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Sicurezza pubblica e diritto emergenziale: fascino e insidie dei
Editoriale
Processo penale
Sicurezza pubblica e diritto
emergenziale: fascino e insidie
dei rimedi processuali
di Sergio Lorusso - Ordinario di diritto processuale penale nell’Università degli Studi
di Foggia
La relazione tra sicurezza pubblica e processo penale è diventata nell’ultimo decennio sempre più stretta,
con un profluvio di “pacchetti sicurezza” varati sull’onda di vere o presunte emergenze allo scopo di fornire
risposte immediate a questioni che richiederebbero, viceversa, un approccio più meditato. Ne consegue un
rafforzamento della “giustizia emotiva” che avalla l’emersione di un diritto penale e processuale penale preventivo e della sicurezza, spesso a scapito del riconoscimento delle libertà individuali. Il ricorso reiterato alla
decretazione d’urgenza rappresenta uno dei contrassegni della politica criminale dell’inizio del terzo millennio, un vero e proprio abuso che genera prodotti legislativi frammentari e poco organici ponendosi - insieme
all’uso smodato del voto di fiducia - come segnale allarmante di deriva degli strumenti ordinari di law-making
e degli equilibri tra poteri dello Stato ad essi sottesi. Sembra che la costituzionalizzazione e la successiva attuazione codicistica delle garanzie del ‘giusto processo’abbia rappresentato un punto d’arrivo, piuttosto che
di svolta e di avvio di una nuova stagione di riforme tendente all’armonia sistematica. Le risposte sul terreno processuale ai temi della sicurezza pubblica ispirate alla logica securitaria favoriscono, difatti, un distacco
da quelle istanze, risultando orientate al potenziamento del sistema precautelare e cautelare, al consolidamento della fase delle indagini preliminari e al contestuale arretramento del baricentro del processo, al
rafforzamento dei riti differenziati in chiave di esemplarità, all’irrigidimento degli spazi di intervento sulla pena post iudicatum e all’inasprimento delle misure di prevenzione. Alla base, una concezione del processo penale quale strumento di controllo sociale, spesso noncurante dei canoni scanditi dalla Costituzione e dalle
Convenzioni internazionali.
Sicurezza pubblica e processo penale:
un binomio ormai inscindibile?
Sicurezza e processo penale: un binomio che in questi ultimi anni è diventato un’endiadi, una coppia
fedelissima, in virtù di un approccio legislativo ai temi della sicurezza e dell’ordine pubblico che - al di là
delle sfumature e dei colori politici delle maggioranze alternatesi alla guida del Paese - guarda più al breve periodo che alle scelte di sistema, le uniche davvero in grado di produrre effetti durevoli, anche se
solo a medio e lungo termine.
Se proviamo a ripercorrere la produzione normativa
dell’ultimo decennio, ci imbattiamo difatti in una
pluralità di “pacchetti sicurezza” - e di provvedimenti che alla sicurezza pubblica legano la loro genesi espressione di una logica emergenziale che ha catalizzato l’attenzione dei law makers, secondo una visione più attenta ai ritorni in punto di pubblico consenso o addirittura meramente elettorali che all’utilità e all’efficienza dei rimedi e degli strumenti processuali introdotti.
Il fenomeno non è esclusivamente italiano, ma in-
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veste anche altri Paesi europei e gli Stati Uniti - anche se da noi ha assunto certamente una dimensione che non appare azzardato definire patologica tanto da indurre i più attenti e lungimiranti studiosi
ad interrogarsi sulle ragioni strutturali che favoriscono, nelle democrazie occidentali culla dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali, la progressiva
emersione di un vero e proprio diritto penale e processuale penale preventivo e della sicurezza.
In Germania prima, in Italia poi (1), si è efficacemente rimarcato come la caratterizzazione in senso
preventivo dei sistemi penali possa essere considerata da una duplice - e antitetica - prospettiva che evidenzi, rispettivamente:
a) una deviazione abnorme della visione classica del
diritto penale incentrata sulle garanzie derivanti
Nota:
(1) Il riferimento è a R. Orlandi, Dialogo con la scuola di Francoforte. La prospettiva del processualista, testo dell’intervento
svolto nel Convegno di Studi Sicurezza e diritto penale, Modena,
20-21 marzo 2009, in corso di pubblicazione.
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dalla cultura illuministica rappresentate, sul piano
processuale, dalla presunzione d’innocenza, dal diritto di difesa, dal nemo tenetur se detegere, dalla terzietà ed imparzialità del giudice (intese come baluardo contro l’ingerenza di un Stato forte) (2);
b) una fisiologica evoluzione del modello di “controllo sociale”, incentrato proprio sul diritto e sul
processo penale, frutto di una discontinuità che ha
le sue radici nella metamorfosi dello Stato contemporaneo e nei mutamenti sociali che rendono inadeguate le tradizionali garanzie di stampo illuministico
ai fini della protezione dei diritti e delle posizioni individuali (3).
La tendenza preponderante è quella che - alla luce
di un dato normativo sempre più ‘orientato’verso
l’area della prevenzione - prende atto dell’attuale
trend di politica criminale, non adagiandosi sulle
“tranquillizzanti certezze” del diritto penale classico
e proponendo invece di ricalibrare il tradizionale garantismo, rapportandolo e conformandolo all’affiorante sistema penale sicurpreventivo (4).
La decretazione d’urgenza nell’età
dell’’emergenza permanente’
Ma quali sono le peculiarità dell’attuale realtà normativa?
Il ricorso alla decretazione d’urgenza - strumento costituzionalmente eccezionale - è divenuto sempre
più una risorsa di ordinaria amministrazione e non
soltanto per le oggettive difficoltà che l’iter parlamentare spesso incontra, anche in virtù di regolamenti farraginosi e non proprio al passo coi tempi: è
mancata - e purtroppo continua a far difetto - una
progettazione degli interventi destinati ad incidere
su temi cruciali e scottanti, per i quali la risposta
non può essere unica e la soluzione giudiziaria risulta, di per sé, impropria o insufficiente.
Il risultato, sul piano dei contenuti normativi e delle prassi attuative, è quello di una “giustizia emotiva”, periodicamente sollecitata da episodi criminali
particolarmente cruenti che spingono il potere esecutivo a intervenire con apparente tempestività ed
efficienza, prospettando soluzioni il più delle volte
poco meditate che - una volta al vaglio del Parlamento per la necessaria conversione in legge, ovvero quando giungono all’attenzione degli operatori
che le devono applicare - svelano tutta la loro inadeguatezza, contribuendo a rendere il sistema della
giustizia penale sempre più incoerente e disomogeneo: un “sistema asistematico”, per ricorrere ad un
ossimoro quanto mai efficace nella circostanza.
Si tratta ormai di un dato strutturale e costante, che
il varo del codice 1988 non ha minimamente scalfi-
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to, finendo anzi per acuirne, paradossalmente, la
portata. Ne è scaturita una vera e propria “cultura
dell’emergenza”, spesso causa di un dato normativo
precario e incoerente, fonte di irrazionalità e incongruenze del sistema difficilmente governabili.
Alcuni passaggi legislativi, maturati all’inizio del
terzo millennio, scandiscono l’itinerario:
a) la l. 26 marzo 2001, n. 128, recante Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini
(Governo Amato, Guardasigilli Fassino), contenente non solo modifiche alla disciplina della sospensione condizionale della pena e al trattamento sanzionatorio del furto - con la creazione tra l’altro della nuova fattispecie di furto in abitazione e furto con
strappo (art. 624-bis c.p.) e l’introduzione di una
nuova circostanza attenuante legata alla collaborazione processuale (art. 625-bis c.p.) - ma anche ritocchi ai criteri di scelta delle misure cautelari legati alle relative esigenze (art. 275 c.p.p.), alle condizioni ostative agli arresti domiciliari (art. 284
c.p.p.), ai rapporti tra pubblico ministero e polizia
giudiziaria nella fase delle indagini preliminari e ai
poteri investigativi di quest’ultima (artt. 327, 348 e
354 c.p.p.), al catalogo delle fattispecie e alle condizioni che legittimano l’arresto obbligatorio in flagranza e il fermo di indiziato di delitto (artt. 380 e
384 c.p.p.), all’inappellabilità di determinate tipologie di sentenze (art. 593, comma 3, c.p.p.) e correzioni alle modalità del ricorso di cassazione, con l’istituzione di una sezione filtro investita del compito
di valutarne l’inammissibilità (artt. 610 c.p.p.) e
l’inserimento nel tessuto normativo della nuova
ipotesi del ricorso straordinario per errore materiale
o di fatto (art. 625-bis c.p.p.);
b) il d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito con modificazioni nella l. 15 dicembre 2001, n. 438, mosso
da un’altra emergenza - questa volta di portata sovranazionale - nascente dagli attacchi terroristici
dell’11 settembre;
c) il d.l. 24 febbraio 2003, convertito con modificazioni nella l. 24 aprile 2003, in materia di contrasto
alla violenza nel corso di manifestazioni sportive,
che introduce fattispecie estremamente discutibili e
fortemente avversate, come la cd. ‘flagranza differita’;
Note:
(2) Sul piano sostanziale, invece, ad essere interessati sono il
principio di tassatività e di irretroattività della norma penale, la tipicità e determinatezza della fattispecie, il principio di colpevolezza, la punibilità legata alla repressione di fatti dannosi.
(3) è la posizione espressa da W. Hassemer, Sicherheit durch
Strafrecht, in Strafverteidiger, 2006, 321 s.
(4) R. Orlandi, Dialogo con la scuola di Francoforte, cit.
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d) la l. 30 luglio 2002, n. 189 (cd. ‘Bossi-Fini’), preceduta dal d.l. 4 febbraio 2002, n. 51, convertito
nella l. 7 giugno 2002, n. 106, volta a fronteggiare
l’emergenza immigrazione, con interventi normativi
di rilievo sulla materia processuale penale che, d’altronde, non si sono dimostrati risolutivi - nonostante il sensibile irrigidimento rispetto alle pregresse
politiche di gestione dell’immigrazione clandestina se, a quasi sette anni di distanza, le forze politiche di
maggioranza hanno sponsorizzato nuove norme destinate a operare sul ‘fronte caldo’dell’immigrazione,
contenute nel disegno di legge approvato a colpi di
fiducia nella primavera del 2009.
Non sfugge a tale tendenza il pacchetto di provvedimenti varati all’esordio della XVI legislatura in materia di sicurezza pubblica e di processo penale, che
ha visto la luce nell’estate del 2008. Il riferimento è
alla l. 14 luglio 2008, n. 123, e l. 24 luglio 2008, n.
125, frutto della conversione di altrettanti decreti
legge in materia di emergenza rifiuti e di sicurezza
pubblica. In esse trovano asilo svariate modifiche al
diritto e al processo penale - talune davvero ardite,
se pensiamo all’istituzione di una competenza regionale, o meglio ‘partenopea’, in materia ambientale che investono praticamente tutte le aree del codice
di rito: dalle indagini preliminari alla fase esecutiva,
passando per i riti differenziati acceleratori del dibattimento (ricondotti ad apparente obbligatorietà)
e per la disciplina delle impugnazioni (con la cancellazione del concordato sui motivi in appello); intervenendo, ancora una volta e come sempre in maniera frammentaria e disorganica, sull’obsoleto sistema delle misure di prevenzione.
Ancora un anno all’insegna della paura
e della sicurezza
Di sicurezza si parla anche nel d.l. 23 febbraio 2009,
n 11, convertito con modificazioni nella l. 23 aprile
2009, n. 38, che non soltanto ha immesso nel nostro
ordinamento il reato di ‘atti persecutori’(art. 612-bis
c.p.), id est lo stalking, dall’indiscutibile rilevanza criminologica, strutturato in una fattispecie-base cui
sono collegate varie ipotesi di aggravanti speciali,
ma ha altresì introdotto l’istituto dell’ammonimento, in chiave manifestamente preventiva, ispirato ad
omologhe elaborazioni di common law - in particolare, alla injunction nordamericana - e teso ad evitare
la reiterazione di condotte riconducibili allo stalking,
prima della (eventuale) proposizione della querela,
mediante il potere attribuito alla persona offesa di
esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando al questore richiesta di ammonimento nei
confronti dell’autore della condotta, che viene così
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invitato - se l’istanza è ritenuta fondata, assunte
quando necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate sui fatti - a tenere una condotta conforme alla legge.
L’ammonimento funge inoltre da presupposto di
un’ulteriore aggravante, qualora gli ‘atti persecutori’siano commessi da persona già ammonita, e trasforma il reato da perseguibile a querela in procedibile d’ufficio. C’è da interrogarsi - oltre che sulla
dubbia e poco appropriata collocazione extra codicem
della fattispecie - sull’opportunità di istituire un
nuovo strumento a valenza preventiva, quando forse sarebbe stato sufficiente richiamare meccanismi
già esistenti. Così come occorre chiedersi se l’aggravamento della pena nel caso di fatto che cagiona la
morte commesso dall’autore di atti persecutori in
danno della medesima persona - con chiari intenti
di prevenzione speciale - non nasconda la consapevolezza a priori, da parte del legislatore, della sostanziale inefficacia dell’apparato sanzionatorio predisposto in materia di stalking. In definitiva, ci troviamo di fronte ad una disciplina probabilmente necessaria, ma confluita in un ordito normativo caotico e
approssimativo, carico di “rigorismo repressivo, simbolicità, caduta in termini di garanzie”, e certamente “poco compatibile con un’ottica sistemica” (5).
Sono tuttavia i profili processuali a destare le maggiori perplessità.
La pena edittale prevista per lo stalking (fino a quattro anni) è tale da consentire - anche per la fattispecie tipo - il ricorso alle misure cautelari personali, ivi
compresa quella più gravosa della custodia in carcere. Sempre in ambito cautelare, debutta nel codice
di rito una nuova misura personale: il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.), per certi versi speculare all’art. 282-bis c.p.p., che disciplina l’allontanamento
dalla casa familiare. La previsione opera in tutti quei
casi in cui la condotta criminosa si concreta in molestie o minacce per l’incolumità (fisica o morale)
della persona e la sua applicazione, pur regolata in
maniera estremamente dettagliata, rischia di generare disparità di trattamento in quanto è attribuito
al giudice il potere di determinare, caso per caso, la
distanza che il destinatario della misura deve mantenere dalla persona offesa o dai luoghi da questa abitualmente frequentati. Non è un caso se i primi riscontri giurisprudenziali ci consegnano un catalogo
Nota:
(5) V. Rispoli, Pacchetto-sicurezza sotto la lente: atti persecutori,
violenza sessuale e questioni correlate di carattere cautelare e
penitenziario, in DirittoeGiustizi@, 1 maggio 2009.
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estremamente variegato, una vera e propria babele
nella quale la zona off-limits si presenta ‘a geometria
variabile’e dall’incerta verifica. Né è sufficiente - per
districare i nodi interpretativi emersi nella prassi recepire il generico appello al comune buon senso
formulato dai conditores, convinti assertori dell’elasticità della disposizione.
Importanti modifiche sono poi riscontrabili nella disciplina dell’incidente probatorio, con l’ampliamento delle ipotesi di ricorso incondizionato alla formazione anticipata della prova - che ora ricomprendono anche i maltrattamenti in famiglia e lo stalking e dei soggetti sottoponibili in questa sede ad esame
testimoniale, tra i quali rientrano oggi il minore tout
court e l’adulto vittima del reato (artt. 392, comma
1-bis, e 398, comma 5-bis, c.p.p.).
Va sottolineata, inoltre, la riformulazione dell’art. 4bis ord. penit., che limita fortemente la concessione
dei relativi benefici agli autori dei reati in materia di
violenza sessuale, subordinandola ai “risultati del’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti” di cui all’art. 80, comma 4,
ord. penit.: norma espressione, ancora una volta,
delle politiche criminali di stampo emergenziale,
fonte potenziale di disparità di trattamento tra i soggetti ivi ricompresi e gli autori di reati non meno
gravi e, last but not least, immemore della - pur in declino - funzione rieducativa della pena (art. 27,
comma 3, Cost.).
Anche in questa circostanza la lettura meditata delle innovazioni normative fa emergere una tecnica
legislativa affrettata e approssimativa, evidenziando
i difetti di coordinamento nascenti dalle modifiche
apportate in itinere alla versione originaria del decreto legge poi convertito dal Parlamento. È naturale
che prodotti legislativi nebulosi e poco ponderati,
nelle mani degli operatori della giustizia, diventino
un terreno fertile per disomogeneità applicative e
dubbi interpretativi. A pagare sono la certezza del
diritto, da un lato, e l’agognata efficienza processuale, dall’altro, che solo un accurato drafting normativo potrebbe davvero garantire.
Passano pochi mesi e le Camere varano un nuovo
testo normativo dall’inequivocabile titolazione: Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. È la l. 15 luglio 2009, n. 94, che recepisce alcune delle disposizioni più controverse originariamente contenute nel
d.l. 11/2009 e poi stralciate in sede di conversione,
per la loro particolare delicatezza, figlio, a sua volta,
della manovra correttiva dell’estate precedente. Ed
è sempre più una storia infinita quella del ricorso al
voto di fiducia - questa volta per approvare un dise-
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gno di legge - con l’ennesima replica nata dall’esigenza di bypassare temuti dissidi e non lievi resistenze all’interno della maggioranza.
Sul piano sostanziale viene introdotta nel nostro
ordinamento la discutibile fattispecie - di incerta
compatibilità con il dato costituzionale - della
‘clandestinità’, chiara espressione della politica di
‘tolleranza zero’applicata in questo caso ai migranti,
contestualmente all’inasprimento del trattamento
sanzionatorio di alcune figure di reato previste dal
T.U. sull’immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998, n.
286). Non meno significative sono le modifiche introdotte alla disciplina delle circostanze di reato e
al relativo giudizio di bilanciamento, alle disposizioni penali in materia di circolazione stradale - con
l’introduzione, tra l’altro, della suggestiva aggravante ‘notturna’ad effetto speciale - e alla normativa
posta a tutela dei minori, con immissione di nuove
fattispecie e inasprimento del trattamento sanzionatorio di figure di reato già esistenti, ispirate come
sempre alla logica sicuritaria. Ancora, viene ridisegnato l’ambito dei delitti contro l’amministrazione
della giustizia, con l’introduzione - in particolare di una nuova ipotesi che si ricollega al restyling della disciplina dell’art. 41-bis ord. penit.: l’art. 391-bis
c.p., che punisce chiunque consenta ad un detenuto sottoposto alle restrizioni del ‘carcere duro’di comunicare con altre persone, eludendo così le prescrizioni imposte.
Ed è proprio sul fronte della criminalità organizzata,
infine, che si collocano gli ulteriori sforzi della l.
94/2009, tra dimensione preventiva e regime penitenziario, con la riscrittura, da un lato, di alcune disposizioni in tema di legislazione antimafia e la correzione di alcune incongruenze originate dalla l.
125/2008 - il cui risultato è il rafforzamento ulteriore del ruolo del prefetto - e l’inasprimento, dall’altro,
del trattamento carcerario differenziato a seguito
delle modifiche apportate agli artt. 4-bis e 41-bis ord.
penit. Nella medesima impostazione sicuritaria si
collocano gli interventi destinati a operare sul terreno schiettamente amministrativo, quali l’estensione
a centottanta giorni della permanenza nei Centri di
identificazione ed espulsione degli immigrati irregolari (CIE) e l’istituzione delle cd. ‘ronde’, richieste a
gran voce da alcuni settori della maggioranza ma, ad
oggi, quasi del tutto inutilizzate.
Non mancano naturalmente previsioni destinate a
incidere direttamente sullo scenario processuale, come l’art. 1, comma 17, della l. 94/2009, che propone
un’inedita sequenza semplificata articolata in due
sub-procedimenti attivabile innanzi al giudice di pace (artt. 20-bis e 20-ter d.lgs. 28 agosto 2000, n.
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274), collegata alla “flagranza di reato” e alla “prova
evidente”: introduzione mascherata nella disciplina
de qua di varianti in origine escluse dall’architettura
normativa per ragioni di incompatibilità strutturale
(cfr. l’art. 2 comma 1 lett. h) e i) d.lgs. 274/2000),
espressione ancora una volta di opzioni di politica
criminale emergenziali.
Le conseguenze del ricorso extra ordinem
ai decreti legge
Il reiterato ricorso ai decreti legge - un vero e proprio abuso censurato più volte, ma invano, dal Presidente della Repubblica, anche con moniti formali
indirizzati al Presidente del Consiglio e ai Presidenti delle Camere - solo in apparenza giustificato da
necessità e urgenza ma in realtà per lo più determinato da contingenze politico-sociali, produce in definitiva testi normativi che vengono poi ampiamente emendati al momento della conversione,
con innesti non di rado eccentrici rispetto agli scopi ed ai contenuti originari del provvedimento.
Uno strumento normativo eccezionale diviene così
il fulcro di un sistema di produzione legislativa extra
ordinem.
Altre volte si approfitta di un’effettiva urgenza per
introdurre nell’ordinamento disposizioni rimaste ‘al
palo’nelle sedi legislative ordinarie. È accaduto all’inizio del nuovo anno con il d.l. 12 febbraio 2010, n.
10, nato dall’esigenza di ovviare agli inconvenienti
prodotti dai disorientamenti giurisprudenziali in tema di giudice competente per i procedimenti aventi
ad oggetto il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., nella
sua forma aggravata dalle circostanze della natura
armata dell’associazione e dello svolgimento di attività economiche finanziate, in tutto o in parte, con
illeciti profitti, che - alla luce del pronunciamento
della suprema Corte dello scorso gennaio con cui si
riaffermava la competenza della Corte d’assise, trattandosi di reato punito, a seguito delle modifiche al
trattamento sanzionatorio determinate dalla l. 5 dicembre 2005, n. 251 (cd. legge ex Cirielli) e rafforzate dalla l. 125/2008, con pena non inferiore nel
massimo ai ventiquattro anni (6) - esponevano al
‘rischio cancellazione’circa quattrocento processi di
mafia. In detto decreto legge, difatti, è stata inserita
anche una norma - le cui ragioni di straordinaria necessità e urgenza sono davvero oscure e impenetrabili - che riprende in buona parte il contenuto dell’art. 1 comma 1 del disegno di legge d’iniziativa governativa presentato nei primi mesi del 2009 (AS
1440), allo scopo di modificare l’art 5 c.p.p. e così
conferire alla Corte di assise la competenza per il sequestro di persona a scopo di estorsione e per i reati
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associativi di cui all’art. 51 commi 3-bis e 3-quater
c.p.p. non riconducibili all’art. 416-bis c.p. Innovazione improvvida, se si considera il rischio, tutt’altro
che remoto, di pressioni indebite esercitate sui giudici popolari da parte degli affiliati alle organizzazioni criminali, com’è già accaduto negli anni di piombo per i processi in materia di terrorismo, e il tecnicismo insito in alcune fattispecie. Se mai, va rilevato come all’origine della discrasia cui il d.l. n.
10/2010 intende porre riparo vi sia proprio quel diffuso e improprio modus legiferandi nel settore penale
affidato a interventi normativi frammentari e disorganici, che facilmente possono generare difetti di
coordinamento.
Il proliferare di decreti legge rappresenta dunque un
segnale allarmante di deriva degli ordinari meccanismi di produzione legislativa disciplinati dalla Carta
costituzionale, che si aggiunge come detto alla disinvoltura con cui si ricorre al voto di fiducia per approvare impianti normativi inerenti a temi centrali
per la vita della collettività, quali appunto la giustizia, la sicurezza, l’ordine pubblico, l’integrazione degli immigrati: un abuso, quest’ultimo, non meno
grave del primo. Perplessità di analogo tenore suscita poi il ricorso a decreti legislativi per disciplinare
materie di tale delicatezza.
Il rischio maggiore è l’assuefazione a simili dinamiche, in considerazione dell’intensificarsi delle prassi
devianti nel corso delle ultime due legislature, nonostante gli interventi della Corte costituzionale del
maggio 2007 (7) e dell’ottobre 1996 (8) tendenti ad
arginare l’utilizzo improprio ed eccessivo degli strumenti di law-making governativo, che costituisce come si è visto un pericolo concreto per gli stessi assetti fondanti del nostro sistema costituzionale. Anche
il CSM ha a più riprese stigmatizzato l’eccessivo ed
improprio ricorso al decreto legge per disciplinare il
funzionamento della giustizia penale, evidenziando
in particolare l’impossibilità di un proficuo confronto con gli operatori che esso comporta, visti i tempi
stretti a disposizione per la conversione, e il pericolo sempre presente del susseguirsi di assetti normativi differenti che vadano ad incidere persino sul meNote:
(6) Cfr. Cass., Sez. I, 21 gennaio 2010, n. 4964, in Guida dir.,
2010, fasc. 8, 17 s.
(7) Corte cost., sent., 23 maggio 2007, n. 171, in Giur. cost.,
2007, 1662 s.
(8) Corte cost., sent., 24 ottobre 1996, n. 360, in Giur. cost.,
1996, 3147 s., che ha ritenuto contraria alla Carta fondamentale la reiterazione di decreti legge aventi il medesimo contenuto
per ovviare alla loro incipiente decadenza o mancata conversione.
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desimo processo, nel caso di modifiche in progress
del dettato originario del decreto legge. Le conseguenze in termini di efficienza del sistema e di certezza del diritto sono evidenti.
È possibile trarre qualche elemento unificante di riflessione dall’esame dei prodotti normativi fin qui
richiamati?
La sensazione è che la modifica dell’art. 111 Cost. e
la legge attuativa del ‘giusto processo’, maturate a
cavallo tra il secondo e il terzo millennio, costituiscano ormai l’ultimo sussulto legislativo ispirato da
una visione sistematica del processo penale, e non
piuttosto l’avvio - come si era pensato al momento
della loro approvazione (9) - di una nuova stagione
di riforme ispirata ad un ritrovato garantismo. Hanno pesato certamente anche fattori extragiuridici la
cui dimensione non è soltanto nazionale, in grado di
orientare le scelte di politica criminale dell’intero
occidente verso l’esemplarità delle risposte e un forzato efficientismo: basti pensare all’imprevedibile
‘emergenza terrorismo’scoppiata a livello globale all’indomani dell’11 settembre 2001.
D’altro canto, esplicite prese di posizione come
quella dell’attuale maggioranza, che dichiara di voler intervenire sul processo penale non già attraverso una riconsiderazione organica e complessiva del
sistema, ma mediante interventi settoriali, talvolta
reclamizzati come ‘chirurgici’pur senza possedere
quasi mai i pregi tipici dell’arte medica richiamata,
vanno proprio nella direzione del diritto emergenziale e, quindi, di una concezione tendenzialmente
sicuritaria del sistema penale, piegato ineluttabilmente a istanze preventive. Solo le più volte annunciate - e poi regolarmente disattese - riforme istituzionali in materia di giustizia potrebbero rappresentare, nell’attuale contesto, un input decisivo per un
chiaro mutamento di prospettiva.
Lusinghe e azzardi delle risposte processuali
Modalità consuete di esplicazione dell’approccio sicuritario e preventivo sono dunque, sotto il profilo
sostanziale, l’inasprimento del trattamento sanzionatorio delle fattispecie di reato già esistenti e la creazione di nuove figure, spesso a partire da ipotesi consolidate. Quanto alle risposte sul piano processuale,
se non è semplice trovare un unico filo conduttore, è
certamente possibile individuare alcune linee direttrici lungo le quali si snoda l’intervento del legislatore intrapreso sotto l’egida della sicurezza pubblica:
a) rafforzamento del sistema precautelare e cautelare, con la previsione di ipotesi di custodia in carcere
obbligatoria: il che significa l’implicito riconoscimento dell’incapacità del sistema di pervenire ad un
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accertamento del reato - e all’eventuale pronuncia
di una condanna definitiva - in tempi rapidi;
b) rafforzamento del ruolo e dei poteri della polizia
giudiziaria, nell’ambito di una più generale valorizzazione della fase investigativa, quando non di quella preinvestigativa (operazioni occulte, intercettazioni preventive, attività di intelligence): significativo è, a tal proposito, il d.d.l. d’iniziativa governativa
AS 1440 del 2009 prima richiamato;
c) incremento delle ipotesi di formazione anticipata
della prova, in relazione a determinate fattispecie di
reato e a particolari soggetti ‘deboli’;
d) potenziamento dei riti differenziati che anticipano l’approdo al dibattimento (giudizio direttissimo,
giudizio immediato), in un’ottica, però, di esemplarità piuttosto che di valorizzazione della fase del giudizio;
e) interventi sul terreno dell’esecuzione e su quello
penitenziario, tesi a limitare il ricorso alle misure alternative alla detenzione e la possibilità di fruire dei
benefici;
f) riconsiderazione delle misure di prevenzione,
sempre però in chiave frammentaria e contingente,
eludendo una riforma sistematica che sarebbe, questa sì, urgente e necessaria in virtù delle mutate esigenze da soddisfare e delle molteplici stratificazioni
normative.
Il tutto si dispiega in un quadro concettuale il cui
archetipo è costituito da una concezione del processo penale quale strumento di controllo sociale
(10), orientato - quando non dominato - dai mezzi
di informazione, strumenti ormai essenziali nella
costruzione del consenso alle politiche criminali e
della sicurezza. Decisivo, da questo punto di vista,
il lancio di campagne mediatiche che evocano, di
volta in volta, il pericolo - reale o immaginario del momento e il soggetto che lo incarna: il terrorista, l’immigrato, il violentatore, il conducente di
autoveicoli imprudente, il consumatore abituale di
sostanze stupefacenti, e via discorrendo, tutte categorie dotate di un tasso criminogeno (sulla carta)
più elevato. La percezione mediatica degli illeciti
penali, sempre più concentrata sull’equazione ‘crimine = crimine violento’ (nonostante i dati statistici indichino chiaramente che i reati più diffusi
sono quelli contro il patrimonio), alimenta del resto la richiesta diffusa di una legislazione fortemenNote:
(9) Si veda, per tutti, P. Tonini, Manuale di procedura penale, 10ª
ed., 2009, 49.
(10) Cfr. M. R. Damaŝka, I volti della giustizia e del potere, ed. it.,
2000, 49 s.
Diritto penale e processo 3/2010
Editoriale
Processo penale
te repressiva come soluzione alla ‘questione criminale’ (11).
Continua a prevalere, insomma, la logica del sicuritarismo. Sullo sfondo, incombe l’immagine inquietante di governanti sempre più presenti nella vita di
ognuno, spesso in maniera scivolosa, strenuamente
impegnati a conservare e a incrementare la ‘società
della paura’ (12) - a dispetto delle statistiche che seguitano a consegnarci dati rassicuranti sul calo degli
indici di criminalità - costruita per distogliere i ‘sudditi’dai bisogni reali, specie in periodi di manifesta e
dilagante crisi economica. Se è vero che teoricamente è pur sempre preferibile l’utilizzazione di strumenti preventivi sotto il mantello del processo penale piuttosto che ‘senza regole’, al fine di assicurare
una più ampia protezione delle garanzie fondamentali della persona (13), al contempo ciò comporta in
concreto un’ulteriore anticipazione della soglia d’intervento del diritto penale nella sfera delle libertà
individuali, producendo un risultato davvero poco
esaltante. Appare, di conseguenza, una magra consolazione per i sostenitori dei canoni liberali il tentativo di leggere in chiave evolutiva la graduale trasformazione in diritto penale preventivo del diritto
penale punitivo.
Le politiche della sicurezza e della prevenzione hanno infine comportato una valorizzazione del ruolo
della vittima. Siamo ormai nel “tempo delle vittime”, per parafrasare il titolo di un volume pubblicato in Francia pochi anni fa (14). È sicuramente un
dato rassicurante, a patto però che non comporti la
regressione del sistema giudiziario alla logica della
vendetta, da secoli abbandonata nelle società più
evolute. La ‘centralità della vittima’, peraltro, “è il
segno di una discontinuità nell’ideologia punitiva”,
frutto di una differente idea dello Stato in cui l’amministrazione della giustizia penale è ritenuto “un
servizio alla collettività nell’interesse comune”,
piuttosto che “un tributo alla ragion di Stato” (15).
Si tratta di una conseguenza pressoché obbligata
della crescente individualizzazione della società
contemporanea, che però porta con sé il rischio
concreto di “una deriva populistica, orientata, secondo le circostanze e le convenienze del momento,
alla protezione” di determinate figure di vittima
(16): a seconda dei casi, le vittime del terrorismo,
degli abusi sessuali, della circolazione stradale, delle
violenze consumate a margine di eventi sportivi.
Con il rischio tangibile di sfociare in un modello nel
quale i pubblici poteri intervengono in ‘difesa legittima’delle vittime, ricorrendo - se necessario - anche
a strumenti che oscurano i diritti fondamentali e inviolabili.
Diritto penale e processo 3/2010
Una tale deviazione delle finalità proprie della macchina giudiziaria rappresenterebbe un passo indietro
e costringerebbe all’oblio i principi fondanti del diritto e del processo penale accolti da tempo nelle democrazie occidentali e, come tale, va nettamente
avversata, a meno di non voler rimettere in discussione regole universalmente condivise in nome di
un’ambigua - e solo apparente - difesa della sicurezza
dei singoli.
La tutela della sicurezza pubblica, in definitiva, non
deve andare a scapito delle libertà individuali. Non
è certo un caso che l’art. 5 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950, e
ratificata dall’Italia con la l. 4 agosto 1955, n. 848, si
apra con l’affermazione che “ogni persona ha diritto
alla libertà e alla sicurezza”, cogliendo così e portando in primo piano il nesso inscindibile che intercorre tra due diritti spesso ritenuti, a torto, antitetici e
inconciliabili.
Note:
(11) Si vedano in proposito le considerazioni di D.L. Altheide, I
mass media, il crimine e il ‘discorso di paura’, in Aa. Vv., La televisione del crimine, a cura di G. Forti e M. Bertolino, Milano,
2005, 287 s.
(12) Z. Baumann, Paura liquida, ed. it., Roma-Bari, 2008, passim,
offre interessanti spunti di riflessione su come le società occidentali più evolute, nonostante il benessere e la sicurezza raggiunti, siano preda di paure latenti e diffuse, prive di un’origine e
di un’ubicazione precisa: uno stato di incertezza permanente, un
fantasma interiore che condiziona il vivere quotidiano.
V. pure J. Simon, Il governo della paura. Guerra alla criminalità e
democrazia in America, ed. it., Milano, 2008, passim, ove si sottolinea la pervasività dell’’ossessione criminale’negli Stati Uniti.
(13) Cfr. W. Hassemer, Sicherheit durch Strafrecht, cit., 326.
(14) C. Eliacheff - D. S. Larivière, Il tempo delle vittime, ed. it.,
Milano, 2008, passim.
(15) R. Orlandi, Dialogo con la scuola di Francoforte, cit.
(16) R. Orlandi, Dialogo con la scuola di Francoforte, cit.
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