo modo spettacolare.
Sant’Eligio: una festa per il patrono dei mulattieri
e dei cavalieri.
Taggia è anello di congiunzione tra la realtà storica e
l’attualità più viva nel campo turistico. Il tempo sembra essersi fermato, soprattutto in relazione alle attività legate al tempo tradizionale della campagna. Si
tratta di un tempo ciclico, ove ogni anno si ripetono
sempre le stesse ricorrenze festive. In campagna, un
tempo, la presenza animale più frequente era quella
dei quadrupedi, alleati dell’uomo nella conduzione
dei terreni. Cavalli, asini, muli, tutto andava bene, a
seconda degli impieghi necessari. Attorno al mondo
degli equini ruotava un sistema di vita, composto non
solo dai proprietari, ma anche dei venditori, dei veterinari (che spesso curavano anche gli esseri umani),
dei maniscalchi. Tradizionalmente, ogni categoria
aveva un santo patrono. Il mondo equino ne aveva
uno nella figura di Sant’Eligio, in dialetto noto come
“Sant’Alò” o “Sant’Aò”. Il titolo è di devozione medievale. La festa viene resa istituzionale nel 1579, in
relazione all’attività di mulattieri e maniscalchi. Alla
celebrazione della festa, che a Taggia cade al 15 giugno, so benedicevano i quadrupedi e poi avvenivano ed avvengono tuttora giochi equestri. Un tempo
si allestiva, come dicono i documenti settecenteschi,
la “corsa de Barberi”, probabilmente imparentata con
simili manifestazioni presenti nell’arco mediterraneo
e mutuate da esempi nordafricani. La corsa si svolgeva, ancora a memoria d’uomo, sulle strade lastricate
del cuore cittadino, con gran passaggio veloce nella
via principale del Pantan. Appare chiaro che cavalli
e cavalieri correvano grandi pericoli sui ripidi selciati. La corsa era seguita da una divertentissima esibizione di asini e muli, ai quali si accomunava anche
l’esibizionismo dei loro conduttori. La festa, in altre
forme, si svolge ancora oggi all’ultima domenica di
giugno. Tutto si concentra in più complesse prove di
tipo western al maneggio della sponda sinistra del
torrente Argentina. Inutile dire che attorno al mondo
del cavallo c’è ancora tanta passione e competenza.
La devozione trova asilo anche e soprattutto in chiesa parrocchiale. La quinta cappella a destra riunisce
i titoli di Sant’Andrea, San Giuseppe e Sant’Eligio,
con il dipinto principale opera di Maurizio Carrega e
datato al 1785.
La pallapugno: dal centro storico allo sferisterio.
Colpi violenti, una piccola palla velocissima e radente
le finestre delle case, gente sotto i portici e un gruppo
di scalmanati in camicia aperta sul petto, intenti soprattutto ad urlare e litigare. Questa situazione poteva
accogliere un visitatore ignaro, in un qualsiasi giorno
estivo del XVIII o del XIX secolo, proprio all’interno
del “Pantan” , la strada principale di Taggia, l’odierna
via Soleri. La strada era il campo di gioco preferito per la pratica del gioco del pallone al pugno. Fino
agli inizi del Novecento il gioco si svolgeva usando
pericolose palle di cuoio e un bracciale di legno sul
polso. La palla deve infatti essere colpita proprio con
il dorso del pugno. Successivamente, agli inizi del
Novecento, si passa alla palla di gomma e dunque
vengono abbandonati i bracciali di legno, sostituiti da
più comode fasciature di tela con una semplice protezione di cuoio sul polso. Il gioco è spettacolare. Tanto
più all’interno di un abitato, dove le case definiscono ostacoli di ogni genere, che danno effetti imprevedibili alla palla. Tantissimi appassionati seguivano
le imprevedibili partite sotto i portici di via Soleri.
Spesso, però, vi erano contestazioni e momenti difficili, soprattutto per l’ostilità dei proprietari delle case,
che vedevano danneggiati gli infissi o erano infastiditi
dalle urla e dalla confusione portata dagli spettatori.
L’Amministrazione Comunale ha però sempre difeso
a livello ufficiale la validità del gioco e la regolarità
dell’impiego del campo sul terreno pubblico, a vantaggio del divertimento popolare. Solamente molto
tardi, nel secondo dopoguerra, si costruisce il moderno sferisterio lungo la sponda sinistra dell’Argentina, teatro di grandi sfide fino ad oggi, apprezzate dal
pubblico locale ed ospite. Nel frattempo è stato anche
abolito ufficialmente il sistema delle scommesse, con
puntate legate ad ogni fase di gioco. In questo modo
la pallapugno si è ormai imposta con una dimensione
sportiva completa e moderna.
Il gioco: che cos’è, come si fa.
Nell’insieme, la pallapugno è un gioco di potenza e
precisione. Si gioca in quattro: un battitore, che sopporta il maggior carico di lavoro, una spalla o “centrale” e due terzini avanzati. La palla in battuta può
essere spedita ad oltre 70 m. di distanza. Scopo del
gioco è fare punti o scagliando la palla oltre il fondo
del campo avversario oppure costringendo l’avversario al fallo, se viene colpito dalla palla, con esclusione
degli avambracci, unici punti abilitati al gioco regolare o se getta la palla di volo oltre il limite laterale del
campo (“ciello” per i Liguri, “intra” per i piemontesi)
oppure conquistando terreno al gioco delle cacce. Le
cacce rappresentano un limite fissato nel gioco precedente. Il punto viene fissato quando la palla non è più
giocabile, perché ha fatto più di un rimbalzo o perché
è uscita fuori dopo il primo rimbalzo valido. Si segna
così un punto ai bordi del terreno, che rappresenta il
punto da superare nel gioco successivo. Appare chiaro che la variabilità della collocazione può favorire
o sfavorire una squadra, a seconda che la caccia sia
molto vicina o molto lontana. Si devono fare tante
cacce quante siano sufficienti a garantire la conquista
di un gioco ad una delle due squadre, fino a un massimo di quattro. I punti sono gli stessi del tennis e di
tanti sport pallonistici: 15, 30, 40 e gioco. Sul 40 pari
si va ai vantaggi. Le squadre cambiano campo e si
disputano la caccia, in un vera e propria conquista di
terreno. Si fa punto ovviamente nei modi già previsti,
con il “ciello” o con il fallo avversario), ma anche
neutralizzando la palla oltre il limite prefissato della
caccia, rendendo così impossibile la rimonta dell’av- di “faustball” (palla a pugno). Paesi Bassi, Belgio e
versario…infatti basta schiacciare la palla oltre que- Francia del Nordest si distinguono con le loro varianti
sto limite, curando che faccia più di un rimbalzo e la del gioco, fra le quali spicca il “keatsen” olandese.
palla non è più giocabile. I falli e soprattutto il gioco delle cacce dà origine spesso a pesanti discussio- Un tempo il gioco del pallone era praticato in tutta
ni, che peraltro fanno parte della tensione del gioco. Italia, da Bologna a Firenze, da Roma a Genova, con
Normalmente si gioca sulle distanze degli 11 giochi. grandi interpreti nelle Marche, cantati anche da GiaQuando una partita è finita 11 a 10, normalmente si è como Leopardi, e nel napoletano (a Napoli esistono
giocato per più di tre ore !!! Magari d’estate su di un ancora tre “vicoli per il pallonetto”, a Santa Chiara,
San Liborio e Santa Lucia ed un “via del Pallone” ora
campo assolato !
via San Bartolomeo). Oggi è relegato in varie forme
I giocatori uniscono l’esperienza alla capacità atleti- in alcune regioni: Liguria occidentale e Piemonte meca: tutto il corpo è sollecitato, gambe e braccia. Ci si ridionale per la pallapugno, Marche per la palla con
muove molto, ma i ruoli sono assai specializzati. Con- il bracciale, Toscana per la “palla eh!”, Bergamo e
ta anche sapersi muovere e prevedere gli spostamenti Brescia ancora per la pallapugno e per la palla legdella palla, spesso velocissimi ed imprevedibili. Del gera. Un gioco da palestra, il pallone leggero, si sta
resto, può capitare che la palla sia scagliata ad una diffondendo dalle scuole ad un maggiore impegno in
velocità superiore ai 150 Km all’ora… Il pubblico si ambito nazionale. Da alcuni anni la federazione interpuò così divertire a lungo, sulle gradinate, bevendo nazionale dei giochi di palla ha definito delle forme
vino e mangiando frittelle di cipolla…gli snack mo- sportive unificate ed ha potuto organizzare campionati
derni spesso non sono presi in molta considerazione. europei e mondiali, con la speranza di poter giungere
ai Giochi Olimpici. I prossimi mondiali sono previsti
nel 2004 e si svolgeranno tra Alba ed Imperia.
Storia e geografia del gioco.
I giochi di palla erano praticati già nell’antichità classica, sia greca che romana. Si conoscono diverse va- Oratorio della Ss.ma Trinità dei confratelli Rossi.
rianti. Le aree archeologiche presentano ancora spazi L’oratorio della Trinità è sede di confraternita: si trocostruiti appositamente come sferisteri. Lo sferisterio va lontano dalla chiesa parrocchiale, ai margini setè il lo spazio ove si praticano gli sport pallonistici. Di tentrionali di Taggia. In questa dimensione si ritrova
solito è uno spiazzo ampio e largo, solitamente dotato l’uso iniziale della confraternita, lontana dalla gerardi un appoggio laterale.
chia ecclesiastica e dal controllo parrocchiale. Le origini del sodalizio si collocano tra XV e XVI secolo,
Anche presso le cività mesoamericane, come gli con un deciso sviluppo nel corso del Cinquecento e
Aztechi, era in voga un gioco di palla. Sono conser- del Seicento. La veste rossa accomuna i confratelli
vati numerosi sferisteri ed immagini significative che taggesi all’Arciconfraternita della SS.ma Trinità dei
fanno comprendere la difficoltà del gioco, legata alla Pellegrini e dei Convalescenti di Roma, fondata nel
necessità di far passare una palla di cucciù entro uno 1548 da San Filippo Neri. L’adesione della confraterstretto anello di pietra, utilizzando gomiti, ginocchia nita taggese a quella romana è del 1576. L’appoggio
e gambe. Il gioco aveva un evidente valore sacrale e ai pellegrini ed ai malati è testimoniato dalla presenreligioso. Nell’Europa medievale si ricordano molte za dell’ospizio e ospedale annesso all’oratorio, oggi
fonti documentarie che citano la pratica di giochi di utilizzato come sala di riunione. Poche sono le notipalla. Il Rinascimento e l’età barocca sono determi- zie utili del primitivo oratorio, forse piuttosto piccolo
nanti per la diffusione unitaria della pratica sportiva e comunque in linea con gli edifici del XVI e XVII
in tuta Europa ed in Italia. Sfruttando l’appoggio delle secolo, alcune significative presenze decorative. Il
mura cittadine e successivamente con la costruzione grande rinnovamento barocco, estremamente vitale a
di veri e propri sferisteri, si nota una varietà di pra- Taggia, ha permesso la ricostruzione della chiesa. Il
tiche molto vivace. In Spagna esistono molti giochi cantiere inizia nel 1684 e continua a lungo. Il nuovo
di palla, dalla pelota basca alla pelota valenciana. I oratorio viene costruito in forme monumentali, molto
medesimi sport sono diffusi in tutta il sud America. ampio in lunghezza, con la necessità di sfondare la
Tutto il mondo germanico e nordico è appassionata linea delle mura cittadine. Ne è responsabile l’archi-
tetto Gerolamo Arlotti di Riva Ligure, lo stesso che si
è occupato della nuova chiesa parrocchiale. La realtà
decorativa, ricca, complessa e sostenuta da molte presenze pittoriche, viene portata avanti nei secoli successivi. In ogni caso spicca subito la facciata, datata
al 1690, con i suoi due ordini culminanti in timpano
regolare con pinnacoli laterali.
Usi paraliturgici ed etnografici.
Anche i Rossi, come i Bianchi, hanno il più importante momento di vita confraternale durante la Settimana
Santa. In questo periodo si rivive la Passione di Cristo
con alcune manifestazioni particolari. Si comincia ad
esempio con il pranzo del Giovedì santo, cui segue la
tradizionale distribuzione del biscotto, memoria della
distribuzione di cibo ai poveri. In confraternita vive
ancora la tradizione della “lavanda dei piedi”, memoria di quella di Gesù agli Apostoli. In questo caso le
maggiori cariche del sodalizio sono tutte impegnate:
il vice priore lava i piedi agli altri confratelli, il decano li asciuga ed il priore bacia l’alluce. Ovviamente
sono prescelti 12 confratelli. Si mangia poi il biscotto
pasquale con un po’ di vino. La “lavanda dei piedi”
viene ripetuta in parrocchiale dal parroco, che lava i
piedi a sei confratelli rossi e sei bianchi.
L’interno dell’oratorio.
L’interno si presenta ad unica navata, con due sole
cappelle laterali nei pressi del presbiterio. Quest’ultimo ha una forma rettangolare piuttosto ampia. Lungo
le parete si distinguono lesene binate e ribattute, completate da una ricca decorazione a stucco, inizialmente frutto della mano del ticinese Gerolamo Comanedi. La realtà decorativa si dipana nel corso del XVIII
e del XIX secolo, mediante una serie di interventi
con sistemazione degli altari laterali e collocazione
di molte opere d’arte. Molti ornamenti a stucco, tra
cui le varie statue di santi nelle nicchie, sono realizzati dai ticinesi Pietro e Stefano Notari. Poco dopo
l’ingresso dell’oratorio si notano ancora gli stalli lignei seicenteschi, relativi alle massime autorità della
confraternita. Degno di nota è infine anche l’organo
opera di Paolo Mentasti e figlio di Novara, giunto sul
posto nel 1877.
Salvatore Revelli.
Compianto sul Cristo Morto. 1844. Si tratta della prima rilevante opera che accoglie il visitatore. È una
grande lunetta a rilievo, recentemente restaurata fino
al recupero di parte dei colori originari, già coperti da
una impropria tinta bianca. Il rilievo è stato regalato
all’oratorio dal Giuseppe Revelli, fratello del grande
scultore Salvatore Revelli e anche priore della confraternita nel 1865. L’immagine originale, vicino alla
prima definizione del modello di Taggia: la prova in
marmo è quello della chiesa di San Massimo a Torino, di cui l’esempio di Taggia è una copia fedele.
Ci sono poi altri due calchi, a Genova ed a Perugia.
L’organizzazione del soggetto è vicina alla lettura dei
Vangeli: Cristo viene deposto nel sudario, sostenuto
da Giuseppe d’Arimatea. San Giovanni Evangelista
presenta tratti propri dei soggetti funebri neoclassici,
piangente e con il capo sorretto dal braccio sinistro.
Al centro la Vergine è in piedi, mentre si avvicina
dolorosamente al figlio morto, accompagnata dalla
Maddalena e da Maria di Cleofa. La realizzazione del
Revelli era stata pensata già colorata, non simile al
marmo, troppo freddo.
I dipinti alle pareti.
Gran parte delle opere pittoriche poste a decorazione
dell’interno dell’oratorio sono dovute alla donazione
del marchese Nicolò Maria Lercari. I suoi legami con
Roma, nell’ottica di un rapporto sempre mantenuto
fra Taggia e la Città Eterna, si risolvono nella commissione di alcuni dipinti al noto pittore accademico Vincenzo Camuccini. In realtà il grande artista ha
passato l’impegno a suoi collaboratori, peraltro assai qualificati. Tre nuove tele giungono a Taggia nel
1817. Si tratta dei dipinti ora sulla parete sinistra, con
il Martirio di Santo Stefano di Peter Herzog, la Strage
degli Innocenti e il San Giovanni a Patmos di Gioacchino Bombelli. La prima opera è dovuta ad un ufficiale della guardia papale, un dilettante della pittura,
non privo di capacità. Il secondo dipinto è tratto da
un celebre soggetto di Nicolas Poussin, già nella collazione Giustiniani ed ora al Musée Condé di Chantilly, in Francia. Nella medesima collezione romana
si trovava anche il soggetto del Domenichino che ha
ispirato il terzo dipinto. Sulla parete destra si trovano
altri tre soggetti, tutti di autore ignoto. Il ritrovamento
delle reliquie del Battista a Mira è databile, come gli
altri due, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. L’opera è legata alla definizione netta e precisa
della pittura storica dell’Accademia. Sempre di ignoto artista sono i due altri soggetti con la Morte di San
Francesco di Sales con Santa Giovanna di Chantal e
l’ Incontro di Suor Giovanna Freniot de Chantal con
San Vincenzo de’ Paoli e San Francesco di Sales, tutte
opere legate ad una capacità descrittiva di carattere
devozionale, semplice ed immediato.
Cappella laterale sinistra. Cappella di San Benedetto Martire.
La cappella è stata definitivamente sistemata nel
1771, anno in cui giungono sul posto le reliquie di
San Benedetto Martire, provenienti dalle catacombe
di San Lorenzo a Roma. L’altare viene così definito
nelle forme tipiche della realtà del terdo Settecento
locale. Concorrono alla decorazione anche importanti
presenze artistiche. Spicca per esempio il Crocifisso
che accoglie il corpo di Gesù di fattura quattrocentesca, affine a tanti altri esempi di simili oggetti processionali collocati nella regione. L’altro importante
Crocifisso facente parte dell’inestimabile patrimonio
della confraternita è quello in avorio, produzione romana e databile alla seconda metà del Seicento o, al
messimo, entro i primi venticinque anni del Settecento. Si tratta di un’opera eccezionale, per qualità e dimensioni, donata alla confraternita a metà Settecento,
in forza di un rapporto stringente con l’ambiente artistico romano.
In chiesa vi sono altre opere pittoriche di rilievo. Tra
queste si segnalano quelli ai margini dell’arco trionfale tra navata e presbiterio. Spicca un Ecce Homo di
ignoto pittore bolognese, capace di riprendere i motivi di Guido Reni. Il classico riferimento alla provenienza romana viene ritrovato per il Compianto sul
Cristo morto, del secondo Settecento. Sempre allo
stesso periodo si fa risalire il dipinto ligure con Gesù
Cristo sale al Calvario, riferibile ai semplici e didattici modelli del barocco classicista. Notevole è infine
il San Gerolamo in meditazione, già visto vicino ad
una provenienza bolognese e comunque pienamente
in linea con i modelli di primo Seicento. In controfacciata, sulla struttura protettiva dell’ingresso laterale
destro, è oggi appeso un interessante dipinto seicentesco, rappresentante una scena singolare: un uomo
viene aggredito da alcuni briganti, i quali sono però
sopraffatti da un gruppo di scheletri che escono dalle
tombe in chiesa: alcuni sono vestiti con la cappa rossa della confraternita. L’ammonimento del quadro è
chiaro: i morti difendono i vivi, cioè i benefattori della confraternita. L’opera riporta ad un pieno Seicento,
violento, sanguigno e ricco di tensioni.
Cappella laterale destra.
Anche questa cappella è arricchita di componenti decorative di tipo settecentesco, con il pregevole altare
compiuto dalla bottega di Agostino e Giuseppe De
Ferrari, genovesi trasferiti in Riviera e molto attivi
nella zona a fine XVIII secolo. La tela principale presenta la Vergine Immacolata ed i Santi Filippo Neri
e Vincenzo Ferrer ed è legata alla maniera graziosa
e piacevole della bottega di Francesco e Maurizio
Carrega, con prevalenza per quest’ultimo, figura dominante del mondo artistico della seconda metà del
Settecento in Riviera di Ponente.
Il presbiterio e l’altare maggiore.
L’area presbiteriale è ovviamente il fulcro visivo del
complesso ed è ricca di tematiche decorative incentrate sul motivo trinitario. La volta del presbiterio è
percorso da ornamenti geometrici e figurativi floreali
a stucco, legati alla maniera della bottega dei ticinesi
Notari (fine XVIII-inizio XIX secolo). Il complesso
dell’altare maggiore è frutto di interventi diversi. La
mensa è tipica delle realizzazioni genovesi di tardo
Seicento, legate alla maniera dei marmorari lombardi
attivi nel capoluogo ligure. La sistemazione definitiva
di questa parte dell’altare si deve al 1788, forse con un
reimpiego di materiali. La grande alzata con coppie di
colonne tortili proviene dalla chiesa di San Domenico
di Genova ed è stata posta in opera nel 1831, dopo
l’acquisto da parte della famiglia Lercari. Al centro
del complesso è posta la grande tela con la Trinità
che incorona la Vergine, un’opera di ignoto, frutto di
rimaneggiamenti continui. È noto comunque un pagamento di 388 Lire nel 1642 per una grande immagine principale destinata all’oratorio, fatta venire da
Roma, nell’ottica dei continui rapporti tra Taggia e la
Città Eterna.
Altri dipinti.
La statua processionale della Trinità che incorona
Il titolo originale della cappella era quello dell’Angelo Custode e quindi la dotazione della cappella
comprende anche una teletta di primo Settecento con
questo soggetto, opera ancora di produzione romana,
elegante e coinvolgente, capace di sostituire in modo
assai degno il dipinto più antico, ora in sacrestia.
L’opera era stata donata dal marchese Domenico Maria Lombardi, residente a Roma. Sull’altare era pure
eretta una “compagnia dell’Angelo Custode”.
la Vergine.
L’elegante statua processionale è stata recuperata da
un felice restauro. Nel 1720 i confratelli Rossi avevano contattato il famoso scultore Giacomo Antonio
Ponsonelli affinché realizzasse la nuova effigie processionale. Probabilmente lo scultore carrarese ha
solamente fornito un progetto disegnativo, poi realizzato da un altro pur dotato scultore. L’immagine
complessiva è leggera, elegante, semplice e capace
di stagliare forme precise contro il cielo in occasione
delle processioni. Pur essendo un’opera già collocabile entro la prima metà del Settecento, non è lontana da
qualche effetto proprio del secolo precedente.
L’ Oratorio dei SS.Sebastiano e Fabiano dei confratelli Bianchi.
Vi si può accompagnare ora alla scoperta di uno dei
luoghi sacri di Taggia più vicino alla religiosità popolare. Ai margini di via Soleri, presso la piazza Cavour,
si erge un oratorio che molti turisti scambiano con la
chiesa parrocchiale, per la grandiosa facciata ricca di
decorazioni. Si tratta della sede di una confraternita,
una delle due attive a Taggia. È un sodalizio laico che
vive con precise finalità religiose, particolarmente
importanti durante la Settimana Santa. In quelle occasioni si rievocano le fasi della Passione, dall’Ultima
Cena alla crocifissione.
I confratelli vestono la cappa bianca. La nascita della
confraternita deve risalire al rinnovamento religioso
apparso tra Liguria e Provenza alla fine del XIV secolo. Questo non toglie che comunque analoghe forme di associazionismo religioso fossero già presenti
a Taggia in fasi precedenti, per una relazione con il
movimento duecentesco dell’Italia centrale. La confraternita si pone sotto la protezione dei Santi Sebatiano e Fabiano, protettori contro la peste, che tanti
lutti aveva prodotto in Europa durante il Trecento. La
prima sede del sodalizio è una “casaccia”, un piccolo
oratorio fuori dall’abitato, al Colletto, lungo la strada che andava a Badalucco. Luoghi isolati e semplici
sono legati alla dimensione di isolamento e povertà
proprio di queste realtà religiose. Il sito verrà rilevato
poi dalla Comunità di Taggia nel XVII secolo. Nel
frattempo, a metà del Quattrocento, la confraternita
sceglie una nuova sede presso il “Pantan” oggi via
Soleri, ove già si stavano collocando le più importanti
residenze familiari taggesi, Infatti il 28 maggio del
1454 Mons. Enrico Rosati, di Milano, vicario del Ve-
scovo di Albenga, il Cardinale Giorgio Fieschi, aveva
concesso alla confraternita di “Nostra Signora” fuori
le mura di Taggia, di fabbricare una chiesa in onore
della Vergine Maria e dei Santi Fabiano e Sebastiano,
con cappellano e con sufficiente dote (Giardinello,
vol.III, c.418 v., mentre a c.426 è riportata da altra
mano l’anno 1409).
La prima sede era comunque ancora assai rustica.
Prevaleva la decorazione dipinta murale con le scene
dei “ misteri della Passione e Resurrezione di Nostro
Signore” e successivamente molti altari laterali. A
fine Cinquecento la confraternita di Taggiasi associa
a quella romana del Gonfalone. Nel corso della prima metà del Seicento avvengono lavori di ristrutturazione che culminano in una generale ricostruzione
iniziata nel 1643. Nel corso della seconda metà del
Seicento e del Settecento si verifica la messa in opera
di molti elementi decorativi, con la sistemazione di
arredi ed altari, compreso il monumentale altare maggiore con al centro l’immagine principale, il crocifisso quattrocentesco ritenuto miracoloso. Nel corso del
XIX secolo si compiono altre decorazioni, come la
collocazione dei dipinti di Giovanni Battista Oggero
in navata, le decorazioni a stucco e dipinte su pareti e
volte, le indorature del presbiterio (1843-1845), l’acquisto dell’organo Lingiardi (1853) e la complessa
sistemazione della facciata. L’edificio si presenta ora
ad aula unica, con importanti presenze artistiche ed
alcuni ambienti annessi ove si svolge l’attività confraternale.
Usi paraliturgici ed etnografici.
Le principali tradizioni legate alla vita della confraternita si concentrano nella dimensione della Settimana Santa. In primo luogo spiccano le manifestazioni
della Settimana santa, con la “colazione” del Giovedì
Santo. Tale uso è sopravvissuto alle condanne ecclesiastiche tra fine Cinquecento e primo Seicento e si
svolge ancora oggi in parallelo all’altra confraternita
della Ss.ma Trinità. Il pranzo si conclude con la distribuzione del “biscotto” della confraternita, il tipico
lungo pane aromatico, frutto di una storica ricetta locale. LAVANDA DEI PIEDI
Fra le altre manifestazioni storiche c’è anche la memoria delle funzioni delle 40 ore e di tutte le altre
celebrazioni pasquali. I confratelli sono molto attenti anche alle tradizioni funebri, sia accompagnando i
confratelli defunti nelle esequie, sia ospitando le camere ardenti. Storicamente è anche importante la tradizione dei pellegrinaggi. Basti pensare alla memoria
ancora viva del pellegrinaggio a Vicoforte di Mondovì del 23 agosto del 1595, cui avevano partecipato
ben 400 confratelli.
L’interno dell’oratorio.
L’ampio vano interno è arioso, con due altari a fianco
dell’area del presbiterio. Compaiono ancora i banchi dei Priori della confraternita, realizzati nel 1767.
Sopra l’ingresso, l’orchestra sorregge un pregevole
organo, costruito dai Fratelli Lingiardi di Pavia nel
1853, opera numero 102 e segno del grande amore
per la musica che ha sempre comportato la presenza
di strumenti musicali di alto livello nelle chiese taggesi.
Nel primo Ottocento la decorazione viene completata da quattro grandi quadri di Giovanni Battista Oggero e dalle decorazioni a stucco e da quelle dipinte
da Pietro Vivaldi di Taggia e Giuseppe Isnardi. Viene
recuperato il motivo decorativo al centro della volta,
opera di Giacomo Filippo Sappia nel 1698. Il fulcro
visivo del complesso è comunque il grande altare seicentesco, con successivi rimaneggiamenti, dove compare l’importante crocifisso quattrocentesco. L’oratorio è anche accompagnato da molti altri ambienti, tra
sacrestia, depositi e luoghi di riunione, completato da
un piccolo campanile, elegante e leggero.
ra comprendente l’alzata a doppia colonna tortile nera
con capitelli dorati compositi. La cimasa comprende
volute a ricciolo con angeli che dovevano portare i
simboli della Passione di Cristo, per una relazione con
il crocifisso antico presente in oratorio. Il complesso
marmoreo è opera di due marmorari lombardi, Giacomo Corbellino-Gio Batta Torre, ed è datato al 1695.
Ospita una statua marmorea della Vergine con Gesù
Bambino realizzata nel primo Seicento e donata dal
nobile taggese Giovanni Cassana nel 1704. Solo nel
1762 la statua viene posta su quest’altare. Il modello
di riferimento è quella dell’effigie genovese della Madonna delle Vigne.
Altare dei SS.Bernardo e Rocco.
L’opera è stata realizzata in stucco nel 1763, nell’ottica
di un completamento settecentesco della decorazione.
L’altare si distingue per la sua dimensione barocca,
con colonne tortili, capitelli compositi, fregio con listelli e cornicione ed una cimasa con apici a ricciolo
con angioletti. L’altare riunisce le devozioni per San
Bernardo, San Mauro e San Rocco, unificati già nel
1636. Vi compare il dipinto del sanremese Giacomo
Raimondo detto “Il Francia”, con i Santi Bernardo,
Mauro e Bonaventura, datato al 1751. San Bonaventura è legato all’episodiod elal fondazione della confraternita del Gonfalone di Roma, alla quale i Bianchi
erano affiliati. Il Raimondo è autore ormai noto nel
panorama locale, capace di realizzare opere di sicuro
effetto devozionale, tanto su tela quanto a livello murale, seguendo esempi del classicismo barocco.
Giovanni Battista Oggero.
La Resurrezione. L’Adorazione dei Magi (parete sini- Il complesso dell’altare maggiore.
stra). L’adorazione dei pastori. La Pentecoste (parete Il grande complesso dell’altare maggiore attrae immedestra). 1810 circa.
diatamente l’attenzione. La sua realizzazione data ai
primi anni del XVIII secolo. Progetto e realizzazione
Le quattro ampie tele che adornano le pareti della è opera del ticinese Gio Andrea Manni. La struttura
navata sono state donate all’oratorio dal Marchese principale viene completata nel 1717. Di quel comFederico Spinola e dalla moglie Antonietta Pastorelli plesso originario rimangono solo la mensa e i plinti
Curlo. In quest’opera l’Oggero raggiunge i suoi carat- che sostengono le colonne della monumentale alzateri più evoluti, capaci di coniugare motivi classicisti ta. Il tema decorativo ripropone quello utilizzato dal
barocchi ed elementi neoclassici di tipo disegnativo. Manni nel 1699 presso l’altare maggiore del santuario
Sono evidenti i modelli grafici e l’esempio recente di della Madonna della Costa di San Remo. La struttura
interpreti locali di livello, come Maurizio Carrega. è oggi completata una potente alzata accompagnata
Alcune soluzioni sono molto coinvolgenti, con brani da due ali entro le quali compaiono statue di notevole
di notturno e di riflesso luministico.
grandezza. La struttura si avvale da colonne tortili in
muratura, poggianti su doppia base. Al centro si trova
Altare della Vergine.
la nicchia che ospita l’antico crocifisso della confraL’altare è in marmo grigio o bardiglio, con una struttu- ternita. Lo spazio dinanzi al prezioso simulacro si rag-
giunge mediante due recenti scalinate. In base ad una
incisione del 1837 si capisce che nella struttura erano
state inserite le quattro grandi statue in marmo che
oggi fanno corona al complesso, che è stato definitivamente sistemato nel 1892, con la sostituzione delle
statue con le colonne tortili. Il complesso dell’altare
racchiude quindi varie presenze artistiche di rilievo.
Ovviamente si citano le quattro statue: due sono del
1680, di autore ignoto, con San Rocco, offerto dal nobile taggese Gio Maria Curlo nel 1680, mentre San
Gerolamo è stato donato da Gio Gerolamo Curlo.
Le due opere presentano un particolare dinamismo
ed una certa vivacità, sicuramente barocchi. Molto
rigide, invece sono le statue dei Santi Sebastiano e
Fabiano, del 1640, patroni della confraternita e voluti da Antonio Oggero da Taggia e fatte eseguire da
Giacomo e Martino Solaro. Si tratta dei santi patroni
della confraternita. Sopra la mensa si trova ancora il
tabernacolo della prima metà del Cinquecento, con
i simboli dei quattro evangelisti, probabile opera di
marmorari ticinesi o lombardi trapiantati in Liguria.
Ignoto scultore della Liguria di Ponente.
Crocifisso.
1400-1420.
Il crocifisso dell’altare maggiore rappresenta l’oggetto artistico di maggiore interesse ed impegno per
la confraternita. Stilisticamente si colloca all’inizio
del XV secolo ed ha i medesimi caratteri di tanti altri
esempi simili diffusi presso tutte le confraternite della
Liguria occidentale e del basso Piemonte. Il crocifisso
ha funzione processionale ed è stata significativa la
sua sia pur non accertata migrazione dall’antico oratorio del Colletto, in cima all’abitato, fino alla nuova
sede del Pantan, ancora attuale. La croce ripropone il
motivo dell’albero della vita, con un Cristo sofferente
ed ascetico. L’angelo a fianco raccoglie il sangue dalla ferita sul costato. Un particolare veramente interessante è l’impiego di capelli veri per la creazione della
chioma: durante il restauro si è capito che si trattava
di capelli offerti da tre persone diverse. Il Crocifisso è legato a particolare devozione e può lasciare la
sua nicchia solo in occasioni eccezionali. È corredato
di apici in argento del 1754, acquistate da Domenico
Maria Pastorelli e da una coppia d’angeli in adorazione, posti in basso, nella nicchia, opera del carrarese
Giacomo Antonio Ponsonelli e datati al 1721.
Gastronomia taggese
una panoramica attraente
La veduta di Taggia comprende un grande insieme
urbanistico incorniciato da colline olivate e fiorite,
appena limitate dalla larga striscia del torrente Argentina. È una visione particolare per una Liguria
già interna, sia pure a poca distanza dal mare. Taggia
esprime i caratteri propri già dell’entroterra, legati ad
un centro che è stato ed è tuttora una capitale del territorio legato alle attività di campagna. Il Comune di
Taggia, nel suo insieme, riflette una tradizione culinaria che ovviamente spazia dai piatti di pesce tipici di
Arma ai sapori agresti legati a Taggia. Una manciata
di chilometri eppure c’è una profonda differenza tra
le due aree. Taggia è depositaria di alcune tradizioni culinarie veramente arcaiche, capaci di affiancarsi
alla cucina tradizionale della Liguria interna. Vi sono
componenti del tutto tipiche e comuni a tanti altri centri dell’entroterra ligure occidentale. La condizione
principale è la varietà di sapori, seguendo una specificità che vede la cucina locale non legata ad una
componente particolare. Facciamo allora la nostra conoscenza con qualche specialità della tavola taggese.
I prodotti da forno.
Taggia aveva nel passato alcuni forni pubblici, di cui
si conosce anche l’ubicazione. I forni venivano appaltati a privati e comunque vi si cuoceva ogni giorno. Altri forni erano del tutto privati, appartenenti a
singole famiglie. Taggia ha una profonda tradizione
legata a prodotti tipici da forno, con una storia che si
affianca alle tradizioni popolari più sentite in città.
Si deve dunque parlare in primo luogo del tradizionale “biscotto” la forma di pane che ciascuna delle due
confraternite, quella dei Rossi (la Santissima Trinità)
e quella dei Bianchi (Santi Sebastiano e Fabiano), offre in occasione del pasto del Giovedì santo.
Si tratta di un prodotto particolare detto “biscotto”,
lungo settanta cm. e pesante circa un chilogrammo.
Si ha notizia di quest’usanza a partire dalla fine del
Cinquecento, come simbolo di quella che era la distribuzione di cibo e castagne ai poveri. Il pane viene
aromatizzato: un tempo si usava lo zafferano, oggi i
semi di finocchio. Questo sapore è tipico anche del
“pane di San Rocco” a Borgomaro (alta valle Impero,
sopra Imperia-Oneglia). Ogni anno il pane è accura-
tamente preparato e impacchettato con il timbro dal individua come “dieta mediterranea” ligure. È il caso
priore in carica. Secondo le ricerche di Giorgio Re- dell’uso del lardo, che rimanda alla grande tradizione
velli, l’attuale biscotto pasquale era un vero e proprio del maiale, basilare nell’alimentazione ligure mediepane confezionato fin dal XVI secolo con il grano di vale e di età moderna, ove possibile. Basti pensare
Triora, cui alla fine del Cinquecento si aggiunge il alla ricetta dello zemin, preparato con un battuto di
raro e prezioso zafferano. Il pane pasquale prende il lardo, cipolla, sedano e, volendo un gusto più deciso,
nome di “biscotto” all’inizio del Settecento, quando il pomodoro secco. Si fa soffriggere il tutto e si agsi aggiunge olio e zucchero alla ricetta originale. Si giungono i fagioli bagnati dal giorno precedente con
definisce così il caratteristico sapore agrodolce, esal- tutte le verdure disponibili tagliate fini
tato poi dalla sostituzione dello zafferano con i semi
Si fa cuocere, aggiungendo olio extravergine di oliva
di finocchio.
“taggiasca” a crudo. Si nota la presenza del fagiolo,
Allora, ci si domanda: solo durante la Settimana San- che potrebbe essere quello caratteristico di Badalucco.
ta è possibile assaporare questo pane ? Non proprio, è Tutte le verdure disponibili sono protagoniste anche
la risposta, perché presso i panificatori taggesi si pos- per il classico minestrone (menestrun) taggese. Ansono trovare i biscuteli di Taggia, una versione quoti- che qui però la ricetta tradizionale vede protagonista
diana del pane di Pasqua, piccoli, gustosi, aromatici. il maiale, tanto per l’uso del lardo nel battuto iniziale
quanto per l’aggiunta di cotenne e costine di maiale.
Ancora, altro prodotto da forno tipico di Taggia sono Il minestrone è un piatto ricchissimo e preziosissimo
i canestrèli ovvero i canestrelli, ciambelle croccanti per la ricchezza di elementi nutritivi. Se ne resta un
di circa 20 cm. di diametro, piacevolmente salate: un po’, si riutilizza il giorno dopo. E non può che essere
tempo anche questo prodotto aveva una sua specifica fatto il giorno dopo: infatti si realizzano le frittelle
dimensione aromatica, per una vicenda simile al pane di minestrone (friscioei de menestrun): l’avanzo di
di Pasqua. Un canestrello accompagna piacevolmente minestrone si amalgama ad una cipolla tagliata fine.
Si aggiungono tre cucchiai di farina, sale, un uovo
tutto il pasto.
intero, pepe e formaggio grana grattugiato. Si utilizMerita menzione, infine, la versione taggese dei gu- ze quindi l’olio extravergine di olive taggiasche, nel
belètti, citata da qualche volumetto di cucina locale quale di frigge il composto preso a cucchiaiate, di
più accurato. Si tratta di grossi manicaretti di pasta- volta in volta. La pastella di minestrone è una singofrolla ripieni di marmellata. Particolarmente tipici di larità, mentre è piacevole pensare anche alla pastella
Oneglia, sono in realtà diffusi in varie località della ove le bietole (e gée) sono protagoniste. Infine si può
Liguria occidentale. L’impiego del ripieno rimanda ricordare ancora la fricassà, fatta di piselli, fave e biealla tradizione dei ravioli dolci, mentre l’uso del mie- tole. Sono prodotti dell’orto invernale, che si rivelano
le o, meglio, delle marmellate, riporta alla memoria il a primavera. Le bietole possono crescere liberamente
grande impegno di coltivazione della frutta, ben pre- negli angoli dell’appezzamento di terreno. Si soffrigsente sul territorio della piana e delle prime colline ge la cipolla tagliata fine e si aggiungono verdure e
legumi con pochissima acqua. A bollitura si uniscono
taggesi.
due cucchiai di pecorino. La presenza del formaggio
pecorino riporta alla relazione tra gli olivicoltori tagTrionfi di verdure.
La cucina taggese trova il suo asse portante nel rap- gesi ed i pastori transumanti, i quali portavano le proporto con la terra ed in particolare con gli orti, gli orti prie greggi nel territorio taggese durante l’inverno.
che sono disposti ai margini o addirittura all’inter- La fricassà si gusta tiepida. Si tratta di preparazioni
no dell’alveo del torrente Argentina. In ogni stagio- semplici, che si possono gustare tutti i giorni secondo
ne sono disponibili le verdure ed i legumi, con una la stagione. La zuppa d’aglio fa parte di questa realtà:
sequenza eccezionale di sapori e anche di colori. Si spicchi d’aglio in acqua, bollitura e poi eliminazione
aggiunge a questa realtà una dimensione storica nel- dell’aglio: si gusta il tutto con pane abbrustolito al
l’impiego di ingredienti che giungono direttamente forno e condimento di olio extravergine di oliva tagdalla storia. Si tratta di componenti che sorprendono, giasca a crudo
almeno in rapporto a quella che l’opinione pubblica
I ripieni.
Voglia d’estate…allora voglia di piacevolezze gustose. Prodotti all’apparenza semplici, prodotti dell’orto. Sono i tanti orti taggesi, gli orti storici delle varie
“isole”. Il corso del torrente Argentina infatti delimita
vari appezzamenti di terreno, fertili e ben irrigati, da
secoli utilizzati per gli orti e per la messa a dimora
di frutta e, poi, di verde floreale. Gli orti tradizionali offrono una grande varietà di prodotti, soprattutto
nei mesi estivi. L’orto si veste di tanti colori e sfumature, rigoglioso di fronde verdissime, con l’impegno
costante dei proprietari, per innaffiare, concimare e
proteggere le colture. In questo modo l’orto non tradisce, ma regala alla tavola qualche specialità… di
qui la passione tutta ligure per una preparazione che
utilizza tutto degli ortaggi. A Taggia tutto questo ha
nomi specifici: Zeulle Cene, Suchin Ceni ovvero cipolle ripiene o zucchini ripieni. Le cipolle, dunque,
forse il prodotto più rustico e più semplice, la semina
che ha bisogno di cure meno assidue.
La cipolla diventa il croccante involucro di un ripieno
di verdure, amalgamate con uovo, dove compaiono
molti altri prodotti dell’orto. Così anche per gli zucchini, che si aprono al gusto del ripieno, ove la stessa
polpa dello zucchino è parte integrante. Lo zucchino
è quello particolare di questa zona. È quello trombetta di Albenga, che si può gustare tenerissimo, appena sviluppato, mentre la sua dimensione un po’ più
grande può agevolare la farcitura. Va detto che questo
zucchino è assolutamente proprio del Ponente ligure.
Le carni.
La particolare condizione di Taggia, centro dell’entroterra autentico, pur se a poca distanza dal mare, fa
sì che la cucina taggese annovera una varietà di piatti
di carne molto legati al contesto della vita rustica di
un tempo. La capra rimanda alla presenza delle greggi
nei mesi invernali, durante una transumanza voluta
da pastori e proprietari di oliveti, onde favorire la sopravvivenza delle greggi nei mesi meno felici. Il coniglio è arricchito di gusti particolari, con i sapori mediterranei e le classiche e ormai ricercatissime olive
taggiasche in salamoia. Infine si può ricordare un raro
e singolare parallelismo. Si parla allora della Zeaia,
versione locale della Zerèria di Ceriana. Ceriana e
Taggia sono divisi da una strada campestre che passa
per Beuzi. La cultura pastorale comune rimanda alla
presenza del maiale, curato da ogni famiglia abbiente
e talvolta dall’intera Comunità in apposite aree boscate. La macellazione del maiale a dicembre compare in
ogni ciclo dipinto tardomedievale con i soggetti dei
mesi, visibile nel contesto della Liguria occidentale.
Come si sa, del maiale, nulla veniva e viene sprecato.
È così che si produce la Zéreria, se così è possibile tradurre…si fanno bollire lungamente molte parti
meno pregiate del maiale, dal muso al piedino, il tutto
poi collocato in gelatina di maiale, il tutto raffreddato
e servito in particolari tranci. Una preparazione accurata, tipica per alcuni macellai tradizionali di Taggia.
È comunque una produzione limitata ad alcune occasioni, forse un po’ dimenticata. In queste occasioni
va ricordata e rilanciata per il suo prelibato equilibrio
di gusto. L’occasione comune erano i periodi festivi,
dal Natale alla Pasqua, come offerta dei macellai ai
clienti. La fantasia, la capacità e la tradizione dei macellai dell’entroterra ligure è un ambito ancora tutto
da studiare ed approfondire.
I classici della cucina ligure trovano spazio anche a
Taggia, con qualche minima variante. In primo luogo
la cima, Sima, ovvero la tasca di carne ripiena di bietole o insalata tritata, un po’ di mollica di pane bagnata nel latte, un uovo intero, grana, sale e pepe quanto
basta. La bollitura avviene nel brodo già caldo, per
evitare la rottura della tasca di carne. Si serve a fette.
Va detto che le memorie locali ricordano anche la versione “poverissima” della cima, con la carne, troppo
costosa, sostituita dal pane secco grattugiato a guarnire il ripieno di verdura. Il coniglio viene cucinato
con varianti: tagliato a pezzi, viene lavato con acqua
e aceto, aggiungendo le erbe aromatiche. Nel tegame vanno aggiunti due spicchi d’aglio interi con un
trito di cipolla, carota, sedano, salvia e rosmarino. Si
aggiunge l’olio e si fa rosolare con accorto allungamento di vino bianco o rosso, ma rigorosamente doc
ligure ponentino. Il tutto è guarnito dalle piccole ed
accattivanti olive taggiasche in salamoia. La principale variante vede l’aggiunta del fegato di coniglio
pestato finemente con le erbe aromatiche, con pomodori in salsa al posto del vino. Ovviamente l’aggiunta
dei pomodori rivela un’elaborazione storica recente.
Infine si può parlare delle trippe, lavate e messe in
casseruola con un trito di cipolla, carota ed una foglia
di alloro, raccolta nei boschi taggesi. Le trippe si fanno rosolare con l’aggiunta di mezzo bicchiere di vino
e pomodoro. Una variante le vede passate in acqua e
sale, poi colate su di un trito di aglio e prezzemolo,
olio ed aceto.
Si ringrazia la famiglia di Ignazio Revelli.
Arma di Taggia
si presenta
Una città multiforme
Arma è una città tutta da scoprire. Legata storicamente all’entroterra, rappresentato da Taggia,
ne è il naturale complemento sul mare.
La storia di questa città ne è testimone. Arma era un
luogo abitato fin dalla notte dei tempi, se si pensa alla
grotta del santuario dell’Annunziata.
Grotta che è all’origine del nome del luogo. “Arma”,
nella lingua ligure preromana, vuol dire “grotta”. La
strada romana raggiungeva questi luoghi.
Fino al pieno Medioevo è stato un luogo più o meno
abitato. Nel 1270 l’insediamento viene distrutto da
Baliano Doria, nell’ambito di una lotta di fazione che
si trascinava da anni. Ne consegue un abbandono dell’area, che viene destinata per secoli all’espansione
agricola: soprattutto la vite e poi fichi, frutta ed infine
olivi divengono padroni della piana alluvionale del
torrente Argentina.
buon pesce, cibo genuino alla ligure, alberghi, ville ed
un’architettura vivace, gite nell’entroterra e simpatia.
Bibliografia: GIACOBBE A., Arma di Taggia, Ed.
Atene, Arma di Taggia, 2001.
La Madonna dell’Arma
La Madonna dell’Arma: refrigerio dei nocchieri
e conforto dei peccatori in un luogo dalla storia
molto lunga…
Molti sono i percorsi speleologici del
Ponente Ligure: alcuni rappresentano
grandi
attrazioni,
altri sono accessibili
solo agli specialisti.
La grotta dell’Arma
sta a metà fra le due
situazioni, soprattutto perché vive allo
stesso modo una dimensione di grande sacralità religiosa, molto discreta ed una lunga stagione di studi e
ricerche di ambito archeologico.
E’ uno spazio dalla storia lunghissima, quello della
grotta dell’Arma…
E’ l’Arma o, come riportano i documenti antichi che
non tengono conto del rotacismo di certo dialetto locale, l’Alma. Che poi nella lingua ligure, quel misterioso idioma in parte sopravvissuto nella toponomastica, significa proprio “grotta”. Dunque, sul confine
tra Bussana (frazione di San Remo) e Arma (località
del Comune di Taggia) si trova questo grande blocco
di puddinga. Una massa chiara, lavorato dall’erosione, traforato da millenni di storia. E una storia allora
relativamente recente ha visto la presenza umana, anche se attorno cambiavano millennio dopo millennio
gli aspetti geologici e floro-faunistici.
Nel corso del XVII e XVIII secolo si attrezza un piccolo scalo marittimo, che diviene sempre più importante quando viene migliorato il collegamento con
Taggia. E’ solo nel XIX secolo che inizia lo sviluppo
insediativo, legato alla presenza della strada “della
cornice” (odierna via Aurelia) di fondazione napoleonica (1811) e poi della ferrovia (1872). Arma diventa
allora città industriale, con fabbriche per il trattamento dell’olio di oliva e fornaci per laterizi. In parallelo
si costruisce moltissimo, comprese le ville per il tu- L’Arma è uno dei siti di ricerca archeologica più
rismo d’élite, come a Sanremo. Presente e futuro di importanti d’Europa: la presenza degli antenati delArma diventa allora il turismo.
l’Homo Sapiens Sapiens data a più di 80.000 anni fa.
Siamo all’epoca di cacciatori paleolitici, che vedono
Con la moda dei bagni di mare, i chilometri di spiaggia cambiare progressivamente le loro prede dagli anisabbiosa raggiungono una fama particolare. Ad Arma mali oggi simili a quelli dei paesi caldi (Rinoceronti,
c’è tutto, sorprendentemente: storia, mare, navigatori, Jene, Elefanti) a quelli come i Cervi alati e gli Orsi
delle caverne tipici dei periodi glaciali.
Dal paleolitico medio al paleolitico superiore si vede
la fine anche della ormai certa presenza nella zona
dell’Uomo di Neanderthal, già noto in altri siti preistorici della Liguria: una linea di evoluzione umana
che si interrompe meno di 40.000 anni fa.
zione del testo. Ora è
chiaro.
Marco Valerio Caminate non è il ricostruttore di un castello militare, ma di
un castellum aquae,
Questo punto arroccato, con la grotta, in posizione cioè di una grande
splendida, attrae sicuramente anche i Liguri Intemeli cisterna che poteva
e quindi la colonizzazione romana, a non molta di- fornire acqua alle
stanza dalla via Julia Augusta. Già nel corso del XVI coltivazioni e soprattutto alle abitazioni ed alle ville
secolo si ha notizia delle vestigia di strutture di età rustiche circostanti (non si è lontani dalla villa di Busromana sul posto: e non si è lontani dalla villa di Bus- sana, di cui sopravvivono i resti).
sana, un tipico fondo romano-ligure.
I resti di questa cisterna erano ancora visibili all’iniLe fonti storiche parlano, per il XIII secolo, di una zio del Novecento. Sicuramente molte pietre di queComunità di Arma, che si riunisce nella sua chiesa sta struttura erano state utilizzate durante il Medioevo
di Santa Maria: forse è già il santuario mariano della per costruire nuovi edifici e si era trasformato già il
grotta ?
punto strategico in una sorta di fortilizio.
Ma è nel XVI secolo che lo spazio difensivo ritorna Il nome “Marco Valerio Caminate” fa capire che si
di attualità con la poderosa torre antibarbaresca del tratta di un uomo giunto dall’ambito orientale, forse
1565, voluta dalla Comunità di Taggia, ma utile anche come schiavo: successivamente liberato, aveva trovaa Bussana.
to un suo ruolo nella società di età romana. La scritta
più tarda e diversa nei caratteri che fa riferimento ad
La difesa militare si affianca al baluardo religioso un certo Autolycus può riguardare un nuovo ripristino
nel Santuario dell’Annunziata, la cappella ricavata in della struttura ad opera di questo personaggio, pure
grotta, ricca di opere d’arte: si tratta di statue e rilievi lui di origine orientale. Si tratta pur sempre di una
marmorei, tali da non essere danneggiati dal microcli- lapide celebrativa...
ma salmastro della zona.
Santuario dell’Annunziata
Posto dove oggi puoi passeggiare e meditare su mil- E’ una delle più suggestive chiese del Ponente ligure,
lenni di storia, ai margini di un’area ricca di fascino, simbolo di devozione di fronte al mare, in una condicon poche costruzioni di tipico aspetto mediterraneo, zione esiziale per la vita, esposta al sole, al vento, alla
un rapporto privilegiato con il mare e con una vege- salsedine. Già in un documento del 18 luglio 1260 si
tazione minima in uno spazio così difficile per la vita, parla di una chiesa di Santa Maria dell’ Arma . Però
che però ha sempre rappresentato vita, sia pure per le l’aspetto attuale della chiesa è quella di una cappella
costruita dentro la grotta principale, con una facciapiccole Comunità locali.
ta che chiude la medesima apertura naturale. Infatti,
Marco Valerio Caminate, restauratore del castello se il luogo di culto era già importante nel MedioeIncredibile, ma vero. La lapide di età romana, ritro- vo, è stato abbandonato per lungo tempo, anche per
vata durante la costruzione della torre nel 1564, pur i rischi imposti dal pericolo di incursioni piratesche,
venduta a fine Ottocento, è stata ritrovata in collezio- per essere poi riaperto al culto entro il 1589. Questa
minina cappella, per pochi metri posta nel territorio
ne privata al Alassio.
di Bussana, anche se idealmente competente al terriLa lettura dell’epigrafista Giovanni Mennella chiari- torio dell’Arma (il toponimo conferma questa realtà)
sce ogni dubbio. Già negli anni Trenta del Novecento ha ruolo di santuario. La sua decorazione interna è
gli studiosi avevano discusso in merito all’interpreta- interamente affidata al marmo. Questo perché la sal-
sedine rovina qualsiasi altro materiale più deperibile, come è accaduto ad un dipinto del celebre pittore
genovese Bernardo Castello (1557-1629), giunto sul
posto nel 1599.
E così sono state poste in opera le statue che compongono la scena dell’Annunciazione, scolpite nel
1606 e consegnato nel 1608 da un lombardo-genovese, Oberto Casella. Ormai le sculture ci appaiono leggermente fuori posizione a causa della risistemazione
dell’altare maggiore, pure in marmo, che è provvisto
di un paliotto intarsiato.
Questa collocazione sanciva inoltre il possesso del
santuario da parte della parrocchia di Bussana, dopo
un’annosa questione con la vicina Taggia.
Infatti Bussana era stata unita a Taggia nel 1357, ma
se ne era divisa nel 1432. Nel 1427 la questione della
pertinenza della chiesa allora nota come Santa Maria
dell’Arma era risolta dal Vescovo di Albenga, in qualità di rappresentante del Papa, con l’assegnazione del
sito religioso alla parrocchia di Bussana.
Ci sono altre due interessanti cappelle, provviste di
pale in marmo, con eleganti figure in rilievo, a loro
volta ben protette da baldacchini sempre in marmo.
Arma di Taggia preistoria
Sito di ricerca archeologica
Dopo le segnalazioni
della seconda metà
del XIX secolo, la
grotta fu scavata nel
1961-1963 dall’Isetti, dopo sondaggi
speleologici. Lo spazio principale è profondo almeno 50 m. e largo fino
a 10. Ma gli scavi, in tempi recenti, hanno comportato anche un impegno a partire dall’area sottostante
la torre antibarbaresca. Le successive campagne di
scavo sono state condotte dal prof. Henry de Lumley,
uno dei più importanti archeologi del mondo, creatore
del Museo dell’Uomo di Parigi, con la collaborazione
sul posto della Sezione di San Remo dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri.
I reperti ed i calchi dei materiali individuati sono conservati e mostrati con utili ricostruzioni grafiche nel
civico Museo Pinacoteca di San Remo
Cacciatori paleolitici
La presenza di questi gruppi di cacciatori in varie località del Ponente ligure è ben accertata, anche su di
uno spettro cronologico piuttosto ampio.
La cappella sinistra presenta la scena della Fuga in
Egitto, scolpita nel 1722 dal ticinese Gio Andrea
Manni (1658-1723), uno scultore che aveva fissato a L’attività di caccia muta con il mutare delle condizioni climatiche, con cadenze millenarie. Tra i reperti più
San Remo la sua residenza e la sua base operativa.
antichi, dell’inizio del Paleolitico Medio (100.000Quella destra è più tarda: La pala marmorea rappre- 80.000 anni fa), spiccano strumenti in pietra ricavati
senta la sacra famiglia della Vergine ed è datata al da semplici ciottoli.
1767: ne è autore Agostino De Ferrari, un genovese
che aveva trovato un’ampia possibilità di lavoro nel Nel corso del tempo subiscono minime evoluzioni sia
punte che “raschiatoi”: utilissimi in caso di attacco
Ponente ligure.
ad animali da predare e poi per spellare e squartare la
In questo modo veniva completato il sistema de- vittima. Si tratta di oggetti apparentemente semplici:
corativo del Santuario della Vergine Annunzia- in realtà sono creati con grande maestria, spesso dopo
ta: e così, come recita un manoscritto seicentesco, decine di tentativi, da questi nostri progenitori. Si trova così, in ogni strato di scavo corrispondente ad una
“e ne’ pericoli del mare invocandola il dubiosa No- epoca ben precisa, la cosiddetta “industria litica”. Per
chiero e ne’ travagli di terra il faticoso pelegrino, con assurdo, si tratta di strumenti che oggi noi non siamo
doni et elemosina per le impetrate gratie visitandola, quasi più capaci di realizzare. A patto di non voler
finire in ospedale con danni alle mani. E gli strumenallegri e consolati se ne ritornano”.
ti giunti fino a noi conservano tutta la loro efficacia:
vanno maneggiati con molta prudenza.
La presenza dell’Uomo di Neanderthal è stata accertata durante una delle ultime campagne di scavo: un
altro tassello nella particolare vicenda di questo nostro progenitore, il quale, evidentemente, non disdegnava i nostri comodi lidi.
Arma di Taggia - history
Vestigia di strutture di età romana
Con la conquista romana della Liguria (II sec.a.C.) e
la conseguente colonizzazione, si giunge ad una fase
di completo controllo testimoniato anche dalla presenza di importante
arterie di traffico.
Lungo la viabilità, in
questo caso costituita
dalla via Julia Augusta (13 a.C.) si collocano poderi e ville
rustiche. Un toponimo come Bussana ne
è la prova. E proprio
a Bussana, sotto la linea ferroviaria, si trovano strutture di età romana ancora ben riconoscibili. Materiali ritrovati nel cantiere
di scavo dell’Arma testimoniano la frequentazione
dell’area in età romana. E ci sono prove che vanno
ancora più indietro: durante i lavori di costruzione
della torre antibarbaresca si trovò una lapide di età
romana, che citava un tale Marco Valerio Caminate,
restauratore del castello.
Torre antibarbaresca
Il 10 giugno 1564 i corsari barbareschi attaccarono il
territorio taggese con una manovra ben congegnata.
Erano guidati da Luzzalino, meglio noto come Ulugh
Alì, anche se era di nascita calabrese: il suo nome originario era Luca Galeni. I cittadini di Taggia, lasciate
le campagne e soprattutto il convento dei Domenicani al nemico, si rifugiarono entro le mura. . Assieme
agli assalitori pare vi fossero anche alcuni Francesi,
forse protestanti, i quali comunque si dedicarono a
furti “mirati” di volumi nella biblioteca del convento.
L’efficace difesa, ben organizzata, unitamente all’incapacità degli assalitori, salvò la città. Si rese quindi necessaria la costruzione di un’ulteriore struttura
difensiva sulla costa, per avvistare subito le barche
nemiche ed impedire nuovi sbarchi. La scelta, per
decreto governativo, cadde sulla strategica sommità
della collina di puddinga dell’Arma, proprio sopra la
grotta, dove già dal 1562 si stava cercando di costruire un fortilizio difensivo. Vi furono diversi problemi,
però, tra la Comunità di Bussana e quella di Taggia:
i primi rivendicavano il fatto che il forte veniva costruito in effetti in una porzione del loro territorio. In
ogni caso, però, il forte era assai utile anche alla difesa di Bussana e il Senato genovese dispose affinché i
Bussanesi pagassero almeno la quarta parte delle spese. E non mancò, nell’incertezza, l’esempio del priore
domenicano Lodovico Revello, il quale prese l’iniziativa e si recò a piantare la croce sul posto individuato
per la costruzione, iniziando subito a portare pietre
dalla spiaggia: la moltitudine di popolo che lo aveva
seguito lo imitò, dando inizio ai lavori.
Testi a cura di
Alessandro Giacobbe
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