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… DI LA` VERRA` A GIUDICARE... SCH.13

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… DI LA` VERRA` A GIUDICARE... SCH.13
… DI LA’ VERRA’ A GIUDICARE... SCH.13
Nel contesto della Ado&vado continuiamo la nostra catechesi sul credo. Trattiamo
quest’oggi del tema del giudizio finale.
Sull'esempio di Sant'Ambrogio, il
Cardinale Dionigi Tettamanzi ha ripreso ad una ad una le parole del
Credo, per comprenderne la straordinaria ricchezza e le impegnative conseguenze per la
nostra vita concreta. Ascoltiamolo.
Art.7 “DI LÀ VERRÀ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI”
C'è ancora un aspetto del mistero di Cristo che chiede
di essere considerato. È quello del "giudizio", che pure
è parte integrante e costitutiva della fede cristiana. Sì,
Ge-sù - proprio perché è il Figlio di Dio, il Salvatore, il Si
-gnore che sta alla destra del Padre - è anche" giudice". È colui che «raggiunge la persona col suo sguardo
pene-trante e creatore e la porta alla piena conoscenza della verità su se stessa davanti all' eterna verità di Dio».
Così il "Credo" esprime questo mistero: «di là verrà a giudicare i vivi e i morti».
Un avvenimento che dà senso alla storia
Il Signore «verrà». Con queste parole noi diciamo che c'è una "seconda" venuta del Signore. Il duplice
movimen-to vissuto da Gesù nella storia -la discesa del Verbo eterno di Dio con l'Incarnazione e il suo ritorno al Padre - si ripete in una seconda venuta e in una seconda risalita al Padre. Il Signore, dunque, ritornerà! Questo suo secondo, ultimo e definitivo "venire" verso di noi e per noi viene qualificato dal Nuovo
Testamento anche come "parusìa", cioè un 'farsi presente", come un "rivelarsi", un "manifestarsi", come
un "ritornare".
In ogni caso, con quelle parole, noi diciamo che c'è un avvenimento che costituisce l'oggetto della nostra
attesa. È un avvenimento che non è ancora accaduto; è qualcosa di nuovo che veramente accadrà. Lo aspettiamo come l'ultimo avvenimento non solo della vita di ciascuno di noi, ma dell'intero cammino dell'umanità.
Professando la nostra fede nel Signore che «verrà», noi crediamo che la storia non è un vagare senza senso, senza meta e senza termine. Crediamo che c'è un termine per la storia e per ogni uomo. E questo termine è l'incontro con il fatto centrale e decisivo di tutta la storia, con Gesù Cristo, morto, risorto e glorioso. Il termine è la definitiva e risolutiva presenza del Risorto a ciascun uomo e a tutti gli uomini e di questi
a lui. È una piena e indistruttibile relazione di comunione tra Gesù e l'uomo, partecipi insieme della stessa
gloria e della stessa vita di Dio Padre.
Il testo del "Credo" specifica "da dove" il Signore «verrà a giudicare i vivi e i morti». Verrà «di là»: "dal cielo" al quale era salito, ossia dalla pienezza di vita cui Gesù è giunto e che noi abbiamo pregustato già ora,
ma non ancora sperimentato in pienezza. «Di là» significa a partire dalla sua comunione con Dio.
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Don Andrea– Adolescenti
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Gesù verrà dal cielo per estendere a noi la sua partecipazione alla gloria del Padre. Venendo «di là» egli
esprime la sua volontà precisa e determinata di renderci partecipi per sempre della sua stessa gloria della
sua stessa vita. Ce lo ha assicurato lui stesso: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti... lo vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto ritornerò e vi prenderò con me perché
siate anche voi dove sono io».
Proprio l’ assicurazione di questa sua venuta per “portarci”l dove è lui ci fa comprendere che anche se non
siamo già dei risorti come lo è Gesù questo è il nostro unico e vero destino. Noi siamo fatti per la reciproca, definitiva “Ipresenza” del Signore risorto a noi e di noi a lui.
Ci viene detto “ da dove”, ma non ci viene detto “ quando” il Signore verrà. Sappiamo, però che «la venuta
di Cristo nella gloria è imminente (cf Ap 22, 20), anche se non spetta a noi “conoscere i tempi e i momenti
che il Padre ha riservato alla sua scelta “ (At 11 7; cf Mc 13, 32). Questa venuta escatologica può compiersi
in qualsiasi momento (cf Mt 24, 44; 1 Ts 51 2».
La venuta gloriosa di Cristo è oggetto di speranza. È la grande speranza escatologica del ritorno del Signore. È quella speranza che ha fatto vibrare la primitiva comunità cristiana fino a toglierle quasi ogni attenzione all’impegno morale. È quella tensione verso il Regno che spingeva san Paolo a predicare il distacco
dagli affetti e dagli interessi di quaggiù. Una speranza e una tensione che in noi si sono forse affievolite o
addirittura smarrite e che chiedono, invece, di essere ritrovate e coltivate nel segno di una grande vigilanza.
Credere che il Signore «di là verrà a giudicare i vivi e i morti» significa essere vigilanti «nell'attesa che si
compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo», come ci viene richiamato dopo il "Padre
nostro" in ogni celebrazione della Messa. Significa vivere l'atteggiamento proprio di chi «tiene salda la
speranza, non permettendo che sia insidiata la sua condizione di figlio, mantenendo la tensione del desiderio di vedere il volto del Padre e difendendola dall' afflosciarsi nel presente, dal lasciarsi imprigionare
dalle banalità quotidiane».
Un giudizio nel rispetto della libertà e della responsabilità
Il coinvolgimento dell'uomo nella sua relazione con Dio Padre, la
reciproca e definitiva "presenza" del Risorto a noi e di noi al Signore
non si realizzano in modo automatico e anonimo, come un avvenimento inevitabile. Si presentano, piuttosto, come un' offerta fatta a
tutti e a ciascuno, come un dono proposto alla libertà dell'uomo e,
dunque, come una sfida alla nostra responsabilità.
Di fronte a questa offerta e a questo dono, la libertà dell'uomo è
chiamata a una scelta responsabile: o accogliere il dono o rifiutarlo.
Accogliere il dono significa riconoscere e affermare che la propria
verità e autenticità di uomini non consistono in qualunque ideale
umano, ma nell’”umano" proprio di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto. Consiste nel riconoscere con gratitudine che Gesù Cristo è la verità dell'uomo: lui solo «svela... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la
sua altissima vocazione»; lui "è l'uomo perfetto», il vero uomo, modello e paradigma di ogni uomo pienamente realizzato. E, corrispettivamente, l'uomo è davvero uomo, secondo la sua originaria verità, quando
riconosce e prende il modo di essere uomo proprio di Gesù come suo termine di confronto e di misura,
come criterio della sua esistenza: quando, cioè, vive, muore e risorge come Gesù.
È proprio nel riconoscimento di questo profondo e intrinseco dinamismo della libertà che il ritorno del
Signore si presenta come "giudizio": Gesù - diciamo nel "Credo" verrà «a giudicare i vivi e i morti».
Sì, Gesù è anche il "nostro giudizio". Lo è ora, mentre la nostra libertà cammina e si costruisce. Lo è al momento della morte, quando la libertà conclude il suo cammino di accoglimento o di rifiuto dell' assoluto
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umano di Cristo. Lo è al momento in cui la storia si conclude.
Noi crediamo che il «Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti, rivelerà la disposizione segreta dei cuori e renderà a ciascun uomo secondo le sue opere e secondo l'accoglienza o il
rifiuto della grazia». Lo crediamo, perché sappiamo che l'incontro di Dio con l'uomo non può avvenire che
"nella verità", è un incontro che svela all'uomo se è dalla parte della verità o se non lo è.
In questo senso, il ritorno del Signore e il relativo incontra con lui possono assumere anche la forma del"
castigo", ossia di una "autoesclusione" dalla relazione di piena e totalizzante comunione con il Risorto, che
lo stesso Gesù viene ad offrirci. Se, infatti, la posizione dell'uomo è di chiusura voluta e definitiva alla verità di se stesso manifestata nell'assoluta verità della concreta esistenza di Gesù di Nazaret, l'incontra con lo
stesso Signore che viene non può realizzarsi se non come definitiva infelicità, definitiva" esclusione", definitivo "non-senso" di un'esistenza che assolutamente ha deciso di porre il vero e il giusto al di fuori di Gesù, dove il vero e il giusto non possono esistere.
Credere che Gesù «verrà a giudicare i vivi e i morti» significa anche riconoscere che ogni dono è un compito e una responsabilità. Vivere questo compito e questa responsabilità nel segno dell' accoglienza ha come
conseguenza di essere accolti a propria volta, di essere inseriti nel vortice di amore che quel dono vuole
suscitare e portare a perfezione. Viverli nel segno del rifiuto ha come conse-guenza quella di essere rifiutati, di essere esclusi, meglio di "autoescludersi" dallo stesso vortice di amore.
Il "giudizio" rimanda a una relazione reciproca, anzi ha la forma del riconoscimento reciproco, secondo la
parola stessa di Gesù: «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio
che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che
è nei cieli».
Questo riconoscimento, però, non è da parte nostra sempre esplicito e immediato. C'è, tuttavia, un atteggiamento che lo esprime e lo incarna. È l'atteggiamento
verso il prossimo a rivelare l'accoglienza o il rifiuto dello
stesso Signore Gesù, della sua grazia, del suo amore:
«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me... ogni volta
che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me».
C'è un rapporto strettissimo tra riconoscimento di Gesù e
accoglienza dei fratelli più piccoli e bisognosi. L'inserimento dell'umanità e di tutta creazione nella relazione tra Padre e Figlio in forza della risurrezione di Cristo e della sua
ascensione porta, nello scambio di doni tra le creature, lo
stesso riconoscimento reciproco tra Padre e Figlio in cui è inserito il discepolo di Gesù.
Occorre perciò vigilare sui rapporti, perché nelle relazioni con i fratelli si gioca la piena realizzazione della
reciprocità paterno-filiale. È in esse che si gioca anche l'accoglienza o il rifiuto di Gesù ed è proprio quello
dell'amore verso i fratelli l'oggetto specifico del "giudizio" che il Signore esprimerà venendo dal cielo.
C'è ancora un aspetto messo in luce in questo articolo del "Credo": quello del Signore è un "giudizio" al
quale nessuno può sottrarsi, dal quale nessuno viene escluso. Noi, infatti, proclamiamo che egli verrà «a
giudicare i vivi e i morti», ossia tutti gli uomini di tutti i tempi. I morti non sono dimenticati perché non
sono più. I vivi non sono esonerati perché troppo indaffarati nei compiti della sopravvivenza.
Nessuna situazione umana può essere considerata "fuori gioco" rispetto all' offerta che Dio fa alla libertà
delle persone. L'incontro con lui è inevitabile per l'uomo, qualunque sia la sua condizione. Non c'è uomo
che non sia raggiunto dalla volontà salvifica di Gesù. E, nello stesso tempo, non c'è uomo che non sia sfi3
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dato e richiamato alla responsabilità!
Confessando «di là verrà a giudicare i vivi e i morti», noi esprimiamo la certezza che c'è un rapporto tra la
vita di ciascuno di noi e la storia intera del mondo, da una parte, e la "verità" che è Cristo, dall'altra parte.
Così facendo, siamo continuamente invitati a non barare, ad essere veri e sinceri, a vivere nel segno della
coerenza limpida e coraggiosa.
Credere nel "giudizio" ci impegna a considerare l'incontro con Cristo come "un caso serio", anzi come "il
caso serio" della nostra vita. Ci impegna a guardare a questo incontro non come a qualcosa di angosciante
o di traumatizzante, ma come alla “ questione delle questioni" di tutta la nostra vita, capace di provocare
e sostenere decisioni impegnative e concrete per il nostro bene e per la nostra felicità piena e vera.
Non si può credere che Gesù «di là verrà a giudicare i vivi e i morti» e vivere un cristianesimo di parole,
all'insegna del compromesso, della tiepidezza e della mediocrità.
PROVA ORA A RIFLETTERE
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Cosa ti ha suggerito il tema del giudizio?
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Cosa ti fa paura del giudizio finale?
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In che rapporto sta questo giudizio rispetto alla nostra libertà?
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In che senso questo giudizio dà senso alla storia?
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