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NESSUNO E` MAI SALITO AL CIELO Dal Vangelo secondo

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NESSUNO E` MAI SALITO AL CIELO Dal Vangelo secondo
NESSUNO E’ MAI SALITO AL CIELO
Dal Vangelo secondo Giovanni 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito
al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio
dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque
crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il
mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in
lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non
ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
UN AIUTO PER RIFLETTERE
La Santa Liturgia prevede ancora oggi che il sacerdote
celebrante alzi la croce e la diriga verso i quattro punti
cardinali per indicare l'universalità della salvezza. Mosè,
ispirato da Dio, innalzò per quel popolo un serpente di bronzo:
chi lo avrebbe guardato non sarebbe morto.
Tutto ciò Mosè lo fece in figura; il suo gesto era una
prefigurazione della croce. L'evangelista Giovanni lo scrive
esplicitamente: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo" (Gv
3,14), e più avanti, quasi a ricalcare la scena biblica, aggiunge:
"Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto" (Gv 19,37).
C'è bisogno ancora oggi di esaltare la Croce, di metterla in
alto perché tutti la vedano e chi a lei si rivolge venga salvato.
Potremmo dire, anche a chi non crede, o a chi vorrebbe fosse
tolta, che questa croce non è contro nessuno.
Al contrario, è bene metterla in mostra perché essa rende
buoni i cristiani, li spinge a voler bene a tutti, li costringe ad
allargare i confini del cuore perché nessuno resti escluso
dall'amore che in quella croce parla in modo così mirabile.
E comunque a tutti la croce parla solo di amore e di perdono.
Toglierla provocherebbe un abbassamento di amore, un
allentamento della tolleranza e una diminuzione di rispetto.
Certo, qualcuno potrebbe dire: com'è possibile esaltare uno
strumento di supplizio così abominevole e atroce? E non è
insensato riservargli persino un giorno di festa? In un certo
senso ha ragione. Purtroppo, c'è da dire che l'abitudine
all'immagine della croce può aver fatto perdere quel senso di
crudeltà che essa rappresentava: non si pensa più che la croce
era tra gli strumenti di supplizio più duri e crudeli. Ma se ne
perdiamo il senso di crudeltà e di supplizio non ne
comprendiamo più neppure la santità.
Com'è possibile, del resto, afferrare la santità della Croce se
non si comprende l'amore che essa manifesta?
La Chiesa con la festa dell'esaltazione della Santa Croce vuole
mostrare a tutti l'indicibile amore di Gesù per gli uomini e per
ciascuno di noi. Non cesseremo mai di ringraziare il Signore
per il dono della santa Croce! Il prefazio della messa ci fa
cantare: "Nell'albero della Croce tu, o Dio, hai stabilito la
salvezza dell'uomo, perché donde sorgeva la morte di la
risorgesse la vita".
E' giusto esaltare la Croce: su quel legno è stato sconfitto
una volta per sempre l'amore per se stessi e trionfa
definitivamente l'amore per gli altri. La Croce è come la
sintesi, il culmine dell'amore di Gesù per il Padre e per gli
uomini.
Il Padre stesso si è commosso per un amore così sconfinato
del Figlio al punto che "lo ha esaltato e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome".
La Croce è il momento in cui morte e vita si scontrano per
l'ultima, definitiva battaglia. Essa si combatte nel corpo stesso
di Gesù. Un dramma di cui riusciamo a cogliere forse solo
qualche scheggia quando udiamo Gesù rivolgere al Padre le
drammatiche parole del salmo: "Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?". Ma subito, come a mostrare il verso
della vittoria, Gesù termina la sua vita dicendo al Padre:
"Nelle tue mani affido il mio spirito".
Di fronte a quella croce, tutti gridavano a Gesù, tra l'ironia e lo
scherno: "Salva te stesso". E' il "vangelo" del mondo: salvare
se stessi, a qualsiasi costo. Ma non è, e non può essere il
Vangelo di Gesù. Come poteva salvare se stesso Colui che
mai aveva vissuto per sé? Gesù diceva di sé: "Non sono
venuto per essere servito, ma per servire" (Mt 20, 28);
potremmo tradurre: "non sono venuto per salvare me stesso,
ma gli altri".
Morendo come è morto, Gesù ha mostrato la vittoria
dell'amore. Se ne accorse il centurione il quale guardando
come Gesù moriva, ascoltando le sue parole di abbandono
al Padre, sentendolo perdonare coloro che lo
crocifiggevano, comprese che quell'uomo era davvero il
Figlio di Dio. Quel militare romano, che non faceva neppure
parte del popolo d'Israele, abituato alla durezza e alla crudeltà
della violenza e delle uccisioni, vide in Gesù uno che amava
gli altri più di se stesso, uno disposto a dare tutta la sua vita
per gli altri, fino a perderla.
La festa di questo giorno invita tutti noi ad avere gli occhi di
quel centurione perché se anche noi li rivolgiamo alla croce e
soprattutto a quel crocifisso; anche noi saremo toccati nel
cuore e cambieremo la nostra vita.
Mons. Vincenzo Paglia
11 Settembre 2014
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