...

libro vii - Università della Terza Età > Home

by user

on
Category: Documents
106

views

Report

Comments

Transcript

libro vii - Università della Terza Età > Home
ASSOCIAZIONE CULTURALE IL GIARDINO DELLE MUSE
DOTT.SSA GIULIA FELISARI
“IN PRINCIPIO VI ERA OMERO...
VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELL’ILIADE E DELL’ODISSEA”
ANTOLOGIA OMERICA1
Selezione testi, riassunti, apparato di note e bibliografia a cura della dott.ssa Giulia
Felisari; traduzione dal greco di Rosa Calzecchi Onesti (Einaudi, 1977).
1
ILIADE
LIBRO I
Il poeta si rivolge alla Musa perché lo ispiri nella narrazione delle vicende
causate dall’ira dell’eroe Achille. I Greci, giunti ormai al decimo anno di
assedio della città di Troia, sono da tempo tormentati da una terribile
pestilenza: Achille, per conoscerne l’origine, convoca l’assemblea dei capi e
interroga l’indovino Calcante. Viene rivelato che il male è stato inflitto dal
dio Apollo per vendicare l’offesa arrecata al suo sacerdote Crise:
quest’ultimo, infatti, si era recato al campo greco per riscattare la figlia
Criseide, prigioniera del re Agamennone, ed era stato scacciato in modo
oltraggioso. Soltanto un grande sacrificio e la restituzione di Criseide al
padre placheranno il dio. Agamennone accetta di restituire la fanciulla a
patto che gli sia assegnato un altro premio di guerra, anche a costo di
sottrarlo agli altri capi greci. Achille protesta e accusa Agamennone di
avidità, il quale decide allora di prendersi Briseide, schiava di Achille.
L’eroe, sdegnato e adirato, si ritira dalla battaglia e si reca sulla riva del
mare, dove invoca l’aiuto della madre Teti. La dea, commossa dal dolore del
figlio, supplica Zeus di vendicare l’affronto. Il re degli dèi promette il suo
intervento: la guerra volgerà d’ora in poi a favore dei Troiani, cosicché i
Greci saranno costretti a pregare Achille di rientrare in battaglia.
PROEMIO
(vv. 1-52)
Canta, o dea2, l’ira d’Achille Pelide3,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei4,
gettò in preda all’Ade5 molte vite gagliarde
d’eroi, ne fece bottino dei cani,
Le nove Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine, erano protettrici delle arti e delle attività
intellettuali; qui il poeta si riferisce a Calliope, la musa ispiratrice della poesia epica.
3
É un patronimico, ossia un termine che designa la discendenza dal padre: Achille è figlio di
Peleo, re di Ftia, in Tessaglia, e della dea Teti.
4
Il termine designa propriamente una popolazione del Peloponneso, ma nei poemi omerici
viene spesso impiegato per indicare i Greci nel loro complesso.
5
Il regno dell’oltretomba, dominato appunto dal dio Ade.
2
1
di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva –
da quando prima si divisero contendendo
l’Atride6 signore d’eroi e Achille glorioso.
Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?
Il figlio7 di Zeus e Latona; egli, irato col re,
mala peste fe’ nascer nel campo, la gente moriva,
perché Crise l’Atride trattò malamente,
il sacerdote; costui venne alle navi rapide degli Achei
per liberare la figlia, con riscatto infinito,
avendo tra mano le bende8 d’Apollo che lungi saetta,
intorno allo scettro d’oro, e pregava tutti gli Achei
ma soprattutto i due Atridi9, ordinatori d’eserciti:
<<Atridi, e voi tutti, Achei schinieri robusti,
a voi diano gli dèi, che hanno le case d’Olimpo,
d’abbattere la città di Priamo10, di ben tornare in patria;
e voi liberate la mia creatura, accettate il riscatto,
venerando il figlio di Zeus, Apollo che lungi saetta>>.
Allora gli altri Achei tutti acclamarono,
fosse onorato quel sacerdote, accolto quel ricco riscatto.
Ma non piaceva in cuore al figlio d’Atreo, Agamennone,
e lo cacciò malamente, aggiunse comando brutale:
<<Mai te colga, vecchio, presso le navi concave,
non adesso a indugiare, non in futuro a tornare,
che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la benda del dio!
Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia
nella mia casa, in Argo, lontano dalla patria,
mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto.
Ma vattene, non m’irritare, perché sano e salvo tu parta>>.
Disse così, tremò il vecchio, obbedì al comando,
e si avviò in silenzio lungo la riva del mare urlante;
ma poi, venuto in disparte, molto il vegliardo pregò
il sire Apollo, che partorì Latona bella chioma:
<<Ascoltami, Arco d’argento, che Crisa11 proteggi,
e Cilla12 divina, e regni sovrano su Tènedo13,
É un altro patronimico: qui il poeta si riferisce ad Agamennone, figlio di Atreo, re di Argo
e di Micene. A lui è affidato il comando della spedizione greca contro Troia.
7
É il dio Apollo.
8
Si tratta dei paramenti sacri portati dai sacerdoti.
9
Il poeta si riferisce ad Agamennone e a suo fratello Menelao, entrambi figli di Atreo.
10
Mitico re di Troia; è il padre di Ettore e Paride.
11
Città della Misia, in Asia Minore, dove era presente il culto di Apollo.
12
Città della Troade, in Asia Minore, dove era presente il culto di Apollo.
13
Isola dell’Egeo orientale, vicina alla città di Troia, anche questa luogo di culto apollineo.
6
2
Sminteo14, se mai qualche volta un tempio gradito t’ho eretto,
e se mai t’ho bruciato cosce pingui
di tori o capre, compimi questo voto:
paghino i Danai15 le lacrime mie coi tuoi dardi16>>.
Disse così pregando: e Febo17 Apollo l’udì,
e scese giù dalle cime d’Olimpo, irato in cuore,
l’arco avendo a spalla, e la faretra chiusa sopra e sotto:
le frecce sonavano sulle spalle dell’irato
al suo muoversi; egli scendeva come la notte.
Si postò dunque lontano dalle navi, lanciò una freccia,
e fu pauroso il ronzίo dell’arco d’argento.
I muli colpiva in principio e i cani veloci,
ma poi mirando sugli uomini la freccia acuta
lanciava; e di continuo le pire dei morti ardevano, fitte.
ACHILLE E AGAMENNONE
(vv. 101-187)
[...] s’alzò fra loro
l’eroe figlio d’Atreo, il molto potente Agamennone,
infuriato; d’ira tremendamente i neri precordi
erano gonfi, gli occhi parevano fuoco lampeggiante;
subito guardando male Calcante gridò:
<<Indovino di mali, mai per me il buon augurio tu dici,
sempre malanni t’è caro al cuore predire,
buona parola mai dici, mai la compisci!
E adesso in mezzo ai Danai annunci profetando
che proprio per questo dà loro malanni il dio che saetta,
perch’io della giovane Criseide il ricco riscatto
non ho voluto accettare; molto io desidero
averla in casa, la preferisco a Clitemnestra18 davvero,
benché sposa legittima, ché in nulla è vinta da lei,
non di corpo, non di figura, non di mente, non d’opere.
Epiteto del dio Apollo, il cui significato non è ben chiaro. Secondo alcuni il termine
deriverebbe dal nome dell’antica città di Sminte, nella Troade.
15
Come il termine “Achei”, anche questo nome è spesso impiegato nei poemi omerici per
indicare i Greci nel loro complesso. La sua origine è connessa a Danao, mitico re di Argo.
16
Apollo è spesso rappresentato con arco e frecce: egli è, al tempo stesso, il dio che
allontana il male (padre di Asclepio, dio della medicina), e il dio che punisce con i suoi
infallibili dardi; tutte le morti improvvise erano ritenute effetto delle sue frecce.
17
Epiteto di Apollo; significa propriamente “luminoso”.
18
Sposa di Agamennone e sorella di Elena.
14
3
Ma anche così consento a renderla, se questo è meglio;
io voglio sano l’esercito, e non che perisca.
Però un dono, subito, preparate per me; io non solo
degli Argivi19 resti indonato, non è conveniente.
Dunque guardate tutti quale altro dono mi tocchi>>.
Lo ricambiò allora Achille divino piede rapido:
<<Gloriosissimo Atride, avidissimo sopra tutti,
come ti daranno un dono i magnanimi Achei?
In nessun luogo vediamo ricchi tesori comuni;
quelli delle città che bruciammo, quelli son stati divisi.
Non va che i guerrieri li mettano di nuovo in comune.
Ma ora tu cedi al dio questa; poi noi Achei
tre volte, quattro volte la riscatteremo, se Zeus
ci dia d’abbatter la rocca di Troia mura robuste>>.
Ma ricambiandolo disse il potente Agamennone:
<<Ah no, per quanto tu valga, o Achille pari agli dèi,
non coprire il pensiero, perché non mi sfuggi né puoi persuadermi.
Dunque pretendi – e intanto il tuo dono tu l’hai – che così
io me ne lasci privare, e vuoi farmi rendere questa?
Ma se mi daranno un dono i magnanimi Achei,
adattandolo al mio desiderio, che faccia compenso, sta bene;
se non lo daranno, io stesso verrò
a prendere il tuo, o il dono d’Aiace20, o quel d’Odisseo21
prenderò, me lo porterò via: ah! s’infurierà chi raggiungo.
Ma via, queste cose potremo trattare anche dopo:
ora, presto, una nave nera spingiamo nel mare divino,
raccogliamovi rematori in numero giusto, qui l’ecatombe22
imbarchiamo, la figlia di Crise guancia graziosa
facciamo salire; uno dei capi consiglieri la guidi,
o Aiace, o Idomeneo23, oppure Odisseo luminoso,
o anche tu, Pelide, il più tremendo di tutti gli eroi,
che tu ci renda benigno, compiendo il rito, il Liberatore24>>.
Ma guardandolo bieco Achille piede rapido disse:
<<Ah vestito di spudoratezza, avido di guadagno,
Anche questo termine è generalmente impiegato per indicare i Greci nel loro complesso.
Figlio di Telamone, re di Salamina; viene presentato da Omero come l’eroe greco secondo
soltanto ad Achille per forza e per coraggio sul campo di battaglia.
21
Re di Itaca, piccola isola nel mare Ionio; l’eroe greco sarà protagonista dell’Odissea, il
poema omerico che ne narra il lungo viaggio di ritorno in patria dopo la presa di Troia.
22
Questo termine indicava propriamente in Grecia un sacrificio di cento buoi; tuttavia la
parola viene spesso impiegata anche per indicare in modo più generico un sacrificio solenne.
23
Re di Creta, aveva seguito a Troia Agamennone.
24
É ovviamente il dio Apollo, adirato con i Greci.
19
20
4
come può volentieri obbedirti un acheo,
o marciando o battendosi contro guerrieri con forza?
Davvero non pei Troiani bellicosi io sono venuto
a combattere qui, non contro di me son colpevoli:
mai le mie vacche han rapito o i cavalli,
mai a Ftia dai bei campi, nutrice d’eroi,
han distrutto il raccolto, poiché molti e molti nel mezzo
ci sono monti ombrosi e il mare sonante.
Ma te, o del tutto sfrontato, seguimmo, perché tu gioissi,
cercando soddisfazione per Menelao25, per te, brutto cane,
da parte dei Teucri26; e tu questo non pensi, non ti preoccupi,
anzi, minacci che verrai a togliermi il dono
pel quale ho molto sudato, i figli degli Achei me l’han dato.
Però un dono pari a te non ricevo, quando gli Achei
gettano a terra un borgo ben popolato dei Teucri;
ma il più della guerra tumultuosa
le mani mie lo governano; se poi si venga alle parti
a te spetta il dono più grosso. Io un dono piccolo e caro
mi porto indietro alle navi, dopo che peno a combattere.
Ma ora andrò a Ftia, perché certo è molto meglio
andarsene in patria sopra le concavi navi. Io non intendo per te,
restando qui umiliato, raccoglier beni e ricchezze>>.
Lo ricambiò allora il sire d’eroi Agamennone:
<<Vattene, se il cuore ti spinge; io davvero
non ti pregherò di restare con me, con me ci son altri
che mi faranno onore, soprattutto c’è il saggio Zeus.
Ma tu sei il più odioso per me tra i re alunni di Zeus27:
contesa sempre t’è cara, e guerre e battaglie:
se tu sei tanto forte, questo un dio te l’ha dato!
Vattene a casa, con le tue navi, coi tuoi compagni,
regna sopra i Mirmίdoni28: di te non mi preoccupo,
non ti temo adirato; anzi, questo dichiaro:
poiché Criseide mi porta via Febo Apollo,
io lei con la mia nave e con i miei compagni
rimanderò; ma mi prendo Briseide guancia graziosa,
La spedizione greca contro Troia era stata organizzata da Agamennone per vendicare
l’onore del fratello Menelao, re di Sparta: la bellissima moglie Elena lo aveva infatti
abbandonato, fuggendo insieme al principe troiano Paride.
26
Il termine viene spesso impiegato nei poemi omerici per indicare i Troiani. La sua origine
è connessa a Teucro, capostipite dei re di Troia.
27
L’espressione sottolinea innanzitutto la discendenza divina di Achille, figlio della dea
Teti; in secondo luogo ricorda il legame tra la regalità e Zeus, re di tutti gli dèi.
28
Popolo della Ftiotide, in Tessaglia, governato da Achille.
25
5
andando io stesso alla tenda, il tuo dono, sì, che tu sappia
quanto son più forte di te, e tremi anche un altro
di parlarmi alla pari, o di levarmisi a fronte>>.
TETI
(vv. 348-361; 414-427; 493-510; 528-530)
[...] e Achille
scoppiando in pianto sedette lontano dai compagni, in disparte,
in riva al mare canuto, guardando l’interminata distesa,
e molto implorava la madre29, stendendo le mani:
<<Madre, poiché mi generasti a vivere breve vita,
gloria almeno dovrebbe darmi l’Olimpio
Zeus, che tuona sui monti; e invece per nulla m’onora.
Ecco, il figlio d’Atreo strapotente, Agamennone,
m’offende; m’ha preso e si tiene il mio dono: me l’ha strappato!>>
Diceva così versando lacrime: l’udì la dea madre,
seduta negli abissi del mare, vicino al padre vegliardo:
subito emerse dal mare canuto, come nebbia,
e si mise a sedere vicino a lui che piangeva,
lo carezzò con la mano e disse parole, diceva:
[...]
<<Ah! creatura mia, perché t’ho allevato, misera madre?
Almeno presso le navi senza lacrime, senza dolore
fossi, dopo che hai sorte breve, non lunga!
Ora votato a rapida morte e ricco di pene fra tutti
tu sei, ché a mala sorte ti generai nel palazzo.
Per dire questa parola a Zeus signore del tuono,
andrò io stessa all’Olimpo nevoso, se voglia ascoltare.
Ma tu, restando presso le navi, che vanno veloci,
contro gli Achei conserva l’ira, rinuncia a combattere.
Però Zeus verso l’Oceano, verso gli Etίopi30 senza macchia
ieri partì, per un pranzo; e tutti gli dèi lo seguivano;
al dodicesimo giorno ritornerà sull’Olimpo,
e allora t’andrò alla casa di Zeus, dalla soglia di bronzo,
lo supplicherò e penso che potrò persuaderlo>>.
[...]
Ma quando arrivò la dodicesima aurora dopo quel giorno,
É la dea Teti. Divinità marina, era una delle cinquanta Nereidi, figlie di Nereo e di Doride.
Popolazione abitante gli estremi confini meridionali della Terra; era particolarmente cara
agli dèi per la sua mitezza e per il suo senso della giustizia.
29
30
6
tornarono all’Olimpo gli dèi che vivono eterni,
tutti insieme, e il primo era Zeus; e Teti non scordò la preghiera
del figlio; ella emerse dall’onda del mare,
salì all’alba verso il gran cielo, all’Olimpo;
trovò il Cronide31 vasta voce seduto in disparte dagli altri
sopra la vetta più alta dell’Olimpo ricco di cime;
e dunque vicino a lui sedette, abbracciò le ginocchia
con la sinistra, e con la destra sotto il mento prendendolo,
parlò supplichevole al sire Zeus, figliuolo di Crono:
<<Zeus padre, se mai t’ho aiutato fra gli immortali,
o con parola o con fatto, compimi questo voto:
da’ onore al figlio mio, che morte precoce fra tutti
ebbe in sorte; e ora il signore di genti Agamennone
l’ha offeso, gli ha preso e si tiene il suo dono: gliel’ha strappato.
Dàgli tu gloria, dunque, olimpio saggio Zeus,
da’ la vittoria ai Troiani, fin quando gli Achei
onorino il figlio mio, lo riempiano di gloria!>>
[...]
[...] e con le nere sopracciglia il Cronide accennò;
le chiome ambrosie del sire si scompigliarono
sul capo immortale: scosse tutto l’Olimpo.
LIBRO II
Per esaudire la preghiera di Teti, Zeus invia ad Agamennone un falso sogno
che lo induca ad attaccare i Troiani: prevede, infatti, che nel corso della
battaglia i Greci avvertiranno la mancanza di Achille e rimpiangeranno di
averlo offeso. Viene convocata l’assemblea dei capi greci e si decide di
schierare l’esercito: un ampio catalogo descrive i Greci radunati nella piana
del fiume Scamandro. La dea Iride assume l’aspetto di uno dei fratelli del
principe troiano Ettore e lo informa dei preparativi nemici, esortandolo al
contrattacco. In chiusura sono elencate le forze troiane.
LIBRO III
I due eserciti sono ormai pronti alla battaglia. Il principe troiano Paride
avanza in prima fila, ma, atterrito dai nemici, si rifugia subito in mezzo ai
compagni. Soltanto dopo un aspro rimprovero da parte del fratello Ettore,
31
É un patronimico: Zeus, infatti, è figlio di Crono e di Rea.
7
egli accetta di affrontare in duello Menelao32: il vincitore avrà Elena e la
sua ricca dote. I soldati sospendono i combattimenti per assistere allo
scontro decisivo della guerra. Elena, esortata dalla dea Iride, si reca sulle
mura di Troia, dove incontra il re Priamo e i nobili anziani: osservando
dall’alto gli eroi greci, li presenta ricordandone la stirpe e la provenienza. Il
duello inizia, ma il suo esito è falsato dall’intervento di Afrodite: la dea
protegge Paride e lo trae in salvo portandolo via dal campo di battaglia; poi
costringe Elena a raggiungerlo nella loro casa. Menelao, infuriato, cerca
l’avversario, finché Agamennone dichiara che la vittoria spetta a lui.
I PATTI
(vv. 1-94)
E dunque, dopo che furono in ordine ciascuno coi capi,
i Teucri andavano con grida e richiami, come uccelli,
come sotto il cielo s’aggira il grido delle gru33,
che quando fuggon l’inverno, la pioggia infinita,
volano con gridi sulle correnti d’Oceano,
strage e morte portando ai Pigmei34:
all’alba danno esse la mala battaglia.
Ma gli altri andavano in silenzio, gli Achei che spirano furia,
bramosi in cuore d’aiutarsi l’un l’altro.
Come su vette di monti il Noto35 versa la nebbia,
non cara ai pastori, migliore della notte pel ladro,
di tanto uno spinge lo sguardo, di quanto tira una pietra;
così sotto i piedi loro s’alzava un nembo di polvere
mentre marciavano; ché molto in fretta passavano per la pianura.
E quando furono vicini, marciando gli uni sugli altri,
si fece davanti ai Troiani Alessandro36 bello come un dio,
con pelle di pantera sopra le spalle, con arco ricurvo
Vedi nota 25.
L’uso di entrare in battaglia con grida era tipico dei popoli orientali; qui Omero descrive
l’avanzata rumorosa dei Troiani paragonandola, attraverso un’elaborata similitudine, alla
migrazione delle gru verso i luoghi caldi all’inizio dell’inverno.
34
Popolazione variamente collocata dagli antichi (in Africa, in India, nell’estremo Nord...);
qui viene ricordata per la sua inimicizia verso le gru: il contrasto era nato a causa di una
pigmea, bellissima ma superba, che la dea Era aveva punito trasformandola appunto in una
gru; la donna cercò allora vanamente di riprendersi il proprio figlio attaccando i Pigmei.
35
É il vento del Sud, portatore di nebbie e di pioggia. I Greci entrano in battaglia
marciando in silenzio e sollevando una polvere simile alla nebbia condotta dal Noto.
36
Secondo nome del principe troiano Paride. Fratello di Ettore, è colpevole di aver
sottratto all’eroe greco Menelao la sua bellissima sposa, Elena, provocando così il conflitto.
32
33
8
e spada; e due lance a punta di bronzo
squassando, sfidava tutti i campioni degli Achei
a lottare in duello nella mischia orrenda.
Appena Menelao caro ad Ares37 lo vide
venire in fronte alla schiera a gran passi,
come gode leone38 che trovò grosso corpo,
se in cervo cornuto o in capra selvaggia s’imbatte
affamato, maciulla bramosamente, anche se
cani veloci e giovani forti lo cacciano;
così godè Menelao, Alessandro bello come un dio
vedendo con gli occhi; vendetta sperò sul colpevole.
Subito dal carro con l’armi saltò a terra.
Ma come lo scorse Alessandro bello come un dio
apparire fra i primi campioni, sbigottì in cuore,
indietro, verso i compagni si trasse, fuggendo la morte.
Come uno, veduto un serpente39, fa un balzo indietro
fra gole di monti, gli prende il tremore i ginocchi,
e fugge e il pallore gli invade le guance;
così di nuovo s’immerse tra il folto dei Teucri alteri,
temendo il figlio d’Atreo, Alessandro bello come un dio.
Ma Ettore40 lo assalì, ché lo vide, con parole infamanti:
<<Paride maledetto, bellimbusto, donnaiuolo, seduttore,
ah non fossi mai nato, o morto senza nozze!
sì, vorrei proprio questo, questo sarebbe meglio,
piuttosto ch’esser così, vergogna e obbrobrio degli altri...
Ahi! certo sghignazzano gli Achei dai lunghi capelli:
credevan che fosse gagliardo il capo, perché bellezza
è nell’aspetto, ma forza in cuore non c’è, non valore.
E tu così vile, su navi che vanno pel mare,
fatto viaggio per mare, raccolti compagni fedeli,
vissuto fra stranieri, portasti via bella donna
da una terra lontana, nuora d’uomini bellicosi,
al padre tuo grave danno e alla città e a tutto il popolo,
e godimento ai nemici, e infamia per te?
E non affronterai Menelao caro ad Ares?
Almeno saprai di che uomo hai la sposa fiorente!
E non ti salveranno la cetra e i doni d’Afrodite41,
Epiteto che designa il guerriero: infatti Ares è il dio della guerra.
Il poeta adopera l’immagine del leone affamato per descrivere i sentimenti di Menelao
alla vista di Paride: il desiderio di lotta, il coraggio e la fierezza sono gli stessi.
39
Altra similitudine, impiegata questa volta per descrivere il terrore di Paride.
40
Figlio del re Priamo, è il principale difensore della città di Troia.
41
É la dea dell’amore e della bellezza, protettrice di Paride e dei Troiani.
37
38
9
la chioma o la bellezza, quando rotolerai nella polvere.
Ma sono molto paurosi i Troiani, o da tempo
vestivi chitoni di pietre42 per tutto il male che hai fatto!>>
E gli rispose Alessandro bello come un dio:
<<Ettore – poiché secondo giustizia m’assali, non contro giustizia –
sempre il tuo cuore è inflessibile, come la scure43
che penetra il legno in mano d’uomo che ad arte
taglia scafo di nave, seconda lo sforzo dell’uomo:
così impassibile al timore l’anima è nel tuo petto.
Non rinfacciarmi gli amabili doni dell’aurea Afrodite:
nemmeno per te sono spregevoli i doni gloriosi dei numi,
quanti essi ne danno, nessuno può sceglierli44!
Ora però, se vuoi ch’io lotti e combatta,
fa’ sedere gli altri Troiani e tutti gli Achei;
me nel mezzo e Menelao caro ad Ares
mandate a lottare per Elena e tutti i beni.
Chi dei due vincerà, rimarrà superiore,
prendendosi tutti i beni e la donna, la porti a casa.
E voialtri, facendo amicizia e patti leali,
abitate la Troade terra feconda, essi ritornino
ad Argo45 che nutre cavalli, all’Acaia46 belle donne>>.
Disse così: molto gioì Ettore, grande proposta sentendo,
e portandosi in mezzo tratteneva le falangi dei Teucri,
pigliando pel mezzo la lancia: e tutti furono fatti sedere.
Ma contro di lui tendevano l’arco gli Achei dai lunghi capelli,
volevan colpirlo di frecce, scagliavano sassi:
allora gridò forte il sire di genti Agamennone:
<<Fermatevi, Argivi, non colpite, figliuoli degli Achei,
vuol dirci qualcosa Ettore elmo abbagliante!>>
Disse così: smisero quelli la lotta, stettero zitti
di colpo; Ettore parlò agli uni e agli altri:
<<Udite me, Troiani e Achei schinieri robusti.
Parola di Alessandro, per colpa del quale è nata la lite;
vuole che gli altri Troiani e tutti gli Achei
posino l’armi belle sopra la terra nutrice di molti,
Espressione proverbiale e metaforica per dire che sarebbe stato lapidato dal popolo.
Ancora una volta il poeta si serve di una similitudine per descrivere un comportamento
umano: in questo caso sono sottolineati il coraggio e il valore di Ettore.
44
A Paride fu imposto di giudicare chi fosse la più bella tra le dee Era, Atena e Afrodite:
egli scelse Afrodite che gli aveva promesso in dono la più seducente tra le donne, ossia
Elena: da quel momento la dea dell’amore diventa sua adiutrice.
45
Capitale dell’Argolide, regione del Peloponneso; è qui menzionata per indicare la Grecia.
46
Regione del Peloponneso; è qui menzionata per indicare la Grecia.
42
43
10
egli nel mezzo e Menelao caro ad Ares,
soli, combattano per Elena e tutti i beni.
Chi dei due vincerà, rimarrà superiore,
prendendosi tutti i beni e la donna, la porti a casa.
Noi altri facciamo amicizia e patti leali>>.
ELENA SULLE MURA
(vv. 121-165)
Ma Iride47 venne ad Elena braccio bianco, messaggera,
sembrando la cognata, la sposa dell’Antenorίde,
quella che il figlio d’Antènore, il potente Elicàone48, aveva,
Laodice, bellissima tra le figlie di Priamo.
La trovò nella sala: tesseva una tela grande,
doppia, di porpora, e ricamava le molte prove
che Teucri domatori di cavalli e Achei chitoni di bronzo
subivan per lei, sotto la forza d’Ares.
Standole accanto, Iride piede rapido disse:
<<Vieni qua, cara sposa, a vedere le azioni ammirande
dei Teucri domatori di cavalli e degli Achei chitoni di bronzo:
prima gli uni agli altri portavano guerra lacrimosa
nella pianura, bramando lotta e rovine,
ora stanno seduti in silenzio – la guerra è cessata –
appoggiati agli scudi, e l’aste lunghe sono infitte vicino.
Ma Alessandro e Menelao caro ad Ares
con l’aste lunghe lotteranno per te,
e tu del vincitore sarai la cara sposa>>.
Dicendo così, la dea le mise in cuore dolce desίo
del suo primo marito, dei genitori, della città...
Subito, di bianchi veli coprendosi,
mosse dalla stanza, versando una tenera lacrima:
non sola, ma la seguivano anche due ancelle49,
Etra figlia di Pitteo e Climene occhi grandi.
Giunsero in fretta dov’erano le porte Scee50.
E i compagni di Priamo, e Pàntoo e Timete,
e Lampo e Clitio e Icetàone rampollo d’Ares,
Ucalègonte e Antènore, l’uno e l’altro prudenti,
La dea Iride appare spesso nell’Iliade, con il ruolo di messaggera degli dèi.
Eroe troiano, figlio di Antènore e sposo di Laodice, una delle figlie del re Priamo.
49
Compagne di Elena già a Sparta, furono condotte a Troia da Paride.
50
Sono le celebri porte occidentali delle mura di Troia, teatro di numerosi episodi.
47
48
11
sedevano – gli Anziani51 – presso le porte Scee:
per la vecchiaia avevano smesso la guerra, ma parlatori
nobili erano, simili alle cicale52, che in mezzo al bosco
stando sopra una pianta mandano voce fiorita:
così sedevano i capi dei Troiani presso la torre.
Essi dunque videro Elena venire verso la torre,
e a bassa voce l’un l’altro dicevano parole fugaci:
<<Non è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti,
per una donna simile soffrano a lungo dolori:
terribilmente, a vederla, somiglia alle dee immortali!
Ma pur così, pur essendo sì bella, vada via sulle navi,
non ce la lascino qui, danno per noi e pei figli anche dopo!>>
Dicevano appunto così: e Priamo chiamò Elena a voce alta:
<<Vieni qui, figlia mia, siedi vicino a me,
a vedere il tuo primo marito, e gli alleati e gli amici:
non certo tu sei colpevole davanti a me, gli dèi son colpevoli,
essi mi han mosso contro la triste guerra dei Danai; [...] >>.
IL DUELLO
(vv. 314-420)
Ma Ettore figlio di Priamo e Odisseo glorioso
prima misurarono il campo, e poi
scossero le sorti in un elmo, per scegliere
chi lanciasse per primo l’asta di bronzo;
gli eserciti pregavano, tendevano le mani agli dèi,
e così ripeteva qualcuno fra i Teucri e gli Argivi:
<<Oh Zeus padre, signore dell’Ida53, gloriosissimo, massimo,
quegli che in mezzo a noi fe’ nascere questa guerra,
fa’ che costui discenda, morto, nei regni dell’Ade,
e nasca ancora fra noi amicizia e patto leale!>>
Dicevan così: Ettore grande, elmo abbagliante, scuoteva
guardando indietro; e subito venne fuori la sorte di Paride.
Gli altri allora sedettero in file, e vicino a ciascuno
Il poeta menziona qui alcuni nobili anziani della città di Troia: sono i saggi consiglieri che
accompagnano sempre il re Priamo e prendono parte alle decisioni importanti.
52
Le cicale sono animali canori per antonomasia e nel mondo greco antico vengono spesso
associate alle Muse, ispiratrici del canto poetico e depositarie della conoscenza: non ci
deve sorprendere, quindi, questa similitudine, con cui Omero paragona i discorsi dei saggi
anziani della città di Troia proprio al frinire delle cicale.
53
Montagna della Frigia, in Asia Minore, da cui gli dèi omerici osservano la piana di Troia.
51
12
stavano i cavalli zampe irrequiete e l’armi dipinte;
ma sulle spalle vestì l’armi belle
il glorioso Alessandro, sposo d’Elena bella chioma.
Prima intorno alle gambe si mise le gambiere
belle, munite d’argentei copricaviglia,
e poi intorno al petto indossò la corazza
del suo fratello Licàone: gli andava appunto bene;
s’appese alle spalle la spada a borchie d’argento,
bronzea, e poi lo scudo grande e pesante;
sopra la testa fiera pose un elmo robusto,
con coda equina: tremendo sopra ondeggiava il pennacchio;
pigliò una lancia forte, che s’adattava alla mano.
E nella stessa maniera Menelao battagliero vestì l’armatura.
Quando fuor dalla folla, di qua e di là, si furono armati,
s’avanzarono in mezzo ai Troiani e agli Achei,
guardando ferocemente; stupore teneva, a mirarli,
i Troiani domatori di cavalli e gli Achei schinieri robusti.
I due si fermarono vicini, nello spazio misurato,
scuotendo l’aste, irati l’un contro l’altro;
e prima Alessandro scagliò l’asta ombra lunga,
e colpì lo scudo dell’Atride tutto tondo.
Ma il bronzo non lo stracciò, si piegò la sua punta
dentro il valido scudo; allora si levò col bronzo
l’Atride Menelao, pregando il padre Zeus:
<<Zeus signore, fa’ che mi vendichi di chi primo m’ha fatto del male,
d’Alessandro glorioso, uccidilo per mia mano,
perché ciascuno tremi, anche degli uomini che saranno,
di far del male a un ospite ch’abbia mostrato amicizia>>.
Disse, e palleggiandola scagliò l’asta ombra lunga,
colpì lo scudo rotondo del figlio di Priamo;
passò l’asta greve traverso allo scudo lucente,
nella corazza lavorata s’infisse
e lungo il fianco, diritta, stracciò la tunica
l’asta; ma quello, chinandosi, fuggì la Moira54 nera.
L’Atride allora, traendo la spada a borchie d’argento,
l’alzò, colpì il frontale dell’elmo, ma intorno all’elmo
infranta in tre o quattro pezzi, la spada gli cadde di mano.
L’Atride gemette, rivolto al largo cielo:
<<Padre Zeus, nessuno dei numi è più rovinoso di te!
Le tre Moire sono le dee del fato: da loro dipende la durata della vita umana,
rappresentata metaforicamente dal filo che Cloto fila, Lachesi avvolge e Atropo
ineluttabilmente recide; qui il poeta si riferisce certamente ad Atropo.
54
13
Credevo che avrei punito del suo delitto Alessandro,
e mi si spezza in mano la spada, l’asta lontano
dalle mie mani fuggì inutile: non l’ho colpito>>.
Disse e l’afferrò con un balzo per l’elmo chiomato,
lo rigirò, si mise a tirarlo verso gli Achei schinieri robusti;
e lo stringeva alla tenera gola il cinghio trapunto,
teso sotto il mento, sbarra dell’elmo chiomato.
Ormai riusciva a tirarlo, e gloria infinita acquistava,
se pronta non lo vedeva la figlia55 di Zeus Afrodite,
che spezzò la correggia, cuoio di bove abbattuto.
Vuoto, dunque, l’elmo seguì la mano gagliarda,
e l’eroe fra gli Achei schinieri robusti
lo gettò roteandolo; i fidi compagni lo presero.
Egli si volse subito, impaziente d’ucciderlo
con la lancia di bronzo; ma lo sottrasse Afrodite,
agevolmente, come una dea!, e lo nascose in molta nebbia,
e lo posò nel talamo odoroso di balsami.
Poi andò per chiamare Elena: la trovò
sopra la torre alta; e le Troiane in folla l’erano intorno;
con la mano afferrando il velo nettareo, lo scosse,
e le parlò, sembrando vecchia antica
filatrice, che quando viveva a Lacedèmone56
filò per lei belle lane e grandemente l’amava.
Questa sembrando, parlò la luminosa Afrodite:
<<Vieni! Alessandro ti dice di tornare a casa:
è là nel talamo, sopra il lucido letto,
raggiante di vesti e bellezza; tu non potresti dire
che torna dal duello con un eroe, ma che a danza
muove o, dalla danza or ora tornato, riposa>>.
Disse così: a quella il cuore balzava in petto;
e certo, quando la bella gola della dea riconobbe
e il petto amabile e gli occhi lucenti,
restò sbigottita e disse parole, parlò così:
<<Ah sciagurata, perché vuoi sedurmi?
Certo ancora più avanti fra le città popolose
o della Frigia57 o della Meonia58 amabile mi spingerai,
se anche laggiù c’è qualcuno a te caro fra gli uomini...
Perché adesso Menelao, il divino Alessandro
Nell’Iliade la dea dell’amore è presentata come figlia di Zeus e di Dione; gli scrittori più
tardi la descrivono invece come nata dalla spuma del mare.
56
Altro nome della città di Sparta.
57
Regione dell’Asia Minore.
58
La Meonia era identificata con la regione della Lidia, in Asia Minore.
55
14
avendo battuto, me, l’odiosa, vuol ricondurre a casa,
per questo tu proprio adesso sei qui, meditando inganni?
Va’, siedi vicino a lui, lascia le strade dei numi,
non ritornare coi piedi tuoi sull’Olimpo,
soffri sempre intorno a lui, custodiscilo,
fino a quando ti faccia sua sposa, anzi schiava!
No, io non andrò là, sarebbe odioso,
per servire il suo letto! Dietro di me le Troiane
tutte faranno biasimo: pene indicibili ho in cuore>>.
Ma le rispose irata Afrodite divina:
<<Vile, non provocarmi, ch’io non m’offenda e ti lasci!
Tanto ti posso odiare, quanto finora t’amai fuor di modo,
odio funesto manderò fra i due popoli,
fra Teucri e Danai: e tu avrai mala fine>>.
Disse così: Elena, figlia59 di Zeus, tremò
e si mosse coprendosi col velo bianco, splendente,
in silenzio, e sfuggì a tutte le Troiane; la dea precedeva.
LIBRO IV
Gli dèi sono riuniti in assemblea: Era e Atena60 vogliono la ripresa delle
ostilità per far trionfare i Greci. Atena istiga l’eroe troiano Pandaro a
colpire Menelao: la freccia viene ovviamente deviata dalla dea, ma questo
atto basta a far considerare i Troiani dei traditori e a sciogliere la tregua
pattuita prima del duello tra Paride e Menelao. La guerra ricomincia.
LIBRO V
La battaglia divampa. Gli eroi greci e troiani combattono valorosamente tra
loro in numerosi duelli. Gli dèi partecipano attivamente al conflitto,
scendendo in campo al fianco degli schieramenti che prediligono.
Elena è figlia del re degli dèi, Zeus appunto, e di una mortale, Leda, regina di Sparta;
nonostante questi illustri natali, ella deve qui cedere al volere di Afrodite.
60
Le due dee sono ostili ai Troiani a causa del giudizio di Paride: il principe troiano, infatti,
preferì a loro la dea Afrodite ritenendola più bella; vedi nota 44.
59
15
LIBRO VI
I Greci sembrano avere la meglio. Il troiano Eleno consiglia al principe
Ettore di incoraggiare i compagni e di recarsi in città per chiedere alla
madre Ecuba di offrire un sacrificio alla dea Atena. Sul campo di battaglia
si scontrano Glauco61 e Diomede62: i due eroi scoprono però di essere legati
da un antico vincolo di amicizia e si astengono dal duello. Intanto Ettore,
dopo aver parlato con Ecuba, va in cerca di Paride e lo esorta a rientrare in
guerra. Raggiunge poi la moglie Andromaca: la sposa lo prega di lasciare le
armi e di restare con lei e con il figlio Astianatte; Ettore le ricorda che è
suo dovere combattere e difendere Troia, e ritorna in battaglia.
ELENO
(vv. 73-101)
E allora i Teucri di nuovo sotto gli Achei cari ad Ares,
vinti da codardia, rifuggivano a Ilio63,
se fattosi presso a Enea64 e a Ettore non diceva
Eleno65 Priamίde, l’ottimo fra gli indovini:
<<Enea, Ettore, poiché su di voi soprattutto il travaglio
dei Troiani e dei Lici66 riposa, ché siete i migliori
in ogni assalto a provvedere e a combattere,
fermatevi qui, trattenete l’esercito avanti alle porte,
gridando dappertutto, prima che in braccio alle donne
cadano, fuggendo, ne venga riso ai nemici.
Poi, quando tutte le file avrete raccolto,
noi, resistendo di nuovo, lotteremo coi Danai,
quantunque molto spossati, perché stringe il bisogno.
Ettore, tu frattanto sali in città e parla
alla madre tua e mia; conduca ella le Anziane
al tempio d’Atena67 occhio azzurro, in cima alla rocca;
Capo dell’armata dei Lici, alleati dei Troiani.
Figlio di Tideo, re di Argo; è uno degli eroi greci più forti e valorosi.
63
Altro nome della città di Troia; la sua origine è connessa al mitico Ilo, figlio di Tros,
appartenente alla stirpe di Teucro, considerato il fondatore della città.
64
Eroe troiano, figlio di Anchise e della dea Afrodite. Sarà il protagonista dell’Eneide di
Virgilio: dopo la caduta di Troia, egli fugge e peregrina a lungo nel Mediterraneo, finché non
raggiunge il Lazio e fonda la stirpe da cui discende l’imperatore romano Augusto.
65
Figlio del re Priamo e fratello di Ettore; è dotato di capacità profetiche.
66
Popolo dell’Asia Minore, alleato dei Troiani.
67
Figlia di Zeus e di Metis, è la dea dell’astuzia e della civiltà; è anche una dea guerriera, la
dea che protegge la rocca della città: per questo Eleno suggerisce di rivolgersi a lei.
61
62
16
si faccia aprir con la chiave le porte del sacro recinto,
e il peplo68 che il più grazioso le sembra e il più grande
fra quanti ha in casa, e le sia appunto il più chiaro,
ponga sulle ginocchia d’Atena chioma bella,
prometta che dodici vacche nel tempio,
d’un anno, non dome, immolerà, se avrà compassione
della città, delle spose dei Teucri, dei figli balbettanti,
se allontanerà il figlio69 di Tideo da Ilio sacra,
il combattente selvaggio, il duro maestro di rotta;
lo credo davvero il più forte in mezzo agli Achei;
neppure Achille tememmo mai tanto, il capo d’eroi,
che dicono nato da dea; troppo costui
infuria, e nessuno è capace di pareggiar la sua foga!>>
ETTORE E ECUBA
(vv. 237-285)
Ora, com’Ettore giunse alle porte Scee e alla quercia,
corsero subito intorno a lui le spose e le figlie dei Teucri,
a domandare dei figli, dei fratelli, e dei compagni
e degli sposi loro; egli esortò che pregassero i numi,
tutte, a una a una; ché a molte toccava sciagura.
Ma quando giunse alla bella dimora70 di Priamo,
adorna di lucidi portici – v’erano
in essa cinquanta stanze di pietra polita,
l’una vicino all’altra, dove i figlioli
di Priamo dormivano presso le spose amate;
dall’altra parte in faccia, nella corte, v’eran le dodici
stanze delle figliole, con tetto a terrazza, di pietra polita,
l’una vicino all’altra; là dove i generi
di Priamo dormivano presso le nobili spose –
incontro con tenerezza gli venne la madre71
che andava da Laodice, la sua figlia più bella;
ed essa gli prese la mano, gli disse parole, parlò così:
<<Figlio, perché sei venuto lasciando l’ardita battaglia?
Prodotto dell’attività muliebre della tessitura, è certamente un dono assai gradito alla
dea Atena, protettrice dell’artigianato in tutte le sue diverse espressioni.
69
É l’eroe greco Diomede.
70
Qui viene brevemente descritta la reggia di Priamo, con le sue numerose stanze: il re di
Troia aveva, infatti, moltissimi figli, nati dalle sue diverse mogli e concubine.
71
É la regina Ecuba.
68
17
Ah vi sfiniscono i figli degli Achei, maledetti,
lottando intorno alle mura! e il cuore ti ha spinto
che venissi ad alzare a Zeus dall’alta rocca le mani.
Ma aspetta, dunque, che porti vino dolcissimo,
perché tu libi72 al padre Zeus e agli altri immortali,
anzitutto; e poi fa bene anche a te se ne bevi;
molto accresce la forza il vino all’uomo spossato,
come tu sei spossato, che la tua gente difendi>>.
E le rispose il grande Ettore elmo abbagliante:
<<No, non offrirmi il dolce vino, nobile madre,
ché non mi privi il corpo di forza, e il vigore io dimentichi;
e poi vivido vino libare a Zeus con mani impure
non oso; non è permesso, al Cronide nube nera
rivolgere preci sporco di fango e di sangue!
Ma tu al tempio d’Atena Predatrice73
sali con offerte, e prima riunisci le Anziane;
e il peplo più splendido e grande
c’hai nella stanza, e che ti è appunto il più caro,
ponilo sulle ginocchia d’Atena chioma bella
e prometti che dodici vacche nel tempio,
d’un anno, non dome, immolerai, se avrà compassione
della città, delle spose dei Teucri, dei figli balbettanti,
se allontanerà il figlio74 di Tideo da Ilio sacra,
il combattente selvaggio, il duro maestro di rotta.
Su, dunque, al tempio d’Atena Predatrice,
tu sali, e io cercherò Paride per chiamarlo
se vuol sentirmi parlare; oh se qui stesso
la terra s’aprisse per lui! gran danno lo crebbe l’Olimpio75
per i Troiani e per Priamo magnanimo e i suoi figli:
e se dovessi vederlo scendere all’Ade,
dico che triste gemito si scorderebbe il cuore>>.
La libazione era nel mondo antico un rito di offerta alle divinità: più precisamente si
trattava di un’offerta di vino o di latte che veniva versato sul capo di una vittima destinata
al sacrificio oppure direttamente sull’altare consacrato alla divinità.
73
Epiteto di Atena, riferito probabilmente alla sua sfera militare e guerresca.
74
É l’eroe greco Diomede, che sta riuscendo ad avere la meglio sui Troiani.
75
Si riferisce a Zeus.
72
18
ETTORE E ELENA
(vv. 312-368)
Esse dunque pregavano la figlia76 del gran Zeus,
e intanto Ettore giunse alla dimora d’Alessandro,
bella, ch’egli si costruì con l’aiuto di quanti allora bravissimi
erano in Troia fertile zolla artefici fabbricatori;
questi gli fecero un talamo, una sala, un cortile,
accanto a Priamo e ad Ettore sull’alto della rocca.
Entrò Ettore amato da Zeus, e in mano
aveva l’asta di undici cubiti77; in cima splendeva la punta
di bronzo dell’asta, e intorno un cerchio d’oro correva.
E lo trovò nella stanza, che l’armi belle poliva,
lo scudo e la corazza; e tentava il curvo arco;
Elena argiva in mezzo alle donne sue schiave
sedeva, e comandava alle ancelle lavori mirabili.
Ettore come lo vide l’apostrofò con parole d’ingiuria:
<<Sciagurato, tanto corruccio male ti covi in cuore!
Muore la gente intorno alla città e all’alto muro
combattendo; per te strepito e guerra
circondano questa città; anche tu con un altro l’avresti,
se lo vedessi lasciare l’odiosa battaglia;
ma levati su, che presto la rocca non crolli nel fuoco nemico>>.
Allora gli disse Alessandro simile a un dio:
<<Ettore, poiché secondo giustizia m’assali, non contro giustizia,
per questo io parlerò; e tu comprendimi e ascolta;
non per ira o malanimo contro i Troiani, tanto
rimasi nel mio talamo; volevo sfogare il dolore.
La sposa, ora, parlandomi con soavi parole
m’ha incitato alla lotta, e pare anche a me che così
sarà meglio: cambia uomini la vittoria.
Dunque aspettami adesso: io vesto l’armi d’Ares.
Oppure va’, ché ti seguo; son certo di raggiungerti>>.
Disse così; nulla rispose Ettore elmo abbagliante.
Ma Elena gli si volse con parole di miele:
<<Cognato mio, d’una cagna maligna, agghiacciante,
ah m’avesse quel giorno, quando la madre mi fece,
afferrato e travolto un turbine orrendo di vento,
sopra un monte o tra il flutto del fragoroso mare;
É la dea Atena.
Un’arma di smisurata lunghezza (quasi cinque metri); il poeta vuole così sottolineare la
differenza tra Ettore, valoroso guerriero, e Paride, imbelle seduttore.
76
77
19
e il flutto m’avesse spazzato, prima che queste cose accadessero...
Ma dopo che gli dèi fissaron così questi mali,
avrei voluto essere almeno sposa d’un uomo più forte,
che fosse sensibile alla vendetta, ai molti affronti degli uomini.
Costui non ha ora cuor saldo e neanche lo avrà
certo mai; e temo che ne mieterà il frutto.
Ma tu vieni qui ora, siediti in questo seggio,
cognato, ché molti travagli intorno al cuore ti vennero
per colpa mia, della cagna, e per la follia d’Alessandro
ai quali diede Zeus la mala sorte. E anche in futuro
noi saremo cantati fra gli uomini che verranno... >>
Allora le rispose Ettore grande, elmo abbagliante:
<<Elena, se m’hai caro non farmi sedere, non puoi persuadermi;
già il mio cuore m’affanna, perch’io porti aiuto
ai Troiani, cui tanto rincresce la mia lontananza.
Piuttosto spingi costui e lui s’affretti,
e mi raggiunga finché sono ancora in città;
io voglio andare a casa, voglio vedere
i servi e la mia sposa e il figlio piccino;
non so se potrò ancora tornare fra loro,
o se gli dèi, fra poco, mi finiranno sotto mani achee>>.
ETTORE E ANDROMACA
(vv. 392-502)
E quando, attraversata la gran città, giunse alle porte
Scee, da cui doveva uscir nella piana,
qui la sposa ricchi doni78 gli venne incontro correndo,
Andromaca79, figliuola d’Eezίone magnanimo,
Eezίone, che sotto il Placo80 selvoso abitava
Tebe Ipoplacia81, signore di genti cilice;
la sua figlia appartiene ad Ettore elmo di bronzo.
Dunque gli venne incontro, e con lei andava l’ancella,
portando in braccio il bimbo, cuore ingenuo, piccino,
il figlio d’Ettore amato, simile a vaga stella.
Ettore lo chiamava Scamandrio82, ma gli altri
Il poeta allude alla dote che la sposa recava dalla casa paterna a quella del marito.
Sposa del principe troiano Ettore; è figlia di Eezίone, re della Cilicia, in Asia Minore.
80
Montagna della Misia, regione confinante con la Cilicia.
81
Città sulle pendici del monte Placo.
82
Significa “sacro allo Scamandro”, celebre fiume della Troade.
78
79
20
Astianatte83, perché Ettore salvava Ilio lui solo.
Egli, guardando il bambino, sorrise in silenzio:
ma Andromaca gli si fece vicino piangendo,
e gli prese la mano, disse parole, parlò così:
<<Misero, il tuo coraggio t’ucciderà, tu non hai compassione
del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto
sarò, presto t’uccideranno gli Achei,
balzandoti contro tutti: oh, meglio per me
scendere sotto terra, priva di te; perché nessun’altra
dolcezza, se tu soccombi al destino, avrò mai,
solo pene! Il padre non l’ho, non ho la nobile madre.
Il padre mio Achille glorioso l’ha ucciso,
e la città ben fatta dei Cilici ha atterrato,
Tebe alte porte; egli uccise Eezίone,
ma non lo spogliò84, ché n’ebbe tema in cuore;
e lo fece bruciare85 con le sue armi belle,
e gli versò la terra del tumulo86 sopra; piantarono olmi87 intorno
le Ninfe88 montane, figlie di Zeus egίoco89.
Erano sette i miei fratelli dentro il palazzo:
ed essi tutti in un giorno scesero all’Ade di freccia,
tutti li uccise Achille glorioso rapido piede,
accanto ai buoi gambe storte, alle pecore candide.
La madre – che regnava sotto il Placo selvoso –
poiché qui la condusse con tutte le ricchezze,
la liberò, accettando infinito riscatto,
ma là in casa del padre, la colpì Artemide90 arciera.
Ettore, tu sei per me padre e nobile madre
e fratello, tu sei il mio sposo fiorente;
ah, dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre,
Significa “signore della città”: è un omaggio a Ettore, difensore di Troia.
Viene sottolineato il rispetto mostrato da Achille verso il corpo del nemico ucciso: l’eroe
si attiene qui pienamente al codice di valori della società aristocratica.
85
La cultura funeraria omerica non conosce l’inumazione, ma soltanto l’incinerazione. Nel
mondo greco antico sono ampiamente attestati entrambi i tipi di sepoltura: la scelta
dell’una o dell’altra sembra fondamentalmente legata alle diverse tradizioni locali.
86
É il segno tangibile degli onori funebri e preserva la memoria del defunto.
87
Pianta legata al mondo dell’oltretomba.
88
Divinità femminili minori, a cui gli antichi facevano corrispondere le diverse parti del
mondo naturale (mare, sorgenti, fiumi, grotte, alberi, montagne...).
89
L’epiteto significa “portatore dell’egida”, il prodigioso scudo di Zeus fabbricato dal dio
Efesto con la pelle della capra Amaltea che nutrì il re degli dèi durante la sua infanzia.
90
Sorella del dio Apollo, è dea della natura e della caccia. Come il fratello, è spesso
rappresentata con arco e frecce ed è in grado sia di allontanare il male sia di provocarlo: la
morte improvvisa delle donne era solitamente spiegata con una freccia di Artemide.
83
84
21
non fare orfano il figlio, vedova la sposa;
ferma l’esercito presso il caprifico91, là dove è molto
facile assalir la città, più accessibile il muro;
per tre volte venendo in questo luogo l’hanno tentato i migliori
compagni dei due Aiaci92, di Idomeneo93 famoso,
compagni degli Atridi94, del forte figlio95 di Tideo:
o l’abbia detto loro chi ben conosce i responsi,
oppure ve li spinga l’animo stesso e li guidi!>>
E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:
<<Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo
rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo,
se resto come un vile lontano dalla guerra.
Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte
sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,
al padre procurando grande gloria e a me stesso.
Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore:
giorno verrà che Ilio sacra perisca,
e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia:
ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri,
non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,
e non per i fratelli, che molti e gagliardi
cadranno nella polvere per mano dei nemici,
quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo
trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:
allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tesser tela,
e portar acqua di Messeίde96 o Iperea97,
costretta a tutto: grave destino sarà su di te.
E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa:
“Ecco la sposa d’Ettore, ch’era il più forte a combattere
fra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio!”
Così dirà allora qualcuno; sarà strazio nuovo per te,
priva dell’uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano.
Morto, però, m’imprigioni la terra su me riversata,
prima ch’io le tue grida, il tuo rapimento conosca!>>
E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre:
Un fico selvatico; corrisponde ad un punto debole della cinta muraria di Troia.
Aiace Telamonio, figlio di Telamone, re di Salamina, e Aiace Oileo, figlio di Oileo, re della
Locride: il più celebre tra questi due eroi greci è certamente il primo.
93
Re di Creta.
94
Agamennone e Menelao.
95
Diomede.
96
Mitica sorgente della Laconia, regione del Peloponneso.
97
Sorgente della Tessaglia, nella Grecia settentrionale.
91
92
22
ma indietro il bambino, sul petto della balia bella cintura
si piegò con un grido, atterrito all’aspetto del padre,
spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato,
che vedeva ondeggiare terribile in cima all’elmo.
Sorrise il caro padre, e la nobile madre,
e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa,
e lo posò scintillante per terra;
e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia,
e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi:
<<Zeus, e voi numi tutti, fate che cresca questo
mio figlio, così gagliardo di forze, e regni su Ilio sovrano;
e un giorno dica qualcuno: “É molto più forte del padre!”,
quando verrà dalla lotta. Porti egli le spoglie cruente
del nemico abbattuto, goda in cuore la madre!>>
Dopo che disse così, mise in braccio alla sposa
il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso,
sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla,
l’accarezzò con la mano, le disse parole, parlò così:
<<Misera, non t’affliggere troppo nel cuore!
Nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade;
ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla,
sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato.
Su, torna a casa, e pensa all’opere tue,
telaio, e fuso; e alle ancelle comanda
di badare al lavoro; alla guerra penseran gli uomini
tutti e io sopra tutti, quanti nacquero ad Ilio>>.
Parlando così, Ettore illustre riprese l’elmo
chiomato; si mosse la sposa sua verso casa,
ma voltandosi indietro, versando molte lacrime;
e quando giunse alla comoda casa
d’Ettore massacratore, trovò dentro le molte
ancelle, e ad esse tutte provocò il pianto:
piangevano Ettore ancor vivo nella sua casa,
non speravano più che indietro dalla battaglia
sarebbe tornato, sfuggendo alle mani, al furore dei Danai.
LIBRO VII
La guerra continua. Ettore affronta valorosamente in duello l’eroe greco
Aiace: al tramonto il combattimento viene interrotto e i due guerrieri si
scambiano doni riconoscendosi reciproco rispetto. I Greci e i Troiani
23
concordano tra loro una tregua per seppellire e onorare i morti; i Greci ne
approfittano anche per innalzare un muro attorno alle loro navi.
LIBRO VIII
La guerra riprende. Zeus proibisce agli dèi di intervenire sul campo di
battaglia e i Troiani riescono ad avere la meglio in tutti i combattimenti,
terrorizzando i Greci. La notte interrompe l’avanzata troiana.
LIBRO IX
I Greci, angosciati, si riuniscono in assemblea: viene deciso di inviare
un’ambasceria98 ad Achille per riferire all’eroe le scuse di Agamennone e
l’offerta di ricchissimi doni. Achille accoglie con ospitalità gli ambasciatori,
ma si rifiuta di rientrare in guerra. Il diniego viene comunicato ai Greci.
IL RIFIUTO DI ACHILLE
(vv. 307-345; 378-387; 401-420)
Allora parlò rispondendo Achille piede veloce:
<<Laerzίade99 divino, Odisseo ingegnoso,
la risposta bisogna chiarirla apertamente,
quel che farò, quel che avrà compimento,
perché non continuiate sedendomi accanto a ciarlare.
Odioso m’è colui100, come le porte dell’Ade,
ch’altro nasconde in cuore ed altro parla.
Ma io parlerò come mi sembra meglio.
Non credo che Agamennone Atride potrà mai persuadermi,
e neppur gli altri Danai, perché non si ha gratitudine
a battersi coi nemici sempre, senza respiro.
Parte uguale al poltrone e a chi combatte con forza,
è nella stessa stima il codardo e il gagliardo,
muore chi non fa nulla come chi molto s’adopra.
Niente me n’è venuto, poi che ho patito travagli
L’ambasceria è composta da tre celebri eroi greci: Odisseo, Aiace e Fenice, vecchio
precettore di Achille; nonostante il rilievo dei messaggeri, Achille rifiuta il suo aiuto.
99
É un patronimico: l’eroe Odisseo è infatti figlio di Laerte, re di Itaca.
100
Si riferisce ovviamente al re Agamennone.
98
24
gettando nella lotta la vita mia senza tregua.
Come ai suoi piccoli implumi porta l’uccello101
l’imbeccata che ha preso, ma per lui sempre è pena,
così anch’io molte notti senza sonno ho vegliato,
e giornate di sangue trascorso combattendo,
lottando contro uomini forti, per le compagne loro.
Dodici castelli distrussi con le mie navi,
e undici, aggiungo, per terra nella Troade feconda102.
Molti tesori e belli da tutte queste ho rapito,
e li portavo tutti e li davo a Agamennone
Atride; egli restando indietro, presso le rapide navi,
prendeva, poco spartiva, e molto teneva.
Ai capi, ai re, poi, donò premi d’onore,
che a loro restano intatti; solo a me fra gli Achei
l’ha ritolto, si tiene la sposa mia dolce. E giacendo
accanto a lei se la goda! Ma dimmi, perché combatton coi Teucri
gli Argivi? Perché raccolto un esercito, qui l’ha condotto
l’Atride? non per Elena chioma bella?
E fra i mortali essi solo aman le spose
gli Atridi? Ah no! Ogni uomo nobile e saggio
ama e protegge la sua, come io quella
amavo di cuore, benché conquista di lancia103.
Ora che il dono m’ha tolto di mano, che m’ha giocato,
non mi ritenti, ché lo conosco; non potrà persuadermi.
[...]
Mi sono odiosi i suoi doni, lo stimo quanto un capello.
Anche se dieci, venti volte di più mi donasse
di quanto ora possiede, e se altro guadagni,
quanto affluisce ad Orcomeno104, o quanto a Tebe105
egizia, ove son nelle case ricchezze infinite,
Tebe che ha cento porte, e per ognuna duecento
armati passano, con i carri e i cavalli;
nemmeno se tanto mi desse quant’è la sabbia o la polvere,
nemmeno così potrà persuadere il mio cuore Agamennone,
prima che tutta m’abbia pagato l’offesa strazio del cuore.
[...]
Niente per me, vale quanto la vita: non quanto dicono
Altra similitudine omerica costruita con un’immagine tratta dal mondo naturale.
Achille allude alle campagne militari condotte contro gli alleati dei Troiani.
103
Briseide, la bellissima schiava che il re Agamennone ha sottratto ad Achille e che è
all’origine dell’ira funesta dell’eroe, è infatti una prigioniera di guerra.
104
Città della Beozia.
105
Città dell’antico Egitto, celebre per la sua ricchezza.
101
102
25
ch’Ilio solida rocca aveva prima, in pace,
prima che vi giungessero i figli degli Achei;
non quanto racchiude la soglia di pietra del tempio d’Apollo,
di Febo Saettante, in Pito106 rocciosa.
Buoi, grassi montoni, si posson rapire,
comprare tripodi107 e bionde criniere di cavalli;
ma la vita d’un uomo, perché torni indietro, rapir non la puoi
e nemmeno afferrare, quando ha passato la siepe dei denti108.
La madre Teti, la dea dai piedi d’argento, mi disse
che due sorti mi portano al termine di morte;
se, rimanendo, combatto intorno a Troia,
perirà il mio ritorno, la gloria però sarà eterna;
se invece torno a casa, alla mia patria terra,
perirà la nobile gloria, ma a lungo la vita
godrò, non verrà subito a me destino di morte.
Ebbene, anche a tutti gli altri io vorrei consigliare
di tornarsene in patria; mai vedrete la fine
d’Ilio scoscesa; Zeus vasta voce potentemente su di essa
ha disteso la mano, han preso forza i guerrieri [...] >>.
LIBRO X
I Greci, convocata un’assemblea notturna, decidono di inviare degli
esploratori a spiare l’accampamento nemico per conoscerne i piani: si
offrono Diomede e Odisseo. I due eroi sorprendono il troiano Dolone,
inviato contemporaneamente da Ettore nei pressi del campo greco, e lo
uccidono; poi si recano nell’accampamento dei Traci, alleati dei Troiani: qui
uccidono l’eroe Reso109 e sottraggono i suoi splendidi cavalli bianchi.
Antico nome della città di Delfi, nella Focide, sede del santuario oracolare di Apollo.
Propriamente il termine indica un supporto a tre gambe che poteva servire per sostenere
grandi vasi e calderoni oppure fungere semplicemente da sgabello.
108
Al momento della morte l’anima abbandona il corpo fuoriuscendo dalla bocca: questa è
l’immagine con cui Omero descrive solitamente la fine della vita umana.
109
Figlio del re tracio Eioneo, è alleato dei Troiani. Un oracolo aveva predetto ai Greci che
Troia non sarebbe mai caduta se i bianchi cavalli di Reso avessero bevuto l’acqua del fiume
Xanto nei pressi della città: per questo Diomede e Odisseo li sottraggono ai Traci.
106
107
26
LIBRO XI
La battaglia infuria. I Troiani, guidati da Ettore, avanzano con tenacia e
molti eroi greci rimangono feriti durante gli scontri.
LIBRO XII
I Troiani raggiungono il muro costruito dai Greci per proteggere le loro navi:
nonostante la coraggiosa resistenza opposta dagli eroi greci, Ettore e i suoi
compagni riescono ad oltrepassare l’imponente barriera.
LIBRO XIII
I Greci difendono le proprie navi, aiutati anche dall’intervento diretto del
dio Poseidone110. Ettore continua, però, ad avanzare.
LIBRO XIV
I Greci, feriti e stanchi, riescono a resistere soltanto grazie all’intervento
assiduo di Poseidone. La dea Era111 seduce Zeus e lo fa addormentare, per
consentire a Poseidone di continuare a combattere a fianco dei Greci.
Ettore viene ferito dall’eroe greco Aiace e i Troiani retrocedono.
LIBRO XV
Zeus si risveglia: profondamente adirato, costringe Poseidone a lasciare il
campo di battaglia e invia Apollo a curare le ferite di Ettore. I Troiani
attaccano con nuovo vigore e cercano di incendiare le navi greche.
Figlio di Crono e di Rea, è fratello di Zeus e di Ade. Il governo delle diverse parti del
mondo è suddiviso nel pantheon greco proprio tra queste tre divinità: infatti Zeus controlla
il cielo, Ade domina gli inferi e Poseidone regna invece sul mare.
111
Sorella e sposa di Zeus, è la regina degli dèi.
110
27
LIBRO XVI
Patroclo112, il più caro amico di Achille, si reca in lacrime dall’eroe per
riferirgli la tragica situazione in cui si trovano i Greci. Gli chiede il
permesso di entrare in battaglia rivestito della sua armatura: i Troiani lo
scambieranno per lui e le navi saranno salve. Achille acconsente, ma ordina
all’amico di non esporsi troppo durante il combattimento. I Troiani,
inizialmente ingannati da Patroclo, indietreggiano; l’eroe greco decide però
di inseguire i nemici fin sotto le mura di Troia. Qui si compie il suo destino:
offuscato da Apollo e ferito dal troiano Euforbo, viene ucciso da Ettore.
ACHILLE E PATROCLO
(vv. 1-100)
Così lottavano quelli intorno alla nave buoni scalmi113.
E Patroclo giunse da Achille pastore d’eserciti,
versando lacrime calde, come una polla acqua bruna,
che versa l’acqua scura da una roccia scoscesa.
Vedendolo n’ebbe pietà Achille glorioso, piede veloce,
e a lui si volse e gli disse parole fuggenti:
<<Perché sei in pianto, Patroclo, come una bimba114 piccina,
che dietro la madre correndo, la forza a prenderla in braccio,
le afferra la veste, la tira mentre cammina,
la guarda piangendo per essere presa in braccio?
Simile a questa, Patroclo, spandi tenere lacrime;
forse annunci qualcosa ai Mirmίdoni115 o a me?
forse udisti tu solo qualche messaggio da Ftia116?
Dicono che vive ancora Menezio117, figlio d’Attore,
vive fra i Mirmίdoni l’Eacide118 Peleo,
i due che molto noi piangeremmo, se fossero morti.
Oppure hai pietà degli Argivi, come son massacrati
presso le concave navi per la loro arroganza?
Parla, non chiuderlo in cuore, che entrambi sappiamo>>.
Figlio di Menezio e di Stenele, viene inviato dal padre, ancora giovinetto, a Ftia, presso il
re Peleo: qui cresce e diventa l’amico inseparabile dell’eroe Achille.
113
Sono i banchi su cui stanno seduti i rematori.
114
La similitudine dimostra il profondo affetto di Achille per l’amico Patroclo e un certo
interesse da parte del poeta verso la realtà del mondo infantile.
115
Popolo su cui regna Achille.
116
Città della Tessaglia e patria di Achille.
117
Padre di Patroclo.
118
É un patronimico: infatti il re Peleo, padre di Achille, è figlio di Eaco.
112
28
E tu con gemito grave dicesti, Patroclo cavaliere:
<<O Achille, figlio di Peleo, il più forte dei Danai,
non adirarti, tanta pena ha raggiunto gli Achei!
Tutti coloro ch’erano prima i più forti
giacciono tra le navi o colpiti o feriti:
è colpito il Tidide119, Diomede gagliardo,
ferito d’asta Odisseo e il nobile Agamennone,
colpito anche Eurίpilo120 di freccia alla coscia;
i guaritori dai molti rimedi si danno da fare per essi,
curando le piaghe: e tu sei insensibile Achille.
Mai tale ira mi prenda quale tu la conservi,
distruttore! che bene avrà un altro da te, anche un tardo nipote,
se non difendi gli Argivi dalla rovina obbrobriosa?
Spietato, a te non fu padre Peleo cavaliere,
non madre Teti: il glauco mare t’ha partorito
o i dirupi rocciosi, tanto è duro il tuo animo.
Se vaticinio cerchi d’evitare nel cuore,
te ne ha predetto qualcuno la madre augusta da parte di Zeus,
manda me almeno, subito, fa’ che mi segua l’esercito
dei Mirmίdoni, potessi esser luce pei Danai!
Permetti ch’io vesta l’armi tue sulle spalle
e credendomi te fuggano dalla battaglia
i Teucri, respirino i figli guerrieri degli Achei
sfiniti; basta breve respiro in battaglia.
Facilmente noi, freschi, uomini stanchi di lotta
respingeremmo in città, via dalle navi e dalle tende>>.
Disse così pregando: ah! pazzo, egli stava
a supplicare per sé mala morte e la Chera121.
E molto gemendo il piede rapido Achille rispose:
<<Ah Patroclo divino, che parola hai detto!
Vaticinio non curo ch’io possa conoscere,
non ne ha predetti la madre augusta da parte di Zeus;
ma questo dolore tremendo l’anima e il cuore mi penetra
quando un uomo vuole spogliare un suo pari
e levargli il suo dono, perché per potenza va innanzi.
Tremendo dolore m’è questo, patii strazio nell’animo.
La fanciulla che scelsero dono per me i figli degli Achei,
É un patronimico: l’eroe Diomede è infatti figlio di Tideo.
Eroe greco della Tessaglia.
121
Le Chere sono dei demoni alati, di aspetto terribile, nominati frequentemente nell’Iliade:
esse appaiono come una personificazione dei diversi tipi di morte che possono colpire un
eroe. A partire dall’età classica perdono le connotazioni specifiche che presentano in
Omero e tendono a confondersi con altre divinità, come le Moire; vedi nota 54.
119
120
29
con l’asta mia conquistai, distrutta una salda rocca.
E dalle braccia me l’ha strappata il potente Agamennone
Atride, come a un senzapatria qualsiasi.
Ma lasciamo il passato: certo non è possibile
essere irati sempre, inflessibilmente, nell’animo. Pure io promisi
di non smettere prima il corruccio, ma solo quando
alle mie navi guerra e strage arrivassero.
Vesti tu sulle spalle le mie nobili armi,
guida i Mirmίdoni bellicosi a combattere,
perché davvero il livido nembo dei Teucri circonda
con violenza le navi, e gli altri sui frangenti del mare
han ripiegato, hanno ancora ben poco spazio di terra,
gli Argivi: l’esercito intero dei Teucri è disceso
con gran baldanza, perché il frontale del mio elmo non vedono
brillar vicino; ma in fretta, fuggendo, i fossati
farebbero pieni di morti, se verso di me il potente Agamennone
sapesse dolcezza: invece assediano il campo.
Ah sì, nelle mani del Tidide Diomede
non infuria la lancia che il danno allontani dai Danai;
voce d’Atride più non udivo, strillante
dalla sua testa odiosa: ma d’Ettore massacratore
mi tuona intorno voce, che incita i Teucri; ed essi con urla
tengon tutta la piana, vincendo i Danai in battaglia.
Pure, anche così, Patroclo, a difendere dalla rovina le navi
balza in mezzo con forza, ché col fuoco fiammante
non ardan le navi, togliendoci il caro ritorno.
Ma segui intero il consiglio che ti metto nel cuore,
e grande fama, grande gloria conquistami
davanti a tutti i Danai: così la bella fanciulla
mi renderanno, mi porteranno splendidi doni.
Cacciati i nemici dalle navi, ritorna: anche se a te
desse modo d’acquistar gloria lo sposo122 tonante d’Era,
tu non voler combattere senza di me
coi Teucri battaglieri: mi toglieresti onore.
Non volere, ubriaco di guerra e di strage,
massacrando i Troiani, guidar l’esercito a Ilio,
che dall’Olimpo qualcuno dei numi sempre viventi
non ti si faccia incontro: molto Apollo Preservatore li ama.
Torna indietro appena luce in mezzo alle navi
avrai fatto: lascia gli altri nella pianura a combattere.
Oh se – Zeus padre e Atena e Apollo! –
122
Ovviamente è Zeus.
30
neppur uno dei Teucri, quanti sono, sfuggisse alla morte,
neppur uno dei Danai: noi due soli dalla strage emergessimo,
noi due soli sciogliessimo i sacri veli di Troia123!>>
LA MORTE DI PATROCLO
(vv. 783-857)
E Patroclo si slanciò sui Troiani meditando rovina,
si slanciò per tre volte, simile ad Ares ardente,
paurosamente gridando: tre volte ammazzò nove uomini.
Ma quando alla quarta balzò, che un nume pareva,
allora, Patroclo, apparve la fine della tua vita:
Febo124 gli mosse incontro nella mischia selvaggia,
tremendo, ed egli non lo vide venire in mezzo al tumulto;
gli venne incontro nascosto di molta nebbia.
E dietro gli si fermò, colpì la schiena e le larghe spalle
con la mano distesa: a Patroclo girarono gli occhi.
E Febo Apollo gli fece cadere l’elmo giù dalla testa:
sonò rotolando sotto gli zoccoli dei cavalli
l’elmo a visiera abbassata, si sporcarono i pennacchi
di sangue e polvere: mai prima era stato possibile
che il casco chiomato si sporcasse di polvere,
ché d’un uomo divino la bella fronte e la testa
proteggeva, d’Achille: ma allora Zeus lo donò a Ettore,
da portare sul capo: e gli era vicina la morte.
Tutta in mano di Patroclo si spezzò l’asta ombra lunga,
greve, solida, grossa, armata di punta: e dalle spalle
con la sua cinghia di cuoio cadde per terra lo scudo,
gli slacciò la corazza il sire Apollo, figlio125 di Zeus.
Una vertigine gli tolse la mente, le membra belle si sciolsero,
si fermò esterrefatto: e dietro la schiena con l’asta aguzza
in mezzo alle spalle, dappresso, un eroe dardano126 lo colpì,
Euforbo di Pàntoo127 che sui coetanei brillava
per l’asta, per i cavalli e per i piedi veloci;
Espressione metaforica per indicare la presa della città.
É il dio Apollo.
125
Il dio Apollo è figlio di Zeus e di Latona, una Titana (nome con cui sono indicati nella
mitologia greca gli dèi più antichi, figli di Urano, il Cielo, e di Gea, la Terra).
126
Altro termine con cui vengono spesso indicati i Troiani; la sua origine è connessa a
Dardano, mitico antenato di questo popolo dell’Asia Minore.
127
Sacerdote di Apollo a Troia e padre dell’eroe Euforbo.
123
124
31
venti guerrieri gettò giù dai cavalli
appena giunse col cocchio a imparare la guerra.
Questi per primo a te lanciò l’asta, Patroclo cavaliere,
ma non t’uccise, e corse indietro e si mischiò tra la folla,
strappata l’asta di faggio: non seppe affrontare
Patroclo, benché nudo, nella carneficina.
Ma Patroclo, vinto dal colpo del dio e dall’asta,
fra i compagni si trasse evitando la Chera128.
Ettore, come vide il magnanimo Patroclo
tirarsi indietro, ferito dal bronzo puntuto,
gli balzò addosso in mezzo alle file, lo colpì d’asta
al basso ventre: lo trapassò col bronzo.
Rimbombò stramazzando, e straziò il cuore all’esercito acheo.
Come quando un leone129 vince in battaglia un cinghiale indomabile,
‒ essi superbamente han combattuto sui monti
per una piccola polla: volevano bere entrambi –
e infine con la sua forza il leone vince l’altro che rantola;
così il Meneziade130, che già molti ammazzò,
Ettore figlio di Priamo privò della vita con l’asta,
e gli disse vantandosi parole fuggenti:
<<Patroclo, tu speravi d’abbattere la nostra città,
e alle donne troiane togliendo libero giorno,
condurle sopra le navi alla tua terra patria,
stolto! Per esse i veloci cavalli d’Ettore
si tendono sopra i garretti a combattere: io con l’asta
eccello fra i Teucri amanti di guerra: e così li difendo
dal giorno fatale; ma te qui gli avvoltoi mangeranno.
Pazzo! Achille, per forte che sia, non ti potrà proteggere,
egli che, forse, restando, a te che partivi raccomandò molte cose:
“O Patroclo cavaliere, non mi tornare davanti,
alle concave navi, prima che d’Ettore massacratore
l’insanguinata tunica intorno al petto tu stracci”.
Così certo, ti disse, stolto, e persuase il tuo cuore>>.
E tu rispondesti, sfinito, Patroclo cavaliere:
<<Sì, Ettore, adesso vantati:
a te hanno dato vittoria Zeus Cronide e Apollo, che m’abbatterono
facilmente: essi l’armi dalle spalle mi tolsero.
Se anche venti guerrieri come te m’assalivano,
La morte; vedi nota 121.
Ancora una volta l’immagine del leone è impiegata da Omero per descrivere il
comportamento del guerriero in battaglia e per sottolinearne il coraggio e la forza.
130
É un patronimico: l’eroe Patroclo è infatti figlio di Menezio.
128
129
32
tutti perivano qui, vinti dalla mia lancia;
mi uccise destino fatale e il figliuolo131 di Latona,
e tra gli uomini Euforbo: tu m’uccidi per terzo.
Altro ti voglio dire e tientelo in mente:
davvero tu non andrai molto lontano, ma ecco
ti s’appressa la morte e il destino invincibile:
cadrai per mano d’Achille, dell’Eacide132 perfetto>>.
Mentre parlava così la morte l’avvolse,
la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,
piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.
LIBRO XVII
Divampa la battaglia intorno al cadavere di Patroclo. Ettore si impadronisce
dell’armatura di Achille indossata dal defunto, ma alla fine i Greci riescono a
trasportare il corpo dell’eroe caduto presso le loro navi.
LIBRO XVIII
Viene riferita ad Achille la morte di Patroclo. L’eroe si dispera e decide di
rientrare in guerra per vendicare l’amico. La dea Teti si reca allora da
Efesto133 per chiedergli di forgiare una nuova armatura per il figlio. Una
descrizione delle raffigurazioni presenti sullo scudo chiude il canto.
LIBRO XIX
Teti consegna la nuova armatura al figlio. Viene convocata l’assemblea dei
capi greci: Achille propone di riprendere subito la guerra e Agamennone si
scusa per il suo precedente comportamento nei confronti dell’eroe,
restituendogli la schiava Briseide. Achille si prepara alla battaglia.
Il dio Apollo.
Il termine si riferisce a Eaco, padre del re Peleo e quindi nonno di Achille.
133
Figlio di Zeus e di Era, è il dio del fuoco.
131
132
33
LIBRO XX
Inizia il conflitto. Achille si batte valorosamente contro i Troiani ed è
soltanto grazie all’intervento degli dèi che Enea134 riesce a salvarsi e che lo
scontro decisivo con il principe Ettore viene ritardato.
LIBRO XXI
Achille, desideroso di vendetta, fa strage dei Troiani presso il fiume
Scamandro. La sua furia è tale che il fiume si ribella contro di lui: un
intervento divino salva l’eroe dalle onde che lo travolgono. Il re Priamo
decide di aprire le porte della città per consentire ai Troiani di ritirarsi.
LIBRO XXII
Soltanto Ettore resta fuori dalle mura di Troia, nonostante le suppliche dei
genitori che gli chiedono di rientrare in città. Quando l’eroe si trova di
fronte ad Achille, la paura lo porta inizialmente a fuggire; alla fine però,
ingannato dalla dea Atena che ha assunto le sembianze del troiano Deifobo,
egli decide di affrontare il nemico. Achille vince il duello e uccide Ettore:
dall’alto delle mura i Troiani vedono il corpo del loro principe straziato da
Achille che lo trascina con il suo carro intorno alla città. Andromaca,
accorsa alle grida dei concittadini, piange disperata il marito defunto.
LA MORTE DI ETTORE
(vv. 248-366)
E quando furon vicini marciando uno sull’altro,
il grande Ettore elmo lucente parlò per primo ad Achille:
<<Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or ora
corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi
sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge
a starti a fronte, debba io vincere o essere vinto.
Su invochiamo gli dèi: essi i migliori
testimoni saranno e custodi dei patti;
io non intendo sconciarti orrendamente, se Zeus
L’eroe viene salvato perché è destino che dopo la caduta della città di Troia la stirpe di
questo popolo possa sopravvivere attraverso di lui; vedi nota 64.
134
34
mi darà forza e riesco a strapparti la vita;
ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite armi,
renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così>>.
E guardandolo bieco, Achille piede rapido disse:
<<Ettore, non mi parlare, maledetto, di patti:
come non v’è fida alleanza fra uomo e leone,
e lupo e agnello non han mai cuori concordi,
ma s’odiano senza riposo uno con l’altro,
così mai potrà darsi che ci amiamo io e te; fra di noi
non saran patti, se prima uno, caduto,
non sazierà col sangue Ares, il guerriero indomabile.
Ogni bravura ricorda; ora sì che tu devi
esser perfetto con l’asta e audace a lottare!
Tu non hai via di scampo, ma Pallade135 Atena
t’uccide con la mia lancia: pagherai tutte insieme
le sofferenze dei miei, che uccidesti infuriando con l’asta>>.
Diceva, e l’asta scagliò, bilanciandola;
ma vistala prima, l’evitò Ettore illustre:
la vide, e si rannicchiò, sopra volò l’asta di bronzo
e s’infisse per terra; la strappò Pallade Atena,
la rese ad Achille, non vista da Ettore pastore di genti.
Ettore, allora, parlò al Pelide perfetto:
<<Fallito! Ma dunque tu non sapevi, Achille pari agli dèi,
no affatto, da Zeus la mia sorte; eppure l’hai detta.
Facevi il bel parlatore, l’astuto a parole,
perché, atterrito, io scordassi il coraggio e la furia.
No, non nella schiena d’uno che fugge pianterai l’asta,
ma dritta in petto, mentre infurio, hai da spingerla,
se un dio ti dà modo. Evita intanto questa mia lancia
di bronzo: che tu possa portarla tutta intera nel corpo.
Ben più leggera sarebbe la guerra pei Teucri,
te morto: ché tu sei per loro l’angoscia più grande>>.
Diceva, e bilanciandola, scagliò l’asta ombra lunga;
e colse nel mezzo lo scudo d’Achille, non sbagliò il colpo;
ma l’asta rimbalzò dallo scudo; s’irritò Ettore,
che inutile il rapido dardo gli fosse fuggito di mano,
e si fermò avvilito, perché non aveva un’altr’asta di faggio;
chiamò gridando forte il bianco scudo Deifobo136,
Epiteto della dea Atena, il cui significato non è ben chiaro ma può essere forse connesso
alla sfera guerresca di questa divinità. Proprio da questo termine deriva anche il nome della
mitica statua di Atena conservata nella città di Troia, il Palladio.
136
Figlio di Priamo e di Ecuba, è fratello del principe Ettore.
135
35
chiedeva un’asta lunga: ma quello non gli era vicino.
Comprese allora Ettore in cuore e gridò:
<<Ahi! Davvero gli dèi mi chiamano a morte.
Credevo d’aver accanto il forte Deifobo:
ma è fra le mura, Atena m’ha teso un inganno137.
M’è accanto la mala morte, non è più lontana,
non è inevitabile ormai, e questo da tempo era caro
a Zeus e al figlio138 arciero di Zeus, che tante volte
m’han salvato benigni. Ormai m’ha raggiunto la Moira139.
Ebbene, non senza lotta, non senza gloria morrò,
ma compiuto gran fatto, che anche i futuri lo sappiano>>.
Parlando così, sguainò la spada affilata,
che dietro il fianco pendeva, grande e pesante,
e si raccolse e scattò all’assalto, com’aquila140 alto volo,
che piomba sulla pianura traverso alle nuvole buie,
a rapir tenero agnello o lepre appiattato:
così all’assalto scattò Ettore, la spada acuta agitando.
Ma Achille pure balzò, di furia empì il cuore
selvaggio: parò davanti al petto lo scudo
bello, adorno, e squassava l’elmo lucente
a quattro ripari; volava intorno la bella chioma
d’oro, che fitta Efesto141 lasciò cadere in giro al cimiero.
Come la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte,
Espero142, l’astro più bello ch’è in cielo,
così lampeggiava la punta acuta, che Achille scuoteva
nella sua destra, meditando la morte d’Ettore luminoso,
cercando con gli occhi la bella pelle, dove fosse più pervia.
Tutta coprivan la pelle l’armi143 bronzee, bellissime,
ch’Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;
là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle
dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.
Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,
dritta corse la punta traverso al morbido collo;
però il faggio greve non gli tagliò la strozza,
Per incoraggiare Ettore e convincerlo ad affrontare Achille in duello, la dea Atena aveva
assunto l’aspetto dell’eroe Deifobo facendogli credere che avrebbero combattuto insieme.
138
É il dio Apollo.
139
Il destino di morte; vedi nota 54.
140
Ancora una volta il mondo della natura è protagonista delle similitudini omeriche.
141
Il dio Efesto, che ha forgiato la nuova armatura indossata da Achille.
142
La luminosa stella della sera, il Vespro.
143
Ettore indossa l’armatura che ha sottratto a Patroclo dopo averlo ucciso in duello, ossia
l’armatura che apparteneva allo stesso eroe Achille.
137
36
così che poteva parlare, scambiando parole.
Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso:
<<Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,
di restare impunito: di me lontano non ti curavi,
bestia! Ma difensore di lui, e molto più forte,
io rimanevo sopra le concave navi,
io che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccelli
sconceranno sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei>>.
Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente:
<<Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,
non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani
degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,
i doni che ti daranno il padre e la nobile madre:
rendi il mio corpo alla patria, perché del fuoco144
diano parte a me morto i Teucri e le spose dei Teucri... >>
Ma bieco guardandolo, Achille piede rapido disse:
<<No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;
ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me
a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai fatto:
nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne,
nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto
mi pesassero qui, altro promettessero ancora;
nemmeno se a peso d’oro vorrà riscattarti
Priamo Dardanide145, neanche così la nobile madre
piangerà steso sul letto il figlio che ha partorito,
ma cani e uccelli tutto ti sbraneranno>>.
Rispose morendo Ettore elmo lucente:
<<Va’, ti conosco guardandoti! Io non potevo
persuaderti, no certo, ché in petto hai un cuore di ferro.
Bada però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi,
quel giorno che Paride e Febo Apollo con lui
t’uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee146>>.
Mentre diceva così, l’avvolse la morte:
la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,
piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.
Rispose al morto il luminoso Achille:
<<Muori! La Chera147 io pure l’avrò, quando Zeus
Allude al rito dell’incinerazione.
Significa “discendente di Dardano”, mitico antenato dei Troiani.
146
Viene profetizzata la morte di Achille per mano del principe troiano Paride e del dio
Apollo. Nell’Iliade questo episodio non verrà però narrato: infatti il tema attorno a cui
ruota tutto il poema è l’ira di Achille e non il racconto dell’intera guerra di Troia.
147
La morte; vedi nota 121.
144
145
37
vorrà compierla e gli altri numi immortali>>.
IL DOLORE DI ANDROMACA
(vv. 437-515)
[...] e non sapeva ancora la sposa
d’Ettore: nessun veridico nunzio, andando da lei,
le aveva annunziato che fuori dalle porte era chiuso lo sposo:
ella nel cuore dell’alta casa tesseva una tela
doppia, di porpora, e vi spargeva ricami variati.
E comandava alle ancelle bei riccioli dentro la casa
di mettere al fuoco il tripode148 grande, ché fosse pronto
un caldo bagno per Ettore, quando tornasse dalla battaglia,
ignara. Ah non sapeva che molto lontano dai bagni
per le mani d’Achille l’aveva domato Atena occhio azzurro.
Ed ecco udì dal bastione singhiozzo e gemito:
le tremaron le gambe, a terra le cadde la spola149,
e disse in fretta alle schiave bei riccioli:
<<Qua, due mi seguano, che veda che cosa è accaduto.
Della suocera veneranda ho udito la voce, e dentro di me
batte il cuore nel petto fino alla gola, i ginocchi sotto
son rigidi: un male incombe ai figli di Priamo.
Ah! lontano dai miei orecchi sia la parola, ma temo
atrocemente che Achille glorioso il mio Ettore audace
abbia tagliato fuori dalla rocca, solo, e per la piana
l’insegua e metta fine al malaugurato valore
che lo possiede; mai resta indietro tra il folto degli uomini,
ma molto avanti si slancia e non la cede per furia a nessuno>>.
Dicendo così, si precipitò fuori di casa come una pazza,
col cuore in sussulto: le ancelle le tennero dietro.
Ma quando giunse al bastione in mezzo alla folla,
si fermò sulle mura, guardando febbrile, e lo vide
trascinato davanti alla rocca: i cavalli veloci
lo tiravano senza pietà verso le concave navi degli Achei.
Una notte di tenebra coperse i suoi occhi,
e cadde indietro e quasi spirava la vita:
le bende splendenti scivolarono via dal capo, lontano,
il diadema, la rete, il cordone intrecciato,
148
149
Vedi nota 107.
É la bobina di filo che serve per la tessitura.
38
il velo150, che le donò l’aurea Afrodite,
nel giorno ch’Ettore elmo lucente la portò via
dalla casa d’Eezίone151, offerti doni infiniti.
In folla le furono intorno le cognate e dei cognati le spose,
che fra loro la ressero, angosciata a morire;
quando respirò infine, si risvegliò nel petto la vita,
gridò fra le Troiane con violenti singhiozzi:
<<Ettore, oh me disgraziata! Con una sorte nascemmo
entrambi, tu a Troia nella casa di Priamo,
io in Tebe152 sotto il Placo153 selvoso,
in casa d’Eezίone, che mi nutrì piccina,
misero un’infelice: oh non doveva darmi la vita!
Ora tu nelle case dell’Ade, nella terra profonda
te ne vai, lasci me in un dolore straziante,
vedova nella casa: e il bimbo ancora non parla,
che abbiam generato tu e io, miseri. A lui
tu non sarai vita, Ettore, perché sei morto, né lui a te.
Se sfuggirà alla guerra lacrimosa degli Achei,
per lui sempre affanno, sempre strazio in futuro
sarà: altri gli prenderanno i campi.
Il giorno che lo fa orfano, priva il bambino d’amici:
davanti a tutti abbassa la testa, son lacrimose le guance;
nel suo bisogno il fanciullo cerca gli amici del padre,
tira uno per il mantello, per la tunica un altro:
fra quanti provan pietà, qualcuno gli offre un istante
la tazza, e gli bagna le labbra, non gli bagna il palato.
Ma chi ha padre e madre lo caccia dal banchetto,
picchiandolo con le mani, con ingiurie insultandolo:
“Via di qua! Non banchetta tuo padre con noi154!”
Torna in pianto il bambino alla vedova madre,
Astianatte, che prima sulle ginocchia del babbo
midollo solo mangiava e molto grasso di becco:
e quando prendeva sonno e smetteva i suoi giochi,
dormiva nel letto, cullato dalla nutrice,
Alla vista di Ettore morto, Andromaca sviene e le cadono dal capo tutti gli ornamenti
femminili tipici di una donna aristocratica: il velo, la rete che tiene ferma l’acconciatura dei
capelli e il prezioso diadema simbolo della sua appartenenza alla casata reale.
151
Re della Cilicia e padre di Andromaca.
152
Città della Misia, regione confinante con la Cilicia, e patria di Andromaca.
153
Montagna della Misia.
154
Andromaca prevede il futuro doloroso del piccolo Astianatte: rimasto orfano, egli non
godrà più del rispetto e della considerazione dei compagni perché sarà privo del prestigio
derivatogli un tempo dal ruolo del padre all’interno del gruppo sociale aristocratico.
150
39
in una morbida cuna, col cuore pieno di gioia:
e ora soffrirà, e quanto!, perduto il padre caro,
Astianatte: così lo chiamavano i Teucri,
perché tu solo a loro difendevi le porte e il lungo bastione155.
Ora te fra le concave navi, lontano dai genitori,
saltanti vermi roderanno, quando saran sazi i cani,
nudo: e nella casa ci son le tue vesti
sottili e belle, fatte da mani di donne...
Ma tutte le voglio bruciare nel fuoco avvampante,
e a te non gioverà, ché non giacerai fra esse,
solo per farti onore davanti a Teucri e Troiane!>>
Diceva così singhiozzando: piangevano intorno le donne.
LIBRO XXIII
I Greci iniziano i preparativi per i funerali di Patroclo. Achille sogna l’amico
che gli ricorda i momenti felici della loro vita e gli chiede di celebrare i riti
funebri necessari al suo ingresso nel regno di Ade. La pira viene accesa e
arde sotto gli occhi dell’esercito greco. Vengono banditi i giochi funebri 156in
onore del defunto e i migliori eroi greci si cimentano in diverse specialità
sportive: tra tutti si distingue per bravura il re Agamennone.
LIBRO XXIV
Achille continua a disperarsi per la perdita dell’amico e a straziare il corpo
di Ettore per sfogare il proprio dolore. La dea Teti interviene per
convincere il figlio a restituire ai suoi concittadini il principe troiano
defunto. Il dio Ermes157 accompagna il re Priamo fino alla tenda di Achille:
l’eroe, colpito dal coraggio e dalle parole del vecchio, accetta il riscatto e
rende il corpo di Ettore al padre. Tutti i Troiani partecipano ai solenni
funerali in onore di Ettore e ne piangono afflitti la scomparsa.
Vedi nota 83.
I funerali solenni in onore di personaggi ed eroi particolarmente illustri prevedevano
anche l’organizzazione di giochi sportivi: durante i funerali di Patroclo gli eroi greci si
cimentano addirittura in otto specialità sportive (corsa dei carri, pugilato, lotta, corsa
podistica, duello, lancio del disco, tiro con l’arco e lancio dell’asta).
157
Figlio di Zeus e di Maia, compare spesso nei poemi omerici con il ruolo di messaggero.
155
156
40
ACHILLE E PRIAMO
(vv. 477-551)
Entrò non visto il gran Priamo, e standogli accanto
strinse fra le sue mani i ginocchi d’Achille, baciò quella mano
tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise.
Come quando grave colpa ha travolto un uomo,
che, ucciso in patria qualcuno, fugge in altro paese,
in casa d’un ricco, stupore afferra i presenti;
così Achille stupì, vedendo Priamo simile ai numi,
e anche gli altri158 stupirono e si guardarono in faccia.
Ma Priamo prendendo a pregare gli disse parola:
<<Pensa a tuo padre159, Achille pari agli dèi,
coetaneo mio, come me sulla soglia tetra della vecchiaia,
e lo tormentano forse i vicini, standogli intorno,
perché non c’è nessuno che il danno e il male allontani.
Pure sentendo dire che tu ancora sei vivo,
gode in cuore, e spera ogni giorno
di vedere il figliuolo tornare da Troia.
Ma io sono infelice del tutto, che generai forti figli
nell’ampia Troia, e non ne resta nessuno.
Cinquanta160 ne avevo quando vennero i figli dei Danai,
e diciannove venivano tutti da un seno161,
gli altri altre donne162 me li partorirono in casa:
ma Ares furente ha sciolto i ginocchi di molti,
e quello che solo restava, che proteggeva la rocca e la gente,
tu ieri l’hai ucciso, mentre per la sua patria lottava,
Ettore... Per lui vengo ora alle navi dei Danai,
per riscattarlo da te, ti porto doni infiniti.
Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me,
pensando al padre tuo: ma io son più misero,
ho patito quanto nessun altro mortale,
portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli!>>
Disse così, e gli fece nascere brama di piangere il padre:
allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio;
entrambi pensavano e uno piangeva Ettore massacratore
Si tratta di alcuni eroi appartenenti all’esercito guidato da Achille e presenti all’interno
della sua tenda al momento dell’arrivo del re Priamo.
159
É Peleo, re di Ftia, in Tessaglia.
160
Il re Priamo era capostipite di una stirpe molto numerosa.
161
La regina Ecuba, madre di Ettore e Paride.
162
Altre mogli e concubine.
158
41
a lungo, rannicchiandosi ai piedi d’Achille,
ma Achille piangeva il padre, e ogni tanto
anche Patroclo; s’alzava per la dimora quel pianto.
Ma quando Achille glorioso si fu goduto i singhiozzi,
passò dal cuore e dalle membra la brama,
s’alzò dal seggio a un tratto e rialzò il vecchio per mano,
commiserando la testa canuta, il mento canuto,
e volgendosi a lui parlò parole fugaci:
<<Ah misero, quanti mali hai patito nel cuore!
E come hai potuto alle navi dei Danai venire solo,
sotto gli occhi d’un uomo che molti e gagliardi
figliuoli t’ha ucciso? Tu hai cuore di ferro.
Ma via, ora siedi sul seggio e i dolori
lasciamoli dentro nell’animo, per quanto afflitti:
nessun guadagno si trova nel gelido pianto.
Gli dèi filarono questo per i mortali infelici:
vivere nell’amarezza: essi invece son senza pene.
Due vasi163 son piantati sulla soglia di Zeus,
dei doni che dà, dei cattivi uno e l’altro dei buoni.
A chi mescolando ne dia Zeus che getta le folgori,
incontra a volte un male e altre volte un bene;
ma a chi dà solo dei tristi, lo fa disprezzato,
e mala fame lo insegue per la terra divina,
va errando senza onore né dagli dèi né dagli uomini.
Così a Peleo doni magnifici fecero i numi
fin dalla nascita; splendeva su tutti i mortali
per beata ricchezza; regnava sopra i Mirmίdoni,
e benché fosse mortale gli fecero sposa una dea164.
Ma col bene, anche un male gli diede il dio, ché non ebbe
nel suo palazzo stirpe di figli nati a regnare,
un figlio solo ha generato, che morrà presto: e io non posso
aver cura del vecchio perché lontano dalla mia patria
qui in Troia siedo, a te dando pene e ai tuoi figli.
E anche tu, vecchio – sappiamo – fosti felice prima:
quanto paese di sopra limita Lesbo165, la sede di Màcaro,
e di sotto la Frigia166 e lo sconfinato Ellesponto167,
su tutti, raccontano, o vecchio, per figli e ricchezze splendevi.
Immagine mitica attraverso cui la cultura arcaica cerca qui di spiegare l’alternanza della
buona e della cattiva sorte presente nel destino degli uomini.
164
É la dea Teti, madre di Achille.
165
Isola dell’Egeo, vicina all’Asia Minore, su cui aveva regnato il mitico re Màcaro.
166
Regione dell’Asia Minore.
167
Stretto dei Dardanelli.
163
42
Da che questo male, invece, i figli del cielo ti diedero,
sempre battaglie vi sono intorno alla rocca e stragi d’uomini.
Sopporta, dunque, e non gemere senza posa nel cuore:
nulla otterrai piangendo il figlio, non lo farai
rivivere, potrai piuttosto patire altri mali>>.
IL FUNERALE DI ETTORE
(vv. 719-745)
E quando l’ebbero portato nell’inclita casa,
su un letto a trafori lo posero, gli misero presso i cantori,
gli intonatori del compianto; e lamentosa canzone
quelli cantavano; intorno le donne piangevano.
E fra di loro Andromaca incominciò il lamento,
d’Ettore massacratore abbracciando la testa:
<<Oh sposo, troppo giovane lasci la vita e me vedova
nella tua casa abbandoni: non parla ancora il bambino
che generammo tu e io, disgraziati, e non penso
che verrà a giovinezza... Prima la città intera
sarà distrutta, perché tu sei morto, il suo difensore,
tu che la proteggevi, le spose salvavi e i piccoli figli.
Esse presto andran via, sulle concave navi,
e io con loro: tu, bimbo, tu seguirai
me, là dove indegne fatiche dovrai sopportare,
penando sotto un duro padrone. Oppure un acheo
ti scaglierà, sollevandoti, giù dalle mura – orribile fine! –
irato perché, forse, Ettore gli uccise un fratello,
o il padre, o un figlio: moltissimi Achei
sotto la forza d’Ettore morsero la terra infinita168.
Non era dolce, no, il padre tuo nella carneficina paurosa.
Per questo lo piange il popolo per la città.
Ah! maledetto pianto e singhiozzo ai genitori hai lasciato,
Ettore, ma soprattutto a me restano pene amare:
tu non m’hai tesa la mano dal letto, morendo,
non m’hai detto saggia parola, che sempre potessi
avere presente, notte e giorno, tra il pianto!>>
Andromaca profetizza quello che accadrà adesso che Ettore è morto: la città di Troia
cadrà; le spose dei Troiani diventeranno schiave dei Greci (Andromaca sarà prigioniera di
Neottolemo, figlio di Achille, che la porterà con sé in Epiro); i figli dei Troiani seguiranno il
destino delle madri oppure saranno uccisi (Astianatte sarà gettato dalle mura di Troia).
Queste vicende, però, non sono narrate nell’Iliade che termina con il funerale di Ettore.
168
43
ODISSEA
LIBRO I
Il poeta chiede alla Musa di ispirarlo nella narrazione delle vicende dell’eroe
Odisseo, reduce dalla guerra di Troia. Gli dèi, riuniti in assemblea, decidono
che è giunto il momento di porre fine alle lunghe peregrinazioni dell’eroe e
di consentire il suo ritorno in patria: Ermes viene inviato sull’isola Ogigia,
dove Odisseo è trattenuto dalla ninfa Calipso, per convincere quest’ultima a
lasciarlo partire; Atena si reca invece ad Itaca, patria di Odisseo, dove,
assunto l’aspetto di un antico ospite del re Laerte, predice a Telemaco che il
ritorno del padre è ormai prossimo e gli consiglia di partire alla volta di Pilo
e di Sparta in cerca di notizie sul suo destino. Telemaco comunica ai proci,
che da tempo occupano il palazzo di Odisseo, la sua intenzione di riunire
l’indomani un’assemblea cittadina per costringerli ad andarsene; poi va a
dormire, riflettendo sul progetto di viaggio suggeritogli da Atena.
PROEMIO
(vv. 1-21)
L’uomo169 ricco d’astuzie raccontami, o Musa170, che a lungo
errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia171;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi.
Ma non li salvò, benché tanto volesse,
per loro propria follia si perdettero, pazzi!,
che mangiarono i bovi del Sole Iperίone,
e il Sole distrusse il giorno del loro ritorno172.
É l’eroe greco Odisseo, figlio di Laerte e di Anticlea, re di Itaca.
Come nell’Iliade, anche nell’Odissea il poeta si rivolge innanzitutto alla Musa per ricevere
l’ispirazione necessaria a comporre la sua opera. In particolare qui viene certamente
invocata Calliope, la musa protettrice e ispiratrice della poesia epica; vedi nota 2.
171
La guerra di Troia era durata dieci anni e il viaggio di ritorno di Odisseo verso casa si
estende per altri dieci anni: il poema inizia nel ventesimo anno dalla partenza dell’eroe.
172
Odisseo salpa da Troia con molti compagni, ma li perde tutti durante il viaggio a causa
della loro stoltezza. Qui si allude all’episodio dell’isola Trinachia, dove i compagni dell’eroe,
esaurite le scorte di cibo, uccidono le vacche sacre al dio Elios, figlio di Iperίone.
169
170
44
Anche a noi di’ qualcosa di queste avventure, o dea, figlia173 di Zeus.
Allora tutti gli altri174, quanti evitarono l’abisso di morte,
erano a casa, scampati dalla guerra e dal mare;
lui solo, che sospirava il ritorno e la sposa,
la veneranda ninfa Calipso175, la splendida dea, tratteneva
negli antri profondi, volendo che le fosse marito.
E quando anche l’anno arrivò, nel girare del tempo,
in cui gli filarono i numi che in patria tornasse,
in Itaca176 neppure là doveva sfuggire alle prove177,
neppure fra i suoi. Tutti gli dèi ne avevan pietà,
ma non Poseidone178; questi serbava rancore violento
contro il divino Odisseo, prima che in patria arrivasse.
TELEMACO
(vv. 102-118; 178-205; 279-297; 319-380)
E venne179 giù dalle cime d’Olimpo d’un balzo,
fu tra il popolo d’Itaca, d’Odisseo avanti al portico,
sulla soglia dell’atrio; in mano aveva l’asta di bronzo,
era simile a un ospite, Mente180, il capo dei Tafi.
Trovò i pretendenti181 superbi: essi allora, giocando
con le pedine davanti alla porta, si divertivano,
seduti sopra le pelli dei buoi che scannavano.
Per loro gli araldi e gli scudieri solleciti,
Le nove Muse sono figlie di Zeus e di Mnemosine.
Gli altri eroi greci che avevano partecipato alla guerra di Troia.
175
Figlia di Atlante, è una ninfa che abita sull’isola Ogigia, un luogo lontano e solitario: qui
l’eroe Odisseo naufraga dopo la partenza dall’isola Trinachia e la dea, innamoratasi di lui, lo
trattiene al suo fianco per sette anni impedendogli il ritorno in patria.
176
Piccola isola nel mare Ionio e patria di Odisseo.
177
Si allude alla situazione che Odisseo trova al suo ritorno ad Itaca, ossia il proprio
palazzo occupato dai proci, i pretendenti alla mano di Penelope, sposa dell’eroe: egli dovrà
lottare, con pazienza e astuzia, per attuare la propria vendetta contro di loro.
178
Il dio del mare prova rancore verso Odisseo, perché l’eroe durante il suo lungo viaggio
aveva raggiunto anche la terra dei Ciclopi, giganti antropofagi, e, per salvare la vita sua e
dei compagni, aveva accecato uno di questi, Polifemo, figlio proprio di Poseidone.
179
É la dea Atena, che si reca ad Itaca per rassicurare Telemaco sul ritorno ormai prossimo
del padre Odisseo e per convincerlo a partire in cerca di sue notizie. Questa divinità ha un
ruolo importante nell’Odissea, dove appare spesso come adiutrice dell’eroe protagonista.
180
Re dei Tafi, abitanti probabilmente di un’isola nei pressi di Itaca.
181
Sono certamente membri dell’aristocrazia di Itaca e delle isole vicine che, in assenza di
Odisseo, ne hanno occupato il palazzo e ne dilapidano i beni, in attesa che la regina
Penelope, stanca di aspettare il marito, si decida a sposare uno di loro.
173
174
45
chi il vino e l’acqua nel cratere182 mischiava,
chi con le spugne dai mille buchi le mense183
lavava e ordinava, altri molte carni tagliavano.
La vide per primo Telemaco184 simile a un dio;
sedeva tra i pretendenti, crucciato nell’anima,
sognando il nobile padre nel cuore, se a un tratto venisse
e liberasse da tutti i pretendenti la casa,
e riavesse il suo onore e sopra i suoi beni regnasse.
Questo, seduto fra i pretendenti, sognava; e vide Atena.
[...]
Allora gli disse la dea Atena occhio azzurro:
<< [...] Mi vanto d’esser Mente, figlio d’Anchίalo saggio,
e son signore dei Tafi amanti del remo.
Or ora approdai, con nave e compagni,
andando sul mare schiumoso verso genti straniere,
verso Temése185 per bronzo, e porto ferro lucente.
La mia nave è laggiù, dalla parte dei campi, fuori città,
nel porto Reίtro, sotto il Neio selvoso186.
Ospiti antichi fra noi possiamo vantarci,
fin da principio, se tu vai a chiederne al vecchio
eroe Laerte187: mi dicono che non viene in città,
ma lontano, fra i campi, soffre dolori,
con una vecchia serva, che bere e mangiare
gli porta, quando stanchezza le membra gli opprime
a strascinarsi pel dosso del suo colle a vigneti.
Sì, ora sono arrivato e mi dicevano ch’era già in patria
il padre tuo: ma forse gli dèi gli impediscono il viaggio.
Perché sulla terra morto non è Odisseo luminoso,
ma ancora vivo nel vasto mare è impedito,
forse in un’isola in mezzo all’onde, gente feroce l’ha in mano,
selvaggia, che suo malgrado lo tiene.
Ma farò un vaticinio, come dentro nell’animo
gli immortali m’ispirano, e credo avrà compimento,
per quanto io non sia né indovino né esperto d’uccelli188:
Vaso utilizzato nell’antica Grecia per mescolare il vino e l’acqua.
Tavolette di legno che erano adoperate nei banchetti come piatti.
184
É il figlio di Odisseo e di Penelope. Era ancora un bambino quando il padre partì per la
guerra di Troia, ma adesso, trascorsi ormai venti anni, è un giovane uomo.
185
Città variamente identificata, forse collocabile a Cipro che era ricca di rame.
186
Località di Itaca non facilmente identificabile.
187
É l’anziano padre di Odisseo. Disperato per la lontananza del figlio e per la difficile
situazione in cui si trova Itaca, si è ritirato a vivere in campagna.
188
L’arte della divinazione antica si basava anche sull’osservazione del volo degli uccelli.
182
183
46
non molto tempo lontano dalla sua terra paterna
starà, neppure se ferrea catena lo tiene;
saprà tornare perché è ricco d’ingegno.
[...]
Ti darò un saggio consiglio, se vuoi ascoltarmi:
armata di venti remi la nave migliore che c’è,
parti e cerca notizie del padre da tanto tempo lontano,
te ne parlasse un mortale, o sentissi la fama
di Zeus, che molto divulga le voci fra gli uomini.
Va’ a Pilo, prima di tutto, il chiaro Nestore189 interroga,
e di là a Sparta, dal biondo Menelao190,
che è tornato per ultimo fra gli Achei191 chitoni di bronzo.
E se del padre saprai vita e ritorno,
quantunque dilapidato, un anno ancora sopporta:
se invece senti che è morto, che non è più,
allora tornato alla terra paterna,
alzagli il tumulo, offrigli i doni funebri,
molti, come è giustizia, e affida a un marito la madre.
Quando infine avrai fatto e compiuto ogni cosa,
medita allora nell’animo e in cuore
come potrai massacrare in casa tua i pretendenti,
se di nascosto, d’inganno, o apertamente: non devi
fare il bambino, ché non hai tale età [...] >>.
[...]
Detto così, se n’andò Pallade192 Atena,
come un uccello volò via sparendo: ma in cuore
gli ispirò forza e ardire, gli infuse un ricordo del padre
più intenso di prima; e lui, tra sé riflettendo,
restò attonito in cuore, capì ch’era un dio.
Allora fra i pretendenti tornò, l’eroe pari ai numi.
Per essi il cantore193 famoso cantava: e in silenzio
quelli sedevano, intenti; cantava il ritorno degli Achei,
che penoso a loro inflisse da Troia Pallade Atena194.
Re di Pilo, nel Peloponneso. L’eroe aveva partecipato alla guerra di Troia ed appare
frequentemente nell’Iliade, dove viene ricordato soprattutto per la sua saggezza.
190
Re di Sparta, nel Peloponneso, e marito di Elena, la donna per la quale era scoppiata la
guerra di Troia: ella, infatti, abbandonato lo sposo, era fuggita insieme al troiano Paride.
191
Vedi nota 4.
192
Vedi nota 135.
193
É Femio, cantore del palazzo di Odisseo, che intrattiene i pretendenti raccontando loro
il travagliato ritorno in patria degli eroi greci reduci dalla guerra di Troia.
194
Alcune azioni compiute dai Greci durante la guerra di Troia avevano suscitato l’ira degli
dèi: per questo il loro ritorno in patria è funestato da molte difficoltà.
189
47
Dalle stanze di sopra intese quel canto divino
la figlia d’Icario, la saggia Penelope195,
e l’alta scala del suo palazzo discese,
non sola, con lei andavano anche due ancelle.
Come fra i pretendenti fu la donna bellissima,
si fermò in piedi accanto a un pilastro del solido tetto,
davanti alle guance tirando i veli lucenti:
da un lato e dall’altro le stava un’ancella fedele.
Piangendo, dunque, parlò al cantore divino:
<<Femio, molti altri canti tu sai, affascinatori degli uomini,
fatti d’eroi, di numi, che gli aedi glorificano:
uno di quelli canta a costoro, sedendo, e in silenzio
essi bevano il vino. Ma smetti questo cantare
straziante, che sempre in petto il mio cuore
spezza, perché a me soprattutto venne pazzo dolore,
così cara testa rimpiango, sempre pensando a quell’uomo,
di cui va larga la gloria per l’Ellade e nel cuore d’Argo>>.
Allora il saggio Telemaco rispondendo diceva:
<<Madre mia, perché vieti che il gradito cantore
diletti come la mente lo ispira? Non certo i cantori
son causa, Zeus è la causa: lui dà
la sorte agli uomini industri, come vuole a ciascuno.
Costui non ha biasimo, cantando la mala sorte dei Danai,
perché quel canto più lodano gli uomini,
che agli uditori suona intorno più nuovo.
Sopporti il tuo cuore, la mente, l’udire,
ché non il solo Odisseo perdette il ritorno
a Troia, ma molti altri eroi vi perirono.
Su, torna alle tue stanze e pensa all’opere tue,
telaio e fuso; e alle ancelle comanda
di badare al lavoro; al canto pensino gli uomini
tutti, e io sopra tutti: mio qui in casa è il comando>>.
Lei stupefatta tornò alle sue stanze,
e la prudente parola del figlio si tenne in cuore.
Al piano di sopra salì, con le donne sue ancelle,
e pianse a lungo Odisseo, il caro sposo, fin che soave
sonno sopra le ciglia le gettò Atena occhio azzurro.
Ma i pretendenti rumoreggiarono dentro la sala ombrosa,
e bramarono tutti di stendersi in letto con lei.
A loro Telemaco saggio fece parole:
<<O pretendenti di mia madre, che avete ingiuriosa superbia,
195
Figlia di Icario e di Peribea, è la moglie di Odisseo e la regina di Itaca.
48
ora il banchetto godiamoci e non facciamo schiamazzi,
perché è cosa bellissima ascoltare un cantore
com’è costui, che ai numi per la voce somiglia.
All’alba in assemblea andremo a sederci
tutti, ché senza riguardi v’ordini pubblicamente
d’uscirmi di casa: altri banchetti cercatevi,
mangiando le vostre sostanze, casa per casa invitandovi.
Se invece questo vi sembra più facile e bello,
distruggere senza vendetta i beni d’un uomo solo,
mietete pure, ma io invocherò i numi eterni,
ci desse mai Zeus che vi tocchi il ricambio:
e allora senza vendetta voi nella sala morrete>>.
LIBRO II
Telemaco convoca gli Itacesi in assemblea e chiede ai proci di lasciare il
palazzo del re Odisseo che hanno da tempo ingiustamente occupato. I
pretendenti di Penelope196 ribadiscono con arroganza la loro volontà di
attendere che la regina sposi uno di loro e negano a Telemaco la nave
necessaria per il viaggio verso Pilo e Sparta. Il giovane prega Atena di
intervenire: la dea, assunto l’aspetto di un vecchio amico di Odisseo,
Mentore, gli procura una nave e lo aiuta a radunare dei compagni fidati.
Euriclea, anziana nutrice di Odisseo, prepara le provviste per il viaggio e
nasconde a Penelope la partenza del figlio affinché non si preoccupi.
LIBRO III
Telemaco e i compagni approdano a Pilo. L’eroe Nestore197 li accoglie e il
giovane lo interroga sul destino di Odisseo: il re di Pilo risponde di non
averlo più visto da quando i Greci avevano iniziato il viaggio di ritorno da
Troia verso casa. Il giorno dopo Telemaco e Pisitrato, figlio di Nestore,
partono su un carro alla volta di Sparta per incontrare il re Menelao198.
Sono tre anni che i pretendenti attendono la decisione di Penelope: la regina era riuscita
ad ingannarli, dicendo che avrebbe scelto chi sposare quando avesse finito di tessere un
lenzuolo funebre per il vecchio Laerte; la tela però veniva intrecciata di giorno e poi
disfatta di notte, cosicché il suo lavoro non era mai portato a termine. Tradita da alcune
ancelle infedeli e scoperta dai proci, Penelope adesso è costretta a decidere.
197
Vedi nota 189.
198
Vedi nota 190.
196
49
LIBRO IV
Telemaco e Pisistrato giungono alla reggia di Menelao a Sparta. Il re
racconta ai due giovani il suo lungo viaggio di ritorno da Troia: trattenuto
dagli dèi in Egitto, si era rivolto al dio marino Proteo199 per conoscere il
rimedio alla sua sosta forzata; il dio, dopo avergli suggerito di celebrare
solenni sacrifici, gli aveva narrato la sorte di altri eroi greci reduci dalla
guerra. Tra questi aveva nominato anche Odisseo, rivelando che il re di
Itaca si trovava sull’isola della ninfa Calipso, privo di imbarcazione e di
compagni e quindi impossibilitato a tornare in patria. Ad Itaca, intanto,
viene scoperta l’assenza del giovane: Penelope, angosciata, prega Atena di
proteggerlo; i proci invece preparano un agguato per ucciderlo.
LIBRO V
Gli dèi sono riuniti in assemblea e ribadiscono che è ormai giunto il momento
di far tornare Odisseo in patria. Ermes si reca allora sull’isola Ogigia, dove
incontra la ninfa Calipso e le ordina di lasciar ripartire l’eroe. La dea, anche
se addolorata, obbedisce al volere di Zeus e aiuta Odisseo a fabbricare una
zattera. Dopo alcuni giorni di tranquilla navigazione, l’eroe viene però visto
dal dio Poseidone200 che scatena una terribile tempesta. Soltanto grazie
all’intervento della dea marina Leucotea e di Atena, Odisseo riesce ad
approdare su di un’isola. Qui l’eroe, sfinito, si addormenta.
CALIPSO
(vv. 55-144; 201-224)
Ma quando arrivò201 nell’isola lontana,
allora, dal livido mare balzato sul lido,
andava, finché fu alla grande spelonca, dove la ninfa202
trecce belle abitava: e la trovò ch’era in casa.
Gran fuoco nel focolare bruciava e lontano un odore
di cedro e di fissile tuia odorava per l’isola,
ardenti; lei dentro, cantando con bella voce
e percorrendo il telaio con spola d’oro, tesseva.
Dio marino dotato di capacità profetiche; risiede sull’isola di Faro, di fronte all’Egitto.
Vedi nota 178.
201
É il dio Ermes; appare spesso nei poemi omerici con il ruolo di messaggero degli dèi.
202
Calipso.
199
200
50
Un bosco intorno alla grotta cresceva, lussureggiante:
ontano, pioppo e cipresso odoroso.
Qui uccelli dall’ampie ali facevano il nido,
ghiandaie, sparvieri, cornacchie che gracchiano a lingua distesa,
le cornacchie marine, cui piace la vita del mare.
Si distendeva intorno alla grotta profonda
una vite domestica, florida, feconda di grappoli.
Quattro polle sgorgavano in fila, di limpida acqua,
una vicina all’altra, ma in parti opposte volgendosi.
Intorno molli prati di viola e di sedano
erano in fiore; a venir qui anche un nume immortale
doveva incantarsi guardando, e godere nel cuore.
Fermo, dunque, ammirava il messaggero Argheifonte203.
Ma come ogni cosa ebbe ammirato nell’animo,
d’un tratto entrò nella vasta spelonca: a vederselo avanti
lo riconobbe Calipso, la dea luminosa;
non sono ignoti uno all’altro i numi immortali,
nemmeno chi molto lontano ha dimora.
Ma il generoso Odisseo dentro non lo trovò;
sul promontorio piangeva, seduto, là dove sempre,
con lacrime, gemiti e pene straziandosi il cuore,
al mare mai stanco guardava, lasciando scorrere lacrime.
Chiese a Ermes Calipso, la dea luminosa,
su lucido trono dai vivi colori a sedere invitandolo:
<<Perché vieni da me, Ermes verga204 d’oro,
venerabile e caro? Non usi venir di frequente.
Dimmi quello che pensi: a farlo il cuore mi spinge,
se posso farlo e se si può fare.
Ma seguimi prima, che t’offra il pranzo ospitale>>.
E dicendo così, la dea gli pose accanto la mensa,
d’ambrosia riempiendola, e versò rosso nettare205.
E lui bevve e mangiò, il messaggero Argheifonte.
Ma banchettato che ebbe, e ristorato il cuore col cibo,
finalmente le disse ricambiando parole:
<<Interrogavi al mio arrivo tu dea me dio: e io certo
Epiteto del dio Ermes. Significa “uccisore di Argo”: la sua origine è connessa al mito di
Io, sacerdotessa della dea Era di cui Zeus si era innamorato. Era, gelosa, si era vendicata
trasformando Io in una vacca e ponendola sotto la custodia di Argo, guardiano dai cento
occhi; Zeus allora si era unito a lei sotto forma di toro e aveva poi ordinato ad Ermes di
uccidere Argo, compito che il dio era riuscito con astuzia a portare a termine.
204
É il bastone, donatogli da Apollo, che il dio porta abitualmente come araldo e viaggiatore.
205
L’ambrosia e il nettare sono rispettivamente il cibo e la bevanda degli dèi: essi donano
l’immortalità e soltanto raramente viene concesso agli uomini di assaggiarli.
203
51
sinceramente parola ti parlerò: tu me l’ordini.
Zeus m’ha costretto a venire quaggiù, contro voglia;
e chi volentieri traverserebbe tant’acqua marina,
infinita? Non è neppure vicina qualche città di mortali,
che fanno offerte ai numi, elette ecatombi206.
Ma certo il volere di Zeus egίoco207 non può
un altro dio trascurare o far vano.
Dice dunque che un uomo208 c’è qui, su tutti infelice,
quanti eroi intorno alla rocca di Priamo lottarono
nove anni, e al decimo anno, distrutta la rocca, partirono
verso la patria: ma nel ritorno offesero Atena209,
che contro di loro scagliò mal vento e flutti giganti.
Poi tutti gli altri perirono, i suoi forti compagni;
lui il vento e l’onda, spingendolo, gettarono qui.
Questo Zeus ti comanda di far partire al più presto.
Non qui gli è destino di morire, lontano dai suoi;
è destino per lui che riveda gli amici e che torni
all’alto palazzo e alla terra dei padri>>.
Così parlava, rabbrividì Calipso, la dea luminosa,
e a lui rivolta disse parole fugaci:
<<Maligni siete, o dèi, e invidiosi oltre modo,
voi che invidiate alle dee di stendersi accanto ai mortali
palesemente, se una si trova un caro marito.
Così quando l’Aurora dita rosate Orione si scelse,
voi v’adiraste, o dèi che vivete beati,
finché in Ortigia Artemide trono d’oro, la casta,
con le sue miti frecce lo raggiunse e l’uccise210.
Così quando a Iasίone Demetra belle trecce
ubbidendo al suo cuore s’unì d’amore e di letto
in un maggese terziato; non ne fu a lungo ignaro
Zeus, che l’uccise col fulmine abbagliante211.
Così con me v’adirate ora, o dèi, che mi sia accanto un mortale.
Ma io lo salvai, ch’era solo, aggrappato alla chiglia,
Vedi nota 22.
Vedi nota 89.
208
Odisseo.
209
L’ira di Atena nei confronti dei Greci reduci dalla guerra di Troia era stata provocata dal
comportamento dell’eroe Aiace Oileo che, durante la notte della presa della città, aveva
osato violare Cassandra, figlia del re Priamo, nel tempio della dea.
210
Esistono differenti versioni della morte del mitico cacciatore greco Orione. Quella qui
accennata racconta che la dea Eos, l’Aurora, si era innamorata di lui e l’aveva rapito: questo
però dispiacque ad Artemide, dea della caccia, che uccise Orione con le sue frecce sull’isola
di Ortigia, luogo legato al culto dei due figli di Latona; vedi note 90 e 125.
211
Figlio di Zeus, Iasίone fu amato dalla dea Demetra e poi ucciso dal padre.
206
207
52
perché l’agile nave col fulmine abbagliante
Zeus gli aveva colpita e infranta nel livido mare212.
E tutti gli altri perirono, i suoi forti compagni,
lui il vento e l’onda, spingendolo, gettarono qui.
E io lo raccolsi, lo nutrii, e promettevo
di farlo immortale e senza vecchiezza per sempre.
Ma certo il volere di Zeus egίoco non può
un altro dio trascurare o far vano:
e dunque andrà, se Zeus l’ordina e m’obbliga,
sul mare instancabile: scorta non potrò dargliene certo,
non ho navi provviste di remi, non ho compagni,
che lo trasportino sul dorso ampio del mare.
Ma gli darò consigli con cuore amico, non gli tacerò
come tornerà illeso alla terra dei padri>>.
[...]
Poi quando si furon goduti cibo e bevanda,
fra loro213 prendeva a dire Calipso, la dea luminosa;
<<Laerzίade214 divino, accorto Odisseo
dunque alla casa, alla terra dei padri
subito adesso andrai? Ebbene, che tu sia felice!
Ma se sapessi nell’animo tuo quante pene
t’è destino subire, prima di giungere in patria,
qui rimanendo con me, la casa mia abiteresti
e immortale saresti, benché tanto bramoso
di rivedere la sposa215, che sempre invochi ogni giorno.
Eppure, certo, di lei mi vanto migliore
quanto a corpo e figura, perché non può essere
che le mortali d’aspetto e bellezza con le immortali gareggino!>>
E rispondendole disse l’accorto Odisseo:
<<O dea sovrana, non adirarti con me per questo: so anch’io,
e molto bene, che a tuo confronto la saggia Penelope
per aspetto e grandezza non val niente a vederla:
è mortale, e tu sei immortale e non ti tocca vecchiezza.
Ma anche così desidero e invoco ogni giorno
di tornarmene a casa, vedere il ritorno.
Se ancora qualcuno dei numi vorrà tormentarmi sul livido mare,
sopporterò, perché in petto ho un cuore avvezzo alle pene.
Odisseo naufraga sull’isola Ogigia per volere di Zeus, che punisce in tal modo i compagni
dell’eroe, colpevoli di aver ucciso e mangiato le vacche sacre al dio Elios; vedi nota 172.
213
Odisseo e Calipso. La dea è costretta a lasciar ripartire l’eroe: prima, però, gli predice le
difficoltà che ancora dovrà affrontare nel suo viaggio verso Itaca.
214
Vedi nota 99.
215
Penelope.
212
53
Molto ho sofferto, ho corso molti pericoli
fra l’onde e in guerra: e dopo quelli venga anche questo!>>
NAUFRAGIO
(vv. 394-443; 462-463; 475-487)
Come ai figliuoli sembra cara la vita
del padre, che giacque malato, straziato da forti dolori,
languendo a lungo, in preda a un demone odioso,
e finalmente i numi l’han sciolto dal male;
così a Odisseo sembrò carissima la terra e la selva.
Nuotava impaziente di porre il piede sul suolo.
Ma come fu tanto lontano quando s’arriva col grido,
ecco udì il rombo del mare contro gli scogli:
urlava l’onda gonfia contro le secche del lido,
sputando paurosamente: la schiuma del mare tutto copriva.
Non v’eran porti rifugio di navi, non baie,
erano punte sporgenti e scogli e roccioni.
E allora si sciolsero petto e ginocchia a Odisseo
e disse irato al suo cuore magnanimo:
<<Ohimè, la terra insperata m’ha dato di scorgere
Zeus, tutto questo abisso ho passato,
uscita però non si vede dal mare schiumoso:
sporgono solo acuti roccioni e intorno l’ondata
urla e rugge, nudo s’eleva un bastione di pietra;
e profondo è là il mare, non posso sui piedi
star ritto e sfuggire camminando al malanno.
Temo che nell’uscire mi scagli contro la roccia
l’immane risacca afferrandomi: e allora sarebbe vano il mio sforzo.
E se nuoto più avanti, a veder di trovare
spiagge battute di fianco e seni di mare,
temo che la tempesta mi travolga di nuovo
e mi trascini pel mare pescoso, a urlare di pena,
o che un mostro enorme un dio m’ecciti contro
dall’abisso, quali ne nutre in gran numero la gloriosa Anfitrite216:
so quanto m’ha in odio il grande Ennosίgeo217... >>
Mentre questo pensava in cuore e nell’animo,
ecco un’immane ondata lo trascinò contro l’aspra costiera;
É una delle Nereidi ed è sposa di Poseidone, dio del mare; vedi nota 29.
Epiteto del dio Poseidone. Significa “colui che scuote la terra”: il dio del mare, infatti,
era spesso rappresentato nell’atto di scuotere la terra col suo tridente; vedi nota 178.
216
217
54
e qui si stracciava la pelle, si fracassava l’ossa,
se in cuore non lo ispirava Atena occhio azzurro:
a due mani, d’un balzo, strinse la roccia,
ci stette attaccato gemendo, finché passò via l’onda enorme.
E così evitò l’onda; ma di nuovo il risucchio
l’attirò con violenza, lo gettò in mare lontano.
Come quando si strappa un polipo218 fuori dal covo,
mille sassetti ai tentacoli stanno attaccati,
così dalle mani gagliarde contro la roccia
si scorticò la pelle: e lo sommerse il gran flutto.
E contro il fato periva il meschino Odisseo,
se non gli ispirava accortezza Atena occhio azzurro.
Riemerso dall’onda – e altre urlando flagellavan la riva –
nuotò lungo la costa, l’occhio alla terra, a trovare
spiagge battute di fianco e seni di mare.
Ed ecco alla foce di un fiume bella corrente
giunse nuotando, e qui gli parve il luogo migliore,
privo di rocce; ed era al riparo dal vento.
[...]
[...] Uscito dal fiume, l’eroe
fra i giunchi cadde bocconi, baciò la terra dono di biade;
[...]
E mosse verso la selva; la trovò non lontano dall’acqua,
su una piccola altura; s’infilò sotto un doppio cespuglio,
cresciuto insieme da un ceppo d’olivo e oleastro.
Non l’umida forza dei venti soffianti l’attraversava,
mai il sole ardente lo penetrava coi raggi,
mai passava la pioggia, così fittamente
eran cresciuti intrecciati l’uno all’altro; e sotto questi Odisseo
s’infilò, si preparò con le mani un giaciglio
largo, ché c’era un gran mucchio di foglie,
tanto da riparare anche due uomini o tre
in tempo d’inverno, per quanto fosse maligno.
Gioì a vederlo Odisseo costante, glorioso,
e vi si stese nel mezzo e si versò addosso le foglie.
218
Le immagini naturali delle similitudini omeriche sono sempre incredibilmente vive.
55
LIBRO VI
Mentre Odisseo dorme, Atena cerca di facilitarne l’accoglienza nell’isola di
Scheria219 dove l’eroe è approdato. La dea si reca nella casa di Alcinoo, re
dei Feaci, abitanti del luogo, e, assunto l’aspetto di una giovane, appare in
sogno a Nausicaa, figlia del re: la esorta a recarsi al fiume a lavare il suo
corredo perché il tempo delle sue nozze è vicino. Al risveglio, la fanciulla
ottiene dal padre il carro con le mule e si dirige al fiume con le sue ancelle.
Dopo aver lavato le vesti, le fanciulle giocano a palla: un lancio troppo lungo
fa cadere la palla nell’acqua. Le grida delle giovani svegliano l’eroe Odisseo
che decide di rivolgersi a loro e di implorare aiuto. Nausicaa accoglie con
ospitalità lo straniero e, dopo avergli fornito vestiti e cibo, gli indica la
strada per raggiungere il palazzo del padre: supplicando il re Alcinoo e la
regina Arete, egli potrà sperare di migliorare la propria sorte.
IL SOGNO DI NAUSICAA
(vv. 13-70)
Al suo palazzo andò la dea Atena occhio azzurro,
a preparare il ritorno per Odisseo magnanimo:
e mosse verso la stanza ornata, in cui una fanciulla
dormiva, alle immortali simile per aspetto e bellezza,
Nausicaa220, la figlia del magnanimo Alcinoo;
e vicino due ancelle, che dalle Cariti221 avevan bellezza,
di qua e di là dagli stipiti; le porte splendenti eran chiuse.
Come un soffio di vento balzò al letto della fanciulla,
le stette sopra la testa e le disse parola,
sembrando la figlia di Dimante222, nocchiero famoso,
che le era coetanea e molto cara al cuore.
Quella sembrando, parlò Atena occhio azzurro:
<<Nausicaa, così trascurata t’ha fatto la madre?
Le vesti vivaci son là in abbandono,
e a te le nozze s’appressano, quando bisogna che belle tu stessa
ne vesta e n’offra a quelli che devon condurti:
La terra dei Feaci fu ben presto identificata dai Greci con Corfù; in realtà nel poema
essa è immaginata come una terra leggendaria posta ai confini del mondo.
220
Figlia del re Alcinoo e della regina Arete, è la giovane principessa dei Feaci, sulla cui isola
l’eroe Odisseo è naufragato dopo aver lasciato la ninfa Calipso.
221
Sono le dee della grazia e della bellezza, sul numero e sui nomi delle quali le tradizioni
antiche divergono; vengono frequentemente associate ad Afrodite, dea dell’amore.
222
Abitante e marinaio dell’isola di Scheria, la cui figlia è amica di Nausicaa.
219
56
per queste cose corre tra gli uomini fama
gloriosa, godono il padre e la madre sovrana.
Su, andiamo a lavare appena spunta l’aurora;
anch’io verrò ad aiutarti, perché tu l’abbia pronte
al più presto: non per molto sarai vergine ancora,
già ti domandano qui nel paese i migliori
di tutti i Feaci, dove tu pure hai stirpe.
Ma tu sollecita il padre glorioso, avanti l’aurora,
a prepararti le mule e il carro, che ti trasporti
cinture e pepli e mantelli vivaci;
e anche per te così è molto meglio, che andare
a piedi: son molto lontani dalla città i lavatoi>>.
E detto così se ne andò, Atena occhio azzurro,
verso l’Olimpo, dov’è, dicon, la sede sempre serena dei numi:
non da venti è squassata, mai dalla pioggia
è bagnata, non cade la neve, ma l’etere sempre
si stende privo di nubi, candida scorre la luce:
là il giorno intero godono i numi beati;
là tornò l’Occhio azzurro223, poi che ispirò la fanciulla.
E subito l’Aurora bel trono venne a svegliarla,
Nausicaa peplo bello: e stupì del suo sogno,
e corse attraverso la casa, per dirlo ai genitori,
al padre caro, alla madre: lì trovò dentro casa.
La madre al focolare sedeva, con le donne sue ancelle,
il fuso purpureo girando; il padre alla porta
trovò, che andava fra i nobili capi
al consiglio, dove l’avevan chiamato gli illustri Feaci:
e standogli molto vicina, parlò al caro padre:
<<Babbo mio, vorrai prepararmi il carro
alto, buone ruote, perché le vesti belle mi porti
al fiume, a lavarle? mi stanno là tutte sporche.
Certo sta bene anche a te andar fra i capi
a tener consiglio con vesti pulite sul corpo;
e cinque tuoi figli ci sono nel palazzo,
due sono sposi e tre garzoni fiorenti:
e vogliono sempre con vesti appena lavate
andare alla danza: a me tutto questo sta a cuore>>.
Epiteto della dea Atena, il cui significato non è in realtà ben chiaro. La sua etimologia
potrebbe essere connessa alla civetta, animale sacro alla dea, elemento che porta alcuni
studiosi a tradurre questo aggettivo come “dallo sguardo di civetta”; tuttavia è anche
possibile collegare questo epiteto ad una radice indoeuropea dotata di una nozione
essenzialmente luministica: questo porta a tradurre il termine come “dallo sguardo
splendente” oppure, come molti grecisti preferiscono, “dagli occhi azzurri”.
223
57
Così diceva: ché aveva pudore a nominare le floride nozze
al padre; ma lui tutto capiva e le rispondeva parole:
<<Non ti nego le mule, creatura, e nessun’altra cosa.
Va’: i servi prepareranno il carro
alto, buone ruote, munito di sponde>>.
ODISSEO E NAUSICAA
(vv. 110-197)
Ma quando fu per tornarsene a casa,
aggiogate le mule, piegate le belle vesti,
altro allora pensò la dea Atena occhio azzurro,
perché Odisseo si svegliasse, vedesse la giovinetta begli occhi,
e lei dei Feaci alla città lo guidasse.
La palla224 dunque lanciò la regina a un’ancella,
fallì l’ancella, scagliò la palla nel gorgo profondo.
Quelle un grido lungo gettarono: e si svegliò Odisseo luminoso,
e seduto pensava nell’anima e in cuore:
<<Ohimè, di che uomini ancora arrivo alla terra?
Forse violenti, selvaggi, senza giustizia,
oppure ospitali, e han mente pia verso i numi?
Come di giovanette mi è giunto un grido femmineo;
Ninfe225, che vivono sui picchi scarpati dei monti,
nelle sorgenti dei fiumi, nei pascoli erbosi?
Oppure sono vicino a esseri umani parlanti?
Via, dunque, io stesso vedrò e lo saprò>>.
Così dicendo, di sotto ai cespugli sbucò Odisseo glorioso,
dal folto un ramo fronzuto con la mano gagliarda
stroncò per coprire le vergogne sul corpo.
E mosse come leone226 nutrito sui monti, sicuro della sua forza,
che va tra il vento e la pioggia; i suoi occhi
son fuoco. Tra vacche si getta, tra pecore,
tra cerve selvagge; e il ventre lo spinge,
in cerca di greggi, a entrare anche in ben chiuso recinto.
Così Odisseo tra le fanciulle bei riccioli stava
per mescolarsi, nudo: perché aveva bisogno.
Dopo aver lavato le vesti, Nausicaa e le ancelle giocano a palla sulle sponde del fiume.
Vedi nota 88.
226
L’immagine del leone è cara ad Omero. L’abbiamo incontrata più volte nell’Iliade, dove il
poeta se ne serve per descrivere il coraggio e la fierezza dei guerrieri in battaglia; anche
qui nell’Odissea la ritroviamo impiegata per sottolineare la forza fisica del protagonista.
224
225
58
Pauroso apparve a quelle, orrido di salsedine,
fuggirono qua e là per le lingue di spiaggia.
Sola, la figlia di Alcinoo restò, perché Atena
le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.
Dritta stette, aspettandolo: e fu in dubbio Odisseo
se, le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,
o con parole di miele, fermo così, da lontano,
pregarla che la città gli insegnasse e gli desse una veste.
Così, pensando, gli parve cosa migliore,
pregar di lontano, con parole di miele,
ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine.
Subito dolce e accorta parola parlò:
<<Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale?
Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,
Artemide227, certo, la figlia del massimo Zeus,
per bellezza e grandezza e figura mi sembri.
Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,
tre volte beati il padre e la madre sovrana,
tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore
s’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,
quando contemplano un tal boccio muovere a danza.
Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,
chi, soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.
Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,
né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.
In Delo228 una volta, così, presso l’ara d’Apollo,
vidi levarsi un fusto nuovo di palma229:
sì, giunsi anche là; e mi seguiva innumerevole esercito,
via in cui m’era destino aver tristi pene.
Così, ammirandolo, fui vinto dal fascino
a lungo, perché mai crebbe tale pianta da terra,
come te, donna, ammiro, e sono incantato e ho paura tremenda
ad abbracciarti i ginocchi: ma duro strazio m’accora.
Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:
Figlia di Zeus e di Latona, è sorella del dio Apollo. La scelta da parte del poeta di
paragonare Nausicaa, la vergine per eccellenza dei poemi omerici, ad Artemide, la vergine
dea della caccia, non è certamente casuale: anzi, è proprio la perfetta corrispondenza tra
le due figure femminili a rendere questo accostamento così tanto riuscito.
228
Isola delle Cicladi, nel mare Egeo, che diede i natali ad Apollo e Artemide.
229
Questa similitudine è davvero originale: Odisseo paragona la principessa dei Feaci ad un
fusto di palma da lui visto sull’isola di Delo mentre era in viaggio verso Troia. L’immagine
richiama alla mente le statue di fanciulle dell’arte greca arcaica, il cui tronco ha la stessa
elegante sobrietà e solidità di una colonna o di un giovane fusto di palma.
227
59
fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,
dall’isola Ogigia230; e qui m’ha gettato ora un dio,
certo perché soffra ancora dolori: non credo
che finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.
Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,
a te per prima mi prostro, nessuno conosco degli altri
uomini, che hanno questa città e questa terra.
La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi addosso,
se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.
A te tanti doni facciano i numi, quanti in cuore desideri,
marito, casa ti diano, e la concordia gloriosa
a compagna; niente è più bello, più prezioso di questo,
quando con un’anima sola dirigono la casa
l’uomo e la donna: molta rabbia ai maligni,
ma per gli amici è gioia, e loro han fama splendida>>.
Gli replicò Nausicaa braccio bianco:
<<Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio,
ma Zeus Olimpio, lui stesso, divide fortuna tra gli uomini,
buoni e cattivi, come vuole a ciascuno:
a te ha dato questo, bisogna che tu lo sopporti.
Ora però, che sei giunto alla nostra terra, alla nostra città,
né panno ti mancherà, né altra cosa,
quanto è giusto ottenga il meschino, che supplica.
La rocca t’insegnerò e dirò il nome del popolo.
I Feaci possiedono terra e città,
e io son la figlia del magnanimo Alcinoo,
che tra i Feaci regge la forza e il potere>>.
LIBRO VII
Odisseo raggiunge il palazzo di Alcinoo. Dopo averne ammirato lo splendore,
si reca supplice dal re e dalla regina: Alcinoo lo accoglie benevolmente e gli
promette una nave e una scorta per rientrare in patria. Dopo cena, l’eroe
narra al sovrano dei Feaci i sette anni da lui trascorsi sull’isola Ogigia in
compagnia della ninfa Calipso e la terribile tempesta che l’ha fatto
naufragare a Scheria. Alla fine del racconto, tutti vanno a dormire.
230
L’isola della ninfa Calipso.
60
LIBRO VIII
Alcinoo convoca un’assemblea e comunica la sua decisione di fornire ad
Odisseo una nave che lo scorti in patria. Viene poi organizzata una festa in
onore dell’ospite: un grande banchetto, giochi sportivi, saggi di danza, doni
preziosi animano la giornata. Ai festeggiamenti partecipa anche il cantore
Demodoco231 che intona tre diversi racconti: una lite tra Achille e Odisseo
durante la guerra di Troia, gli amori di Ares e Afrodite232 e l’episodio del
cavallo233 di Troia e della presa della città. Alcinoo nota il dolore che certi
argomenti suscitano all’eroe e lo invita a narrargli la sua storia.
LIBRO IX
Odisseo rivela il suo nome e la sua patria e inizia a narrare ad Alcinoo le
vicende del suo lunghissimo e tormentato viaggio di ritorno da Troia verso
Itaca. Partito con numerosi compagni, l’eroe assale la città di Ismaro in
Tracia e la conquista: i compagni però si trattengono troppo a lungo, dando
tempo ai Cìconi di contrattaccare. I Greci sono così costretti a fuggire
precipitosamente e vengono travolti da una forte tempesta presso Capo
Malea234 che fa perdere loro ogni orientamento. Odisseo e i compagni
approdano alla terra dei Lotofagi, i mangiatori di loto, una pianta che
produce l’oblio del passato: alcuni Greci ne mangiano i fiori e l’eroe deve
reimbarcarli con la forza. Ripartiti, raggiungono l’isola di fronte alla terra
dei Ciclopi: Odisseo si avventura con un gruppo nel territorio di questi
giganti antropofagi dotati di un occhio solo e rimane intrappolato nella
grotta di uno di loro, Polifemo. Il gigante inizia a mangiare, a due a due, i
compagni dell’eroe e Odisseo escogita uno stratagemma per salvarsi: fa
ubriacare Polifemo con un vino che porta con sé e dice al Ciclope di
chiamarsi Nessuno; quando Polifemo si addormenta, Odisseo e i compagni
sopravvissuti lo accecano con un palo incandescente. I Ciclopi, accorsi alle
grida di Polifemo, non riescono a capire che cosa stia succedendo perché,
alla domanda su chi gli stia facendo del male, Polifemo risponde “Nessuno”.
Nascosti sotto il ventre delle pecore del Ciclope, i Greci fuoriescono dalla
É il mitico cantore cieco della corte del re Alcinoo.
Afrodite, la dea dell’amore, era sposa di Efesto, il dio del fuoco. Ella però lo tradiva con
Ares, dio della guerra: Efesto si vendica intrappolando i due adulteri in una rete.
233
La città di Troia fu conquistata dai Greci grazie ad un inganno escogitato proprio da
Odisseo. I Greci finsero di ritirarsi, lasciando sulla spiaggia di Troia un grande cavallo di
legno dentro cui si erano nascosti i migliori tra loro: i Troiani lo introdussero nelle mura
come dono votivo agli dèi e i Greci durante la notte fuoriuscirono bruciando la città.
234
Si trova a sud-est del Peloponneso.
231
232
61
grotta e fuggono verso le navi. Polifemo invoca allora il padre, il dio
Poseidone235, chiedendogli di punire Odisseo per questo oltraggio.
POLIFEMO
(vv. 170-196; 212-435)
Ma come, figlia di luce, brillò l’Aurora dita rosate,
allora, fatta adunanza, parlai in mezzo a tutti:
<<Voialtri ora aspettatemi, miei cari compagni;
io con la mia nave e la mia ciurma
andrò a esplorare queste genti, chi sono,
se son violenti, selvaggi, senza giustizia,
o amanti degli ospiti e han mente pia verso i numi>>.
Così detto, salii sulla nave e ordinai che i compagni
a loro volta salissero e la fune sciogliessero.
Subito quelli salivano e sui banchi sedevano,
e in fila seduti battevano il mare schiumoso coi remi.
Quando dunque arrivammo alla terra vicina,
qui sull’estrema punta una grotta vedemmo, sul mare,
eccelsa, ombreggiata da lauri; e qui molte greggi,
pecore e capre, avevano stalla; intorno un recinto
alto correva, fatto di blocchi di pietra,
e lunghi tronchi di pino, e querce alta chioma.
Qui un uomo aveva tana, un mostro236, che greggi
pasceva, solo, in disparte, e con altri
non si mischiava, ma solo viveva, aveva animo ingiusto.
Era un mostro gigante; e non somigliava
a un uomo mangiatore di pane, ma a picco selvoso
d’eccelsi monti, che appare isolato dagli altri.
Allora ai fidi compagni ordinavo
di rimanere alla nave, di far guardia alla nave;
e io, scelti fra loro i dodici più coraggiosi,
andai, ma un otre caprino avevo, di vino nero,
[...]
Un grande otre pieno di questo portavo e dei cibi
in un cesto; perché sentì subito il mio cuore altero
che avremmo trovato un uomo vestito di poderoso vigore,
selvaggio, ignaro di giustizia e di leggi.
Da questo momento in poi, Odisseo sarà perseguitato dall’odio di questa divinità.
É Polifemo: figlio del dio Poseidone e di una Ninfa, appartiene ai Ciclopi, esseri mostruosi
dotati di un occhio solo; Omero li presenta come dei rozzi pastori antropofagi.
235
236
62
Rapidamente all’antro arrivammo, ma dentro
non lo trovammo; pasceva pei pascoli le pecore pingui.
Entrati nell’antro, osservammo ogni cosa;
dal peso dei caci i graticci piegavano; steccati c’erano,
per gli agnelli e i capretti, e separata ogni età
vi stava chiusa, a parte i primi nati, a parte i secondi,
a parte ancora i lattonzoli; tutti i boccali traboccavan di siero,
e i secchi e i vasi nei quali mungeva.
Subito allora mi supplicarono con parole i compagni,
che, rubati i formaggi, tornassimo indietro; che in fretta,
all’agile nave gli agnelli e i capretti spingendo
fuori dai chiusi, rinavigassimo l’acque del mare;
ma io non volli ascoltare – e sarebbe stato assai meglio –
per vederlo in persona, se mi facesse i doni ospitali237.
Ah! non doveva essere amabile la sua comparsa ai compagni.
Là, acceso il fuoco, facemmo offerte, e anche noi
prendemmo e mangiammo formaggi, e l’aspettammo dentro,
seduti, finché venne pascendo; portava un carico greve
di legna secca, per la sua cena.
E dentro l’antro gettandolo produsse rimbombo:
noi atterriti balzammo nel fondo dell’antro.
Lui nell’ampia caverna spinse le pecore pingui,
tutte quante ne aveva da mungere; ma i maschi li lasciò fuori,
montoni, caproni, all’aperto nell’alto steccato.
Poi, sollevandolo, aggiustò un masso enorme, pesante,
che chiudeva la porta: io dico che ventidue carri
buoni, da quattro ruote, non l’avrebbero smosso da terra,
tale immensa roccia, scoscesa, mise a chiuder la porta.
Seduto, quindi, mungeva le pecore e le capre belanti,
ognuna per ordine, e cacciò sotto a tutte il lattonzolo.
E subito cagliò una metà del candido latte,
e, rappreso, lo mise nei canestrelli intrecciati;
metà nei boccali lo tenne, per averne da prendere
e bere, che gli facesse da cena.
Come rapidamente i suoi lavori ebbe fatto,
allora accese il fuoco e ci vide e ci disse:
<<Stranieri, chi siete? e di dove navigate i sentieri dell’acqua?
forse per qualche commercio, o andate errando così, senza meta
sul mare, come i predoni, che errano
Nella società aristocratica omerica l’ospitalità è un valore importante: lo straniero deve
essere accolto e onorato con doni. Il comportamento di Polifemo pone i Ciclopi al di fuori
del mondo civilizzato e in netta opposizione ai Feaci, popolo evoluto e democratico.
237
63
giocando la vita, danno agli altri portando?>>
Così disse, e a noi si spezzò il caro cuore
dalla paura di quella voce pesante e di quell’orrido mostro.
Ma anche così, gli risposi parola, gli dissi:
<<Noi siamo Achei238, nel tornare da Troia travolti
da tutti i venti sul grande abisso del mare;
diretti alla patria, altro viaggio, altri sentieri
battemmo: così Zeus volle decidere.
Ci vantiamo guerrieri dell’Atride239 Agamennone,
di cui massima è ora sotto il cielo la fama,
tale città ha distrutto, ha annientato guerrieri
innumerevoli. E ora alle tue ginocchia veniamo
supplici, se un dono ospitale ci dessi, o anche altrimenti
ci regalassi qualcosa; questo è norma per gli ospiti.
Rispetta, ottimo, i numi; siamo tuoi supplici.
E Zeus240 è il vendicatore degli stranieri e dei supplici,
Zeus ospitale, che gli ospiti venerandi accompagna>>.
Così dicevo; e subito rispose con cuore spietato:
<<Sei uno sciocco, o straniero, o vieni ben da lontano
tu che pretendi di farmi temere e rispettare gli dèi.
Ma non si danno pensiero di Zeus egίoco241 i Ciclopi
né dei numi beati, perché siam più forti.
Non certo evitando l’ira di Zeus ti vorrò risparmiare,
né te, né i compagni, se non vuole il mio cuore.
Ma dimmi dove lasciasti la nave ben fabbricata,
se laggiù in fondo all’isola o vicino, che sappia>>.
Così disse tentandomi, ma non mi sfuggì, perché sono accorto.
E rispondendogli dissi con false parole:
<<La nave me l’ha spezzata Poseidone enosίctono242,
contro gli scogli cacciandola, al limite del vostro paese;
proprio sul promontorio: il vento dal largo spingeva.
Io solo sfuggii con questi l’abisso di morte>>.
Così dicevo: nulla rispose nel suo cuore spietato,
ma con un balzo sui miei compagni le mani gettava
e, afferrandone due, come cuccioli a terra
li sbatteva, scorreva fuori il cervello e bagnava la terra.
E fattili a pezzi, si preparava la cena;
li maciullava come leone montano; non lasciò indietro
Vedi nota 4.
Vedi nota 6.
240
Il re degli dèi è protettore degli stranieri e dei supplici.
241
Vedi nota 89.
242
Vedi nota 217.
238
239
64
né interiora, né carni, né ossa o midollo.
E noi piangendo a Zeus tendevamo le braccia
vedendo cose terribili: ci sentivamo impotenti.
Quando il Ciclope ebbe riempito il gran ventre,
carne umana mangiando e latte puro bevendo,
si distese nell’antro, sdraiato in mezzo alle pecore.
E io pensai nel mio cuore magnanimo
d’avvicinarmi e, la spada puntuta dalla coscia sguainando,
piantarla nel petto, dove il fegato s’attacca al diaframma,
cercando a tastoni; ma mi trattenne un altro pensiero.
Infatti noi pure là perivamo di morte terribile:
non potevamo certo dall’alta apertura
a forza di braccia spostare l’enorme roccia, che vi aveva addossata.
Così allora gemendo aspettammo l’Aurora lucente.
Come, figlia di luce, brillò l’Aurora dita rosate,
accese il fuoco di nuovo; munse le pecore belle,
tutte per ordine, e cacciò sotto a tutte il lattonzolo.
Poi, quando rapidamente i suoi lavori ebbe fatto,
ancora, afferrando due uomini, si preparò il pasto.
Mangiato, spinse fuori dall’antro le pecore pingui,
senza fatica togliendo l’enorme masso: ma subito
ve lo rimise, come se alla faretra rimettesse il coperchio,
e con un lungo fischio al monte volse le pecore pingui
il Ciclope; e io rimasi a meditar vendetta in cuore,
se avessi potuto punirlo, m’avesse dato Atena quel vanto.
E questo nell’animo mi parve il piano migliore:
c’era un grande vincastro del mostro, presso uno dei chiusi,
un tronco verde d’olivo: doveva averlo tagliato
per portarlo poi secco; lo giudicammo, a vederlo,
grande come l’albero di nera nave, da venti banchi,
di nave larga, da carico, che solca l’abisso infinito,
tanto era lungo, tanto era grosso a vederlo.
Io mi avvicinai e ne tagliai quanto due braccia,
e lo diedi ai compagni, e comandai di sgrossarlo.
Essi lo resero liscio; poi io mi misi a aguzzarlo
in punta, quindi lo presi, lo feci indurire alla fiamma,
e lo nascosi bene, coprendolo sotto il letame,
che per la grotta in grande abbondanza era sparso.
Poi volli che gli altri tirassero a sorte,
chi avrebbe osato con me, sollevando quel palo,
girarlo nell’occhio, quando l’avesse preso il sonno soave.
Estrassero a sorte quelli che appunto avrei scelti,
quattro: e quinto con loro io mi contai.
65
A sera tornò, le pecore bei velli pascendo,
e subito nel vasto antro spinse le pecore pingui,
tutte quante: non ne lasciava all’aperto nella corte profonda,
o per qualche suo piano, o forse un dio così volle.
Dunque, dopo che, sollevandolo, aggiustò il grande masso,
seduto mungeva le pecore e le capre belanti,
tutte per ordine, e cacciò sotto a tutte il lattonzolo.
Come rapidamente i suoi lavori ebbe fatto,
ancora, afferrando due uomini, preparò il pasto.
Allora io al Ciclope parlai, avvicinandomi
con in mano un boccale del mio nero vino:
<<Ciclope, to’, bevi il vino, dopo che carne umana hai mangiato,
perché tu senta che vino è questo che la mia nave portava.
Per te l’avevo recato come un’offerta, se avendo pietà,
m’avessi lasciato partire; invece tu fai crudeltà intollerabili,
pazzo! Come in futuro potrà venir qualche altro
a trovarti degli uomini? Tu non agisci secondo giustizia>>.
Così dicevo; e lui prese e bevve; gli piacque terribilmente
bere la dolce bevanda; e ne chiedeva di nuovo:
<<Dammene ancora, sii buono, e poi dimmi il tuo nome,
subito adesso, perché ti faccia un dono ospitale e tu ti rallegri.
Anche ai Ciclopi la terra dono di biade
produce vino nei grappoli, e a loro li gonfia la pioggia di Zeus.
Ma questo è un fiume d’ambrosia e di nettare243>>.
Così diceva: e di nuovo gli porsi vino lucente;
tre volte gliene porsi, tre volte bevve, da pazzo.
Ma quando al Ciclope intorno al cuore il vino fu sceso,
allora io gli parlai con parole di miele:
<<Ciclope, domandi il mio nome glorioso? Ma certo,
lo dirò; e tu dammi il dono ospitale come hai promesso.
Nessuno ho nome: Nessuno mi chiamano
madre e padre e tutti quanti i compagni>>.
Così dicevo; e subito mi rispondeva con cuore spietato:
<<Nessuno io mangerò per ultimo, dopo i compagni;
gli altri prima; questo sarà il dono ospitale>>.
Disse, e s’arrovesciò cadendo supino, e di colpo
giacque, piegando il grosso collo di lato: lo vinse
il sonno che tutto doma: e dalla gola vino gli usciva,
e pezzi di carne umana; vomitava ubriaco.
Allora il palo cacciai sotto la molta brace,
Espressione iperbolica per dire che il vino di Odisseo è buonissimo, tanto da sembrare
ambrosia e nettare, che sono rispettivamente il cibo e la bevanda degli dèi.
243
66
finché fu rovente; e con parole a tutti i compagni
facevo coraggio, perché nessuno, atterrito, si ritirasse.
Quando il palo d’ulivo nel fuoco già stava
per infiammarsi, benché fosse verde, splendeva terribilmente,
allora in fretta io lo toglievo dal fuoco, e intorno i compagni
mi stavano; certo un dio c’ispirò gran coraggio.
Essi, alzando il palo puntuto d’olivo,
nell’occhio lo spinsero: e io premendo da sopra
giravo, come un uomo col trapano un asse navale
trapana; altri sotto con la cinghia244 lo girano,
tenendola di qua e di là: il trapano corre costante;
così ficcato nell’occhio del mostro il tizzone infuocato,
lo giravamo; il sangue scorreva intorno all’ardente tizzone;
arse tutta la palpebra in giro e le ciglia, la vampa
della pupilla infuocata; nel fuoco le radici friggevano.
Come un fabbro una gran scure o un’ascia
nell’acqua fredda immerge, con sibilo acuto,
temprandola: e questa è appunto la forza del ferro;
così strideva l’occhio del mostro intorno al palo d’olivo.
Paurosamente gemette, n’urlò tutta intorno la roccia;
atterriti balzammo indietro: esso il tizzone
strappò dall’occhio, grondante di sangue,
e lo scagliò lontano da sé, agitando le braccia,
e i Ciclopi chiamava gridando, che in giro
vivevano nelle spelonche e sulle cime ventose.
E udendo il grido quelli correvano in folle, chi di qua, chi di là;
e stando intorno alla grotta chiedevano che cosa volesse:
<<Perché, Polifemo, con tanto strazio hai gridato
nella notte ambrosia, e ci hai fatto svegliare?
forse qualche mortale ti ruba, tuo malgrado, le pecore?
o t’ammazza qualcuno con la forza o d’inganno?>>
E a loro dall’antro rispose Polifemo gagliardo:
<<Nessuno, amici, m’uccide d’inganno e non con la forza>>.
E quelli in risposta parole fugaci dicevano:
<<Se dunque nessuno ti fa violenza e sei solo,
dal male che manda il gran Zeus non c’è scampo;
piuttosto prega il padre tuo, Poseidone sovrano>>.
Così dicevano andandosene: e il mio cuore rideva,
come l’aveva ingannato il nome e la buona trovata.
Il Ciclope piangendo, straziato da strazio feroce,
Attorno al trapano da carpentiere era avvolta una corda, che veniva tirata da entrambe
le parti, alternativamente, per imprimere movimento rotatorio al cilindro del meccanismo.
244
67
a tentoni levò dalla porta gran masso,
e stava lui stesso a seder sulla porta, a braccia distese,
se tra le pecore potesse afferrare qualcuno che uscisse:
così sperava che nel mio cuore fossi bamboccio.
Io, intanto, pensavo come cavarmela nel miglior modo,
se ai compagni e a me stesso qualche scampo da morte
potevo trovare; ogni sorte d’inganni e di piani tessevo,
perch’era in gioco la vita, grande sovrastava il malanno.
E questo nell’animo mi parve il mezzo migliore:
c’erano dei montoni ben grassi, dal vello foltissimo,
belli e grandi, e avevano lana colore di viola;
questi in silenzio legavo insieme coi vimini torti
su cui il Ciclope dormiva, il mostro assassino,
a tre a tre; e quello di mezzo portava un uomo,
e i due di fianco, avanzando, il compagno salvavano.
Così tre montoni ciascun uomo portavano; io, poi,
‒ c’era un ariete, fra tutta la greggia il più bello –
per le reni afferrandolo, steso sotto la pancia lanuta
stetti; e con le mani la lana meravigliosa torcendo
stretta, mi tenni avvinto con cuore paziente.
LIBRO X
La flotta di Odisseo approda all’isola Eolia, patria di Eolo, dio dei venti. Dopo
un mese di permanenza in questo luogo incantato, l’eroe riparte portando
con sé un otre in cui il dio Eolo ha racchiuso tutti i venti, eccetto Zefiro,
vento occidentale propizio che può assicurargli il ritorno in patria. Ormai
giunti in vista della costa di Itaca, i compagni di Odisseo, pensando che
l’otre racchiuda un ricco tesoro, decidono però di aprirlo: si scatena una
tempesta che li conduce fuori rotta e li riporta sull’isola Eolia. Il dio dei
venti rifiuta di dare un nuovo aiuto all’eroe e Odisseo riparte raggiungendo
la terra dei Lestrigoni, giganti cannibali: soltanto la nave del re di Itaca si
salva dalla strage. Fuggiti da lì, Odisseo e la sua ciurma approdano all’isola
Eea, abitata dalla maga Circe: i primi uomini che l’eroe invia in esplorazione
finiscono vittime dei suoi incantesimi, venendo trasformati in porci. Odisseo
interviene per soccorrerli e ci riesce grazie all’aiuto del dio Ermes che gli
fornisce un antidoto e gli suggerisce come comportarsi. Una volta salvati i
compagni, Odisseo accetta di restare ospite della maga e si ferma nell’isola
Eea per un intero anno. Alla fine i compagni lo supplicano di riprendere il
viaggio verso Itaca e l’eroe si congeda da Circe: la maga gli rivela però che,
68
prima di approdare ad Itaca, egli dovrà intraprendere un altro viaggio, verso
l’ingresso dell’Ade, per conoscere il suo destino dall’indovino Tiresia.
LIBRO XI
Odisseo e i compagni raggiungono la terra dei Cimmeri, luogo posto agli
estremi confini del mondo, e compiono tutti i riti sacrificali indicati dalla
maga Circe: ben presto le anime dei morti iniziano a presentarsi davanti a
Odisseo per bere il sangue degli animali uccisi. L’eroe ha il privilegio di
incontrare numerosi e illustri defunti: l’indovino Tiresia, che gli predice il
suo destino; la madre Anticlea, morta a causa della nostalgia per il figlio
lontano; il re Agamennone245, che gli racconta la propria morte violenta per
mano della moglie e del suo amante; l’eroe Achille246, che descrive la triste
sorte delle anime dei morti, ombre consunte destinate a vagare senza
scopo; il forte Aiace247, che si rifiuta di salutare Odisseo perché questi lo
aveva sconfitto ottenendo le armi di Achille al posto suo, e tanti altri
personaggi del mito. Infine Odisseo ritorna alla nave e riparte.
TIRESIA
(vv. 90-137)
Infine venne l’anima del tebano Tiresia248,
con uno scettro d’oro, e mi conobbe e mi disse:
<<Divino Laerzίade249, ingegnoso Odisseo,
perché infelice, lasciando la luce del sole,
venisti a vedere i morti e questo lugubre luogo?
Ma levati dalla fossa, ritira la spada affilata,
che beva il sangue e poi il vero ti dica>>.
Re di Argo e di Micene, era stato il capo della spedizione greca contro Troia. Al suo
ritorno in patria, egli fu ucciso dalla moglie Clitemnestra e dal suo amante Egisto.
246
Re di Ftia, in Tessaglia, è l’eroe attorno a cui si sviluppano le vicende narrate nell’Iliade.
247
Aiace Telamonio, figlio di Telamone, re di Salamina: aveva partecipato alla spedizione di
Troia ed è uno degli eroi greci più menzionati all’interno dell’Iliade. Dopo la morte di
Achille, aveva gareggiato con Odisseo per conquistare la celebre armatura dell’eroe ma era
stato sconfitto dal re di Itaca: per questo motivo egli qui si rifiuta di salutarlo.
248
É uno dei più celebri indovini dell’antichità, originario di Tebe in Beozia. Secondo la più
nota versione del mito, il dono della profezia gli era stato elargito dalla dea Atena: Tiresia
infatti, avvicinandosi alla fonte Ippocrene per dissetarsi, aveva intravisto la dea Atena che
si stava bagnando ed era stato punito da quest’ultima con la cecità; per compensarlo e per
amicizia verso la ninfa Caliclò, madre di Tiresia, la dea lo aveva reso poi veggente.
249
Vedi nota 99.
245
69
Parlava così, e io, ritirandomi, la spada a borchie d’argento
rimisi nel fodero; lui bevve il sangue nero,
poi finalmente mi disse parole, il profeta glorioso:
<<Cerchi il ritorno dolcezza di miele, splendido Odisseo,
ma faticoso lo farà un nume; non credo
che sfuggirai all’Ennosίgeo250, tant’odio s’è messo nel cuore,
irato perché il figlio251 suo gli accecasti;
ma anche così, pur soffrendo dolori, potrete arrivare,
se vuoi frenare il tuo cuore e quello dei tuoi,
quando avvicinerai la solida nave
all’isola Trinachia252, scampato dal mare viola,
e pascolanti là troverete le vacche e le floride greggi
del Sole, che tutto vede e tutto ascolta dall’alto.
Se intatte le lascerai, se penserai al ritorno,
in Itaca, pur soffrendo dolori, potrete arrivare:
ma se le rapisci allora t’annuncio la fine
per la nave e i compagni. Quanto a te, se ti salvi,
tardi e male tornerai, perduti tutti i compagni,
su nave altrui, troverai pene in casa,
uomini253 tracotanti, che le ricchezze ti mangiano,
facendo la corte alla sposa divina e offrendole doni di nozze.
Ma la loro violenza punirai, ritornato.
E quando i pretendenti nel tuo palazzo avrai spento,
o con l’inganno, o apertamente col bronzo affilato,
allora parti, prendendo il maneggevole remo,
finché a genti tu arrivi che non conoscono il mare,
non mangiano cibi conditi con sale,
non sanno le navi dalle guance di minio254,
né i maneggevoli remi che son ali alle navi.
E il segno ti dirò, chiarissimo255: non può sfuggirti.
Quando, incontrandoti, un altro viaggiatore ti dirà
che il ventilabro256 tu reggi sulla nobile spalla,
allora, in terra piantato il maneggevole remo,
Vedi nota 217.
Polifemo.
252
É l’isola del dio Elios, tradizionalmente identificata con la Sicilia.
253
Allude ai proci, pretendenti alla mano della regina Penelope.
254
Ossido salino di piombo, di colore rosso vivo, impiegato per verniciare le navi.
255
In realtà le parole di Tiresia non sono chiarissime: il linguaggio profetico tende sempre
ad essere volutamente ambiguo. Ciò che si comprende è che Odisseo, una volta tornato ad
Itaca e affrontati i proci, sarà costretto a partire nuovamente: dovrà raggiungere un luogo
lontano e misterioso, dove con sacrifici potrà finalmente placare l’ira del dio Poseidone.
256
É uno strumento agricolo: una pala di legno usata per separare dal grano la pula.
250
251
70
offerti bei sacrifici a Poseidone sovrano
‒ ariete, toro e verro marito di scrofe –
torna a casa e celebra sacre ecatombi257
ai numi immortali che il cielo vasto possiedono,
a tutti per ordine. Morte dal mare
ti verrà, molto dolce, a ucciderti vinto
da una serena vecchiezza258. Intorno a te popoli
beati saranno. Questo con verità ti predico>>.
ANTICLEA
(vv. 155-208)
<<Creatura259 mia, come venisti sotto l’ombra nebbiosa
vivo? Tremendo ai vivi veder queste cose!
In mezzo gran fiumi e terribili gorghi,
l’Oceano prima di tutto, che non può traversare
a piedi chi non ha solida nave.
Forse ora da Troia, dopo un errare lunghissimo, arrivi
qui con la nave e i compagni? In Itaca ancora
non sei tornato? non hai rivisto nel palazzo la sposa?>>
Diceva così e io rispondendole dissi:
<<Madre mia, bisogno mi spinse nell’Ade,
a interrogare l’anima del tebano Tiresia;
perché non ho ancora toccato l’Acaia260, la nostra
isola non l’ho raggiunta, ma erro sempre con strazio,
da che ho seguito il glorioso Agamennone261
a Ilio262 dai bei puledri, per combattere i Teucri263.
Ma tu questo dimmi e parla sincero:
quale Chera264 di morte lungo strazio t’ha vinta?
forse un lento malore? o Artemide265 urlatrice266
Vedi nota 22.
Soltanto negli ultimi anni di vita gli saranno concesse pace e serenità in patria.
259
Odisseo incontra inaspettatamente l’anima della madre Anticlea, di cui ignorava la morte,
avvenuta durante la sua lunghissima assenza dall’isola di Itaca.
260
Regione del Peloponneso; qui viene menzionata per indicare la Grecia nel suo complesso.
261
Vedi nota 245.
262
Vedi nota 63.
263
Vedi nota 26.
264
Vedi nota 121.
265
Vedi nota 90.
266
Epiteto di Artemide; è da collegare forse all’ambiente prediletto da questa divinità,
ossia la natura incolta, le foreste e le colline ricche di animali selvatici.
257
258
71
con le sue miti frecce è venuta a ucciderti?
E dimmi del padre267, e del figlio268 che abbandonavo:
resta a loro il mio privilegio269? o forse già un altro
dei nobili l’ha e non credono più ch’io ritorni?
Dimmi della mia donna270 il pensiero e la mente:
se resta col figlio e tutto mi serba fedele,
o l’ha già sposata il primo fra i nobili Achei271>>.
Così chiedevo, e subito mi rispondeva la madre sovrana:
<<Oh no! lei rimane con cuore costante
nella tua casa; e tristissimi sempre
le notti e i giorni le si consumano a piangere.
Nessuno ha il tuo bel privilegio: a sua voglia
Telemaco le tenute reali si gode, e ai banchetti comuni
banchetta come conviene a chi la giustizia amministra;
tutti infatti lo chiamano. Ma il padre tuo resta là
tra i campi, non scende in città: non ha letto
né panni o mantelli o coperte splendenti:
l’inverno si stende dove gli schiavi dormono in casa,
nella cenere accanto al fuoco, e povere vesti ha sul corpo;
quando poi vien l’estate e l’autunno fecondo,
qua e là per la costa dell’orto ricco di viti,
in terra già pronto gli s’offre un letto di foglie cadute.
E lì giace afflitto, e grande in cuore la pena gli cresce,
il tuo ritorno bramando: triste vecchiaia l’opprime!
Così anch’io mi sono sfinita e ho seguito il destino;
no, non in casa la dea occhio acuto, urlatrice
con le sue miti frecce venne a uccidermi,
non male mi colse, che terribilmente
con odioso languore del corpo distrugge la vita,
ma il rimpianto di te, il tormento per te, splendido Odisseo,
l’amore per te m’ha strappato la vita dolcezza di miele... >>
Così parlava: e io volevo – e in cuore l’andavo agitando –
stringere l’anima della madre mia morta.
E mi slanciai tre volte, il cuore mi obbligava a abbracciarla;
tre volte dalle mie mani, all’ombra simile o al sogno,
volò via: strazio acuto mi scese più in fondo...
Il re Laerte.
Telemaco.
269
Odisseo vuole sapere se nella società aristocratica itacese la sua stirpe ha mantenuto il
privilegio della sovranità locale oppure se tale potere è stato usurpato.
270
Penelope.
271
Vedi nota 4.
267
268
72
AGAMENNONE
(vv. 405-456)
<<Divino Laerzίade272, accorto Odisseo,
né me sulle navi Poseidone travolse,
movendo degli implacabili venti l’orrenda procella,
né ci massacrarono a terra genti selvagge,
ma Egisto273, che mi tramava morte e rovina,
m’uccise e la mia sposa274 funesta, chiamandomi in casa,
a banchetto, come s’uccide un toro alla greppia.
Così morii, della morte più triste; e intorno gli altri compagni
eran scannati senza pietà, come cinghiali candida zanna
in casa d’un ricco principe molto potente,
per nozze, o per cena in comune, o per lauto banchetto.
Già ti trovasti alla strage di molti guerrieri,
uccisi nel corpo a corpo, nella mischia violenta;
ma a quel massacro avresti pianto di cuore,
come intorno al cratere275 e alle tavole piene
giacevam per la sala, e il pavimento fumava tutto di sangue:
straziante udii il grido della figlia di Priamo,
Cassandra276, che Clitemnestra uccideva, l’ipocrita,
vicino a me; e io, già in terra, alzando le braccia,
tentai di pararle, morente, contro il pugnale. La cagna
se n’andò via, non ebbe cuore, mentre scendevo nell’Ade,
di chiudermi gli occhi con le sue mani, e serrarmi la bocca.
Ah! non c’è niente più odioso e più cane, di donna
che tali orrori nel cuore si metta,
come colei pensò orrendo delitto,
al legittimo sposo tramando la morte: e io credevo
che per la gioia dei figli e dei servi
sarei tornato. Quel perfido mostro
coprì se stessa d’infamia e tutte in futuro
le donne, anche se ce ne fosse di buone>>.
Vedi nota 99.
É l’amante di Clitemnestra, sposa legittima di Agamennone. Mentre il re di Micene era
impegnato a dirigere la spedizione greca contro Troia, Egisto sedusse Clitemnestra; quando
Agamennone fece ritorno in patria, fu ucciso a tradimento da entrambi.
274
É Clitemnestra, figlia di Tindaro, re di Sparta (e quindi sorella di Elena). All’origine
dell’avversione di Clitemnestra per Agamennone vi è la morte della figlia Ifigenia, che il re
non esitò a sacrificare per ottenere venti favorevoli alla sua rotta verso Troia.
275
Vedi nota 182.
276
Figlia di Priamo, re di Troia. Quando la città cadde nelle mani dei Greci, ella divenne
bottino di guerra del re Agamennone che la portò con sé a Micene.
272
273
73
Parlava così; e io rispondendogli dissi:
<<Ah! troppo il seme d’Atreo Zeus vasto tuono
paurosamente perseguitò con trame di donne
fin da principio: per Elena quanti perimmo277!
E a te Clitemnestra ordì inganno mentr’eri lontano>>.
Così parlavo: e subito rispondendomi disse:
<<Dunque anche tu con la donna non esser mai dolce,
non confidarle ogni parola che sai,
ma di’ una cosa e lascia un’altra nascosta.
Pure, Odisseo, morte a te non verrà dalla tua sposa:
troppo è saggia e fidi pensieri sa in cuore,
la figlia d’Icario, la prudente Penelope!
Giovane sposa allora noi la lasciammo,
partendo in guerra; e al petto aveva un bambino278
balbettante, che adesso siede certo tra gli uomini.
Fortunato! perché il padre caro lo vedrà ritornando,
e lui abbraccerà il padre: questa è giustizia!
Ma la mia sposa non ha permesso che gli occhi
m’empissi del figlio279: prima m’ha ucciso.
Altro ti voglio dire e tu mettilo in cuore:
nascosta, non palese, alla terra dei padri
fa’ approdare la nave: è un essere infido la donna [...] >>.
LIBRO XII
Tornato sull’isola di Circe, Odisseo riceve dalla maga consigli e istruzioni
sulla futura rotta da seguire. L’eroe passerà davanti alle Sirene, ma non
dovrà cedere al loro canto ammaliatore: tapperà le orecchie dei compagni
con della cera e si farà legare all’albero della nave per poterle ascoltare
senza cadere vittima di incantesimi. Incontrerà Scilla e Cariddi, orrendi
mostri marini: Scilla divora i marinai che tentano di avvicinarsi e Cariddi
distrugge le navi risucchiando l’acqua sotto di esse. Odisseo dovrà perciò
passare vicino a Scilla, rassegnandosi a perdere alcuni dei suoi compagni.
Giungerà quindi all’isola Trinachia, dove, come già preannunciato da Tiresia,
non dovrà toccare le vacche sacre al dio Elios. L’eroe riparte e tutte le
profezie di Circe si avverano. Approdati sull’isola del dio, Odisseo e i
compagni rimangono bloccati per un mese da venti che impediscono la
Allude ai dolori che Agamennone e suo fratello Menelao, figli di Atreo, hanno sofferto
per colpa di Elena, la donna a causa della quale scoppiò la guerra di Troia; vedi nota 25.
278
Telemaco.
279
L’eroe greco Oreste; egli vendicò l’omicidio del padre uccidendo Clitemnestra ed Egisto.
277
74
navigazione: esaurite le scorte di cibo, i Greci uccidono le vacche sacre
approfittando di un momento di distrazione di Odisseo. Questo sacrilegio
scatena l’ira del dio Elios che ottiene da Zeus una promessa di vendetta: i
Greci, una volta salpati, saranno travolti da una tempesta; solo Odisseo
sopravviverà e raggiungerà naufrago l’isola della ninfa Calipso.
LIBRO XIII
Finito il racconto, il re Alcinoo invita i presenti a offrire doni ad Odisseo.
L’eroe si imbarca poi sulla nave messa a disposizione dai Feaci e lì si
addormenta profondamente. I Feaci lo lasciano sul lido di Itaca insieme a
tutti i doni che ha ricevuto. L’ira di Poseidone trasforma però in pietra la
nave dei Feaci e circonda con un monte la loro città, realizzando un’antica
profezia di cui Alcinoo era da tempo informato. Odisseo si sveglia e, non
riconoscendo la sua Itaca, pensa di essere stato ingannato. Viene allora
raggiunto dalla dea Atena che lo rassicura e lo aiuta a preparare un piano
per punire i proci che hanno occupato il suo palazzo e consumano le sue
ricchezze. La dea lo trasforma in un vecchio mendicante e gli ordina di
presentarsi così al fedele porcaio Eumeo; ella si reca invece da Telemaco
per richiamarlo in patria, cosicché possa accogliere il padre.
ITACA
(vv. 187-310)
[...] E intanto si svegliava Odisseo luminoso,
addormentato sopra la terra dei padri; e non la conobbe,
da tanto n’era lontano: e poi nebbia gli versò intorno la dea,
Pallade280 Atena, figlia di Zeus, per farlo
invisibile e tutto svelargli, sicché non prima
lo conoscesse la sposa, e i cittadini e gli amici,
che avesse fatto pagare ai pretendenti il sopruso.
Per questo tutte le cose sembravano estranee al sire,
i lunghi sentieri, i comodi porti,
le rocce inaccessibili e gli alberi floridi.
Balzò in piedi e là fermo guardava la patria,
e ruppe in un gemito e si batteva la coscia
a mano aperta, e singhiozzava e diceva:
<<O povero me, di che uomini ancora arrivo alla terra?
280
Vedi nota 135.
75
forse violenti, selvaggi, senza giustizia,
oppure ospitali, e han mente pia verso i numi?
e tutte queste ricchezze dove le porto? dove io stesso
andrò errando? era meglio restar tra i Feaci,
laggiù; forse a un altro dei potenti signori
sarei venuto, che m’ospitasse e mi desse accompagno.
Ora non so dove mettere i beni, ma certo
qui non posso lasciarli, che d’altri non diventino preda.
Ahi, non del tutto giusti e sapienti
erano i principi e i capi feaci, che in altra
terra m’han fatto condurre: dicevano
di volermi guidare a Itaca ben visibile, e non l’han fatto.
Ma li punisca Zeus supplice, che tutti vede
i mortali dall’alto, e castiga chi pecca.
Almeno voglio contare le mie ricchezze e vedere
che non sian partiti portandomi via qualcosa nella concava nave>>.
Così dicendo, i lebeti281 e i bellissimi tripodi282
contava, e l’oro e le belle vesti tessute:
ma nulla ebbe a rimpiangere. Solo la patria piangeva,
trascinandosi lungo la riva del mare urlante,
con molti singhiozzi; allora Atena gli venne vicino,
simile a un giovanetto nel corpo, a un pastore di greggi,
delicato e gentile come sono i figli dei re;
un doppio mantello ben lavorato intorno alle spalle,
e sotto i piedi robusti sandali aveva e in mano una picca.
Gioì Odisseo di vederla, e incontro le andò,
e a lei rivolto parole fugaci diceva:
<<O caro, poiché te per primo trovo in questo paese,
salute! e tu pure non farmiti intorno con animo ostile,
ma salva queste mie cose, salva anche me: come un dio
ti prego, mi prostro alle tue care ginocchia.
E questo rispondimi vero, perché lo sappia:
che paese? che terra? che uomini vivono qui?
è un’isola tutta visibile, oppure è una punta,
protesa nel mare, del continente dalle vaste campagne?>>
E gli rispose la dea Atena occhio azzurro:
<<Sciocco tu sei straniero, o vieni ben da lontano,
se questa terra mi chiedi. Davvero non è
così oscura, ma la sanno moltissimi,
Recipienti, generalmente di bronzo, impiegati per usi domestici e per lavacri in occasione
di sacrifici, nozze e riti funebri; venivano dati anche come premio nei giochi sportivi.
282
Vedi nota 107.
281
76
sia quanti stanno verso l’aurora e il sole,
sia quanti vivono in fondo verso l’ombra nebbiosa.
É aspra, e non adatta ai cavalli;
non è troppo magra, ma non è molto vasta.
Pure c’è grano infinito, c’è vino
e sempre pioggia la bagna e guazza abbondante.
É buona nutrice di capre e bovi: e una selva
c’è, d’ogni specie di piante: pozzi perenni vi sono.
Sì, straniero, il nome d’Itaca fino a Troia è arrivato,
ch’è ben lontana - dicono – dalla terra d’Acaia283!>>
Disse così: godette Odisseo costante, glorioso,
e salutò la sua terra paterna, come gli ebbe parlato
Pallade Atena, la figlia di Zeus egίoco284;
e a lei rivolto parole fugaci diceva,
ma il vero non disse, di nuovo forzava il discorso,
accorto piano sempre in cuore agitando:
<<D’Itaca ho udito, sì, il nome laggiù in Creta285 vasta,
in mezzo al mare, ed ora ci arrivo
con queste ricchezze. Lasciatene ai figli altrettante,
sono fuggito, perché ho ucciso un figlio d’Idomeneo286,
Orsίloco rapido piede, che là nell’ampia Creta
gli uomini industri vinceva coi piedi veloci;
questi voleva privarmi di tutto il bottino
fatto a Troia, pel quale avevo sofferto dolori nel cuore,
provando le guerre degli uomini e l’onde paurose,
perché non avevo servito il padre suo, compiacendolo,
in terra dei Teucri287, ma avevo guidato altri compagni.
E io lo colpii con l’asta di bronzo, mentre tornava
dal campo, per via, aspettandolo con un compagno.
Tenebrosa copriva il cielo la notte, e nessuno degli uomini
ci vide; rimase ignoto ch’io gli tolsi la vita.
Ma come l’ebbi ucciso col bronzo affilato,
subito una nave salendo, quei Fenici288 eccellenti
pregai, diedi a loro una parte abbondante di preda;
Vedi nota 260.
Vedi nota 89.
285
Una costante dei discorsi ingannevoli di Odisseo all’interno del poema è fingersi cretese:
quest’isola del Mediterraneo era infatti ben nota ma abbastanza lontana per poter simulare
di essere un nobile di quel luogo senza mai rischiare di essere smentito.
286
Re di Creta, aveva partecipato alla guerra di Troia al seguito di Agamennone.
287
Vedi nota 26.
288
Antica popolazione semitica situata nell’area dell’attuale Libano e nota nel Mediterraneo
soprattutto per la sua raffinata produzione artigianale e per il commercio marittimo.
283
284
77
e chiesi che mi portassero e mi lasciassero a Pilo289
o nell’Elide290 bella, dove comandan gli Epèi291.
Invece li spinse qui la violenza del vento,
benché molto lottassero: non volevan tradirmi.
Deviati quaggiù, arrivammo di notte,
a stento entrammo remando nel porto: né avemmo davvero
mente al cibo, benché molto bisognosi di prenderne,
ma scesi giù dalla nave, tutti così ci mettemmo a dormire.
E qui dolce il sonno mi prese, perché ero sfinito.
Ma quelli le mie ricchezze dalla concava nave togliendo,
le deposero dove anch’io sulla sabbia giacevo.
Poi s’imbarcarono e per Sidone292 ben popolata
partivano: e io qui rimasi, sconvolto nel cuore>>.
Così parlava, e rise la dea Atena occhio azzurro,
lo carezzò con la mano: sembrava all’aspetto donna,
bella e grande, esperta d’opere splendide;
e parlandogli disse parole fugaci:
<<Furbo sarebbe e scaltrito chi te superasse
in tutti gli inganni, anche se è un dio che t’incontra.
Impudente, fecondo inventore, mai sazio di frodi, non vuoi
neppur ora, in patria, lasciar da parte le astuzie,
e i racconti bugiardi, che ti son cari fin dalle fasce.
Via, non parliamone più, perché ben conosciamo
le astuzie entrambi: tu sei il migliore fra tutti i mortali
per consiglio e parola, e io fra tutti gli dèi
sono famosa per saggezza e accortezza293: neanche tu hai conosciuto
Pallade Atena, la figlia di Zeus, che pur sempre
in ogni pericolo ti sono vicina e ti salvo,
e che t’ho reso caro a tutti i Feaci.
Ora sono venuta a tesser piani con te
e a nascondere i beni, che i gloriosi Feaci
alla partenza ti diedero per mio consiglio e pensiero;
e anche a dirti quanti dolori è destino che nel tuo palazzo ben fatto
tu soffra; e tu devi subirli, per forza,
e non rivelare a nessuno degli uomini e delle donne
tutte, che giungi dopo aver tanto errato, ma muto
subire molti dolori, alle violenze sottostando dei principi>>.
Città del Peloponneso.
Regione del Peloponneso.
291
Nome degli abitanti dell’Elide, la cui origine è connessa al mitico eroe locale Epeo.
292
Importante città della Fenicia.
293
Figlia di Zeus e di Metis (“il saggio consiglio”), Atena è la dea dell’astuzia e della civiltà.
289
290
78
LIBRO XIV
Odisseo, seguendo i consigli della dea Atena, si reca travestito da vecchio
mendicante alla casa del porcaio Eumeo. Qui viene accolto benevolmente e
ascolta le parole sconsolate del servo che dispera ormai di veder tornare il
re Odisseo. L’eroe mantiene celata la sua identità con un lungo racconto
fittizio, narrando una vita travagliata da molte avventure e cercando di
convincere il porcaio Eumeo a credere ancora che il padrone sia vivo e che
sia prossimo il suo approdo ad Itaca. Infine, al sopraggiungere della notte,
Odisseo, ospitato da Eumeo, si reca serenamente a dormire.
LIBRO XV
Telemaco, esortato dalla dea Atena, lascia Sparta e rientra a Pilo dove i
compagni lo attendono con la nave. Odisseo trascorre la giornata insieme al
porcaio Eumeo che gli narra la sua storia: figlio di un uomo illustre, egli era
stato rapito da una serva complice di mercanti fenici ed era giunto così ad
Itaca, dove era stato cresciuto amorevolmente da Anticlea ed era diventato
un servo di fiducia. Nel frattempo la nave di Telemaco approda sull’isola,
grazie all’aiuto di Atena che invia venti favorevoli e suggerisce la rotta da
seguire per evitare l’agguato dei proci. Una volta sbarcato, il giovane,
sempre su consiglio della dea, si avvia alla capanna di Eumeo.
LIBRO XVI
Telemaco giunge alla casa di Eumeo: chiede dello straniero e predispone la
sua accoglienza; poi ordina al servo di recarsi a palazzo e di informare la
madre del suo arrivo. Approfittando dell’assenza di Eumeo, Atena ridà a
Odisseo il suo aspetto ed egli si rivela al figlio. Dopo l’iniziale commozione, i
due iniziano a tramare un piano per vendicarsi dei pretendenti: Telemaco
precederà il padre in città e fingerà di non conoscerlo anche se i proci lo
oltraggeranno violentemente; saranno inoltre tolte dalla sala del palazzo
tutte le armi eccetto due armature. Intanto Eumeo annuncia il ritorno in
patria di Telemaco e la notizia irrita i proci che nuovamente progettano di
ucciderlo. Il porcaio fa ritorno poi nella sua capanna e Odisseo dorme per
l’ultima notte lontano dalla sua casa insieme al figlio Telemaco.
79
ODISSEO E TELEMACO
(vv. 181-239)
<<Ospite, ben diverso m’appari ora da prima:
hai altre vesti e non è uguale l’aspetto.
Tu sei un nume, di quelli che il cielo vasto possiedono.
Ah, siici propizio, che ti facciamo offerte gradite
e doni d’oro ben lavorato: risparmiaci!>>
E gli rispose Odisseo costante, glorioso:
<<Non sono un dio, no: perché m’assomigli agli eterni?
Il padre tuo sono, per cui singhiozzando,
soffri tanti dolori per le violenze dei principi>>.
Così dicendo baciò il figlio e per le guance
il pianto a terra scorreva: prima l’aveva frenato.
Telemaco – poiché non ancora credeva che fosse il padre –
gli disse di nuovo, rispondendo, parole:
<<No, tu non sei Odisseo, non sei il padre mio, ma m’incanta
un nume perché io soffra e singhiozzi di più.
Mai un mortale poteva far questo
con la sua sola mente, a meno che un dio,
senza fatica, a sua voglia venisse a farlo giovane o vecchio;
tu poco fa eri un vecchio e malamente vestivi,
e ora somigli agli dèi che il cielo vasto possiedono>>.
E ricambiandolo disse l’accorto Odisseo:
<<Telemaco, non va che tu, avendo qui il caro padre tornato,
lo guardi stordito, con troppo stupore.
Un altro Odisseo non potrà mai venire,
perché son io, proprio io, che dopo aver tanto errato e sofferto,
arrivo dopo vent’anni294 alla terra dei padri.
E questa è azione d’Atena, la Predatrice295,
che mi fa come vuole, e può farlo,
a volte simile a un mendicante, altre volte
a un uomo giovane, con belle vesti sul corpo:
facile ai numi, che il cielo vasto possiedono,
fare splendido o miserabile un uomo mortale>>.
E così detto sedeva: allora Telemaco,
stretto al suo nobile padre, singhiozzava piangendo.
A entrambi nacque dentro bisogno di pianto:
piangevano forte, più fitto che uccelli, più che aquile
marine o unghiuti avvoltoi, quando i piccoli
294
295
Vedi nota 171.
Epiteto della dea Atena, da collegare certamente alla sua sfera militare; vedi nota 67.
80
ruban loro i villani, prima che penne abbian l’ali:
così misero pianto sotto le ciglia versavano.
E certo calava il raggio del sole che ancora piangevano,
ma Telemaco a un tratto parlò al padre suo:
<<Con quale nave, padre mio caro, i marinai
ti condussero in Itaca? e chi si vantavano d’essere?
a piedi non penso che tu potessi venirci!>>
E gli rispose il costante Odisseo luminoso:
<<Certo, creatura, ti dirò il vero:
m’han condotto i Feaci, navigatori gloriosi, che tutti
accompagnano gli uomini, chi arriva fra loro.
Addormentato nell’agile nave, sul mare guidandomi,
mi deposero in Itaca, mi fecero splendidi doni,
bronzo e oro e molte vesti tessute:
questi là nelle grotte296 stanno, per volere dei numi.
Poi venni qui, per consiglio d’Atena,
perché insieme facciamo piani di morte ai nemici.
Dimmi dunque a uno a uno i pretendenti, contandoli,
che sappia quanti e quali uomini sono:
poi, riflettendo nel mio cuore glorioso,
penserò se noi due potremo assalirli da soli,
senza l’aiuto altrui, o se cercheremo anche altri>>.
LIBRO XVII
Telemaco torna a palazzo e racconta alla madre il suo viaggio, mantenendo
però segreto il suo incontro con Odisseo nella capanna del porcaio. Odisseo
raggiunge la reggia travestito da mendicante e, accolto da Telemaco, chiede
l’elemosina ai pretendenti riuniti nella sala. Anche se viene maltrattato e
insultato, l’eroe sopporta pazientemente per non essere riconosciuto.
LIBRO XVIII
Odisseo continua a subire gli oltraggi e gli scherni dei pretendenti e delle
ancelle infedeli. Penelope scende dalle sue stanze e con profonda tristezza
annuncia ai proci la sua decisione di sposarsi: perciò chiede loro, secondo la
Odisseo, su consiglio di Atena, aveva nascosto le ricchezze donategli dai Feaci all’interno
di un antro sacro alle Naiadi, ninfe legate alle sorgenti, presso il porto locale di Forchis.
296
81
tradizione, di offrirle dei doni. Concluso il lauto banchetto e sopraggiunta
ormai la notte, i pretendenti fanno ritorno alle loro case.
LIBRO XIX
Odisseo e Telemaco ripongono le armi fuori dalla sala. Penelope chiede di
poter interrogare il mendicante per sapere se ha notizie del marito lontano.
Odisseo risponde alla regina con un lungo discorso fittizio e cerca di
rassicurarla dicendo di aver incontrato il re di Itaca a Creta: le sue parole
sono rese credibili dalla descrizione minuziosa di un fermaglio d’oro che
Penelope gli aveva dato al momento della partenza. La regina lo ringrazia e
ordina alle ancelle di lavarlo e di preparargli un letto. L’anziana nutrice
Euriclea, mentre è intenta a lavare il padrone, riconosce però la cicatrice
della ferita che un cinghiale aveva inferto a Odisseo da giovane: vorrebbe
comunicare a Penelope la sua scoperta ma il re glielo proibisce. Infine la
regina rivela all’eroe la sua intenzione di bandire una gara di abilità tra i
pretendenti: dovranno scoccare una freccia con l’arco di Odisseo e farla
passare attraverso gli anelli di dodici scuri piantate per terra. Il vincitore
sarà il suo sposo. Entrambi si congedano e si recano a dormire.
LIBRO XX
Odisseo non riesce a dormire e osserva le ancelle infedeli che lasciano il
palazzo per recarsi dai pretendenti. Anche Penelope resta sveglia e prega
Artemide297 di ucciderla piuttosto che farla sposa di uno dei proci. Il giorno
dopo viene preparato un nuovo banchetto per i pretendenti e Odisseo è
costretto a subire ancora i loro osceni oltraggi in attesa della vendetta.
Oscuri presagi divini annunciano che la fine dei proci è vicina.
LIBRO XXI e XXII
Penelope porta l’arco di Odisseo nella sala e propone ai pretendenti la gara.
Telemaco e alcuni dei proci si cimentano nella prova, ma nessuno riesce a
tendere l’arco. Nel frattempo Odisseo rivela la sua identità al porcaio
Eumeo e al fedele bovaro Filezio, chiedendogli aiuto per l’attuazione della
sua vendetta. Dopo che Filezio ha ordinato a tutte le donne di abbandonare
la sala e di non interrompere i loro lavori anche se sentiranno delle grida,
297
Vedi nota 90.
82
Odisseo esprime il desiderio di partecipare alla gara. Nonostante le
proteste dei proci, Telemaco concede questo permesso e Eumeo consegna
l’arma al padrone. L’eroe tende l’arco con facilità e supera la prova.
Dopo essersi liberato del suo travestimento ed affiancato da Telemaco,
Eumeo e Filezio, Odisseo dà inizio alla strage dei pretendenti: uccide per
primo Antinoo, il più tracotante e insolente, e poi tutti gli altri. Chiamata la
nutrice Euriclea, l’eroe le chiede quali ancelle lo abbiano tradito: le fa
condurre nella sala e, dopo aver ordinato loro di ripulirla dal sangue, le fa
giustiziare. Purificata la sala con fuoco e zolfo, Odisseo può finalmente
rivelarsi alle ancelle fedeli, sciogliendosi in un pianto liberatore.
LA VENDETTA
(vv. 63-79; 404-434; 1-41)
Come tra i pretendenti fu la donna298 bellissima,
si fermò ritta accanto a un pilastro del solido tetto,
davanti al viso tirando i veli lucenti.
Da un lato e dall’altro le stava un’ancella fedele.
All’improvviso, ai pretendenti parlava, diceva parole:
<<Sentite me, pretendenti alteri, che su questa casa
d’un uomo da tanto tempo lontano piombate a mangiare
e bere continuamente, e non poteste trovare
nessun pretesto di finte parole, ma solo
perché mi fate la corte e mi volete sposare;
ebbene, pretendenti, vi si presenta una gara;
v’offrirò il grande arco del divino Odisseo:
chi più facilmente l’arco tenderà tra le mani,
e con la freccia traverserà tutte le dodici scuri,
io lo seguirò, lasciando questo palazzo
maritale, bellissimo, tanto pieno di beni,
che sempre ricorderò, penso, anche in sogno>>.
[...]
[...] e l’accorto Odisseo, all’improvviso,
dopo che il grande arco palpò e osservò da ogni parte,
come un uomo, che è esperto della cetra e del canto,
senza fatica tende le corde sui bischeri299 nuovi,
fissando ai due estremi il budello ben torto di pecora,
così senza sforzo tese il grande arco, Odisseo.
298
299
É Penelope.
Legnetti impiegati per tendere le corde negli strumenti musicali.
83
Poi con la mano destra pizzicò e provò il nervo,
che bene gli cantò sotto, simile a grido di rondine.
Ma ai pretendenti strazio grande ne venne, a tutti il colore
cambiò. E Zeus tuonò forte per dare il segno;
e godette Odisseo costante, glorioso
che gli mandasse un segno il figlio di Crono pensiero complesso.
Prese la freccia rapida, ch’era davanti a lui sulla mensa,
nuda, l’altre nella faretra capace
stavano, e presto gli Achei300 le dovevan provare;
l’arco pel mezzo afferrò, tirò nervo e cocca,
dal suo posto, seduto sul seggio, e lasciò andare la freccia
mirando dritto: non fallì di tutte le scuri
l’anello alto, ma li traversò e ne uscì fuori
il dardo greve di bronzo. Poi disse a Telemaco:
<<Telemaco, non ti disonora l’ospite che nella tua sala
è seduto: non ho fallito il bersaglio, non ho faticato
molto a tendere l’arco; ancora ho salda la forza,
non come i pretendenti disprezzando m’insultano.
Adesso è ora di preparare la cena agli Achei,
finch’è giorno; e poi variamente prendersi svago,
col canto e la cetra: questi son corona al banchetto>>.
Disse, e accennò con la fronte: si cinse la spada affilata
Telemaco, il caro figlio del divino Odisseo,
la mano gettò sull’asta, e accanto a lui venne
a piantarsi, vicino al seggio, armato di bronzo accecante.
Allora si denudò dei cenci l’accorto Odisseo,
balzò sulla gran soglia, l’arco tenendo e la faretra,
piena di frecce, e versò i dardi rapidi
lì davanti ai suoi piedi, e parlò ai pretendenti:
<<Questa gara funesta è finita;
adesso altro bersaglio, a cui mai tirò uomo,
saggerò, se lo centro, se mi dà il vanto Apollo301>>.
Disse, e su Antinoo302 puntò il dardo amaro.
Quello stava per alzare il bel calice,
d’oro, a due anse, lo teneva già in mano,
per bere il vino; in cuore la morte
non presagiva: chi avrebbe detto che tra banchettanti
un uomo, solo fra molti, fosse pure fortissimo,
Vedi nota 4.
Vedi nota 16.
302
Figlio di Eufite di Itaca, è il più tracotante dei pretendenti alla mano di Penelope.
300
301
84
doveva dargli mala morte, la tenebrosa Chera303?
Ma Odisseo mirò alla gola e lo colse col dardo:
dritta attraverso il morbido collo passò la punta.
Si rovesciò sul fianco, il calice cadde di mano
al colpito, subito dalle narici uscì un fiotto denso
di sangue; rapidamente respinse la mensa
scalciando, e i cibi si versarono a terra:
pane e carni arrostite s’insanguinarono. Gettarono un urlo
i pretendenti dentro la sala, a veder l’uomo cadere,
dai troni balzarono, in fuga per tutta la sala,
dappertutto spiando i solidi muri:
né scudo c’era, né asta robusta da prendere.
Urlavano contro Odisseo con irate parole:
<<Straniero, male colpisci gli uomini! Mai più altre gare
farai: adesso è sicuro per te l’abisso di morte.
Hai ammazzato l’eroe più gagliardo
tra i giovani d’Itaca: qui gli avvoltoi ti dovranno straziare>>.
Parlava così ciascuno, perché credevano che non di proposito
avesse ucciso: questo, ciechi, ignoravano,
che tutti aveva raggiunto il termine di morte.
Ma feroce guardandoli disse l’accorto Odisseo:
<<Ah cani, non pensavate che indietro, a casa tornassi
dalla terra dei Teucri304, perciò mi mangiate la casa,
delle mie schiave entrate per forza nel letto,
e mentre son vivo mi corteggiate la sposa,
senza temere gli dèi, che l’ampio cielo possiedono,
né la vendetta, che in seguito potesse venire dagli uomini.
Ora tutti ha raggiunto il termine di morte!>>
LIBRO XXIII
Euriclea sale nelle stanze di Penelope per annunciarle che Odisseo è tornato
e che i pretendenti sono stati tutti uccisi. La regina scende nella sala, ma
mantiene un atteggiamento diffidente perché non crede che lo straniero
possa davvero essere il marito. Mentre vengono organizzati canti e danze
per ritardare la scoperta della strage da parte dei parenti degli uccisi,
Penelope mette alla prova Odisseo, ordinando a Euriclea di portargli il suo
letto nuziale. L’eroe, stupito, ricorda che il talamo è inamovibile: lui stesso
lo aveva infatti costruito su un tronco di ulivo. A questo punto Penelope
303
304
Vedi nota 121.
Vedi nota 26.
85
riconosce il marito da tempo lontano: alla commozione segue una lunga notte
trascorsa in vicendevoli racconti. Il giorno successivo Odisseo, temendo che
si diffonda la notizia della strage, ordina a Penelope di restare nella reggia
e si reca, armato e accompagnato da Eumeo e Filezio, fuori città.
ODISSEO E PENELOPE
(vv. 85-110; 153-240)
Così detto scendeva305 dal piano alto; e il suo cuore
molto esitava, se di lontano al caro sposo parlasse,
o gli corresse vicino a baciargli il capo e le mani, stringendolo.
Ma come entrò, com’ebbe passato la soglia di pietra,
si mise a sedere in faccia a Odisseo, nel chiarore del fuoco,
presso l’altra parete: lui contro un’alta colonna
sedeva, guardando in giù, aspettando se gli dicesse qualcosa
la forte compagna, appena lo vedesse con gli occhi.
Ma lei muta a lungo sedeva, stupore il petto le empiva;
guardandolo, a volte lo conosceva in modo evidente,
a volte non lo conosceva, così coperto di cenci.
Telemaco la biasimò e disse parola, diceva:
<<Madre mia, trista madre, dal cuore insensibile,
perché resti lontana dal padre e non siedi
vicino a lui, non lo interroghi, non cerchi di udirlo?
Nessuna donna con cuore tanto ostinato
se ne starebbe lontana dall’uomo, che dopo molto soffrire,
tornasse al ventesimo306 anno nella terra dei padri.
Ma sempre il tuo cuore è più duro del sasso>>.
E gli rispose la savia Penelope:
<<Creatura mia, il cuore nel mio petto è attonito:
non riesco né a dirgli parola, né a interrogarlo,
né a guardarlo nel viso. Ma se è davvero
Odisseo che in patria è tornato, oh molto bene
e facilmente potremo conoscerci: abbiamo per noi
dei segni segreti, che noi sappiamo e non gli altri>>.
[...]
Intanto nel suo palazzo Odisseo dal gran cuore
la dispensiera Eurinome307 lavò, l’unse d’olio,
indosso un bel manto gli mise e una tunica;
Penelope.
Vedi nota 171.
307
Fedele dispensiera del palazzo di Odisseo.
305
306
86
allora sopra la testa gli versò molta bellezza Atena,
più grande lo fece e robusto a vedersi; dal capo
folte fece scender le chiome, simili al fiore del giacinto.
Come quando agemina308 l’oro e l’argento un artista
esperto, che Efesto309 e Pallade310 Atena311 istruirono
in tutte le arti, compie lavori pieni di grazia;
così gli versò grazia sulle spalle e sul capo.
Dal bagno uscì simile agli immortali d’aspetto;
e di nuovo sedeva sul seggio da cui s’era alzato,
in faccia alla sua donna, e le disse parola:
<<Misera, fra le donne a te in grado sommo
fecero duro il cuore gli dèi che han le case d’Olimpo;
nessuna donna con cuore tanto ostinato
se ne starebbe lontana dall’uomo, che dopo tanto soffrire,
tornasse al ventesimo anno nella terra dei padri.
Ma via, nutrice312, stendimi il letto; anche solo
potrò dormire: costei ha un cuore di ferro nel petto>>.
E a lui parlò la prudente Penelope:
<<Misero, no, non son superba, non ti disprezzo,
non stupisco neppure: so assai bene com’eri
partendo da Itaca sulla nave lunghi remi.
Sì, il suo morbido letto stendigli, Euriclea,
fuori dalla solida stanza, quello che fabbricò di sua mano;
qui stendetegli il morbido letto, e sopra gettate il trapunto,
e pelli di pecora e manti e drappi splendenti>>.
Così parlava, provando lo sposo; ed ecco Odisseo
sdegnato si volse alla sua donna fedele:
<<O donna, davvero è penosa questa parola che hai detto!
Chi l’ha spostato il mio letto? sarebbe stato difficile
anche a un esperto, a meno che un dio venisse in persona,
e, facilmente, volendo, lo cambiasse di luogo.
Tra gli uomini, no, nessun vivente, neanche in pieno vigore,
senza fatica lo sposterebbe, perché c’è un grande segreto
nel letto ben fatto, che io fabbricai, e nessun altro.
C’era un tronco ricche fronde, d’olivo, dentro il cortile,
florido, rigoglioso; era grosso come colonna:
L’agemina è una tecnica decorativa, consistente nell’incastonare piccole parti di uno o più
metalli di vario colore in un oggetto di metallo diverso per ottenere un effetto policromo.
309
Figlio di Zeus e di Era, è il dio del fuoco. É menzionato spesso con il ruolo di fabbro degli
dèi: il fuoco, infatti, è indispensabile nella lavorazione dei metalli.
310
Vedi nota 135.
311
La dea Atena era considerata protettrice di tutte le attività artigianali.
312
Odisseo si riferisce all’anziana e fedele nutrice Euriclea, che lo ha già riconosciuto.
308
87
intorno a questo murai la stanza, finché la finii,
con fitte pietre, e di sopra la copersi per bene,
robuste porte ci misi, saldamente commesse.
E poi troncai la chioma dell’olivo fronzuto,
e il fusto sul piede sgrossai, lo squadrai con il bronzo
bene e con arte, lo feci dritto a livella,
ne lavorai un sostegno e tutto lo trivellai con il trapano.
Così, cominciando da questo, polivo il letto, finché lo finii,
ornandolo d’oro, d’argento e d’avorio.
Per ultimo tirai le corregge di cuoio, splendenti di porpora.
Ecco, questo segreto ti ho detto: e non so,
donna, se è ancora intatto il mio letto, o se ormai
qualcuno l’ha mosso, tagliando di sotto il piede d’olivo>>.
Così parlò, e a lei di colpo si sciolsero le ginocchia ed il cuore,
perché conobbe il segno sicuro che Odisseo le diceva;
e piangendo corse a lui, dritta, le braccia
gettò intorno al collo a Odisseo, gli baciò il capo e diceva:
<<Non t’adirare, Odisseo, con me, tu che in tutto
sei il più saggio degli uomini; i numi ci davano il pianto,
i numi, invidiosi che uniti godessimo
la giovinezza e alla soglia di vecchiezza venissimo.
Così ora non t’adirare con me, non sdegnarti di questo,
che subito non t’ho abbracciato, come t’ho visto.
Sempre l’animo dentro il mio petto tremava
che qualcuno venisse a ingannarmi con chiacchiere:
perché molti mirano a turpi guadagni.
Ah! no, Elena313 argiva314, la figlia315 di Zeus,
con l’uomo316 straniero non si sarebbe unita d’amore e di letto,
se avesse saputo che ancora i figli guerrieri dei Danai317,
dovevan menarla a casa, alla terra dei padri318.
Ma un dio319 la travolse a compiere l’azione sfrontata;
la colpa triste non capì prima in cuore,
la colpa, da cui su noi pure s’è rovesciata sventura.
Sposa dell’eroe greco Menelao e regina di Sparta, fu la causa dello scoppio della guerra
di Troia: abbandonato il marito, ella fuggì infatti insieme al principe troiano Paride.
314
Argo è nel Peloponneso; qui l’aggettivo è impiegato per indicare l’origine greca di Elena.
315
Vedi nota 59.
316
É Paride.
317
Vedi nota 15.
318
Dopo che la città di Troia cadde nelle mani dei Greci, Elena tornò con Menelao a Sparta.
319
Diverse sono le letture che gli antichi hanno dato del mito di Elena: Omero non ci
presenta la sua fuga da Sparta come una scelta dipendente esclusivamente dalla sua
volontà, bensì come il risultato di un intervento divino a cui nessuno è potuto sfuggire.
313
88
Ma ora il segno certo m’hai detto
del nostro letto, che nessuno ha veduto,
ma, soli, tu ed io, e un’unica ancella,
Attorίde, che il padre320 mi donò, quando venni,
quella che ci chiudeva le porte della solida stanza;
e il cuore m’hai persuaso, ch’è pur tanto ostinato>>.
Così disse, e a lui venne più grande la voglia del pianto;
piangeva, tenendosi stretta la sposa dolce al cuore, fedele.
Come bramata la terra ai naufraghi appare,
a cui Poseidone la ben fatta nave nel mare
ha spezzato, travolta dal vento e dalle grandi onde;
pochi si salvano dal bianco mare sopra la spiaggia
nuotando, grossa salsedine incrosta la pelle;
bramosi risalgono a terra, fuggendo la morte;
così bramato era per lei lo sposo a guardarlo,
dal collo non gli staccava le candide braccia.
LIBRO XXIV
Le anime dei pretendenti uccisi scendono nell’Ade accompagnate dal dio
Ermes321: sono viste da Achille322 e Agamennone323 che ricorda con affetto
Odisseo ed elogia il comportamento di Penelope. Odisseo si reca con Eumeo
e Filezio dal padre Laerte, intento a lavorare nei campi, e gli si rivela. Nel
frattempo i parenti dei proci scoprono la strage che si è consumata nel
palazzo di Odisseo e raggiungono armati la reggia. Solo l’intervento della
dea Atena riesce a fermare lo scontro e a consentire nuovi accordi di pace.
É Icario, cittadino spartano.
Il dio Ermes appare qui con il ruolo di “Psicopompo”, ossia di guida delle anime dei morti.
322
Vedi nota 246.
323
Vedi nota 245.
320
321
89
BIBLIOGRAFIA
La bibliografia relativa all’epica omerica è assai sterminata e complessa. Le
indicazioni qui riportate non si propongono perciò di essere esaustive, ma
soltanto di fornire alcuni spunti utili per degli approfondimenti.
Omero, Iliade, traduzione italiana a cura di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi,
Torino, 1977 (e successive ristampe)
Omero, Odissea, traduzione italiana a cura di Rosa Calzecchi Onesti,
Einaudi, Torino, 1977 (e successive ristampe)
AA. VV., Il Tesoro di Troia. Gli scavi di Heinrich Schliemann (Catalogo),
Museo Puškin – Leonardo Arte, Mosca, 1997
Andreae B., L’Immagine di Ulisse, Einaudi, Torino, 1983
Bettini M. – Brillante C., Il Mito di Elena, Einaudi, Torino, 2002
Brandau B. – Schickert H. – Jablonka P., La Misteriosa Storia di Troia,
Newton & Compton, Roma, 2004
Codino F., Introduzione a Omero, Einaudi, Torino, 1965
Ferrari A., Dizionario di Mitologia, Utet, Torino, 2002
Ferrucci F., L’Assedio e il Ritorno. Omero e gli archetipi della narrazione,
Bompiani, Milano, 1974
Frontisi-Ducroux F. – Vernant J. P., Ulisse e lo Specchio. Il femminile e la
rappresentazione di sé nella Grecia antica, Donzelli, Roma, 1998
Hertel D., Troia, Il Mulino, Bologna, 2003
90
Latacz J., Omero. Il primo poeta dell’Occidente, Laterza, Roma-Bari, 1990
Montanari F., Introduzione a Omero, Sansoni, Milano, 1997
Schliemann H., La Scoperta di Troia, Einaudi, Torino, 1962
Snell B., L’Uomo nella Concezione di Omero, in La Cultura Greca e le Origini
del Pensiero Europeo, Einaudi, Torino, 1963, pp. 19-47
Snell B., La Fede negli Dèi Olimpi, in La Cultura Greca e le Origini del
Pensiero Europeo, Einaudi, Torino, 1963, pp. 48-69
Storoni Mazzolani L., Profili Omerici. Personaggi dell’Iliade e dell’Odissea,
Editoriale Viscontea, Pavia, 1988
Vernant J. P., La Morte negli Occhi. Figure dell’Altro nell’antica Grecia, Il
Mulino, Bologna, 1987
Vernant J. P., L’Individuo, la Morte, l’Amore, Cortina Editore, Milano, 2000
Wood M., Alla Ricerca della Guerra di Troia, Rizzoli, Milano, 1988
91
Associazione Culturale “Il Giardino delle Muse”
L’Associazione Culturale “Il Giardino delle Muse” è nata dall’idea di due
giovani laureate in discipline umanistiche. Lo scopo dell’Associazione è la
promozione e l’organizzazione di eventi e attività culturali rivolti a tutte le
fasce di età. In particolare si propone di approfondire la conoscenza:
a) del mondo antico, soprattutto greco e latino, quale origine della civiltà
occidentale e prospettiva privilegiata per comprendere l’oggi
b) dei beni culturali, con speciale riguardo all’archeologia, alla storia
dell’arte, alla musicologia, alle arti cinematografiche e teatrali, quali
simboli identitari e testimonianze del rapporto società - territorio.
Info: http://giardinodellemuse.blogspot.com
Dott.ssa Giulia Felisari
Nata a Bollate (MI) nel 1983, ha conseguito nel 2009 la Laurea Magistrale
in Scienze dell’Antichità presso l’Università degli Studi di Milano.
È autrice dei saggi Poetesse Greche: dal Catalogo al Testo e Il Linguaggio
della Bellezza Femminile in Omero pubblicati dalla Leonida Edizioni.
Email: [email protected]
Cell.: 3332498396
POETESSE GRECHE: DAL CATALOGO AL TESTO
Circoli ristretti a carattere religioso, profondo attaccamento allo spazio sacro del proprio territorio e alle sue
tradizioni, prevalenza di temi come l’eros, la bellezza e le nozze, legame significativo con tutte le divinità
femminili, rapporto privilegiato con il pubblico muliebre: queste sono, in sostanza, le principali coordinate della
poesia greca femminile, una poesia che viene composta dalle donne anzitutto per altre donne e che rappresenta il
prodotto letterario di una nicchia senza dubbio particolare.
Leggendo i versi superstiti di Saffo, Mirtide, Corinna, Telesilla, Prassilla, Erinna, Anite, Nosside e Mero, è
possibile intravedere qualche frammento di quell’appartata e sommersa sfera costituita dal mondo muliebre
antico: un mondo assai ristretto, che si estende essenzialmente dalla casa al tempio e che è caratterizzato
soprattutto da quei fondamentali legami familiari e amicali intrecciati al loro interno; è l’eco di una realtà lontana,
ma allo stesso tempo vicina per l’universale verità dei sentimenti espressi.
IL LINGUAGGIO DELLA BELLEZZA FEMMINILE IN OMERO
Se ciò che qualifica l’eroe omerico in quanto tale è senza dubbio il valore, sia esso concepito come la monolitica
forza di Achille o come la poliedrica astuzia di Odisseo, ciò che qualifica invece le dee e le donne omeriche è
certamente la bellezza.
Ma nell’Iliade e nell’Odissea come viene intesa la bellezza femminile? Quali sono gli elementi che costituiscono
il fascino muliebre e che sono in grado di catturare lo sguardo maschile? Qual è il reale significato e qual è la vera
funzione che Omero attribuisce all’incantevole grazia di Elena o di Penelope?
Mediante l’analisi approfondita delle formule linguistiche impiegate per descrivere dee ed eroine, viene
proposto un percorso che attraversa entrambi i poemi e che, definendo i caratteri della beltà muliebre, mira a
riscoprire anche il ruolo e l’importanza rivestiti dalla sfera femminile al loro interno.
Leonida Edizioni: www.editrice-leonida.com
Tel.: 0965 373738
Disponibili anche nel Consorzio Bibliotecario Nord-Ovest Milano.
92
Fly UP