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Sii egoista, fai del bene!

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Sii egoista, fai del bene!
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA
Anno LXXI - n° 4
Sii egoista,
fai del bene!
APRILE 2016
editoriale
s o m m a r i o
rubriche
4
Ospitare Dio, Ospitare l’uomo
Cap. I - 1) Ospitalità nei Vangeli
b) Maria, icona dell’accoglienza
5 Brevi considerazioni sul rapporto fra
misericordia e rispetto della legge
6
Il personalismo comunitario
7
L’ozono terapia in Podologia:
le differenti applicazioni della molecola
O3 nelle patologie del piede
8 Identità di genere in Pediatria
9
Una patologia della fertilità:
l’aborto ricorrente
10
Eccessi ed estremismo nella spinta a una
famiglia aperta alle nuove generazioni
V - “Mettete fiori nei vostri cannoni”;
paradisi artificiali e astratto egualitarismo;
pessimo “vietato vietare”
11
Schegge Giandidiane N. 60
7 Marzo.
Solennità di san Giovanni di Dio e
inaugurazione del Centro di Accoglienza notturna
“Beato Padre Olallo”
15 Se le bestie parlassero
16 Malatie infettive in Urologia
17 Rinascere nella Luce del Risorto!
dalle nostre case
18
Ospedale San Pietro - Roma
Festa di san Giovanni di Dio
20
Ospedale Sacro Cuore di Gesù - Benevento
“San Giovanni di Dio
esempio di Misericordia
21
Ospedale Buon Consiglio - Napoli
Festa di san Giovanni di Dio
all’Ospedale Buon Consiglio
22
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
I ragazzi del Servizio Civile: “Siamo qui con voi”
23
Newsletter - Filippine
VITA OSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
ANNO LXXI
Sped.abb.postale Gr. III-70%- Reg.Trib. Roma: n. 537/2000 del 13/12/2000
Via Cassia 600 - 00189 Roma
Tel. 0633553570 - 0633554417
Fax 0633269794 - 0633253502
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Direttore responsabile: fra Angelico Bellino o.h.
Redazione: Franco Piredda
Collaboratori: fra Elia Tripaldi, sac. o.h.,
fra Giuseppe Magliozzi o.h., fra Massimo Scribano
o.h., Mariangela Roccu, Raffaele Sinno,
Carlo Alberto Acernese, Alfredo Salzano,
Cettina Sorrenti, Fabio Liguori, Raffaele Villanacci,
Bruno Villari, Antonio Piscopo, Franco Luigi
Spampinato, Silvio Giove
Archivio fotografico: Fabio Fatello Orsini
Segreteria di redazione: Marina Stizza,
Katia Di Camillo
Amministrazione: Cinzia Santinelli
Grafica e impaginazione: Tipografia Manfredi
Stampa: Fotolito Moggio
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Sostenitore 26,00 Euro
IBAN: IT 58 S 01005 03340 000000072909
Finito di stampare: aprile 2016
In copertina: Fate bene, fratelli! (dettaglio
di un dipinto di Corrado Giaquinto, 1741)
Sii egoista,
fai del bene!
L
eggendo le meditazioni che il
servita padre Ermes Ronchi
ha tenute in marzo durante gli
Esercizi Quaresimali del Papa e della
sua Curia, mi ha colpito lo slogan che
egli ha proposto per ben vivere l’Anno Giubilare della Misericordia: «Sii
egoista, fai del bene!». Capita spesso
che il nostro sguardo all’ambiente in
cui viviamo sia ispirato a un arido moralismo, per cui siamo portati a emettere spietati giudizi di condanna per chiunque ha sbagliato e ciò crea conflitti, non
solo tra le nazioni, ma in ogni ambiente in cui viviamo, sia di famiglia, sia di lavoro,
sia di amicizie e perfino nelle Comunità Religiose, per cui le norme morali o quelle
canoniche diventano sassi per lapidare qualcuno, come nel brano evangelico (Gv 8,
3-11) dell’adultera sorpresa in fragrante e trascinata davanti a Gesù, perché sancisse
la pena: non riuscivano a capire che Gesù è venuto non per punire, ma per mostrare
l’Amore misericordioso di Dio, che non guarda al passato ma vuole invece ricostruire
quel rapporto d’amore con Lui per il quale fummo creati e che può tornare a fiorire
grazie all’espiazione che Cristo si è addossato, morendo in croce per noi. Solo se ci
apriremo con gratitudine all’amore redentivo di Gesù, la nostra vita ritroverà senso
e gioia, perché se ci lasciamo permeare da tale amore, smetteremo di soppesare sia i
difetti altrui, sicché spariranno i conflitti, sia i nostri difetti, sicché non avvertiremo
più quel deprimente senso di frustrazione, che insorge dopo ogni sbaglio personale.
Lasciandoci conquistare dall’amore misericordioso di Gesù, di riflesso il nostro cuore diventerà capace di amare in modo fattivo e generoso ogni persona, specie quando
è bisognosa d’aiuto. Ma quando aiutiamo gli altri, comincia a realizzarsi il piano che
Dio ha concepito per noi al momento di darci la vita, ossia di crescere nella somiglianza con Lui, mediante la crescita del nostro amore al prossimo. Lo aveva ben capito
san Giovanni di Dio, che nella questua usava il ritornello «Fate bene, fratelli, a voi
stessi, per amore di Dio!», analogo a quello più sintetico di padre Ronchi e col quale
voleva far capire ai benefattori che sono loro stessi i primi a beneficiare della propria
generosità con i bisognosi. Quel ritornello divenne il soprannome in Italia dei discepoli
del Santo, poiché continuavano a ripeterlo nella questua, sicché quando il noto pittore
Corrado Giaquinto ricevette l’incaricato di affrescare in onore di san Giovanni di Dio
il soffitto della nostra Chiesa nell’Ospedale dell’Isola Tiberina, dedicò direttamente al
Santo la parte alta dell’affresco, rievocandovi la visione mariana che ebbe visitando il
Santuario di Guadalupe, ma nella parte bassa (riprodotta qui e in copertina, in omaggio al fatto che il 18 aprile ricorre il 250° della morte dell’artista) volle rendere onore
al soprannome dei suoi discepoli, che da secoli ne ripetono il generoso impegno nel
servire i bisognosi: in primo piano ne è effigiato uno che, aiutato da un volontario benestante ma dallo sguardo sensibile al grido dei poveri, porge medicine d’emergenza
a chi giace in strada, mentre gli angeli cooperano portando pane agli affamati; più in
alto s’intravede un frate che assiste un ricoverato in Ospedale, mentre fuori c’è un frate
che s’è già posto in braccio un malato raccolto in strada e lo sta portando in Ospedale,
mentre un terzo frate s’è chinato sul marciapiede per raccogliere un ulteriore infermo
da ricoverare.
chiesa e salute
ospitare Dio, ospitare l’uomo
Cap. I - 1) Ospitalità nei Vangeli
b) Maria, icona dell’accoglienza
Continua la pubblicazione integrale del libro
Ospitare Dio, Ospitare l’uomo
iniziata con il numero di settembre 2014.
Fra Elia Tripaldi o.h.
I
l termine “Verbo” (in greco Lógos) se
sostituito con quello di “Parola”, risulta chiaro l’accostamento all’inno mesopotamico di Marduc-Ellil in cui si canta la
potenza creatrice della parola divina.
“la parola come un temporale che porta via.
La parola, che lacera i cieli in alto;
la parola, che scuote la terra in basso.
La sua parola è come una tempesta che annienta tutto.
La sua parola, che quando penetra leggermente, distrugge la terra”.
A Zaccaria, mentre esercita il suo officio sacerdotale, gli appare un angelo, un
messaggero del Signore che gli annunzia
la nascita di Giovanni Battista da Elisabetta, sua moglie. Anche a Maria, una
vergine promessa sposa di Giuseppe, appare l’angelo per annunciarle che avrebbe
concepito e partorito Gesù, il Messia. San
Giovanni, nel prologo del suo vangelo fa
notare un atteggiamento di inospitalità,
di non accoglienza da parte del suo stesso
popolo: “Venne fra la sua gente, ma i suoi
non l’hanno accolto” (Gv 1, 11). Non è
accolto come uomo; non è accolto come
Messia; non è accolto come Dio, in quanto gli uomini hanno preferito le tenebre alla
luce (Cfr Gv 3, 19).
b) Maria, icona dell’accoglienza
“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di
Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò
Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il
saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo
grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra
le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è
giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato
di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha
creduto nell’adempimento di ciò che il Signore
le ha detto”.
Allora Maria disse:
L’anima mia magnifica il Signore” (Lc 1, 3946).
4
La scena della visitazione chiude i due racconti di annunciazione: quello di Zaccaria
e quello di Maria. Elisabetta, anziana, resta
in casa, ancora vergognosa per la situazione
di sterilità, Maria, invece, non curante dei
pericoli, si reca in fretta a casa di Zaccaria
per salutare Elisabetta nella quale riconosce
la dignità di madre del Precursore. “A un
primo livello di significato, Luca non fa che
applicare alle due donne i comportamenti tipici dell’ospitalità accogliente, previsti
dalle tradizionali usanze orientali. Infatti, il
fugace accenno al saluto di Maria corrisponde al corretto uso di presentarsi dell’ospite,
che deve limitarsi a una dimostrazione di
benevolenza, con sobrietà di parole, senza
nulla domandare. Anzi, il protocollo dell’ospitalità esige che il forestiero eviti persino di
fissare a lungo lo sguardo sulle suppellettili
dell’abitazione in cui viene accolto, perché
questo significherebbe esprimere un desiderio e porre l’ospitante nella condizione d’obbligo di soddisfare la necessità dell’ospite.
“Al contrario, colui che accoglie è tenuto ad ampie dimostrazioni di buona disposizione: deve offrire acqua per rinfrescare i
piedi, le mani e il viso; preparare il cibo; sistemare il giaciglio. Soprattutto, deve intrattenere il nuovo arrivato con espressioni di
gaudio, di festa, di sorpresa, mettendo a suo
agio l’ospite magari con qualche domanda
di circostanza. E, di fatto, l’evangelista Luca
fa in modo che Elisabetta sia la prima ad
aprire un vero dialogo, benedicendo Maria,
chiedendole il motivo della visita, informandola sul suo stato di gestante, caso mai Maria non abbia ancora saputo la bella novità.
Notiamo che le incombenze pratiche dell’ospitalità passano in secondo piano, anzi non
compaiono affatto. Segno che l’incontro fra
le due donne ha un significato più profondo
rispetto alla semplice visita di cortesia.
“Infine, fa parte del comportamento tradizionale dell’ospitalità il contraccambio
dialogico da parte dell’ospite. Colui che
ospita si aspetta di ricevere notizie, auguri
di buona fortuna, espressioni di gratitudine,
lodi alla generosità dell’ospitante e tributi
d’onore, che attestino la reciprocità e siano
di buon auspicio per entrambi. E di nuovo,
l’evangelista rispetta il codice delle buone
maniere, ma vi imprime un tono decisamente originale: Maria esplode in un inno
di ringraziamento e di lode, ma non verso la
cugina, bensì verso Dio (…).
“Ecco perché Maria è, a giusto titolo, icona dell’accoglienza, perché trasforma la bella
ospitalità nel valore teologico della benevolenza, che si fa servizio e disponibilità verso
l’altro, leggendo con gli occhi di Dio, pieni
di ottimismo e di speranza, la povera storia
dell’umanità. E così la rende santa, la dichiara storia salvifica. Maria vi è già entrata e invita altri a fare la sua stessa scoperta: “Maria
rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa
sua” (Lc 1, 56)40.
Maria, all’annunzio dell’angelo, “accolse
nella fede la tua parola, e per l’azione misteriosa dello Spirito Santo concepì e con ineffabile amore portò in grembo il primogenito
dell’umanità nuova, che doveva compiere
le promesse di Israele e rivelarsi al mondo
come il Salvatore atteso dalle genti” (Dal
Prefazio dell’Annunciazione del Signore). Il
mistero dell’incarnazione del Signore fu reso
possibile dal “sì” di Maria. Maria, quindi,
non solo ospitò Dio nel suo cuore, ma anche
l’uomo nel suo corpo, l’Uomo-Dio.
Alla nascita di Cristo vi è un sorprendente
contrasto: all’imperatore Cesare Ottaviano Augusto, residente nella città imperiale,
Roma, nel pieno esercizio del suo potere
universale, si contrappone il Salvatore del
mondo che nasce in una stalla, in estrema
povertà. Questo evento si verifica a Betlemme, città di Davide, nella Giudea. Neppure
il Battista subisce tale condizione perché egli
nasce nella sua famiglia, circondato dagli
affetti familiari, in un clima di gioia per i
parenti e per i vicini. Per Maria e Giuseppe,
invece, non c’è posto in una casa o nel caravanserraglio, non perché il gestore sia stato inospitale, ma perché fosse ben chiara la
condizione di disagio che contraddistingue
la venuta nel mondo del Messia davidico.
_________________
40
Bentoglio G., Stranieri e pellegrini, Paoline 2007 pp. 175-177
continua
l’anno della misericordia
Brevi considerazioni sul rapporto fra
misericordia e rispetto della legge
Francesco Carozza
È
facilmente constatabile la necessità della giustizia quale base ineludibile per la costruzione di una
convivenza umana e pacifica, ma è altrettanto verificabile l’esigenza della misericordia per rendere veramente umana una
società. La riflessione sul diritto sbocca,
quindi, ineluttabilmente sui limiti della
giustizia. Non desta meraviglia, perciò,
che, fin dagli albori della scienza giuridica, sia emerso il problema del rapporto
tra l’applicazione della legge e la misericordia, nonché sulla necessità di correggere il rigor iuris.
Il rigore, in alcuni casi, infatti, potrebbe divenire un eccesso del diritto, un
qualcosa che travalica i suoi limiti e, in
questo travalicare, sarebbe ingiusto. I diritti hanno dei confini ben precisi. L’arte
del giurista consiste proprio nell’indicare
i limiti dei diritti di ognuno. Bisogna dare
a ciascuno il suo diritto, mentre, pretendere di ricevere, come diritto, ciò che
esula dal diritto sarebbe ugualmente ingiusto. Si ha, dunque, eccesso di diritto
sia quando si abusa di esso, sia quando si
abusa del “potere di usarlo” (l’abuso di
potere è causa di nullità di un atto amministrativo). Il rigor iuris, inteso come eccesso, sarebbe presente anche nel formalismo rigido che privilegerebbe la forma
esterna alla sostanza, dimenticando che
la prima deve la sua importanza al fatto di
essere garanzia e dimostrazione della seconda.
Anche sui confini dell’uso della misericordia si è a lungo discusso. La misericordia, secondo una visione semplicistica, si presenterebbe come contrapposta al
diritto. Si tratterebbe di realizzare un’eccezione a ciò che costituirebbe la regola
generale: dinanzi a una causa giusta, si
avrebbe non solo l’opportunità, ma anche
la legittimità di una dispensa dalla legge,
Iustitia sine misericordia crudelis est,
misericordia sine iustitia mater est dissolutionis
(Tommaso d’Aquino, Super Evangelium Matthaei, cap. 5, lectio 2)
affinché un vulnus legis non si traduca in
un più grave vulnus iustitiae. L’eccezione
si può capire soltanto se si parte dalla
constatazione che la legge umana è una
regola generale e astratta che non tiene
conto delle circostanze peculiari e individuali dalle quali, invece, sorgono esigenze di giustizia. Circostanze peculiari che,
in quanto tali, non possono non essere
una eccezione che, però, come tutti sanno, conferma la regola. La caratteristica
dell’eccezionalità deve essere presente in
tutti i provvedimenti singolari che contraddicono la regola generale che, è bene
sottolinearlo, sono possibili in linea teorica, ma molto meno in linea pratica. Sarebbe irrazionale pretendere di venire incontro a un problema (per quanto molto
ricorrente possa essere), mediante continui provvedimenti eccezionali.
A ben vedere, oltre alla prudenza, al
momento di provvedere a una soluzione
eccezionale, si richiede anche la giustizia
verso gli altri soggetti coinvolti e la necessità di individuare una causa giusta. è
ricorrente negli autori classici del diritto
canonico, a esempio, rifarsi alle caratteristiche evangeliche del buon amministratore “fidelis ac prudens”, che sono quelle che assicurano che la dispensatio misericordiae non sia dissipatio. Uno dei
classici criteri prudenziali determinanti
l’opportunità o meno della dispensa dalla
legge è, sicuramente, il male maggiore
(del beneficiato o degli altri colleghi):
non si possono pretendere eccezioni se
queste ledono la giustizia cioè i diritti altrui o della stessa comunità (o azienda).
La misericordia non va neppure confusa con la tolleranza (vale a dire con il non
riconoscimento di effetti giuridici a una
condotta ritenuta negativa): va, infatti, osservato come abitualmente questa possa
nascondere pigrizia, o peggio, complicità.
È chiaro, dunque, che la giustizia senza
la misericordia è crudeltà e che la stessa
crudeltà è, in se stessa, ingiusta. Allo
stesso tempo, è bene sottolineare quanto
sia contraddittoria una pretesa condotta
caritatevole che non preveda il rispetto
dei diritti. La misericordia senza giustizia
è dissoluzione e, in realtà, non fa del bene
neppure allo stesso beneficiato. Si comprende, perciò, quanto sia importante conoscere la verità delle cose e delle circostanze: la verità è il solo limite e l’unico
orizzonte nel quale agire, volere e decidere. La verità non è una linea estrinseca e
di frontiera, ma è lo stesso volto della
misericordia che, come la giustizia, va
praticata nella verità.
Non ha, dunque, senso parlare di una
“misericordiosa eccezione” alla giustizia.
Non è possibile avanzare (pretestuose)
richieste solo perché “in fin dei conti siamo una istituzione religiosa” oppure perché “che vuoi che sia, visto quel che succede in giro o visto quanti ne siamo in
totale”. Il vulnus legis non può mai essere un vulnus iustitiae. Ciò comporta la
necessità di cogliere bene quegli elementi insiti nell’essere delle cose che risultano inamovibili affinché possano essere
distinti dai capricci mascherati da diritti.
Dal rispetto della verità delle cose si
avrà la vera giustizia e la vera misericordia. Un’eccezione misericordiosa difficilmente potrà essere priva di conseguenze (nel nostro caso) sul lavoro dei colleghi ove tollerare, a esempio, assenze eccessive, seppur legali, comporta, necessariamente, un aggravio di lavoro per i
colleghi che restano in servizio. Si conferma, dunque, che non può esserci una
giustizia contraria alla misericordia e che
la misericordia e la giustizia non possono
esistere senza il rispetto della verità e
senza il rispetto dei diritti altrui.
5
BIOETICA
Il personalismo comunitario
Raffaele Sinno
I
n questo periodo storico sono in
atto profonde trasformazioni antropologiche e culturali che rischiano
di distruggere l’identità della persona
umana, che perde la sua peculiare capacità di riflettere su se stessa e sul mondo.
L’homo sapiens trasformandosi in tecnologicus diventa incapace di rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione
trasformandosi in quello che molti autori definiscono di vetro (der glaeserne
Mench)1. La scienza moderna è un sapere che si sforza progressivamente di
svelare i meccanismi più complessi della
vita umana e dell’universo, tuttavia resta
muta di fronte agli interrogativi che la
persona umana pone. Per rispondere alle
derive del soggettivismo, e dell’individualismo autoreferenziale, nacque il movimento del personalismo comunitario
che si affermò grazie all’opera del filosofo francese Emmanuel Mounier. Nella
sua opera più famosa, Le personnalisme,
egli precisò il ruolo che tale pensiero filosofico debba svolgere all’interno della
comunità: «Il personalismo è una reazione, più che una dottrina, un movimento
connesso con l’attività pratica, dotato di
uno spiccato rilievo esistenziale, poiché
la persona non è un oggetto, né un processo, ma è una tensione verso l’essere»2.
La struttura fondamentale della persona
umana è di tipo relazionale, poiché solo
nel confronto dell’alterità si può tentare
di dare risposte convincenti alle questioni
politiche, giuridiche, sociali ed economiche dell’uomo postmoderno. Le attuali
crisi, in diversi settori delle attività umane, dipendono essenzialmente dall’essersi
allontanati dal rispetto dell’alterità intesa
come valore imprescindibile dell’essere
umano. L’identità, infatti, come insegna
Ricouer, è sempre un’unità multiplex, ossia una pluralità verso l’altro e con l’altro. In effetti, le diverse questioni attuali,
da quelle delle migrazioni, alle libertà
da difendere in diversi ambiti, derivano
6
dall’aver confuso, oppure svilito, l’identità come alterità, nei confronti dell’identità
compresa come esclusività. L’esserci nel
mondo non può non porci di fronte alle
esigenze comuni, come già indicava Blaise Pascal, perché ogni uomo eccede infinitamente l’uomo3. In una società complessa è di primaria importanza non annullare
la specificità espressiva della persona
umana, che non può essere svilita a mezzo di produzione economica. La vita umana, in tutte le sue manifestazioni, dimostra
che solo in una rete d’interdipendenze vi
è la possibilità di equilibrare diritti e doveri, di poter disciplinare le attività pratiche in un infinito di senso, senza per
questo disperdere gli eventi temporali. Il
personalismo comunitario, pur con i suoi
limiti, ha recuperato la duplicità sintetica
della natura umana: ossia la sua capacità di congiungere i limiti in un percorso
comune. Per superare il mondo asfittico
che la scienza postmoderna ha generato,
e per evitare di cadere in un pessimismo
convenzionale, il personalismo ha segnalato il diritto dell’esistenza libera non
separandola dalle necessità biofisiche.
Questa capacità coniugativa ha permesso
di mettere in luce il significato vero della
presenza dell’uomo nel mondo: un essere
che ricerca, e s’interroga sulle leggi immutabili che si esprimono nella variabilità4. Per tali presupposti si può affermare
che il personalismo comunitario ha messo
in crisi quelle idee totalizzanti, e totalitarie, che dominano la nostra civiltà, e che
sono state evidenziate dall’antropologo
Gregory Bateson:
1) noi contro l’ambiente;
2) noi contro gli altri uomini;
3) conta solo il singolo;
4) dobbiamo avere un controllo unilaterale sull’ambiente in cui viviamo e ci
dobbiamo sforzare di raggiungerlo;
5) viviamo all’interno di una frontiera
che si espande all’infinito;
6) il determinismo economico è cosa ovvia e sensata;
7)il tecnicismo ci permetterà di raggiungere traguardi progressivamente
ottimali5.
L’analisi di questi punti evidenza le
incongruenze e i fallimenti storici, di
questo modo di interpretare e progettare
l’esistenza, poiché è pura follia credere
che il mondo sia un semplice teatro in cui
ci siamo solo noi come attori principali. I nostri tempi, con le loro dirompenti
crisi, confermano che nel rispetto, e non
nel dominio, siamo in grado di instaurare un rapporto di gratuità nella vita, una
spontaneità di scelta che ci pone come
esseri non schiacciati dal destino fatalistico della materia. Dopo i fallimenti dei
totalitarismi ideologici, e della free economy, è tempo di comprendere che una
comunità può declinare la libertà degli
individui, esclusivamente se pone in essere la dignità ontologica della persona
umana, nel suo significato di apertura
alle possibilità. Il personalismo comunitario, nel decifrare il senso del volume
totale dell’uomo, come essere tridimensionale, dotato di corpo, psiche e spirito,
indica la possibilità di un approdo comune a diversi orientamenti e percorsi: nella
totalità della persona si può scorgere una
relazione umana che tralascia la visione
materialistica per dare spazio a quella
sistemica - relazionale, in definitiva un
mondo umano dinamico e flessibile, non
più dominato dall’enfasi della vittoria individualista6.
_________________
1
J. Testart, L’uovo trasparente, tr.it, Bompiani, Milano 1988,168
2
E. Mounier, Le personnalisme, in Oeuvers,
Paris 1962, 208-9, e ss. 486
3
Cfr B. Pascal, Pensieri, Garzanti, Milano,
2002
4
J. P. Thomas, Nel labirinto della bioetica,
tr. it., SEI, Torino 1992, 135
5
G. Bateson, Verso un’ecologia della mente,
tr. it., Milano 1976,514
6
E. Laszlo, La visione sistemica del mondo,
tr.it., GEI, Recco (Genova) 1991, 33-5
EDUCAZIONE SANITARIA
L’ozono terapia in Podologia:
le differenti applicazioni della molecola
O3 nelle patologie del piede
Alice Volpini
I
n ambito sanitario siamo molto
legati a protocolli che prevedono
farmaci e interventi più o meno
invasivi e non prendiamo in considerazione, nei casi dove ciò è possibile, gli
elementi del nostro corpo come l’acqua,
l’ossigeno e l’ozono. (Science Vol. 302
november 2003).
L’ozono è un elemento esistente in natura la cui formula chimica è O3.
L’O3 è una formula allotropica dell’ossigeno e viene prodotto attraverso uno
strumento medicale in cui l’ossigeno
che entra, mediante l’aria dell’ambiente
ferita, a rimuovere attivamente la formazione di fibrina e per effetto dell’azione
disinfettante dell’ozono, ad abbattere la
carica batterica presente sulla lesione.
Per quanto riguarda i dolori infiammatori da sovraccarico, l’azione defaticante
e stimolante dell’idroterapia, combinata
con l’ozono riduce gli effetti algici e,
grazie alla riossigenazione dei muscoli
favorisce i normali processi di guarigione delle infiammazioni muscolari e
articolari.
L’ozono ha una buona capacità disinfettante e proprio per questo, è utilizzato
Fig. 1
esterno, viene sottoposto a una scarica
elettrica che ne divide le molecole facendole rilegare a loro volta a comporre l’ozono (Fig.1).
In podologia l’ozono può essere utilizzato in diverse applicazioni e con metodiche diverse: a secco o in combinazione
con l’acqua. È importante tenere presente
che è un elemento inodore, senza colorazione, con elevato spettro d’azione su
distruzione di miceti, batteri e spore.
In combinazione con l’acqua l’ozono viene usato per creare un debridment
a-traumatico delle lesioni.
L’azione autolitica dell’ idromassaggio
coadiuvata dall’ozono, riesce su di una
per il trattamento di micosi cutanee del
piede. Nel caso di infezioni micotiche
plantari può essere adottata la sola tecnica dell’ozono terapia o in combinazione
con la vasca dell’idrozono.
Le turbe della sudorazione come la
bromidrosi, un eccesso di sudorazione
con cattivo odore spesso determinato
da presenza di batteri e l’iperidrosi, un
aumento della sudorazione, che porta di
norma a macerazione cutanee con spesso
sovrapposizioni micotiche, possono essere trattate con l’ozono grazie alla sua
attività battericida.
Molecola di ozono
Trattamento con idrozono terapia presso l’ambulatorio di podologia dell’Ist. san Giovanni
di Dio Fatebenefratelli Genzano di Roma
7
SANità
Identità di genere in
pediatria
Mariangela Roccu
L
a salute degli adolescenti e dei
giovani adulti (AeGA) è da molto
tempo una priorità per i sistemi sanitari, poiché questa fascia di popolazione
presenta bisogni di salute che si differenziano sia dall’area pediatrica, sia dai bisogni di salute degli adulti.
Gli infermieri conoscono la difficoltà di
racchiudere nella generale definizione di
“paziente pediatrico” soggetti appartenenti a età evolutive talvolta molto diverse.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), situa l’adolescenza nel periodo
che va tra i 10 e i 20 anni. L’Unione Europea, invece, definisce “giovani” le persone comprese tra i 15 e i 25 anni.
Le limitazioni anagrafiche trattano una
fase di vita caratterizzata da intensi e repentini cambiamenti emozionali, sociali
e psicologici, connessi con quelli fisici
dovuti allo sviluppo puberale (Capellini
2010).
L’argomento di seguito presentato è
inserito come transizione dalla pediatria, alla salute in età evolutiva; i disturbi dell’identità di genere (DIG) pongono
l’accento, infatti, sulla necessità di valutare e monitorare tale morbilità a partire
dall’età pediatrica. I bambini con DIG
riferiscono fin dalla primissima infanzia
di sentirsi intrappolati in un corpo sbagliato e di essere nati con i genitali sbagliati.
Sebbene confrontarsi con questa realtà
presenti notevoli sfide in campo etico,
morale e giuridico, questi bambini necessitano di una grande attenzione da parte
del personale sanitario e di un’assistenza
specifica e qualificata. Sono, infatti, a rischio di sviluppare comportamenti molto
dannosi per la salute e di essere oggetto di
atti di violenza o bullismo. Le principali e
le più frequenti cause di morbilità in questa fascia di popolazione sono: disordini
psichiatrici, abuso di alcol e droghe, traumi e patologie sessualmente trasmissibili.
Le ricerche fino a oggi effettuate sull’argomento non hanno evidenziato nessu-
8
na correlazione tra la presenza un DIG e
disturbi psichiatrici. Tuttavia, sono molti
gli aspetti psicologici su cui influisce un
DIG, in particolare nell’adolescenza con i
mutamenti fisici che l’accompagnano: depressione, anoressia nervosa, fobie sociali
e comportamenti suicidiari.
L’American Psychiatric Association, ha
individuato dei criteri diagnostici che contraddistinguono il DIG:
• identificazione del soggetto con il sesso opposto a quello biologicamente
assegnato, persistente nel tempo;
• evidenza di un persistente disagio del
bambino\ragazzo in relazione al sesso
biologicamente assegnato o un forte
senso di inappropriatezza sperimentato dal soggetto, rispetto al ruolo sociale attribuito al sesso biologico;
• non devono essere presenti squilibri
ormonali (es: una iperplasia surrenalica congenita);
• evidenza clinica di livelli significativamente alti di distress o di un accentuato impedimento allo svolgimento,
da parte del bambino\ragazzo, delle
proprie attività di tipo sociale, lavorativo, scolastico;
Secondo alcune stime, tra l’80% e il
95% dei bambini con DIG in età prepuberale, risolve il disturbo di identità prima
dell’adolescenza, mentre coloro per i quali permane il DIG, proseguono nella quasi
totalità dei casi con il riassegnamento del
nuovo sesso e la relativa chirurgia demolitiva-ricostruttiva.
Qualsiasi sia il percorso che il bambino con DIG e la sua famiglia decideranno di intraprendere, secondo gli standard
stabiliti dalla Word Professional Association for Transgender Health, la più
importante organizzazione medica che si
occupa dell’argomento, l’obiettivo ultimo
dovrebbe essere quello di “massimizzare
l’accettazione di sé per ottenere il miglior
livello possibile di benessere psicologico
e di autorealizzazione”. La stessa orga-
nizzazione suggerisce una precoce presa
in carico del bambino con DIG da parte
di una équipe multidisciplinare di sanitari,
all’interno della quale devono essere presenti professionisti specializzati in disturbi di genere.
Avvalersi dell’esperienza di alcuni paesi quali gli Stati Uniti, dove sono stati condotti i primi studi sull’argomento, è fondamentale per facilitarne l’aiuto.
É stato dimostrato il valore dei gruppi di
auto-mutuo aiuto per bambini e famiglie
con casi di DIG, inoltre, i genitori inclusi
in tali gruppi, hanno riferito che la cosa
che li ha maggiormente aiutati è stata il
non sentirsi soli e unici a vivere questa
esperienza. In Italia i gruppi di autoaiuto
per famiglie con DIG sono ancora poco
diffusi; sarebbe quindi auspicabile una
sensibilizzazione dei sanitari nel pronto riconoscimento di un DIG e la costituzione
di reti di supporto formali e informali che
coinvolgano anche le strutture che accolgono i bambini.
Gli infermieri coinvolti e partecipi nei
team multidisciplinari, sono consci di
quelle che possono essere definite “esigenze emotive” delle famiglie, in particolare, il loro bisogno di essere rassicurate,
accompagnate gradualmente nel percorso
di transizione e supportate nei problemi
burocratici.
L’infermiere è infatti chiamato a erogare servizi di tipo preventivo, curativo,
riabilitativo, palliativo, assumendo decisioni proprie e lavorando in équipe; la
relazionalità che esercita con il paziente è
di tipo sia tecnico, sia umano e presenta
valenze fortemente educative (Cipolla e
Artioli 2003).
In concreto, si tratta di innescare un
cambiamento culturale che consenta di
prendere coscienza della problematica,
per aiutare i bambini\ragazzi e le loro famiglie a inserirsi serenamente in maniera
adattiva nella società.
UNA PATOLOGIA DELLA FERTILITÀ:
L’ABORTO RICORRENTE
Silvio Giove
L
a definizione biologica di aborto è l’espulsione del prodotto
del concepimento prima che sia
stata raggiunta la sua vitalità. Si stima
che circa il 50% delle gravidanze esiti in
aborto, sebbene l’incidenza di aborto clinicamente accertato non superi il 15%.
L’aborto si definisce “ricorrente” qualora
si verifichino tre o più episodi consecutivi: aborto ricorrente primario, in assenza
di una precedente gravidanza con figlio
vivo; secondario qualora vi sia almeno
una precedente gravidanza con figlio
vivo, indipendentemente dal numero di
aborti. Tale patologia interessa l’1%-5%
delle donne in età fertile, a seconda che
si considerino due o tre episodi abortivi.
Sebbene spesso non sia possibile identificare la reale causa degli insuccessi
riproduttivi, vi sono molteplici patologie
correlate alla poliabortività: anomalie
genetiche, malformazioni uterine, patologie endocrine e autoimmuni.
Il fattore genetico è la principale causa di aborto nel I trimestre: circa il 60%
degli aborti sono associati ad anomalie
cromosomiche fetali, soprattutto trisomie. Tali alterazioni sono determinate da
errori nella divisione meiotica dell’ovocita e risultano correlate all’età materna
avanzata. In secondo luogo, è possibile
che almeno un partner nella coppia con
poliabortività, sia portatore di una traslocazione cromosomica bilanciata per
cui, pur essendo fenotipicamente sano,
andrà incontro a una sbilanciata segregazione dei gameti. Pertanto, le coppie con
abortività ricorrente devono sottoporsi a
valutazione del cariotipo in fase preconcezionale ed eventuale ricerca di malattie genetiche (talassemia, fibrosi cistica,
distrofia muscolare).
Le malformazioni uterine sono anomalie congenite dell’apparato genitale
sione di un ipotiroidismo subclinico che
può slatentizzarsi in gravidanza e, non
opportunamente trattato farmacologicamente, compromettere precocemente
l’unità feto-placentare e determinare
l’aborto.
Le trombofilie rivestono un importante ruolo nell’eziopatogenesi dell’aborto
ricorrente, dal momento che il successo
dell’impianto e della placentazione implica un perfetto equilibrio tra coagulazione, fibrinolisi e neoangiogenesi.
femminile, dovute a mancato sviluppo,
fusione o riassorbimento dei dotti mulleriani durante la vita fetale e sono riscontrabili in circa il 15% delle pazienti
con anamnesi positiva per poliabortività. L’utero setto è la malformazione uterina che più frequentemente si associa
ad aborto ricorrente, verosimilmente per
una scarsa vascolarizzazione del setto
che determina anomalie d’impianto e di
placentazione. La diagnosi differenziale
delle malformazioni uterine è oggi molto accurata grazie all’ecografia transvaginale tridimensionale. La metroplastica
isteroscopica è il trattamento di prima
scelta per le pazienti con utero setto e
consente di ripristinare la normale architettura della cavità uterina con netta
riduzione delle percentuali di aborto.
I fattori endocrini concorrono all’aborto ricorrente in una percentuale del
10-20% e le alterazioni funzionali tiroidee sono quelle che più frequentemente
compromettono l’outcome riproduttivo.
Numerosi studi hanno sottolineato che
la presenza in circolo di anticorpi antitireoglobulina e antitireoperossidasi
consenta di identificare pazienti clinicamente e biochimicamente eutiroidee
ma ad alto rischio di poliabortività: è
probabile che tali anticorpi siano espres-
Le trombofilie si classificano in congenite e acquisite. Le trombofilie acquisite, quali la sindrome degli anticorpi
antifosfolipidi, aumentano inequivocabilmente il rischio di aborto ricorrente
attraverso l’attivazione del processo di
trombogenesi che compromette la placentazione. La terapia si basa sull’inibizione della produzione anticorpale tramite glucocorticoidi e sulla correzione
dell’errore emocoagulativo mediante
eparina a basso peso molecolare.
Le trombofilie congenite quali la
mutazione MTHFR, l’eterozigosi per il
fattore V Leiden, i deficit congeniti di
proteina C, proteina S e antitrombina
III, concorrono alla poliabortività in una
misura ancora oggi molto variabile da
paziente a paziente: un’anamnesi positiva per tromboembolismo e l’associazione di più mutazioni per trombofilia accrescono il rischio di aborto ricorrente
e impongono il ricorso alla terapia con
eparina a basso peso molecolare, talvolta associata ad aspirina a basse dosi, sin
dall’inizio della gravidanza. In caso di
iperomocisteinemia, fattore di rischio
per aterosclerosi e tromboembolismo, si
ricorre alla supplementazione con acido
folico ad alte dosi (15 mg/die)e vitamine B6 e B12, con netto miglioramento
dell’outcome riproduttivo.
9
Ritratti di famiglie
ECCESSI ED ESTREMISMO NELLA SPINTA A UNA
FAMIGLIA APERTA ALLE NUOVE GENERAZIONI
V - “Mettete fiori nei vostri cannoni”; paradisi artificiali e astratto
egualitarismo; pessimo “vietato vietare”
Fabio Liguori
U
n variegato insieme di luci ed
ombre contraddistingue l’attuale famiglia. La minore incidenza della produzione agricola associata allo sviluppo del settore terziario,
l’aumento della durata media della vita,
la globalizzazione dell’economia con il
parallelo diffondersi del lavoro precario
sono alla base della progressiva instabilità della famigli moderna iniziata con la
contestazione del ’68.
Tardiva copia europea della rivolta giovanile americana (USA, anni ’60), la stagione di rottura (1968) fu un movimento di rinnovamento culturale e sociale:
soprattutto una rivoluzione dei costumi,
(1968) tardiva copia della rivolta ...
di cui era protagonista una generazione
“vergine” rispetto ai drammi delle ideologie assolutiste del ‘900 generatrici di
due “guerre mondiali”. Gioventù che,
ubriacandosi di scienza e progresso, riteneva di poter decidere delle libertà e del
destino del mondo e, con una romantica
coincidenza degli “opposti” (“fate l’amore, non la guerra” dei movimenti hippie),
nelle relazioni sentimentali liberarsi dei
tabù sessuali. La parola amore diventa
così passione non più ammantata di bacetti e sospiri che (forzosamente) dovevano sfociare nell’agognato matrimonio.
Ideologicamente tese ad una società
più giusta, libera ed egualitaria, le in-
10
tenzioni della protesta erano in partenza
buone: desiderio di pace (“mettete fiori
nei vostri cannoni”), emancipazione della donna, modernizzazione della scuola,
e una società in cui per nuove generazioni non vi fosse più alcun diaframma
tra realtà e desideri. Coniugata con una
distorta visione del mondo (come se solo
allora avesse “fame di vita”), all’atto
pratico la spinta innovativa si traduce in
utopia: un fenomeno imitativo mondiale
volto a cancellare ogni ordine prima costituito, rimpiazzati da cosiddetti paradisi artificiali (la devastante droga LSD, i
sacchi a pelo dei concerti e del sesso in
praterie, il cinema sperimentale, i colori
della Pop Art).
Il vuoto della cultura liberale e cattolica
viene riempito dall’ideologia marxista.
Nascono gruppi che negli organigrammi
e nelle idee scimmiottano il peggio del
leninismo; e un’incomprensibile revisione di valori crea miti “romantici” come
i rivoluzionari Che Guevara (un pluriomicida) e Fidel Castro (un dittatore), trasformando la pace in pacifismo, il diritto
di sciopero in dovere di protesta, e i terroristi in nemici in guerra contro lo Stato
(“brigate rosse” dei plumbei anni ’70).
La malintesa idea di libertà assoluta
produce un fiorire di pretese ingiustifica-
Paradisi artificiali dei movimenti “hippie”
te nel nome di una “creatività di massa”
(il “27 di gruppo” agli esami universitari!) che rifiuta tanto l’educazione e il progetto di guadagnarsi la vita, quanto l’idea
di riconoscere differenze, responsabilità
e valori. Volendo cancellare doveri e di-
“vietato vietare”: risultati pessimi
vieti di un tempo si finisce per distruggere l’autorevolezza d’istituzioni portanti
della società, in nome di logiche di puro
opportunismo. Vengono così aperti tutti
i recinti, e per primo si comincia a sbagliare nel rapporto genitori-figli; mentre
la vita economica italiana risente a lungo
del clima folle che quella cultura produsse (gli “autunni caldi”). Perché, a lume di
logica, è legittimo vietare ciò che calpesta i diritti altrui.
La spinta iniziale verso una società
meno autoritaria, una scuola meno nozionistica e una famiglia più aperta alle
istanze delle nuove generazioni, naufraga
nell’eccesso e nell’estremismo: abolizione totale dei concetti di autorità, gerarchia, meritocrazia, sostituiti da egualitarismo astratto senza meriti e senza limiti.
Conseguenza logica, figure autorevoli
(non necessariamente autoritarie) come
il padre, il maestro, il sacerdote, il poliziotto vengono annichilite: il maestro è
messo alla gogna, il poliziotto diventa
un nemico, il padre un signor nessuno. I
risultati del “vietato vietare” furono, in
conclusione, pessimi.
Schegge Giandidiane N. 60
7 Marzo.
Solennità di san Giovanni di Dio e inaugurazione del
Centro di Accoglienza notturna “Beato Padre Olallo”
durante la notte e sei camere con
due letti, dotate di bagno.
La gestione del Centro è affidata
esclusivamente all’opera dei volontari che è sempre precisa, puntuale e partecipata. Sono state ef-
fettuate diverse raccolte di indumenti. La popolazione ha risposto
numerosa e con molta generosità.
Sono già settanta le persone che
hanno dato la propria disponibilità
notturna per il controllo e la com-
304
Mons. Corrado Lorefice taglia il nastro
Urpina: Schegge Giandidiane. N. 60 - 7 Marzo. Solennità di San Giovanni di Dio e inaugurazione del Centro di Accoglienza notturno “Beato Padre Olallo”
I
l giorno 7 Marzo 2016 (anticipata di un giorno per impegni
dell’arcivescovo di Palermo),
in occasione della solennità di san
Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, patrono dei malati,
degli operatori sanitari e degli
ospedali, a solo poco più di tredici
mesi dall’inizio dei lavori di ristrutturazione, si è coronato il sogno e il desiderio dei volontari della Sezione Locale AFMAL (Associazione con i Fatebenefratelli per
i malati lontani) dell’ospedale
Buccheri La Ferla: inaugurare e
aprire il centro di accoglienza notturna “Beato Padre Olallo”. La
realizzazione del Centro è stata
possibile grazie anche all’aiuto
economico, alla collaborazione e
al sostegno delle altre sezioni locali dell’AFMAL della Provincia
Romana dei Fatebenefratelli, della
sede centrale dell’Associazione e
di tante persone di buon cuore. La
sezione locale di Palermo, dal 1°
dicembre 2009, sta attuando un
servizio di accoglienza per i poveri
senza discriminazione di carattere
politico, religioso o etnico, offrendo il mercoledì pomeriggio il servizio docce per i senza tetto e
mensilmente il banco alimentare.
Attualmente viene distribuita la
spesa all’incirca a 130 famiglie bisognose.
Il Centro che confina con l’Ospedale, si trova in vicolo sant’Uffizio. Si tratta di una palazzina a
tre piani, in una superficie complessiva di 320 mq. C’è un ambiente per l’accoglienza, una sala
da pranzo, un locale per i volontari e gli operatori che presiedono
305
Urpina: Schegge Giandidiane. N. 60 - 7 Marzo. Solennità di San Giovanni di Dio e inaugurazione del Centro di Accoglienza notturno “Beato Padre Olallo”
Fra Pietro Cicinelli presidente nazionale AFMAL
pagnia degli ospiti, trenta i volontari che si alternano tra l’accoglienza
serale (dalle ore 19 alle ore 20) e la
chiusura del centro al mattino (dalle 6 alle 8); quattro (assistenti sociali e psicologi), che effettuano i colloqui con gli ospiti. La finalità del
Centro, da parte dei volontari e degli operatori, è anche quella di fornire agli ospiti ascolto e attenzione per
potere intraprendere un cammino
di consapevole risanamento. Inoltre, qui trovano non solo una tregua
dalla strada, ma anche una famiglia,
che se pur eterogenea, offre sicurezza, riscalda il cuore e conforta.
È stato stilato un regolamento:
l’ingresso serale è alle ore 19,30 e l’uscita alle 8,00 del mattino. Sono offerte la cena e la colazione e tutta la
biancheria personale e da letto: pigiami, ciabatte, slip, ecc... Gli ospiti
possono dormire per un periodo di
quattordici giorni continuativi e
possono essere riammessi dopo un
mese dall’ultima permanenza. È necessario sostenere un colloquio
pre-ingresso o il mercoledì dalle 15
alle 17 o il giovedì dalle ore 10 alle
ore 12. Per informazioni è possibile
telefonare al numero 091 479513 o
mandare una email al seguente indirizzo: [email protected]
Al Centro, già nelle prime due
settimane di apertura, si sono rivolte
all’incirca una sessantina di persone,
per lo più palermitani, ognuno con
le proprie storie. Molti hanno perso
il lavoro, altri si sono separati, altri
ancora a causa del gioco e dei debiti
contratti, hanno perso tutto: lavoro,
casa e spesso anche la famiglia.
“Il primo bene che dobbiamo fare a
noi stessi è quello di fare il bene agli altri” (san Giovanni di Dio).
Alle 10,00 nella Chiesa dell’Ospedale, è stata presieduta dall’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado
Lorefice la concelebrazione eucaristica. Al termine è stato benedetto
il Centro, alla presenza di numerosi
partecipanti. Molti collaboratori,
diverse autorità civili e militari, religiosi, malati, senza tetto hanno assistito alla funzione religiosa e alla
benedizione dei locali. Erano presenti anche il sindaco di Palermo,
prof. Leoluca Orlando, il presidente
della Provincia Romana dei Fatebenefratelli, fra Gerardo D’Auria e
il presidente nazionale dell’AFMAL, fra Pietro Cicinelli.
Insieme all’Arcivescovo hanno
concelebrato il superiore dell’Ospedale fra Luigi Gagliardotto e
diversi sacerdoti delle parrocchie
di Palermo.
“Se c’è Dio nella nostra vita tutto si
trasforma - ha detto durante l’omelia
mons. Corrado Lorefice - Il Signore ci
rende testimoni del bene secondo l’esempio di san Giovanni di Dio. La stessa parola FATE-BENE-FRATELLI è
una parola che non rimanda a un ripiegamento su se stessi. Infatti, il primo
bene che dobbiamo fare a noi stessi è
quello di fare il bene agli altri. L’uomo
più ripiega su se stesso più non respira.
Più si apre e va incontro all’altro, più
vive. Oggi, viviamo in una società che
ha scelto il ripiegamento su se stessa.
Giovanni di Dio per la sua vicenda
personale, vive l’esperienza dell’emarginazione. Per la sua scelta di vita, attento ai più poveri e ai bisognosi viene
rinchiuso in quelli che allora si chiamavano “manicomi”. Il giovane Santo
L’Arcivescovo accolto dal superiore fra Luigi
voli che da quella sera, dopo tanti
sacrifici e impegno, le porte si sarebbero aperte per accogliere dodici persone senza una casa in cui
Stanze da letto del Centro Olallo
Refettorio del Centro Olallo
Urpina: Schegge Giandidiane. N. 60 - 7 Marzo. Solennità di San Giovanni di Dio e inaugurazione del Centro di Accoglienza notturno “Beato Padre Olallo”
farà del bene a se stesso occupandosi
degli altri. La sua irrequietezza troverà
pienezza solo quando riuscirà a donarsi
totalmente ai fratelli bisognosi. Dio non
vuole un culto esteriore. Dio vuole che
agiamo, seguendo l’esempio del samaritano. Fare quello che ha fatto il samaritano vuol dire vivere. Giovanni di
Dio è un uomo sedotto da Dio, dal
Vangelo. Non ci può essere una società
civile se non facciamo del bene all’altro. Giovanni di Dio esce dal manicomio e si prodiga per i più deboli. Non
vuole strutture finalizzate a se stesse.
Noi cristiani, per avere un’incidenza
sociale dobbiamo dare il primato a Dio.
Non abbiamo bisogno di attivismo, ma
le attività scaturiscono da una vera conoscenza del Signore. Il primo che si è
fatto del bene è Dio stesso, perchè non
è rimasto nell’alto dei cieli. Lui ha vissuto la condizione umana. San Giovanni di Dio è un uomo attivo, ha saputo creare una vera relazione con il
Signore. Era un contemplativo. Il malato non va guarito solo nel corpo, ma
curato in maniera olistica, nella sua
totalità.
Il servizio al prossimo ci libera
dall’orgoglio e dall’egoismo rendendoci
più umani”.
Dopo la messa ha avuto inizio la
benedizione dei locali. L’emozione
era tanta, la si leggeva nel volto e
negli occhi di tutti. Si era consape-
306
L’Arcivescovo benedice i locali
tornare per trovarvi un rifugio.
“Il Beato Olallo è vissuto a Cuba dice mons. Lorefice all’inizio della
benedizione del Centro -. Grazie a
Dio, Cuba sta diventando, un ponte
di incontri, di comunione. Lo era già
stato, anche se non direttamente negli
anni 60. A causa di quella crisi tremenda che poteva far vacillare la pace
mondiale, un grande uomo che divenne Vescovo di Roma, papa Giovanni
XXIII, ora santo scrisse la “Pacem in
terris” a tutti gli uomini di buona volontà. Collego Cuba a questo momento perchè la parola carità è più forte
della parola violenza, il potere della
carità vera non quella paternalistica,
che richiama al ritornello FATE BENE - FRATELLI. Scegliamo di
farci il bene facendo il bene. Ciò è un
grande potenziale. È un potenziale di
incontro, di cambiamenti di stili di
307
Urpina: Schegge Giandidiane. N. 60 - 7 Marzo. Solennità di San Giovanni di Dio e inaugurazione del Centro di Accoglienza notturno “Beato Padre Olallo”
vita, di scelte di vita. Questo è l’augurio che dobbiamo farci. Il Centro è un
piccolo segno ma è un segno umano e
proprio per questo un segno del Vangelo, perchè Vangelo, umanità non stanno in tensione. Quello che è veramente umano è evangelico e quello che è
evangelico è veramente umano. Grazie soprattutto a Padre Luigi. Ciò significa che c’è un carisma che si aggiorna all’oggi. Una vera spiritualità è
sempre concreta; una vera ospitalità è
efficace perchè è concreta”.
“Spesso giungevano al nostro pronto
soccorso - ha raccontato nel suo saluto fra Luigi Gagliardotto - presidente della sezione locale AFMAL
dell’Ospedale - persone bisognose
non di cure vere e proprie. Avevano
necessità di un luogo dove trascorrere
la notte al coperto. Nessuno è mai stato allontanato. Dall’osservazione di
questa realtà, è nata l’idea e l’esigenza
della realizzazione dell’asilo notturno
per offrire un aiuto a tutti coloro che
chiedono una tregua dalla strada. E
oggi, l’apertura del Centro destinato a
chi è privo di un letto, non ha da mangiare e da vestirsi, va a coronare la
melagrana che Gesù bambino consegnò a san Giovanni di Dio.
Questa Casa è frutto della squadra
del Beato Olallo che ogni giorno con la
preghiera alimenta la carità e sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, tra mille
iniziative ha raccolto la somma per ristrutturare l’abitazione. Possiamo dire
che il Centro respira con entrambi i
polmoni: la preghiera e la carità.
Inoltre, questo Centro assistenziale
può essere considerato una gemmazione dell’ospedale Buccheri La Ferla,
anche per la contiguità fisica e costituisce una apertura, per osmosi, con la
città di Palermo e con l’intera regione
siciliana. Le persone accolte in questo
Centro, potranno certamente godere
anche delle necessarie cure sanitarie
offerte dall’Ospedale.
Il servizio al prossimo ci libera
dall’orgoglio, dall’egoismo e ci rende
Fra Gerardo D’Auria
più umani, meno avidi nei confronti
dei beni di questa terra e più proiettati
verso l’orizzonte: Dio. L’invito e l’auspicio per tutti è quello di essere sempre più sensibili e non andare oltre
quando incontriamo chi ci chiede
qualcosa per sfamarsi e vestirsi.
Il Centro Beato Olallo Valdés è un
segno di orgoglio per la famiglia Ospedaliera di san Giovanni di Dio dell’ospedale Buccheri La Ferla, che oltre a
prendersi cura dei malati, fa la carità
verso i prediletti del Regno di Dio, che
continua a benedire, sostenere questa
opera apostolica attraverso i collaboratori motivati umanamente e professionalmente, inviandoci nuovi giovani
che possano consacrarsi all’Ospitalità,
affinchè il focolaio della carità, riscaldi
i cuori di ogni fratello che viene ospitato in questa casa Dio.
Il Centro compie il desiderio di san
Giovanni di Dio di offrire sempre un
posto dove accogliere i poveri abbandonati e servirli”.
“L’inaugurazione e l’apertura del
Centro di accoglienza nella solennità
di san Giovanni di Dio - ha dichiarato fra Pietro Cicinelli o.h. presidente nazionale dell’AFMAL compie il desiderio del nostro Fondatore di offrire sempre un posto dove accogliere i poveri abbandonati e servirli,
offrendo cure non solo mediche ma,
anche spirituali. La realizzazione del
Centro ha anche coinvolto l’intera
Provincia romana del nostro Ordine.
Nell’ultimo decennio, essendo cambiate le necessità e la società in genere,
l’Ordine ha posto la sua attenzione
verso le tante persone senza fissa dimora. Sia in Italia che in altre parti
d’Europa, quali Brescia, Barcellona e
Londra abbiamo aperto diversi asili
notturni che completano la nostra assistenza ospedaliera.
Una vera spiritualità è sempre concreta”.
Concelebrazione
“IL melograno”
SE LE BESTIE PARLASSERO
Fra Giuseppe Magliozzi o.h.
R
icorre il 22 aprile il IV Centenario della morte dello scrittore Miguel Cervantes, la cui fama dalla
natia Spagna ha raggiunto il mondo intero
per aver ideato l’indovinata coppia del
don Chisciotte e del suo scudiero Sancio
Panza, della quale si servì, come in tutti i suoi libri, per fustigare giocosamente
le frequenti incongruenze nei comportamenti quotidiani d’ognuno di noi.
La ragione di dedicare a Cervantes la
rubrica del Melograno non nasce però
dall’intento di mettere a fuoco le qualità
stilistiche dello scrittore o il messaggio
morale che egli affidò alle sue opere, ma
semplicemente di cogliere la ricorrenza
del IV Centenario per mettere a fuoco i
legami storici di Cervantes con l’Ordine
Ospedaliero dei Fatebenefratelli.
Un primo legame fu la partecipazione
giovanile di Cervantes all’epica Battaglia di Lepanto, con cui il 7 ottobre 1571
la flotta cristiana bloccò la minaccia di
una invasione europea delle forze turche.
Fu la più grande battaglia navale della
storia. L’armata cristiana era composta
da tre flotte principali: quella veneta guidata da Sebastiano Venier, quella pontificia guidata da Marcantonio Colonna
e quella di Filippo II guidata dal fratellastro Don Giovanni d’Austria, che era
anche il comandante supremo. La flotta
turca era di poco più numerosa, ma quella cristiana era meglio armata e alla fine
prevalse, anche se con forti perdite, men-
Le due novelle in edizione moderna
L’Ospedale fu demolito nel 1890
inizino a parlare, sicché decide di mettere
per iscritto quel che ha potuto udire e poi
consegna a un amico tale manoscritto, che
Cervantes millanta come ultima novella
della sua raccolta e la intitola Coloquio de
los perros (= Colloquio dei cani). In essa
descrive con geniale fantasia il prodigio
dei due cani che d’improvviso diventano
capaci di parlare e l’uno prende a narrare
la propria vita, soffermandosi sul carattere
morale dei molti padroni che ha avuto, e
in ciò dà prova di conoscere a fondo quali
sono i valori morali che devono guidare la
vita umana, valori che ogni suo padrone
non solo ha purtroppo tradito, ma ha con
sfacciata ipocrisia fatto tutto il possibile
per passare da galantuomo. Invano l’altro
cane gli obietta più volte che evidenziare
i difetti dei suoi padroni è mormorazione,
sicché la mormorazione prosegue per tutta la notte, finché all’alba cessa il presunto prodigio della favella.
tre della flotta turca si salvò ben poco.
Durante la battaglia Cervantes ricevette
due colpi d’archibugio in petto, restando
lievemente ferito, e uno alla mano sinistra,
che rimase per sempre rattrappita per una
lesione a un nervo. Nella flotta spagnola
v’erano otto infermieri fatebenefratelli,
per cui è molto probabile che fu assistito
da loro e forse anche li incontrò di nuovo
a Napoli, dove Don Giovanni d’Austria
li aiutò ad aprire il loro primo Ospedale
in Italia e dove Cervantes si fermò fino
al 1575. Storicamente provato è invece il
suo incontro con essi a Valladolid, dove
egli risiedette nel biennio 1604-1605 e vi
frequentò l’Ospedale della Resurrezione, affidato a loro dal 1586, tanto che vi
ambientò le due composizioni finali della
raccolta che pubblicò nel 1613 col titolo
complessivo di Novelle esemplari.
Nella prima di queste due, intitolata El
casamiento engañoso (= Il matrimonio
degli inganni), egli descrive le confidenze
di quattro sifilitici in cura con decotti di
legno di guaiaco e uno di loro, già in fase
terziaria e perciò con disturbi mentali,
una notte resta vittima di un’allucinazione e gli pare che i due cani di guardia, che
erano venuti ad accucciarglisi accanto,
Facile per il lettore gustare il sarcasmo
scoppiettante con cui Cervantes fustiga
le tante nostre disonestà, nonché l’impegno a nasconderle, però lo speciale Anno
della Misericordia, indetto da Papa Francesco, potrebbe aiutarci a cogliere parimenti il monito di Cervantes di evitare
qualunque mormorazione, monito che di
continuo ricorre nelle accattivanti omelie
di questo Papa, che c’invita a prendere
esempio da Cristo, venuto non a bollare
i nostri difetti, ma a lavarli misericordiosamente col sangue che versò sul Calvario, sicché già mentre agonizzava sulla
Croce sanzionò la prima canonizzazione,
assicurando il perdono al criminale inchiodato al suo lato e garantendogli che
l’avrebbe accolto quella sera stessa tra i
Santi del Paradiso.
Dell’Ospedale si salvò solo la nicchia
15
PAGINE DI MEDICINA
MALATTIE INFETTIVE IN UROLOGIA
Franco Luigi Spampinato
N
onostante i progressi compiuti
nello studio e nella terapia con
vaccini e farmaci antibiotici e
antivirali sempre più efficaci, persistono e
si sviluppano frequentemente difficoltà di
risposta positiva, per il progressivo sviluppo di ceppi batterici e virali che divengono
resistenti a tali terapie. Nel campo urologico, per la particolare conformazione anatomofisiologica degli organi interessati,
esistono numerose e importanti relazioni
con numerose Malattie Infettive. In primo
luogo vanno considerate le Infezioni Urinarie Aspecifiche, da batteri comuni e virus, le Specifiche, da batteri tubercolari, le
Parassitarie, da Bilharzia e Filaria ed Echinococco. Esse seguono vie di contaminazione e di successivo sviluppo legate alla
particolare tipologia del microrganismo
infettante e dell’organo prevalentemente
interessato. Sono ovviamente molto importanti le condizioni sociali e cliniche generali del paziente. L’età avanzata, stati di
deperimento organico, cattive abitudini di
vita e ambiente di vita disagiato, malattie
generali quali Diabete, Insufficienza Renale ed Epatica, Cardiopatie, Malformazioni
e Patologie acquisite dell’Apparato Urogenitale sono, come in tutte le malattie in
generale, importanti fattori di rischio. La
morbilità e la mortalità, a tutt’oggi, soprattutto nelle situazioni di rischio, nonostante
il netto e importante miglioramento delle
tecniche chirurgico-anestesiologiche, della tipologia e della qualità dell’assistenza
medico-infermieristica e delle terapie mediche disponibili, rimane sempre significativa, in relazione al continuo e inarrestabile
sviluppo di batteri e virus resistenti, la cui
resistenza stessa è insita nel loro normale
comportamento biologico, che, purtroppo,
non è stato ancora possibile controllare radicalmente. Oltre alle norme di prevenzione e di profilassi generali, è fondamentale
tenere presente che sono molto importanti
la scelta e le modalità di somministrazione
del farmaco più adatto, evitando il prodotto più recente e a volte più costoso, se può
essere utilizzato con successo un farmaco
16
meno recente e meno costoso, riservando
il primo a eventuali recidive da resistenza
non controllabili dal secondo. Un capitolo a parte, nel vasto campo delle Malattie
Infettive, sono quelle a trasmissione sessuale. Sono patologie epidemiologicamente diffuse, divenute attualmente frequenti
nella comune pratica clinica. Alcune di
tali malattie coinvolgono in modo grave
l’intero organismo. Queste sono l’AIDS,
o Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, le Epatiti, la Sifilide. Si tratta di
malattie gravi, maggiormente diffuse nei
Paesi sottosviluppati, ove dilagano con
facilità per le cattive condizioni igienico-socio-economiche, peggiorate anche
da particolari situazioni morali e religiose.
Il trattamento di tali malattie è ovviamente
molto impegnativo e spesso la prevenzione, soprattutto nelle aree depresse, non è
sempre facile da attuare. Un altro gruppo
di tali patologie è costituito da quello che
colpisce in primo luogo e in modo molto evidente gli organi genitali esterni, con
possibile estensione, in caso di complicanze, agli organi genitali interni e all’intero
organismo. Il gruppo più diffuso è quello
delle Infezioni Uretrali, o Uretriti, e delle
Infezioni Vaginali, o Vaginiti. La diagnosi è relativamente semplice, in quanto,
generalmente, oltre a bruciore minzionale costante, è presente una secrezione
patologica dagli organi genitali esterni.
Queste affezioni possono essere causate
sia da batteri comuni e virus, sia da uno
specifico batterio chiamato Clamidia, da
un fungo, la Candida, da un protozoo, il
Trichomonas. Le infezioni possono anche
complicarsi con lo sviluppo di ulcerazioni
genitali e di linfonodi inguinali. Esistono,
inoltre, particolari tipologie di virus che rivestono notevole importanza in tale settore. L’Herpesvirus è relativamente comune
e molto fastidioso. Maggiore importanza
riveste invece l’infezione da HPV, Human
Papilloma Virus, che macroscopicamente
determina la crescita di lesioni vegetanti.
Tuttavia, il suo aspetto patologico peggiore è quello oncogeno, in quanto è ormai
dimostrato che alcuni ceppi di tale virus
facilitano la formazione di cancro del collo dell’utero soprattutto nelle pazienti giovani. A tale scopo è consigliato vaccinare
contro questo microrganismo le bambine
all’età di 12 anni per la prevenzione di tale
grave malattia. In conclusione, le Malattie Infettive a trasmissione sessuale, per la
loro crescente diffusione e per i danni che
possono provocare se non opportunamente trattate, anche alla luce degli imponenti
flussi migratori e dei cambiamenti dello
stile di vita di questi ultimi anni, costituiscono attualmente un importante problema infettivologico non ancora risolto.
Laboratorio: Infezione da Clamidia
ANIMAZIONE GIOVANILE
rinascere nella luce del risorto!
Fra Massimo Scribano, o.h.
P
assati i giorni della Quaresima,
periodo di riflessione e di conversione di vita, siamo giunti al memoriale della Risurrezione del Signore.
Il Signore è veramente risorto, e ne dà
testimonianza la liturgia durante la celebrazione Eucaristica. Il buio della notte
che avvolgeva il cuore dell’uomo, lascia
lo spazio alla luce sfolgorante della speranza. Noi siamo certi che il Signore ha
vinto la morte, col suo gesto estremo di
amore: in croce. Per alcuni la croce è
simbolo di sconfitta,
di angoscia e terrore.
In quel legno Cristo
ha inchiodato i nostri
peccati per sempre,
insieme al suo gesto
di eterno amore per
l’uomo. Come abbiamo ascoltato nel
Vangelo della Messa
del giorno di Pasqua,
il primo giorno della
settimana, Maria di
Màgdala si recò al
sepolcro di mattino,
quando era ancora buio, e vide che
la pietra era stata
tolta dal sepolcro
(Gv 20,1). Siamo in
un’atmosfera, dove
si respira ancora la nostalgia della mancanza del Maestro, che aveva promesso
di restare per sempre con i suoi. Sembra
che Cristo sia stato sconfitto, ma l’amore per il Signore è ancora vivo e bisogna
alimentarlo. Maria di Màgdala, va al sepolcro, ignara del fatto che non troverà il
Signore, pensando addirittura che lo avevano rubato! In questo periodo l’uomo e
la società è avvolta nel buio e sembra che
non ci sia più speranza; la luce di Cristo
fa ripartire la passione e l’amore per la
vita e per il bene assoluto. Cristo è morto e risorto per noi, ha immolato la vita
per noi peccatori e consapevoli a volte
del male che commettiamo: ma Dio ha
voluto salvare proprio noi inviando suo
Figlio Unigenito donando in modo totalmente gratuito la sua vita per noi.
In un certo senso noi siamo come
Maria di Màgdala che ha nel cuore la
speranza, ma concretamente vedendo i
fatti accaduti, il buio entra nel suo cuore
come nel nostro! Il pensare che Cristo
sia risorto ci dà la carica per proseguire nel nostro cammino, magari a volte
deviato o addirittura interrotto a causa
di eventi esterni sociali o ecclesiali ri-
Sepolcro vuoto perchè Cristo è Risorto
ferendoci ai modelli di buoni pastori
quali dobbiamo essere noi religiosi, presbiteri e anche laici impegnati. Bisogna
scegliere una nuova e vera rinascita per
mezzo di Cristo, unico vero Salvatore
dell’umanità: solo così l’uomo troverà
la strada persa nelle “viuzze” della vita,
nel buio tempestoso del nostro cammino. Dio ci ama di un amore eterno e lo
dimostra ogni giorno, siamo noi a dover
ripristinare il rapporto con Lui ricucendo lo strappo del peccato che abbiamo
causato e che continuiamo ogni giorno.
Ma nonostante ciò Dio è pronto a dare
una mano per risalire e portarti alla dignità di figlio amato e voluto.
Altro episodio importante durante
questo periodo pasquale è con certezza il vangelo dei discepoli di Emmaus,
dove erano in cammino per un villaggio
[…], distante circa undici chilometri da
Gerusalemme, e conversavano tra loro
di tutto quello che era accaduto (Lc
24,13-15). […] Si fermarono, col volto
triste (Lc 24,17b). Notiamo in questi
piccoli passi che la tristezza si era posata sui discepoli, che discutevano sui
fatti accaduti in precedenza. È lo stesso atteggiamento dei
discepoli di tutti i
tempi, (anche oggi!),
la sfiducia, la stanchezza, l’apostolato
grigio e senza vita
che le nostre giornate
ci consegnano, è una
sequela di Cristo per
“dovere” e non per
“volere”. Cristo ci
chiede un atto concreto di conversione della mente e del
cuore per svolgere
la missione da Lui
affidata con fervore
e forza evangelica.
Non possiamo essere
tristi come i discepoli di Emmaus, ma
avere la gioia e la speranza di poter incontrare la figura del Maestro, del buon
Pastore che guida il suo gregge e che
nell’ascoltare la voce lo segue. Con la
viva certezza di un proficuo tempo pasquale, auguro a tutti serenità e speranza
nella gioia del Cristo Risorto!
Il Centro Formativo e di Accoglienza
è a disposizione per qualsiasi incontro
individuale o di gruppo per discernere
sulla tua vita e sul progetto di Dio per
te. Ti aspettiamo! Per informazioni telefonate allo 06.93738272 e chiedete di
fra Massimo o fra Lorenzo o mandate
una mail all’indirizzo vocazioni@fbfgz.
it Buon cammino!
17
Ospedale san pietro - roma
Festa di San Giovanni di Dio
Mattia De Maria
L
a festa di san Giovanni di Dio, in
questo anno giubilare, ci porta a
riflettere sulla misericordia dono
di Dio a ognuno di noi, dono di ognuno di
noi al prossimo soprattutto bisognoso,
malato, infermo, abbandonato, dimenticato”. Con queste parole il vescovo ausiliare
S.E. Rev.ma, mons. Guerino Di Tora, nel
corso della liturgia della Parola, introduce
la Sua omelia nella solenne Concelebrazione svoltasi nella Chiesa dell’Ospedale
san Pietro.
è il profeta Isaia che ci ricorda che seguire il Signore consiste nello spezzare il
pane con l’affamato, introdurre i miseri
in casa.
Secondo l’insegnamento di san Giovanni nella seconda lettura, solo chi ama
i fratelli conosce Dio e rimane nell’amore di Dio.
Gesù poi, nella parabola del Samaritano
lo esplicita concretamente e invita ognuno
“
di noi dicendo: “va e fa anche tu lo stesso”.
è la sintesi dell’esperienza della misericordia di Dio, ricevuta e donata. Misericordia: “miseris cor dare”, donate il proprio cuore, quindi tutto se stessi, ai miseri,
cioè a chi si trova nel bisogno: fisico, morale, sanitario. è proprio l’esperienza di
san Giovanni di Dio che si è fatto tutto a
tutti coloro che il Signore ha messo sul suo
cammino e che continua nei suoi figli operatori di sanità globale, operatori che recuperano l’uomo nelle sue diverse dimensioni, non solo nella malattia, con la capacità
di accoglienza e di far sentire l’altro non
un numero o addirittura un peso, ma una
persona umana, immagine di Dio.
Questo atteggiamento di misericordia,
ci dice papa Francesco, è teso a evidenziare come il centro dell’annuncio cristiano è nel cuore della vita della Chiesa,
dove vi è l’amore infinito e misericordioso del Dio di Gesù Cristo.
Concelebranti
18
Inaugurazione del Centro di genetica
La necessità di riscoprire e vivere la
misericordia di Dio è data oggi da varie
ragioni, ne evidenzio tre.
Una di carattere storico: il “secolo breve” da poco conclusosi, ha visto due guerre mondiali, il genocidio armeno, la shoah,
secolo, quindi, tragico. Non può essere la
violenza a vincere; solo l’amore salva, il
A.F.MAL.
Inaugurazione delle nuove Sale Travaglio parto
perdono libera e costruisce cammini di
pace. Con gli eccidi dei cristiani oggi in
Siria, in Iraq e in Nigeria, c’è veramente
bisogno di misericordia.
Una seconda ragione è più di ordine
teologico-spirituale: l’invito dei pontefici
Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, a lasciarci sorprendere dall’amore di Dio.
Dal Concilio Vaticano II, alla “Dives in
misericordia”, al “Misericordiae vultus”,
è tutto un inno a quel Dio che non si stanca di spalancare le porte del suo cuore e
la Chiesa diventa autentica e credibile
quando fa della misericordia il suo annuncio convinto.
Una terza ragione la definirei “esistenziale”. La misericordia è il bisogno più
profondo del cuore umano. Tutti sperimentiamo la fatica e i fallimenti dell’amore; le ferite del non amore si sanano
solo col perdono, con la riconciliazione,
con la reciproca accoglienza. Sarà la misericordia che Dio ha manifestato nel Signore Gesù e concretizzato nei Santi, a
salvare il mondo.
L’esempio di san Giovanni di Dio sia
Inaugurazione del nuovo Accelletore lineare
per ognuno di noi di stimolo a concretizzare questo dono di Dio nella semplicità
della nostra vita quotidiana, con le persone che il Signore ha messo sul nostro
cammino.
Dopo la celebrazione dell’Eucarestia, la
festa è continuata con l’inaugurazione delle nuove Sale Travaglio parto; il nuovo
Centro di Istopatologia, il nuovo Centro di
Genetica, il servizio di Radioterapia, che
è stato ampliato, ristrutturato e dotato di
un nuovo Acceleratore lineare di ultimissima generazione.
È stato, inoltre, visitato il Day Hospital
Oncologico, che recentemente è stato
adeguato con nuove poltrone gentilmente
donate dalla American Overseas School
of Rome.
Dono Studenti American Overseas school of Rome
19
Ospedale Sacro cuore di gesù - Benevento
San Giovanni di Dio
esempio di Misericordia
Il Sannita
L
’8 marzo è la festa di san Giovanni di Dio, fondatore dell’omonimo
Ordine ospedaliero, meglio conosciuto in Italia come “Fatebenefratelli”,
copatrono di Benevento e protettore degli
ospedali, malati e operatori sanitari. Papa
Leone XIII lo dichiarò patrono degli ospedali e di quanti operano per restituire la
salute agli infermi, assieme a san Camillo
de Lellis. Papa Pio XI, il 28 agosto 1930,
lo proclamò, sempre insieme a san Camillo de Lellis, “Patrono degli infermieri”.
Precorse la psicoanalisi, quando diceva
che bisognava curare prima lo spirito del
corpo e, comunque, la sua visione dell’assistenza sanitaria è stata alla base della
moderna medicina.
Il riconoscimento universale del valore dell’umanizzazione della medicina fu
da Lui professata tanti secoli prima che i
legislatori in materia sanitaria di tutto il
mondo ne scoprissero il significato come
dottrina indissociabile dalla complessità e
unicità della natura umana.
La sorte ha voluto che la festa di san
Giovanni di Dio ricadesse nello stesso
giorno della festa della donna. Anche
questo è un segno divino ove si pensi che
nella sua breve ma intensa vita terrena uno
dei settori che vide il Santo come protago-
nista e precursore fu quello di convertire
i tenutari di case chiuse e di aver ridato,
con la sua opera moralizzatrice, dignità
alle donne sfruttate e vilipese. Il superiore
generale dell’Ordine dei Fatebenefratelli,
fra Jesús Etayo, nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria del loro fondatore,
ha illustrato ai fedeli di tutto il mondo il
valore della misericordia nella vita di san
Giovanni di Dio.
Quella misericordia che è amore infinito
di Dio per gli uomini tema portante e road
map del Giubileo straordinario voluto da
Papa Francesco. E quale migliore interprete storico del significato di questa parola “misericordia”, nei fatti concreti e nelle
testimonianze della vita terrena, può esserci se non le opere di san Giovanni di Dio?
Nella sua omelia, S. E. Rev.ma Mons.
Andrea Mugione, amministratore apostolico della nostra arcidiocesi di Benevento,
durante la solenne concelebrazione che si
è svolta nella Parrocchia di Santa Maria di
Costantinopoli alle 10,30, lo ha ricordato
alle autorità civili e religiose, ai numerosi collaboratori e parrocchiani, con quella
enfasi e chiarezza che lo contraddistingue,
il significato e la modernità della misericordia come elemento fondamentale per
cercare la pace in tutte le sue declinazioni.
Particolare della processione iniziale della Messa
20
Offerta dei ceri al Santo dal sindaco
Fausto Pepe e fra Angelico Bellino
Nel corso della cerimonia religiosa, a suggello del connubio tra i Fatebenefratelli
e la città di Benevento, è stata reiterato il
dono dei ceri al Santo da parte del sindaco
del capoluogo sannita Fausto Pepe. Tutto
ciò in presenza del superiore della comunità religiosa dei Fatebenefratelli di Benevento, fra Angelico Bellino, e di numerosi
concelebranti, tra cui don Pompilio, nostro
parroco e vicario generale, P. Sabino, superiore provinciale dei Frati Minori.
Quest’anno la manifestazione ha avuto
un significato ancora maggiore in quanto
due protagonisti della storia religiosa e
civile degli ultimi anni hanno terminato il
loro mandato. Infatti il sindaco Pepe verrà
sostituito dal nuovo sindaco nella prossima tornata elettorale amministrativa e il
nostro amato arcivescovo Mugione (che
invochiamo affinché continui a essere
presente nella comunità Sannita e dei Fatebenefratelli in particolare) terminerà il
suo mandato nel mese di giugno c.a. La
giornata si è conclusa alle ore 18.00 nella
Chiesa dell’Ospedale con la celebrazione
dei Vespri e, a seguire, la processione e bacio della reliquia del Santo in tutti i reparti della storica struttura sanitaria di Viale
Principe di Napoli.
Ospedale Buon Consiglio - Napoli
FESTA DI SAN GIOVANNI DI DIO
ALL’OSPEDALE BUON CONSIGLIO
Antonio Capuano
C
elebrare, quest’anno, la solennità di san Giovanni di Dio,
ha assunto una connotazione
ancora più particolare e significativa.
Sin dall’inizio in Cappella si è respirata
l’aria delle grandi occasioni.
La presenza, infatti, numerosa e raccolta di fedeli, collaboratori e di am-
l’intera funzione religiosa nei reparti
di degenza appena ristrutturati. Si diceva della particolarità e significatività offerta dalla solennità: sì, perché la
festa odierna si inserisce pienamente
nell’anno santo della Misericordia voluto da papa Francesco: san Giovanni
di Dio, come ricordava mons. Iadanza
nell’omelia, uomo della misericordia,
ha sperimentato concretamente nella
sua vita le opere di Misericordia che
il Santo Padre suggerisce di praticare a tutti gli uomini per arrivare alla
salvezza eterna. In particolare, ha aggiunto don Mario soffermandosi nel
commento della parabola evangelica
del Buon Samaritano, l’uomo di oggi,
come san Giovanni di Dio, deve vivere
la compassione per la persona ammalata, attraverso la condivisione di quella
sofferenza, in modo personale e diretto.
Anche il padre superiore, fra Alberto
Angeletti, nel portare i saluti e porgere
gli auguri a tutti i presenti, si è soffermato sulla necessità, per ognuno di noi,
di approfittare di questi esempi luminosi che ci vengono presentati, per modificare la nostra vita e orientarla verso la
salvezza eterna.
La festa si è conclusa nella hall
dell’ospedale dove, fra Alberto, il dott.
Carbone, direttore sanitario e il dott.
Capuano, direttore amministrativo,
dopo aver rinnovato gli auguri per la
festa di san Giovanni di Dio, hanno
rivolto gli auguri a tutte le donne per
l’occasione della celebrazione della
giornata della donna, invitando i presenti a consumare il ricco buffet preparato per l’occasione.
Chiesa dell’ospedale Buon Consiglio
malati, ospiti in Ospedale, ha fatto da
cornice alla bella funzione religiosa
concelebrata da don Ciriaco e da fra
Giacinto, cappellani dell’ospedale,
padre Giuseppe, barnabita, dai padri
vocazionisti don Luigi e don Raffaele, quest’ultimo aggregato all’Ordine
ospedaliero, da fra Agostino, ministro
provinciale dei Frati Minori e medico dell’ospedale, presieduta da mons.
Mario Iadanza del clero di Benevento,
anch’egli aggregato all’Ordine ospedaliero. Appropriati e curati sono stati i
canti preparati dalle comunità religiose
e accompagnati all’organo da fra Marco e al flauto da suor Giovanna.
Quest’anno, poi, si è avuta la possibilità di trasmettere, in diretta televisiva,
Il Superiore con i Collaboratori dell’ospedale
21
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
I ragazzi del Servizio Civile:
“Siamo qui con voi”
Cettina Sorrenti
S
alvatore, Rita, Luana, Serena, Caterina, Daniele, Alessio, Laura,
Michelangelo, Alessandra, Roberta, Sara, Mirella, Romina sono i quattordici volontari del Servizio Civile che il 3
novembre 2015 hanno cominciato la loro
avventura nel nostro Ospedale, partecipando al progetto “Siamo qui con voi”.
gliorare l’umanizzazione dell’assistenza. In questo modo riusciamo a offrire
ai nostri pazienti, fin dal loro arrivo in
portineria, un servizio sempre più personalizzato e attento. Inoltre, ci consente di
contribuire alla formazione civica, personale e lavorativa dei giovani che effettuano la loro esperienza in questo Ente”.
I ragazzi hanno dai 18 ai 29 anni. Le
loro postazioni di accoglienza si trovano
in portineria, negli ambulatori, al CUP,
al day surgery, in radiologia. Il progetto
prevede che i giovani diano informazioni agli utenti, che accompagnino le persone bisognose di un aiuto e che diano
un sostegno nel disbrigo delle pratiche
di carattere amministrativo. L’obiettivo del progetto è quello di rassicurare
e aiutare il paziente o il familiare, anche attraverso un piccolo gesto, con un
sorriso o anche con
la sola compagnia. I
volontari svolgono il
servizio per un totale
di 30 ore settimanali
e sono divisi in due
turni, uno mattutino
e uno pomeridiano.
Al loro arrivo hanno
effettuato un percorso formativo sia
sui temi del Servizio
Civile in generale,
come forma di difesa
della Patria con mezzi non armati e non
violenti, sia sull’organizzazione della
nostra struttura.
“Dopo la formazione - raccontano
i ragazzi - è arrivato il momento di intraprendere il nostro servizio. I primi
momenti nelle postazioni sono stati emozionanti, ma anche difficili. Ci sentivamo confusi e spaesati. Quando si avvicinava il paziente il cuore batteva forte.
Ora siamo quasi a metà del percorso e
ci sentiamo più sicuri. Col passare dei
giorni, le nostre paure e insicurezze sono
scomparse, grazie anche al sostegno e
all’affiancamento di tutto il personale
“Il Servizio Civile
- dichiara fra Luigi
Gagliardotto, Superiore dell’Ospedale
- contribuisce a mi-
22
Servizio Civile 2016
sanitario che ci segue, creando intorno
a noi un ambiente lavorativo sereno; ma
soprattutto grazie agli sguardi, ai sorrisi
e ai ringraziamenti sinceri delle persone
che aiutiamo. I momenti più belli sono
quelli in cui, con un semplice sorriso o
una parola di confort, riusciamo a sollevare il morale delle persone in difficoltà. Questo ci rende più felici. Crediamo
che il nostro sia un piccolo esempio di
come si possa fare qualcosa di buono
per gli altri. In questi mesi abbiamo scoperto quante persone hanno bisogno di
un semplice gesto, una semplice parola
per affrontare la realtà. Tutti insieme
cerchiamo di dare il meglio di noi stessi.
Il lavoro di gruppo non è mai mancato
e insieme a esso la voglia di metterci in
gioco”.
I volontari, oltre a svolgere l’attività
prevista dal progetto sono coinvolti in
altre momenti. Partecipano alle diverse
iniziative della sezione locale dell’AFMAL, a corsi di formazione, a momenti
istituzionali. Sono entrati a pieno titolo a
far parte della Famiglia Ospedaliera del
Buccheri La Ferla.
Missioni Filippine
NEWSLETTER
FESTA DEL FONDATORE
Nella nostra Comunità di Manila ci si è
quest’anno impegnati affinché i collaboratori e gli assistiti prendessero parte attiva nel celebrare la festa di San Giovanni di Dio, sia alternandosi come lettori e
commentatori, sia nel servizio all’altare,
assicurato da un gruppo di chierichetti
arruolato da fine febbraio tra i figlioli
delle famiglie accampate sui marciapiedi
della nostra strada e che ora la domenica vengono compatte a Messa da noi e
sono poi seguite per tutta la mattinata in
vari programmi di educazione e di formazione. Poiché molti dei nostri assistiti
hanno poca familiarità con l’inglese, s’è
deciso di usare il messale in tagalog e anche per la novena s’è adottata quella in
tagalog, da tempo immemorabile in uso
nella Parrocchia di San Giovanni di Dio
che è nel Comune di San Rafael de Bulacan, dove fin dal 1649 i Fatebenefratelli ebbero l’immensa azienda agricola
Buenavista, con i cui utili riuscivano a
gestire il loro Ospedale di Manila, finché
non furono obbligati a lasciare entrambi
nel 1866 e l’azienda fu data al Seminario
Diocesano.
La Messa Solenne dell’8 marzo è stata
presieduta da mons. Fernando M. Coronel, nuovo Rettore del vicino Santuario
del Nazareno, che con stile semplice e
avvincente ha tenuto una vivacissima
omelia in tagalog su San Giovanni di
Dio. Hanno concelebrato con lui i confratelli fra Ildefonso L. de Castro e fra
Giovanni Jung, il nostro Cappellano don
Paolo Tran Xuan Lam, il parroco di Upper Bicutan, don Rinaldo B. Reyes e lo
stimmatino fra Giuseppe S. Lasam Jr.
Ad Amadeo la nostra Comunità ha deciso di anticipare la festa alla vigilia, con
un Messa celebrata dal citato stimmatino
e alla quale erano presenti gli alunni, le
famiglie, i collaboratori e varie Suore
delle vicine Comunità. Grazie a tale anticipazione, la Comunità di Amadeo e
vari suoi collaboratori hanno potuto essere presenti l’8 marzo alla celebrazione
in Manila, partecipando alla Messa e alla
usuale agape fraterna, mescolandosi con
i vari amici e benefattori locali, le Suore
Ospedaliere e le Piccole Sorelle dei Poveri, nonché i collaboratori locali e gli
assistiti, il cui gruppo più folto e con tanti
irrequieti frugoletti era ovviamente quello dei barboni della nostra strada.
PROMOSSI E PREMIATI
Normalmente nelle Filippine le Scuole chiudono a metà marzo o più tardi, se
per i tifoni o altre ragioni le giornate di
lezioni non abbiano raggiunto il minimo
di legge, come è successo ad Amadeo,
dove perciò la chiusura avverrà in aprile.
A Manila invece è stato possibile chiudere in tempo e celebrare il 18 marzo la
tradizionale festa per l’assegnazione dei
diplomi e delle medaglie agli alunni più
meritevoli. La nostra Scuola per l’Infanzia Disabile aveva 7 alunni nel primo livello, di cui 4 sono stati promossi; 5 nel
secondo livello, di cui 2 promossi; 5 nel
terzo, tutti promossi; e uno nel livello
finale, Michele C. Laureta, che ha conseguito il certificato di passaggio alle
Scuole Elementari e che vediamo nella
foto insieme ai genitori, all’insegnante
Maria Gianna L. Montaron, alla Direttrice Didattica, suor Geminiana Mundadan e a fra Vittorio Paglietti, che gli ha
consegnato tre medaglie, ben meritate,
visto che è stato capace di fare, senza
leggere, un discorsetto di ringraziamento per quanti lo hanno aiutato a raggiungere la meta.
Un’altra festa scolastica da ricordare è
quella celebrata il 19 marzo a Tagaytay
nell’Istituto dei Verbiti, dove tra i nuo-
vi diplomati c’era anche un nostro confratello della Papua Nuova Guinea, fra
Tommaso Asei, che v’ha frequentato con
successo un corso biennale di Teologia,
sicché ora potrà tornare in patria.
VOLONTARIO PARIGINO
L’assistente sociale Giampietro Lecuyer, nostro collaboratore nell’Istituto
d’Educazione Motrice, che è uno dei tre
attuali Dipartimenti attivati nel Centro
Medico-Sociale Lecourbe, che i Fatebenefratelli hanno a Parigi fin dal 1858, ha
deciso di ampliare il suo orizzonte professionale prendendosi diversi mesi di
congedo da spendere come volontario
nelle analoghe istituzioni gestite dal nostro Ordine in India, dove ha trascorso
tre mesi, e poi nelle Filippine, dove ha
trascorso con noi febbraio ad Amadeo e
marzo a Manila.
SUORE DI LEUCA
Fin dal 15 aprile 1996 una piccola
Comunità di tre Suore di Santa Maria di
Leuca ha collaborato con noi a Manila
nella gestione dell’Ambulatorio, della
Scuola per Disabili e delle recenti iniziative che abbiamo avviato a favore degli
squatters della nostra zona, ma purtroppo il loro Istituto incontra ora difficoltà a
mantenere aperta questa piccola Comunità, per cui ha deciso di momentaneamente chiuderla. In data 24 marzo il nostro padre Provinciale ha inviato perciò
alla loro Madre Generale una lettera di
sentiti ringraziamenti per i vent’anni di
preziosa collaborazione e di buon esempio ai nostri formandi, auspicando che in
futuro sia possibile riallacciarla.
23
I F at e b e n e f r at e l l i
i ta l i a n i n e l m o n d o
I Fatebenefratelli d’ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere.
I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri:
Curia Generalizia
www.ohsjd.org
• Roma
Centro Internazionale Fatebenefratelli
Curia Generale
Via della Nocetta, 263 - Cap 00164
Tel. 06.6604981 - Fax 06.6637102
E-mail: [email protected]
Ospedale San Giovanni Calibita
Isola Tiberina, 39 - Cap 00186
Tel. 06.68371 - Fax 06.6834001
E-mail: [email protected]
Sede della Scuola Infermieri
Professionali “Fatebenefratelli”
Fondazione Internazionale Fatebenefratelli
Via della Luce, 15 - Cap 00153
Tel. 06.5818895 - Fax 06.5818308
E-mail: [email protected]
Ufficio Stampa Fatebenefratelli
Lungotevere dè Cenci, 5 - 00186 Roma
Tel. 06.6837301 - Fax: 06.68370924
E-mail: [email protected]
• Città del vaticano
Farmacia Vaticana
Cap 00120
Tel. 06.69883422
Fax 06.69885361
PROVINCIA ROMANA
www.provinciaromanafbf.it
• Roma
Curia Provinciale
Via Cassia, 600 - Cap 00189
Tel. 06.33553570 - Fax 06.33269794
E-mail: [email protected]
Centro Studi e Scuola Infermieri
Professionali “San Giovanni di Dio”
Via Cassia, 600 - Cap 00189
Tel. 06.33553535 - Fax 06.33553536
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato della Provincia
Centro Direzionale
Via Cassia, 600 - Cap 00189
Tel. 06.3355906 - Fax 06.33253520
Ospedale San Pietro
Via Cassia, 600 - Cap 00189
Tel. 06.33581 - Fax 06.33251424
www.ospedalesanpietro.it
• Genzano di Roma
Istituto San Giovanni di Dio
Via Fatebenefratelli, 3 - Cap 00045
Tel. 06.937381 - Fax 06.9390052
www.istitutosangiovannididio.it
E-mail: [email protected]
Sede del Noviziato Interprovinciale
• Palermo
Ospedale Buccheri-La Ferla
Via M. Marine, 197 - Cap 90123
Tel. 091.479111 - Fax 091.477625
www.ospedalebuccherilaferla.it
• MONGUZZO (CO)
Centro Studi Fatebenefratelli
Cap 22046
Tel. 031.650118 - Fax 031.617948
E-mail: [email protected]
• Alghero (SS)
Soggiorno San Raffaele
Via Asfodelo, 55/b - Cap 07041
• ROMANO D’EZZELINO (VI)
Casa di Riposo San Pio X
Via Cà Cornaro, 5 - Cap 36060
Tel. 042.433705 - Fax 042.4512153
E-mail: [email protected]
MISSIONI
• FILIPPINE
St. John of God Social and Health Center
1126 R. Hidalgo Street - Quiapo - 1001 Manila
Tel. 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918
E-mail: [email protected]
http://ohpinoy.wix.com/phils
Sede dello Scolasticato e del Noviziato
della Delegazione Provinciale Filippina
St. Richard Pampuri Rehabilitation Center
26 Bo. Salaban - Amadeo - 4119 Cavite
Tel. 0063.46.4835191 - Fax 0063.46.4131737
E-mail: [email protected]
http://bahaysanrafael.weebly.com
Sede dell’Aspirantato e del Postulantato
della Delegazione Provinciale Filippina
PROVINCIA LOMBARDO-VENETA
www.fatebenefratelli.eu
• Brescia
Sede legale della Provincia
Via Pilastroni, 4 - Cap 25125
Centro San Giovanni di Dio
Istituto di Ricovero e Cura
a Carattere Scientifico
Via Pilastroni, 4 - Cap 25125
Tel. 030.35011 - Fax 030.348255
E-mail: [email protected]
Sede del Centro Pastorale Provinciale
Asilo Notturno San Riccardo Pampuri
Fatebenefratelli onlus
Via Corsica, 341 - Cap 25123
Tel. 030.3530386
E-mail: [email protected]
• CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI)
Curia Provinciale
Via Cavour, 2 - Cap 20063
Tel. 02.92761 - Fax 02.9241285
E-mail: [email protected]
Sede del Centro Studi e Formazione
Centro Sant’Ambrogio
Via Cavour, 22 - Cap 20063
Tel. 02.924161 - Fax 02.92416332
E-mail: [email protected]
• SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI)
Centro Sacro Cuore di Gesù
Viale San Giovanni di Dio, 54 - Cap 20078
Tel. 0371.2071 - Fax 0371.897384
E-mail: [email protected]
• SAN MAURIZIO CANAVESE (TO)
Beata Vergine della Consolata
Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077
Tel. 011.9263811 - Fax 011.9278175
E-mail: [email protected]
Comunità di accoglienza vocazionale
• SOLBIATE (CO)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Carlo Borromeo
Via Como, 2 - Cap 22070
Tel. 031.802211 - Fax 031.800434
E-mail: [email protected]
• TRIVOLZIO (PV)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Riccardo Pampuri
Via Sesia, 23 - Cap 27020
Tel. 0382.93671 - Fax 0382.920088
E-mail: [email protected]
• VARAZZE (SV)
Casa Religiosa di Ospitalità
Beata Vergine della Guardia
Largo Fatebenefratelli - Cap 17019
Tel. 019.93511 - Fax 019.98735
E-mail: [email protected]
• VENEZIA
Ospedale San Raffaele Arcangelo
Madonna dell’Orto, 3458 - Cap 30121
Tel. 041.783111 - Fax 041.718063
E-mail: [email protected]
Sede del Postulantato e dello Scolasticato
della Provincia
• CROAZIA
Bolnica Sv. Rafael
Milsrdna Braca Sv. Ivana od Boga
Sumetlica 87 - 35404 Cernik
Tel. 0038535386731 - 0038535386730
Fax 0038535386702
E-mail: [email protected]
MISSIONI
• Napoli
Ospedale Madonna del Buon Consiglio
Via A. Manzoni, 220 - Cap 80123
Tel. 081.5981111 - Fax 081.5757643
www.ospedalebuonconsiglio.it
• ERBA (CO)
Ospedale Sacra Famiglia
Via Fatebenefratelli, 20 - Cap 22036
Tel. 031.638111 - Fax 031.640316
E-mail: [email protected]
• ISRAELE - Holy Family Hospital
P.O. Box 8 - 16100 Nazareth
Tel. 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101
• Benevento
Ospedale Sacro Cuore di Gesù
Viale Principe di Napoli, 14/a - Cap 82100
Tel. 0824.771111 - Fax 0824.47935
www.ospedalesacrocuore.it
• GORIZIA
Casa di Riposo Villa San Giusto
Corso Italia, 244 - Cap 34170
Tel. 0481.596911 - Fax 0481.596988
E-mail: [email protected]
• TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu
Afagnan - B.P. 1170 - Lomé
Altri Fatebenefratelli italiani sono presenti in:
• BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu
Tanguiéta - B.P. 7
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