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Primo viaggio intorno al mondo

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Primo viaggio intorno al mondo
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Primo viaggio
intorno al mondo
di Antonio Pigafetta
Storia d’Italia Einaudi
a
Edizione di riferimento:
Relazione del primo viaggio attorno al mondo, Editrice
Antenore, Padova 1999
Storia d’Italia Einaudi
II
RELAZIONE DEL PRIMO VIAGGIO ATTORNO
AL MONDO
Antonio Pigafeta patricio vicentino e cavalier de Rodi a
l’illustrissimo ed exellentissimo signor Filipo de Villers
Lisleadam, inclito gran maistro de Roddi, signor suo
observantissimo.
Perché sono molti curiosi, illustrissimo ed exellentissimo signor, che non solamente se contentano de sapere e intendere li grandi e admirabilli cose che Dio me ha
concesso de vedere e patire ne la infrascripta mia longa e
pericolosa navigatione, ma ancora vogliono sapere li mezi e modi e vie che ho tenuto ad andarvi, non prestando
quella integra fede a l’exito se prima non hanno bonna
certeza de l’initio, pertanto saperà vostra illustrissima signoria che, ritrovandomi ne l’anno de la natività del Nostro Salvatore 1519 in Spagna, in la corte del serenissimo re de’ Romani con el reverendo monsignor Francesco Chieregato, alora protonotario apostolico e oratore
de la santa memoria de papa Leone X, che per sua vertù dapoi è acceso a l’episcopato di Aprutino e principato de Teramo, avendo io avuto gran notisia per molti libri letti e per diverse personne che praticavano con sua
signoria de le grande e stupende cose del Mare Occeanno, deliberai con bonna gratia de la magestà cezaria e
del prefacto signor mio far experientia di me e andare a
vedere quelle cose che potessero dare alguna satisfatione a me medesmo e potessero parturirmi qualche nome
apresso la posterità. Avendo inteso che alora si era preparata una armata in la cità de Siviglia che era de cinque
nave per andare a scoprire la speceria ne le isolle de Maluco, de la qualle era capitanio generalle Ferando de Magaglianes gentilomo portughese ed era comendatore de
Santo Iacobo de la Spada, più volte con molte sue laude
aveva peregrato in diverse guize lo Mare Occeanno, mi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
parti’ con molte letere di favore de la cità de Barsalonna,
dove alora resideva sua maestà, e sopra una nave passai
sino a Malega onde, pigliando el camino per tera, iunsi a
Siviglia e, ivi essendo stato ben circa tre mesi espetando
che la dicta armata se ponese in ordine per la partita, finalmente, como qui de soto intenderà vostra exellentissima signoria, con felicissimi auspitii incomensiamo la nostra navigatione. E perché ne l’eser mio in Italia, quando andava a la santità de papa Clemente, quella per sua
gratia a Monteroso verso di me se dimostrò assai benigna e umana e dissemi che li sarebe grato le copiasse tute
quelle cose aveva viste e passate nella navigatione, benché io ne abia avuta poca comodità, niente di meno segondo el mio debil potere li ho voluta satisfare. E cosí
li oferisco in questo mio libreto tute le vigilie, fatiche e
peregrinatione mie, pregandola, quando la vacherà dalle asidue cure rodianne, se degni transcorerle, per il che
me poterà essere non poco remunerato da vostra illustre
signoria, a la cui bonna gracia mi donno e recomando.
Avendo deliberato il capitanio genneralle di fare cosí
longa navigatione per lo Mare Occeanno, dove sempre
sonno impetuosi venti e fortune grandi, e non volendo
manifestare a niuno de li suoi el viagio che voleva fare
aciò non fosse smarito in pensare de fare tanto grande e
stupenda cosa, como fece con lo aiuto de Idio, li capitani
sui che menava in sua compagnia lo odiavano molto; non
so perché, se non perché era portoghese ed essi spagnoli.
Volendo dar fine a questo, che promise con iuramento a
lo imperatore don Carlo re de Spagna, aciò le nave ne le
fortune e ne la nocte non se separasseno una de l’altra,
ordenò questo ordine e lo dete a tuti li piloti e maestri
de le sue navi, lo qual era lui de note sempre voleva
andar inanzi de le altre navi ed elle seguitaseno la sua
con una facela grande di legno (che la chiamano farol),
qual sempre portava pendente de la popa de la sua nave.
Questo segnale era aciò de continuo lo seguitaseno. Se
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faceva uno altro fuoco con una lanterna o con uno pezo
de corda de iunco (che la chiaman strengue), di sparto
molto batuto ne l’acqua e poi secado al sole overo al fume
(ottimo per simil cosa), ge respondeseno aciò sapesse per
questo segnalle che tute venivano insieme. Se faceva dui
fuochi senza lo farolo, virasseno o voltassenno in altra
banda. Quando el vento non era buono e al preposito
per andar al nostro camino o quando voleva far poco
viagio, se faceva tre fuochi, tolesseno via la bonneta,
che è una parte de vela che se ataca da basso de la vela
magiore; quando fa bon tempo, per andar più, la se tol
via aciò sia più facile a racogliere la vela magiore quando
se amaina in pressa in uno tempo subito. Si faceva quatro
fochi, amainasseno tute le vele, facendo poi lui uno
segnale di fuoca. Como stava fermo, se faceva più fochi
overo tirava alcuna bombarda, fose segnale de tera o de
bassi. Poi faceva quatro fuochi quando voleva far alsare
le vele in alto aciò loro navegasseno seguendo sempre
per quela facela de poppa. Quando voleva far metere la
honeta faceva tre fuochi. Quando voleva voltarse in altra
parte faceva dui. Volendo poi sapere se tute le nave lo
seguitavano e venivano insieme, faceva uno perché cussí
ogni nave facesse e li respondese.
Ogni nocte se faceva tre guardie: la prima nel principio de la nocte, la seconda (che la chiamano modora) nel
meso, la terza nel fine. Tuta la gente de le nave se partiva
in tre coloneli: el primo era del capitanio overo del contramaistro mudandose ogni nocte, lo secondo del piloto
o nochiero, lo terzo del maestro. Pertanto lo capitanio
genneral comandò che tute le nave observaseno questi
segnali e guardie aciò se andase più seguri.
Luni a’ 10 de agusto, giorno de sancto Laurentio ne
l’anno ià deto, essendo la armata fornita de tute le cose
necessarie per mare e d’ogni sorte de gente (éramo ducento e trentasete omini), ne la matina le cinque nave se
feceno preste per partirse dal mole de Siviglia e, tiran-
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do molta artegliaria, deteno il trincheto al vento e venne abaso del fiume Betis, al presente detto Gadalcavir,
passando per uno luoco chiamato Gioan Dalfarax, che
era già grande abitatione de mori, per mezo lo qualle stava un ponte che pasava el dicto fiume per andare a Siviglia, dil che li è restato fin al presente nel fondo de l’acqua due colonne che, quando passano, le navi hanno bisogno de omini che sapianno ben lo loco delle colonne
perciò non desseno in esse. Ed è bisogno passarle quanto el fiume sta più cressente e anche per molti altri luochi del fiume che non ha tanto fondo che baste per passare le navi cargate e quelle non sianno tropo grandi. Poi
venirono ad un altro che se chiama Coria, passando per
molti altri villagii a longo del fiume, tanto che aionseno
ad uno castello del duca de Medina Cidonia, il qualle se
chiama San Lucar, che è porto per entrare nel Mare Occeanno, levante ponente con il Capo de Sanct Vincent,
che sta in 37 gradi de latitudine e longi dal deto porto 10
leghe. Da Siviglia fin a qui per lo fiume gli sonno 17 o 20
leghe.
Da lí alquanti giorni vene el capitanio genneralle con
li altri capitani per lo fiume abasso ne li bateli de le nave e ivi stesseno molti giorni per finire la armata de alcune cose li mancavano. E ogni dí andavamo in tera ad aldir messa ad uno loco che se chiama Nostra Dona de Baremeda, circa San Lúcar. E avanti la partita, lo capitanio genneral volse tucti se confessaseno e non consentite
ninguna dona venisse ne l’armata per meglior rispecto.
Marti a’ 20 de septembre nel medesimo anno ne partissemo da questo loco chiamato San Lúcar pigliando la
via de garbin e a 26 del dicto mese arivassemo a una isola de la Gran Canaria che se dise Tenerife, in 28 gradi de
latitudine, per pigliar carne, aca e legna. Stessemo ivi tre
giorni e mezo per fornire l’armata de le decte cose; poi
andassemo a uno porto de la medesma isola, deto Monte Rosso, per pegolla, tardando dui giorni. Saperà vostra
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illustrissima signoria che in queste isolle de la Gran Canaria g’è una infra le altre ne la qualle non si trova pur
una goza de acqua che nasca, si non nel mezodí descenderc una nebola dal ciello e circunda uno grande arbore
che è ne la dicta isola stilando da le sue foglie e rami molta acqua; e al piede del dicto arbore è adrissado in guiza
de fontana una fossa ove casca tuta la acqua de la qualle
li omini abitanti e animali, cosí domestici como salvatici,
ogni giorno de questa acqua e non de altra abondantissimamente si saturano.
Luni a’ tre d’octobre a mezanocte se dete le velle al
camino de l’austro ingolfandone nel Mare Occeanno,
passando fra Capo Verde e le sue isolle in 14 gradi e
mezo. E cussí molti giorni navigassimo per la costa de la
Ghinea overo Etiopia, ne la qualle è una montagna detta
Siera Leona, in 8 gradi de latitudine con venti contrari,
calme e pioge, senza venti fin a la lignea equinotialle,
piovendo sesanta giorni de continuo contra la opignone
de li antichi. Inanzi che aiungessemo a li legnea a 14
gradi, molte gropade de venti impetuosi e corenti de
acqua ne asaltaronno contra el viagio. Non tossendo
spontare inansi e aciò che le nave non periculasseno,
se calavano tute le velle e de questa sorte andavamo de
mare in traverso finché passava la grupada, perché veniva
molto furiosa. Quando pioveva non era vento; quando
faceva solle era bonnasa.
Venivano al bordo de le nave certi pessi grandi che se
chiamano tiburoni che hanno denti teribilli e, se trovano
omini nel mare, li mangiano. Pigliavamo molti con ami
de fero, benché non sonno bonni da mangiare se non li
picoli, e anche loro mal bonni.
In queste fortune molte volte ne aparse il Corpo Sancto, cioè sancto Elmo in lume. Fra le altre, in una obscurissima nocte dé tal splendore come è una facella ardente in cima de la magiore gabia; e sté circa due ore e più
con noi consolandone che piangevamo. Quanto questa
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bennedeta luce se volse partire da nui, tanto grandissimo
splendore dete ne li ochi nostri che stesemo più de mezo
carto de ora tuti ciechi, chiamando misericordia e veramente credendo essere morti. El mare subito se aquietò.
Viti molte sorte de ucelli, tra le qualle una che non
aveva culo. Un’altra, quando la femina vol far li ovi,
li fa sovra la schena del maschio e ivi se creanno; non
hanno piedi e sempre viveno nel mare; un’altra sorte
che viveno del sterco de li altri ucelli e non de altro,
sí como viti molte volte questo ucello, qual chiamamo
cagassela, corer dietro ad altri ucelli fin tanto quelli sonno
constrecti mandar fuora el sterco. Subito lo piglia e lassa
andare lo ucello. Ancora viti molti pessi che volavano e
molti altri congregadi insieme che parevano una isola.
Passato che avessemo la linea equinotiale, inverso el
meridianno perdessemo la tramontana e cosí se navegò
tra el mesoiorno e garbín fino in una tera che se dise la
Tera del Verzín, in 23 gradi 1/2 al polo antartico, che è
tera del Capo de Sancto Augustino, che sta in 8 gradi
al medesimo polo, dove pigliassemo gran refresco de
galine, batate, pigne molto dolci (fruto invero più gentil
che sia), carne de anta como vaca, canne dolci e altre
cose infinite che lascio per non essere prolixo. Per uno
amo da pescare o uno cortello davano 5 o 6 galinne, per
uno petine uno paro de occati, per uno spechio o una
forfice tanto pesce che averebe bastato a 10 omini, per
uno sonaglio o una stringa uno cesto de batate (queste
batate sonno al mangiare como castagne e longo como
napi) e per uno re de danari (che è una carta de iocare)
me deteno 6 galine e pensavano ancora averni inganati.
Intrassemo in questo porto il giorno de sancta Lucia e in
quel dí avessemo el solle per zenit e patissemo più caldo
quel giorno e li altri quando avevamo el solle per zenit
che quando éranio soto la linea equinotialle.
Questa Tera del Verzín è abondantissima e più grande
che Spagna, Fransa e Italia tute insieme. E’ del re de
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Portugalo. Li populi de questa tera non sonno cristiani
e non adorano cosa alguna; viveno secondo lo uzo de la
natura e viveno centovinticinque anni e cento e quaranta.
Vano nudi cossí omini como femine. Abitano in certe
case longhe che le chiamano boii e dormeno in rete de
bambaso, chiamate, amache, ligade ne le medeme case da
uno capo e da l’altro a legni grossi; fanno foco infra essi
in tera. In ognuno de questi boii stano cento omini con le
sue moglie e figlioli facendo gran romore. Hanno barche
d’uno solo carburo, ma schive, chiamate canoè, cavate
con menare de pietra (questi populi adoperano le pietre
como nui el fero per non avere); stanno trenta e quaranta
omini in una de queste. Vogano con palle como da forno
e cussí negri, nudi e tosi asimigliano quando vogano a
quelli de la Stige palude. Sono disposti, omini e femine,
como noi. Mangiano carne umana de li sui nemici non
per bonna, ma per una certa uzansa. Questa uzansa lo
uno con l’altro fu principio una vechia, la qualle aveva
solamente uno figliolo che fu amazato da li suoi nemici.
Per il che, passati alguni giorni, li sui pigliorono uno de la
compagnia che aveva morto suo figliolo e lo condusero
dove stava questa vechia. Ela, vedendo e ricordandose
del suo figliolo, como cagna rabiata li corse adosso e lo
mordete in una spala. Costui de lí a poco fugí ne li soi e
disse como lo volsero mangiare, mostrandoli el segnalle
de la spala. Quando questi pigliarono poi de quelli, li
mangiarono; e quelli de questi: si che per questo è venuta
tal uzansa. Non se mangiano subito, ma ognuno taglia
uno pezo e lo porta in casa metendolo al fumo. Poi,
ogni 8 iorni, taglia uno pezeto mangiandolo brutolado
con le altre cose per memoria de gli sui nemici. Questo
me disse Ioane Carvagio piloto che veniva con nui, el
qualle era stato in questa tera quatro anni. Questa gente
se depingeno maravigliosamente tuto il corpo e il volto
con foco in diverse amaniere, anco le done; sono tosi e
sensa barba perché se la pelanno; se vestono de vestiture
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de piume de papagalo con rode grande al cullo de le
penne magiore (cosa ridicula). Casi tuti li omini, eccepto
le femine e fanciuli, hano tre busi ne’ lavro de soto, ove
portano pietre rotonde e longhe uno dito e più e meno
di fora pendente. Non sonno del tuto negri, ma olivastri:
portano descoperte le parte vergoniose; il suo corpo è
senza peli e cossí omini qual donne sempre vano nudi.
Il suo re è chiamato cacich. Hanno infinitissimi papagali
e ne danno 8 o 10 per uno speco, e gati maimoni picoli
fati como leoni, ma ialli (cosa belissima). Fano panne
rotondo bianco de medola de arbore, non molto bonno,
che nasce fra l’arbore e la scorsa ed è como recotta.
Hanno porci che sopra la schena teneno il suo lombelico
e ucceli grandi che hanno el beco como un cuchiaro
sensa linga.
Ne davano per una acceta o cortello grande una o due
de le sue figliole giovane per schiave, ma sua mogliere
non darianno per cosa alguna. Elle non farebenno vergonia a’ suoi mariti per ogni gran cosa, come n’è stato referito. De giorno non consentono a li loro mariti, ma solamente di nocte. Esse lavorano e portano tuto el mangiare suo da li monti in zerli overo canestri sul capo o
atacati al capo, però essendo sempre seco sui mariti solamente con uno arco de verzín o de palma negra e uno
mazo de freze di canna; e questo fano perché sonno gelosi. Le femine portano sui figlioli tacadi al colo in una rete
de bambazo. Lascio altre cose per non essere più longo.
Se disse due volte messa in tera, peri il che questi stavano con tanta contrictione in genochioni alsando le mano giunte che era grandissimo piacere vederli. Edificarono una casa per nui, pensando dovessemo star seco algun tempo, e tagliarono molto verzin per darnela a la nostra partida. Era stato forse dui mesi non aveva piovesto
in questa terra e, quando aiongesemo al porto, per caso
piovete: per questo decevano noi vegnire dal cielo e ave-
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re menato nosco la piogia. Questi populi facilmente se
converterebenno a la fede de Iesú Cristo.
Imprima costoro pensavano li batelli fossero figlioli de
le nave e che elle li parturisseno quando se butavano fora
di nave in mare e, stando cosí al costado como è uzansa,
credevano le nave li nutrisseno. Una iovene bella vene un
dí ne la nave capitania ove io stava, non per altro se non
per trovare alguno recapito. Stando cossí e aspectando,
butò lo ochio supra la camera del maistro e vide uno
chiodo longo più de un dito, il che pigliando con grande
gentilessa e galantaria se lo ficò a parte a parte de li labri
della sua natura e subito bassa bassa se partite, vedendo
questo il capitanio generale e io.
Alguni vocabuli de questi populi del Verzín:
1| al miglio – maiz
2| alla farina – hui
3| a l’amo – pinda
4| al cortello – tacse
5| al petine – chigap
6| alla forfice – pirame
7| al sonaglio – itanmaraca
8| buono più che bono – tum maragathum
Stessemo 13 giorni in questa tera. Seguendo poi il
nostro camino, andasemo fin a 34 gradi e uno terso al
polo antartico, dove trovassemo in uno fiume de acqua
dolce omini che se chiamano Canibali e mangiano la
carne umana. Vene uno de la statura casi como uno
gigante nella nave capitania per asigurare li altri suoi.
Aveva una voce simille a uno toro. Intanto che questo
stete ne la nave, li altri portoronno via le sue robe dal
loco dove abitavano dentro nella terra per paura de
noi. Vedendo questo, saltassimo in terra cento omini
per avere linga e parlare seco overo per forsa pigliarne
alguno. Fugiteno e fugendo facevano tanto gran passo
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che noi saltando non potevamo avansare li sui passi. In
questo fiume stanno sette izolle; ne la maior de queste
se trova pietre preciose. Qui se chiama Capo de Sancta
Maria; già se pensava che de qui se pasasse al Mare de
Sur, cioè mezodí, né mai piú oltra fu discoperto. Adesso
non è capo si non fiume e ha larga la boca 17 leghe. Altre
volte in questo fiume fu mangiado da questi Canibali per
tropo fidarse uno capitanio spagnolo che se chiamava
Ioan de Solís e sesanta omini che andavano a discovrire
terra como nui.
Po’, seguendo el medesimo camino verso el polo antartico acosto de terra, venissemo a dare in due isolle
pienni de occati e lovi marini. Veramente non se poria
narare il gran numero de questi occati: in una ora cargassimo le cinque nave. Questi occati sonno negri e hanno tute le penne ad uno modo cossí nel corpo como nelle ale, non volano e vivono de pesse. Eranno tanti grassi che non bisognava pelarli ma scorticarli. Hanno lo beco como uno corno. Questi lovi marini sonno de diversi colori e grossi como viteli ed el capo como loro con le
orechie picole e tonde e denti grandi; non hanno gambe se non piedi tacade al corpo simille a le nostre mani, con onghie picolle e tra li diti hanno quella pele como le oche. Sarebenno ferocissime se potesseno corere;
nodano e viveno de pesce. Qui ebenno li nave grandissima fortuna, per il che ne aparseno molte volte li tre corpi
sancti, cioè sancto Elmo, sancto Nicolò e sancta Chiara,
e subito sessava la Fortuna.
Partendone de qui arivassemo fin a 49 gradi e mezo a
l’antartico. Essendo l’inverno, le navi introrono in uno
bon porto per invernarse. Quivi stesemo dui mesi senza
vedere personna alguna. Un di’ a l’improviso vedessemo
uno omo de statura de gigante che stava nudo ne la
riva del porto, balando, cantando e butandose polvere
sovra la testa. Il capitanio generale mandò uno de li
nostri a lui, aciò facesse li medesimi acti in segno de pace
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e, tati, lo conduce in una izolleta dinanzi al capitanio
generalle. Quando fo nella sua e nostra presentia, molto
se maravigliò e faceva segni con uno dito alzato credendo
venissemo dal ciello. Questo erra tanto grande che li
davamo a la cintura e ben disposto; aveva la faza grande
e depinta intorno de rosso e intorno li ochi de iallo
con dui cori depinti in mezo de le galte; li pochi capili
che aveva erano tinti de bianco; era vestito de pelle de
animale coside sotilmente insieme, el qualle animalle ha
el capo e orecchie grande como una mula, il colo e il
corpo como uno camello, le gambe di cervo e la coda de
cavalo e nitrisse como lui. Ge ne sonno asaisimi in questa
tera. Aveva a li piedi albarghe de le medesme pelle che
copreno li piedi a uzo de scarpe e nella mano uno arco
curto e grosso, la corda alquando più grossa di quelle
del lauto, fata de le budelle del medemo animale, con
uno mazo de frece de canna non molto longhe, impenade
como le nostre, per fero ponte de pietra de fuoca bianca
e negra, a modo de freze turchesche, facendole con
un’altra pietra. Lo capitanio genneralle li fece dare da
mangiare e bere e, fra le altre cose che li mostrete, li
mostrò uno spechio grande de azalle. Quando el vide sua
figura, grandamente se spaventò e saltò indrieto e butò
tre o quatro de li nostri omini per terra. Dapoi li dete
suonagli, uno spechio, uno petine e certi paternostri e
mandòlo in tera con 4 omini armati. Uno suo compagno,
che mai volse venire a le nave, quando el vite venire
costui con li nostri, corse dove stavano li altri. Se misseno
in fila tuti nudi. Arivando li nostri a essi, comensorono a
balare e cantare levando uno dito al ciello e mostrandoli
polvere bianca de radice de erba posta in pignate de tera
che la mangiasseno perché non avevano altra cosa. Li
nostri li feceno segno dovesseno vegnire a le navi e che li
aiuterebenno portare le sue robe, per il che questi omini
subito pigliorono solamenti li sui archi e le sue femine
cargate como asine portorono il tuto. Queste non sonno
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tanti grandi ma molto più grosse. Quando le vedessimo,
grandamente stessemo stupefati: hanno le tete longhe
mezo brazo, sonno depinte e vestite como loro mariti,
se non dinanzi a la natura hanno una pelessina che la
copre. Menavano quatro de questi animali picoli ligadi
con ligami a modo de caveza. Questa gente, quanto
voleno pigliare de questi animali, ligano uno de questi
picoli a uno spino; poi veneno li grandi per iocare con
li picoli ed essi, stando asconsi, li amazano con le freze.
Li nostri ne condussero a le navi dizidoto tra omini e
femine; e foreno repartiti a le due parte del porto aciò
pigliasseno de li dicti animali.
De lí a 6 iorni fu visto uno gigante depinto e vestito
de la medesima sorta de alguni che facevano legna. Aveva in mano uno arco e freze: acostandose a li nostri, prima se tocava el capo, el volto ed el corpo e il simile faceva a li nostri e dapoi levava li mani al ciello. Quando el
capitanio generale lo sepe, lo mandò a tore con lo schifo e menòlo in quella izola che era nel porto dove avevano facta una casa per li fabri e per meterli alcune cose de
le nave. Costui era più grande e meglio disposti de li altri e tanto tratabile e gratioso. Saltando balava e, quando
balava, ogni volta cazava li piedi soto terra uno palmo.
Stete molti giorni con nui, tanto che ’l batisassemo chiamandolo Ioanni. Cos<í> chiaro prenuntiava Iesú, Pater
Noster, Ave Maria e Iovani como nui, se non con voce
grocissima. Poi el capitanio generale li donò una camiza, una camisota di panno, braghesse di pano, un bonet,
un spechio, uno petine, sonagli e altre cose e mandòlo da
li sui: ge li andò molto alegro e contento. El giorno seguente costui portò uno de quelli animali grandi al capitanio generale, per il che li dete molte cose aciò ne portasse de li altri, ma più no ’l vedesemo. Pensasemo li suoi
lo avessero amazato per aver conversato con nui. Passati 15 giorni, vedessemo quatro de questi giganti senza le
sue arme perché le avevano ascosse in certi spini: poi li
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dui che pigliassemo ne le insegnaro. Ognuno era depinto diferentiatamente. Il capitanio generalle retenne dui,
li più ioveni e più disposti, con grande astutia per condurli in Spagna; se altramente avesse facto, facilmente
averebenno morto alguni de nui. L’astutia che uzò in retenerli fo questa: ge dete molti cortelli, forfice, spechi,
sonagli e cristalino. Avendo questi dui le mani pienne de
le dette cose, il capitanio generale fece portare dui para
de fori che se meteno a li piedi, mostrando de donnarli,
ed elli, per essere fero, li piacevano molto ma non sapevano como portarli e li rincresceva lassarli. Non avevano
ove metere quelle merce e bisognavali tenerli con le mani la pelle che avevano intorno. Li altri dui volevano aiutarli, ma il capitanio non volse. Vedendo che li rincresciva lassare quelli feri, li fece segno li meterebe a li piedi e che li portarebenno via. Essi risposero con la testa
de sí subito. Ad uno medesimo tempo li fece metere a
tucti dui e, quando l’inchiavavano con lo fero che traversa, dubitavano, ma, sigurandoli il capitanio, pur steteno
fermi. Avedendose poi de l’ingano, sbufavano como tori e chiamando fortemente Setebos che li aiutasse. Agli
altri dui, apena potesimo ligarli li mani, li mandassemo a
terra con nove omini aciò guidasseno li nostri dove stava la moglie de uno de quelli avevano presi, perché fortemente con segni la lamentava aciò ella intendessemo.
Andando, uno se desligò li mani e corse via con tanta velocità che li nostri lo perseno de vista. Andò dove stava
la sua brigata e non trovò uno de li soi che era rimasto
con le femine perché era andato a la caza. Subito lo andò a trovare e contòli tuto el fatto. L’altro tanto se sforsava per desligarse che li nostri lo ferirono un poco sopra la testa e sbufando conduce li nostri dove stavano le
loro donne. Gioan Cavagio piloto, capo de questi, non
volse tore la donna quella sera, ma dormite ivi perché se
faceva nocte. Li altri dui veneno e, vedendo costui ferito, se dubitavano e non disero niente alora, ma ne l’al-
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ba parloro a le donne; subito fugiteno via e corevano più
li picoli che li grandi, lassando tute le sue robe. Dui se
trasseno da parte tirando a li nostri frece; l’altro menava via quelli soi animaleti per cazare e, cosí combatendo,
uno de quelli passò la cossa con una freza a uno de li nostri, il qualle subito morí. Quando visteno questo, subito
corseno via. Li nostri avevano schiopeti e balestre e mai
non li poterono ferire. Quando questi combatevano, mai
stavano fermi, ma saltando de qua e de llà. Li nostri sepelirono lo morto e brasarono tute le robe che avevano
lassata. Certamente questi giganti coreno più veloci che
cavali e sonno gelosissimi de loro mogliere.
Quando questa gente se sente malle al stomaco, in loco de purgarse se meteno ne la golia dui palmi e più d’una friza e gomitano coloro verde mischiade con sangue
perché mangiano certi cardi. Quando li dole el capo se
danno nel fronte una tagiatura nel traverso e cussí ne le
brace, ne le gambe e in ciascuno loco del corpo, cavandosse molta sangue. Uno de quelli avivamo presi, che
stava ne la nostra nave, diceva como quel sangue non voleva stare ivi e per quello li dava passione. Hanno li capeli tagliati con la chierega a modo de’ frati, ma più longhi, con uno cordonne di bambaso intorno lo capo, nel
qualle ficano le freze quando vano a la caza. Libano el
suo membro dentro del corpo per lo grandissimo fredo.
Quando more uno de questi ge apareno 10 o dudice demoni balando molto alegri intorno del morto tucti depinti. Ne vedono uno sovra li altri asai più grande, gridando e facendo più gran festa. Cosí como el demonio
li apare depinto, de quella sorte se depingeno. Chiamano el demonio magior Setebos, a li altri Cheleulle. Ancora costui ne disse con segni avere visto li demoni con dui
corni in testa e peli longhi che coprivano li piedi getare
foco per la boca e per il culo. Il capitanio generale nominò questi populi Patagoni. Tutti se vestono de la pelle
de quello animale già deto; non hanno case se non traba-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
che de la pelle del medesimo animale e con quelli vano
mo di qua mo di là como fanno li cingani; viveno de carne cruda e de una radice dolce che la chiamano chapac.
Ognuno de li dui che pigliassemo mangiava una sporta
de biscoto e beveva in una fiata mezo sechio de acqua. E
mangiavano li sorgi senza scorticarli.
Stessemo in questo porto, el qual chiamassemo Porto
de Sancto Iulianno, circa de cinque mesi, dove acadetenno molte cose. Aciò che vostra illustrissima signoria ne
sapia algune, fu che, subito entrati nel porto, li capitani
de le altre quatro nave ordinorono uno tradimento per
amazare il capitanio genneralle; e questi erano el veadore de l’armata, che se chiamava Ioan de Cartagena, el tesorero Alovise de Mendosa, el contadore Antonio Coca
e Gaspar de Cazada † e, squartato el veador de li omini, fo amazato lo tesorero a pognalade, esendo descoperto lo tradimento. De lí alquanti giorni Gaspar de Casada
†, per voler fare uno altro tradimento, fo sbandito con
uno prete in questa tera Patagonia. El capitanio generale
non volse farlo amazare perché lo imperatore don Carlo
lo aveva facto capitanio.
Una nave chiamata Sancto Iacobo, per andare a descovrire la costa, se perse. Tucti li omini si salvarono per
miracolo non bagnandosse. Apenna dui de questi venirono a li navi e ne dissero el tuto, per il che el capitanio
generale ge mandò alcuni omini con sachi pienni de biscotto. Per dui mesi ne fu forsa portarli el vivere perché
ogni giorno trovavano qualche cosa de la nave. El viagio ad andare era longo 24 leghe (che sonno cento millia), la via asprissima e pienna de spini. Stavano 4 giorni
in viagio; le nocte dormivano in machioni; non trovavano acqua da bevere se non giacio, il che ne era grandisima fatiga. In questo porto era asaissime cape longhe, che
le chiamano missiglioni (avevano perle nel mezo), ma picole che non le potevano mangiare. Anco se trovava insenso, struzi, volpe, pàssare e conigli più picoli assai de li
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nostri. Qui, in cima del più alto monte, drizassemo una
croce in signo de questa terra che erra del re de Spagna
e chiamassemo questo monte Monte de Cristo.
Partendone de qui in 51 grado manco uno terso a l’antartico trovasemo uno fiome de acqua dolce nel qualle le
navi quasi se persenno per li venti teribili, ma Dio e li
corpi sancti le aiutarono. In questo fiume tardassemo
circa dui mesi per fornirne de acqua, legna e pesce longo
uno braso e più con squame: era molto bonno, ma poco. E inansi se partissemo de qui, el capitanio genneralle e tuti nui se confessasemo e comunicassemo como veri
cristianni.
Poi, andando a cinquantadui gradi al medesimo polo, trovassemo nel giorno delle Undicimillia Vergine uno
streto, el capo del qualle chiamamo Capo de le Undicimillia Vergine, per grandissimo miracolo. Questo streto
è longo cento e diece leghe (che sonno 440 millia) e largo
più e manco de meza lega, che va a referire in uno altro
mare chiamato Mar Pacifico, circundato da montagne altissime caricate de neve. Non li potevamo trovare fondo
si non con lo proise in tera in 25 e 30 braza e, se non era
el capitanio generale, non trovavamo questo strecto, perché tuti pensavamo e dicevamo como era serato tuto intorno. Ma il capitano generale, che sapeva de dover fare la sua navigatione per uno streto molto ascoso, como
vite ne la tesoraria del re de Portugal in una carta fata
per quello exelentissimo uomo Martin de Boemia, mandò due navi (Sancto Antonio e la Concepitone, che cossí le chiamavano) a vedere che era nel capo de la baia.
Noi con le altre due nave (la capitania se chiamava Trinitade, l’altra la Victoria) stessemo ad aspectarle dentro
ne la baia. La nocte ne sovravenne una grande fortuna
che durò fino a l’altro mezoiorno, per il che ne fu forza
levare l’ancore e lassiare andare de qua e de là per la baia. A le altre due navi li era traversia e non potevano cavalcare uno capo che faceva la baia quasi in fine per vo-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ler venire a noi; sí che li era forsa a dare in seco. Pur acostandose al fine de la baia, pensando de essere persi, viteno una boca picola che non pariva boca ma uno cantone e, como abandonadi, se cazaronno dentro, sí che per
forza discoperseno el streto e, vedendo che non era cantone ma uno streto de tera, andarono più inanzi e trovorono una baia. Poi andando più oltra, trovorono uno altro stretto e un’altra baia più grande che le due prime.
Molto alegri subito voltoron indrieto per dirlo al capitanio generale. Noi pensavamo fosseno perse, prima per la
fortuna grande, l’altra perché eranno passati dui giorni
e non aparevano; e anco per certi fumi che facevano dui
de li sui mandati in tera per avisarne. E cosí stando suspesi, vedemo venire due navi con le velle pienne e con le
bandere spiegate verso de noi. Essendo casi vicine, subito scaricorono molte bombarde †...† e gridi; poi tuti insieme, rengratiando Idio e la Vergine Maria, andasemo a
cercare più inanzi.
Essendo entrati in questo streto, trovassemo due boche: una al siroco, l’altra al garbino. Il capitanio generale mandò la nave Sancto Antonio insieme con la Concetione per vedere se quella boca che era verso siroco aveva exito nel Mare Pacifico. La nave Sancto Antonio non
volse aspectare la Conceptione perché voleva fugire per
retornare in Spagna, como fece. Il piloto de questa nave
se chiamava Stefan Gomes, lo qualle odiava molto lo capitanio gennerale perché, inanzi se facesse questa armata, costui era andato da lo imperatore per farse dare algune caravele per discovrire terra, ma per la venuta del
capitanio gennerale sua magestà non le li dete. Per questo se acordò con certi spagnolli e nella nocte seguente
pigliarono lo capitanio de la sua nave, el qualle er<a> ermano del capitanio generale e aveva nome Alvaro de Meschita, lo ferirono e lo messeno in feri e cosí lo condussero in Spagna. In questo nave era l’altro gigante che avevamo prezo, ma, quanto entrò nel caldo, morse. La Con-
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ceptione, per non potere seguire questa, la aspectava andando di qua e de là. Sancto Antonio a la nocte tornò
indrieto e se fugí per lo medesimo strecto. Nui éramo
andati a descovrire l’altra boca verso el garbín, trovando
pur ognora el medesimo streto. Arivassemo a uno fiume,
che ’l chiamassemo el Fiume delle Sardine, perché apresso de questo ne eranno molte, e cosí quivi tardassemo
quatro iorni per aspectare le due nave. In questi giorni
mandasemo uno batello ben fornito per descoprire el capo de l’altro mare. Venne in termine de tre iorni e dissero como avevano veduto el capo ed el mare ampio. El
capitanio gennerale lagrimò per allegreza e nominò quel
capo Capo Dezeado, perché l’avevano ià gran tempo desiderato. Tornasemo indrieto per sercar le due nave e
non trovassemo si non la Conceptione e, domandandoli dove era l’altra, rispose Ioan Seranno, che era capitanio e piloto de questa e anco de quella che se perse, che
non sapeva e che mai non l’aveva veduta dapoi che ella
entrò ne la boca. La cercassemo per tuto lo streto fin in
quella boca dove ella fugite. II capitanio gennerale mandò indrieto la nave Victoria fina al principio del streto a
vedera se ella era ivi e, non trovandola, metesse una bandera in cima de alguno monticello con una letera in una
pignatella ficada in tera apresso la bandiera, aciò vedendola trovasseno la letera e sapesseno lo viagio che facevamo, perché cussí era dato le ordine tra noi quando se
smarivamo le nave una de l’altra. Se misse due bandere
con le letere l’una a uno monticello ne la prima baia, l’altra in una izoleta nella terza baia dove eranno molti lovi
marini e ucceli grandi. Il capi<tanio> le l’espetò con l’altra nave presso el fiume Isleo e fece metere una croce in
una izoletta zirca de questo fiume, el qualle era tra alte
montagne caricate de neve e descende nel mare apresso
lo Fiume de le Sardine. Se non trovavamo questo streto, el capitanio generale aveva deliberato andare fino a
setantacinque gradi al polo antartico, dove in tal altura
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
al tempo de la estate non ge è nocte e, se glie n’è, è poca; e cossí ne l’inverno iorno. Aciò vostra illustrissima signoria il creda, quando éramo in questo strecto le nocte
eranno solamente de tre ore ed era nel mese d’octobre.
La terra de questo strecto a man manca era voltata al siroco ed era bassa. Chiamassemo a questo streto el Streto
Patagonico, in lo qual se trova ogni meza lega segurissimi
porti, acque exelentissime, legna si non di cedro, pesce,
sardine, missiglioni e appio (erba dolce, ma ge n’è anche
de amare; nasce atorno le fontane), del qualle mangiassimo assai iorni per non avere altro. Credo che non sia al
mondo el più bello e megliore streto como è questo. In
questo Mar Occeanno se vede una molto delectevol caza
de pesci: sonno tre sorte de pessi longhi uno brazo e più
che se chiamano doradi, albacore e bonniti, li qualli seguitano pesci che volanno, chiamatti colondrini, longhi uno
palmo e più e sonno obtimi al mangiare. Quando quelle
tre sorte trovano alguni de questi volanti, subito li volanti saltanno fora de l’acqua e volano finché hanno le alle
bagnate più de uno trar de balestra. Intanto che questi
volano, li altri corenno indrieto socta acqua a la sua ombra, non sonno cussí presto cascati ne l’acqua che questi
subito li piglianno e mangiano, cosa invero belissima de
vedere.
Vocabuli de li giganti paragoni:
1| Al capo – her
2| a l’ochio – other
3| al nazo – or
4| alle cillie – occhechel
5| a le palpebre – sechechiel
6| a li bussi del nazo – oresche
7| a la boca – xiam
8| a li labri – schiahame
9| a li denti – phor
10| a la linga – schial
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
11| al mento – secheu
12| a li pelli – archir
13| al volto – cogechel
14| a la golo – ohumez
15| a la copa – schialeschin
16| a le spalle – pelles
17| al gomedo – cotel
18| a la man – chene
19| a la palma de la man – canneghin
20| al dito – cori
21| a le orechie – sane
22| soto el braco – salischin
23| a la mamela – othen
24| al peto – ochij
25| al corpo – gechel
26| al membro – sachet
27| a li testiculi – sacaneos
28| a la natura de le donne – isse
29| a l’uzar con esse – io hoi
30| a le cosse – chiaue
31| al genochio – tepin
32| al culo – schiaguen
33| a le culate – hoij
34| al brazo – mar
35| al polso – holion
36| a le gambe – coss
37| al piede – thee
38| al calcagno – tere
39| a la cavechie del piè – perchi
40| a la sola del piè – caotscheni
41| a le onghie – colim
42| al core – thol
43| al gratare – gechare
44| a l’omo sguerco – calischen
45| al giovane – calemi
46| a l’acqua – holi
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47| al fuoco – ghialeme
48| al fumo – giaiche
49| al no – chen
50| al sí – rey
51| a l’oro – pelpeli
52| a le petre lazure – secheg
53| al solle – calexchen
54| alle stelle – settere
54| al mare – aro
56| al vento – oni
57| a la fortuna – ohone
58| al pesse – hoi
50| al mangiare – mechiere
60| a la scutella – elo
61| a la pignata – aschanie
62| al demandare – ghelhe
63| vien qui – hon si
64| al gardar – choime
65| a l’andar – reime
66| al combater – oamaghce
67| a le freze – sethe
68| al cane – holl
69| al lupo – ani
70| a l’andare longi – schien
71| a la guida – anti
72| a la neve – then
73| al covrire – hiam
74| al struzo ucelo – hoihoi
75| a li sui ovi – iam
76| a la polvere d’erba che mangiano – capae
77| a l’odorare – os
78| al papagalo – cheche
79| a la gabiota ucelo – cleo
80| al misiglion – siameni
81| al panno rosso – terechai
82| al bonet – aicchel
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
83| al colore negro – ainel
84| al rosso – taiche
85| al gialo – peperi
86| al cocinare – yrocoles
87| a la cintura – cathechin
88| a l’oca – cache
89| al diavolo grande – Setebos
90| a li picoli – Cheleule
Tucti questi vocabuli se prenuntiano in gorga perché
cussí li prenuntiavano loro.
Me disse questi vocabuli quel gigante che avevamo
nella nave perché, domandandome capae (cioè pane,
ché cusí chiamano quela radice che uzanno loro per
panne), e oli (cioè acqua), quando el me vite scrivere
questi nomi, domandandoli poi de li altri con la penna
in mano, me intendeva. Una volta feci la croce e la
basai mostrandoglila; subito gridò: «Setebos!»; e fecemi
segno, se più facessi la croce, me intrarebe nel corpo
e farebe crepare. Quando questo gigante stava male,
domandò la croce abrassandola e basandola molto. Se
volse far cristiano inanzi la sua morte; el chiamasemo
Paulo. Questa gente, quando voleno far fuoco, fregano
uno legno pontivo con uno altro infine che fanno lo
fuoco in una certa medola d’arbore ch’è fra questi dui
legni.
Mercore a’ 28 de novembre 1520 ne disbucasemo da
questo strecto ingolfandone nel Mare Pacifico. Stessemo tre mesi e vinti iorni sensa pigliare refrigerio de cosa alguna. Mangiavamo biscoto non più biscoto ma polvere, de quello con vermi a pugnate, perché essi avevano
mangiato il buono: puzava grandamente de orina de sorzi; e bevevamo acqua ialla già putrifata per molti giorni
e mangiavamo certe pelle de bove che erano sopra l’antena magiore, aciò che l’antena non rompesse la sarzia,
durissime per il solle, piogia e vento. Le lasciavamo per
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
quatro o cinque giorni nel mare e poi le metevamo uno
poco sopra le braze e cosí le mangiavamo; e ancora assai volte segature de ase. Li sorgi se vendevano mezo ducato lo uno e se pur ne avessemo potuto avere! Ma sovra tute le altre sciagure questa era la pegiore: cressivano le gengive ad alguni sopra li denti cosí de soto como
de sovra, che per modo alguno non potevano mangiare
e cossí morivano. Per questa infirmità morirono 19 omini e il gigante con uno indio de la Terra del Verzín; vinticinque o trenta omini se infirmarono, chi ne li brazi, ne
li gambe o in altro loco, sí che pochi restarono sani. Per
la gratia de Dio, io non ebi algunna infirmitade. In questi tre mesi e vinti giorni andasemo circa de quatromillia
leghe in un golfo per questo Mar Pacifico. Invero è benne pacifico perché in questo tempo non avessemo fortuna sensa vedere tera alcuna si non due isolote desabitate,
nelle qual non trovassemo altro se non ucelli e arbori. La
chiamassemo Isolle Infortunate, sono longi l’una da l’altra ducento leghe. Non trovavamo fondo apresso de loro se non vedevamo molti tiburoni. La prima izolla sta in
quindisi gradi de latitudine a l’australle e l’altra in nove.
Ogni iorno facevamo cinquanta, sesanta e setanta leghe
a la catena o a popa e, se Idio e se la Sua Madre bennedeta non ne dava cosí bon tempo, morivamo tucti de fame in questo mare grandissimo. Credo certamente non
si farà mai più tal viagio.
Quando fussimi usciti da questo strecto, se avessemo
navigato sempre al ponente, averessemo dato una volta
al mondo senza trovare terra niuna se non el Capo de
la Vergine, che è capo de questo strecto al Mare Occeano levante ponente con lo Capo Deseado del Mare Pacifico, li qualli dui capi stanno in cinquantadui gradi di
latitudine puntualmente al polo antartico.
Il polo antartico non è cosi stellato como lo artico. Se
vede molto stelle picolle congregate insieme che fanno
in guiza de due nebulle poco separate l’una de l’altra
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
e uno poco ofusche, in mezo de le qualle stanno due
stelle non molto grandi né molto relucenti e poco se
moveno: queste due stelle sonno il polo antartico. La
calamita nostra, zavariando uno poco, sempre tirava al
suo polo artico; niente de meno nonaveva tanta forza
como de la banda sua e però, quando éramoin questo
golfo, il capitanio generalle domandò a tucti li piloti:
«Andando sempre a la vela, per qual camino navigando
pontasemo ne le carte?». Risposero tucti: «Per la sua via
puntalmente datta». Li rispose che pontavano falso così
como era e che conveniva agiutare la guchia del navegare
perché non receveva tanta forza como da la parte sua.
Quando eramo in mezo di questo golfo vedessemo una
croce de cinque stelle lucidissime drito al ponente; e
suono iustissime l’una con l’altra.
In questi giorni navigassemo fra il ponente e il maestralle e a la quarta del maestralle finché aiungessemo a
la linea equinotialle, longi da la linea de la ripartitione
cento e vintidui gradi. La linea de la ripartitione è trenta gradi longi dal meridionale e ’l meridionale è tre gradi al levante longi de Capo Verde. In questo camino pasassemo poco longi da due izolle richisime, una in vinti gradi de latitudine al polo antartico, che se chiama Cipangu, l’altra in quindici gradi chiamata Sumbdit Pradit.
Passata la linea equinotialle, navigassemo tra ponente e
maistralle e a la carta del ponente verso el maestrale poi;
duzente leghe al ponente mudando el viagio a la quarta
inverso garbín fin in tredici gradi al polo artico per apropinquarse piú a la tcra del Capo de Gaticara, il qual capo, con perdon de li cosmografi perché non lo visteno,
non si trova dove loro il pensavano, ma al setentrione in
dodeci gradi, poco piú o manco.
Circa de setanta leghe a la detta via in dodeci gradi di
latitudine e 146 de longitudine, mercore a’ 6 de marso
discopressemo una isola al maistrale picola e due altre
al garbino. Una era più alta e più granda de l’altre
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
due. Il capitanio generale voleva firmarse nella grattde
per pigliare qualche refrigerio, ma non puoté perché la
gente de questa izolla entravano ne le navi e robavano
chi una cosa chi l’altra, talmente che non potevamo
gardarsi. Volevano calare le vele aciò andasemo in tera.
Ne robarono lo schifo che estava ligato a la popa de
la nave capitania con grandissima presteza, per il che
corozato el capitanio generalle andò in tera con quaranta
uomini armati e bruzarono da quaranta o cinquanta caze
con molti barchiti e amazarono sette uomini e reebe
lo schifo; subito ne partisemo seguendo lo medesimo
camino. Inanzi che dismontasemo in tera, alguni nostri
infermi ne pregorono, se amazavamo uomo o donna, li
portasemo li interiori, perché subito sarebenno sani.
Quando ferivamo alguni de questi con li veretuni che
li passavano li fianchi da l’una banda a l’altra, tiravano il
veretone mo di qua mo di là, gardandolo; poi lo tiravano
fuora maravigliandose molto e cussí morivano; e altri
che erano feriti nel peto facevano el simille: ne mosseno
a gran compasione. Costoro, vedendone partire, ne
seguitorono con piú de cento barchiti piú de una lega. Se
acostavano a le navi mostrandone pesce con simulatione
de darnello, ma traevano saxi e poi fugivano. Andando
le nave con velle piene, pasavano fra loro e li batelli con
quelle sui barcheti molto destrissimi. Vedesemo algune
femine in li barcheti gridare e scapigliarsi, credo per
amore de li suoi morti.
Ognuno de questi vive secondo la sua volontà; non
hanno signori. Vano nudi e alguni barbati con li capeli
negri fino a la cinta ingropati; portano capeleti de palma
como li albanezi; sonno grandi como nui e ben disposti.
Non adorano niente. Sonno olivastri, ma nascono bianchi; hanno li denti rossi e negri perché la reputano belissima cosa. Le femine vano nude se non che dinanzi a la
sua natura portano una scorsa streta sotille como la carta, che nasce fra l’arbore e la scorza de la palma. Sonno
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
belle, dilicate e bianche più che li uomini, con li capilli
sparsi e longhi, negrissimi, fino in tera. Queste non lavorano, ma stanno in casa tessendo store, casse de palma
e altre cose necessarie a casa sua. Mangiano cochi, batate, ucceli, fighi longhi uno palmo, canne dolci e pesci volatori con altre cose. Se ongeno el corpo e li capili con
oleo de coco e de giongioli. Le sue case tute sonno facte di legno, coperte de taule con foglie de figaro de sopra
longhe due braza, con solari e con fenestre; li camare e li
lecti tucti forniti di store belissime de palma. Dormeno
sovra paglia di palma molto mole e menuta. Non hanno arme se non certe aste con uno osso pontivo de pesce
ne la cima. Questa gente è povera, ma ingeniosa e molto ladra, per questo chiamassemo queste tre isole le Isole de li Ladroni. El suo spaso è andare con le donne per
mare con quelle sue barchete[...] sono como le fucelere, ma più strecti, alguni negri, bianchi e altri rossi; hanno da l’altra parte de la vella uno legno grosso pontivo
ne le cime con pali atraversadi, che ’l sustentano ne l’acqua per andare più seguri a la vela. La vela è di foglie de
palma cosite insieme e facta a modo de latina. Per timone hanno certe pale como da forno con uno legno in cima. Fanno de la popa prova e de la prova popa e sonno
como delfini nel saltar a l’acqua de onda in onda. Questi ladroni pensavano, a li segni che facevano, non fusero
altri omini al mondo se non loro.
Sabato a’ sedize de marso 1521 dessemo ne la aurora
sovra una tera alta, longi trecento leghe delle Isolle de li
Latroni, la qual è isola e se chiama Zamal. EI capitanio
generale nel giorno seguente volse dismontare in un’altra
isola desabitata, per essere più seguro, che era di dietro
de questa, per pigliare acqua e qualche diporto. Fece
fare due tende in terra per li infermi e feceli amazare una
porca.
Luni a’ 18 de marso vedessemo dapoi disnare venire
verso de nui una barca con nove omini, per il che lo ca-
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
pitanio generale comandò che niuno si movesse né dicesse parolla alguna senza sua lisentia. Quando arivorono questi in terra, subito lo suo principalle andò al capitanio generale mostrandose alegro per la nostra venuta.
Restarono cinque de questi più ornati con nui: li altri andorono a levare alguni altri che pescavano e cussí venirono tucti. Vedendo lo capitanio generale che questi erano
omini con ragionne, li fece dare da bere e da mangiare e
li donnò bonneti rossi, spechi, petini, sonagli, avorio, bocassini e altre cose. Quando vistenno la cortesia del capitanio li presentorono pesci, uno vaso de vino de palma (che lo chiamano uraca), fighi più longhi d’un palmo
e altri più picoli, più saporiti, e dui cochi. Alora non avevano altro; ne fecero segni con la mano che infino a quatro giorni porterebenno umay (che è riso), cochi e molta
altra victuvaglia.
Li cochi sonno fructi de la palma. Cosí como nui
avemo il panne, il vino, lo oleo e l’acetto, cosí hanno
questi populi ogni cosa da questi arbori. Hanno el
vino in questo modo: forano la dicta palma in cima,
nel coresino deto palmito, dal qualle stilla uno licore
como è mosto, bianco, dolce ma un poco bruscheto, in
canne grosse come la gamba e più. L’ atacano a l’arbore
la sera per la matina e la matina per la sera. Questa
palma fa uno fructo, il qualle è lo coco; questo coco
è grande como il capo e più e meno. La sua prima
scorsa è verde e grossa più de dui diti, ne la qualle
trovano certi filitti, che fanno le corde che liganno le
sue barche. Soto di questa ne è una dura e molto più
grossa di quella de la noce; questa la brusano e fano
polvere bonna per loro. Soto di questa è una medola
bianca grossa come un dito, la qual mangiano fresca con
la carne e pesse como nui lo panne, ed è de quel sapore
che è la mandola; chi la secasse se farebe panne. In
mezo di questa medola è una acqua chiara, dolce e molto
cordialle e, quando questa acqua sta un poco acolta, se
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
congella e diventa como uno pomo. Quando voleno
fare oglio, piglianno questo coco e lassano putrefare
quella medola con l’acqua e poi la fanno buglire e vene
oleo como butiro. Quando voleno far aceto, lasanno
putrefare l’acqua solamente; poi la meteno al solle ed
è aceto como de vino bianco. Si pò fare anco latte,
como nui facevamo: gratavamo questa medola, poi la
mischiavaino con l’acqua sua medesima. strucandola in
uno panno e cosíera late como di capra. Queste palme
sonno como palme de li datali, ma non cosí nodose, se
non lisce. Una famiglia de 10 personne con dui de queste
se manteneno fruando octo giorni l’una e octo giorni
la altra per lo vino, perché, se altramenti facesseno, se
secarebenno; e durano cento anni.
Grande familliaritade pigliarono con nui questi popoli; ne discero molte cose como le chiamavano e li nomi
de algune isole che se vedevano de qui. La sua se chiama
Zuluan, la qualle non è tropo grande. Pigliascemo gran
piacere con questi perché eranno asai piacevoli e conversabili. Il capitanio generale, per farli più onnore, li menò
a la sua nave e li mostrò tuta la sua mercadansia: garofoli, cannella, pevere, gengero, nosce moscade, matia, oro
e tute le cose che eranno nella nave. Fece descaricare algune bombarde: ebero gran paura e volsero saltar fuora de la nave. Ne fecero segni che lí dove nui andavamo
nascessevano le cose ià dete. Quando si volsero partire,
pigliarono lisentia cotì molta gratia e gentileza, dicendo
che tornarebeno segondo la sua promessa. La isola dove éramo se chiama Humunu, ma noi, per trovarli due
fontana de acqua chiarissima, la chiamassemo l’Acquada
da li Buoni Segnalli, perché fu il primo segno de oro che
trovassemo in questa parte. Quivi si trova gran cantitade de coralli bianco e arbori grandi, che fanno fructi poco menori de la mandola e sonno como li pignoli, e anco molte palme, algune bonne e algune altre cative. In
questo loco sonno molte isole, per il che lo chiamassemo
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
l’Arcipelago de San Lazaro, descovrendolo nella sua dominica, il quale sta in 10 gradi de latitudine al polo artico e cento e sesantauno di longitudine della linea de la
repartitione.
Vennere a’ 22 de marzo venirono in mezodí quelli
omini, secondo ne avevano promesso, in due barche con
cochi, naransi dolci, uno vaso de vino de palma e uno
galo per dimostrare che in queste parte eranno galine.
Se mostrarono molto alegri verso de noi: comprassemo
tute quelle sue cose. Il suo signor era vechio e depinto,
portava due schione de oro a le orechie; li altri molte
maniglie de oro a li brazi con fazoli intorno lo capo.
Stesemo quivi octo giorni, ne li qualli el nostro capitanio
andava ogni dí in terra a visitare li infirmi e ogni matina
li dava con le sue mani acqua del coco, che molto li
confortava. Di dietro de questa isola stanno omini che
hanno tanto grandi li picheti de l’orechie che portanno
le braci ficati in loro. Questi popoli sonno cafri (cioè
gentili); vanno nudi con tella de scorsa d’arbore intorno
le sue vergonie, se non alguni principali con telle de
bambazo lavorate ne li capi con seda a guchia. Sonno
olivastri, grassi, depinti e se ongeno con olio de coco e
de giongioli per lo solle e per il vento; hanno li capili
negrissimi fina a la cinta e hanno daghe, cortelli, lanse
fornite de oro, targoni, facine, arponi e rete da pescare
come rizali. Le sue barche sonno como le nostre.
Nel luni sancto a’ vinticinque de marso, giorno de la
Nostra Donna, passato mezodí, essendo de ora in ora per
levarsi, andai a bordo de la nave per pescare e, metendo
li piedi sopra una antena per descendere ne la mesa de
garnitione, me slizegarono li piedi perché era piovesto e
cosí cascai nel mare che ninguno me viste ed, essendo
quasi sumerso, me venne ne la mano sinistra la scota de
la vella magiore che era ascosa ne l’acqua. Me teni forte
e comensai a gridare tanto che fui aiutato con lo batelo.
Non credo ià per mei meriti, ma per la misericordia di
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
quella fonte de pietà fosse aiutato. Nel medesimo iorno
pigliassemo tra il ponente e garbín infra quatro isolle,
cioè Cenalo, Hiunanghan, Ibusson e Abarien.
Iove a’ vintiocto de marzo, per avere visto la nocte passata fuoco in una isola, ne la matina surgissemo apresso
de questa. Vedesemo una barca picola (che la chiamano
boloto) con octo omini de dentro apropincarse ne la nave
capitanea. Uno schiavo del capitatnio generale, che era
de Zamatra, già chiamata Traprobana, li parlò, il qualle subito inteseno. Venero nel bordo de la nave non volendo entrare dentro, ma stavano uno poco discosti. Vedendo el capitanio che non volevano fidarsi de nui, li butò un bonnet rosso e altre cose ligate supra un pezo de
taula. La piglioronno molto alegri e subito se partirono
per avisare el suo re. De lí circa due ore vedessemo vegnire dui balanghai (che sonno barche grande e cussí le
chiamano) pienni de uomini. Nel magiore era lo suo re,
sedendo soto uno coperto de store. Quando el giunse
apresso la capitania, il schiavo li parlò. Il re lo intese perché in queste parte li re sanno più linguagii che li altri,
comandò che alguni soi intrasseno ne le nave. Lui sempre stete nel suo balanghai poco longi de la nave, finché
li suoi tornoronno e, subito tornati, se partí. Il capitanio
generalle fece grande onnore a quelli che vcnirono ne la
nave e donnòli algune cose, per il che il re, inanzi la sua
partita, volse donnare al capitanio una bara de oro grande e una sporta piena de gengero, ma lui, rengratiandol
molto, non volce acceptarle. Nel tardi andasemo con le
nave aprcsso la abitatione del re.
Il giorno seguente, che era el venerdí sancto, el capitanio generale mandò lo schiavo che era lo interprete nostro in tera in uno batello a dire al re, se aveva alguna cosa da mangiare, la facesse portare in nave, ché restariano bene satisfati da noi, e como amici e non como nimici
éramo venuti a la sua isola. El re venne con sei overo octo omini nel medesimo batello ed entrò ne la nave abra-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
zandosi col capitanio generale e donòli tre vazi di porcelanna coperti de foglie pienne de rizo crudo e due orade
molto grande con altre cose. El capitanio dete al re una
veste de panno rosso e giallo fato a la torchesca e uno
bonnet rosso fino, a li altri sui a chi cortelli e a chi spechi. Poi se fece dare la colatione e per il schiavo li fece dire che voleva essere cun lui casi casi, cioè fratello. Rispose che cossí voleva essere verso de lui. Dapoi lo capitanio ge mostrò panno de diversi colori, tela, corali e molta altra mercantia e tuta l’artigliaria, facendola descargare: alguni molto si spaventorno. Poi fece armare uno orno como uno omo d’arme e li messe atorno tre con spade e pugnali che li davano per tuto il corpo, per la qual
cosa el re restò casi fora di sé. Li disse per il schiavo che
uno de questi armati valeva per cento de li suoi. Respose
che era cussí e che in ogni nave ne menava duzento che
se armavano de quella sorte. Li mostrò corazine, spade e
rodelle e fece fare a uno una levata. Poi lo condusse supra la tolda de la nave, che è in cima de la popa, e fece
portare la sua carta de navigare e la bussola e li disse per
l’interprete como trovò lo streto per vegnire a lui e quante lune sono stati senza vedere terra: se maravigliò. In ultimo li disce che voleva, se li piacesse, mandare seco dui
omini aciò li mostrasse algune de le sue cose. Respose
che era contento; io ge andai con uno altro.
Quando fui in tera, lo re levò le mani al ciello e poi se
voltà contra nui dui; facessemo lo simille verso de lui, cosí tuti li altri fecero. Il re me pigliò per la mano; uno suo
principale piglio l’altro compagno e cussí ne menorono
soto uno coperto de cane dove era uno balanghai longo
octanta palmi de li mei, simille a una fusta. Ne sedessemo sopra la popa de questo, sempre parlando con segni. Li suoi ne stavano in piede atorno atorno con spade,
daghe, lanze e targoni. Fece portare uno piato de carne
de porco con uno vazo grande pienno de vino. Bevevamo ad ogni boconne una tassa de vino. Lo vino che li
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
avansava qualche volta, benché fosceno poche, se meteva in uno vazo da per si. La sua tasa sempre stava coperta, ninguno altro li beveva se non il re e io. Inanzi che lo
re pigliasse la tassa per bere, alzava li mani giunte al cielo e verso de nui; e quando voleva bere extendeva lo pugno de la mano sinistra verso di me (prima pensava me
volesse dare un pogno) e poi beveva; faceva cosí io verso
il re. Questi segni fanno tuti l’uno verso de l’altro quando beveno. Con queste cerimonie e altri segni de amisitia merendasemo. Mangiai nel vennere sancto carne per
non potere fare altro. Inanzi che venisse l’oro de cenare,
donai molte cose al re che aveva portati. Scrisse asai cosse como le chiamavano. Quanto lo re e li altri me vistenno scrivere e li diceva quelle sue parolle, tutti restorono
atoniti. In questo mezo venne l’ora de cenare: portoronno dui plati grandi de porcelanna, uno pienno de rizo e
l’altro de carne de porco con suo brodo. Cenassemo con
li medesimi segni e cerimonie: poi andassemo al palatio
del re, el qualle era facto como una teza da fienno, coperto de foglie de figaro e de palma. Era edificato sovra legni grossi, alti de terra che ’l se conviene andare con scalle. Ne fece sedere sopra una stora de canne, tenendo le
gambe atracte como li sarti. De li a meza ora fo portato
uno piato de pesce brustolato in pezi e gengero per alora colto e vino. El figliolo magiore del re, ch’era il principe, vene dove éramo; il re li disse che sedesse apresso
noi e cossí sedete. Fu portato dui piati, uno de pesce con
lo suo brodo e l’altro de rizo aciò che mangiassemo col
principe. Il nostro compagno, per tanto bere e mangiare,
diventò briaco. Uzano per lume goma de arbore (che la
chiamano anime) voltata in foglie de palma o de figaro.
El re ne fece segno che ’l voleva andare a dormire; lassò con nui lo principe, con qualle dormisemo sopra una
stora de canne con cossini de foglie. Venuto lo giorno, el
re venne e me pigliò per la mano; cossí andassemo dove
avevamo cenato per fare colatione, ma il batelle ne ven-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ne a levare. Inanzi la partita, el re molto alegro me basò le mani e noi le sue. Venne con nui uno suo fratello,
re d’un’altra isola, con tre omini. Lo capitanio generale
lo retenete a disnare con nui e donòli molte cose. Nella isola de questo re che condussi a le navi, se trova pezi
de oro grandi como noce e ovi crivelando la terra. Tutti li vaso de questo re sonno de oro e anche alguna parte dela casa sua (cosí ne referite lo medesimo re). Segondo lo suo costume era molto in ordine e lo più bello uomo che vedessemo fra questi populi. Aveva li capili negrissimi fin a le spalle con uno velo de seta sopra lo capo
e due schione grande de oro tacatte a le orechie; portava
uno panno de bombazo tuto lavorato de seta che copriva
da la cinta fino al ginochio; al lato una daga con lo manico alcanto longo tuto de oro; il fodro era de legno lavorato; in ogni dente aveva tre machie d’oro che parevano
fosseno ligati con oro; oleva de storac e belgioví; era olivastro e tuto depinto. Questa isola se chiama Butuan e
Calagan. Quando questi re se voleno vedere, veneno tuti dui a la caza in questa isola dove éramo. El re primo se
chiama raià Colambu, il segundo raià Siain.
Domenica ultimo de marso, giorno de Pasca, ne la
matina per tempo el capitanio generale mandò il prete
con alcanti a parechiare per dovere dire messa, con lo
interprete a dire al re che non volevamo discendere in
terra per disnar seco ma per aldire messa; per il che lo
re ne mandò dui porchi morti. Quando fu ora de messa,
andassemo in terra forse cinquanta omini non armati la
persona ma con le altre nostre arme e meglio vestiti che
potessemo. Inanzi che arivassemo a la riva con li bateli,
forenno scaricati sei pezi de bombarde in segno de pace.
Saltassemo in terra: li dui re abrassarono lo capitanio
generale e lo messeno in mezo de loro. Andassemo in
ordinanza fino al loco consacrato, non molto longi de la
riva. Inanzi se comensasse la messa, il capitanio bagnò
tuto el corpo de li dui re con acqua moscada. Se oferse
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
a la messa; li re andorono a bassiare la croce como nui,
ma non oferseno. Quando se levava lo corpo de nostro
Signor stavano in genochioni e adoravanlo con le mane
gionte. Le nave tirarono tuta la artigliaria in uno tempo
quando se levò lo corpo de Cristo, dandoge lo segno
de la tera con li schiopeti. Finita la messa, alquanti de
li nostri se comunicorono. Lo capitanio generale fece
fare uno ballo con le spade, de che le re ebenno gran
piacere. Poi fece portare una croce con li chiodi e la
coronna, a la qual subito fecero reverentia. Li disse
per lo interprete como questo era il vessilo datoli da lo
imperatore suo signore aciò in ogni parte dove andasse
metesse questo suo segnalle e che voleva meterlo ivi per
sua utilità, perché, se venesseno algune nave de le nostre,
saperianno con questa croce noi essere stati in questo
loco e non farebenno despiacere a loro né a le cose soe
e, se pigliasseno alguno de li soi, subito mostrandoli
questo segnalle, le lasserianno andare; e che conveniva
metere questa croce in cima del più alto monte che fosse
aciò, vedendola, ogni matina la adorasseno e, se questo
facevano, né troni né fulmini ni tempesta li nocerebe
in cosa alguna. Lo ringratiorno molto e dissero che
farebenno ogni cosa volentieri. Anco li fece dire se
eranno mori o gentili o in che credevano; risposero che
non adoravano altro si non alsavano le mani giunte e la
faza al ciello e che chiamavano lo suo dio Abba, per la
qual cosa lo capitanio ebe grande alegressa. Vedendo
questo, el primo re levò le mani al ciello e disse che
voria, se fosse possibille, farli vedere il suo amore verso
de lui. Lo interprete ge disse per qual cagione aveva
quivi cosí poco da mangiare; resposc che non abitava in
questo loco se non quando veniva a la caza e a vedere
lo suo fratello, ma stava in una altra isola dove aveva
tuta la sua famiglia. Li fece dire, se aveva inimici, lo
dicesse, perciò andarebe con queste nave a destringerli
e faria lo obedirianno. Lo rengratiò e disse che aveva
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
benne due isolle nemiche, ma che alora non era tempo de
andarvi. Lo capitanio li disse, se Dio facesse che un’altra
fiatta ritornasce in queste parte, conduria tanta gente
che farebe per forsa eserli sugette e che voleva andare
a disnare e dapoi tornarebe per far pore la croce in
cima del monte; risposero eranno contenti. Facendosse
un bataglione con scaricare li schiopeti e abrasandosi lo
capitanio con li dui re, pigliassemo lisentia.
Dopo disnare tornassemo tucti in gioponne e andassemo insieme con li dui re nel mezodí in cima del più alto monte che fosse. Quando arivassemo in cima, lo capitanio generalle li disse como li era caro avere sudato per
loro perché, esendo ivi la croce, non poteva si non grandamente iovarli e domandòli qual porto era migliore per
victuvaglie. Dicessero che ne erano tre, cioè Ceylon, Zuhu e Calaghann, ma che Zubu era più grande e de meglior trafico e se profersenno di darni piloti che ne insegnarebenno il viagio. Lo capitanio generale li rengratiò e deliberò de andarli perché cussí voleva la sua infelice sortè. Posta la cruce, ognuno dice uno Pater Noster
e una Ave Maria adorandola; cosí li re fecenno. Poi descendessemo per li sui campi lavoratti e andassemo dove era lo balanghai. Li re feceno portare alquanti cochi
aciò se rinfrescassimo. Lo capitanio li domandò li piloti perché la matina seguente voleva partirsi e che li tratarebe como sé medesimo, lasandoli uno de li nostri per
ostagio. Risposero che ognora li volesse eranno al suo
comando, ma ne la nocte il primo re se mudò d’opignone. La matina, quando éramo per partirsi, el re mandò a
dire al capitanio generalle che per amore suo aspectasse
dui giorni finché facesse coglire el rizo e altri sui menuti, pregandolo mandasse alguni omini per aiutareli aciò
più presto se spazasse, e che lui medesimo voleva essere
lo nostro piloto. Lo capitanio mandòli alguni omini, ma
li re tanto mangiorono e beveteno che dormitero tuto il
giorno: alguni, per escusarli, dicero che avevano uno po-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
co de male. Per quel giorno li nostri non fecero niente,
ma ne li altri dui seguenti lavororono.
Uno de questi populi ne porté force una scudela de
rizo con octo o dieze fighe ligati insieme per baratarli
in uno cortello che valeva il più tre catrini. El capitanio,
vedendo che questo non voleva altro se non uno cortello,
lo chiamò per vedere più cose; misse mano a la borsa e li
volce dare per quelle cose uno reall: lui no ’l volse. Lui
mostrò uno ducato: manco lo acceptò. Al fine li volce
dare uno dopionne de dui ducati: non volce mai altro
che un cortelo e cussí li lo fece dare. Andando uno de li
nostri in terra per tore acqua, uno de questi li volce dare
una coronna pontiva de oro masicio grande como una
colana per sei filce de cristalino, ma il capitanio non volce
che la baratasse, aciò che in questo principio sapessero
che pritiavamo più la nostra mercantia che lo suo oro.
Questi populi sonno gentili; vanno nudi e depinti;
portano uno pezo de tella de arbore intorno le sue vergonie; sono grandissimi bevitori. Le sue femine vanno vestite de tella de arbore de la cinta in giù, con li capili negri fina in terra; hanno forate le orechie e pienne de oro.
Questa gente sempre masticanno uno fruto (che lo chiamano areca, è como uno pero): lo taglianno in quatro
parti e poi lo volveno ne le foglie del suo arburo (che le
nominano betre, sonno como foglie di moraro) con uno
poco de calcina e, quando le hanno ben masticate, le sputano fora: fanno diventare la boca rocissima. Tucti li populi de questa parte del mondo le uzanno perché rinfrescali molto el core: se restasseno de uzarle morirebenno.
In questa izolla sonno cani, gati, porci, Galine, capre, rizo, gengero, cochi, fighi, naranzi, limoni, miglio, panizo,
sorgo, cera e molto oro. Sta de latitudine in nove gradi
e dui tersi a l’artico e cento e sesantadui de longitudine
della linea de la ripartitione e vinticinquce leghe longi de
la Acquada e se chiama Mazaua.
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
Stessemo sette giorni quivi; poi pigliassemo la via del
maistrale passando fra cinque isolle, cioè Ceylon, Bohol,
Canighan, Baybai e Gatighan. In questa isola de Gatigan
sonno barbastili grandi como aquille. Perché era tardi
ne amacassemo solamente uno: era como una galina
al mangiare. Ge sonno colombi, tortore, papagali e
certi ucceli negri grandi Como galine con la coda longa.
Fanno ovi grandi como de oca; li meteno uno bracio soto
la sabia per lo gran caldo li crea. Quando sonno nasciuti
alzano la arena e vieneno fora. Questi ovi sonno boni
de mangiare. De Mazaua a Gatighan sonno vinti leghe.
Partendone de Gatighan al ponente, il re de Mazaua non
ne puoté seguire; perché lo espectassemo circa tre isolle,
cioè Polo, Ticobon e Pozon. Quando el gionse, molte se
maravigliò del nostro navigare. Lo capitanio generale lo
fece montare ne la sua nave con alguni soi principali, dil
che ebero gran piacere, e cossí andassemo in Zubu. Da
Gatighan a Zubu sonno quindice leghe.
Domeniga a’ sete de aprille a mezodí intrassemo nel
porto de Zubu. Passando per molti vilagii vedevamo
molte caze facte sopra li arbori. Apropinquandone a la
cità, lo capitanio generale comandò le navi s’imbanderasseno; furono calate le velle e poste a modo de bataglia
e scaricò tuta l’artigliaria, per il che questi populi ebero grandissima paura. Lo capitanio mandò uno suo alievo con lo interprete imbassiatore al re de Zubo. Quando arivorono ne la cità trovorono infiniti uomini insieme
con lo re, tuti paurosi per le bombarde. L’interprete li
disse questo esere nostro costume intrando in simili luoghi: in segno de pace e amisitia e per onnorare re del luogo scaricavamo tucte le bombarde. El re e tucti li soi se
asegurorono e fece dire a li nostri per lo suo govvernatore che volevamo. L’interprete rispose como el suo signore era capitanio del magiore re e principe fosse nel mondo e che andava a discovrire Maluco, ma per la sua bonna fama, como aveva intezo dal re de Mazaua, era ve-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
nuto solamete per vizitarlo e pigliare victuvaglia con la
sua mercadantia. Li disse che in bonna ora fosse venuto,
ma che aveva questa uzansa: tutte le navi che intravano
nel porto suo pagavano tributo e che non eranno quatro
giorni che uno iunco de Ciama cargato d’oro e de schiavi
li aveva dato tributo e per segno di questo li mostrò uno
mercadante de Çiama che era restato per mercadantare
oro e schiavi. Lo interprete li disse como el suo signore,
per essere capitanio de tanto gran re, non pagava tributo ad alguno signore del mondo e, se voleva pace, pace
averebe e, se non, guerra, guera. Aloro el moro mercadante disse al re: «Cata raia chita», cioè: «Garda ben, signore: questi sonno de quelli che hanno conquistato Calicut, Malaca e tuta l’India Magiore. Si bene si li fa, ben
se ha; se male, male e pegio, como hanno facto a Calicut
e a Malaca». L’interprete intese lo tuto e dissegli che ’l
re de suo signore era più potente de gente e de navi che
lo ro de Portugalo ed era re de Spagna e imperatore de
tutti li cristiani e, se non voleva esserli amico, li mandaria un’altra fiata tanta gente che ’l destrueriano. Il moro narò ogni cosa al re; alora li disse se consigliarebe con
li sui e nel dí seguente li risponderebe. Poi fece portare una colatione de molte vivande tute de carne poste in
piati de porcelane, con molti vazi de vino. Fata la colatione, li nostri retornoronno e ne dissero lo tuto. Il re de
Mazaua, che era lo primo dopo questo re e signore de alcante isolle, andò in tera per dire al re la grande cortezia
del nostro capitanio genneralle.
Luni matina il nostro scrivano insieme con l’interprete
andorono in Zubu. Vene il re con li sui principali in
piaza e fece sedere li nostri apresso lui: li dise se più
d’uno capitanio era in questa compania e se ’l voleva
lui pagasse tributo a l’imperatore suo signor. Rispose
de non, ma voleva solamente mercadantase con lui e
non con altri. Disse che era contento e, se lo capitanio
nostro voleva essere suo amico, li mandasse uno poco
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
de sangue del suo bracio drito e cossí farebe lui per
segno de più vera amisitia. Respose che lo faria. Poi
lo re li disse como tucti li capitani che venivano quivi se
davano presenti l’uno con l’altro e se lo nostro capitanio
o lui doveva comensare. L’interprete li disse, poiché lui
voleva mantegnire questo costume, cominciasse. E cussí
commensò.
Marti matina il re de Mazaua con lo moro venne a le
navi, salutò lo capitano generale da parte dil re e discelli
como il re de Zubu faceva adunare più victuvaglia poteva
per darnela e como mandarebe dopo disnare uno suo
nepote con dui o tre de’ sui principali per fare la pace.
Lo capitanio generale fece armare uno de le sue proprie
arme e feceli dire como tuti nui combatevamo de quella
sorta. Il moro molto si spaventò; il capitanio li disse non
si spaventasse, perché le nostre arme eranno piacevoli a li
amici e aspere a li nemici e, cosí como li fazoli asciugano
il sudore, cosí le nostre arme ateranno e destrugeno tuti
li adversari e malevoli de la nostra fede. Fece questo acio
el moro, che pareva esere più astuto de li altri, lo dicesse
al re.
Dopo disnare vene a le navi lo nipote del re, che era
principe, col re de Mazaua, il moro, il govvernatore e il
barizello magiore con octo principali per far la pace con
noi. Lo capitanio generale sedendo in una cadedra de
veluto rosso, li principali in sedie de corame e li altri in
tera sovra store, li disse per lo interprete se lo suo costume era de parlare in secreto overo in publico e se questo principe col re de Mazaua avevano potere de fare la
pace. Risposero che parlavano in publico e che costoro
avevano il potere de far la pace. Lo capitanio disse molte cose sovra la pace e che ’l pregava Idio la confirmasse
in cielo. Discero che mai non avevano aldite cotalle parolle e che pigliavano gran piacere a udirle. Vedendo lo
capitanio che questi volentieri ascoltavano e respondevano, li cominciò a dire cose per indurli a la fede. Doman-
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dò qual dopo la morte del re succedesse a la signoria. Rispose che lo re non aveva figlioli ma figliole e che questo suo nipote aveva per moglie la magiore, perciò era lo
principe e, quando li padri e madri eranno vechi non si
onoravano più, ma li figlioli li comandavano. Lo capitanio li disse como Idio fece lo ciello, la terra, lo mare e
tucte le altre cose e como imposse se dovesseno onnorare
li padri e madri e chi altramente faceva era condempnato nel fuoco eterno e como tuti descendevamo de Adam
ed Eva, nostri primi parenti, e como avevamo l’anima inmortalle e molte altre cose pertinenti a la fede. Tuti alegri li suplicorono volesse lasarli dui omini o almeno uno,
aciò li amaistrasse ne la fede e che li farebeno grande onnore. Gli respose che alora non poteva lasciarli alguno,
ma, se volevano essere cristiani, lo prete nostro li baptezarebe e che un’altra fiata menaria preti e frati che li insegnarebeno la fede nostra. Risposero che prima volevano
parlare al re e poi diventarebenno cristiani. Lagrimassemo tuti per la grande alegreza. Lo capitanio li disce che
non ce facero cristiani per paura né per compiacerne, ma
volontariamente, e a coloro che volevano vivere secondo
la sua lege non li sarebe facto dispiacer alguno, ma li cristiani serianno meglio visti e caregiati che li altri. Tutti gridaronno ad una voce che non se facevano cristiani
per paura né per compiacerne, ma per sua spontanea volontate. Alora li disse che, si devcntavano cristiani, gli
lassarebe una armatura, perché cussí li era stato imposto
dal suo re, e como non potevano uzare con le sue donne,
esendo gentilli, senza grandissimo pecato e como li asegurava che, essendo cristiani, non li aparerebe più el domonio, si non nel ponte extremo de la sua morte. Diceno che non sapevano responderli per le sue belle parolle, ma se rimetevano ne le sue mani e facesse de loro como de soi fidelissimi servitori. Lo capitanio piangendo li
abrazò e, agiungendo una mano del principe e una del re
fra le sue, li disse, per la fede portava a Dio e a l’impe-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ratore suo signore e per lo abito che aveva, li prometeva che li dava la pace perpetua col re de Spagna; resposero che lo simille prometevano. Conclusa la pace lo capitanio fece dare una colatione; poi lo principe e ’re presentarono al capitanio, da parte del suo re, alquanti cestoni de rizo, porci, capre e galine e li discero li perdonasce perciò tal cose erano poche a uno simille a lui. Lo
capitanio donò al principe uno panno bianco di tella sotilissima, uno bonnet rozo, alquante felce de cristalino e
uno bichiere dorato de vetro (li vetri sonno molto apreciati in queste parte). Al re di Mazaua non li dete alguno presente, perché già li aveva dato una veste de Cambaia con altre cose, e a li altri a chi una cosa a chi un’altra. Mandò poi al re de Zubu per mi e un altro una veste de seta gialla e morella a guisa turchesca, uno bonnet roso fino, alquante filce de cristalino (posto ogni cosa in uno piato d’argento) e dui bichieri dorati in mano.
Quando focemo ne la cità, trovassemo lo re in suo palatio com molti omini che sedeva in tera sovra una stora di
palma; aveva solamente uno panno de tella de bombazo dinanzi a le sue vergonie, uno velo intorno lo capo lavorato a guchia, una colana al colo de gran precio, due
schione grande de oro tacate a le orechie con petre preciose atorno. Era grasso e picolo e depinto con lo fuoco a diverse maniere; mangiava in tera sovra un’altra stora ovi de bissa scutelara posti in dui vazi de porcelana e
aveva dinanzi quatro vazi pienni de vino de palma serati con erbe odorifere e ficati catro cannuti per ognuno;
con questi beveva. Facta la debita reverentia, l’interprete li disse como lo suo signore lo rengratiava molto del
suo presente e che li mandava questo non per il suo ma
per lo trinsico amore li portava. Li vestissemo la veste,
gli ponessemo il bonnet in capo e li dessemo le altre cose; e poi, basando li vetri e ponendoli sovra lo capo, le li
presentai e, facendo lui el similli, li acceptò. Poi il re ne
fece mangiare de quelli ovi e bere con quelli canuti. Li
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altri sui in questo mezo gli dissero lo parlamento del capitanio sopra la pace e lo exortamento per farli cristiani.
Il re ne volce tener seco a cene; li dicessemo non potevamo aloro restare. Pigliata la lisentia, il principe ne menò seco a casa sua, dove sonavano catro fanciulle: una
de tamburo a modo nostro, ma era posta in tera; un’altra dava con uno legno facto alcanto grosso nel capo con
tella de palma in due borchia picate mo in la una mo in
l’altra; l’altra in una borchia grande col medesimo modo; la ultima con due brochiete in mano dando l’una ne
l’altra faceva uno suave sonno. Tanto a tempo sonavano
che pareva avesseno gran ragion del canto. Queste eranno asai belle e bianche casi como le nostre e cosí grande; eranno nude si non che avevano tella de arbore de la
cinta fima al ginochio e algune tute nude col pichieto de
le orechie grande con uno cerchieto de legno dentro che
lo tene tondo e largo, con li capeli grandi e negri e con
uno velo picolo atorno il capo e sempre discalce. Il principe ne fece balare con tre tutte nude. Merendassemo e
dapoi venissemo a le navi. Queste borchie sonno de metalo e se fanno ne la regione del Signo Magno, che è detta la China. Quivi le uzanno como nui le campane e le
chiamano aghon.
Mercore matina, per essere morto uno de li nostri nella nocte passata, l’interprete e io andassemo a domander
al re dove lo poteriaao sepelire. Trovassemo lo re acompagnato de molti omini, a cui, facta la debita reverensia, li lo disse. Rispose: «Se io e li mei vasalli semo tucti
del tuo signore, quanto magiormente debe essere la terra». E li dice como volevamo consacrare il luoco e meterli una cruce. Rispose che era molto contento e che la
voleva adorare como nui altri. Fu sepolto lo morto ne la
piaza al meglio potessemo per darli bon esempio, e poi la
consacrassemo. Sul tardi ne sepelissimo uno altro. Portassemo molta mercantia in terra e la metessemo in una
casa, qual el re la tolse sovra sua fede, e quatro omini che
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
eranno restati per mercadantare in grosso. Questi populi viveno con iustitia, peso e mezura; amano la pace, l’otio e la quiete. Hanno bilance de legno: lo legno ha una
corda nel mezo, con la qual se tiene; d’uno capo è piombo e de l’altro segni como carri, terci e librre. Quando
voleno pezare, pigliano la belansia che è con tre filli como le nostre e la meteno sovra li segni e cusí pesano iusto. Hanno mezure grandissime senza fondo. Le iovane iogano de zampogna fate como le nostre e le chiamano subin. Le case sonno de legni, de taule e de cane edificate sopra pali grossi, alti de terra che bisogna andarvi dentro con scalle; e hanno camare como le nostre. Soto le case teneno li porci, capre e galine. Se trovono quivi corniolli grandi, belli al vedere, che amazano le balene, le qualle le inghiotano vivi. Quando loro sonno nel
corpo, veneno fuora del suo coperto e li mangiano el core. Questa gente le trovano poi vivi apresso del core de
le ballenne morte. Questi hanno denti, la pelle negra, il
coperto bianco e la carne; sonno boni da mangiare e le
chiamano laghan.
Vennere li mostrassemo una botega pienna de le nostre mercantie, per il che restoronno molto admirati. Per
metalle, fero e l’altra mercantia grossa ne davano oro; per
le altre menute ne davano riso, porci e capre con altre vituvaglie. Questi populi ne davano 10 peci de oro per 14
libre de ferro (uno pezo è circa d’uno ducato e mezo). Lo
capitanio generale non volse se pigliasse tropo oro perché sarebe stato alguno marinaro che averebe dato tuto
lo suo per uno poco de oro e averia disconciato lo trafigo
per semper. Sabato, per avere promesso lo re al capitanio
de farsi cristiano ne la dominica, se fece ne la piaza che
era sacrata uno tribunalle adornato de tapisseria e rami
de palme per baptizarlo. E mandòli a dire che nella matina non avese paure de le bombarde, perciò era nostro
costume ne le feste magiore descaricarle senza pietre.
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
Domeniga matina a quatordize de aprille andassemo
in terra quaranta omini con dui omini tucti armati dinanzi a la bandiera realle. Quanto dismontassemo se tirò tucta l’artigliaria: questi populi figivano di qua e de là.
Lo capitanio e lo re se abraciorono; li disse che la bandera realle non si portava in terra si non con cinquanta
omini como erano li dui arnati e con cinquanta schiopeteri, ma per lo suo grande amore così la aveva portata.
Poi tuti alegri andassemo presso al tribunalle. Lo capitanio e lo re sedevano in catedre de veluto rosso e morello, li principali in cussini, li altri sovra store. Lo capitanio disse al re per lo interprete ringratiasse Idio perciò lo
aveva inspirato a farse cristiano e che vincerebe più facilmente li sui nemisi che prima. Rispose che voleva essere cristiano, ma alguni sui principali non volevano obedire, perché dicevano essere cussì omini como lui. Alora lo nostro capitanio fece chiamare tucti li principali del
re e disseli, se non obedivano al re como suo re, li farebe amazare e daria la sua roba al re. Risposeno lo obedirebeno. Disse al re, se andava in Spagna, retornarebe
un’altra volta con tanto potere che lo faria lo magior re
de quelle parte, perché era stato primo a voler farse cristiano. Levando li mani al ciello lo rengratiò e pregòlo
alguni de li soi rimanesse, aciò meglio lui e li sui populi
focero instructi ne la fede. Lo capitanio respose che per
contentarlo, li lassarebe dui, ma voleva menar seco dui
fanciulli de li principali aciò imparasseno la linga nostra
e poi, a la ritornata, sapessero dire a questi altri le cose de
Spagna. Se mise una croce grande nel mezo de la piaza;
lo capitanio li disse, se si volevano far cristiani como avevano deto nelli giorni passati, li bisognava brusare tucti li sui idoli e nel luoco loro metere una croce e ogni dì
con le mane ioncte adoraria e ogni matina nel vizo farsi
lo segno de la croce, mostrandoli como si faceva; e ogni
ora, almeno de matina, dovesseno venire a questa croce
e adorarla in genochioni; e quel che avevano ià deto vo-
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leseno con le bonne opere confirmarlo. El re con tucti li
altri volevano confirmare lo tucto. Lo capitanio generale li disse como s’era vestito tuto de bianco per mostrarli lo suo sincero amore verso de loro; risposero per li sui
dolci paroli non saperli respondere. Con queste bonne
parolle lo capitanio condusse lo ro per la mano sul tribunalle per baptizarlo; e disseli se chiameria don Carlo como a l’imperatore suo signore; al principe don Fernando
como al fratello de l’imperatore; ai re de Mazaua Ioanni; a uno principalle Fernando como il principalle nostro, cioè lo capitanio; al moro Cristoforo; poi a li altri a
chi uno nome e a chi uno altro. Forenno baptizati inanzi messa cinquecento omini. Udita la messa, lo capitanio
convitò a disnar seco lo re con altri principali: non volsero. Ne acompagnarono fina a la riva; le navi scaricorono
tutte le bombarde e, abrazandose, pressero combiatto.
Dopo disnare, il prete e alguni altri andassemo in terra per baptezar la reina, la qualle venne con quaranta dame. La conducessemo sopra lo tribunalle, facendola sedere sovra uno cossino e l’altre zirca ella. Finché ’l prete
s’apparò, li mostrai una imagine de la Nostra Donna, uno
Bambino di legno belissimo e una croce, per il che li venne una contrictione che, piangendo, domandò lo batesimo. La nominasemo Ioanna como la madre de l’imperatore; sua figliola, moglie del principe, Caterina; la reina
de Mazaua Lizabeta: a le altre ugnuna lo suo nome. Baptizassemo octocento anime fra omini, donne e fanciulli.
La regina era iovene e bella. Tuta coperta d’uno panno
bianco e nero; aveva la boca e le onge rosissime, in capo
uno capello grande de foglie de palma a modo de solana, con una coronna incirca de le medesme foglie, como
quella del papa; né mai va in alguno loco senza una de
queste. Ne demandò il Bambino per tenerlo in loco de li
soi idoli e poi se partì. Sul tardi il re e la reina con asaissime personne vennerono al lito; lo capitanio alora fece
tirare molte trombe de fuoco e bombarde grosse, per il
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
che pigliaronno grandisimo piacere. El capitanio e lo re
se chiamavano fratelli. Questo re se chiamava raià Humabon. Inanzi pasasseno octo giorni, forenno baptizati
tucti de questa isola e de le altre alguni. Brusassemo una
vila per non vollere obedire al re né a noi, la qualle era in
una isola vicina a questa. Ponessemo quivi la croce perché questi populi eranno gentilli. Se fossero stato mori,
li averessemo posto una colonna in segno de più dureza, perché li mori sonno asai più duri per convertirli ca li
gentilli.
In questi giorni lo capitanio generalle andava ogni dì
in terra per dire messa e diceva al re molte cose de la
fede. La regina vene uno giorno con molta pompa ad
udir la messa. Tre donzelle li andavano dinanzi con
tre de li sui capelli in mano; ela era vestita de negro e
bianco con uno velo grande de seta traversato con liste
de oro in capo che li copriva li spalle e con lo suo capello.
Asaissime donne la seguivano, le qualle erano tute nude
e discalce, se non intorno le parte vergoniose avevano
uno paniocolo de tella de palma e atorno lo capo uno
velo picollo e tucti li capilli sparsi. La regina, facta la
reverentia a l’altare, sedete supra uno cossino lavorato di
seta. Inanzi se comensasse la messa, il capitanio la bagnò
con alquante sue donne de acqua roza muschiata; molto
se delectavano de talle odore. Sapendo lo capitanio che
’l Bambino molto piaceva a la reina, liel donò e li disse lo
tenesse in loco de li sui idoli, perché era in memoria del
figliol de Dio. Ringratiandolo molto lo acceptò.
Uno giorno lo capitanio generale, inanzi messa, fesse
venire lo re vestito con la sua vesta de seta e li principali
de la cità. Il fratello del re, padre del principe, se
chiamava Bendara, uno altro fradello del re Cadaio e
alguni Simiut, Sibnaia, Sisacai e Maghalibe e molti altri
che lasso per non essere longo. Fece tuti questi iurare
essere obedienti al suo re e li basaronno la mano; poi fece
iurare quel re d’essere sempre obediente e fidelle al re de
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
Spagna; cosi lo iurò. Alora il capitanio cavò la sua spada
inanzi la imagine de Nostra Donna e disse al re, quando
cossì se iurava, più presto dovevasi morire che aromper
uno simil iuramento, sì che ’l iurava per questa imagine,
per la vita de l’imperatore suo signore e per il suo abito
d’esserli sempre fidelle. Facto questo, lo capitanio donnò
al re una catedra de veluto rosso, dicendoli, ounque
andasse, sempre la facesse portare dinanzi a uno suo più
porpinquo e mostròli como la si doveva portare. Respose
lo farebe volentieri per amore suo e disce al capitanio
como faceva far una ioia per donarlila, la qual era due
schione d’oro grande per tacare a li orechie, due per
metere a li brazi sovra li gomedi e due altre per pore a li
piedi sovra le calcagne e altre petre preciose per adornare
le orechie. Questi sonno li più belli adornamenti possano
uzare li re de queste bande, li qualli sempre vano descalci
con uno panno de tella de la cinta fina al ginochio.
Il capitanio generale uno iorno disse al re e a li altri per
qual cagionne non bruzavano li soi idoli, como li avevano promesso, esendo cristianni, e perché se li sacrificava
tanta carne. Risposero quel che facevano non lo facevano per loro, ma per uno infermo, aciò li idoli li dasse salute, lo qual non parlava ià catro giorni. Era fratello del
principe e lo più valente e savio de la isolo. Lo capitanio
gli disse che brussasero le idoli e credesseno in Cristo e,
se l’infermo se baptisasse, subito garirebe e, se ciò non
foce, li tagliassero lo capo. Alora rispose lo re lo farebe perché varamente credeva in Cristo. Facessemo una
processionne de la piaza fino a la casa de l’infermo al meglio potessemo, ove lo trovassemo che non poteva parlare né moverse. Lo baptizassemo con due sue mogliere e
10 donzelle. Poi lo capitanio li fece dire como stava. Subito parlò e disse como, per la gracia de nostro Signor,
stava assai benne. Questo fu uno manifestissimo miraculo nelli tempi nostri. Quando lo capitanio lo udì parlare,
rengratiò molto Idio e a loro li fece bevere una mando-
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lata, che già l’aveva facta fare per lui. Poi mandògli uno
matarazo, uno paro de lensoli, una coperta de panno iallo e uno cussino; e ogni giorno finché fo sanno li mandò mandolatte, acqua rosa, oleo rozato e algune conserve de zucaro. Non stete cinquo giorni che ’l cominciò a
andare. Fece bruzare uno idolo che tenivano ascoso certe vechie in casa sua in presentia del re e tuto lo populo;
e fece disfare molti tabernacoli per la riva del mare, ne
li qualli mangiavano la carne consacrata. Loro medesimi
cridarono: «Castiglia! Castiglia!»; li rovinavano e disseno, se Dio li prestava la vita, brusarebenno quanti idoli potesse trovare e sebenne fussero in casa del re. Questi idoli sonno de legno, concavi senza li parti de drieto;
hanno li brazi aperti e li piedi voltati in suso con le gambe aperte e lo volto grande con quatro denti grandissimi
como porci cingiari; e sonno tucti depinti.
In questa isola sonno molte ville, li nomi de le qualle e
de li suoi principali sonno questi: Cinghapola, li sui principali Cilaton, Ciguibucan, Cimaningha, Cimatichat, Cicanbul; una Mandani, il suo principalle Lambuzzan; una
Cotcot, il suo principale Acibagalen; una Puzzo, il suo
principalle Apanoan; una Lalan, il suo principalle Theten; una Lalutan, il suo principalle Tapan; una Cilumai e
un’altra Lubucun. Tucti questi ne obedivano e ne davano victuvaglia e tributo. Apresso questa izola de Zubu ne
era una che se chiamava Matan, la qual faceva lo porto
dove éramo; il nome de la sua villa era Matan, li sui principali Zula e Cilapulapu. Quella villa che bruzassemo era
in questa izola e se chiamava Bulaia.
Aciò che vostra illustrissima signoria sapia le cerimonie che uzanno costoro in benedire lo porco: primamente sonano quelle borchie grandi; poi se porta tre piati grandi, dui con roze e fogace de rizo e miglio cote e
rivolte in foglie con pece brustulato, l’altro con panne
de Cambaia e due banderete di palma. Uno pano de
Cambaia se distende in terra; poi veneno dui femine ve-
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chissime, ciascuna con uno trombonne de cana in mano. Quando sonno montate sul panno, fanno reverentia
al solle; poi se vestenno con li panni. Una se pone uno
faciollo ne la fronte con dui corni e piglia un altro faciolo ne le mani e, balando e sunando, con quello chiama il
solle. L’altra piglia una de quelle banderete e balla e suona col suo trombonne. Ballano e chiamano cussì uno poco fra sé, dicendo molte cose al solle. Quella del faciolo piglia l’altra bandereta e lascio lo faciolo e ambedue,
sonando con li tromboni gran pezo, balanno intorno lo
porco ligato. Quella da li corni sempre parla tacitamente al solle e quela altra li risponde. Poi a quella de li corni li è apresentato una taca de vino e, balando e dicendo
certe parolle e l’altra respondendoli e facendo vista catro o cinque volte de bevere el vino, sparge quello sovra
el core del porco; poi subito torna a ballare. A questa
medesima vien dato una lancia; lei, vibrandola e dicendo alquante parolle, sempre tute due balando e mostrando catro o cinque volte de dare con la lancia nel core al
porco, con una subbita prcsteza lo passa da parte a parte. Presto si sera la ferita con erba. Quella che ha mazato
il porco, ponendose una torsa accesa in boca, la smorza,
la qualle sta sempre accesa in queste cerimonie. L’altra
col capo del trombonne, bagnandolo nel sangue de porco, va sanguinando col suo dito la fronte prima a li soi
mariti, poi a li altri, ma non venerono mai a noi. Poi se
disvesteno e vano a mangiare quelle cose che sonno nelli piati e convitano se non femine. Lo porco si pella con
lo fuoco, si che nisuno altro che le vechie consacrano la
carne di porco; e non la mangiariano se non fosse morta
de questa sorte.
Questi populi vano nudi; portano solamente uno pezo
de tella de palma otorno le sue vergonie. Grandi e
picoli hanno passato il suo membro circa de la testa de
luna parte a l’altra con uno fero de oro overo de stanio,
grosso como una penna de oca, e in uno capo e l’altro
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
del medesimo fero alguni hanno como una stella con
ponte sovra li capi, altri como una testa de chiodo da
caro. Asaissime volte lo volsi vedere da molti, così vechi
como ioveni, perché non lo potteva credere. Nel mezo
dil fero è un buso per il qualle urinano. Il fero e le stelle
sempre stanno ferme. Loro diceno che le sue moglie
voleno cussì e, se fossero de altra sorte, non uzariano
con elli. Quando questi voleno uzare con le femine, loro
medisime lo pigliano non in ordine e cominciano pian
piano a metersi dentro primo quella stella de sovra e poi
l’altra. Quanto è dentro diventa in ordine e cusì sempre
sta dentro finché diventa molle, perché altramenti non
lo porianno cavare fuora. Questi populi uzanno questo
perché sonno de debille natura. Hanno quante moglie
voleno, ma una principalle. Se uno de li nostri andava in
tera, così de dì como de nocte, ognuno lo convitava che
mangiasse e che ’l bevesse. Le sue vivande sonno mezo
cote e molto salate; beveno spesso e molto con quelli
sui cannuti da li vazi e duro cinque o sei ore uno suo
mangiare. Le donne amavano asai più noi che questi. A
tucti, da sei anni in su, a poco a poco li apreno la natura
per cagion de quelli sui membri.
Quando uno de li sui principali è morto, li uzanno
queste cerimonie: primamente tutte le donne principale
de la terra vano a la casa del morte. In mezo de la casa
sta lo morto in una casa. Intorno la casa poneno corde
a modo d’uno stecato, ne li quali atacano molti rami de
arbore. In mezo de ogni ramo è uno panno de bombaso
a guisa de paviglione, soto li qualli sedeanno le donne
più principali tute coperte de panni bianchi de bombaso
con una donzella per ognuna, che li faceva vento con
uno sparaventolo di palma. Le altre sedeanno intorno la
camera meste. Poi era una che tagliava a poco a poco con
uno cortello li capilli al morto. Un’altra, che era stata la
moglie principale del morto, giaceva sovra lui e giungeva
la sua boca, le sue mani e li sui piedi con quelli del
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morto: quando quella tagliava li capili, questa piangeva
e quando restava de tagliarli, questa cantava. Atorno
la camera erano molti vazi de porcelanna con fuoco e,
supra quello, mira, storac e belgiovì, che facevano olere
la casa grandamente. Lo tenono in casa cinque a sei
giorni con queste cerimonie; credo sia onto de canfora.
Poi lo sepelisseno con la medesima casa serata con chiodi
de legno in uno loco coperto e circundato de legni. Ogni
nocte in questa càta, circa de la mezanocte, veniva uno
uccelo negrissimo, grande como uno corvo e non era
cossì presto ne le case che ’l gridava, per il che tucti li cani
urlavano e durava quatro o cinque ore quel suo gridare e
urlare. Non ne volseno mai dire la cagion de questo.
Vennere a’ vintisei de aprille Zula, principale de quella
isola Matan, mandò uno suo figliolo con due capre a presentarle al capitanio generale e dicendoli como li mandava tuta sua promessa, ma per cagion de l’altro principalle Cilapulapu, che non voleva obedire al re de Spagna,
non aveva potuto mandarglila e che, ne la nocte seguente, li mandasse solamente uno batello pienno de omini,
perché lui li aiutaria e combateria. Lo capitanio generale
deliberò de andarvi con tre batelli. Lo pregassemo molto
non volesse vegnire, ma lui, como bon pastore, non volse abandonare lo suo grege. A mezanocte se partissemo
sexanta omini armati de corseletti e celade, insieme col
re cristiano, il principi e alguni magiori e vinti o trenta
balanguai; e, tre ore inansi lo iorno, arivassemo a Matan.
Lo capitanio non volse combater alora, ma li mandò a dire per lo moro, se volevano obedire al re de Spagna e rocognoscere lo re cristiano per suo signore e darne lo nostro tributo, li sarebe amico, ma, se volevano altramente, aspectasscno como ferivano le nostre lance. Risposero, se avevamo lance, avevamo lance de canne brustolatte e pali brustolate; e che non andassemo alora ad asaltarli, ma aspectasemo venisse lo iorno, perché sarebenno più gente. Questo dicevano aciò andasemo a ritro-
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varli, perché avevano facto certi fossi fra le caze per farne cascare dentro. Venuto lo giorno saltassemo ne l’acqua fina a le cossie carantanove omini e cussì andassemo
più dui trati de balestra inanzi potesemo arivar al litto.
Li bateli non poterono vegnire più inanzi per certe petre
che erano ne l’acqua. Li altri undici omini restarono per
gardia de li bateli. Quando arivassemo in terra, questa
gente avevano facto tre scadroni de più de millecinquecento personne. Subito, sentendone, ne venirono adosso con voci grandissimi, dui per fianco e l’altro per contro. Lo capitanio, quando viste questo, ne fece dui parti e così cominciassemo a combater. Li schiopeti e balestreri tirarono da longi casi meza ora invano, solamente passandoli li targoni facti de tavole sotille e li brazi.
Lo cappitanio gridava «Non tirare, non tirare!», ma non
li valeva niente. Quando questi vistenno che tiravamo li
schiopeti invano, gridando deliberorno a star forte; ma
molto più gridavano quando erano descarigati li schiopeti. Mai non stavano fermi, saltando de qua e de là, coperti con li sui targoni. Ne tiravano tante frece, lance de
canna, alguno di fero; al capitanio generalle pali pontivi
brustolati, pietre e lo fango. Apena se potevamo defendere. Vedendo questo, lo capitanio generale mandò alguni a brusare le sue case per spaventarli. Quando questi vistenno bruzare le sue caze, deventorono più feroci.
Apresso de le case forenno amazati dui de li nostri e vinti o trenta case li brusassemo. Ne venirono tanti adosso
che passarono con una freza venenata la gamba drita al
capitanio, per il che comandò che se retirassemo a poco
a poco, ma loro fugirono si che restassemo da sei o octo
con lo capitanio. Questi non ne tiravano in altro si non
a le gambe perche erano nude. Per tante lance e petre
che ne traevano non potessemo resistere. Le bombarde
de li batelli, per essere tropo longhi, non potevano aiutare, sì che venissemo retirandose più de una bonna balestrata longi de la riva, sempre combatendo ne l’acqua fin
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al ginochio. Sempre ne seguitoro e, repigliando una medesima lance, quatro o sei volte ne la lanciavano. Questi conniossendo lo capitanio, tanti si voltorono sopra de
lui che dui volte li botarono lo celadone fora del capo,
ma lui, como bon cavaliero, sempre stava forte con alguni altri. Più de uno ora cossì combatessemo e, non volendosi più retirare, uno indio li lanciò una lanza di cana
nel vizo. Lui subito con la sua lancia lo amazò e lasciòlila nel corpo. Poi, volendo dar de mano a la spada, non
puoté cavarla se non meza per una ferita de canna aveva
nel brazo. Quando visteno questo, tuti andorono adosso a lui. Uno con uno gran terciado (che è como una simitara, ma più grosso) li dete una ferita ne la gamba sinistra, per la qualle cascò col volto inanzi. Subito li foreno adosso con lance de fero e de cana e con quelli sui terciadi, finché il spechio, il lume, el conforto e la vera guida nostra amazarono. Quando lo ferivano, molte volte se
voltò indietro per vedere se éramo tucti dentro ne li batelli. Poi, vedendolo morto, al meglio potesemo, feriti se
ritrassemo a li batelli che già se partivano. Lo re cristiano ne avereba aiutato, ma lo capitanio, innanzi dismontassemo in tera, li comisse non si dovesse partire dal suo
balanghai e stesse a vedere in che modo combatevamo.
Quando lo re sepe como era morto, piance. Se non era
questo povero capitanio, niuno de noi si salvava ne li batelli perché, quando lui combateva, li altri se retiravano
a li batelli. Spero in vostra illustrissitna signoria la fama
d’uno sì generoso capitanio non debia essere extinta ne
li tempi nostri. Fra le altre vertù che eranno in lui, era lo
più costante in una grandissima fortuna che mai alguno
altro fosse; suportava la fame più che tucti li altri e più
iustamente che omo fosse al mondo carteava e navigava
e, se questo fu il vero, se vede apertamente ninguno altro
avere avuto tanto ingenio ni ardire de saper dar una volta al mondo como ià cazi lui aveva dato. Questa bataglia
fo facta al sabato vintisete de aprille 1521 (il capitanio la
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volse fare in sabato perché era lo giorno suo devoto), ne
la qualle foreno morti con lui octo de li nostri e catro indii facto cristiani da le bombarde de li bateli che eranno
dapoi venuti per aiutarne; e de li nimici se non quindici,
ma molti de noi feriti.
Dopo disnare, lo re cristiano mandò a dire con lo
nostro consentimento a quelli de Matan, se ne volevano
dare lo capitanio con li altri morti, che li daressemo
quanta mcrcadantia volessero. Risposero non si dava
uno tal omo como pensavamo e che non lo darebenno
per la magior richessa del mondo, ma lo volevano tenire
per memoria sua.
Sabato che fo morto lo capitanio, quelli catro che stavano ne la cità per mercadantare fecero portare le nostre mercantie alle navi. Poi facessemo dui gubernatori: Duarte Barboza portughese, parente del capitanio, e
Ioan Seranno spagnolo. L’interprete nostro, che se chiamava Enrich, per essere uno poco ferito non andava più
in terra per fare le cose nostre necessarie, ma stava sempre ne la schiavina; per il che Duarte Barbosa, guvernatore de la nave capitania, li gridò e dissegli, sebenne è
morto lo capitanio suo signore, per questo non era libero: anzi voleva, quando fossemo arivati in Espagna, sempre fosse schiavo de madona Beatrice, moglie del capitanio generale, e minaciandoli, se non andava in terra, lo
frustaria. Lo schiavo si levò e mostrò de non far conto
de queste parolle e andò in tera a dire al re cristiano como se volevamo partire presto, ma, se lui voleva far a suo
modo, gadaneria li nave e tucte le nostre mercadantie; e
cussì ordinorono uno tradimento. Lo schiavo retornò a
le nave e mostrò essere più sacente che prima.
Mercore matina primo de magio lo re cristiano mandò a dire a li govvernatori como erano preparete le gioie
aveva promesso de mandare al re de Spagna e che li pregava, con li altri soi, andasero disnar seco quella matina,
ché li la darebe. Andorono 24 omini in tera; con que-
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sti andò lo nostro astrologo, che se chiamava San Martin
de Sivilla. Io non li poté’ andare perché era tuto infiato
per una ferita de freza venenata che aveva ne la fronte.
Iovan Carvaio con lo barizello tornorono indietro e ne
discero como visteno colui resanato per miracolo menare lo prete a casa sua e per questo s’eranno partitti, perché dubitavano de qualche malle. Non dissero così presto le parolle che sentissimo gran gridi e lamenti. Subito levassemo l’ancore e, tirando molte bombarde ne le
case, ne apropinquassemo più a la terra e, cussì tirando,
vedessemo Ioan Seranno in camiza ligato e ferito gridare
non dovessemo più tirare perché l’amazarebenno. Li domandassemo se tucti li altri con lo interprete erano morti. Disse tucti erano morti salvo l’interprete. Ne pregò
molto lo dovessemo rescatare con qualche mercadantia,
ma Ioan Carvaio, suo compare, e li altri non volsero, per
restare loro patroni, andasse lo batello in tera. Ma Ioan
Seranno pur piangendo ne disse che non averessemo così presto facto vella che l’averianno amazato e disse che
pregava Idio, un iorno del Iuditio, dimandasse l’anima
sua a Ioni Carvaio suo compadre. Subito se partissemo;
non so se morto o vivo lui restasse.
In questa izola se trova cani, gati, rizo, millio, panizo,
sorgo, gengero, fighi, neranzi, limone, canne dolci, agio,
mel, cochi, chiacare, zuche, carne de molte sorte, vino
de palma e oro. Ed è grande isola con uno bon porto
che ha due intrate, una al levante e grego, l’altra al
ponente e garbìn. Sta de latitudine al polo artico in
10 gradi e undici minuti, de longitudine de la linea
de la repartitione centosexantacatro gradi; e se chiama
Zubu. Quivi, inanzi che morisse lo capitanio genneralle,
avessemo nova de Maluco. Questa gente sonano de viola
con corde de ramo.
Vocabuli de questi populi gentili
1 A l’omo – lac
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
2 a la donna – paranpoan
3 a la iovene – beni beni
4 a la maritata – babay
5 a li capilli – boho
6 al vizo – guay
7 a le palpebre – pilac
8 a le ciglie – chilei
9 a l’ochio – matta
10 al nazo – ilon
11 a le masselle – apin
12 a li labri – olol
13 a la bocca – baba
14 a li denti – nipin
15 a le gengive – leghex
16 a la linga – dilla
17 alle orechie – delengan
18 a la gola – liogh
19 al collo – tangip
20 al mento – silan
21 a la barba – bonghot
22 a le spale – bagha
23 a la schena – licud
24 al peto – dughan
25 al corpo – tiam
26 al soto li braci – ilot
27 al bracio – botchen
28 al gomedo – sico
29 al polso– malanghai
30 a la mano – camat
31 a la palma de la mano – palan
32 al dito – dudlo
33 a la ongia – coco
34 al lombelico – pusut
35 al membro – utin
36 a li testicoli – boto
37 a la natura de le donne – billat
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
38 a l’uzar con loro – tiam
39 a le cullate – samput
40 a la cossa – paha
41 al ginochio – tuhud
42 al schinco – bassag bassag
43 a la polpa de la gamba – bitis
44 a la cavechia – bolbol
45 al calcagno – tiochid
46 a la solla del piè – lapa lapa
47 a l’oro – balaoan
48 a l’argento – pilla
49 al laton – concach
50 al feto – butan
51 a le canne dolce – tube
52 al cuchiaro – gandan
53 al rizo – bughax baras
54 al melle – deghex
55 a la cera – talho
56 al salle – acin
57 al vino – tuba nio nipa
58 al bere – minuncubil
59 al mangiare – macan
60 al porco – babui
61 a la capra – candin
62 a la galina – monoch
63 al miglio – humas
64 al sorgo – batat
65 al panizo – dana
66 al pevere – manissa
67 a li garofoli – chianche
68 a la cannella – mana
69 al gengero – luia
70 a l’aio – laxima
71 a li naransi – acsua
72 a l’ovo – itlog
73 al coco – lubi
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
74 a l’acceto – zucha
75 a l’acqua – tubin
76 al fuoco – claio
77 al fumo – assu
78 al sofiare – tigban
79 alle belance – tinban
80 al pezo – tahil
81 a la perla – mutiara
82 a le madre de le perle – tipay
83 a la zampogna – subin
84 al mal de santo Iob – alupalan
85 portame – palatin comorica
86 a certe fogace de rizo – tinapai
87 buono – maiu
88 non – ti da le
89 al cortello – capal sundan
90 a le forfice – catle
91 a tosare – chunthinch
92 a l’omo ben ornato – pixao
93 a la tella – balandan
94 a li panni che se copreno – abaca
95 al conaglio – colon colon
96 a li pater nostri d’ogni sorte – tacle
97 al petine – cutlei missamis
98 al pentinare – monssughud
99 a la camiza – sabun
100 a la guglia de cosire – daghu
101 al cusire – mamis
102 a la porcelana – mobuluc
103 al cana – aian ydo
104 al gato – epos
105 a li sui veli – gapas
106 a li cristalini – balus
107 vien qui – marica
108 a la caza – ilaga balai
109 al legname – tatamue
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
110 alle store dove dormeno – tagichan
111 alle store de palma – bani
112 a le cussini de foglie – ulunan
113 a li piati de legno – dulan
114 al suo idio – Abba
115 al solle – adlo
116 a la luna – songhot
117 a la stela – bolan binthun
118 a la aurora – mene
119 a la matina – uema
120 a la taza – tagha
121 grande – bassal
122 a l’arco – bossugh
123 a la freza – oghon
124 a li targoni – calassan
125 a le veste imbotide per combater – baluti
126 a le sue daghe – calix baladao
127 a li sui tertiadi – campilan
128 a la lancia – bancau
129 cl talle – tuan
130 a li fighi – saghin
131 a le zuche – baghin
132 a le corde de le sue violle – gotzap
133 al fiume – tau
134 al risaio per pescare – pucat laia
135 al batello – sampan
136 a le canne grande – cauaghan
137 a le picole – bonbon
138 a le sue barche grande – balanghai
139 a le sue barche picolle – boloto
140 a li granci – cuban
141 al pesce – icanm yssida
142 a uno pesce tuto depinto – panapsapan
143 a uno altro rosso – timuan
144 a uno certo altro – pila
145 a uno altro – cimaluan
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
146 tuto e uno – siama siama
147 a uno schiavo – bonsul
148 a la forca – boll
149 a la nave – benaoa
150 a uno re o capitanio generale – raia
Numero:
151 uno – uzza
152 dui – dua
153 tre – telo
154 quatro – upat
155 cinque – lima
156 sei – onom
157 sette – pitto
158 octo – gualu
159 nove – ciam
160 diece – polo
Lungi dizidoto leghe de questa isola Zzubu, al capo de
quela altra che se chiama Bohol, bruzassemo in mezo de
questo arcipelago la nave Conceptione, per essere restati
tropo pochi, e fornissemo le altre due de le cose sue
megliore. Pigliassemo poi la via del garbìn e mezodì
costando la izola che se dise Panilongon, ne la qualle
sonno omini negri como in Etiopia. Poi arivasemo a una
isola grande, lo re de la qualle, per fare pace con noi, se
cavò sangue de la mano sinistra, sanguinandose lo corpo,
lo volto e la cima de la linga in segno de magior amitisia.
Così facessemo anco nui. Io solo andai con lo re in tera
per vedere questa isola. Subito che intrassemo in uno
fiume, molti pescatori presentarono pesce al re. Poi lo re
se cavò li pannni che aveva intorno le sue vergonie con
alguni sui principali e cantando cominciorono a vogare.
Passando per molti abitationi che erano sovra lo fiume,
arivassemo a due ore de nocte in casa sua. Dal principio
de questo fiume, dove estavano le navi, fino a casa del
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
re erano due leghe. Entrando ne la casa, ne venirono
incontra molte torce de canna e de foglie de palma.
Queste torce erano de anime como li dete de sovra.
Finché se aparechiò la cene, lo re con dui principali e
due sue femine belle beverono uno gran vazo de vino
pienno de palma senza mangiare niente. Io, escusandomi
avere cennato, non volce berre si non una volta. Bevendo
facevano tutte le cerimonie como el re de Mazaua. Venne
poi la cena de rizo e pesce molto salato posto in scutelle
de porcelana; mangiavano lo rizo per panne. Cocono lo
rizo in questo modo. Prima meteno dentro in pignate de
terra como le nostre una foglia grande che circunda tuta
la pignata; poi li meteno l’acqua e il rizo coprendola; la
lasciano bugliere finché venne lo rizo duro como panne;
poi lo cavano fuora in pezi. In tucte queste parte cocono
lo rizo in questa sorte. Cenato che avessemo, lo re fece
portare una stora de canne con un’altra de palma e uno
cucino de foglie, acìò io dormisse sovra queste. Il re
con le due femine andò a dormire in uno luoco separato;
dormì con uno suo principale. Venuto il giorno, mentre
se aparechiò lo disnare, andai per questa izolla. Vidi in
queste loro case assai massaritie de oro e poca victuvaria.
Poi disnassemo solamente rizo e pesce. Finito lo disnare,
dice al re con segni volentieri vederia la reina; me respose
era contento. Andassemo de compania in cima d’uno
alto monte, dove era la casa de la reina. Quando entrai in
casa, le fece la reverentia e lei cossì verso de me. Sedeti
apresso a ella, la qualle faceva una stora de palma per
dormire. Per la casa sua eranno atacati molti vazi de
porcelana e quatro borchie de metalo, una magiore de
l’altra e due più picole, per sonare. Gli eranno molti
schiavi e schiave che la servivano. Queste case sonno fate
corno le altre ià dete. Pigliata lisentia, tornasemo in caza
del re; subito fece darne una colatione de canne dolce.
La magior abundantia che sia in questa isola è de oro (mi
mostrarono certi valoni facendomi segno che in quelli
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
era tanto oro como li sui capilli), ma non hanno tero
per cavarlo; neanche voleno quela fatiga. Questa parte
de la isola è una medesma terra con Butuan e Calaghan
e passa sopra Bohol e confina con Mazaua. Perché
tornaremo una altra fiata in questa izolla non dico altro.
Passato mezodì, volse tornare a le navi; el re volse venire
e li altri principali, e cussì venessemo nel medesimo
balanghai. Retornando per lo fiume viti aman drita sopra
uno monticello tre uomini apicati a uno arbure che aveva
tagliati li rami. Domandai al re chi eran quelli; rispose
che erano malfactori e robatori. Questi popoli vano nudi
como li altri de supra. Lo re se chiama raià Calanao.
Lo porto è buono e quivi se trova rizo, gengero, porci,
capre, galine e altre cose; sta de latitudine al polo artico
in octo gradi e centosexantasete de longitudine della
linea repartitionalle e longi da Zubu cinquanta leghe; e
se chiama Chipit. Due iornate de qui al maistrale se trova
una isola grande detta Lozon, dove vanno ogni anno sei
overo octo iunci de li popoli Lechii. Partendone de qui
a la meza partita de ponente e garbìn, dessemo in una
isola non molto grande e casi desabitata. La gente de
questa sonno mori ed eranno banditi d’una isola deta
Burne. Vano nudi como li altri; hanno zarobotane con
li carcasseti a lato pienni de freze con erba venenata;
hanno pugnalli con li manisi ornati de oro e de pietre
preciose, lance, rodelle e corazine de corno de bufalo.
Ne chiamavano Corpi Sancti. In questa isola se trovava
poca victuvaglia, ma arbori grandissimi. Sta de latitudine
al polo artico in sette gradi e mezo e longi da Chippit
quarantatré leghe; e chiamasse Caghaian.
Da questa isola circa de vinticinque leghe fra ponente
e maistralle, trovassemo una izola grande, dove si trova
rizo, gengero, porci, capre, galine, fighi longhi mezo
brazo e grossi como lo bracio (sonno boni) e alguni altri
longhi uno palmo e altri manco (molto megliori de tucti
li altri), cochi, batate, canne dolci, radice como napi al
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
mangiare e rizo cotto soto lo fuoco in canne o in legno
(questo dura più che quello coto in pignatte). Questa
tera potevamo chiamare la Terra de Promissione perché,
inanzi la trovassemo, pativamo gran fame. Assai volte
stessemo in force de abandonnare le navi e andare in
terra per non morire de fame. Lo re fece pace con noi
tagliandosse uno poco con uno nostro cortello in mezo
del pecto e, sanguinando, se tocò la lingua e la fronte in
segno de più vera pace: così fecemo anco nui. Questa
isola sta de latitudine al polo artico in nove gradi e uno
terso e cento e septantauno e uno terso de longitudine
de la lignea de la ripartitione; e se chiama Pulaoan.
Questi populi de Polaoan vano nudi como li altri.
Quasi tucti lavoranno li sui campi; hanno zarabotanne con freze de legno grosse più d’uno palmo, arponate e algune con spine de pesce con erba venenata e altre
con ponte de cana arponate e venenate. Hanno nel capo ficato uno poco de legno molle in cambio de le penne. Nel fine de le sue zarabotane liganno uno fero como di iannetone e, quando hanno tracte le freze, combateno con questo. Precianno aneli, cadennete de latone,
sonagli, corteli e più al filo de ramo per ligare li sui ami
da pescare. Hanno galli grandi molto domestici; non li
mangiano per una certa sua venneratione. Alguna volta
li fanno combatere l’uno con l’altro e ognuno mete per lo
suo uno tanto e poi de cului che è suo el vincitore, è suo
el premio. E hanno vino de rizo lambicato più grande e
megliore de quello de palma.
Longi de questa isola dieze leghe al garbìn, dessemo in
una izola e, costeandola, ne pareva alquanto ascendere.
Intrati nel porte, ne aparve el Corpo Sancto per uno tempo oscurissimo. Dal principio de questa isola fina al porto li sonno cinquanta leghe. Lo iorno seguente, a nove
de iuglio, lo re de questa isola ne mandò uno prao molto
bello con la prova e la popa lavorate d’oro. Era supra la
prova una bandiera de bianco e lazuro con penne de pa-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
vonne in cima. Alguni sonavano con cinfonie e tamburi. Venivano con questo prao due almadie (li prao sonno como fuste e le almadie sonno le sue barche da pescare). Octo omini vechi de li principali entrorono ne le navi e sederonno ne la popa sopra uno tapeto; ne apresentarono uno vazo de legno depinto pieno de betre e areca(che è quel fructo che masticano sempre) con fiori de
gelsomini e de naranci coperto de uno pano de seta iallo, due gabie pienne de galine, uno paro de capre, tre vazi pieni de vino de rizo lambicato e alquanti fasci de canne dolci; e cossì detero a l’altra nave e, abraciandone, pigliaronno lisentia. El vino de rizo è chiaro como l’acqua,
ma tanto grande che molti de li nostri s’embriacarono, e
lo chiamano arach.
De lì a sei giorni, lo re mandò un’altra volta tre prao
con molta pompa. Sonando cinfonie, tamburi e borchie
de latone, circondorono le navi e ne fecero reverentia
con certe sue berete de tella che li copreno solamente la
cima del capo. Li salutassemo con le bombarde senza
pietre. Poi ne detero uno presente de diverse vivande
solamente de rizo, algune in foglie facte in pezi alquanto
longhi, algune como panni de zucaro e alguni altri facti a
modo de torte con ovi e melle. Ne dissero como lo suo re
era contento pigliassemo acqua e legna e contratassemo
al nostro piacere. Udendo questo, montassemo sette de
nui altri sopra lo prao e portassemo uno presente al re, el
qualle era una vesta de veluto verde a la turchesca, una
catedra de veluto morello, cinque bracia de panno rosso,
uno bonnet e uno bichier dorato, uno vaso de vetro
coperto, tre quinterni de carta e tino calamaro dorato;
a la regina tre bracia de panno giallo, uno paro de scarpe
argentate, uno guchiarollo d’argento pieno de guge; al
govvernatore tre bracia de panno rosso, uno bonnet e
uno bichier dorato; al re d’arme, che era venuto nelli
prao, gli desemo una vesta de panno rosso e verde a la
turchesca, uno bonnet e uno quinterno de carta; a li altri
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
sete principali a chi tella, a chi bonnet e a ognuno uno
quinterno de carta; e subito se partissemo.
Quando iongessemo a la cità, stessemo torsi due ore
ne li prao, finché venirono dui elefanti coperti de seta e
dudizi omini con uno vazo per uno de porcelana coperto
de seta per portare nostri presenti. Poi montassemo sopra li elefanti; e questi dodici omini ne andavano dinanzi
con li presenti ne li vazi. Andasemo cussì fin a la casa del
govvernatore, ove ne fo data una cena de molte vivande. La nocte dormissemo sovra matarasi de bambazo: la
sua fodra era de tafetà, li linsoli de Cambaia. Lo giorno
seguente stessemo in casa fin a rnezodì; poi andassemo
al palacio del re sovra elefanti con li presenti dinanci como lo giorno davanti. Da casa del govvernatore fin in casa del re, tute le strate erano pienne de omini con spade, lance e targoni, perché cussì aveva voluto lo re. Intrassemo sovra li elefanti ne la corte del palatio; andassemo su per una scala acompagnati dal govvernatore e altri
principali e intrassemo in una sala grande, piena de molti baroni, ove sedcssemo sopra uno tapeto con li presenti
ne li vazi apresso noi. Al capo de questa sala ne è un’altra più alta, ma alquanto più picola, tuta ornata de panni de seta, ove se aprirono due fenestre con due cortine
de brocato, da li qualli veniva la luce nella sala. Ivi erano trecento omini in piedi con stochi nudi sovra la cossa
per guardia del re. Al capo de questa era una grande fenestra, da la qualle se tirò una cortina de brocato. Dentro de questa vedessemo el re sedere a taula con uno suo
figliolo picolino e masticare betre. Dietro da lui erano si
non donne. Alora ne disse uno principalle nui non potevamo parlare al re e, se volevamo alguna cosa, lo dicessemo a lui perché la direbe a uno più principale e quello a
uno fratello del govvernatore che stava ne la sala più picola e poi lui la direbe con una zarabotana per una sfisura del pariete a uno che stava dentro con lo re. E ne insegnò dovessemo fare al re tre reverentie: con li mani ionte
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
sopra lo capo, alzando li piedi mo uno mo altro, e poi le
basassemo. Così fo facto. Questa è la sua reverentia reale. Li dicessemo como éramo del re de Spagna e che lui
voleva pace seco e non domandavamo altro, salvo potere mercadantare. Ne fece dire el re, poiché ’l re de Spagna voleva esere suo amico, lui era contentissimo de esser suo; e disse pigliassemo acqua e legna e mercadantasemo a nostro piacere. Poi li dessemo li presenti: faceva
d’ogni cosa con lo capo un poco de riverentia. A ciascuno de nui altri fo dacto brocadelo e panni de oro e de seta ponendoneli sopra la spala sinistra, ma poco lasciandonegli. Ne deteno una colatione de garofoli e canella.
Alora foreno tirate le cortine e serate te fenestre. Li omini che era nel palatio tuti avevano panni de oro e de seta intorno loro vergonie, pugnali con lo manico de oro e
ornato de perle e petre preciose e molti aneli ne le mani. Retornassemo sovra le elefanti a la casa del govvernatore; sete omini portorono il prezente del re sempre dinanzi. Quando fossemo ionti a casa, deteno a ognuno lo
suo e ne ’l missero sovra la spala sinistra, a li qualli, per
sua fatica, donassemo a ciascaduno uno paro de cortelli.
Venirono in casa del govvernatore nove omini con altri
tanti piati de legno grandi da parte del re. In ogni piato
erano 10 overo dudize scudelle de porcelana pienne de
carne de vitello, de caponi, galine, pavoni e altri animali
e de pesce. Cenassemo in tera sovra una stora de palma
de trenta a trentadui sorte de vivande de carne, eccepto lo pesce e altre cose. Bevevamo a ogni bocone pieno
uno vazeto de porcelana grande como uno ovo de quel
vino lambicato. Mangiassemo rizo e altre vivande de sucaro con cuchiari d’oro como li nostri. Ove dormissemo le due nocte, stavano due torce de cera bianca sempre acceze sovra dui candellieri de argento uno poco alti
e due lampade grande pienne d’olio con catro paveri per
ognuna e dui omini che sempre la spavilavano. Venissemo sovra li elefanti fino a la riva del mare, dove forono
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
dui prao che ne conduscero a le navi. Questa cità è tuta fondata in acqua salsa, salvo la casa del re e algune de
certi principali, ed è de vinti o vinticinquemiglia fochi.
Le case sonno tute de legno, edificati sovra pali grossi alti da tera. Quando lo mare cresce, vanno le donne per la
tera con barche vendendo cose necessarie al suo vivere.
Dinanzi la casa del re è uno muro de cadreli grosso con
barbacani a modo de forteza, nel qualle erano cinquantasei bombarde de metalo e sei de fero. In li dui giorni
stessemo ivi, scaricorono molte. Questo re è moro e se
chiama raià Siripada; era de quaranta anni e grasso. Ninguno lo governa se non donne, figliole de li principali.
Non si parte mai fora del palatio se non quando va a la
caza. Ninguno li pò parlare si non per zarabotane. Tene
10 scrivani che scriveno le cose sue in scorse de arbore
molto sotille; a questi chiamano xiritoles.
Luni matina a’ vintinove de iullio vedessemo venire
contro nui più de cento prao partiti in tre scadroni con
altri tanti tunguli (che sonno le sue barche picole). Quando vedessemo questo, pensando fosse qualche inganno,
ne dessemo lo più presto fo possibile ne la vella e, per
pressa, lasciassemo una ancora. E molto più ne dubitavamo de essere tolti in mezo de certi iunci che, nel giorno
passato, restarono dopo nui. Subito se voltassemo contra questi e ne pigliassemo catro, amazando molte personne. Tri o catro iunci fugirono in seco. In uno de quelli che pigliassemo era lo figliolo del re de la isola de Lozon. Costui era capitanio generale de questo re de Burne
e veniva con questi ionci da una vila grande deta Laoe,
che è in capo de questa isola verso Iava Magiore, la qualle, per non volere obedire a questo re ma a quello de Iava Magiore, la aveva ruinata e sachegiata. Giovan Carvaio nostro piloto lassò andare questo capitanio e lo ionco
senza nostro consentimento per certa cantità de oro, como dapoi sapessemo. Se non lassava questo capitanio, lo
re ne averia dato tuto quello avessemo demandato, per-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ché questo capitanio era molto temuto in queste parte,
ma più da gentilli, perciò sonno inimicissimi de questo
re moro. In questo porto gli è un’altra cità de gentilli,
magiori de quella de li mori, fondata anche ella in acqua
salza, per il che ogni iorno questi dui populi combateno
insieme nel medesimo porto. Il re gentille è potente como lo re moro, ma non tanto superbo: facilmente se convertirebe a la fede de Cristo. Il re moro, quando aveva
inteso in che modo avevamo tractati li ionci, ne mandò a
dire, per uno de li nostri che erano in tera, como li prao
non venivano per farne despiacere, ma andavano contra
li gentilli e, per verificatione de questo, li mostrorono alguni capi de omini morti e li discero che erano de gentili.
Mandassemo dire al re li piacesse lasciare venire li nostri
dui omini che stavano ne la cità per contratare e lo figliolo de Iona Carvaio, che era nasciuto ne la Tera del Verzìn, ma lui non volce. De questo fo cagione Ioan Carvaio per lassiare quel capitanio. Retenissemno sedizi omini
più principali per menarli in Spagna e tre donne in nome
de la regina de Spagna, ma Ioan Carvaio le usurpò per
sue.
Li ionci sonno le sue navi e facti in questo modo:
lo fondo è circa dui palmi sovra l’acqua e de taule con
cavechie di legno assai ben facto. Suvra de questo sonno
tucti de cane e porta uno de questi tanta roba como una
nave. Da una parte e da l’altra sono canne grosissime
per contrapezo; li sui arbori sonno de canne e le velle de
scorse de arbore.
La porcellana è una sorte de tera bianchissima e sta
cinquanta anni soto terra inanzi la si adopere, perché
altramente non saria fina. Lo padre la sotera per lo
figliolo. Se ’l si ponne veneno in uno vazo de porcelana
fino, subito se rompe.
La moneta che adoperano li monri in questa parte è
di metalo, sbusata nel mezo per infilzarla e ha, solamente
d’una parte, quatro segni che sonno lettere del gran re
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
della Chiina; e la chiamano picis. Per uno cathil de
argento vivo (che è due libre de le nostre) ne davano sei
scutelle de porcelana; per uno quinterno de carta cento
picis; per un cathil de metalo uno vazeto de porcelana;
per tre cortelli uno vazo de porcelana; per 160 cathili de
metalo ne davano uno bahar de cera (che è duzento e
tre cathili); per octanta cathili de metalo uno bahar de
sale; per quaranta cathili de metalo uno bahar de anime
per conciar le navi, perché in queste parte non si trova
pegola. Vinti tahil fanno uno cathil. Quivi se apretia
metalo, argento vivo, vetro, cenaprio, panni de lana, telle
te utte le altre nostre merce, ma più lo fero e li ochiali.
Questi mri vano nudi como li altri. Bevono l’argento
vivo: lo infermo lo beve per purgarse e lo sano per restare
sanno.
Il re de Burne ha due perle grosse como dui ovi de galina e sonno tanto rotonde che non puono firmarse sovra
una tavola; e questo so certo perché, quando li portassemo li presenti, li fo facto segno ne le mostrase. Lui disse le mostrarebe l’altro giorno. Poi alguni principali ne
dissero loro averle vedute.
Questi mori adoranno Maometo; e la sua lege è non
mangiar carne de porco; lavarsi il culo con la mano sinistra; non mangiare con quella; non tagliare cosa alguna
con la dextra; sedere quando urinano; non amazare galine né capre se prima non parlano al solle; tagliare a le galine le cime de le alle con le sue pelecine che li avanzano
de soto e li piedi, e poi scartarla per mezo; lavarse lo volto con la mano drita; non lavarse li denti con li ditti e none mangiare cosa alguna amazata se non da loro. Sonno
circunsisi como li iudei.
In questa isola nasce la canfora, specie de balsamo,
la qualle nasce fra li arbori e la scorsa e menuta como
le remole. Se la se tiene discoperta, a poco a poco
diventa niente; e la chiamano capor. Lì nasce cannela,
gengero, mirabolani, neranci, limoni, chiacare, meloni,
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
cogomari, zuche, rapani, cevole scarlogne, vache, bufali,
porci, capre, galine, oche, cervi, elefanti, cavali e altre
cose. Questa isola è tanto grande che si sta a circundarla
con uno prao tre mezi. Sta de latitudine al polo artico
in cinque gradi e uno carto e in cento e setantasei e dui
tersi de longitudine de la linea repartitionale e se chiama
Burne.
Partendone de questa isola, tornassemo indrieto per
truvare uno loco apto per conciare le navi, pcrché facevano acqua. Una nave, per poco vedere del suo piloto,
dete in certi bassi d’una isola deta Bibalon, ma con lo
aiuto de Dio la liberassemo. Uno marinaro de quella nave, non avedendose, despavilò una candella in una barille pien de polvere de bombarda. Subito la tolse fora sensa danno nissuno. Seguendo poi lo nostro camino, pigliassemo uno prao pienno de cochi che andava a Burne. Li omini fugirono in una isoleta. Finché pigliassemo
questo, tre altri fugirono de drieto da certe isollete.
Al capo de Burne fra questa e una isola deta Cimbonbon, che sta in octo gradi e sette menuti, è uno porto
perfecto per conciare navi; per il che entrassemo dentro e, per non avere tropo le cose necessarie per conciare
le navi, tardassemo quarantadui giorni. In questi giorni
ognuno de nui se afaticava chi in una cosa chi in un’altra,
ma la magior fatica avevamo era andar far legna ne li boschi senza scarpe. In questa isola sonno porci salvatici:
ne amazassemo uno de questi con lo batello ne l’acqua,
passando de una isola in un’altra, lo qualle aveva lo capo
longo dui palmi e mezo e li denti grandi. Gli sonno cocodrili grandi cussì de terra como de mare, ostrighe e cape de diverse sorte; fra le altre no trovassemo due: la carne de l’una pezò vintisei libre e l’altra quarantacatro. Pigliassemo uno pesce che avevva lo capo como uno porco, con dui corni; el suo corpo era tuto d’uno osso solo;
aveva sovra la schena como una sella ed era picolo. Ancora qui se trova arbori che fanno la foglia. Quando ca-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
scano sonno vive e caminano. Quelle foglie sonno né più
né meno como quelli del moraro, ma non tanto longhe.
Apresso el pecolo de una parte e de l’altra hanno dui piedi. Il pecollo è corto e pontivo. Non hanno sangue e chi
le toca, fugino. Io ne teni una nove giorni in una scatola. Quando la apriva, questa andava intorno intorno per
la scatola. Non penso vivono de altro se non de arie.
Essendo partiti de questa isola, cioè del porto nel
capo de quella isola Pulaoan, incontrassemo uno ionco
che veniva da Burne, nel qualle era lo govvernatore de
Pulaoan. Li facessemo segno amainasse le velle e, lui
non volendole amainare lo pigliassemo per forsa e lo
sachegiassemo. Se ’l governatore volse essere libero,
ne dete in termino de sette giorni quatrocento mesure
de rizo, vinti porci, vinti capre e centocinquanta galine.
Poi ne apresentò cochi, fighi, canne dolci, vazi de vino
de palma e altre cose. Vedendo nui la sua liberalità,
gli rendessemo alguni sui pugnalli e archibusi. Poi li
donassemo una bandniera, una vesta de damasco giallo e
15 bracia de tella; a uno suo figliolo una capa de panno
lazuro e uno fratello del govvernatore una vesta de panno
verde e altre cose. Se partissemo da lui como amici e
tornassemo indrieto fra la isola de Cagaian e quel porto
de Cippit. Pigliando lo Camino a la carta del levante
verso siroco per trovare le isolle de Maluco, pasassemo
per certi monticelli circa de li qualli trovassemo lo mare
pienno de erbe con lo fondo grandissimo. Quando
pasavamo per questi, ne pareva intrare per uno altro
mare. Restando Chipit al levante, trovassemo due isolle
Zolo e Taghima al ponente, apresse de le qualle nascono
le perle. Le due del re de Burne forono trovatte quivi
e le ebe, como ne fo referito, in questo modo. Questo
re pigliò per moglie una figliola dei re de Zolo, la qualle
li disse como suo padre aveva queste due perle. Costui
se deliberò averli in ogni modo. Andò una nocte con
cinquecento prao pigliò lo re con dui sui figlioli e menòli
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
a Burne. Se ’l re de Zolo se volse liberare, li fu forsa darli
le due perle.
Poi, al levante carta del grego, pasassemo fra dui
abitatione dete Cauit e Subanin e una isola abitata deta
Monoripa, longi 10 leghe da li monticeli. La gente de
questa hanno loro case in barche e non abitano altrove.
In quelle due abitatione de Cauit e Subanin, li qualli
sonno ne la isola de Butuan e Calaghan, nasce la meglior
canella che si possa trovare. Se stavamo ivi per dui giorni,
ne carigavano le navi, ma, per avere bon vento a pasare
una ponta e certe isollete che erano circa de questa, non
volessemo tardare; e, andando a la vella, baratassemo
disisette libre per dui cortelli grandi avevamo tolti al
govvernatore de Pulaoan. L’arbore de questa cannella
è alto tre o catro cubiti e grosso como li diti de la mano;
e non ha più de tre o catro rameti. La sua foglia è como
quella del lauro; la sua scorsa è la cannella. La se coglie
due volte a l’anno. Così è forte lo legno e le foglie,
essendo verde, como la cannella. La chiamano caiumana:
caiu vol dire ’legno’ e mana ’dolce’, cioè ’legno dolce’.
Pigliando lo camino al grego e andando a una cità
grande detta Maingdanao, la qualle è nella isola de Butuan e Calaghan, aciò sapessemo qualche nova de Maluco, pigliassemo per forsa uno biguiday (è come uno prao)
e amazassemo sette omini. In questo erano solum dizidoto omini disposti quanto alguni altri vedessemo in queste parte, tucti de li principali de Maingdanao. Fra questi uno ne disse che era fratello del re de Maingdanao e
che sapeva dove era Maluco. Per questo lasassemno la
via del grego e piglasemo la via de siroco. In uno capo
de questa isola Butuan e Caleghan, apresso de uno fiume, se trovammo omini pelozi, grandissimi combatitori e
arceri. Hanno spade larghe uno palmo; mangiano si non
lo core de l’uomo crudo con sugo de neranzi o limoni; e
se chiamano Benaian, ’li pelosi’. Quando pigliassemo la
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
via del siroco stavano in sei gradi e sete menuti a l’artico
e trenta leghe lungi de Cauit.
Andando al siroco, trovassemo quatro isolle Ciboco,
Biraham Batolach. Sarangani e Candighar. Uno sabato
de nocte a vintisei de octobre, costeando Birahan Batolach, ne assaltò una fortuna grandissima, per il che pregando Idio abassasemo tucte le velle. Subito li tri nostri
sancti ne : aparsero descaciando tuta la scuritate. Sancto Elmo stette più de due ore in cima la gabia como una
torcia, sancto Nicolò in cima de la mezana e sancta Chiara sovra lo trincheto. Prometesemo uno schiavo a sancto
Elmo, a sancto Nicolò e a sancta Chiara: gli dessemo a
ognuno la sua elemosina. Seguendo poi nostro viagio, intrassemo in uno porto in mezo de le due isolle Saranghani e Candighar e se afermassemo al levante apresso una
abitatione de Sarangani, ove se trova oro perle. Questi
populi sonno gentili e vano nudi como gli altri. Questo
porto sta de latitudine in cinque gradi e nove menuti e
longi cinquanta leghe de Cauit.
Stando quivi, uno giorno pigliassemo dui piloti per
forsa, aciò ne insegnaseno Maluco. Facendo nostro viagio fra mezogiorno e garbìn, pasassemo per octo isole
abitate e desabitate poste in modo de una via, le quall se
chiamano Cheaua, Cauiao, Cabiao, Camanuca, Cabaluzao, Cheai, Lipan e Nuza, finché arivassemo in una isola posta in fine de queste molto bella al vedere. Per avere vento contrario e per non potere passare una ponta de
questa isola, andavamo de qua e de là circa de ella, per il
che uno de quelli avevamo pigliati a Saranghani e lo fratello del re de Maingdanao con uno suo figliolo picolo ne
la nocte fugirono nuotando in questa isola, ma il figliolo,
per non potere tenere saldo sovra le spalle de suo padre,
se enegò. Per non potere cavalcare la dicta punta, passasemo de soto de la isola, dove erano molte isolette. Questa isola tenne quatro re: raià Matandatu, raià Lalagha,
raià Bapti e raià Parabu: sonno gentili. Sta in tre gradi e
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
mezo a l’artico e 27 leghe longi de Saranghani; ed è detta
Sanghir.
Facendo lo medesimo camino, pasassemo zirca sei
isolle Cheama, Carachita, Para, Zanghalura, Ciau, lontana diece leghe da Sanghir (questa tenne uno monte alto, ma non largo; lo suo re se chiama raià Ponto) e Paghinzara, longi octo leghe da Ciau (la qualle ha tre montagne alte; lo suo re se chiama raià Babintau): tute queste isolle sono abitate da gentili. A levante de Cheama è
una isola detta Talaut. Poi trovassemo al levante de Paghinzara, longi dodici leghe, due isolle non molto grandi abitate dette Zoar e Meau. Passate queste due isolle,
mercore a’ sei de novembre, discopersemo quatro isolle
alte al levante, longi da le due cadordice leghe. Lo pilloto che ne era restato disse como quelle quatro isolle erano Maluco, per il che rengratiassemo Idio e per allegreza descaricassemo tuta la artigliaria. Non era de maravigliarsi se éramo tanto alegri, perché avevamo passati vintisette mesi manco dui giorni in cercare Malucho. Per
tutte queste isolle fin a Malucho, el menor fondo trovassemo era in cento e ducento bracia, al contrario como
dicevano li portughesi che quivi non si poteva navigare
per li gran bassi e il ciello obscuro como loro se avevano
imaginato.
Venere a’ octo de novembre 1521, tre ore inanzi lo tramontar del solle entrasemo in uno porto d’una isolla deta Tadore e, surgendo apresso terra in vinti bracia, descaricassemo tuta l’artigliaria. Nel giorno seguente venne lo re in uno prao a le navi e circundòle una volta. Subito li andasemo contra con lo batello per onnorarlo. Ne
fece intrare nel suo prao e sedere apresso de sé. Lui sedeva soto una umbrela de seta che andava intorno. Dinansi de lui era uno suo figliolo col scettro realle e dui
con dui vazi e’ oro per dare acqua a le mani e dui altri
con due cassetine dorate pienne de quelle betre. Lo re
ne disse fossemo li benvenutti e como lui ià gran tempo
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
se aveva sognato alquante nave vegnire a Maluco da luoghi lontani e, per più certificarsi, aveva voluto vedere ne
la luna e vite como venivano e che nui éramo quilli. Entrando lo re nelle navi, tucti li basaronno la mano. Poi
lo conducemo sovra la popa e, ne l’entrare dentro, non
se volsce abassare, ma entrò de sovra via. Facendolo sedere in una catedra de veluto rosso, li vestissemo una vesta de veluto iallo a la turchesca. Nui, per più suo onnore, sedevamo in terra apresso lui. Esendo tucti asentati,
lo re cominciò e disse lui e tucti sui populi volere sempre
essere fedelissimi amici e vassali al nostro re de Spagna
e acceptava nui como sui figlioli e dovescemo descendere in terra como ne le proprie case nostre, perché da qui
in avanti sua isola non se chiameria più Tadore ma Castiglia, per l’amore grande portava al nostro re suo signore. Li donassemo uno presente, qual fo la veste, la Catedra, una pessa de tella sotille, quatro bracia de panno de
scarlata, uno saglio de brocato, uno de damasco) giallo,
alguni panni indiani lavorati de oro e de seta, una peza
de berania bianca, tella de Cambaia, dui bonnetti, sei filce de cristalo, dodici corteli, tre spechi grandi, sei forfice, sei petini, alquanti bichieri dorati e altre cose; al suo
figliolo uno panno indiano de oro e de seta, uno spechio
grande, uno bonnet e dui cortelli; a nove altri sui principali a ognuno uno panno de seta, bonneti e dui cortelli;
e a molti altri a chi bonneti e a chi cortelli dessemo, infin che ’l re ne disse dovessemo restare. Dopo ne disse
lui non aver altro si non la propria vita per mandare al
re suo signore e dovessemo nui più apropincarse a la cità
e, se alguno veniva de nocte a le navi, li amazassemo con
li schiopeti. Partendosse de la popa, mai se volce abassare. Pigliata la lissentia, discarecassemo tucte le bombarde. Questo re è moro e forsi de quarantacinque anni,
ben facto, con una presentia realle e grandissimo astrologo. Alora era vestito d’una camiseta de tella bianca sotilissima con li capi de le manighe lavorati d’oro e de uno
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
pano de la cinta quasi fina in terra; ed era descalso. Aveva intorno lo capo uno velo de seta e sovra una girlanda
de fiori; e chiamasse raià sultan Manzor.
Domenica a’ 10 de novembre, questo re volse intendere quanto tempo era se éramo partiti de Spagna e lo
soldo e la quintalada ne dava il re a ciascuno de nui; e
voliva li dessemo una firma del re e una bandiera reale
perché, da qui inanzi, la sua isola e un’altra chiamata Tarenate, de la qualle se ’l poteva coronare uno suo nepote deto Colanoghapi, farebe tucte due serianno del re de
Spagna; e, per onnore del suo re, era per combatere insino a la morte; e, quando non potesse più resistere, veniria in Spagna lui e tucti li sui in uno ionco faceva far de
nuovo, con la firma e bandera reale, perciò da gran tempo era suo servitore. Ne pregò li lasciassemo alguni omini, acio ognora se arecordasse del re de Spagna, e non
mercadantie perché loro non gli restarebenno. E ne disse voleva andare a una isola chiamata Bachian per fornire più presto le navi degarofali, perciò ne la sua non
erammo tanti de sechi fucero soficienti a carigar le due
nave. Ogi, per esser domenica, non volsemo contractare.
Il giorno festigiato da questi populi è lo nostro vennere.
Acciò vostra illustrissima signoria sapia le isolle dove nascono li garofali, sonno cinque: Tarenatte, Tadore, Mutir, Machian e Bachian. Tarenate è la principalle,
quando viveva, lo suo re signorigiava casi tucte le altre.
Tadore è quella dove éramo; tienne re. Mutir e Machian
non hanno re, ma se regenno a populo e, quando li dui
re de Tarenate e de Tadore fanno guera insieme, queste due li serveno de gente. La ultima è Bachian e tienne re. Tucta questa provintia dove nascono li garofali se
chiama Maluco. Non era ancora octo mesi che era morto in Tarenate uno Francesco Seranno portughese, capitanio generale del re de Tarenate contra lo re de Tadore. E operò tanto che constrinse lo re de Tadore donnare
una sua figliola per moglie al re de Tarenate e quasi tuc-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ti li figlioli de li principali per ostagio; de la qual figliola nascete quel nepote del re de Tadore. Poi, facta fra
loro la pace, essendo venuto, uno giorno Francesco Seranno in Tadore per contractare garofali, questo re lo fece velenare con quelle foglie de betre; e vivete si non catro iorni. Il suo re lo veleva far sepelire secondo le sue
lege, tua tre cristiani sui servitori non consentirono. Lo
qual lasciò uno figliolo e una figliola picoli de una donna che tolse in Iava Magiore e ducento bahar de garofoli. Costui era grande amico e parente del nostro fidel capitanio generale e fo causa de comoverlo a pigliar questa impresa, perché più volte, essendo lo nostro capitanio a Malaca, li aveva scripto como lui stava ivi. Don Manuel ià re de Portugal, per non volere acrescere la previsione del nostro capitanio generale solamente de uno testonne al mese per li sui bennemeriti, venne in Spagna
ed che da la sacra magestà tucto quello sepe demandare.
Passati 10 giorni dopo la morte de Francisco Seranno, il
re de Tarenate, deto raià Abuleis, avendo descaciato suo
gennero, re de Bachian, fu avelenato de sua figliola, moglie del decto re, soto ombra de voler concludere la pace
fra loro. Il qualle scampò solum dui giorni e lasciò nuove figlioli principali; li loro nomi sonno questi: Chechili
Momuli, Tadore Vumghi, Chechili Deroix, Cili Manzur,
Cili Pagi, Chialin Chechilini, Cathara, Vaiechu Serich e
Colanoghapi.
Luni a’ 1 de novembre, uno de li figlioli del re de Tarenate, Chechili Deroix, vestito de veluto rosso, venne a
li navi con dui prao sonnando con quelle borchie e non
volse alora entrare ne li navi. Costui teneva la donna, li
figlioli e le altre cose de Francisco Seranno. Quando lo
cognossemo, mandassemo dire al re se ’l dovevamo receverc, perché éramo nel suo porto. Ne rispose facessemo
como volevamo. Lo figliolo del re, vedendone star suspesi, se discostò alquanto da le navi. Li andasemo con
lo batello a presentarli uno panno de oro e de seta india-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
no con alquanti cortelli, spechi e forfice. Acceptòli con
uno poco de sdegno e subito se parti. Costui aveva seco
uno indio cristiano chiamato Manuel, servitor d’un Petro Alfonso de Lorosa portughese, lo qual, dopo la morte de Francesco Seranno, vene de Bandan a Taranate. Il
servitore, per sapere parlare in portughese, entrò ne le
nave e dissenne, se ben li figlioli del re de Tarenate eranno nemici del re de Tadore, niente de meno sempre stavano al servitio del re de Spagna. Mandasemo una lettera a Pietro Alfonso de Lorosa, per questo suo servitore,
dovesse vegnire senza suspecto nissuno.
Questi re teneno quante donne voleno, ma ne hanno
una per suo moglie principale e tutte le altre obedisconno a questa. Il re de Tadore aveva una casa grande fuore de la cità, dove estavano ducento sue donne de le più
principali con altretante le servivano. Quando lo re mangia, sta solo overo con la suo moglie principalle in uno
luoco alto como un tribunalle, ove pò vedere tucte le altre che li sedenno atorno e, a quella più li piace, li comanda vada dormire seco quela nocte. Finito lo mangiare, se lui comanda che queste mangiano insieme, lo fanno; si non ognuna va mangiare nella sua camera. Niuno
senza lisentia del re le può vedere e, se alguno è trovato o di giorno e de nocte apresso la caza del re, è amazato. Ogni famiglia è obligata de dare al re una e due figliole. Questo re aveva vintisei figlioli: octo maschi, lo
resto femine. Dinanzi a questa isola ne è una grandissima chiamata Giailolo, che è abitata de mori e da gentilli. Se troverano dui re fra li mori, sì como ne disse el
re, non aver avuto seicento figlioli e l’altro cinquecento e
venticinque. Li gentili non teneno tante donne, né viveno con tante superstitioni, ma adorano la prima cosa che
vedeno la matina quando esconno fora de casa per tuto
quel giorno. Il re de questi gentilli, deto raià Papua, è richissimo de oro e abita dentro ne la isola. In questa isola de Giailolo nascono, sovra sassi vivi, canne grosse co-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
mo la gamba, pienne de acqua molto buona da bere: ne
compravam assai da questi populi.
Marti a’ dudici de novembre, il re fece fare in uno giorno una casa ne la cità per la nostra mercantia. Gli la portassemo quasi tuta e, per guardia de quella, lasciassemo
tri omini de li nostri e subito cominciasemo a mercadantare in questo modo: per 10 bracia de panno rosso asai
bonno ne davano uno bahar de garofali (che è quatro,
cinque e sei libre; un quintale è cento libre); per quindici
bracia de panno) non tropo bonno un bahar, per quindice accette uno bahar, per trentacinque bichieiri de vetro
uno bahar (il re li ebe tucti); per dizisette cathili de cenaprio un bahar; per dizisete cathili de argento vivo uno bahar, per vintisei bracia de tella uno bahar, per vinticinque
bracia de tella più sotille uno bahar; per centocinquanta
cortelli uno bahar, per cinquanta forfice uno bahar; per
quaranta bonneti uno bahar; per 10 panni de Guzerati
uno bahar; per tre de quelle sue borchie dui bahar; per
uno quintal de metalo uno bahar Tucti li spechi eranno
rocti e li pochi boni li li volse el re. Molte de quieste cose eranno de quelli iunci avevamo presi. La prestesa de
venire in Spagna ne fece dare le nostre mercantie per miglior mercato non avessemo facto. Ogni giorno venivano
a le navi tante barche pienne de capre, galine, fighi, cochi e altre cose da mangiare che era una maraviglia. Fornissemo li navi de acqua buona: questa acqua nasce calda, ma, se sta per spacio d’una ora fora de suo fonte, diventa frigidissima. Questo è perché nasce nel monte delli garofoli, al contrario como se diceva in Spagna l’acqua
esser portata a Maluco de longi parti.
Mercore lo re mandò suo figliolo, deto Mossahap,
a Mutir per garofoli, acciò più presto ne fornisseno.
Ogi dicessemo al re como avevamo pressi certi indii.
Rengratiò molto Idio e dicene li facessemo tanta gratia
gli dessemo li presoni perché li mdarebe nelle sue terre
con cinque omini de li sui per manifestare del re de
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
Spagna e de sua fama. Alora li donassemo li tre donne
pigliate in nome de la reina per la cagione ià detta. Il
giorno seguente li apresentassemo tucti li presoni salvo
quelli de Burne: ne che grandissimo piacere. Dapoi ne
disce dovessemo per suo amore amazare tucti li porci
avevamo ne le navi perché ne darebe tante capre e galine.
Gli amazassemo per farli piacere e li apicassemo soto
la covverta. Quando costoro per aventura li vedevano,
se coprivano lo volto per non vederli né sentire lo suo
odore.
Sul tardi del medesimo giorno vene in uno prao Pietro
Alfonso portughese e, non essendo ancora desmontato,
il re lo mandò a chiamare e, ridendo, disegli, se lui ben
era de Tarennate, ne dicesse la verità de tuto quello che li
domandassemo. Costui dice como ià sedizi anni stava ne
la India, ma 10 in Maluco, e tanti erano che Maluco stava
descoperto ascosamente ed era uno anno manco quindici
giorni che venne una nave grande de Malaca quivi e se
partite caricata de garofali, ma per li mali tempi restò in
Bandan alquanti mesi, de la qualle era capitanio Tristan
de Meneses portughese; e, como lui li demandò che nove
erano adesso in Cristianitatte, li disse como era partita
una armata de cinque navi de Siviglia per descoprire
Maluco in nome del re de Spagna, essendo capitano
Fernando de Magallianes portughese; e como lo re de
Portugallo, per dispecto che uno portughese li fosse
contra, avea mandatte alquante nave al capo de Bonna
Speransa e altre tante al capo de Sancta Maria (dove
stanno li Canibali) per vietargli lo passo; e como non lo
trovò. Poi il re de Portugalo aveva inteso como lo dicto
capitanio aveva passato per uno altro mare e andava a
Maluco. Subito scrisse al suo capitanio magiore de la
India, chiamato Diego Lopes de Sichera, mandasse sei
nave a Maluco, me, per causo del Gran Turco che veniva
a Malaca, non le mandò, perché li fu forsa mandare
contra lui sexanta velle al Streto de la Meca, nella Tera
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
de Iuda, li quali non trovorono altro, solum alcante
gallere in seco ne la riva de quella forte e bella cità
de Adem, le qualle tucte brusorono. Dopo questo,
mandava contro a nui a Maluco uno gran galeone con
due mani de bombarde, ma, per certi bassi e corenti de
acqua che sonno circa Malaca e venti contrari, non puoté
passare e tornò indrieto (lo capitanio de questo galione
era Francesco Faria portughese). E como erano pochi
giorni che una caravella con dui ionci erano stati quivi
per intendere de nui. Li unci andarono a Bachian per
caricare garofali con sette portughesi. Questi portughesi,
per noti avere respecto a le donne del re e de li suoi,
lo re li disce più volte non facessero tal cosa, ma loro,
non volendo restare, furono amazati. Quando quelli de
la caravella intezero questo, subito tornorono a Malaca
e lasciarono li iunci con catrocento bahar de garofoli e
tanta mercantia per comperare cento altri bahar. E como
ogni anno molti iunci veneno de Malaca a Bandan per
pigliare matia e nosce moscade, e da Bandan a Maluco
per garofali. E como questi populi vanno con questi sui
iunci da Maluco a Bandan in tre giornie e de Bandan
a Malaca in quindici. E como lo re de Portagalo ià 10
anni godeva Maluco ascosamente, aciò lo re de Spagna
no ’l sapesse. Costui stete con nui altri insino a tre ore de
nocte e discene molte altre cose. Operassemo tanto che
costui, prometendoli bon soldo, ne promisse de venire
con nui in Spagna.
Vennere a’ quindici de novembre, il re ne disce como
andava a Bachian per pigliare de quelli garofali lassatti
da li portughesi. Ne dimandò dui presenti per darli a li
dui gubernatori de Mutir in nome del re de Spagna e,
passando per mezo de le navi, volse vedere como tiravano li schiopeti, li balestre e li versi (che sono magiori d’uno arcabuso). Tirò lui tre volte de balestra perchì li piaceva più che li schiopeti. Sabato lo ro moro de Giailolo
vene a le navi con molti prao, al qualle donascemo uno
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
saio de domasco verde, dui bracia de panno rosso, spechi, forfice, cortelli, petini e dui bicheri dorati. Ne disce,
poiché éramo amici del re de Tadore, éramo ancora soi,
perché amavalo como uno proprio suo figliolo e, se mai
alguno de li nostri andasseno in sua terra, li farebe grandissimo onnore. Questo re è molto vechio e temuto per
tutte queste isole per essere molto potente; e chiamasse
raià Iussu. Questa isola de Iaialolo è tanto grando che
tardano catro mesi a circundarla con uno prao. Domenica matina, questo medesimo re venne a le navi e volse
vedere in che modo combatevamo e como scaricavamo
le nostre bombarde, dil che pigliò grandissimo piacere e
subito se partì. Costui, como ne fu detto, era stato ne la
sua ioventù gran combatitore.
Nel medesimo giorno andai in terra per vedere como
nascevano li garofali. Lo arburo suo è alto e grosso como
uno omo al traverso; e più e meno. Li sui rami spandeno
alquanto largo nel mezo, ma nel fine fanno in modo de
una cima. La suo foglia è como quella del lauro; la scorsa
è olivastra. Li garofoli veneno in cima de li ramiti diece o
vinti insieme. Questi arbori fanno sempre casi più d’una
banda che de l’altra segondo li tempi. Quando nascono,
li garofali sonno bianchi, maturi rossi e secchi negri. Se
coglieno due volte a l’anno: una de la natività del Nostro
Redemptore, l’altra in quella de sancto Ionne Baptista,
perché in questi dui tempi è più temperato l’arie, ma
più in quella del nostro Redemptore. Quando l’anno
è iù caldo e con manco pioge se coglienno trecento e
quatrocento bahar in ognuna de queste isolle. Nascono
solamente ne li monti e, se alguni de questi arbori sottili
sonno piantati al pianno apreso li monti, non viveno. La
suo foglia, la scorza e il legno verde è così forte como
li garofoli. Se non si coglieno quando sonno maturi,
diventano grandi e tanto duri che non è bono altro de
loro si non la suo scorsa. Non nascono al mondo altri
garofali si non in cinque monti de queste cinqtue isolle.
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
Se ne trovano ben alguni in Giailolo e in una isola picola
fra Tadore e Mutir detta Mare, ma non sonno buoni.
Vedevamo nui casi ogni giorno una nebula discendere
e circumdare mo l’uno mo l’altro de questi monti, per
il che li garofoli diventano perfecti. Ciascuno de questi
populi hanno de questi arbori e ognuno custodiscono
li sui, ma non li coltivano. In questa isola se trovano
alguni arbori de noce moscada: l’arbore è como le nostre
noghere e con le medesime foglie. La noce, quamudo
se coglie, è grande como uno codogno picolo, con quel
pelo e de medesimo colore. La sua prima scorza è grossa
como la verde de le nostre noce. Soto de questa è una
tella sotille, soto la qualle sta la matia rossisima rivolta
intorno la scorsa della noce e, de dentro de questa,
è la noce moscade. Le case de questi populi sonno
facte como le altre, ma non cussì alte da terra, e sonno
circundate de canne in modo de uno sieve. Queste
femine sonno bructe e vano nude como le altre. Con
quelli panni de scorca de arbore fanno questi panni in
tal modo: piglianno uno pezo de scorsa e lo lascianno ne
l’acqua finché diventa molle e poi lo bateno con legni e
lo fanno longo e largo como volemo. Diventa como uno
vello de seda cruda con certi filecti de dentro che pare
sia tesuto. Mangiano panne de legno de arbore como
la palma facto in questo mnodo: piglianno uno pezo
de questo legno mole e li cavano fuora certi spini negri
longhi; poi lo pestanno e così fanno lo panne. L’uzano
quasi solo per portare in mare e lo chiamano saghu.
Questi omini vano nudi como li altri, ma sonno tanto
gelosi de le sue moglie che non volevano andassemo nui
in terra con le braghete discoperte, perché dicevano le
sue donne pensare nui sempre essere in ordine.
Ogi giorno venivano de Tarenate molte barche caricate de garofali, ma, perché aspectavamo il re, non contractavamo altre si non victuvaglia. Queli de Tarenate se lementavamo molte perché non volevamo contractare con
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
loro. Domenica de nocte a’ vinticatro de novembre, venendo al luni, lo re vene suonando con quelle sue borchie e, passando per mezo li navi, discaricassemno molte bombarde. Ne disse infine a quatro giorni venirianno
molti garofali. Luni lo re ne mandò setecento e norantauno cathili de garofali senza levar la tara (la tara è pigliare le speciarie per manco de quel che pezanno, perché ogni giorno se secano più). Per essere li primi garofoli avevamo messi ne li navi, discaricassemo molte bombarde. Quivi chiamano li garofali ghomode, in Saranghani (dove pigliassemo li dui piloti) bonghalauan e in Malaca chianche.
Marti a’ vintisei de novembre, il re ne disce como non
era costume de alguno re de partirsi de sua isola, ma lui
se era partito per amore del re de Castiglia e perché andassemo più presto in Spagna e retornassemo con tante
navi che potessemo vendicare la morte de suo padre, che
fo amazato in una isola chiamata Buru e poi botato nel
mare. E dissenne como era uzansa, quando li primi garofoli eranno posti ne le navi overo ne li iunci, lo re fare uno convito a quelli de le navi e pregare lo suo dio li
conducessi salvi ne lo suo porto; e anche lo volìa far percagione del re de Bachian e uno suo fratello, che venivano per vizitarne. Faceva netare li vie. Alguni de nui
pensando qualche tradimento (perché quivi dove pigliavamo l’aca foreno amazati da certi de questi ascosi ne li
boschi tre portughesi de Francesco Seranno e perché vedevamo questi indi susurare con li nostri presoni), dicessemo contra alquanti volentorosi de questo convito non
si dovere andare in terra per conviti, ricordandogli de
quel’altro tanto infelice. Facessemo tanto se concluse de
mandare dire al re venisse presto ne le navi, perché volevamosi partire e consegnarli li catro omini promissi con
altre mercantie. Il re subito venne e, intrando ne le navi,
disse ad alguni sui con tanta fidutia entrava in queste como ne le sue caze. Ne disse esere grandamente spaven-
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
tato per volerne partire così presto, esendo il termine de
carigare le navi trenta giorni; e non esersi partito per farne algun mal, ma per fornire più presto li navi de garofoli; e como non si dovevamo partire alora, per non essere ancora lo tempo de navigare per queste isolle e per
li molti bassi se trovano zirca Bandan e perché facilmente averesemo potuto incontrarsi in qualche navi de portughesi; e, se pur era la nostra opignone de partirsi alora, pigliassemo tute le nostre mercadantie perché tucti li
re circumvicini direbenno il re de Tadore avere recevuti tanti presenti da uno si grande re e lui non averli dato
cosa alguna; e pensarebeno nui essersi partiti si non per
paura de qualche inganno e sempre chiamarebenno lui
per uno traditore. Poi fece portare lo suo Alcoranno e,
prima basandolo e metendoselo catro e cinque volte sovra lo capo e dicendo fra sé certe parolle (quando fanno cussì chiamano zambahean), disse in presentia de tucti che iurava per Alà e per lo Alcoranno aveva in mano
sempre volere essere fidelle amico al re de Spagna. Disse
tuto questo casi piangendo. Per le sue bonne parolle li
prometessemo de aspectare ancora quindici giorni. Alora li dessemo la firma del re e la bandera realle. Niente
di meno intendessemo poi per buona via alguni principali de queste isole averli dicto ne dovesse amazare, perché farebe grandissim piacere a li portughesi e como loro perdonnarianno a quelli de Bachian; e il re averli risposto non lo fara per cosa alguna, cognossendo lo re de
Spagna e avendone data la sua pace.
Mercore a’ vintisette de novembre, dopo disnare lo
re fece fare un bando a tuti quelli avevano garofali li
potesseno portare ne le navi. Tuto queste giorno e
l’altro contratassemo garofoli con gran furia. Venner sul
tardi vene lo govvernatore de Machian con molti prao.
Non volse desmontare in tera perché stavano ivi suo
padre e uno suo fratello banditi da Machian. Il giorno
seguente lo nostro re con lo gevvernatore suo nepote
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
entraronno ne le navi. Nui, per non avere più panno,
ne mandamo al re a tore tre bracia del suo e ne ’l dete,
lo qualle con altre cosse donnassemo al govvernatore.
Partendose, se discaricò molte bombarde. Dapoi lo re
ne mandò sei bracia de panno rosso, aciò lo donnasemo
al govvernatore. Subito lo li presentasserno, per il che
ne ringratiò molto e disse ne mandarebe assai garofoli.
Questo govvernatore se chiama Humar ed era forsi de
vinticinque anni.
Domenica primo de decembre, questo govvernatore
se partì. Ne fu deto il re de Tadore avergli dato panni
de seta e alguue de quelle borchie, aciò custui più presto
li mandasse li garofoli. Luni il re andò fuora de la isola
per garofoli. Mercore matina, per essere giorno de sancta Barbara e per la venuta del re, se descaricò tuta l’artigliaria. La nocte lo re venne ne la riva e volse vedere como tiravamo li rochetti e bombe de fuoco, dil che lo re
pigliò gran piacere. Iove e vennere se comperò molti garofoli cussì ne la cità como nelle navi: per catro bracia
de frizetto ne davano uno bahar de garofoli; per due cadenelle de latonne (che valevano uno marcello) ne detero cento libre de garofoli. Infine, per non aver più mercadantie, ognuno li dava chi le cape e chi li sagli e chi le
camise con altre vestimente per avere la sua quintalada.
Sabato tre figlioli dil re de Tarennate con tre sue moglie,
figliole del nostro re, e Pietro Alfonso portughese venironno a le navi. Donassemo a ’gni uno de li tre fratelli un
bichier de vetro dorato; a ie tre donne forfice e altre cose. Quando se partironno, forenno scaricate molte bombarde. Poi mandassemo in tera a la figliola del nostro re,
ià moglie dil re Tarenatte, molte cose, perché non volse
vegnire von le altre a le navi. Tutta questa gente, cussì
omini como donne, vanno sempre descalsi.
Domenica a’ octo di decembre, per essere giorno de
la Conseptione, se scaricò molte bombarde, rocheti e
bombe di fuoco. Luni sul tardi, lo re venne a le navi con
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
tre femine li portavano il betre (altri non pòne menare
seco donne se non il re). Dopo venne lo re de Iaialolo e
volse vedere nui un’altra fiata combatere insieme. Dopo
alquanti giorni, il nostro re ne disse lui assimigliare uno
fanciulo che latasse e cognocesse la sua dolce madre
e quella, partendosi, lo lassiare solo, magiormente lui
restare desconsolato, perché già ne aveva cognossuto
e gustato alcune cose di Spagna e perché dovevamo
tardare molto al retornare. Carissimamente ne pregò
li lasciassemo per sua defentione alquanti de li versi
nostri e ne avisò, quanto fossemo partiti, navigassemo
se non de giorno per li molti bassi sonno in queste
isolle. Li respondessemo, se volevamo andar in Spagna,
n’era forsa navigare de giorno e de nocte. Alora disse
farebe per nui ogni giorno oratione al suo idio, aciò
ne conducesse a salvamento, e dissene como doveva
venire lo re de Bachian per maritare uno suo fratello
con une de le sue figliole. Ne pregò volessemo far
alcuna festa in segno d’allegreza, ma non scaricassemo
le bombarde grosse, perché farebenno gran danno a le
navi per essere carigate. In questi giorni venne Pietro
Alfonso portughese con la sua donna e tute le altre sue
cose a stare ne le navi. De lì a dui giorni venne a le navi
Chechili Deroix, figliolo del re de Tarennate, in un prao
ben fornito e disse al portughese decendesse un poco
al suo prao. Li rispose non li voleva discendere, perché
veniva nosco in Spagna. Alora lui volse intrare ne le navi,
ma nui non lo volsemo lasciar intrare. Costui, per essere
grande amico del capitanio de Malaca portughese, era
venuto per pigliarlo e gridò molto a quelli stantiavano
apresso il portughese perciò lo avevano lasciato partire
sensa sua lisentia.
Domenica a’ quindici de decembre, sul tardi il re de
Bachian e il suo fratello vcnirono in uno prao con tre
mani de vogatori per ogni bamida. Eranno tucti cento e
vinti con molte bandiere de piuma de papagalo bianche,
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ialle e rosse e con molti soni de quelle borchie (perché
a questo sonni li vogatori voganno a tempo) e con dui
altri prao de donzelle per presentarle a la sposa. Quando
passarono apresso li navi, li salutassemo con bombarde
e loro, per salutarne, circumdorono li navi e il porto. Il
re nostro, per essere costume ningune re descendere ne
le terre de altrui, venne per congratularse seco. Quando
il re de Bachian lo viste venire, se levò dal tapeto ove
sedeva e posessi de una banda. Il nostro re non volse
sedere sovra lo tapeto, ma da l’altra parte, e così niuno
stava sopra lo tapeto. Il re de Bachian dete al nostro re
cinquecento parolle perché desse sua figliola per moglie
al suo fratello. Queste patolle sonno panni de oro e
de seta facti ne la Chiina e molti preciati fra costoro.
Quando uno de questi more, li altri soi, per farli più
onnore, se vestonno de questi panni. Danno per uno
de questi tre bahar de garofali, e più e meno secondo che
sonno.
Luni il nostro re mandò uno convito al re de Bachian
per cinquanta donne, tucte vestite de panni de seta de
la cinta fina al genochio. Andavano a due a due con
uno omo im mezo de loro. Ognuna portava uno piato
grande pienno de altri piatelli de diverse vivande. Li
omini portavano solamente lo vino in vazi grandi. Dieze
donne de le più vechie eranno le maciere. Andarono in
questo modo fina al prao e apresentarono ogni cosa al
re, che sedeva sovra lo tapeto soto uno baldachino rosso
e giallo. Tornando costoro indi‹etr›o, pigliarono alguni
de li nostri e, se loro volsero essere liberi, li bisognò
darli ‹qua›lche sua coseta. Dopo questo il re nostro ne
mandò capre, cochi, vino e altre cose. Ogi metessemo le
velle nove a le navi, ne le qualle era una croce de Sancto
Iacobo de Galitia con litere che dicevano: «Questa è la
figura de la nostra bomina ventura».
Marti donassemo ai nostro re certi pezi de artigliaria
como archibusi, che avevamo pigliati in questa India,
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
e alguni versi de li nostri con catro barili de polvere.
Pigliassemo quivi octanta botte de acqua per ciascuna
nave. Già cinque giorni lo re aveva mandato cento
omini a fare legna per noi a la isola di Mare, perché
convenivamo passare per ivi. Ogi lo re de Bachian con
molti altri de li suoi dicendete in terra per fare pace con
nui. Dinanzi a lui andavano quatro omini con stochi driti
in mano. Disse in presentia del nostro re e de tucti li
altri como sempre starebe in servitio del re de Spagna e
salvaria in suo nome li garofoli lasciati da li portughesi
finché venise un’altra nostra armata; e mai li darebe a
loro senza lo nostro consentimento. Mandò a donare
al re de Spagna uno schiavo, dui bahar de garofoli (gli
ne inamidava 10, ma le navi, per essere tropo cargate,
non li poterono portare) e dui ucceli morti belissimi.
Questi ucceli sonno grossi como tordi; hanno lo capo
picolo con lo beco longo; le sue gambe sono longhe
un palmo e sotilli como un calamo; non hanno ale ma,
in loco de quelle, penne longhe de diversi colori como
gran penachi; la sua coda è como quella del tordo; tute
le altre sue penne, eccepto le alle, sonno del colore de
taneto; e mai non volano se non quando è vento. Costoro
ne dicero questi ucceli venire dal paradiso terestre e le
chiamano bolon diuata, cioè «uceli de Dio». Ognuno
de li re de Maluco scrssero al re de Spagna che sempre
volevano eserli sui veri subditi. Il re de Bachian era
forsi de setanta anni e aveva questa uzansa: quando
voleva andare a combatere overo a fare qualche altra cosa
importante, prima si ’l faceva fare due o tre volte da uno
suo servitore, che no ’l teniva ad altro efecto si non per
queste.
Un giorno il nostro re mandò a dire a quelli nostri
che stavano ne la casa de la mercantia non andassero de
nocte fora de casa per certi de li sui omini che se ongeno
e vano de nocte e parenno siano senza capo. Quando
uno de questi truova una de li altri, li toca la mano e
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
li la onge un poco dentro. Subito cului se infirma e,
fra tre o quatro giorni, muore; e, quando questi trovano
tre o catro insieme, non li fanno altro male si non che
l’imbalordiscono; e che lui ne aveva facto impicare molti.
Quando questi populi fanno una casa de nuovo, prima li
vadanno ad abitare dentro, li fanno fuoco intorno e molti
conviti: poi atacano al teto de la casa un poco d’ogni cosa
se trova ne la isola, aciò non possino mai mancare tal
cose a li abitanti. In tucte queste isole se trova gingero:
noi lo mangiavamo verde como panne. Lo gingero non è
arbore, ma una pianta picola che pulula fuora de la terra
certi coresini longhi un palmo como quelle de le canne
e con le medesime foglie, ma più strecte e corte. Questi
coresini non valeno niente, ma la sua radice è il gengero
e non è cussì forte verde como seco. Questi populi lo
secano in calsina, perché altratmente non durarebe.
Mercore matina, per volerse partire de Maluco, il re
de Tadore, quel de Iaialolo, quel de Bachian e uno figliolo del re de Tarennate, tucti erano venuti per acompagnarne infino a l’isola de Mare. La nave Victoria fece vela e discostòsi alquanto aspectando la nave Trinitade, ma quella, non potendo levare l’ancora, subito fece
acqua nel fondo. Alora la Victoria tornò al suo luoco e
subito cominciamo a scaricare la Trinitade per vedere se
potevamo remediarli. Si sentiva venire dentro l’acqua como per un canone e non trovavamo dove la entrava. Tuto ogi ed el dì seguente non facessemo altro si non dare a
la bomba, ma niente li iovavamo. Il nostro re, intendendo questo, subito venne ne la nave e se afatigò per vedere
dove veniva l’acqua. Mandò ne l’acqua cinque de li suoi
per vedere se avesseno potuto trovare la sfissura. Steteno più de meza ora soto acqua e mai la trovarono. Vedendo il re costoro non potere iovare e ognora crescere
più la acqua, disse casi piangendo mandarebe al capo de
la isola per tre omini stavano molto soto acqua. Vennere matina, a bona ora venne lo nostro re con li tre omini
Storia d’Italia Einaudi
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
e presto mandòli ne l’acqua con li capilli sparsi, aciò con
quelli trovassero la sfissura. Costoro stetero una bonna
ora soto acqua e mai la trovarono. Il re, quando viste non
poterli trovare remedio, disse piangendo: «Che andaremo in Spagna dal mio Signore e darli nova di me?». Li
respondessemo li andarebe la Victoria per non perdere li
levanti (li qualli cominciavano) e la altra, fin se conciasse, espetarebe li ponenti e poi andaria al Darién, che è
ne l’altra parte del mare, ne la tera de Diucatan. Il re ne
disse aveva duzentovinticinque marangoni che farebeno
il tuto) e li nostri, che restavano ivi, li tenirebe como sui
figlioli e non se afaticarebeno, se non dui in comandare
a li marangoni como dovescero fare. Diceva queste parolle con tanta pasionne che ne fece tucti piangere. Nui
de la nave Victoria dubitando se aprisse la nave per essere tropo caricata, la ligerissemo de sexanta quintali de
garofoli e questi facesemo portare ne la casa dove eranno li altri. Alguni de la nostra nave volsero restare quivi
per paura che la nave non potesse durare fin in Spagna,
ma molto più per paura de morire de fame.
Sabato a’ vintiuno de decembre, giorno de san Tomaso, il re nostro venne a le navi e ne consignò li dui piloti avevamo pagati perché ne conducessero fora de queste
isolle dissene como alora era bon tempo da partirse, ma,
per lo scrivere de li nostri in Spagna, non si partissemo
si non a mezodì. Venuta l’ora, le navi pigliarono lisentia
l’una de l’altra con scaricare le bombarde e pareva loro
lamentarsi per la sua ultima partita. Li nostri ne acompagnarono un poco con loro batello e poi, con molte lagrime e abraciamenti, se dispartissemo. Lo govvernatore
del re venne con nui infino a la isola de Mare. Non fussemo cossì presto ionti, comparseno quatro prao caricati
de legna e, in manco d’una ora, caricassemo la nave e subito pigliassemo la via del garbìn. Quivi restò Ioan Carvaio con cinquantatré personne de li nostri. Nui éramo
quarantasette e tredici indi. Questa isola de Tadore ten-
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ne episcopo e alora ne era uno de quarantacinque anni
che aveva quaranta moglie e assaissimi figlioli.
In tucte queste isolle de Maluco se trovano garofoli,
gengero, sagu (ch’è ’l suo panne di legno), riso, capre,
oche, galine, cochi, fighi, mandolle più grosse de le nostre, pomi granati dolci e garbi, naranci, limoni, batate,
mele de ape picoll como formiche (le qualli fanno la melle ne li arbori), canne dolci, olio de coco e de giongioli,
meloni, cocomari, zuche, uno fructo refrescativo grande
como le angurie deto comulicai e uno altro fructo casi como lo persico deto guaue e altre cose da mangiare. E se
li trovano papagali de diversa sorte, ma fra le altre alguni bianchi chiamati cathara e alguni tucti rossi decti nori; e uno de questi rossi vale un bahar de garofoli e parlarle più chiaramente che li altri. Sonno forsi cinquanta
anni clhe questi mori abit‹ano› in Maluco: prima li abitavano gentilli e non apreciavano li garofoli. Gli ne sonno ancora alguni, ma abitano ne li monti dove nasconon
li garofoli.
La isola de Tadore sta de latitudine al polo artico
in vintisete menuti e de longitudine de la linea de la
repartitione in cento e sesantauno grado e longi de la
prima isola de l’arcipelago, detta Zamal, nove gradi e
mezo a la carta dei mesoiorno e tramontana verso grego
e garbìn; Tarenate sta de latitudine a l’artico in dui
tersi; Mutir sta pontualmente socto la linea equinoctialle;
Machian sta al polo antartico in un quarto e Bachian
ancora lui a l’antartico in un grado. Tarenate, Tadore
Mutir e Machian sonno quatro monti alti e pontivi ove
nascono li garofoli. Essendo in queste quatro isole, non
se vede Bachian, ma lui è magiore de ciascuna de queste
quatro isolle e il suo monte de li garofoli non è cussì
pontivo como li altri, ma più grande.
Vocabuli de questi populi muori
1 Al suo idio – Alla
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
2 al cristiano – naceran
3 al turco – rumno
4 al moro musulman – isilam
5 ai gentille – caphre
6 al sue meschite – mischit
7 a li sui preti – maulana, catip, mudin
8 a li omini sapienti – horan pandita
9 a li omini sui devoti – mosssai
10 a le sue cerimonie – zambahehan de ala meschit
11 al padre – bapa
12 a la madre – mama ambui
13 al figliolo – anach
14 al fratello – saudala
15al fratello de questo – capatin muiadi
16 al germano – saudala sopopu
17 a l’avo – ninny
18 al socero – minthua
19 al genero – minanthu
20 a l’omo – horan
21 a la femina – poranpoan
22 a li capili – lambut
23 al capo – capala
24 al fronte – dai
25 a l’ochio – matta
26 a le ciglie – quilai
27 a le palpebre – cenin
28 al nazo – idon
29 a la boca – mulut
30 a li labri – bebere
31 a li denti – gigi
32 a le gengive – issi
33 a la lingua – lada
34 al palato – langhi
35 al mento – aghai
36 a la barba – iangut
37 a li mostachi – missai
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
38 a la macella – pipi
39 a la orechie – talingha
40 a la golla – laher
41 al colo – tundun
42 a le spale – balachan
43 al peto – dada
44 al core – atti
45 a la mamela – sussu
46 al stomaco – parut
47 al corpo – tundunbutu
48 al membro – botto
49 a la natura de le donne – bucchij
50 a l’uzare con loro – amput
51 a le nalghe – buri
52 a le cosce – taha
53 a la gamba – mina
54 al schinco de la gamba – tula
55 a la sua polpa – tilor chaci
56 a la cavechia del piè – buculai
57 al calcagna – tumi
58 al piede – batis
59 a le solle del piede – empachaqui
60 a la ongia – cuchu
61 al bracio – langhan
62 al gomedo – sichu
63 a la mano – tanghan
64 al dito grosso de la mano – idum tanghan
65 al secondo – tunguà
66 al terso – geri
67 al carto – mani
68 al quinto – calinchin
69 al rizo – bugax
70 al coco in Maluco e in Burne – biazzao
71 in Lozon – nior
72 in Iava Magiore – calambil
73 al figo – pizan
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
74 a le canne dolce – tubu
75 a le batate – gumbili
76 a le radice como ravi – ubi
77 a le ciacare – mandicai sicui
78 al melone – antimon
79 a le angurie – labu
80 a la vaca – lambu
81 al porco – babi
82 al bofalo – carbau
83 a la pecora – birj
84 a la capra – cambin
85 al galo – sambunghan
86 a la galina – aiambatina
87 al caponne – gubili
88 a l’ovo – talor
89 a l’occato – itich
90 a l’oca – ansa
91 a l’uccelo – bolon
92 a l’elefante – gagia
93 al cavalo – cuda
94 al leonne – hurimau
95 al cervo – roza
96 al canne – cuiu
97 alle ape – haermadu
98 al melle – gulla
99 a la cera – lelin
100 a la candela – dian
101 al suo stopino – sumbudian
102 al fuoco – appi
103 al fumo – asap
104 a la cenere – abu
105 al cucinato – azap
106 al molto cucinato – lambech
107 a l’acqua – tubi
108 a l’oro – amax
109 a l’argento – pirac
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Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
110 a la pietra preciosa – premata
111 a la perla – mutiara
112 a l’argento vivo – raza
113 al metalo – tumbaga
114 al feto – baci
115 al piombo – tima
116 a le sue borchie – agun
117 a lo cenaprio – galuga sadalinghan
118 a l’argento – soliman davas
119 al panno de seta – cain sutra
120 al panno rosso – cain mira
121 al panne negro – cain itam
122 al panno bianco – cain pute
123 al panno verde – cain igao
124 al panno giallo – cain cunin
125 al bonnet – cophia
126 al cortello – pixao
127 a la forfice – guntin
128 al spechio – chiela min
129 al petine – sisir
130 al cristalino – manich
131 al sonaglio – grin grin
132 a l’annello – sinsin
133 a li garofoli – ghianche
134 a la cannela – caiumanis
135 al pevere – lada
136 al pevere longo – sabi
137 a la noce moscada – buapala gosoga
138 al filo de ramo – cauot
139 al piato – pingham
140 a la pignata – priu
141 a la scutela – manchu
142 al piato de legno – dulan
143 a la conca – calumpan
144 a le sue mesure – socat
145 a la terra – buchit
Storia d’Italia Einaudi
96
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
146 a la tera ferma – buchit tana
147 a la montagna – gonum
148 a la pietra – batu
149 a l’isola – polau
150 a un capo de tera – banium buchit
151 al fiume – sanghai
152 como se chiama questo? – apenamaito?
153 a l’oleo de coco – mignach
154 a l’oleo de giongioli – lana lingha
155 al sale – garan, sira
156 al muschio e al suo animale – castori
157 al legno che mangian li castori – comaru
158 a la sansuga – linta
159 al gibeto – iabat
160 al gato che fa lo gibeto – mozan
161 al reobarbaro – calama
162 al demonio – saytan
163 al mondo – bumi
164 al fromento – gandum
165 al dormire – tidor
166 a le store – tical
167 al cussino – bantal
168 al dolore – sachet
169 a la sanitate – bay
170 alla sedola – cupia
171 al sparaventolo – chipas
172 a li sui panni – chebun
173 a le camise – baiu
174 a le sue case – pati, alam
175 a l’anno – taun
176 al mese – bullan
177 al dì – alli
178 a la nocte – mallan
179 al tarde – malamari
180 al mezodì – tamhaharj
181 a la matina – patan patan
Storia d’Italia Einaudi
97
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
182 al solle – matahari
183 a la luna – bulan
184 a la meza luna – tanam patbulan
185 a le stelle – bintan
186 al ciello – langum
187 al trono – gunthur
188 al mercadante – sandagar
189 a le citade – naghiri
190 al castello – cuta
191 a la casa – ruma
192 al sedere – duodo
193 sedeti, gentilomo – duodo, orancaia
194 sedeti, omo da benne – duodo, horanbai et anan
195 signor – tuan
196 al puto – cana cana
197 a uno suo alievo – lascar
198 al schiavo – alipin
199 al sì – ca
200 al no – tida
201 a l’intendere – thao
202 al non intendere – tida taho
203 non me gardare – tida liat
204 guardame – liat
205 a essere una medesma cosa – casi casi, siama siama
206 al mazare – mati
207 al mangiare – macan
208 al cuchiaro – sandoch
209 a la magalda – sondal
210 grande – bassal
211 longo – pongian
212 picolo – chechil
213 corto – pandach
214 a l’avere – ada
215 al non avere – tida tida
216 signor, ascolta – tuan, diam
217 dove viene il ionco? – dimana aiun?
Storia d’Italia Einaudi
98
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
218 a la guchia da cusire – ialum,
219 al cusire – banan
220 al filo da cusire – pintal banan
220 al scufia del capo – dastar capala
221 al re – raia
223 a la reina – putli
224 al legno – caiu
225 al stentar – caraiar
226 al solassare – buandala
227 a la venna del bracio dove se salassa – urat paratanghan
228 al sangue che vien fuora del bracio – dara carval
229 al sangue buona – dara
230 quando stranutano diceno: ebarasai
231 al pece – ycam
232 al polpo – calabutan
233 a la carne – dagin
234 al corniolo – cepot
235 poco – serich
236 mezo – satanha sapanghal
237 al fredo – dinghin
238 al caldo – panas
239 longi – iau
240 a la verità – benar
241 a la bugia – dusta
242 al robare – manchiuri
243 a la rogna – codis
244 piglia – na
245 dame – ambil
246 grasso – gamuch
247 magro – golos
248 al capelo – tundun capala
249 quanti – barapa
250 una fiata – satu chali
251 uno bracio – dapa
252 al parlare – catha
Storia d’Italia Einaudi
99
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
253 a quivi – sini
254 a là – sana datan
255 bon iorno – salamalichum
256 al rispondere – alichum salam
257 signori, bon pro vi facia – mali horancaia macan
258 già ho mangiato – suda macan
259 omo, levati de lì – pandan, chita horan!
260 al disdisidare – banunchan
261 buona sera – sabalchaer
262 al risponder – chaer sandat
263 al dare – minta
264 a dare ad alguno – bripocol
265 a li cepi de fero – balanghu
266 oh como puza! – bossochini!
267 a l’omo iovene – horan muda
268 al vechio – tua
269 al scrivano – xiritoles
270 a la carta – cartas
271 al scrivere – mangurat
272 a la penna – calam
273 a l’inchiostro – dauat
274 al calamaro – padautan
275 a la letera – surat
276 non lo ho – guala
277 vien qui! – camarj!
278 che voletti? – appa mau?
279 che mandati? – appa ito?
280 al porto de onore – labuan
281 a la galia – gurap
282 a la nave – capal
283 a la proa – allon
284 a la popa – biritan
285 al navigare – belaiar
286 al suo arbore – tian
287 a l’antena – laiar
288 alle sartie – tamira
Storia d’Italia Einaudi
100
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
289 a la vella – leier
290 a la gabia – sinbulaia
291 a la corda de l’ancora – danda
292 a la ancora – sau
293 al batello – sanpan
294 al remo – daiun
295 a la bombarda – baiun
296 al vento – anghin
297 al mare – laut
298 uomo, vien qui! – horan, itu datan!
299 a li sui pugnali – calix, golog
300 al suo manico – daganan
301 a la spada – padan, gole
302 a la zorabotana – sumpitan
303 a le sue freze – damach
304 a l’erba venenata – sumpitan
305 al carcasso – bolo
306 a l’arco – bossor
307 le sue freze – anac paan
308 a li gati – cochin, puchian
309 al sorge – tieug
310 al legoro – buaia
311 a li vermi che mangiano le navi – capan, lotos
312 a l’amo da pescare – matacuir
313 a la sua esca – unpan
314 a la corda de l’amo – mundi
315 al lavare – mandi
316 non aver paura – iangan tacut
317 straca – lala
318 uno baso dolce – sadap, manis
319 a l’amico – saudara
320 al nemico – saubat
321 certo è – zonghu
322 al mercadantare – biniaga
323 non ho – auis
324 a essere amico – pugna
Storia d’Italia Einaudi
101
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
325 due cose – malupho
326 sì – oue
327 al rufo – zoroan, pagnoro
328 a darce piacere – mamami
329 a essere agrizato – amala
330 al mato – gila
331 a l’interprete – giorobaza
332 quanti lingagi sai? – barapa bahasa tau?
333 molti – bagna
334 al parlare de Malaca – chiaramalaiu
335 dove sta cului? – dimana horan?
336 a la bandiera – tonghol
337 adesso – sacaran
338 da matina – hozoch
339 l’altro giorno – luza
340 ieri – calamarj
341 al martelo – palmo colbasi
342 al chiodo – pacu
343 al mortaro – lozon
344 al pilone da pistare – atan
345 al balare – manarj
346 al pagare – baiar
347 al chiamare – panghil
348 a non essere maritato – ugan
349 a essere maritato – suda babini
350 tuto uno – samua
351 a la piogia – ugian
352 a l’ebraico – moboch
353 a la pelle – culit
354 a la bissa – ullat
355 al combater – guzar
356 dolce – manis
357 amaro – azon
358 como stai? – appa giadi?
359 benne – bay
360 malle – sachet
Storia d’Italia Einaudi
102
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
361 portame quello! – biriacan!
362 questo uomo è un poltrone – giadi hiat horan itu
363 basta – suda
Li venti
364 A la tramontana – iraga
365 al mezodì – salatan
366 al levante – timor
367 al ponente – baratapat
368 al griego – utara
369 al garbìn – berdaia
370 al maestrale – bardaut
371 al siroco – tunghara
Numero
372 Uno – satus
373 dui – dua
374 tre – tiga
375 catro – ampat
376 cinque – lima
377 sei – anam
378 sette – tugu
379 octo – duolappan
380 nove – sambilan
381 diece – sapolo
382 vinti – duapolo
383 trenta – tigapolo
384 quaranta – ampatpolo
385 cinquanta – limapolo
386 sexanta – anampolo
387 settanta – tuguppolo
388 octanta – dualapanpolo
380 novanta – sambilampolo
390 cento – saratus
391 duzendo – duaratus
392 trecento – tigaratus
393 quatrocento – anamparatus
Storia d’Italia Einaudi
103
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
394 cinquecento – limaratus
395 seicento – anambratus
396 setecento – tugurattus
397 octocento – dualanpanratus
398 novecento – sambilanratus
399 mille – salibu
400 duemillia – dualibu
401 tremillia – tigalibu
402 quatromille – ampatlibu
403 cinquemillia – limalibu
404 seimillia – anamlibu
405 settemillia – tugulibu
406 octomillia – dualapanlibu
407 novemillia – sanbilanlibu
408 dicccmillia – salacza
409 vintimillia – dualacza
410 trentamillia – tigalacza
411 quarantamillia – ampatlacza
412 cinquantamillia – limalacza
413 sesantamillia – anamlacza
414 settantamillia – tugulacza
415 octantamillia – dualapanlacza
416 novantamillia – sambilanlacza
417 centomille – sacati
418 ducentomillia – duacati
419 trecentomillia – tigacati
420 quatrocentomillia – ampatcati
421 cinquecentomillia – limacati
422 seicentomillia – anamcati
423 setecentomillia – tugucati
424 octocentomillia – dualapancati
425 novecentomillia – sambilancati
426 diece fiate centomillia – saiuta.
Storia d’Italia Einaudi
104
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
Tucti li cento, li mille, li diecemille, li centomille e
diece fiate centomille se congiungenno con il numero de
satus e dua, et cetera.
Andando al nostro camino, pasassemo fra queste isolle: Caioan, Laigoma, Sico, Giogi, Caphi (in questa isola
de Caphi nascono omini picoli como li nani, piacevoli, li
qualli sono pigmei e stanno subiecti per forsa al nostro
re de Tadore), Laboan, Tolimau, Titameti, Bachian ià
deto, Latalata, Tabobi, Maga e Batutiga. Passando fuora
al ponente de Batutiga, caminassemo fra ponente e garbìn e discopersemo al mezogiorno alquante isolete, per
il che li piloti de Maluco ne dicero se arivasse perciò ne
caciavamo fra molte isolle e bassi. Arivassemo al siroco e
descemo in una isolla che sta de latitudine al polo antartico in dui gradi e cinquantacinque leghe longi de Maltoco; e chiamasse Sulach. Li omini de questa sonno gentili e non hanno re; mangiano carne umana; vano nudi
cosi omini como femine, ma solamente portano un pezo de scorsa larga dui diti intorno la sua vergonia. Molte isolle sonno per quivi, ove mangiano carne umana; li
nomi de algune sono questi: Silan, Noselao, Biga, Atulabaou, Leitimor, Tenetun, Gondia, Pailarurun, Manadan
e Benaia. Poi costegiasemo due isole dete Lamatola e Tenetun. Da Sulach circa 10 leghe a la medesima via trovassemo una isola assai grande, ne la qualle se trova riso, porci, capre, galine, cochi, canne dolci, sagu uno suo
mangiare de fighi †...† el qualle chiamano chanali.
Longi da questa isola de Buru circa trentacinque leghe
a la carta del mezogiorno verso garbìn se truova Bandan.
Bandan è dudice isole. In sei de queste nasce la matia
e nosce moscada e li nomi loro sono questi: Zoroboa
(magiore de tucte le altre), Chelicel, Samianapi, Pulae,
Pulurun e Rosoghin. Le altre sei sono queste: Unuveru,
Pulau Baracan, Lailaca, Manucan, Man e Meut. In
queste non si trovano nosce moscade, se non sagu, rizo,
cochi, fighi e altri fructi; e sonno vicine l’una de l’altra. Li
Storia d’Italia Einaudi
105
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
popuili de queste sonno mori e non hanno re. Bandan sta
de latitudine al polo antartico in sei gradi e di longitudine
de la linea repartitionalle in cento e sexantré gradi e
mezo e, per essere un poco fuora del nostro camino, non
fussemo ivi.
Partendone de quella isola de Baru a la carta del
garbìn verso ponente circa otto gradi de longitudine,
arivassemo a tre isolle una apresso l’altra, dette Zolot,
Nocemamor e Galiau. E, navigando per mezo di queste,
ne assaltò una gran fortuna, per il che facessemo uno
pelegrino a la Nostra Donna de la Guida e, pigliando a
popa lo temporale, dessemo in una isola alta e, inanci
aiungessemo ivi, se afaticassemo molto per le refeghe
decendevano de li sui monti e per li grandi corenti de
acqua. Li omini de questa isola sonno salvatici e bestialli:
mangiano carne umana e non hanno re; vanno nudi
con quella scorsa como li altri, se non quando vanno a
combatere portanno certi pezi de pelle de bufalo dinanzi
e de drietto e ne li fianchi, adornati con corniolli e denti
de porci e con code de pelle caprine atacate denanzi e
de drietto. Portano li capili in alto con certi petini de
cana longhi che li passano da parte a parte e li tieneno
alti; hanno le sue barbe rivolte in foglie e posti in canutti
de cann (cossa ridicula al vedere); e sonno li più bruti
sianno in questa India. Li sui archi e le sue freze sonno
de canna e hanno certi sachi facti de foglie de arbore, ne
li qualli portanno lo suo mangiare e bere. Le sue femine,
quando ne vistenno, ne venirono incontra con archi, ma,
dandoli alguni presenti, subito diventassemo sui amici.
Quivi tardassemo quindici giorni per conciare la nave ne
li costadi.
In questa isola se trova galine, capre, cochi, cera (per
una libra de fero vechio ne donorono quindici de cera)
e pevere longo e rotondo. Il pevere longo è como quelle
gatelle che fanno li nizolle quando è l’inverno. Il suo
arbure è come elera e atacasse a li arbori como quella,
Storia d’Italia Einaudi
106
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
ma le sue foglie sonno como quelle dil moraro; e lo
chiamano luli. Il pevere rotondo nasce como questo, ma
in spighe como lo fromentone della India, e se desgrana;
e lo chiamano lada. In queste parte sonno pienni li
campi de questo pevere, facti in modo de pergoladi.
Pigliassemo quivi uno omo aciò ne conducesse ad alguna
isola avesse victuvaria. Questa isola sta de Latitudine al
polo antartico in octo gradi e mezo e cento e sesantanove
e dui terzi de longitudine de la linea repartitionalle e
chiamasse Malua.
Ne disse il nostro piloto vechio de Maluco como
apresso quivi era una isola chiamata Arucheto, li omini e femine de la qualle non sonno magiori d’un cubito e
hanno le orechie grande como loro: de una fanno lo suo
lecto e de l’altra se copreno. Vanno tosi e tuttii nudi; corenno molto; hanno la voce sotille; abitano in cave soto
terra e mangiano pesce e una cosa che nasce fra l’arbore e la scorsa, che è bianca e rotonda como coriandoli de
confeto, deta ambulon; ma per li gran corenti de acqua e
molti basi non li andasemo.
Sabato a’ vinticinque de iennaro 1522, se partissemo
de la isola de Malua e, la dominica a’ vintisei, arivassemo
a una grande isola longi de quella cinque leghe fra mezodì e garbìn. Io solo andai in terra a parlare al magiore d’una vila deta Amaban, aciò ne desse victuvaria. Me
rispose ne darebe bufali, porci e capre, ma non si potessemo acordare, perché voleva molte cose per uno bufalo. Noi, avendone poche e costringendone la fame, retenessemo ne la nave uno principalle con uno suo figliolo
de un’altra vila deta Balibo; e, per paura non lo amazassemo, subito ne dette sei bufali, cinque capre e dui porci; e, per compire lo numero de diese porci e diece capre, ne dete uno bufalo, perché cusì l’avevamo dato taglia. Poi li mandassemo in tera contentissimi con tella,
panni indiani de seta e de bombaso, accete, cortelazi indiani, forfice, spechi e cortelli. Quel signore a cui andai
Storia d’Italia Einaudi
107
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
a parlare teniva solum femine lo servivano. Tutte vanno
nude como le altre e portano atacate a le orechie schione picole de oro, con fiochi de seta pendenti; e ne li braci hanno molte maniglie de oro e de latonne fin al cubito. Li omini vanno como le femine, se non hanno atacate
al colo certe cose de oro tonde como un tagliere e petini
de canna adornati con schione de oro posti ne li capili; e
alguni de questi portanno coli de zuche seche posti ne le
orechie per schione de oro.
In questa isola se truova lo sandalo bianco (e non
altrove), gengero, bufali, porci, capre, galine, rizo, fighi,
canne dolci, naranci, limoni, cera, mandolle, fazoli e
altre cose e papagali de diversi colori. De l’altra parte
de l’isola stano catro fratelli che sonno li re de questa
isola. Dove stavamo nui erano ville e alguni principalle
de quelle. Li nomi de li catro abitatione de li re sonno
questi: Oibich, Lichsana, Suai e Cabanaza. Oibich
è la magiore. In Cabanaza, sì como ne fu deto, se
truova asai oro in uno monte e comperano tute le sue
cose con pezetti de oro. Tuto lo sandalo e la cera che
contractano queli de Iava e di Malaca, contractano da
questa banda: aquì trovamo uno ionco de Lozon venuto
per mercadantare sandalo. Questi populi sonno gentilli
e, quando vanno a tagliare lo sandalo, como loro ne
discero, se li mostra lo demonio in varie forme e li dice,
se hanno bisogno de qualche cosa, li la demandino; per
la qualle aparitione stanno infermi alquanti giorni. Lo
sandalo si taglia a uno certo tempo de la luna, perché
altramente non sarebe bonno. La mercantia che vale
quivi per lo sandalo è panno rosso, Tella, accete, fero
e chiodi. Questa isola è tuta abitata e molto longa da
levante a ponente e poco larga de mezodì a la tramontana
sta de latitudine al polo antartico in diece gradi e cento e
settantacatro gradi e mezo di longitudine da la linea de la
repartitione; e se chiama Timor. In tutte le isolle avemo
trovate in questo arcipelago regna lo mal de santo Iop e
Storia d’Italia Einaudi
108
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
piu quivi che in altro luoco; e lo chiamano for franchi,
cioè «mal portughese».
Longi una giornata de qui tra il ponente e il maestrale, ne fu deto trovarse una isola in la qualle nasce assai
cannella e se chiama Ende (el suo populo è gentille e non
hanno re), e como sonno a la medesma via molte isolle
una dietro a l’altra infina a Iava Magiore e al Capo de Malaca, li nomi de le qualle sonno questi: Ende, Tanabutun,
Creuochile, Bimacore, Aranaran, Mani, Zumbaua, Lomboch, Chorum e lava Magiore (questi populi non la chiamano Iava, ma Iaoa). Le magiori ville sono in Iava sonno queste: Magepaher (il suo re, quando viveva, era magiore de tutte queste isolle e chiamavasse raià Patiunus),
Sunda (in questa nasce molto pevere), Daha, Dama, Gaghiamada, Minutaranghan, Cipara, Sidaiu, Tuban, Cressi, Cirubaia e Balli. E como Iava Minore essere la isola
de Madura e stare apresso Iava Magiore meza lega. Anco ne dissero, quando uno omo de li principali de Iava
Magiore more, se brusa lo suo corpo. La sua moglie più
principalle adornassi con girlande de fiori e fassi portare
de tre o catro omini sovra uno scanno per tuta quella vila
e, ridendo e confortando li sui parenti che piangeno, dice: « Non piangere perciò me vado questa cera a cennare
col mio caro marito e dormire seco in questa nocte». Poi
è portata al loco dove se brusa lo suo marito e lei, voltandosi contra li sui parenti e confortandoli un’altra fiata, se getta nel fuoco ove se brusa lo suo marito e, se questo non facesse, non saria tenuta donna da benne ne vera
moglie del marito morto. E como li ioveni de Iava, quando sono inamorati in qualche gentildonna, se ligano certi
sonagli con fillo tra il membro e la pelessina e vanno soto
le fenestre de le sue inamorate e, facendo mostra de orinare e squasando lo membro, sonano con quelli sonagli
e, fin tanto le sue inamorate odeno lo sono, subito quele veneno iù e fanno suo volere, sempre con queli sonagliti, perché loro donne se piglianno gran spasso a sen-
Storia d’Italia Einaudi
109
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
tirsi sonare de dentro. Questi sonagli sonno tucti coperti e più se copreno, più sonano. Il nostro piloto più vechio ne disse com in una isola deta Ocoloro, soto de Iava
Magiore, in quella trovarsi si non femine e quell impregnarsi de vento e poi, quando parturiscono, si ’l parto è
maschio, l’amazano; se è femina, lo alevano; e, se omini
vanno a quella sua isola, loro amazarli purch possianno.
Anco ne discero de soto de Iava Magiore verso la tramontana nel golfo de la Chiina, la qualle li antichi chiamano Signo Magno, trovarsi uno arbore grandissimo, nel
qualle abitano ucceli deti garuda, tanto grandi che portano un bufalo e uno elefante al luoco dove è l’arbore chiamato puzathaer, arbore caiu pauganghi, al suo fructo bua
pauganghi, el qualle è magiore che uno anguria. Li mori de Burne avevamo ne li navi ne discero loro averne veduto perché lo suo re aveva dui mandatigli dal regno de
Siam. Niun ionco né altra barca da tre o catro leghe se pò
aproximare al luoco de l’arbore per li grandi revolutione de acqua che sonno circa questo. La prima fiata che
si sepe de questo arbure, fu un ionco spinto da li venti
ne la rivolutione, il qualle tuto se disfece. Tutti li omini
se anegorono, ecceto uno puto picolo, il qualle, essendo
atacato sovra una tavola, per miraculo fo spinto apresso
questo arbore e, montato sovra lo arbore, non acorgendosi, se misse soto l’ala a uno de quelli ucceli. Lo giorno seguento, lo uccelo andando in tera e avendo pigliato un bufalo, il puto venne de soto a la ala al meglio puoté. Per custui se sepe questo e alora cognobero queli populi vicini li fructi trovavano per il mare essere de questo
arbore.
Il Capo de Malaca sta in un grado e mezo a l’antartico.
A l’oriente de questo capo, alongo la costa se trovano molte ville e citade, li nomi de algune sono questi: Cinghapola (che sta nel Capo Pahan), Calantan, Patani, Bradlun, Benan, Lagon, Cheregigharan, Tumbon,
Prhan, Cui, Brabri, Bangha, Iudia (questa è la cità dove
Storia d’Italia Einaudi
110
Antonio Pigafetta - Primo viaggio intorno al mondo
abita il re de Siam, el qualle chiamaasse Siri Zacabedera), Iandibum, Lanu e Langhonpifa. Queste citade sonno edificade como le nostre e subgecte al re de Siam. In
questo regno de Siam, ne le rive de li fiumi, sì como ne
fu deto, abitanno ucceli grandi, li quali non mangerianno de alguno animale morto sia portato ivi, se prima non
vienne un altro uccelto a mangiarli il cor; e poi loro lo
mangiano. Dopo Siam se trova Camogia (il suo re è deto
Saret Zacabedera), Chiempa (il suo re raià Brahaun Maitri). In questo loco nasce lo reubarbaro e se trova in questo modo: se acaodunano vinti o vinticinque omini insieme e vanno dentro ne li boschi. Quando è venuta la nocte, montano sovra li arbori sì per sentire l’odore del reobarbaro, conio amico per paura de leonni, elefanti e altre
fere; e, da quella parte dove è lo reubarbaro, il vento li
porta l’odore. Poi, venuto lo giorno, vanno in quella parte dove li è venuto il vento e lo cercano fin tanto lo trovano. Lo reobarbaro e uno arbure grosso putrefato e, se
non fosse cussì putrefacto, nomi darebe lo odore. Il megliore de questo arbore è la radice, niente di meno il legno è reobarbaro, el qual chiamano calama. Poi se truova
Cochi (el suo re è detto raià Seribumnipala). Dopo questo se trova la gran Chiina: il suo re è magiore de tuto el
mondo e chiamasse Santhoa raià, il qualle tenne setanta
re de corona soto de sé, alguni de li qualli hanno diece
e quindice re de corona de soto sé. El suo porto è detto
Guantan; fra le altre asaissime citade, ne ha due principalle dette Namchin e Comlaha, ne li qualli sta. Questo
re tienne catro sui principali apresso lo suo palatio, uno
verso il ponente, l’altro al levante, l’altro a mezodì e l’altro a la tramontana. Ognuno de questi danno audientia
se non a quelli che veneno de sua parte. Tucti li re e signori de la India Magiore e Superiore obediscono a questo re e, per segnalle che sianno sui veri vasali, ciascuna
ha in mezo de la sua piaza uno animale scolpito in marmore più galiardo che il leonne e chiamasse chinga. Que-
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sto chinga è lo figlio del dito re de Chiina e tucti quelli
che vanno a la Chiina convieneno avere questo animale
scolpito in cera in un dente de elefante, perché altramente non potriammo intrare nel suo porto. Quando alguno signore è inobediente a questo re, lo fanno scorticare
e secanno la pelle al solle con sale e poi la empienno de
paglia o de altro e lo fanno stare con lo capo basso e con
le mani ionte sovra lo capo in uno luoco eminente ne la
piaza, aciò alora si veda cului far zonghu, cioè riverentia.
Questo re non si lascia vedere de alguno e, quando lui
vole vedere li sui, cavalca per il palatio uno pavone facto maestralmente (cosa richissima), acompagnato da sei
donne de le sue più principalle vestite como lui, finché
entra in un serpente, deto nagha, rico quanto altra cosa
si possa vedere, il qualle è sopra la corte magiore del palatio. Il re e le donne entrano dentro, aciò lui non sia cognossuto fra le donne. Vede li sui per uno vedro grando che è nel pecto del serpente: lui e le donne se ponno
vedere, ma non si può discernere qual è lo re. Custui se
marita ne le sue sorelle aciò lo sangue realle non sia missidiato con altri. Circa lo sumo palatio senno sette cerche de muri e, fra ognuna de queste cerche, stano diecemillia omini che fanno la gardia al palatio, finché sona una campana. Poi vieneno diecemillia altri omini per
ogni cerca; e cusì se mudanno ogni giorno e ogni nocte.
Ogni cerca de muro ha una porta: ne la prima li sta uno
omo con uno granfionne in mano, deto satu horan con
satu bagan; nella seconda un canne, detto satu hain; nella
terza un omo con una maza ferata, dcto satu horan cum
pocum bicin; ne la quino uno omo con uno arco in mano, deto satu horan con anac panam; nella quinta un omo
con una lancia, deto satu horan con tumach; ne la sexta
uno leonne, deto satu horimau; nella septima dui elefanti
bianchi, detti duo gagia pute. In questo palatio li sonno
setantanove salle, dove stanno se non donne che serveno
al re e li sonno sempre torce accese. Se tarda uno iorno a
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sercare questo palatio. In cima de questo li sonno catro
salle, dove vanno alguna volta li principali a parlare al re:
una è ornata de metalo così de sete como de suvra; una
tuta de argento; una ttmta de oro e l’altra de perle e petre preciose. Quando li sui vassali li portanno oro o altre cose preciose per tributo, le butano per queste salle,
dicendo: «Questo sia a onnore e gloria del nostro Santhoa raià». Tute queste cose e molte altre de questo re ne
disse uno moro e lui averle vedute. La gente de la Chiina è bianca e vestita e mangiano sovra taule como nui; e
hanno croce, ma non si sa perché le tengonno. In questa Chiina nasce lo muschio: il suo animale è uno gato
como quelo del gibeto e non mangia altro se non un legno dolce, sotile como li diti, chiamato chamaru. Quando voleno far lo muschio, atacano una sansuga al gato e li
la lascianno atacata infin sia ben pienna de sangue: poi la
strucano in uno piato e meteno il sangue al solle per catro o cinque giorni. Poi lo bagnano con orina e il meteno altre tante fiate al solle; e cussì diventa muschio perfeto. Ognuno che tienne de questi animali convien pagare uno tanto al re. Quelli pezeti che parenno sian grani de muschio sonno de carne de capreto pestatagli dentro. Il vero muschio è se non il sangue e, se ben diventa in pezetti, se disfa. Al muschio e al gato chiamano castori e a la sansuga lintha. Seguendo poi la costa de questa Chiina, se trovano molti populi, che sonno questi: li
Chienchii, e stano in isole ne le qualli nasconno perle e
cannela; li Lechii, in tera ferma (sopra lo porto de questi traversa una montagna per la qual se convien desarburare tucti li ionchi e navi voleno intrare nel porto). Il
re Mom in terra ferma: questo re ha vinti re soto di sé ed
è obediente al re de la Chiina; la sua cità è deta Baranaci; quivi è il Gran Cataio orientalle. Han isola alta e frigida, dove se truova rnetalo, argento, perle e seta; il suo
re chiamasse raià Zotru. Mliiaula, el suo re è detto raià
Chetisirjmiga. Guio, lo suo re raià Sudacali. Tucti que-
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sti tre luoghi sonno frigidi e in terra ferma. Triaganba,
Trianga due isolle nelle qualle vieneno perle, metalo, argento e seta; il suo re raià Rrom. Bassi Bassa, terra ferma. E poi Sumbdit Pradit, due isole richisime de oro, li
omini de le qualle portanno una gran schiona de oro ne
la gamba sovra il piede. Apresso quivi, ne la tera ferma,
in certe montagne stano popoli che amazano li sui padri
e madre quando sonno vechi, aciò non se afaticono più.
Tucti li populi de questi luoghi sonno gentilli.
Marti de nocte, venendo al mercore, a’ undici de febraro 1522, partendone de la isola de Timor, se ingolfassemo nel grande nominato Laut Chidol e, pigliando lo
nostro camino tra ponente e garbìn, lasciasemo a la mano dricta a la tramontana, per pagura del re de Portogalo, la isola Zamatra (anticamente chiamata Traprobana),
Pegu, Bengala, Uriza, Chelin (nela qualle stanno li Malabari soto il re Narsingha), Calicut (soto lo medesimo
re). Cambaia (nela qualle sonno li Guzerati), Cananor,
Ghoa, Armus e tutta l’altra costa de la India Magiore. In
questa India Magiore li sonno sei sorte de omini: nairi,
panichali, yrauai, pangelini, macuai e poleai. Nairi sonno
li principali; panichali sonno li citadini (queste due sorte
de omini conversano insieme); irauai colgeno lo vino de
la palma e fighi; pangelinj sonno li marinari; macuai sonno li pescatori; poleai seminano e colgeno lo rizo. Questi abitanno sempre ne li campi; mai intrano in cità alguna e, quando se li dà alguna cosa, la se ponne in tera;
poi loro la piglianno. Costoro, quando vanno per le strade, cridano: «Po po po», cioè «Gardate da mi». Acadete, si como ne fu referito, uno nair essere toco per disgratia da un polea, per il che il nair subito se fece amazare,
aciò non rimanesse con quel desonnore. E per cavalcare lo Capo de Bonna Speranza, andassemo fin a quarantadui gradi al polo antartico. Stessemo sovra questo cavo nove setimane con le velle amainate per lo vento occidentale e maistralle per proa e con fortuna grandissima.
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Il qual capo sta de latitudine in trenquatro gradi e mezo
e mille e seicento leghe longi dal Capo de Malaca ed è lo
magiore e più pericoloso capo sia nel mondo. Alguni de
li nostri, amalati e sani, volevano andare a uno luoco de’
portughesi deto Mozanbich per la nave che faceva molta acqua, per lo fredo grande e, molto più, per non avere altro da mangiare se non rizo e acqua, perciò la carne avevamo avuta, per non avere sale, ne era putrefata.
Ma alguni de li altri, più desiderosi del suo onnore che
de la propria vita, deliberorono, vivi o morti, volere andare in Spagna. Finalmente, con lo aiuto de Dio, a’ sei
de magio pasassemo questo capo apresso lui cinque leghe: se non l’aproximavamo tanto, mai lo potevamo passare Poi navigassemo al maistrale dui mesi continui senza pigliare refrigerio alcuno. In questo poco tempo ne
morseno vintiuno omo: quando li butavamo nel mare, li
cristiani andavano al fondo con lo volto in suso e li indii sempre con lo volto in giù. E, se Dio non ne conduceva bon tempo, tucti morivamo de fame. Al fine, constrecti de la grande necesitade, andassemo a le isole de
Capo Verde. Mercore a’ nove de iulio agiungessemo a
una de queste deta Sancto Iacobo e subito mandasserno
lo batelo in tera per victuvaglia con questa inventione, de
dire a li portoghesi como ne era rocto lo trincheto soto
la lignea equinoctialle, benché fosse sovra lo Capo Bonna Speranza, e, quando lo conciavamo, lo nostro capitanio generalle con le altre due nave esersi andata in Spagna. Con queste bonne parolle e con le nostre mercadantie avessemo dui batelli pienni de rizo. Cometessemo a
li nostri del batelo, quando andarono in tera, doinandassero che giorno era. Ne discero como era a li portoghesi iove: se maravegliassemo molto perché era mercore a
nui e non sapevamo como avessemo erato. Per ogni iorno io, per essere stato sempre sanno, aveva scripto senza
nissuna intermissione. Ma, como dapoi ne fu deto, non
era erore, ma, il viagio facto sempre per occidente e ri-
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tornato a lo istesso luoco como fa il solle, aveva portato
quel vantagio de ore vinticatro, como chiaro si vede. Essendo andato lo batelo un’altra volta in tera per rizo, furonno retenuti tredici omini con lo batello, perché uno
de quelli, como dapoi sapesemo in Spagna, dice a li portughesi como lo nostro capitanio era morto e altri, e che
noi non osavamo andare in Spagna. Dubitandone de essere anco nui presi per certe caravelle, subito se partissemo. Sabato a’ sei de septcmbre 1522, intrassemo nella
baia de San Lùcar se non disdoto omini e la magior parte infermi. Il resto, de sexanta che partissemo da Maluco
chi morse de fame, chi fugite ne la isola de Timor e chi
furenno amazati per sui delicti. Dal tempo che se partissemo de questa baia fin al giorno presente avevamo facto
catordicimille e quatrocento e sexanta leghe e più, compiuto lo circulo del mondo del levante al ponente. Luni
a’ octo de septernbre butassemo l’ancora apreso lo molo de Seviglia e descaricassemo ttmta l’artigliaria. Marti nui tucti in camisa e discalci andassemo con una torcia
per uno in mano a visitare il luoco de Sancta Maria de la
Victoria e quella de Sancta Maria de l’Antiqua.
Partendomi de Seviglia, andai a Vagliadolit, ove apresentai a la sacra magestà de don Carlo non oro né argento, ma cose da essere assai apreciati da un simil signore.
Fra le altre cose li detti uno libro scripto de mia mano de
tucte le cose passate de giorno in giorno nel viagio nostro. Me partì de lì al meglio puotì e andai in Portagalo e
parlai al re don Ioanni de le cose aveva vedute. Passando per la Spagna, veni in Fransa e feci donno de algune
cose de l’altro emisperio a la madre dei cristianissimo re
don Francisco, madama la Regenta. Poi me venni ne la
Italia, ove donnai per sempre me medesimo e queste mie
poche fatiche a lo inclito e illustrissimo signor Filipo de
Villers Lisleadam, gran maestro de Rodi dignissimo.
Il cavalier Antonio Pagafetta
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