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Luoghi che raccontano/racconto dei luoghi

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Luoghi che raccontano/racconto dei luoghi
LUOGHI CHE RACCONTANO/RACCONTO DEI LUOGHI:
SPAZI ED OGGETTI DOMESTICI TRA BIOGRAFIA E CULTURA
Sabina Giorgi Alessandra Fasulo
Università Sapienza di Roma
e-mail del relatore [email protected]
0. Introduzione.
In quanto segue analizzeremo, come luogo di incontro interculturale, i salotti delle case di
famiglie di classe media marocchine e italiane. I livelli dell’incontro, infatti, in questi spazi, sono
molteplici. In primo luogo si tratta delle zone condivise delle case, dove convergono i membri
familiari per attività comuni. In secondo luogo, sono le stanze deputate all’incontro con l’Altro,
con gli ospiti. Infine, per quanto riguarda le case marocchine, sono i luoghi della preghiera, e
quindi di un’apertura verso l’esterno di portata significativa. Tali incontri, potenziali o realizzati,
sono inscritti in queste aree dello spazio domestico attraverso l’arredo e il decoro, dando luogo
all’intersezione delle dimensioni del pubblico e del privato secondo modalità e criteri che rivelano
molto degli abitanti delle case e delle loro comunità culturali.
Nell’eleggere una stanza come unità di analisi si è voluto integrare l’osservazione dello
spazio - "il luogo che racconta" -, al "racconto dei luoghi", ovvero alle descrizioni realizzate dai
partecipanti alla ricerca nel corso delle presentazioni della propria abitazione fatte sia in presenza
che in assenza del ricercatore.
1. Spazi domestici e vita culturale
Con Benjamin, si può citare Edgar Allan Poe come "primo fisionomista dell'intérieur" (2000
[1935]), non solo per il saggio La filosofia del mobilio (1997)1 in cui critica l’estetica americana
nell’arredo che privilegia il valore commerciale degli oggetti, ma anche perché gli stessi racconti
polizieschi si muovono all’ombra dei segreti nascosti negli interni borghesi.
Le analisi di Benjamin sull'intérieur borghese del XIX secolo illustrano efficacemente il
potere dei luoghi domestici di raccontare le caratteristiche e le trasformazioni culturali di un
gruppo sociale in un certo contesto storico. Egli fa notare come, a seguito dello sviluppo
industriale ed economico moderno che porta l'individuo borghese ad un'intensificazione della sua
vita pubblica e produttiva, l'interno domestico si costruisce per il "privato cittadino […] in
contrasto col luogo di lavoro" (p. 11), andando a strutturare in modo peculiare la separazione fra
sfera pubblica e privata (cfr. Bresnahan, 2003). Da questo spazio ci si aspetta di venire "cullati
nelle proprie illusioni" (Benjamin, 2000 [1935], p. 11); è il luogo di rimozione della storia e delle
sue frenesie, che si "difende" dall'esterno e dalle sue innovazioni, in cui "anche le tracce
dell'inquilino si imprimono" (ibid. p. 12), poiché "abitare significa lasciare tracce" (ibidem).
Tra le stanze più rappresentative compare il salotto, inteso come "palcoscenico" -e quindi
spazio della messa in scena per altri, gli ospiti- del proprio "sognante" universo privato:
"Di qui hanno origine le fantasmagorie dell'intérieur. Per il privato cittadino, esso rappresenta l'universo. In
esso egli raccoglie il lontano e il passato. Il suo salotto è un palco nel teatro universale." (Benjamin 2000
[1935], p. 11).
Il saggio Philosophy of Forniture (Philosophie de l'ameublement), riedito nel volume Abitazioni immaginarie di Poe (1997), fu
tradotto da Baudelaire e pubblicato per la prima volta in francese nel 1852 su Le Magasin des familles. La riedizione del
1997 contiene anche un saggio di Antonio Prete, in cui vengono confrontate le visioni di Poe e Baudelaire
sull'intérieur. Se Poe riconosce una doppia funzione dell'intérieur: -"universo illusorio d'un riscatto degli oggetti dalla
mercificazione e, insieme, recinto di una segretezza torbida" (Prete, 1997, p. 226)-, Baudelaire lo elegge luogo in cui
insistono "molteplici contiguità: con la lontananza, con la città, con il desiderio" (ibidem).
1
1
E ancora:
"Rendere l'immagine di quei saloni dove l'occhio si perdeva fra tendaggi ampi e cuscini gonfi, dove
specchiere e causeuses schiudevano, davanti agli sguardi degli ospiti, portali di chiesa e gondole su cui, simili
alla luna, si posava la luce a gas emanata da una sfera di cristallo." (2000 [1982], p. 226).
Il ruolo occupato dal salotto all'interno della famiglia borghese, in Italia, a partire dal XIX
secolo, è stato analizzato da prospettive disciplinari diverse. Nato come spazio sociale
dell'abitazione, deputato all'accoglienza di coloro che non partecipavano direttamente alla vita
privata della famiglia, il salone o salotto diventa espressione di un modello culturale di riferimento
-quello borghese appunto- che si fa trasversale alle classi sociali. Nelle successive semplificazioni
che investono il modello abitativo nel passaggio dalla residenza aristocratica alla casa alto
borghese, borghese e piccolo borghese, fino ad arrivare a quella di una più eterogenea classe
media, il salone/salotto/sala da pranzo resiste ai tentativi di razionalizzazione, di
modernizzazione dell'abitare e di standardizzazione dell'arredamento che prendono corpo nel
periodo della ricostruzione del secondo dopo guerra e nei successivi anni del boom economico:
"L'oggetto delle cure dei rinnovatori e insieme della più ostinata conservazione da parte delle famiglie
d'ogni censo è l'aborrito e borghesissimo salotto" (Casciato, 1988, p. 586).
Se altri spazi della casa inscrivono pienamente il processo di modernizzazione in atto primo fra tutti la cucina- il salotto diventa il luogo per eccellenza di "conservazione dell'immagine
ideale della casa" (p. 587), all'interno del quale la famiglia costruisce rappresentazioni di successo
da offrire ad uno sguardo esterno. Per la famiglia di classe media, in particolare, esso diventa
emblema di acquisizione di status e di avvenuta trasformazione sociale. E’ luogo di esposizione e
spazio del “superfluo”, sottratto alle quotidiane attività della famiglia.
Tale modello culturale, seppure con i dovuti ridimensionamenti, si rivela persistente e
radicato anche nella contemporaneità2 (Rami Ceci, 1996), così che studi e ricerche prevalentemente di matrice europea- sullo spazio abitativo continuano a scegliere questa stanza
della casa come luogo elettivo di indagine. Giuliani (1987) ne sottolinea l'interesse a partire dalla
constatazione della eterogeneità lessicale utilizzata dagli abitanti per riferirsi a questa stanza. A
fronte di una quasi assoluta omogeneità nell'etichettamento di altri luoghi della casa (es. cucina,
camera da letto) che, pur essendo attraversati e contraddistinti da funzionalità plurime (es. camera
da letto usata anche come ufficio), tuttavia conservano la denominazione abituale, il salone è
chiamato variamente salotto, sala da pranzo, soggiorno, e loro diminutivi (salottino ecc). Giuliani
ipotizza che a tali differenti categorizzazioni corrispondano diversi modelli culturali e abitativi.
Tra i tre modelli individuati (il tipo "tradizionale borghese", "tradizionale popolare" e
"moderno"), il più comune fra i residenti studiati è il tipo "moderno", caratterizzato dalla
presenza di un'unica grande stanza che accoglie funzioni diverse (dal ricevimento degli ospiti alle
attività di svago e di intrattenimento familiare). I risultati della ricerca mostrano come in questa
stanza multifunzionale, prevalentemente definita dagli abitanti "salone" o "soggiorno", insistano
diversi livelli di ambiguità nel rapporto fra caratteristiche fisiche dello spazio, tipi di attività che vi
si svolgono e valori veicolati. Se nella scelta dell'arredamento vi è integrazione e commistione di
funzionalità diverse, le attività che vi confluiscono e i valori di riferimento attributi dagli abitanti
Si segnala la ricerca di Rami Ceci (1996) in un quartiere medio-borghese di Roma (Prati), finalizzata a conoscere la
relazione fra spazio abitativo ed etica della famiglia borghese del XX secolo. Attraverso la raccolta di storie di vita
degli abitanti "storici" del quartiere l’Autore ha voluto indagare come fosse cambiata la percezione del proprio
"habitat" dalla fine del primo trentennio del XX secolo fino ai nostri giorni. La ricerca ha messo in evidenza una
sostanziale continuità nelle descrizioni degli spazi abitativi e nelle rappresentazioni ad essi attribuite, Si rivela quindi
un codice comune -formalizzato in una estetica dello spazio - che valica i limiti temporali ed esprime "valori di ceto"
perseveranti e radicati (p. 252).
2
2
rivelano la persistenza di un modello di tipo tradizionale che distingue le varie stanze della casa in
base al livello di esposizione e di rapporto con il pubblico.
Sono soprattutto le ricerche etnografiche di tradizione francese ad essersi occupate di
"topografia dello spazio domestico" (Bonnot, 2002), e dell'allestimento e del decoro degli interni
contemporanei (cfr. Segalen, Le Wita, 1993). In particolare, Chevalier (1992; 1999) concentra la
sua indagine sul séjour, in quanto spazio comune della famiglia, per analizzare il modo in cui il
decoro di questa stanza -in famiglie di un quartiere residenziale di Nanterre- rifletta peculiari
processi di "appropriazione" degli oggetti del mercato di massa (es. mobilio, televisione, oggetti
vari) nel perseguire particolari "progetti sociali" degli abitanti delle case. In quest'ottica, l'oggetto
esposto è visto come "mediatore delle relazioni che l'individuo intrattiene con il suo ambiente e
con gli altri" (Chevalier, 1992, p. 404).
Anche Bonnin e Perrot (1989), nello studio del decoro domestico nel contesto rurale
francese della Margeride, concentrano la loro attenzione sul soggiorno inteso come "frontiera del
privato e del pubblico" dove "il lavoro delle apparenze per sé e per gli altri è il più evidente, e il
gioco della rappresentazione sociale il più intenso" (p. 45).
In quel che segue descriveremo quindi il salone come luogo di incontro e mediazione tra
istanze culturali di diversa natura e provenienza, e anche come contesto in cui, nel caso di una
“rilocazione” (Baynham, De Fina 2005), si creano processi sincretici tra cultura di provenienza e
cultura di arrivo.
2. Etnografia dell’abitare
2.1 Partecipanti
Il presente contributo si basa su una ricerca etnografica riguardante 8 famiglie italiane a Roma, tre
famiglie marocchine a Rabat e a Salè, e due famiglie marocchine a Roma. I dati delle famiglie
italiane sono stati raccolti all'interno di un progetto di ricerca internazionale sulla vita quotidiana
di famiglie di classe media in cui entrambi i genitori lavorano, condotto in Italia, Svezia e USA
(Pontecorvo, Fatigante, Arcidiacono, 2007; www.celf.ucla.edu), e svolto nel periodo 2002-2006.
I dati relativi alle famiglie marocchine di classe media sono stati acquisiti, invece,
nell’ambito della ricerca di dottorato di una delle autrici (Giorgi, 2008) compiuta nel periodo
2005-2007, anch’essa ideata mutuando –e ri-definendo- l’impostazione di ricerca del progetto
internazionale. Le famiglie i cui dati compaiono nella seguente esposizione sono rappresentate
nella Tabella 1 (tutti i nomi sono fittizi).
Nome
famiglia
Mnoha
Badou
Papi
Pico
Ripe
Giti
Cali
Olmi
Membri (età)
Madre: Naima (45); Padre: Rashid (46); Figlio: Mgid (10); Figlio: Amid (5).
Madre: Fatima (41); Padre: Ali (41); Figlia: Samia (16); Figlia: Aisha (12); Figlio:
Assan (9).
Madre: Souad (54); Gino (47); Figlia: Najet (23); Figlia: Nadine (19)
Madre: Letizia (46); Padre: Giorgio (50); Figlia: Daniela (12); Figlia: Serena (10).
Madre: Gaia (47); Padre: Marco (54); Figlio: Leonardo (13); Figlio: Andrea (9).
Madre: Emma (34); Padre: Paolo (42); Figlia: Elena (8); Figlia: Alice (1 anno e
mezzo).
Madre: Renata (41); Padre: Flavio (44); Figlia: Carla (8); Figlia: Elisa (3).
Madre: Arianna (43); Padre: Marcello (43); Figlio: Fabrizio (11); Figlio: Davide
(7).
Città di
residenza
Rabat
Roma
Roma
Roma
Roma
Roma
Roma
Roma
Tab.1 Famiglie che compaiono in questo studio
2.2. Metodologia
La vita domestica è stata studiata unendo alla prospettiva etnografica l’uso di strumenti di
registrazione video per documentare, in modo intensivo nell’arco di una settimana, le attività e le
pratiche quotidiane dei membri familiari. A fare da supporto all’etnografia visiva, il progetto di
3
ricerca prevedeva l’uso di un complesso apparato di strumenti. Una parte di essi erano orientati a
studiare in modo specifico gli spazi e gli oggetti domestici.
La rilevazione degli attributi fisici della casa è stata ottenuta attraverso la mappatura
dell'abitazione e la collezione di foto di spazi ed oggetti. La conoscenza delle pratiche spaziali
faceva parte della più ampia etnografia visiva realizzata nelle famiglie, che ha visto anche la
redazione di schede etnografiche digitali (tracking data) per annotare gli spostamenti dei vari
membri all'interno dei vari ambienti ogni 10 minuti. Le interpretazioni e le rappresentazioni dei
componenti della famiglia sulla propria casa sono state sollecitate sia in sede di intervista -con
parti tematiche relative alla storia dell'abitazione e degli oggetti-, sia attraverso audio e video tour.
Questi ultimi hanno permesso di raccogliere le narrazioni sui luoghi domestici che costituiscono
l'oggetto di indagine del presente contributo.
2.1. Raccontare i luoghi
Gli audio tour sono descrizioni della casa, audioregistrate, fatte da uno o più membri della famiglia
al ricercatore nel corso di una sorta di visita guidata; i video tour, invece, descrizioni che tutti i
membri della famiglia individualmente, muniti di telecamera, hanno svolto come compito di
ricerca (Ochs et al., 2006). In particolare, per il video tour veniva richiesto ai membri della famiglia
di mostrare la casa dal proprio punto di vista, soffermandosi sugli spazi e sugli oggetti considerati
più significativi.
Tecniche simili all'audio tour sono state impiegate nella ricerca etnografica come strumento
di indagine del rapporto fra soggetto e percezione del proprio spazio. Ne è un esempio lo studio
di Bendiner-Viani (2005) che, attraverso "tour guidati" di un quartiere di Brooklyn fatti dai
residenti insieme alla ricercatrice, si interroga sul modo in cui gli individui costruiscono il "senso
di casa" nello spazio pubblico. Altre analogie si stabiliscono con la tecnica del "go-along" o
"street phenomenology" usata da Kusenbach, 2003, per esplorare due quartieri di Los Angeles
attraverso i tragitti e gli spostamenti interni comunemente compiuti -a piedi o in bicicletta- dai
loro residenti. I "tour" sembrano prevalentemente legati a spazi esterni: le potenzialità narrative di
oggetti e arredi domestici sono invece sfruttate da Dei (in preparazione) attraverso una tecnica di
intervista chiamata “biografia degli oggetti”.
Nella letteratura di riferimento sembra, invece, non avere la stessa diffusione l'uso del
video-tour che, in questo studio, si è rivelato una fonte particolarmente interessante. Il fatto di
essere svolto in assenza del ricercatore induce alla costruzione di racconti autonomi, strutturati da
modalità narrative diverse per tipologia (sintetiche descrizioni-elenco, concatenazioni libere di
memorie legate agli oggetti e agli spazi tipo "stream of consciousness", narrazioni fiction che
ricostruiscono, attraverso la descrizione dello spazio, pratiche, abitudini, umori, discorsi), per
tonalità di voce e per il tipo di destinatario immaginato (es. il gruppo dei ricercatori, un generico
pubblico virtuale)3. La tecnica si inserisce a pieno titolo nella pratica della self-ethnography, che
consiste nell’affidare a membri del contesto di osservazione la produzione del dato etnografico
(Johnson, Chambers, Tincknell, 2004).
3. Il salone marocchino: uno spazio consacrato al rapporto con l’Altro
3.1 Saloni marocchini a Rabat
Il primo spazio in cui si è avuto accesso -da ospite- nelle case marocchine è il “salone degli
invitati” (bit dial diaf). E’ spesso la stanza più grande della casa, anche laddove gli spazi domestici
siano ridotti, riservata alla preghiera, o ad accogliere - come dice Rashid della famiglia Mnoha"qualcuno dall'esterno" (intervista 03/03/2006). Essa è distinto dalla bit l'glus o séjour, il salone più
piccolo, che costituisce lo spazio in cui la famiglia trascorre la maggior parte del proprio tempo.
Tour della casa che possono avvicinarsi a quanto noi intendiamo per video tour, sono stati utilizzati da Linde e Labov
(1975) per studiare la rappresentazione linguistica dell’orientamento spaziale. La maggior parte di queste descrizioni
di appartamenti hanno assunto la forma di tour/percorsi (versus mappe) immaginari che trasformavano lay-out spaziali
in narrazioni organizzate temporalmente (cfr. de Certeau, 2001).
3
4
Nel soggiorno infatti si consumano i pasti principali, si lavora, si guarda la televisione, i bambini
vi svolgono i compiti, e si ricevono gli ospiti più intimi. "Le persone intime sono con noi qui",
precisa Rashid Mnoha (03/03/2006 Int.).
Tre lati del perimetro della bit dial diaf , o salone grande, sono integralmente occupati da
un divano composto di tre corpi di grandezza simile, sui quali poggiano cuscini che, oltre a fare
da schienale, delimitano i principali spazi di seduta. Inoltre, i cuscini sono facilmente rimovibili
nel caso in cui il divano debba trasformarsi in letto e quindi in stanza che consente una ospitalità
più prolungata. Le bit dial diaf contengono inoltre un tavolo tondo su cui posare i cibi, uno stereo
dove ascoltare musica, tappeti di preghiera ripiegati, copie del Corano e una serie di oggetti e
quadri che ritraggono immagini della Mecca, sure del Corano, calligrafie sacre che riproducono il
nome di Allah4 (vedi fig. 1 e 2). Le pareti sono prive di foto personali o di oggetti
immediatamente riconducibili alla singola biografia familiare. Fatima Badou, durante una
conversazione informale, ha spiegato che dove si prega non possono esserci foto. Ciò che
colpisce -da ospite occidentale accolta nei grandi saloni delle famiglie in Marocco- sono appunto
le pareti vuote e la ripetitività del decoro di queste stanze tra le varie case visitate.
Tale assenza di personalizzazione, tale omogeneità e la forte codificazione simbolica dello
spazio creano disagio a chi sia abituato a scenari diversi, in quanto non si offrono strumenti di
lettura e interpretazione rispetto alle caratteristiche specifiche della famiglia presso cui si è in
visita. La conoscenza con essa risulta completamente affidata a quanto avviene in presenza, ha
bisogno del dialogo. Lo spazio e i pochi, convenzionali oggetti, accolgono senza rivelare.
Fig. 1 Salone degli invitati (bit dial diaf) della
Famiglia Mnoha
Fig. 2 Esempio di inscrizione coranica raffigurante
la Mecca esposta nel salone degli invitati della
Famiglia Zaidi (non analizzata in questo testo)
Ciò che il decoro permette di leggere è invece la connessione della famiglia con una più
ampia comunità di riferimento, con un orizzonte simbolico condiviso, quello islamico, di cui non
si fanno appropriazioni peculiari, ma se ne riproducono gli elementi in modo convenzionale.
Vediamo dunque alcune delle descrizioni offerteci attraverso i video tour affidati ai membri
familiari5. Una prima peculiarità è la scelta -inedita e mai verificatasi con le famiglie italiane- da
Nelle grandi case delle famiglie emigrate, costruite in quartieri residenziali e periferici delle città marocchine, la
grandezza delle stanze e l'accuratezza dei dettagli diventano emblema di un successo sociale conseguito, di un
benessere economico raggiunto. In particolare all'interno di questi ambienti, il salotto si arricchisce di dettagli
preziosi, tra cui soffitti decorati dal lavoro di artigiani specializzati che riproducono in basso rilievo fiori e volute.
5 Ci sembra interessante far notare come il video tour della casa da parte di persone marocchine si ritrovi in contesti
diversi da quello di ricerca, come ad esempio le presentazioni video home made, generalmente finalizzate alla vendita o
all'affitto di abitazioni private, pubblicate su YouTube. In particolare, il video "Maison à louer à Saïdia", sebbene
privo di commenti audio, inizia proprio dal salone della casa. Altri video amatoriali -ai quali si aggiungono quelli di
artigiani o aziende- sono dedicati specificamente al "salon marocain". Si segnala il video "le salon marocain de la
4
5
parte della persona incaricata del video tour di avvalersi di un cameraman per poter comparire nel
video ed offrire così le proprie spiegazioni. Nella descrizione – ripresa dal figlio - che Naima
Mnoha fa della propria casa, il “gran salon” viene presentato per primo. Il video tour, in questo
senso, riproduce virtualmente una modalità tipica di accoglienza nello spazio domestico. Sembra
evidente che, nel presentare il “gran salon”, Naima faccia riferimento ad un certo modello di casa
che include questa stanza come uno dei suoi spazi previsti. Nello stesso tempo esso viene
descritto in modo particolarmente valorizzante, come si vede nella conclusione della descrizione,
in fondo all’estratto che segue.
6
Estratto 1 (i simboli di trascrizione sono in nota ; la traduzione italiana è a seguire)
Famiglia Mnoha - Video tour Madre.
1.
2.
3.
4.
5.
Madre:
→
6.
7.
8.
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10.
11.
12.
13.
14.
→
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Madre:
→
→
→
→
[…] c'est: notre salon. c'est le grand salon, (0.5) où (.)
la famille réunit:: >toute la famille< se réunit dans cettedans ces salon. c'est: le salon des invitations.
d↑e- des invites. (.)
mh? ici, on:::: (3.0)
((Naima agita le mani perché ha difficoltà a trovare le parole. La ripresa si interrompe))
(
) ce salon est décoré par eh::: telles choses,
de:s photos: du Coran eh:: eh: des tableaux, il y a:: un tableau ici (1.5)
où il y a des:: eh:: des choses eh:::
formidables ((si tratta di un quadro cinese dove è ricamato un paesaggio))
il y a deux tableaux ou bien trois tableaux où il y a le Coran. mh?
eh:::: (1.0) eh:::: ici, toute la famille on- eh::: le Ramadan
on::::: ((apre le mani e le solleva in alto)) réunit ici on:: eh:::
on mange ici, on:: fait des:: tellement des choses dans ce (.)
salon. c'est le grand salon de cette maison.
[…] è: nostro salone. è il gran salone, (0.5) dove (.)
la famiglia riunisce:: >tutta la famiglia< si riunisce in questoin questo salone. è: il salone degli inviti.
d↑i- degli invitati.
mh? qui, si:::: (3.0)
(
) questo salone è decorato da eh::: queste cose,
de:lle foto: del Corano eh:: eh:: dei quadri, c'è:: un quadro qui (1.5)
dove ci sono delle:: eh:: delle cose eh::
formidabili
ci sono due quadri o meglio tre quadri dove c'è il Corano. mh?
eh:::: (1.0) eh:::: qui, tutta la famiglia si- eh::: il Ramadan
si::::: ((apre le mani e le solleva in alto)) riunisce qui si:: eh:::
maison de Ibrahim", in cui una voce femminile si sofferma a commentare in inglese il soffitto decorato del salone
della sua casa.
6 Convenzioni di trascrizione :
:
allungamento del suono che precede
,
tono ascendente
.
tono discendente
M
(carattere maiuscolo), aumento di volume
°°
sensibile abbassamento del volume di voce
?
tono interrogativo
__
(stile sottolineato) enfasi

sensibile innalzamento del tono

sensibile abbassamento del tono
(1.0)
durata di una pausa in secondi.
[ ]
inizio e fine della sovrapposizione tra parlanti
=
allacciamento (mancanza di scansione tra due parole)
(trattino) troncamento della pronuncia, interruzione
><
accelerazione del ritmo dell’eloquio
<>
decelerazione del ritmo dell’eloquio
( )
turno bianco, parole non comprensibili
(( ))
annotazioni su aspetti paraverbali e contestuali
6
13.
14.
si mangia qui, si:: fanno delle:: talmente tante cose in questo (.) salone.
è il gran salone di questa casa.
Il primo elemento che viene menzionato è la funzione di accoglienza per la “famiglia che
si riunisce”, con cui si intende la famiglia allargata, categoria che immediatamente viene ampliata
in quella di “invitati”. Il secondo elemento ad apparire è il decoro: vengono mostrati i quadri
appesi alle pareti, ovvero iscrizioni coraniche e un paesaggio cinese ricamato con fili colorati e
descritto con enfasi.
L’estratto si chiude tornando di nuovo alla famiglia. Questa volta però è l’occasione
festiva del Ramadan ad essere introdotta dalla descrizione. Tale precisazione contribuisce a
rendere ancora più esplicita la dimensione temporale che insiste su questa stanza della casa. Il
“grand salon” è consacrato al tempo dello straordinario, sia quello della festa e di preparazione
del rituale (es. al Ramadan o alle cerimonie che scandiscono il ciclo di vita dell’individuo:
battesimi, matrimoni, funerali) che apre più che in altre occasioni la “piccola famiglia”7 all’esterno.
Il salone assume dunque i confini di uno spazio consacrato al rapporto con l’Altro in una
progressione che distingue inizialmente il Sé familiare dall’Altro familiare (la famiglia estesa),
dallo straniero (che si concretizza nell'uso generico del termine "invitati"), fino ad arrivare alla
sfera della relazione con il divino (ricordata dalla presenza di immagini del Corano).
3.2 Saloni marocchini a Roma
Il ruolo svolto dalla casa nelle esperienze diasporiche (ma non solo), come luogo elettivo del
ricordo e di strumento di ordinamento della vita quotidiana, è ormai noto in letteratura.
La casa fornisce "direzioni di esistenza" (Douglas, 1991, p. 290), in quanto spazio
controllabile attraversato da insiemi di comportamenti e azioni regolari che strutturano la vita
domestica. Rapport e Dawson (1998) fanno notare che tale routinizzazione spazio-temporale
assume caratteristiche estetiche e morali (p. 7), poiché concorre alla costruzione di un modello
ideale di collettività, di distribuzione delle risorse al suo interno, della giustizia, dei ruoli degli
individui, dei diritti e doveri di ciascun abitante. La casa è un microcosmo che funziona da
modello per interpretare la propria esperienza quotidiana e per strutturarla e proiettarla
all'esterno. Tuttavia - suggerisce Berger (1984 cit. in Rapport, Dawson, 1998) - in un mondo in
movimento, fatto di lavoratori globali, di emigrazioni ed esodi, è opportuno riflettere su quali
nuovi significati la casa possa assumere. L'ipotesi è che piuttosto che spazio fisico, essa appaia
sempre più sottoforma di insiemi di routine e di pratiche esportabili altrove, ovvero opinioni, stili
di abbigliamento, ecc. Casa come habitus, pratiche incorporate, per dirla con le parole di Bourdieu
(1969); come performance (Bammer, 1992, cit. in Rapport, Dawson, 1998). Una casa "behavioural
and ideational, that individuals construct and enact" (Rapport, Dawson, 1998, p. 8). I contributi
raccolti nell'ormai noto testo Migrants of Identity intendono riflettere proprio sulla relazione fra la
nozione di casa, ovvero sulla sua trasformazione, in rapporto al movimento degli individui
intorno al mondo (ibidem). A questo fine le narrazioni sulla casa diventano il contesto di ricerca
ideale per trovare il modo in cui gli individui costruiscano moving home di vario tipo, "case
cognitive" in transito (ibidem).
La rilevanza assunta dal salone degli invitati per le famiglie marocchine è ancora più
evidente nelle case di alcune famiglie immigrate a Roma.
L’organizzazione architettonica degli appartamenti romani ha in alcuni casi indotto una
fusione di salotto e soggiorno -e delle relative funzioni- nelle abitazioni delle famiglie marocchine
conosciute a Roma. Ma la differenza principale è che queste zone diventano nella diaspora dei
"paesaggi del ricordo" (Assmann, 1997 [1992]). Perde dunque forza quel modello che determina
la sostanziale omogeneità delle abitazioni in Marocco in termini di assenza di personalizzazione, e
ci si trova in presenza di scenari domestici più eterogenei. Sono visibili, tra le altre cose,
“Petite famille” è un’espressione utilizzata spesso da Naima Mnoha nel corso del video tour a ridosso di quegli
ambienti della casa che sono espressione più diretta dell’intimità familiare.
7
7
"appropriazioni" (Giorgi, Padiglione, Pontecorvo, 2007) di singoli membri della famiglia che
espongono propri oggetti, inscrizioni della famiglia come gruppo attraverso fotografie o altro,
oggetti e mobili marocchini e infine decori ed estetiche legate al luogo di arrivo. Queste
trasformazioni avvengono però su un substrato di continuità.
La famiglia Badou dal 2003 vive all'interno di una occupazione abitativa in una zona
centrale di Roma. La casa è su due piani: il piano terra è suddiviso in un primo spazio aperto che
include il salotto e un angolo cottura, una stanza da letto -di dimensioni ridotte- per la coppia, e
un bagno. La parte superiore, soppalcata, accoglie le tre camerette dei figli. Il salotto marocchino
qui ricreato (vedi fig. 3) si fa riconoscere dal grande divano, composto da supporti bassi in legno
disposti a ferro di cavallo lungo i tre lati della stanza, su cui sono stati collocati materassi e cuscini
rimovibili che fanno da poggia-schiena, entrambi rivestiti da stoffe sontuose. Lo spazio centrale è
occupato da un tappeto e da due tavoli bassi sui quali la famiglia mangia.
Per la famiglia Badou, arredare la propria casa in "stile marocchino" significa avere la
possibilità di riordinare e sostenere un'identità in transito, scongiurandone la dispersione:
Estratto 2 .
Famiglia Badou - Audio tour madre (Fatima parla italiano)
34.
35.
36.
37.
38.
39.
40.
41.
42.
43.
Madre:
→
→
[…] ultimamente ho::: potuto arredare la mia casa,
a stile marocchino, perché come io sono marocchina,
non ho mai potuto dimenticare questa:: mh:::
questo modo di- di- arre- arredare una stanza
perché io sono venuta:: come persona ma io::: c'ho dietro:: l- mial:: mia ah::: una grande cultura, religione mh::
tante cose non posso dimenticare (.) anche se io cammino,
>non cammino così< io:: s↑enza casa la persona, senza mh::
un luogo dove abitare quando: cammina mh:
dentro la sua borsa c'è tutta una storia non posso dirti
Arredare per Fatima significa inscrivere nello spazio la sua appartenenza culturale in
modo intelligibile. L'uso del termine "stile" rinvia alla presenza di una modellizzazione
riconoscibile, ad una specifica modalità di espressione attraverso caratteristiche formali definite e
riproducibili. In particolare Fatima si riferisce al salotto marocchino che ha potuto ricreare nella
stanza principale della casa, creata tramite pareti divisorie di cartongesso e legno nello spazio
originariamente indifferenziato.
Fig. 3 Salone marocchino della Famiglia
Badou
Fig. 4 Pannello "con il mare" utilizzato come
schienale di parte del salone della Famiglia Badou
8
Fatima riesce bene a far comprendere in che cosa consistano quelle moving home che le
persone, nella migrazione, conducono con sé. Attraverso l'affermazione "non ho mai potuto
dimenticare questa:: mh::: questo modo di- di- arre- arredare una stanza", messo in relazione
esplicita con la proria appartenenza culturale “come io sono marocchina”, Fatima sottolinea sia la
rilevanza del salone nella cultura di appartenenza sia la sua vitalità nella propria memoria
personale. Quel "non posso dimenticare" può essere interpretato quindi in modo almeno duplice:
sia come determinazione ad auto-affermarsi nella propria specificità culturale, sia come
preoccupazione nei confronti dell'eventualità dell’oblio.
La parte conclusiva dell'estratto afferma con forza la centralità della casa
nell’esperienza di migrazione: una persona che cammina, anche se cammina, anche se, quindi, ha
scelto di pensarsi in movimento ha bisogno di "un luogo dove abitare". La casa cioè diventa
risorsa irrinunciabile, spazio vitale necessario a conservare la propria storia e identità. Alla fine
dell'estratto, in cui si contrappone il movimento e la base a cui tornare, con un dolente "non
posso dirti", Fatima evoca l'immagine della borsa e del suo contenuto (quest'ultimo identificato,
nei turni successivi non riportati, in numeri di telefono, lettere, passaporto) che concretizzano
metaforicamente l’esiguità del patrimonio di cultura materiale cui i migranti posso far riferimento
in terra straniera; senza una casa, la loro appartenenza si riduce a quanto può entrare in una borsa.
Se i saloni delle famiglie immigrate sanciscono nuovamente la rilevanza di questo spazio
domestico, tuttavia nuovi aspetti e nuove relazioni sembrano inscriversi tra le sue mura, o meglio,
sulle sue pareti. In Marocco a colpire il nostro sguardo era la percezione del vuoto -inteso come
assenza del personale familiare a favore della presenza del collettivo simbolico- che caratterizza le
sue pareti, mentre nelle case delle famiglie immigrate esse diventano una superficie narrante, con
immagini ed oggetti che rimandano alla migrazione e all'interpretazione che di essa viene fatta dai
suoi protagonisti.
Così nel salone "tradizionale" di Fatima si trovavano fino a non molto tempo fa 8
immagini che ritraevano il mare sotto molteplici sembianze: tranquilli scenari costieri, disegni di
barche. Oggetti acquistati a Porta Portese, tra cui vecchi pannelli figurativi in bianco e nero un
tempo utilizzati per decorare gli scompartimenti dei treni (vedi fig. 4). Le immagini riprodotte
erano burrascosi mari in tempesta solcati da velieri in difficoltà a cui Fatima aveva aggiunto un
po' di colore dipingendo, con un rosa vistoso, le cime, "per cancellare i simboli" che vi erano
impressi, diceva. Queste immagini le piacevano perché erano in grado di legare i ricordi personali
a simbologie più generali: le ricordavano allo stesso tempo l'oceano su cui si affaccia Casablanca
(la propria città di origine), e i rischi, i pericoli a cui va incontro chi decide di emigrare: il mare
"rappresenta il viaggio il rischio il::: per cercare un:: un'altra vita" (audio tour Fatima Badou; turno
non riportato).
Anche nella casa di Souad Papi, residente a Roma da ventisei anni e sposata con un italiano,
il salotto costituisce l'unico angolo marocchino della casa. Viene riprodotta la struttura
convenzionale del salone "tradizionale" (essenzialmente la forma del divano, la tipologia degli
arredi e dei tessuti), tuttavia nelle decorazioni emergono interessanti differenze rispetto sia alle
rarefatte stanze viste in Marocco, sia alla casa di Fatima appena discussa. Se Fatima tematizzava la
migrazione, mettendone in scena una metafora condivisa (quella del mare) e, per alcuni versi,
retoricamente costruita per rafforzarne il messaggio di denuncia sociale, il salone di Souad
Negli ultimi due anni i quadri sono scomparsi in seguito ai lavori di ristrutturazione che la famiglia Badou ha svolto
nella casa. Da allora non sono stati più appesi. Il loro posto è stato preso da quadri raffiguranti il Corano e da
immagini della Mecca. Tale assenza viene motivata da Fatima dal fatto che sono in attesa di trasferirsi nella casa
popolare e che quindi non serve decorare un luogo che a breve deve essere lasciato. Tuttavia se questa spiegazione
può chiarire -per alcuni versi- l'assenza di tali inscrizioni più "personali", la sola presenza di calligrafie coraniche può
essere letta nei termini di un ritorno del modello culturale di riferimento -questa volta autosufficiente ai fini della
costruzione di una rappresentazione identitaria della famiglia- che sembra andare di pari passo con la sedimentazione
e la crescente elaborazione della propria esperienza migratoria.
8
9
somiglia all’accattivante vetrina di un'agenzia di viaggi satura di souvenir e di merci del souk9 (vedi
fig. 5 e 6).
Fig 5 Souvenir esposti nel salone
marocchino di Souad Papi (foto del tavolo)
Fig 6 Souad Papi e il suo salone
marocchino
Ceramiche decorative raffiguranti tajine10 in miniatura, babuche11 mai utilizzate lasciate ai
margini del tappeto per evocare pratiche abituali, sedute in pelle, cuscini berberi, teiere, foulard
usati come tessuti decorativi che incorniciano foto o insiemi di oggetti, come quelli disposti -ed
esposti- sul tavolo tondo ai piedi delle scale di ingresso: un'accurata composizione formata da
scatole di henne, bicchieri e vassoio da the, cartoline raffiguranti donne berbere che danzano,
riviste italiane (Traveller) dedicate al Marocco poste accanto ai quadri che racchiudono sure
coraniche. Oggetti che raccontano dello sguardo ormai allontanato e defamiliarizzato di Souad sul
proprio paese di origine, vissuto con lo stesso affascinato straniamento di un viaggiatore che si
circonda di souvenir come segni dell'effimera esperienza consumata (MacCannel, 1976; Padiglione,
2006). I souvenir diventano "simbolo di uno scambio attivato", dell'incontro di due mondi
(Padiglione, 2006, p. 85) percepiti appunto come tali, ormai separati e distinti.
In conclusione, la complessa e densa opera di ri-significazione messa in atto dalle famiglie
marocchine immigrate a Roma nei confronti della propria appartenenza culturale di origine
sembra trovare proprio nel salone uno spazio privilegiato di espressione e di interpretazione.
4. Una irrinunciabile socialità – il salotto italiano e la nostalgia dell’ospite
Nelle case visitate a Roma il salone mostra una più ampia gamma di denominazioni e destinazioni
d’uso rispetto alle case marocchine e una varietà maggiore nelle scelte di arredo e decorazione.
Ciò che ci permette di considerare all’interno di una categoria spaziale unitaria tali luoghi è, da un
lato, il fatto che l’alternanza tra le definizioni nel corso delle spiegazioni dei membri familiari
spesso include comunque il termine salone o salotto, dall’altro lato la sistematica menzione della
funzione del ricevimento degli ospiti relativamente a una certa stanza della casa. Come vedremo
però– e arriviamo così ad un nucleo problematico rivelato proprio dalla comparazione – gli ospiti
sono più spesso un residuo simbolico che una presenza concreta.
Quando i membri della famiglia arrivano, nel corso del loro tour, nello spazio in questione,
un primo elemento comune attraverso le famiglie e i membri della stessa famiglia riguarda una
doppia descrizione: la funzione “ufficiale” dell’ospitalità, che spiega la presenza stessa di uno
spazio dedicato nella casa, e usi quotidiani, quindi più abituali, ma percepiti come inappropriati.
Mercato.
Pentola in terracotta a forma di cono usata per stufati di carne e pesce.
11 Tradizionali calzature marocchine.
9
10
10
Tutti e quattro i membri della famiglia Ripe, ad esempio, notano questa doppia identità
della loro sala da pranzo, anche se con sfumature diverse nella tonalità affettiva della descrizione.
Nella loro casa, gli spazi comuni associabili alla funzione salotto sono due, separati da parete
divisoria. In uno, che i membri della famiglia chiamano soggiorno, ci sono due grandi divani e
una grande tv; nell’altro che chiamano “sala da pranzo” si trova un ampio tavolo con sei sedie
intorno (vedi fig. 7). Vediamo di seguito i passaggi relativi a questo secondo spazio:
Estratto 3
Famiglia Ripe - Video tour Madre
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Madre:
→
→
→
questa è la stanza meno usata di tutte (2.0) ((accende la luce))
<la sa:la: da pra:nzo> ((con tono ironico)) (3.0)
la stanza anche che mi piace meno di tutti (2.0)
come si vede ormai usata più che altro come: stanza hobby. (4.0)
difficile che venga usata: per il motivo per il quale è stata inventata (1.0)
ma non pensiamo di cambiarla
Si può notare la contrapposizione tra modello e pratica, espresso tramite qualificatori
temporali di frequenza (“meno usata di tutte”, “ormai usata più che altro come stanza hobby” e
“difficile che venga usata”) e riferimenti espliciti alla funzione convenzionale (“il motivo per cui è
stata inventata”). In questa sintetica presentazione, accompagnata anche ad una esplicita
dichiarazione di disaffezione allo spazio in oggetto (riga 3), emerge una sorta di paradosso
permanente interno alla casa, per cui esiste un luogo designato ad attività che non vi vengono
svolte se non a cadenza annuale; lo stesso spazio può venire usato ad altri scopi, tuttavia questi
non assumono legittimità e non reindirizzano aspetto e definizione dello spazio stesso. Anzi, a
chiusura della descrizione, la madre specifica che non si ha intenzione di cambiare.
Fig 7 Sala da pranzo della Famiglia Pico
con scorcio sul soggiorno
Le descrizioni dei figli sono simili (ne riportiamo soltanto una), ma traspare meno
problematicità, grazie probabilmente al fatto che non sono coinvolti nelle decisioni. Ancora si
nota una divergenza tra riferimento agli usi effettivi e richiamo all’uso convenzionalmente
deputato.
Estratto 4
Famiglia Ripe - Video tour Figlio
1.
2.
3.
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5.
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7.
Leonardo:
→
→
benvenuti nel soggiorno cioè eh:
benvenuti nella sala da pranzo degli ospiti (1.0)
qui non ci stiamo quasi mai, se non per fare: (.) un po'di compiti
o: le cose nostre: come il mio modelli:smo, e cose varie
insomma qui è dove ammucchiamo di solito la roba.
l'unica volta che viene utilizzata per il suo vero scopo
è quando ci sono de dei grandi pranzi e delle grandi cene
11
8.
9.
10.
→
come il cenone di Natale.
qui è dove passo la mia maggior parte del tempo a fare i compiti,
se per caso non ci sta nessun altro posto in giro.
Come si vede, i figli che pure utilizzano la stanza lo fanno consapevoli che la funzione di
ospitalità crea affordances (col suo lungo tavolo vuoto e l’assenza di altre attività domestiche in
corso) per occupazioni che richiedono estesi piani di appoggio (i compiti, il modellismo), ma con
una chiara percezione della transitorietà che emerge dai termini usati nel riferire su di esse (“di
solito ammucchiamo la roba” “un po’ di compiti” “se per caso non ci sta nessun altro posto in giro”).
Insomma, in questa famiglia si anticipa un tema ricorrente nei nuclei familiari italiani,
ovvero la tensione tra un modello di casa che prevede, verrebbe da dire con perentorietà, spazi
riservati all’ospitalità, ed abitudini di vita che rendono le occasioni sociali limitate, e le stanze
comuni clandestinamente riutilizzate da membri del nucleo familiare ristretto.
La famiglia Pico partiva da una conformazione analoga, cioè due spazi separati (che loro
chiamano salotto e soggiorno) ma che si sono dovuti fondere per far spazio alla stanza delle figlie.
Nonostante la fusione, la stanza che è occupata da un grande tavolo resta inutilizzata nei giorni
feriali se non, di nuovo, per attività scolastiche. Vediamo di seguito la testimonianza della madre e
del padre.
Estratto 5
Famiglia Pico - Video tour Madre
1.
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3.
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8.
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Madre:
→
11.
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15.
16.
allora questo è il soggiorno, (4.0)
e il salotto. ((inquadra il divano accostato alla parete))
ecco questa stanza: ecco di solito:
la viviamo di più il sabato e la domenica:
perché ci pranziamo: ci ceniamo: e: comunque:
insomma la viviamo di più in questi giorni
>gli altri giorni è un po': bè magari forse: ecco per: per le bambine è diverso
perché loro ci fanno i compiti< comunque diventa una zona: una: una zona relax
per quanto riguarda ecco >il sabato e la domenica
che siamo un pochino più a casa< ((Letizia ha inquadrato tutto il tempo la parte della stanza in
cui c'è il tavolo))
ecco questo (.) allora(.) questa: stanza: nel tempo: ha avuto: delle: modifiche
prima era praticamente un salotto, poi da quando (.) sono nate le bambine
per esigenze °abbiamo avuto° l'esigenza di creare una stanza a loro,
e abbiamo abbinato e fatto praticamente soggiorno e salotto tutti e due insieme (7.0)
qui è la zona dove poi noi (.) soprattutto quando invitiamo perso:ne facciamo fe:sta e:
è questa la stanza che che usiamo.
Di nuovo, notiamo come l’organizzazione della stanza e del mobilio sia spiegata in primo
luogo in riferimento agli ospiti e alla festività, a cui viene contrapposto l’uso informale del luogo
stesso per i compiti o altre attività di "relax".
L’invasione di attività non consone alle destinazioni convenzionali delle stanze provoca
un disturbo su cui le famiglie stesse fanno auto-ironia:
Estratto 6
Famiglia Olmi - Video tour Madre
1.
2.
3.
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6.
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Madre:
→
→
→
poi spostandoci nel resto di ca:sa ((MA ritorna nel salotto)) qui c'è il biliardino dei bambini,
questa è una cosa e:: che è comparsa l'anno scorso con cui loro hanno molto giocato,
è molto carino averlo gli amici che vengono lo apprezzano,
a me fa molto disordine io: insomma l'ho accettato mio malgrado,
capisco: che è una cosa molto carina, però certo e:: così
il mio senso boh forse di decoro borghese della casa
amerebbe non avere in mezzo un biliardino,
ma insomma nello stesso tempo è una cosa molto carina
ci abbiamo giocato anche qualche volta io e Marcello, ma Davide ne è molto geloso.
12
In questo caso, un oggetto che sarebbe espulso secondo una certa idea di spazio rientra per
così dire dalla finestra attraverso il consenso sociale esterno alla sua presenza (“gli amici che
vengono lo apprezzano”).
Riassumendo questa prima parte dell’analisi sui dati italiani, notiamo il riferimento comune
a un modello che prevede, anche se variamente disposti, due spazi-funzione: una zona con
divano/poltrone/televisione, e una zona con tavolo grande. Queste due funzioni sono distinte,
anche se di volta a volte possono ritrovarsi fuse o essere distinte in salotto/soggiorno oppure
soggiorno/sala da pranzo. Possiamo affermare che si tratti di un modello in quanto esso viene
mantenuto a fronte di una mancanza d’uso, nonché in quanto viene giustificata e presentata come
una lacuna la mancanza o la forte riduzione di uno dei due spazi. Rispetto a quanto osservato
nelle famiglie marocchine, però, la grandezza degli spazi e degli arredi motivata dal pensiero
dell’ospite rivela qui aspetti problematici: gli ospiti ci sono poco, i grandi tavoli restano vuoti o
usati come piani d’appoggio per attività non pertinenti, settori a volte di considerevole ampiezza
della casa restano inutilizzati. Sebbene il modello non venga messo in discussione (cfr. la Famiglia
Ripe che sottolinea la volontà di non modificare le cose, o la Famiglia Pico che continua a
rievocare il salotto soppresso) esso rende visibile la modificazione della vita sociale delle famiglie
borghesi nelle città, in termini di forte riduzione della socialità allargata, dai pasti all’ospitalità
residenziale (“questo è un divano letto”, dice il padre di un’altra famiglia ancora, “se mai ci
dovesse capitare di ospitare qualcuno”). Il modello di casa che viene riprodotto, con i suoi spazi
per gli ospiti, si pone dunque come concretizzazione di una prescrizione culturale nei confronti
dell’ospitalità; allo stesso tempo, questi spazi e il loro arredo si fanno monumento di una socialità
ormai quasi virtuale, e testimonianza – a volte lievemente imbarazzante –di una riduzione d’uso
dello spazio domestico alle sole presenze della famiglia nucleare.
Per quanto riguarda invece gli arredi e i decori, ritroviamo piuttosto chiaramente nei saloni
italiani gli elementi identificati già da Benjamin come caratterizzanti questi spazi in bilico tra il
pubblico e il privato, ovvero il “lontano” (nel senso di esotico) e il “passato”, che a volte possono
coincidere. In generale, nei nostri dati, si potrebbe dire che gli oggetti selezionati per questi spazi
rientrano sotto due generali categorie: una è il “raro”, come opposto al “frequente” che
implicitamente caratterizza il quotidiano, l’altra il “dono”.
Troviamo cioè strumenti per hobbies abbandonati o troppo poco perseguiti (come attività
musicali o artistiche), ricordi di viaggi o di persone lontane, oggetti delle famiglie di origine dei
membri della coppia, collezioni di cui si sottolinea il contributo di altri. Vediamo qualche esempio
prima di commentare queste scelte.
Estratto 7
Famiglia Pico - Video tour Padre
1.
2.
3.
Padre:
→
questa è una fm Nikon completamente manuale,
quando avevo più tempo stampavo anche in bianco e nero ma (3.0)
questo è il mio ultimo trofeo nel campo del nuoto, (1.0)
Estratto 8
Famiglia Giti - Video tour Madre
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Madre:
→
→ e dietro c'è il mio violoncello che purtroppo è:: (.)
questo è il mio passato
°non si vede molto° perché io
ho suonato undici anni il violoncello
poi (.) ultimamente non: da a- >diciamo< da anni
che non (.) non lo suono più purtroppo=
=però io spero sempre che un giorno,
siccome questa è una cosa che uno non lo dimentica,
non è come le lingue, spero di suonarlo (.) ((la voce su
questa parola assume un'inflessione particolare, quasi
nostalgica))
[ … ] >tutto quello< che ci piaceva o che ha qualche valore
Fig. 8 Violoncello della madre della
Famiglia Giti dietro la televisione
13
11.
12.
13.
14.
15.
16.
→
→
lo abbiamo messo in questa- questa vetrina,
[…] questo ho dimenticato di: far vedere a,
come oggetto che mi piace o mi è vicino perché,
ci- ci lega a- a (Lofoten)
che è un isola in Norvegia dove ce l'hanno regalato,
un posto sperdutissimo
Estratto 9
Famiglia Pico - Video tour Madre
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Madre:
→
→
questa è una vetrinetta un- una vetrina molto
dove io tengo tutti i miei oggettini
un po' particolari
sono delle: un po' collezioni:
ecco mi piacciono tantissimo (.) gli elefanti
quindi spesso me li rega:lano
questi per esempio vengono da- da Venezia
mio cognato me li ha regalati
Estratto 10
Famiglia Cali - Audio tour Padre
1.
2.
3.
4.
5.
Padre:
→
Fig. 9 Vetrina della madre della Famiglia
Pico
ho una piccola mania ho, faccio soltanto due collezioni (
)
una sono i manuali, ce ne ho qualche centinaio,
e:: e l’altra sono le terre da paesi lontani
[…] questa viene dal deserto del Sinai,
questa qui da Ayers Rock ((mentre elenca le sue terre, le mostra ai ricercatori, sono all’interno
di piccoli contenitori di vetro trasparente, sigillati con il coperchio e il nastro adesivo))
Che cosa dunque caratterizza i salotti delle case italiane? Sottratti all’occupazione del quotidiano,
visto il persistere di una potenzialità di accoglienza che non fa sottomettere questi spazio ad
esigenze funzionali, i salotti accolgono, da un lato, “lo straordinario”: sono musei del viaggio
(estratto 10) e della collezione (estratti 9 e 10), esibiscono monumenti alle passioni poco coltivate
(estratti 7 e 8) o alle aspirazioni non ancora perseguite; sono dunque un insieme di documenti
biografici delle esistenze vissute e di quelle virtuali dei Sé storici e dei Sé ideali dei singoli e della
famiglia come gruppo. Crediamo che la funzione ospitante, anche se assente nelle sue
incarnazioni più ovvie, è importante perché incoraggia e dà senso a queste inscrizioni, a questo
lavoro museale in uno spazio pur ormai così privato e concluso. La casa, paradossalmente,
acquista significato per i suoi abitanti attraverso la mediazione di uno sguardo esterno introdotto
e prescritto da un modello abitativo diffuso su base culturale. Le testimonianze del “dono” sono
un altro modo in cui il legame sociale si manifesta in questi spazi: collezioni arricchite da amici e
parenti (estratto 9), presenti dunque nel ricordo e nel discorso con la menzione dell’origine di
questo o quel pezzo, regali di nozze (estratto 8) o oggetti che ricongiungono i membri della
famiglia alla famiglia più estesa, come ad esempio gli oggetti che vengono dalle case delle famiglie
di origine della coppia. Questi elementi contribuiscono a una spiegazione della persistenza del
modello del salotto borghese: pur nella contrazione di spazi delle case delle odierne città, pur
nella sempre più invasiva moltiplicazione di beni e merci all’interno della casa, spazi relativamente
sottoutilizzati non cambiano destinazione. La presenza dell’Altro non si configura
necessariamente come regolare e concreto ingresso di ospiti; piuttosto, essa ha uno statuto
simbolico potente, ed è installata nel cuore delle abitazioni come inesausto destinatario di
processi autoriflessivi.
14
5. Un’ “intoccabile” socialità
Foucault (2001 [1984], p. 22) sottolinea il carattere di "intoccabilità" delle "numerose
opposizioni" usate per significare e classificare gli spazi:
E probabilmente, la nostra vita è ancora governata da un certo numero di opposizioni che non si possono
toccare, che l'istituzione e la pratica non hanno ancora osato violare; opposizioni che ammettiamo come
date una volte per tutte; per esempio, tra lo spazio privato e lo spazio pubblico, tra lo spazio familiare e lo
spazio sociale, tra lo spazio culturale e lo spazio dell'utile, tra lo spazio del tempo libero e quello del
lavoro; tutti animati ancora da una sorda sacralizzazione.
Queste classificazioni binarie -la loro persistenza, il loro ancora attuale successorestituiscono, secondo Foucault, una concezione dello spazio contemporaneo che non riesce a
desacralizzarsi completamente, perché definito sulla base della qualità delle relazioni, delle
reciproche collocazioni fra i soggetti.
Nel nostro caso il salone diventa l'emblema di uno spazio che, nella contemporaneità
familiare e nonostante le ridefinizioni funzionali, sembra mantenere nelle rappresentazioni delle
famiglie coinvolte -con modalità e livelli diversi- una certa tendenza alla conservazione, alla
tesaurizzazione non tanto delle sue caratteristiche formali, quanto di parte delle funzioni e delle
simboliche che hanno decretato la sua comparsa, nel contesto occidentale, inizialmente nella casa
alto borghese sin dalla fine del XIX secolo, e successivamente nelle abitazioni delle famiglie di
classe media intorno agli anni '50 ed oltre. Questa "sacralizzazione" è legata non solo al fatto di
accogliere con pertinenza, in quanto luogo-soglia, alcune delle maggiori opposizioni definite
"intoccabili" da Foucault (privato/pubblico, familiare/sociale, tempo libero/lavoro), ma anche di
continuare a fondare la propria identità sul riconoscimento della centralità della relazione con
l'altro, offrendo uno spazio deputato alla sua costruzione e mantenimento.
Se nelle case marocchine a Rabat lo spazio rarefatto del grand salon è saturo di presenze
sacralizzate – il luogo della preghiera e di ospiti tutt’altro che rari – e in quelle marocchine a
Roma vi si concentrano esposizioni identitarie fortemente marcate – nelle case di italiani a Roma
gli ospiti scarseggiano e a tutta prima sembrerebbe che gli spazi ad essi dedicati siano prossimi a
una cancellazione dal modello abitativo comune. Tuttavia, vediamo che le prescrizioni culturali
relative alla disposizione degli spazi domestici, pur nelle riletture e nei sincretismi effettuati dai
singoli nuclei familiari, conservano soprattutto un principio di socialità. Esse installano un
passaggio nell’interiorità dei luoghi privati attraverso cui si mantiene aperto il contatto con
l’esterno, e inducono nei residenti quelle autorappresentazioni che solo un occhio esterno può
giustificare. Sono zone di dialogo, che sia racconto di sé, storia di migrazione o preghiera.
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