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I cereali soprattutto il grano sono stati rappresentati nei secoli sia da
ARTE E
L ETTERATURA
I cereali soprattutto il grano sono stati rappresentati
nei secoli sia da celeberrimi teoriche da famosi scrittori, poeti e
letterati. Van Gogh dipinge soprattutto autoritratti, paesaggi,
nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazioni di
campi di grano e girasoli. I suoi quadri spesso rappresentano gli
umili: lavoratori dei campi, operai e minatori. A differenza degli
impressionisti puri, Van Gogh nelle sue opere non descrive la
realtà dal suo particolare punto di vista, ma compie l’operazione
inversa, è la realtà che diventa una creazione e una
rappresentazione dell’io interiore dell’artista. Sono in molti a
considerare Van Gogh un precursore dell’Espressionismo. I quadri
di Van Gogh sono la celebrazione l'energia naturale; egli ci
suggerisce sempre il costante movimento del ciclo della natura il
vento e poi la calma, il giorno poi la notte, la notte con il
giorno,gli anni
che
passano.
La
sua
pennellata
è
dinamica
e
quasi
sembra
che il colore
risuoniall’
infinito.
Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh
Il pittore olandese ha riversato tutto se stesso all’interno
di questo quadro, il quale viene generalmente considerato,
senza prove inconfutabili, l’ultima sua grande opera prima della
sua dipartita.
228
Sotto il cielo nuvoloso e incombente la distesa del
campo di grano sembra pari a un mare in tempesta; lo stormo di
corvi avverte l'arrivo del temporale; il pittore parla di quest'opera
in una lettera al fratello Theo affermando di voler esprimere tutta
la sua tristezza e l'estrema solitudine che angoscia il suo spirito. Le
pennellate costituiscono un intreccio caotico che si dipana in
molteplici direzioni per far convergere in primo piano anche lo
spettatore; si resta pervasi da un senso indicibile di irrequietezza
ed inquietudine: i colori sono intensi, il contrasto cromatico è
evidente ed aggressivo.
Anche all’interno di questo quadro il tema
rappresentato è la natura e come si può evincere dal gran
numero di lettere che Vincent mandò a suo fratello Theo, questo
era un soggetto ampiamente amato dal pittore.
Il dipinto si può suddividere in due parti: nella parte
alta dove c’è il cielo coperto e con uno stormo di corvi che
domina tutto lo spazio; nella parte bassa invece ci sono tre
sentieri differenti nel paesaggio di campagna. Lo stormo di corvi
è ancora argomento di discussione presso i critici che prediligono
ben due correnti di pensiero riguardo il significato di questi uccelli
e del loro movimento. Alcuni interpreti ipotizzano che questi corvi
in volo possano dirigersi verso il pittore e quindi dall’opera si
pensa possano sopraggiungere brutti presentimenti e il significato
non è certamente di buon auspicio. L’altra corrente di pensiero
invece identifica il volo dei corvi come un viaggio di
allontanamento, quindi come se questo stormo si stesse
allontanando e quindi potrebbero rappresentare un senso di
sollievo per l’artista.
I tre sentieri presenti in “campo di grano con volo di
corvi”sono interessanti quanto il significato degli uccelli; i due
sentieri che si trovano di lato del paesaggio, infatti, sembrano
non avere né un punto di inizio e né una fine; questa
229
rappresentazione indica probabilmente la confusione e l’ansia
costante che lo ha accompagnato per tutta la vita.
Il sentiero centrale, differentemente dagli altri due
laterali, non ha una via d’uscita, comunemente collegata ad
individui che sono irrimediabilmente tormentati e persi nel fluire di
un’esistenza angosciante; probabilmente questo sentiero
rappresenta l’angoscia che ha caratterizzato il pittore e le sue
opere per tutta la sua produzione pittorica.
La tecnica di realizzazione questo quadro è molto
particolare e riassume tutti i punti fondamentali dello stile di Van
Gogh. Il campo di grano, in particolare è stato realizzato per
mezzo di getti di giallo forti e vigorosi, e il colore che domina il
resto del cielo, ovvero l’oscurità rappresentata con il colore nero,
pian piano comincia a prendere il sopravvento su questo bel
paesaggio di campagna.
La meridiana da Millet (1889-1890) Questo quadro trae
ispirazione dalle incisioni di un disegno di Jean Francois Millet;
Van Gogh s'ispira al
modello
di
riferimento ma il suo
genio emerge e gli
esiti sono del tutto
sorprendenti: si tratta
di una scena estiva
in piena campagna
durante il periodo
della
mietitura;
assistiamo al riposo di
una
coppia
di
contadini vicino ai
covoni di grano quando il caldo diventa insopportabile; ancora
una volta il giallo va a dominare; è il colore tipico del grano
230
maturo e della luce del sole intensa. Si trova anche un azzurro
tenue e tendente al grigio utilizzato dal pittore per gli abiti dei
contadini per il carro con i buoi e per il cielo.L'artista dipinge con
pennellate nervose, vibranti e dense di colore: traspare un senso
di pace e tranquillità inconsueto se paragonato ai tormenti
interiori che devastano la mente e il cuore del genio.
Van Gogh torna a dipingere dopo essersi fatto
internare nel manicomio di Saint Remy. Egli realizza i paesaggi
solari nel quale si intravede un'intima commozione: la natura
ormai non ha più contatti con il reale, infatti viene descritta con
grandi pennellate sinuose in cui i colori sono stupefacenti. Il
soggetto
è
un
angolo
di
campagna, dove si trova un
cipresso sulla destra, il
cielo è
tormentato dal vento e offuscato
dalle nuvole e un grande campo
di spighe si trova in primo piano. Un
bellissimo effetto illusionistico di
luce/ombra e di movimento è
dato grazie alle varie tonalità di beige che vengono utilizzate per
rendere questo campo di grano
che domina tutta la parte bassa
del quadro. Sono presenti varie
tonalità di verde, a cui si vanno
ad aggiungere anche i cipressi
sempre dello stesso colore, ma
nettamente più distinti e scuri.
Sullo sfondo possiamo ammirare
invece le montagne di un colore
azzurro e blu, che, nonostante il colore simile, è in netto contrasto
con le nuvole piene di curve nella parte alta del dipinto.
231
In questo quadro sembra che il vento realmente
pieghi le spighe, i cespugli e gli alberi con una dolcezza
struggente; le spighe sono poste a distanza ravvicinata e si
possono cogliere pennellate brevi e filamentose che diventano
poi vorticose nelle nuvole del cielo; nel quadro traspare
l'intensità delle emozioni che devastano l'animo del genio
immortale.Il seminatore fu realizzato ad Arles nel giugno del 1888,
e Il mietitore nel settembre del 1889, questi due quadri possono
considerarsi addirittura contrapposti.
Il seminatore è un
soggetto ripreso da Millet, e
costituisce un valore simbolico
per il pittore che paragona la
propria fatica artistica al
faticoso lavoro nei campi, ed
esalta la figura umana come
foriera di speranza e di vita.
L’oggetto
che
colpisce
maggiormente nel dipinto è
però senza dubbio il sole, che si staglia al centro dell’orizzonte,
diffonde i suoi raggi in tutte le
direzioni, e riempie il campo
con una luce calda e vigorosa .
Qui il pittore aveva inizialmente
trovato una corrispondenza tra
il suo animo, la realtà esterna e
la sua arte. I colori de Il
seminatore
sono
forti,
complementari, e le pennellate
sono nette e sicure, quasi
simmetriche. L’acuirsi della malattia, però, produce in Van Gogh
un forte pessimismo, che si può riscontrare ne Il mietitore,
considerato dallo stesso pittore antitetico al precedente. Così
232
scrive, infatti, al fratello Theo: «Io vidi allora quel mietitore, una
figura indistinta che combatte contro il demonio (…) vidi in lui
l’immagine della morte, nel senso che l’umanità era il grano che
egli stava mietendo. È, se vuoi, l’opposto del seminatore che ho
dipinto tempo fa». La figura umana è posta in secondo piano,
mentre spiccano i fasci di spighe appena tagliate. Le altre
ondeggiano in lontananza con onde che paiono sferzate dal
vento. Sullo sfondo un muro, oltre il quale si profilano montagne
impervie.
Il sole è di un giallo spento, ed emana una flebile luce,
sicuramente molto meno intensa rispetto all’altro quadro, che
rende il cielo verdognolo. I colori sono stesi con tratti irregolari e
imprecisi, e una linea marcata definisce i contorni dei monti.
La pittura del maestro olandese è densa, materica, a
tratti stupefacente per la brillantezza cromatica e sempre
poetica, fino, appunto, a emozionare.
Des glaneuses dit aussi
spigolatrici detto anche le spigolatrici]
Les
glaneuses
[Alcune
Fedele ad uno dei
suoi soggetti preferiti, la vita
contadina, Jean François Millet
(1814-1875) affida a questo
quadro il risultato di dieci anni di
ricerche
sul
tema
delle
spigolatrici.
Queste
donne
simboleggiano il proletariato
rurale. Prima che il sole tramonti,
le spigolatrici sono autorizzate a recarsi nei campi dove è stata
già effettuata la mietitura per raccogliere in fretta, una ad una,
le spighe rimaste in terra. Il pittore ne rappresenta tre in primo
piano, schiena curva, sguardo rivolto al suolo. In tal modo,
l'artista giustappone le tre fasi del movimento ripetitivo e
233
spossante che questo duro lavoro impone: chinarsi, raccogliere,
alzarsi. L'aspetto dimesso delle spigolatrici, la scarsità del loro
raccolto si contrappone all'abbondante quantità di grano che si
scorge in lontananza: covoni, fasci, un carretto stracolmo e una
moltitudine frenetica di operai addetti alla mietitura. Tutto questo
pullulare gioioso e splendente appare tanto più lontano quanto il
cambiamento di scala è brusco.
La luce radente del tramonto accentua i volumi del
primo piano e conferisce alle spigolatrici un aspetto scultoreo.
Essa sottolinea vivacemente le loro mani, le nuche, le spalle, la
schiena e ravviva i colori dei loro indumenti. Poi, delicatamente,
Millet sfuma le immagini in lontananza per creare un'atmosfera
dorata e polverosa, aumentando l'impressione bucolica dello
sfondo. Sulla parte destra della tela, isolato dal resto dei
personaggi, il pittore ha raffigurato un uomo a cavallo che, molto
probabilmente, è un amministratore.
Costui ha il compito di controllare di persona il lavoro
effettuato assicurandosi anche che le spigolatrici rispettino le
regole che sono state imposte loro. La sua presenza ribadisce le
differenze sociali tra gli individui e ricorda anche l'esistenza dei
proprietari dei quali egli è l'incarnazione. Senza ricorrere ad
aneddoti pittoreschi, tramite semplici e sobri procedimenti
plastici, Millet conferisce a queste spigolatrici, senza dubbio
povere ma non per questo prive di dignità e il valore, un valore di
emblema, spoglio di ogni senso di compatimento o di falsa
condivisione.
234
La serie dei "Covoni" di Claude Monet - "I covoni"
rientrano tra le meno note
riproduzio
ni seriali
dell'autore
impressioni
sta
Claude
Monet. Questa serie di opere (come è
anche il caso delle "Cattedrali di Rouen" o dei "Pioppi") servono
all'autore per studiare in modo analitico, con rigore scientifico, di
ricerca il mutamento e le qualità della luce
su di un medesimo soggetto. Nel caso di
specie si tratta di covoni di grano ed
avena disposti in aperta campagna. I
Covoni furono realizzati
“en plain air”, pratica
pittorica abbastanza
usata dagli
impressionisti che
consiste nel dipingere
un quadro all’aperto in
modo tale da riuscire
a cogliere le sottili
sfumature della luce sugli oggetti inanimati e l’essenza delle
cose.
235
Ogni colore è parte di una
musica d'orchestra; Monet
è uno dei più grandi
paesaggisti e riesce a
carpire
ogni
singolo
elemento;
egli
e
il
rappresentante
che
maggiormente incarna gli
ideali
e
le
tecniche
impressionistici, cattura la luce vibrante. Il pittore fermava il
modificarsi della luce; egli utilizza molti cavalletti, in quanto
l'opera poteva essere finita nel breve
tempo o, diversamente, il pittore l `
abbandonava, passando ad un'altra
opera, e rimandava la fine della prima
opera alla stessa ora di uno dei giorni
successivi. Monet rappresenta dunque la
medesima inquadratura, con andamenti climatici, stagioni, luci,
situazioni meteorologiche diversi per tempistica .
Egli utilizza una fitta
serie di pennellate di molteplici
colori come il blu, il bianco, le
varie tonalità di rosso e il
violetto.
Il colore di un singolo
oggetto non esiste in sé e per
sè, infatti ogni colore nasce dalla
stretta influenza del suo vicino.
L’autore intende rappresentare fondamentalmente tre
elementi basilari dell'esistenza oggettiva : lo scorrere del tempo,
l'istantaneità, la "luminosità intrinseca delle cose". Il suo dipingere
è poesia della luce.
236
Molto importanti, come detto, sono gli esperimenti
effettuati dal celeberrimo pittore sui covoni, il singolo dipinto in
tutte le serie effettuate diventa la parte di un'opera; egli, nei
covoni, rappresenta il grano o l ` avena e non il il fieno, infatti,
questi elementi costituiscono una risorsa economica e
alimentare molto rilevante. Ama molto il mondo rurale e lo
preferisce all'ambiente
cittadino; Monet vuole
cogliere l ` involucro
luminoso delle cose e quindi
di fatto gli oggetti restano
privi di consistenza materiale.
Anche Vassily
Kandisky (1866-1944) nel
1913 afferma ` nei covoni si
avverte la distruzione degli
oggetti nel colore, per la prima volta intuisco la possibilità di
un'arte totalmente astratta`.
Nello stesso periodo molti pittori ripresero il soggetto
dei covoni tra i quali ricordiamo: Van Gogh, Gauguin (18481903)
nel
1890
(Covoni di fieno in Bretagna). Per Gauguin il colore è carico di
significati simbolici, ciò che si nasconde nella dimensione interiore
e nell'ignoto, perciò è autentico ed assoluto, Pur non
corrispondendo alla realtà naturale, il colore ha la facoltà di
trasmettere le emozioni, tanto da assumere la prevalenza su tutte
le altre componenti dell'espressività pittorica.
La pittura di Cézanne (1839- 1906), priva delle ricerche
tecniche che aveva indotto l'epoca positivista, cerca di
dipingere la natura non più sotto un aspetto sensorio e sensibile,
ma cogliendo l'intimità profonda ed etica.
237
Egli ricerca il durevole, il permanente e utilizza, a fini
di sintesi, ciò che gli impressionisti avevano ricercato x analisi
Vuole conoscere ciò che la natura ha di permanente ed
essenziale.
verde
Il quadro intitolato Campo
di grano è stato realizzato
all’incirca nel
1889
dal
celebre pittore
olandese
Vincent Van Gogh.
Raffigura il paesaggio di un
campo di grano ove appare anche
una casa di campagna o una fattoria e un grande e solitario
cipresso. Quindi l’opera raffigura una immagine di un paesaggio
naturale reale ma interpretata nei tratti e nella linea. La linea a
volte è sottile, spesso curva e chiaramente ben definita, a volte è
marcata, ondulata, mossa, “tormentata”, proprio come il
carattere e l’animo dell’ artista Le linee sono evidenziate dalle
ricche pennellate che vanno in ogni direzione, come se fossero
mosse dal vento, pare di sentire il vento che muove i cespugli
del quadro e che fa ondeggiare le spighe di grano e il grande
cipresso, oltre a agitare le nuvole in cielo. I colori nel quadro di
Van Gogh sono molto forti e densi, ed il loro accostamento serve
a definire anche lo spazio.
Poi abbiamo il grano col suo colore giallo naturale,
che sembra piegarsi e venirci incontro per le sferzate del vento.
Le tonalità di verde degli alberi e del cipresso di un verde più
scuro, costituiscono un specie di piano intermedio e poi vi sono
infine i colori più freddi, come l’azzurro delle montagne lontane e
del cielo, dove delle nuvole sembrano farsi sinistre a causa del
vento.
238
Guillaumin (1841-1927) è
un artista di grande avvenire, che io
amo molto” affermò Cézanne, amico
intimo che lo ritrasse in Guillaumin au
pendu (1873)
Armand
Guillaumin
dipinto les meules nel 1891 .
ha
Dipingendo “en plein air”,
Armand produsse in prevalenza
paesaggi dai vibranti cromatismi.
Morisot Berthe (18411895) in occasione della quinta
mostra impressionista può essere
considerata una delle figure di
spicco
del
movimento.
Le
composizioni hanno raggiunto un
bell’equilibrio, che poggia sul nervosismo della pennellata e
sull’armonia di colori
Macchiaioli: questi pittori rappresentano non solo
squarci di vita gioiosa ed agiata; sono i soggetti dell'opera di
questi artisti, anche i paesaggi: campi di
grano, profili di colline lontane, piccoli orti
di campagna,
forti buoi bianchi che
tirano carri e aratri; tutto il mondo rurale di
fine secolo ripreso anche nella sua dura
realtà di
arduo lavoro, di miseria e
povertà.
239
Giovanni Segantini (1859-1899) dipinse “L’aratura”. La
sua
arte
fu
influenzata
da
Grubicy
e
si
accostò
alla
tecnica
del
divisionismo
che
già egli aveva
intuito come si
evince dagli effetti
luministici dei suoi
quadri.
Il divisionismo è una tecnica di pittura, che consiste
nell’accostare i colori puri, applicandoli sulla tela a piccoli tratti
separati, nasce ufficialmente nel 1891, quando le prime opere in
questo stile vengono esposte alla Triennale di Brera. La tecnica di
Segantini, in questo ambito, si evolve verso un proprio personale
simbolismo. Nel febbraio del 1891, in un suo articolo scrive: «…e
incomincio a tempestare la mia tela di pennellate sottili, secche
e grasse, lasciandovi sempre fra una pennellata e l'altra uno
spazio interstizio che riempisco coi colori complementari,
possibilmente quando il colore fondamentale è ancora fresco,
acciocché il dipinto resti più fuso. Il
mescolare i colori sulla tavolozza è una
strada che conduce verso il nero; più puri
saranno i colori che getteremo sulla tela,
meglio condurremo il nostro dipinto verso la
luce, l'aria e la verità». Egli predilige
soggetti campestri con effetti coloristici
decorativi notevoli.
240
Giovanni Fattori (1825-1908) dipinge “L’Aratura”. Il
colore è rapido e caldo. La scena è grave di un’atmosfera cupa
in cui si stagliano le due figure. Egli generalmente dipinge scene
di genere con intenti paesistici. La sua cultura visiva nasce dalla
lunga osservazione quotidiana del vero naturale e della società.
Vincenzo
Campi
(1536-1591)
dipinge
“Il
Mangiafagioli”; in primo piano il
contadino viene ritratto nel gesto di
mangiare i fagioli; in basso si vede il
pane scuro, formaggio stagionato e
le teste d’aglio, tipici alimenti
destinati ai poveri e non sempre
presenti in abbondanza; infatti, tra gli
strati più umili della popolazione la
paura di patire la fame era atavica. La resa pittorica è di grande
effetto, anche i visi denotano un impasto coloristico di diffusa
luminosità. Il disegno è netto e lineare, la scena è di genere, si
vede ritratto “l’animus popularis”, i gesti sono spontanei attinti dal
reale rustico.
Giuseppe Manzone (Asti, 1887 –
1983), ha dipinto ‘’Gelsi in un campo di
grano’’ il quadro è esposto a Palazzo Mazzetti
ad Asti. Per anni questo artista profuse il suo
impegno
esclusivamente
per
ritratto,
intervallando alcuni affreschi presso il Salone
della Camera di Commercio e l'Ospedale di
Asti.
Nel 1926, iniziò ad interessarsi
alla rappresentazione
paesaggistica dell'astigiano. Nei suoi quadri sono rappresentate
le vigne e le colline con una efficace interpretazione della vita
contadina.
241
Le immagini pittoriche di Manzone,(il Monferrato, la
Langa, i castelli, le case coloniche), raffigurano un paesaggio in
cui la luce predomina e su cui si muovono personaggi di vita
contadina. Una pittura chiara fresca ed ariosa che rivela il
profondo amore per la propria terra. Alcuni critici lo considerano
il "virgiliano" cantore dell'astigiano, in relazione alla sua attenzione
alle rappresentazioni bucoliche del paesaggio.
Fra i paesaggi di artisti astigiani e piemontesi eseguiti
tra fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo,
figurano, esposte a Palazzo Mazzetti ad Asti le vedute dipinte da
Domenico Rabioglio alla fine dell’Ottocento (Mercato delle
verdura ad Asti e Paesaggio astigiano), il Paesaggio con rudere
arcaico (1909) di Agostino Bosia e i paesaggi astigiani di
Guglielmo Bezzo, Alfredo Fea, Giuseppe Manzone e Demetrio
Corino.
Agostino Bosia, mancato nel
1962, fu artista di grande notorietà nei
primi tre decenni del Novecento: eseguì
ritratti e dipinse ampie composizioni
simboliche: divenne protagonista della
modernità torinese. Egli dipinse anche un
quadro il “Giardino della vita”che Piero
Gobetti in “Energie nove” definisce “più
che mai rispettoso della più nobile tradizione anche nei suoi
grandi quadri”. Il dipinto è legato anche ai temi della terra: sulla
destra si scorge un lavoratore chino sulla terra vangare e vicino
un ragazzo che indossa una camicia bianca spingendo una
carriola.
Sempre a Palazzo Mazzetti vi sono due sale dedicate
all’opera di Michelangelo Pittatore, il maggiore artista astigiano,
(1825-1903) allievo di Tommaso Minardi presso l’Accademia di
San Luca a Roma, dove fu nuovamente tra il 1852 e il 1858.
242
Sono presenti le opere giovanili (tra
cui la piccola tela con l’Allegoria dipinta nel
1848), quadri di genere come Il Trasteverino di
ispirazione nordica, soggetti religiosi e, infine il
nucleo di ritratti, che rappresentano un vero
documento
della
borghesia
astigiana
dell’epoca post unitaria. E’ presente anche una piccola natura
morta in cui in primo piano vi è un coltello con un salame tagliato
ed in secondo piano un bicchiere di vino con una tipica
pagnotta astigiana(Micca); la luce convoglia sul pane e si
ipotizza che questo possa essere stato il pranzo di un contadino o
di un operaio dell’epoca storica del pittore.
Anche alcuni scultori hanno rappresentato il grano; un
esempio si ha nella cattedrale di
Ferrara in cui sono raffigurati tutti i
mesi e i lavori tipici; queste sculture
sono eseguite dal Maestro dei Mesi
nel XII secolo; a Luglio si ammira “La
trebbiatura del grano”. Vi è
l’immagine del pane, il simbolo
dell’eucarestia, del corpo di Gesù,
della semplicità del cibo. Inizia il nostro approccio al
Cristianesimo. Le sue opere (presenti anche a Forlì e a Venezia)
testimoniano l’altissima qualità del lavoro di un artista che si è
formato nell’ambito della tradizione romanica padana di
Benedetto Antelami, per poi giungere ad approfondire gli
aspetti più legati alla resa del naturale creando un linguaggio
inedito che ha come referenti diretti la scultura gotica dell’Ile-deFrance.
Anche sulla cattedrale di Modena sono rappresentati i
lavori divisi per mesi: sulla faccia interna degli stipiti si snoda il
ciclo dei Mesi, che non si trova a decorare, come talora accade,
243
la facciata principale della cattedrale. Ogni mese viene
rappresentato da un contadino colto in un'azione tipica della
stagione; a Giugno il lavoro del contadino che impugna una
grande falce; a Luglio la mietitura; in Agosto batte le spighe
mature.
La letteratura:
L’agricoltura e la poesia hanno da sempre avuto molti
punti di contatto. I primi agricoltori stupivano ammirando i doni
dei frutti della terra, i primi poeti erano attratti miracolo della vita
che si ripete ad ogni stagione, e questo fatto ispirava i loro versi.
Esiodo, (VIII secolo a.C. – VII secolo a.C.)
contemporaneo d’Omero, compone il primo poema della storia,
Le Opere e i Giorni (VIII secolo a.C.), un inno alla rettitudine del
lavoro nei campi, alle prospere ricompense che spettano a chi
profonde dura fatica per la cura della terra “che la terra
produce, raccolti nella giusta stagione, dono di Demetra”.
Varrone estetizza la vita agricola; la sua è la visione di
un gentiluomo di campagna, la forma del Trattato è il dialogo, lo
stile brioso e di arguto, è un profondo conoscitore della
campagna, denota l'amore per la sana vita dei campi; a
differenza di Catone, che si rivolgeva al medio piccolo
proprietario che coltiva direttamente il suo fondo, egli si rivolge
ai padroni di immensi poderi, delle splendide ville; emerge
concretezza e pragmatismo: egli è attento allo sfruttamento
della
terra
per
creare
utile
guadagno.
l Rerum rusticarum libri
costituiscono
un trattato
sull'agricoltura, che Varrone scrisse a 80 anni, nel 37 a.c., quando
Virgilio si accingeva a comporre le Georgiche. Destinatari
dell'opera di Varrone non sono i piccoli proprietari terrieri, ma i
grandi latifondisti, che posseggono vaste coltivazioni e
244
allevamenti, amanti della vita lussuosa e perciò attenti ai
cospicui profitti.
Virgilio, con le sua alta poesia ha
arricchito il nostro immaginario di miti, immagini,
paesaggi dell’anima.
Egli cantava
con
complessità di significati il mistero verde della vita.
Il tema delle Georgiche, composte dal 37 al 30
a.C., è proprio la lode della natura agreste, del lavoro semplice
del contadino.
Molta poesia latina riporta versi d’amore per i campi:
“Io stesso, nella stagione più propizia, pianterò tenere viti… E la
speranza non mi deluda ma mi offra sempre grandi quantità di
grano e mosto generoso nel tino colmo”. (Tibullo, 54 a.C. , 19 a.CElegie 1,1); “ecco i compagni della primavera…/ il prato
rinverdisce, le acque nevose dell’inverno tacciono. / Nidifica
l’uccello… i pastori pingui greggi parlano / sull’erba fresc canti di
zampogna / e rallegrano il Dio che ama le mandrie / e le
montagne dell’Arcadia brune…” gioiva all’inizio della Primavera
Orazio (Ode XII).
Cantarono i lavori dei campi due nostri immortali
maestri Giosué Carducci e Giovanni Pascoli.
Anche
Umberto Saba
(1883/1957) scrisse
emozionanti quadri rurali (“la casa della mia nutrice posa / tacita
in faccia alla Cappella antica, / ed al bosco riguarda, e par
pensosa, / da una collina alle caprette amica…”), Giorgio
Caproni - 1912/1990 - (“color delle palpebre / che batti come i
fiori batte il vento… Il mandriano canta dolcissimamente /
mentre il prato mal fiorito da autunno / abbandonano
muggendo le mucche lentamente”).
245
Virgilio – Le Georgiche
La poesia di Virgilio è tra
le
più
alte
e
significative
testimonianze di tutta la cultura
occidentale, per l’enorme influsso,
letterario ed ideologico, che si
espanse nei secoli ma anche per i
sublimi concetti artistici e per i
principi di umanità che racchiude.
Le Georgiche costituiscono un poema didascalico in quattro libri.
Il primo libro è dedicato alla coltivazione dei cereali, alle stagioni,
e ai segni del cielo, di cui l’agricoltore deve tenere conto per lo
svolgimento della sua attività. Dai versi traspare una preziosa
elaborazione artistica di un materiale umile. Il poeta descrive le
varie operazioni tecniche che occorre compiere per assicurare
una buona riuscita alla coltivazione del grano. Prima di tutto non
tutti i terreni sono adatti alla stessa coltivazione: bisogna scegliere
la terra adatta e il momento opportuno, soprattutto la
condizione meteorologica più favorevole.
C’è molta insistenza, da parte di Virgilio, sul motivo
della molteplicità dei tipi di terreno e la diversificazione del loro
impiego. Mirabile è la capacità del poeta di esporre nel
linguaggio più elegante ed evocativo anche le nozioni tecniche.
Virgilio descrive la vita semplice e frugale di un
vecchio contadino che aveva dissodato
un piccolo
appezzamento trasformandolo in uno splendido orto;il labor
improbus serve, per il Sommo Poeta, conduce sul cammino della
felicità e dell' avanzamento della società, le armi sono la
tenacia e l'amore, inventando e perfezionando mediante
l'esperienza , le tecniche e le arti.
246
Il poeta, commosso, formula un elogio alla sana vita
dei campi contro gli orrori della guerra civile; egli prova un
sentimento struggente di amore per le piante e per la natura,
ammira tutto ciò che protegge e conserva la vita, ci fa
comprendere che, con saggezza
dovremmo
esplicitare
questo
concetto, intendere che la felicità
non risiede nella quantità ma nella
qualità delle cose e persone che ci
circondano,
e
dipende
massimamente da noi la qualità, mentre la quantità è legata
maggiormente a fattori esterni. Gli argomenti dei quattro libri
sono sintetizzati dal poeta dei versi introduttivi, versi 1- 5:
Che cosa fecondi le messi, sotto quale stella
viti,
greggi,
convenga arare la terra, o Mecenate, unire agli olmi le
come si accudisca ai buoi e si curi l’allevamento delle
quanta esperienza si debba dedicare alle frugali api,
di qui l’inizio del canto.
Poi il poeta mirabilmente si esprime, cosi proseguendo:
In primavera, quando si scioglie sui monti candidi
la neve, e le zolle morbide si sfanno al soffio di Zefiro,
deve iniziare a gemere per me il toro con l’aratro
a contatto col suolo, e a splendere il vomere
consumato dal solco. Risponde ai desideri del colono più avido
freddo.
il terreno che ha sentito due volte il sole e due volte il
Un raccolto enorme gli sfonda i granai.
Ma prima di arare col vomere un terreno ignoto,
preoccupiamoci di conoscere i venti ed il clima,
247
e le colture antiche e la posizione dei luoghi,
ciò che la regione produce e ciò che rifiuta.
Qui vengono meglio le messi, altrove l’uva,
altrove gli alberi, oppure verdeggiano le erbe
spontanee.
Pregate che i solstizi siano umidi e gli inverni sereni,
contadini: l’inverno arido rende i granai ricchissimi
e ricco il terreno. Anche senza coltivazione può
vantarsi la Misia, e il Gargaro stesso guarda stupito le proprie
messi.
Che dire poi di chi, dopo avere gettato il seme,
incalza da presso i campi e spiana i cumuli
di terra poco grassa, e porta l’acqua corrente sui
seminati; e quando il campo riarso soffre la calura con le erbe
morenti, porta giù l’acqua dal ciglio della collina?
E l’acqua cadendo fra le pietre levigate produce
un lieve mormorio e coi suoi zampilli ristora i campi
aridi.
E di chi, perché non ceda lo stelo delle spighe pesanti,
taglia in erba l’eccessivo rigoglio del grano,
appena il germoglio raggiunge l’altezza del solco, o di
chi devia l’acqua raccolta nella palude con sabbia arida?
Tanto più se nei mesi incerti il fiume straripa,
e per un vasto spazio copre tutto di limo,
da cui trasudano conche di umore tiepido.
(Georgiche, libro primo)
248
Virgilio - Le bucoliche
Il tema
propriamente bucolico
all'introduzione e anche l'età dell'oro presenta
alcuni tratti del paradiso bucolico; vengono citate
le spighe di grano: lo stile è elevato e solenne e si
ipotizza una prossima rigenerazione dell'umanità
legata all'avvento di un bambino.
è
limitato
Ma non appena potrai leggere le lodi degli eroi e le
imprese del padre
e potrai conoscere che cosa (lett.: quale) sia la virtù,
a poco a poco la pianura biondeggerà di flessuose
spighe,
dai rovi selvatici penderà la rosseggiante uva
e le dure querce trasuderanno rugiadosi mieli.
Giovanni
Pascoli
(1855/1912)
scrive
“tra
le
spighe”(Nuovi poemetti).
Il grano biondo
sussurrava al vento.
Qualche fior rosso, qualche fior
celeste,
tra i gambi secchi sorridea
contento.
Pendeano li agli e le cipolle in reste.
S'udian, mutata alfin la voce in gola,
cantar galletti, alteri delle creste
249
In questa poesia vengono prese in considerazione
cose reali, semplici, appartenenti al mondo della natura.
Attraverso i suoi versi possiamo ammirare un campo di grano le
cui spighe dorate si muovono come sussurrando al vento. In
mezzo al giallo del grano fra i gambi secchi spiccano qua e là
fiori rossi e celesti, sono bell: i loro petali sembrano sorridere
contenti. Dai pergolati delle case rurali pendono mazzi di agli e
cipolle e i galletti nell'aia, con tono superbo e fiero cantano
alzando le creste. E intanto il grano continua a bisbigliare al
vento, le spadacciole fioriscono tra i suoi gambi gialli ignare del
loro destino. Si sente, conclude il poeta, un mormorio come di
parole, è il grano che manda un messaggio misterioso al vento.
Nei temi trattati dal poeta spesso emergono l’agricoltura, la vite,
la cura dei campi, e, numerosi sono i particolari che attengono
alla vita quotidiana. Il poeta carica questi elementi di significati
simbolici; i paesaggi, i campi, l’aratro diventano lo scenario su cui
proiettare inquietudini, ansie e perplessità.
Giosuè Carducci (1835/1907) scrive Al campo
Su, coi fecondi raggi novelli,
al campo, al campo, cari fratelli!
Al campo, al campo. Dio benedica
del campagnolo l’umile fatica.
Dolce il lavoro, quando in bel giorno
tutto il creato ci arride intorno;
e sotto il piede ci odora il fiore
che ignoto vive, che ignoto muore. (G.
Carducci)
Egli svolse vari ruoli:
fu poeta e storico della
letteratura italiana, editore di testi e filologo, critico militante,
"istitutore" e promotore di attività culturali nell'Italia unita, si può
definire un vigoroso e appassionato protagonista della società
nostra del secondo Ottocento.
250
La spigolatrice di Sapri – Luigi Mercantini (1821-1872)
Eran trecento: eran giovani e forti,
e sono morti!
Me ne andava al mattino a
spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al
mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All’isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco, e poi s’è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra.
Eran trecento …
Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra:
ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti aveano una lagrima ed un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane,
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
-Siam venuti a morir pel nostro lido!Eran trecento …
Con gli occhi azzurri e coi capelli
d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: -Dove vai, bel capitano? Guardommi, e mi rispose: - O mia sorella,
251
Vado a morir per la mia Patria bella. Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: - V’aiuti il Signore! Eran trecento …
Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontrar con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.
Ma quando fûr della Certosa ai muri,
s’udirono a suonar trombe e tamburi;
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.
Eran trecento …
Eran trecento, e non voller fuggire;
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a loro correa sangue il piano.
Finché pugnar vid’io, per lor pregai;
ma un tratto venni men, né più guardai:
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro!…
Questa ballata rievoca l’impresa di Carlo Pisacane
che cercò di liberare il sud dal dominio dei Borboni. La
spigolatrice è parte di quel mondo di contadini che non
comprendono pienamente la tragica impresa, anzi molti la
osteggiano. Gli uomini “si inchinano per baciare la terra” nobile
gesto che vorrebbe unire tutti i cittadini sotto un’unica patria.
Il testo fu redatto quando l’impresa patriottica era già
tragicamente fallita e, pertanto, dai versi si svela la speranza di
un felice esito della spedizione e, allo stesso tempo, nelle strofe
finali, il drammatico epilogo dell’avventura di Pisacane.
252
Anche testi di prosa trattano del pane, del forno e del
grano. Nei momenti di crisi, i fornai furono considerati incettatori
ed affamatori del popolo, come riporta il Manzoni (1785-1873) nei
Promessi Sposi" rievocando la sommossa del pane. La sera del 10
Novembre del 1628 Renzo, proveniente da Monza, giunge nel
capoluogo lombardo presso porta Venezia. Quella sera Renzo si
rende conto che si stanno verificando dei fatti inconsueti ad
esempio la gentilezza del viandante a cui chiede la strada per il
convento di padre Bonaventura, i gabellieri che lo lasciano
passare senza fermarlo, le strisce bianche di farina sparse per
strada e i pani sparsi qua e là per terra. Solo dopo Renzo riesce a
realizzare che Milano è afflitta da una carestia causata da
circostanze naturali, dalla guerra e dal malgoverno. Il
malcontento dei cittadini è destinato ad aumentare e così, l'11
Novembre 1628 scoppia una rivolta contro il prezzo troppo alto
del pane nota come tumulto di San Martino o rivolta del pane.
Quindi Renzo il giorno seguente incappa nei tumulti. Dopo aver
mangiato un pezzo di pane, Renzo, senza rendersi conto degli
avvenimenti gravi, si ritrova nel punto centrale del tumulto. Egli
nota una gran falla composta da uomini, donne e bambini, la
quale si dirige verso il Duomo, più precisamente davanti al forno
delle Grucce. Quando Renzo arriva davanti al forno ormai la folla
si è allontanata, così Renzo può notare i danni arrecati al forno.
Egli afferma che distruggendo il forno i milanesi non avrebbero
più avuto un luogo dove fare il pane, pensa anche che i disordini
e la distruzione dei forni non siano il metodo giusto per avere il
pane a un prezzo minore e che la gente non si percepisce le
conseguenza delle azioni che compie.
Il Manzoni poi descrive l’operato del governatore di
Milano: “Costui [il gran cancelliere Antonio Ferrer] vide, e chi non
l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sé
una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un
suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta (così
253
chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta
del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse
comunemente venduto a trentatré lire il moggio: e si vendeva
fino ad ottanta”.
Anche altri poeti e scrittori cantano e
descrivono il biondo frutto della terra. Citiamo nuovamente
Giovanni Pascoli: “ Caro il mio grano! Quando il mio tesoro, |
mando al mulino, se ne va, sì, questo; | ma quello nasce sotto il
mio lavoro. | […] | Tua carne è il pane – Ma tuo sangue, il vino –
| Che sa l'odore di pan fresco! – E che cantare fa, cantar di tino!
Cent'anni fa, per la festa di San Giovanni [24 giugno],
la messe indorava e santificava le campagne sotto la tutela delle
croci benedette, fatte d'uno stelo secco di canapa piantato sui
seminati. Il pane è la vita degli italiani, e il grano finisce di
maturare nella stagione più spessa di grandinate. (Riccardo
Bacchelli)
Il pane è l’alimento che si trova più spesso nella
produzione verghiana: è “pane scaccia-fame” che scandisce le
giornate di lavoro di Rosso Malpelo e di Jeli il pastore. Spesso
viene consumato da solo e viene detto “pan e curtiddu” perché
viene tagliato a piccoli pezzi col coltello per farlo durare di più. Si
legge nella novella “Il maestro dei ragazzi”: “sedevano a far
colazione in silenzio, tagliando ad una ad una delle fette di pane
sottili, masticando adagio”.
Il pane è consumato quasi sempre da solo o
accompagnato dalle cipolle che “aiutano a mandar giù il pane
e costano poco”, come spiega Alessi, il rampollo dei Malavoglia.
Bellissimo il contrasto cromatico che è evidente il bianco delle
cipolle e il nero del pane d’orzo che si trova nella novella
“Nedda”: “verso mezzogiorno sedettero al rezzo per mangiare il
loro pane nero e le loro cipolle bianche”. Un’immagine piena di
luce che rappresenta un pasto frugale, simbolo di una vita dura,
254
di quei sentimenti contadini “miti, semplici, che si succedono
calmi e inalterati di generazione in generazione” (in
“Fantasticheria”), come questi pasti.
Il grano di Giovanni Papini (1881-1956)
Il grano nella sua biondezza antica,
ondante e secco, chiede mietitura,
ché in cima alla sua gracile statura
porge a ogni bimbo una rigonfia spiga.
Lo vagheggia la madre contadina
ritta nell'ombra corta d'un pagliaio:
quanto penare prima che il mugnaio
gliela riporti in morbida farina!
La cristiana alza gli occhi al sol feroce,
poi guarda i figli grondanti, il marito
gobbo nel solco e col suo nero dito
fa sopra il campo un gran segno di croce
Papini nella sua autobiografia fa cenno al suo ritorno
in Toscana: “Sono tornato alla terra, bambino selvatico e
agreste”; egli ha riscoperto “l’odore vero della terra, il sapore del
pane” e si è “riallacciato ai progenitori, contadini, che segavano
il grano”.
“La sera fiesolana" di Gabriele D’Annunzio (1863 1938)
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
255
e su ’l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su ’l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s’incùrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amor più forte.
Per d’Annunzio l’uso ricercato di termini e di parole fu molto
importante tanto da scrivere molto spesso, l’iniziale maiuscola,
per porre l’accento sull'insistenza di utilizzare i termini aulici e
sofisticati. Svolgendo la parafrasi, si evince che:
Il suono delle mie parole nella sera ti risulti dolce,
come quello della pioggia che frusciava tiepida e veloce,
congedo triste della primavera, sui gelsi, sugli olmi e sulle viti e sui
256
pini dalle pigne novelle di colore rosato che sembrano dita che
giocano con il vento che si perde lontano e sul grano che non è
ancora maturo, ma non è più verde e sul fieno che è già stato
tagliato e sta cambiando colore, sta ingiallendo, e sugli olivi, sui
fratelli olivi, che rendono i fianchi delle colline pallidi, richiamando
l’idea della santità, e lieti.
Così scrive Cesare Pavese (1908- 1950) a Fernanda Pivano il 25
giugno 1942”:
Cara Fernanda,
se lei ignora l’odore del grano,
intendo del grano in pianta, maturo,
dondolante, sotto le nuvole e la pioggia
estive, è sventurata e La compiango. Pensi
che io non avevo mai sentito il grano in
pianta, perché venivo sempre in campagna
alla metà di luglio quand’è mietuto, e questa volta è stato come
quando un marito, separato dalla moglie da anni, ritorna a
trovarla e gli pare un’amante – essa ha cioè delle parole, dei
gesti, dei momenti a lui ignoti, a lui sfuggiti al tempo dell’amorosa
passione, e che ora gli paiono rivelargli tutto il dolce del primo
amore”.
Il meriggio nella storia della letteratura da sempre si è
imposto come il momento della giornata maggiormente
evocativo di significati, il più inquietante e ricco di figure : nella
calura soffocante, nell'arsura immobile si mostra la madre del
grano, la fata del grano.
257
P ROVERBI – C URIOSITÀ – N OTIZIE
Chi semina buon
grano, ha poi buon pane
Se
ogni
uccello
conoscesse
il
miglior
grano, poco da mietere
resterebbe al villano.
Il grano rado non fa vergogna all'aia.
La segale nella polverina e il grano nella pantanina.
258
Poca uva, molto vino; poco grano, manco pane.
Quando il grano è ne' campi, è di Dio e de' Santi.
Agosto ci matura il grano e il mosto.
Chi ha la farina (o il grano) non
ha le sacca, e chi ha il sacco non ha
la farina.
Il grano freddo di gennaio, il
mal tempo di febbraio, il vento di
marzo, le dolci acque di aprile, le guazze di maggio, il buon
mieter di giugno, il buon batter di luglio, le tre acque d'agosto
con la buona stagione, vagliono più che il tron di Salomone.
Il tempo matura il grano, ma non ara il campo.
Maggio
ortolano
acquoso), molta paglia e
grano.
(cioè
poco
Marzo molle, grano per le zolle.
Non fu mai sacco si pieno, che
non v'entrasse ancora un grano.
Non ogni uccello conosce il buon grano.
Ogni grano ha la sua semola.
259
Per sant' Urbano (25 maggio) il frumento è fatto grano (o
ha granito
Chi ha la farina (o il grano) non ha le sacca, e chi ha il
sacco non ha la farina.
Chi semina buon grano, ha poi buon pane; chi semina il
lupino, non ha né pan né vino.
Fino a San Martino sta meglio il grano al campo che al
mulino.
Grano già nato non è mai perso.
Il grano va a chi non ha sacca.
Il mulino della fame, quando ha acqua non ha grano.
In anno pieno il grano è fieno, in anno malo la paglia vale
quanto il grano.
Quando la cicala canta in settembre, non comprare
grano da vendere.
Quando il grano abbonda, il
pesce affonda; e quando il grano
affonda, il pesce abbonda.
Quando la neve s'inverna in
piano, val più il sacco che non vale il
grano.
Quando la neve è alta un
mattone, il grano torna a un testone.
Quando il grano è ne' campi, è di tutti quanti.
Qua hora non putatis,
veniam
et
metam:
In un' ora che non conoscete verrò
260
e
mieterò.
La scritta, che si può leggere su un architrave della Chiesa del
Purgatorio a Bitonto, è tratta per la prima parte dal Vangelo di Luca
Lc. 12,40: ”Et vos estote parati, quia, qua hora non putatis, Filius hominis
venit" (=State pronti, perchè non conoscete l'ora in cui il Figlio
dell'uomo verrà) mentre la seconda “veniam et metam” non è che
l’interpretazione di un passo del Vangelo di Matteo Mt. 13,39 dove è
spiegato che: “Messis vero consummatio saeculi est; messores autem
angeli sunt” (=La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori
sono gli angeli). Sempre in Mt. 13,30 viene narrato come al termine
della mietitura il frumento verrà separato dalla zizzania: "In tempore
messis dicam messoribus: Colligite primum zizania et alligate ea in
fasciculos ad comburendum ea, triticum autem congregate in
horreum meum" (= Al momento della mietitura dirò ai mietitori:
Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano
invece riponetelo nel mio granaio).
Stornello
Fior di frumento!
Sussurrano le spighe sotto il vento:
“Un chiccolin di grano ne dà cento!”
Semina
Getta i semi nella terra il contadino,
poi si riposa e guarda tutto intorno;
guarda il campo, la casa e il mulino,
pensa che i semi saran pane un giorno. (C.
Del Soldato)
Le stelline del bosco
C’era nel bosco un seme piccolino
261
come nera capocchia di spillino.
A poco a poco ne sbocciò una pianta
che nel maggio si ornava tutta quanta
di vaghi fiori bianchi come stelle,
con corolle delicate e belle.
Ogni fiore più tardi fece frutto
che si riempì di semi tutto tutto.
Poi venne frate vento e li strappò,
tutt’intorno li sparse e sotterrò.
E’, frate vento, un buon seminatore
che i semi porta via d’ogni colore;
li sparpaglia peri campi e le colline,
perfin sopra le mura e le rovine.
Indovinate quel che avvenne poi?
Ditelo, bimbi, indovinate voi! (A. Cuman Pertile)
E poi, guarda! Vedi,
laggiu' in fondo, dei campi di
grano? Io non mangio il pane e
il grano, per me e' inutile. I
campi di grano non mi
ricordano nulla. E questo e'
triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso
quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara'
pensare a te. E amero' il rumore
del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardo' a
lungo il piccolo principe:
262
"Per favore... addomesticami", disse.
"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo,
pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".
(Antoine de Saint-Exupéry) .
Mi ricordo ragazzina ad osservare i campi di spighe di
grano dorato con macchie di fiordaliso azzurri come il cielo e
macchie rosse di papavero; ricordo il mio Maestro che ci faceva
coltivare il grano in vaso sul davanzale della finestra e così
imparerai la poesia del chicco di grano; il Maestro ci spiegava le
fasi di crescita del grano, la sua importanza fondamentale fin
dall'antichità e ancora primaria per il mondo odierno ( ricordi di
Teresa Ingrao)
I contadini si affidavano alla fede per chiedere un’annata
agraria favorevole; già in epoca pagana il 25 aprile si celebrava
la festa detta robigaglia, per chiedere che il grano non
prendesse la ruggine. Altre cerimonie erano le ambarvalia,
guidate dagli arvali; si facevano sacrifici per allontanare i cattivi
influssi dai raccolti.
Che ne sai tu di un campo di grano, | poesia di un amore
profano. (Lucio Battisti)
La storia siamo noi, siamo noi padri
e figli, Siamo noi, bella ciao, che
partiamo La storia non ha
nascondigli, la storia non passa la
mano. La storia siamo noi, Siamo
noi questo piatto di grano.
(Francesco De Gregori )
Quante gocce di rugiada intorno a me
cerco il sole, ma non c'è.
Dorme ancora la campagna, forse
no,
263
è sveglia, mi guarda, non so.
Già l'odor di terra, odor di grano
sale adagio verso me,
e la vita nel mio petto batte piano,
respiro la nebbia, penso a te. ( Impressioni di Settembre - PF.M.)
Su di noi l'amore è una favola
su di noi se tu vuoi volare...
Su di noi ancora una volta dai
su di noi se tu vuoi volare
ti porto lontano nei campi di grano
che nascono dentro di me.
Nei sogni proibiti di due innamorati
nel posto più bello che c'è. ( Su di noi- Pupo)
Carmina non dant panem.
Le poesie non danno pane. - Dante Alighieri, infatti, non ricavò proventi
dalla Divina Commedia, e così il Petrarca, il Parini ed altri illustri poeti e
scrittori non divennero abbienti con il frutto del loro sapere e della loro
arte imperitura.
Orazio cita in questa satira il desiderio esaudito alcune cereali:
“Si dice che una volta v. un topo di campagna invitò nella sua
povera tana un topo di città, un vecchio ospite (che accoglie)
un vecchio amico; scorbutico e attento ai (cibi) procuratisi, ma
tuttavia (non) al punto di (non) sciogliere all'ospitalità l'animo
taccagno. Che (bisogno c'è di fare) molte parole? Né egli
risparmiò ceci messi in serbo né la lunga avena, e, portando con
la bocca un acino appassito e pezzetti di lardo mezzi rosicchiati,
(glieli) offrì desiderando, con una cena varia, vincere la
schizzinosità di (lui) che toccava a malapena le singole cose con
dente sdegnoso; mentre lo stesso padrone di casa, disteso sulla
paglia fresca, mangiava farro e loglio, lasciando le vivande
migliori (all'altro)” .
264
Orazio si sofferma poi a dissertare sull’ incontentabilità umana ed
opera un riferimento anche al frumento “Ammesso che il tuo
campo abbia macinato centomila moggi di frumento: non per
questo la tua pancia riceverà più della mia, come se tu per caso
trasportassi tra gli schiavi, carica la spalla, una borsina di pane,
niente di più prendi di chi non ha portato nulla. Dimmi, che cosa
importa a colui che vive nei confini della natura se ara cento o
mille iugeri? "Ma è bello attingere da un grande mucchio."
Purché lasci attingere altrettanto a noi da uno piccolo, perché
lodi di più i tuoi granai piuttosto che i nostri canestri? Come se tu
avessi bisogno di liquido, non più di una brocca o di un bicchiere,
e dicessi: "Preferirei attingere da un grande fiume, piuttosto che
altrettanto da questa piccola fonte." Per questo accade che se
una grande abbondanza diletta qualcuno più del giusto, l'Aufido
impetuoso trasporta quelli strappati insieme alla riva. Ma colui il
quale cerca quel tanto quanto è necessario, egli né beve
l'acqua intorbidita dal fango, né perde la vita tra le onde”
Il Comune di Montemagno, che con il suo imponente Castello
medievale domina dal grande colle (Monte-magno) gli
affascinanti pendii del Basso Monferrato, accoglie anche nel
2015 i visitatori la sua gustosa fiera profumata di pane appena
sfornato. L’alimento più semplice ma anche più amato, sempre
presenza fissa sulle nostre tavole, che da solo desta ricordi,
sapori e sensazioni di un tempo e fa ripensare a una vita
semplice scandita dalla fatica, ma rallegrata dalla condivisione,
quest’ ultima, motivo ispiratore del padiglione della Santa Sede a
Expo 2015. Una grande festa che vede come protagonista la
tradizionale grissia monferrina, da quest’anno insignita della
De.Co. (Denominazione Comunale), grande forma a “pasta
dura” che accompagna le pietanze locali e che si conserva per
più di una settimana senza perdere la sua fragranza. Non
mancheranno possibilità di assaggio e di degustazione, tour
culturali, momenti di intrattenimento musicale, giochi per i
bambini.
La spigolatrice di Sapri è stata anche fonte di ispirazione per il
testo originale di Ciao amore ciao (Titolo originale: "Li vidi
tornare"), di Luigi Tenco, dove è presente la frase "eran trecento,
265
eran giovani e forti", canzone poi presentata a Sanremo nel 1967,
con testo e titolo totalmente diversi.
Le mondine erano originarie del
paese stesso
o
provenivano
dai paesi di
collina oppure da altre regioni dove il riso
non si coltivava: soprattutto dal Veneto,
dall'Emilia e, negli ultimi tempi, anche dal
meridione.
Le mondine provenienti da fuori, che
costituivano circa il 50% della manodopera,
alloggiavano nelle cascine, talvolta nei
locali appositamente costruiti e a volte nei magazzini vuoti.
Le grandi "cascine da riso", infatti, comprendevano diversi edifici:
l'abitazione del padrone, quella dei salariati che abitavano
stabilmente nella cascina, il pollaio ed il porcile (a cui aveva
diritto ogni famiglia di lavoratori fissi), i dormitori, le scuderie, le
stanze da pranzo per le mondine, le stalle e i magazzini. Le
mondine per igiene personale e per il bucato, avevano a
disposizione l'acqua dei canali che servivano ad alimentare le
risaie.
Il padrone, oltre all'alloggio, doveva provvedere al vitto. La
padrona stessa, insieme alla capomondina, alle quattro del
mattino provvedeva a distribuire i generi alimentari previsti per il
pasto, seguendo particolari tabelle. Comunque il cibo era scarso
e non molto vario. Durante la monda si cantava molto, poiché
cantando il lavoro appariva meno faticoso e non si sentiva il
266
dolore che insorgeva alla schiena. Inoltre si cadenzava il ritmo del
lavoro stesso.
Tra i vari canti popolari ricordiamo in particolare: Bandiera rossa
(cantata nel dopoguerra), Faccetta nera (tipica canzone
dell'epoca fascista), Senti le rane che cantano, Povero Matteotti
e Siur padrun da li beli braghi bianchi e alcune strofette con le
quali ricordavano al padrone che era ora di andare a casa
come:
Siur padrun l'è l'ura l'è l'ura
(signor padrone è l'ora)
tirè fora la sigilla
(tirate fuori l'orologio)
s'a vuri di la verità
(se volete dire la verità)
a l'è l'ura de 'ndà cà
(è l'ora di andare a casa).
Cereali integrali e crusca se si vuole ridurre le
possibilità di morire per una malattia cardiovascolare. Nel lungo
periodo un'assunzione costante di cereali integrali ridurrebbe
l'incidenza fino al 15%.
EXPO 2015 è stato inaugurato il primo maggio e vi
sono i clusters dedicati ai cereali e al riso. Il visitatore può fare un
viaggio virtuale attraverso questi elementi nutritivi che sono alla
base della dieta della maggioranza della popolazione mondiale. Il
loro costo contenuto e la loro capacità di soddisfare
immediatamente la fame li ha resi indispensabili fin dai primordi
della civiltà. Nonostante ne esistano oltre diecimila varietà diverse,
solo
poche
continuano a essere
267
coltivate da oltre duemila anni. Molte di queste colture potrebbero
contribuire ad affrontare importanti sfide globali, incrementando in
modo sostenibile la fertilità di terreni marginali non adatti alla
coltivazione di mais, riso e grano e rispondendo all’aumento della
domanda di cibo nei prossimi decenni.
Nel cluster del riso il
visitatore viene a contatto con un
paesaggio che ricorda una immensa
risaia.
Come
l’acqua
nelle
risaie
nasconde e al contempo svela e dà vita;
il riso è stato uno dei primi cereali coltivati
dall’uomo oltre diecimila anni fa,
partendo da una specie spontanea
cinese. Dalle valli della Cina il riso si è
diffuso in tutto il mondo: conoscerne il
passato e la miriade di varietà è fondamentale per apprezzarne il
contributo all’arricchimento della biodiversità. All’interno di un
percorso tematico, quindi, il visitatore può attraversare le tappe
della storia del riso intrecciando i racconti provenienti dai diversi
Paesi e approfondendo le innovazioni introdotte nel corso del
tempo.
Papa Francesco nel discorso inaugurale per EXPO
2015 ha ricordato il ruolo essenziale del pane per gli uomini, citato
anche nella più importante preghiera
(Padre Nostro); “… non voglio dimenticare
i volti di tutti i lavoratori che hanno
faticato per la Expo di Milano,
specialmente dei più anonimi, dei più
nascosti, che anche grazie a Expo hanno guadagnato il pane da
portare a casa. Che nessuno sia privato di questa dignità! E che
nessun pane sia frutto di un lavoro indegno dell’uomo! Il Signore ci
aiuti a cogliere con responsabilità questa grande occasione. Ci
268
doni Lui, che è Amore, la vera “energia per la vita”: l’amore per
condividere il pane, il “nostro pane quotidiano”, in pace e
fraternità. E che non manchi il pane e la dignità del lavoro ad ogni
uomo e donna.”
Quando per esempio viene mietuto il grano, lo
sguardo chiaroveggente vede espandersi per la Terra dei veri fiotti
di benessere…se si sradica una pianta, si fa male alla Terra, se si
taglia, le si fa del bene. La Terra infatti dona volentieri ciò che essa
porta alla sua superficiee prova piacere quando gli animali vanno
pascolando sui prati…”Rudolf Steiner – Universo, Terra e Uomo- 1908
OGM:
alcune
informazioni
dal
mondo
A livello mondiale il 79% della soia commercializzata è OGM, come
anche il 32% del mais, il 70% del cotone e il 24% della colza. E si
possono trovare all’interno di molti alimenti, dalle merendine, dadi,
salse, latte, farine, fino ai medicinali. Anche se l’etichetta deve
indicare la presenza o meno di OGM, andando a fondo si possono
trovare sempre più facilmente nel mangime degli animali,
informazione che difficilmente arriva al consumatore. I paesi con la
coltivazione maggiore di OGM al mondo sono: gli Stati Uniti (70,1
milioni di ettari). Il Brasile (40,3 mln ha), l’Argentina (24,4 mln ha),
l’India (11 mln ha) e il Canada (10,8 mln ha). La normativa europea
invece ha lascito la facoltà ad ogni
singolo paese di decidere.
La Fao ha segnalato che
sono state riscontrate tracce di OGM in
alimenti provenienti dai Paesi produttori, i quali
però non avrebbero dovuto contenerne. E’
quindi emerso che gli Stati non riescono a
controllare attraverso i propri mezzi e le
persone l’effettiva quantità di prodotti
modificati in circolazione. Basti pensare come
sarebbe possibile contenere un chicco OGM
269
trasportato dal vento in un campo non modificato.
A livello mondiale, e non solo in Italia, sono presenti
due parti opposte: chi è a favore della sperimentazione e del
possibile utilizzo dei prodotti alimentari geneticamente modificati per
sostenere l’alimentazione mondiale e chi invece è contro e sostiene
il fatto che possano aumentare e favorire il rischio di patologie nei
soggetti consumatori.
A febbraio in Cina è stata lanciata una campagna
di sperimentazione e di informazione a favore degli OGM,
considerandoli essenziali per sfamare il paese. Negli USA invece il
presidente Obama ha impedito ai giudici per sei mesi di bloccare i
prodotti contenenti.
Il progetto integrato di filiera (PIF) descrive un progetto
collettivo: presentato da un partenariato (gruppo) di soggetti
appartenenti alla medesima filiera produttiva;
finalizzato alla piena riuscita dell’obiettivo di filiera (che deve essere
concreto, raggiungibile, misurabile, temporizzabile); che prevede
un accordo tra le parti e si candida a realizzare investimenti
attraverso l’utilizzo delle misure presenti nel PSR.
In termini operativi, il PIF
propone una strategia di intervento
unitaria e nello stesso tempo raccoglie
una pluralità di domande individuali.
Nell’ambito della programmazione
dello Sviluppo Rurale 2014-2020 quindi
l’organizzazione
della
filiera
si
concretizza nella presentazione di Progetti Integrati di Filiera (PIF)
caratterizzati da: un approccio bottom up,
coinvolgendo tutti i portatori di interessi e
rendendoli
partecipanti
attivi
nella
realizzazione del progetto; la costituzione di
un partenariato che sia disponibile a
270
realizzare una strategia condivisa con un obiettivo specifico di
sviluppo della filiera su un periodo pluriennale; un uso sinergico
e coordinato di diverse misure finalizzato al raggiungimento
dell’obiettivo condiviso e già dettagliato ed economicamente
pertinente; presenza di una pluralità di soggetti partecipanti
messi in relazione tra loro da impegni, obblighi e responsabilità
reciproche nella realizzazione del progetto; obbiettivi precisi,
dettagliati realizzabili ed economicamente sostenibili e con un
interesse al consumatore finale; predisposizione di un business
plan con individuazione precisa delle azioni e gli investimenti
previsti; Individuazione pertinente dei soggetti partecipanti, delle
rispettive attività ed investimenti; presenza di un soggetto
animatore che svolge il compito di coordinamento del progetto
stesso.
La procedura di presentazione dei progetti è
articolata in due fasi:
1. la fase di manifestazione di interesse ricognitiva per la Regione e
propedeutica all’individuazione delle linee di intervento con
approccio di filiera nel PSR (linee guida, approvate con
Deliberazione della Giunta regionale);
2. la fase, in seguito ad approvazione del PSR e delle linee guida, di
emanazione di bandi da parte della Regione per la presentazione
dei progetti di filiera.
L’accordo di filiera potrebbe essere
utilizzato anche per la filiera granopane, per migliorare la competitività
delle
aziende
agricole
ed
aumentare la capacità di creare e
trattenere valore aggiunto del
prodotto aziendale; ad esempio
producendo grano, farro, segale
biologici e attivando un partenariato con aziende di distribuzione
commercializzazione; si ritiene importante analizzare le esigenze dei
271
consumatori, attualmente molto attratti dal consumo biologico di
alimenti, e quindi sarebbe forse utile mettere come capofila
un’azienda di distribuzione-commercializzazione che si dovrebbe
poi rivolgere agli imprenditori agricoli per ottenere il prodotto da
trasformare.
La nuova PAC 2014-2020 introduce il greening, anche conosciuto
come pagamento verde, una forma
di contributo destinato a chi segue
alcune pratiche agricole coerenti con
i principi
dell'ecolo
gia e del
rispetto
dell'ambi
ente. Tra le regole a cui sottostare per avere
accesso al greening vi è, in particolare,
quella dell'obbligo della diversificazione
colturale per le aziende che coltivino superfici a seminativo.
Ai fini dell'applicazione della diversificazione, le colture
sono diverse se appartengono ad un genere differente della
classificazione botanica (ad esempio, il grano e l'orzo sono diversi,
perchè appartengono rispettivamente ai generi Triticum e Hordeum ,
mentre il grano tenero ed il grano duro non sono diversi, in quanto
appartenenti al medesimo genere
Triticum).
Nel caso in cui l'azienda
agricola superi i 15 ettari di seminativi,
deve dedicare all'EFA una superficie
pari almeno al 5% di quella coltivata a
seminativi; per EFA si intende Ecological
Focus Area, aree di interesse ecologico.
In sintesi almeno pari al 5% di quella
coltivata a seminativi deve essere costituita da siepi, strade e fossati
272
interni ai fondi, altri elementi caratteristici del paesaggio, capezzagne,
terrazzamenti, fasce tampone, ettari agroforestali e fasce di ettari
ammissibili lungo i bordi forestali, superfici imboschite, superfici con
bosco ceduo a rotazione rapida, oppure deve essere destinata a
colture azotofissatrici (erba medica, trifoglio pisello, fagiolo, ...), oppure
ancora si può lasciare a riposo.
F AVOLE - P ARABOLE
La storia del chicco di grano
Un piccolo seme dorato,
dentro al solco sembrava
addormentato,
273
lo bagnò la pioggia di novembre,
nacque la radice senza farsi attendere.
La terra leggera lo nascondeva,
il chicco intanto cresceva, cresceva ...
quando spuntò infine il germoglio
soddisfatto disse "il sole voglio!"
Ma era giunto ormai dicembre,
e la neve scese senza farsi attendere,
di un manto bianco la campagna ricoprì
ed il grano in silenzio rabbrividì.
Passano i giorni e le settimane,
sognò di metter spiga e di farsi pane.
Quando a primavera lo cullò il vento
s'accorse d'esser cresciuto in un momento.
Il sole d'estate gli cambiò colore,
giunsero il contadino ed il mietitore.
In un baleno raccolto e ben legato
presto al mulino fu portato.
Con i fratelli lasciò la spiga e le ariste,
ma non per questo si sentì più triste.
Macinato e trasformato con il nome di farina
tutti i giorni lo ritrovi dal fornaio ed in cucina!
La storia del piccolo chicco di grano duro italiano di
Sandra Sgambaro
274
Era un seme piccolo piccolo e viveva al buio nel caldo
rassicurante della pancia della sua mamma “TERRA ITALIA”
Si sentiva così sicuro e protetto, che si addormentò di un
sonno profondissimo e gli sembrò di sprofondare nel nulla,
quasi di morire.
Ma questa non era per il
piccolo chicco la fine,
anzi, la sua storia inizia
proprio qui quando al
posto del sicuro buio della
sua mamma Terra si fece
avanti la luce di suo padre
il “CIELO”, una LUCE
dorata che lo accarezzò
con tanto amore per svegliarlo dolcemente, mentre il
Vento intonava una melodia di zufolii per attirarlo verso le
nuvole.
Il piccolo chicco si allungò a tal punto da diventare “tutto
collo e radici” e si ritrovò una PIANTINA VERDE e leggera,
capace di danzare ondeggiando al vento.
Presto si accorse, però, che non poteva camminare e
nemmeno girarsi intorno.
Alcuni animali, come le lumache e i vermicelli, gli
descrivevano i teneri colori dell’alba e gli accesi bagliori
dei tramonti e il piccolo chicco desiderò intensamente
ammirare tanta bellezza.
Con tutta l’anima pregò di avere tanti occhi per vedere
tutto l’arco dell’orizzonte.
Il suo desiderio fu esaudito perché espresso con il CUORE e
il piccolo chicco diventò una bellissima SPIGA, legata
ancora alla madre terra e con tanti “occhi”, o chicchi di
grano, che potevano ammirare i tramonti, le albe, gli
animaletti e le stelle nel cielo.
275
In questa magica atmosfera il TEMPO sembrava immobile,
ma la spiga continuava a crescere finché divenne tutta
d’ORO, pronta per vivere una nuova meravigliosa
avventura.
Ad un tratto il campo disparve e il piccolo chicco si trovò a
percorrere un lungo viaggio in compagnia di tanti amici
che, con le loro chiacchiere e risate, quasi lo stordirono.
Nel bel mezzo dell’allegra confusione accadde una
magia: gli parve di vivere in prima persona la favola di
Pinocchio che la farfalla bianca gli aveva tante volte
raccontato
Una gigantesca balena li ingoiò e, dopo il primo momento
di paura, il piccolo chicco si ricordò della canzone che il
Vento gli cantava per farlo addormentare
“dormi dormi piccolino
e riposa fino al mattino
quando grande sarai
al MOLINO tu andrai:
in SEMOLA ti trasformerai quanto basta
per diventare un bel formato di PASTA”
A questo punto il piccolo chicco rise forte: non era nella
pancia della balena ma in quella del Molino e, rassicurato,
si lasciò trascinare velocemente attraverso le budella
rumorose del gigante fino a giungere a quella che gli
parve una grande BOCCA.
Qui passò impavido, ovvero senza paura, tra grossi rulli di
acciaio, sapeva che pian piano si stava trasformando e
trovava tutto divertente, specialmente quando veniva
pulito da un forte vento che gli procurava tanto solletico o
quando ballava sulle reti che lo scuotevano al punto di
fargli perdere il “guscio”
276
“che bello, pensava il piccolo chicco dal CUORE GRANDE,
darei il mio cuore per diventare una stellina, oppure una
farfalla, o un disco volante o…”
Il cuore del piccolo chicco diventò una manciata di
“sabbia” splendente come la luce:
la nostra SEMOLA!
Dal molino passò nel PASTIFICIO dove la nuova madre
“ACQUA” si mise a cullarlo fino a creare un IMPASTO
magico
“un pongo, morbido ed elastico, modellabile di color giallo
luce ”
Il papà SOLE era già pronto per riscaldarli e poter
finalmente esaudire il grande desiderio del piccolo Chicco
di Grano Duro Italiano:
Quello di poter essere tante forme, come tutte le cose e le
fantasie che aveva visto e vissuto fin da quando era un
piccolo, piccolo seme in terra d'italia.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, tra quelli che
erano saliti per il culto durante la
festa c’erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo,
che era di Betsàida di Galilea, e
gli
domandarono:
«Signore,
vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e
poi Andrea e Filippo andarono a
dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il
277
Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi
dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore,
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria
vita in questo mondo, la
conserverà per la vita
eterna. Se uno mi vuole
servire, mi segua, e dove
sono io, là sarà anche il
mio servitore. Se uno serve
me, il Padre lo onorerà.
Adesso l’anima mia è
turbata; che cosa dirò?
Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo
sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo
glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva
udito, diceva che era stato un
tuono. Altri dicevano: «Un angelo
gli ha parlato». Disse Gesù:
«Questa voce non è venuta per
me, ma per voi. Ora è il giudizio di
questo mondo; ora il principe di
questo mondo sarà gettato fuori.
E io, quando sarò innalzato da
terra, attirerò tutti a me». Diceva
questo per indicare di quale
morte doveva morire.
Se il chicco di grano non cade in terra e non muore,
rimane solo; se invece muore, porta molto frutto”. Non è
il solo insegnamento che Gesù trae dalla vita dei
contadini. Il Vangelo è ricco di significative parabole,
278
immagini e spunti desunti dall’agricoltura molto diffusa.
Ci raccontano di fatti afferenti il mondo agricolo,
parlano del seminatore, del lavoro dei campi, della
mietitura, di grano, del vino, dell’olio, del fico, della
vigna, della vendemmia.
L’immagine del chicco di grano è una metafora che
serve per trasmetterci un importante insegnamento:
Il chicco di grano è, infatti, anzitutto Gesù stesso. Come
un chicco di frumento, egli è caduto in terra nella sua
passione e morte, è rispuntato e ha portato frutto con la
sua risurrezione.
Potenzialmente, il “frutto” è tutta l’umanità.
Dopo aver parlato del chicco di grano, Gesù aggiunge:
“Chi ama la sua vita la perde e chi odia (un altro
evangelista dice perde) la sua vita in questo mondo, la
conserverà per la vita eterna” (cfr. Mt 16, 25). Cadere in
terra e morire, non è dunque solo la via per portare
frutto,
ma
anche
per
“salvare
la
propria vita”,
cioè
per
continuare a
vivere! Se il
chicco viene
seminato, rispunterà e conoscerà una nuova vita.
Parabola moltiplicazione dei pani e dei pesci
La prima moltiplicazione è riportata anche da Luca
(9,10-17) e Giovanni (6,1-14). Si tratta dell'unico miracolo
di Gesù, a parte la resurrezione, ad essere riportato in
tutti e quattro i Vangeli.
279
La parola moltiplicazione, ancorché tradizionalmente e
universalmente usata, nei Vangeli non appare mai. C'è
invece una continua inesauribile distribuzione del bene.
La tradizione cristiana lo ha interpretato come un
preannuncio
della
ricchezza
sovrabbondante
dell'eucarestia
(istituita
durante
l'Ultima
cena),
sacramento fondamentale attraverso cui la Redenzione
compiuta sulla croce si allarga a tutti i tempi e a tutti i
luoghi.
In particolare in quello dei pani e dei pesci, i quali
“non si moltiplicarono” – ha spiegato Papa Francesco
nel 2013 – ma “semplicemente non finirono, come non
finì la farina e l’olio della vedova. Quando uno dice
‘moltiplicare’ può confondersi e credere che faccia
una magia… No, semplicemente è la grandezza di Dio
e dell’amore che ha messo nel nostro cuore, che, se
vogliamo, quello che possediamo non termina (…)”.
Matteo 14,13-21 Prima
moltiplicazione dei pani Ma Gesù disse loro: «Non
è necessario che se ne
vadano; date voi a loro
da mangiare». Ed essi gli
dissero:
«Noi
non
abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci». Ed
egli disse: «Portatemeli qua». Comandò quindi che le
folle si sedessero sull'erba; poi prese i cinque pani e i
due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse;
spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli, alle
folle. E tutti mangiarono e furono saziati; poi i discepoli
raccolsero i pezzi avanzati in dodici ceste piene. Ora,
280
coloro che avevano mangiato erano circa cinquemila
uomini, senza contare le donne e i bambini
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degli studi di scienze gastronomiche
Pollenzo, Cn, 2013
R. Defez, Non chiudiamo il futuro in laboratorio;
W. Goglio, Mestieri, storie e personaggi del vecchio piemonte, Daniela Piazza editore, 2013,
Torino
S ITOGRAFIA FOTO
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R INGRAZIAMENTI
Motivazioni per scrivere note di ringraziamento non
mancano. Contributi e suggerimenti preziosi sono giunti dai
Responsabili degli Uffici Strutture, Vigneti e Sviluppo Agricolo.
In particolare, si ringrazia il gruppo di lavoro per il
supporto fattivo, la motivazione, la competenza tecnicospecialistica e la professionalità dimostrate.
Dott.ssa Silvia Sarzanini- Ufficio
Divulgazione-Provincia di Asti
Supporto
Normativo
e
Dott. ssa Roberta Cane – Università degli Studi di Torino
Dott. Antonio Forte – Università degli Studi di Torino
Diego Sappa– Ufficio CED – Provincia di Asti
La Dott.ssa Silvia Sarzanini- è l’autrice della ricerca
scientifica, bibliografica, storica e sitografica e del progetto
editoriale responsabile dell’attività di indagine e della redazione.
La Dottoressa Roberta Cane (studentessa della Scuola
di Management e Economia - Torino) e il Dott. Antonio Forte
(studente della Scuola di Management e Economia – Torino) si
sono occupati della parte statistica (elaborazione grafici), degli
approfondimenti statistico – economici e anche di alcune parti
riguardanti le curiosità e la storia con interesse, professionalità,
competenza, precisione e accuratezza di analisi scientifica –
metodologica.
292
In particolare, un vivo e sentito ringraziamento, alla
Dottoressa Minerdo Daniela - posizione organizzativa dell’ Area
agricoltura, per la massima disponibilità, il prezioso supporto,
l’elevata professionalità e per i rilevanti consigli e pareri espressi,
di ordine tecnico e metodologico, durante le complesse fasi
della ricerca e dell’approfondimento statistico e bibliografico.
Un sentito ringraziamento va attribuito a Diego Sappa
che con l’alta professionalità, la pazienza infinita e la piena
disponibilità e cura, da sempre dimostrate, anche in occasione
della stesura degli altri volumi di approfondimento, ha contribuito
con successo a risolvere i problemi tecnico – operativi informatici
e ha fornito consigli su grafica e impostazione del sito.
.
Si ringraziano per
il
prezioso supporto morale e materiale,
la competenza tecnico- informaticaeconomica
e
per
l’efficace
contributo nella battitura di una parte
dei testi e i consigli e gli importanti
suggerimenti, i tirocinanti Dott.essa
Roberta Cane e Dott. Antonio Forte
(studenti della Scuola di Management e Economia – Torino),
Cerrato Alessio e Asia Sarto Valentina (studenti dell'istituto
Superiore Quintino Sella di Asti indirizzo Tecnico dei Servizi
Commerciali), ciascuno secondo le proprie competenze e
conoscenze.
Le foto e molti dei volumi analizzati, fanno parte
dell'archivio fotografico e bibliografico personale della
Dottoressa Sarzanini Silvia – autrice del volume, che ha dedicato
alla stesura anche molto tempo extra lavorativo.
293
Si ringraziano anche il Sig. Gianluigi Guercio e la Dott.
ssa Bianco Cristina che hanno fornito alcune fotografie facenti
parte di ciascun archivio personale.
Inoltre la maggior parte del materiale fotografico è
stato scaricato dalla rete citando i link annessi.
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