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CAPITOLO 3 La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

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CAPITOLO 3 La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
Capitolo 3
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
(Francesco Caringella e Tiziana Fiorella)
Sommario Sezione i: Profili generali: 1. Oggetto e genesi storica della giurisdizione esclusiva – 2.
Le riforme del 1998 e del 2000 e il problema della legittimità, a costituzione invariata, della
dilatazione del modello della tutela esclusiva. Le risposte date da Corte cost. nn. 204/2004,
191/2006 e n. 140/2007 – 3. Alla ricerca del potere perduto: la distinzione opaca tra comportamenti meri e comportamenti amministrativi – 4. La giurisdizione esclusiva nel Codice del
Processo Amministrativo.
Sommario Sezione ii: Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva: 1. I servizi pubblici alla
luce della sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale (art. 33 D.Lgs. 80/1998; ora art.
133, comma 1, lett. c., del codice del processo amministrativo) –1.1. L’effetto restrittivo della
giurisdizione esclusiva – 1.2. I possibili effetti ampliativi – 1.3. La residua rilevanza della
nozione di servizio pubblico come criterio di riparto della giurisdizione – 1.4. Le controversie
escluse dalla giurisdizione amministrativa per effetto della sentenza n. 204/2004 – 2. La giurisdizione esclusiva in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture (art. 244 del D.Lgs.
163/2006, ora art. 133, comma 1, lett. e, n. 1 del codice del processo amministrativo) – 3. La
giurisdizione esclusiva nella materia edilizia, urbanistica ed espropriativa (artt. 34 del D.Lgs.
80/1098 e 53 del D.P.R. n. 327/2001, ora art. 133, comma 1, lett. f e g, del codice del processo amministrativo) – 3.1. La giurisdizione esclusiva in materia urbanistica ed edilizia prima
dell’intervento della Corte costituzionale – 3.2. La giurisdizione sulle occupazioni espropriative e usurpative dopo Corte cost. 204/2004 e 191/2006 – 3.2.1. La Cassazione restringe la giurisdizione esclusiva ai soli casi di occupazione esecutiva di provvedimenti illegittimi – 3.2.2.
Il Consiglio di Stato la estende ai casi di connessione in senso lato con il potere pubblico – 3.3.
Nostre considerazioni – 4. [Segue] la tutela possessoria contro la p.a. – 5. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva – 5.1. Il pubblico impiego non privatizzato (art. 63, comma
4, del D.Lgs. 165/2001 e 133, comma 1, lett. i del codice del processo amministrativo) – 5.2.
Le controversie nella materia della concessione di beni pubblici (art. 5 L. 1034/1971, ora art.
133, comma 1, lett. b del codice del processo amministrativo) – 5.3. Gli accordi tra privati e
amministrazioni ai sensi dell’art. 133, lett. a, n. 2, del codice del processo amministrativo –
5.4. La giurisdizione esclusiva sulla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (già d.i.a.), ex
art. 133, comma 1, lett. a), n. 3, c.p.a. e art. 19 L. 241/09, come mod. dal D.L. 78/10 – 5.5.
Giurisdizione esclusiva in tema di indennizzo conseguente a revoca di provvedimento (art.
133, comma 1, lett. a, n. 4, del codice del processo amministrativo) – 5.6. La giurisdizione
esclusiva in tema di danno da ritardo (art. 133, comma 1, lett. a, n. 1, del codice del processo amministrativo) – 5.7. La giurisdizione esclusiva in materia di diritto sportivo (art. 133,
comma 1, lett. z, del codice del processo amministrativo) – 5.8. La giurisdizione esclusiva in
materia di energia elettrica nell’art. 133, comma 1, lett. o, del codice del processo amministrativo) – 5.9. La giurisdizione esclusiva in tema di gestione dei rifiuti (art. 133, comma 1,
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La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
lett. p, del codice del processo amministrativo) – 5.10. La class action pubblica (legge c.d.
Brunetta 15/2009 e D.Lgs. di attuazione 20 dicembre 2009, n. 198) – 5.11. Le altre ipotesi
di giurisdizione esclusiva previste dall’art. 133 del codice del processo amministrativo – 6.
La giurisdizione sul risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo è a sua volta una
materia di giurisdizione esclusiva?
Sezione I: Profili generali
1. Oggetto e genesi storica della giurisdizione esclusiva.
La giurisdizione esclusiva consiste nell’attribuzione alla cognizione del giudice
amministrativo delle controversie afferenti, oltre che agli interessi legittimi,
anche, in via principale, ai diritti soggettivi, con il limite dell’incidente di
falso e delle questioni di stato e capacità delle parti, ai sensi e per gli effetti degli
artt. 133 ss. c.p.a.
Essa affonda le sue origini nella c.d. legislazione preunitaria, vale a dire la
legge piemontese del 20 novembre 1859, n. 3780 sui conflitti, dove già si registrano i primi isolati casi di attribuzione ad autorità diverse dal Giudice ordinario
di controversie concernenti diritti.
Nell’Italia unita il sistema è quello recepito nel R.D. n. 2840/23 trasfuso negli
artt. 29 e 30 del R.D. n. 1054/24 – t.u. Cons. Stato – confermato nell’art. 5 del
D.Lgs. 6 maggio 1948, n. 654, “Norme per l’esercizio nella Regione siciliana
delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato”, con riferimento alla C.g.a.R.S. e
successivamente riprodotto nell’art. 7, secondo comma, l.tar.
Segnatamente l’art. 29 del t.u. Cons. Stato del 1924 attribuiva “all’esclusiva
giurisdizione del Consiglio di Stato i ricorsi relativi al pubblico impiego, quelli
contro i provvedimenti in materia di fondazione, statuti e trasformazione di istituzioni pubbliche di beneficenza o di istituzioni di istruzione e di educazione; le
controversie tra Stato e suoi creditori nella materia del debito pubblico e quelle
in materia di spedalità; i ricorsi contro i decreti mediante i quali il prefetto regoli o vieti l’esercizio di industrie pericolose”.
Secondo la tesi maggioritaria, la giurisdizione esclusiva rappresentava la
giusta soluzione per decidere, in un unico plesso giurisdizionale, per evidenti ragioni di economia processuale, le controversie relative a particolari
materie per le quali la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi
presentasse particolari difficoltà, rendendo inapplicabile il tradizionale principio della causa petendi ai fini del riparto. Parte della dottrina ha sostenuto che
“vi è stato il conferimento a quel giudice di un intero territorio popolato sia da
diritti soggettivi che da interessi legittimi, ma soprattutto da figure in cui dette
situazioni si presentavano e si presentano così connesse e di tanta incerta qualificazione, da suggerire la soluzione dell’attribuzione in blocco ad un giudice
unico delle controversie che lo riguardano” (M. Nigro, Problemi veri e falsi
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della giustizia amministrativa dopo la legge sui tribunali regionali, in Riv. trim.
pubb., 1972, 1815 ss.).
L’intento del legislatore era pertanto quello di agevolare il cittadino, con riferimento a casi in cui diritti soggettivi e interessi legittimi risultino strettamente
intrecciati tra loro, da un lato evitando all’interessato il gravoso compito di selezionare il Giudice chiamato a conoscere della causa, dall’altro risparmiandogli
le forche caudine della duplicazione di giudizi in relazione ad una vicenda sostanzialmente unitaria.
La dottrina tradizionale reputava, poi, che l’avvento del modello della giurisdizione esclusiva non intaccasse la validità complessiva del criterio della causa
petendi e non si ponesse con esso in posizione di alternatività ma, semmai, di
sussidiarietà.
Tale criterio venne recepito dal Costituente che, così come sancì l’accoglimento della distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi quale fondamento del riparto fra le giurisdizioni, alla stessa stregua considerò fisiologico,
nel sistema del riparto, l’esistenza di casi in cui la fissazione della giurisdizione
potesse essere operata dal legislatore in virtù della particolarità della materia e
secondo un criterio che non contraddicesse la validità del principio generale del
riparto per posizioni.
Ne derivò la stesura dell’attuale art. 103, primo comma, secondo cui “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione
per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi (regola) e, in particolari materie indicate legge, anche dei diritti soggettivi”
- eccezione.
L’elenco delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo è stato arricchito da numerose leggi successive al t.u. Cons.
Stato.
Va in particolare menzionata la L. n. 1034/1971 (l. tar), il cui art. 7, comma 2, prescrive che il tribunale amministrativo regionale “esercita giurisdizione esclusiva” nei casi previsti dall’art. 29 t.u. Cons. Stato e in quelli previsti
dall’art. 4 R.D. n. 1058/1924 (T.U.G.p.a.) e dall’art. 5, l. tar. Di rilievo è il
richiamo a tale ultima norma, la quale aggiunge un importante caso di giurisdizione esclusiva, costituito dalla materia delle concessioni di beni e servizi,
avendo cura di precisare che “resta salva la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi”.
Pure di estrema importanza è l’art. 26, l. tar, in quanto ha espressamente sancito per la prima volta la sussistenza del potere di condanna del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, pur conservando, all’art. 7, comma
3, il limite dato dall’impossibilità per il giudice amministrativo di conoscere dei
diritti patrimoniali consequenziali.
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2. Le riforme del 1998 e del 2000 e il problema della legittimità, a costituzione invariata, della dilatazione del modello della tutela esclusiva. Le
risposte date da Corte cost. nn. 204/2004, 191/2006, 140/2007 e 35/2010.
Il vero salto di qualità del modello della giurisdizione esclusiva viene sancito
con il D.Lgs. n. 80/98, come poi integrato e sanato dalla L. n. 205/2000.
L’art. 11, comma 4 lett. g), L. 15 marzo 1997, n. 59 ha, infatti, delegato il
Governo ad emanare disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. n. 29/93,
indicando, tra i principi e i criteri direttivi, l’“estensione della giurisdizione del
giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali
consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno”.
La delega contenuta nella norma, la quale ribadisce espressamente che le
controversie relative al risarcimento del danno rientrano tra quelle aventi
ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, è stata esercitata con il D.Lgs.
n. 80/98, che ha devoluto tre nuove e importanti materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (servizi pubblici, urbanistica ed edilizia), oltre
a realizzare la concentrazione della tutela dinanzi al g.a. nelle materie di giurisdizione esclusiva, eliminando il doppio binario di tutela giurisdizionale che
vedeva riservata al g.o. la cognizione di diritti consequenziali e costringeva il
privato ad un doppio giudizio, quello di annullamento dell’atto o di cognizione
del diritto oggetto della giurisdizione esclusiva, cui era subordinato l’eventuale
successivo giudizio di condanna per il risarcimento di danni dinanzi al g.o.
Con l’art. 35, D.Lgs. n. 80/98, che ha modificato l’art. 7, comma 3, l. tar,
pertanto, è stata soppressa la riserva di giurisdizione del giudice ordinario con
riferimento ai diritti patrimoniali consequenziali, trasformando la giurisdizione
esclusiva in giurisdizione anche piena, nel senso della possibilità per il giudice
di dispensare ogni forma di tutela nelle materie in esame, ivi compresa la tutela
risarcitoria un tempo ritenuta monopolio del giudice ordinario.
Dopo la bocciatura della versione originaria del D.Lgs. n. 80 da parte della
Corte costituzionale per violazione dei limiti posti dalla legge delega (sentenza
n. 292/2000 sull’art. 33, seguita dalla sentenza gemella n. 282/2004 sull’art. 34),
il Parlamento ha approvato in tempi assai rapidi la L. 21 luglio 2000 n. 205, la
quale, nell’ambito di una più vasta riforma del processo amministrativo, ha riprodotto gli artt. 33, 34, 35 del decreto n. 80/98, sia pure con alcune modifiche,
salvandoli in tal modo dai rischi di declaratoria di incostituzionalità per violazione della delega.
Le novità di fondo apportate dalla L. n. 205/2000 al decreto n. 80/1998, per il
resto confermato nelle strutture prima descritte, sono, pertanto, così riassumibili:
a) la cognizione delle questioni risarcitorie e relative ai diritti consequenziali
viene estesa anche alla giurisdizione di legittimità (art. 7 della L. n. 205/2000),
che diventa anch’essa una giurisdizione capace di assicurare una tutela piena
dell’interesse legittimo;
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b) l’art. 6, comma 1, della L. n. 205/2000 (trasfuso di recente nell’art. 244 codice appalti, varato G.U. D.Lgs. n. 163/2006) ha incluso nella giurisdizione esclusiva le procedure di affidamento dei pubblici appalti;
c) l’art. 35, che contempla i nuovi poteri decisori ed istruttori del giudice amministrativo, è stato esplicitamente esteso a tutte le materie di giurisdizione esclusiva del g.a., anche diverse da quelle di cui agli artt. 33 e 34;
d) sempre per tutta la giurisdizione esclusiva la L. n. 205/2000 ha introdotto
all’art. 6, comma 2, la tutela arbitrale per i diritti soggettivi, così come, con l’art.
8, si sono estesi ai diritti patrimoniali le tecniche di tutela urgente sommaria ante
causam, ed in corso di giudizio.
L’interrogativo che si pone a seguito di questa espansione quantitativa e qualitativa del modello della tutela esclusiva è quello dei limiti entro i quali il legislatore può spingersi, a Costituzione invariata, nel dare la stura a criteri di
riparto diversi da quello della causa petendi.
Il Consiglio di Stato, nell’ordinanza n. 1/2000 resa dall’Adunanza Plenaria, ha posto mano ad una suggestiva ricostruzione secondo cui, mentre
per la giurisdizione in materia di interessi legittimi l’art. 103 Cost. avrebbe fissato un’area di giurisdizione amministrativa non contendibile da altri
plessi giurisdizionali, nel caso di diritti soggettivi l’art. 103 Cost., coordinato con l’art. 113, primo comma, rimetterebbe alle valutazioni discrezionali
del legislatore ordinario l’individuazione dei casi in cui il Consiglio di Stato
e gli altri organi di giustizia amministrativa conoscano anche di diritti soggettivi.
In una direzione opposta si muovono le opzioni interpretative che sottolineano, al contrario, come il criterio ordinario di riparto sia ancora dato dalla causa
petendi e la giurisdizione esclusiva costituisca un’eccezione che per sua natura
necessita di applicazione ad ipotesi e materie circoscritte.
Da qui l’emersione di dubbi consistenti di legittimità costituzionale per gli
artt. 33 e 34 del D.Lgs. 80/98, nella misura in cui dette disposizioni, per un
verso, attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del g.a. materie di estensione
quantitativamente esorbitante (si pensi ancora alla sfuggente nozione di servizio pubblico); per altro verso sottraggono al g.o. anche controversie di carattere
squisitamente patrimoniale per le quali non viene in rilievo l’esercizio prevalente del potere pubblico ovvero il perseguimento dell’interesse pubblico attraverso
l’applicazione di norme di diritto pubblico.
La Corte costituzionale, con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204, ripudiando
le tesi volte a considerare illimitata la discrezionalità del legislatore nell’introduzione di materie di giurisdizione esclusiva, ha dichiarato incostituzionale, in
parte qua, gli artt. 33 e 34 D.Lgs. n. 80/1998.
In particolare la Corte ha negato che il riferimento generico all’interesse pubblico coinvolto nella fattispecie e la presenza della p.a. come parte processuale
sorreggano una previsione di giurisdizione esclusiva.
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Al riguardo la sentenza, prendendo spunto dai lavori preparatori, rileva che
le “’particolari materie’ devolvibili alla giurisdizione esclusiva del g.a. ai sensi
dell’art. 103 Cost., si caratterizzano per ‘la inscindibilità delle questioni d’interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime’, le quali
impongono di aggiungere la competenza del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificamente indicate dalla legge”.
In presenza di tale opzione, osserva il Giudice delle Leggi, “il principio
dell’unicità della giurisdizione espresso dall’art. 102, con riguardo al giudice, e di riflesso nell’art. 113, con riguardo alle forme di tutela garantite
al cittadino sta a significare che in nessun caso il legislatore ordinario può
far sì che la pubblica amministrazione sia, in quanto tale, assoggettata ad
una particolare giurisdizione, ovvero sottratta alla giurisdizione alla quale
soggiace qualsiasi litigante privato: la specialità di un giudice può fondarsi
esclusivamente sul fatto che questo sia chiamato ad assicurare la giustizia
nell’amministrazione, e non mai sul mero fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione”.
Alla luce di questi principi, la Corte ha ritenuto che la disciplina introdotta,
in punto di giurisdizione esclusiva, dal D.Lgs. n. 80/98, prima, e dalla L. n.
205/2000, poi, sia incompatibile con il dettato costituzionale. Secondo i Giudici
costituzionali, infatti, il legislatore ordinario del 1998-2000 ha finito per accogliere un’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza
in un certo settore dell’ordinamento di un rilevante pubblico interesse senza considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte.
Al contrario, soggiunge la Corte, il necessario collegamento delle “materie”
assoggettate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura
delle situazioni soggettive è espresso dall’art. 103, laddove statuisce che quelle
materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione
generale di legittimità: devono cioè partecipare della loro medesima natura, che
è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come
autorità nei confronti della quale è accordata tutela davanti al giudice amministrativo.
“Il legislatore, pertanto, ben potrebbe ampliare l’area della giurisdizione
esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che,
in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera
la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità:
con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del
giudice amministrativo e, dall’altro, è escluso che sia sufficiente il generico
coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa
essere devoluta al giudice amministrativo”.
In adesione a quest’orientamento, la giurisprudenza ha affermato che, a
seguito della sentenza della Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, la giurisdizione
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esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi non comprende le controversie riguardanti i diritti di credito nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, dovendosi, quindi, escludere che tale
giurisdizione si estenda fino a comprendere le liti sulla definizione dei rapporti
patrimoniali derivanti dall’istituzione, modificazione o estinzione dei soggetti
gestori di pubblici servizi.
Ebbene, tali criteri, a giudizio della Corte costituzionale, non si rinverrebbero
nell’art. 33 del D.Lgs. n. 80/98 non soltanto e non tanto per il riferimento ad una
materia (i servizi pubblici) dai confini non compiutamente delimitati, quanto e
soprattutto per il riferimento a “tutte le controversie” ricadenti in tale settore, che
rende la materia così individuata indifferente del tutto alla natura delle situazioni
coinvolte: sicché, in modo inammissibile, la giurisdizione esclusiva si radica sul
dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie di
quel generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi.
Analoghi rilievi vengono svolti dalla Corte sulla formulazione dell’art. 34 del
D.Lgs. n. 80/98, quale recata dall’art. 7, comma 1, lett. b) della L. n. 205/2000, che
si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre gli “atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche
amministrazioni svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed
edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica
amministrazione non esercita – nemmeno mediamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere.
Pur premettendo che la dichiarazione di incostituzionalità non investe in alcun modo l’art. 7 della L. n. 205/2000 nella parte in cui (lettera c) sostituisce
l’art. 35 del D.Lgs. n. 80/98, la Corte costituzionale ha voluto precisare che il
“potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la
reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione,
bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio
(e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti
della pubblica amministrazione.
L’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato, ma
anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24
Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri”.
Il substrato argomentativo della sent. n. 204/2004 è stato richiamato dalla
Corte cost. nella pronuncia 11 maggio 2006 n. 191 con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n.
325, trasfuso nell’art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica
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La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
8 giugno 2001, n. 327 nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati”, non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediamente, all’esercizio di un pubblico
potere (si rinvia per un’analisi di tale pronuncia alla sez. II, par. 3.3. ss.).
Nello stesso alveo si è da ultimo inserita la sentenza n. 140/2007 della Consulta, che ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 1, comma 552, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (v. sez.
II, par. 5.7.), nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti
in materia di impianti di energia elettrica di cui al D.L. n. 7 febbraio 2002, n. 7
“Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”.
La Corte ha reputato che la norma è conforme all’art. 103 Cost., in quanto
nella fattispecie ricorrono tutti i presupposti enucleati dalla precedenti sentenze
del 2004 e del 2006 al fine di legittimare il riconoscimento di una giurisdizione
esclusiva al giudice amministrativo. L’oggetto delle controversie è invero rigorosamente circoscritto alle particolari “procedure e provvedimenti”, tipizzati
dalla legge (D.L. n. 7 del 2002), e concernenti una materia specifica (gli impianti
di generazione di energia elettrica).
La sentenza ha inoltre escluso che la giurisdizione possa competere al giudice
ordinario per il solo fatto che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno. Il giudizio amministrativo, infatti, in questi casi assicura la
tutela di ogni diritto: e ciò non soltanto per effetto dell’esigenza, coerente con
i princípi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad
un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio
della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena
tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa.
Osserva infine la Consulta che non osta al riconoscimento della giurisdizione
esclusiva del g.a. la natura “fondamentale” dei diritti soggettivi coinvolti nelle
controversie (sui diritti inaffievolibili), non essendovi alcun principio o norma
nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al Giudice ordinario – escludendone il giudice amministrativo – la tutela dei diritti costituzionalmente protetti.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’art. 4 del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, in tema
di emergenza rifiuti, conv. dalla L. n. 123/2008, ha stabilito che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie,
anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati. La giurisdizione di cui
sopra s’intende estesa anche alle controversie relative a diritti costituzionalmente tutelati.
Parte iii – Capitolo 3
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In estrema sintesi, “a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998
e della L. n. 205 del 2000, nonché a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, 8 marzo 2006, n. 191 e 5 febbraio 2010, n. 35, in
materia di giurisdizione esclusiva non rileva più, al fine del riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, la distinzione tra diritti
soggettivi ed interressi legittimi (e anche se vengono in considerazione diritti
Costituzionalmente protetti e non suscettibili di affievolimento ad interessi legittimi), ma la distinzione tra comportamenti riconducibili all’esercizio di pubblici
poteri e meri comportamenti, identificabili questi in tutte quelle situazioni in cui
la pubblica amministrazione non esercita, nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici, alcun
pubblico potere (Cassazione civile, Sez. Un., 5 marzo 2010, n. 5290)” (P. Lotti,
in Codice del processo amministrativo commentato con dottrina e giurisprudenza, Roma, 2010).
In applicazioni di dette coordinate, la Cassazione ha affermato che “anche
in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quali il diritto
alla salute (art. 32 cost.) – allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di
un comportamento materiale espressione di poteri autoritativi e conseguente
ad atti della p.a. di cui sia denunciata la illegittimità, in materie riservate alla
giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come quella della gestione
del territorio – compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative
controversie in ordine alla sussistenza in concreto dei diritti vantati, al contemperamento o alla limitazione di tali diritti in rapporto all’interesse generale
pubblico all’ambiente salubre, nonché alla emissione dei relativi provvedimenti
cautelari, che siano necessari per assicurare provvisoriamente gli effetti della
futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente
risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti” (S.U., 5 marzo 2010, n. 5290 cit.). Analogamente le
Sezioni Unite hanno ritenuto che rientri nella giurisdizione esclusiva del g.a.
la cognizione della controversia promossa dai residenti nel territorio di un Comune che, lamentando le disfunzioni nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani e il conseguente significativo peggioramento della qualità
della vita, chiedano la condanna dell’ente locale e del consorzio intercomunale
gestione rifiuti al risarcimento dei danni asseritamente subiti, ivi compresi i
pregiudizi alla salute ed alla vita di relazione (Cass. S.U., 21 maggio 2009,
n. 11832); e ancora, la giurisdizione esclusiva del g.a. ex art. 34 del D.Lgs. n.
80/1998 in ordine alla controversia relativa all’ubicazione di una discarica di
cui si deduceva la pericolosità per la salute degli abitanti vicini (Cass., S.U., 9
luglio 2009, n. 16090).
La Cassazione mette in evidenza la piena tutela anche cautelare accordabile
dal g.a. a tali posizioni. Al richiamo della giurisprudenza costituzionale la Suprema Corte aggiunge il riferimento alla nuova formulazione dell’art. 21 l. tar, in
294
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
tema di tutela cautelare nel processo amministrativo. In particolare, la Corte osserva che la norma, come modificata dalla L. n. 205/2000, dopo aver previsto la
possibilità del g.a, di assicurare una tutela cautelare atipica, assimilabile a quella
di cui all’art. 700 c.p.c., prevede che la concessione o il diniego della misura
cautelare non possano essere subordinati a cauzione quando essi attengano ad
interessi essenziali della persona, quali il diritto alla salute, all’integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale: la disposizione evidenzia, quindi, che anche il giudice amministrativo ha piena cognizione dei
diritti fondamentali in parola, quando si verta in controversie riservate alla
sua giurisdizione esclusiva. In sintonia il Tar Lombardia, sez. II, con ordinanza
22 maggio 2008, n. 791 ha ritenuto, ex art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998, la giurisdizione esclusiva del g.a. sulla controversia relativa al diniego di somministrazione gratuita di farmaco salvavita per una grave malattia al fegato. Segnatamente,
i giudici meneghini hanno osservato che nelle materie in cui dispone di giurisdizione esclusiva, il g.a. può conoscere anche di domande finalizzate alla tutela
di diritti fondamentali, non comprimibili ad interessi legittimi, quando questi si
confrontino non con semplici comportamenti materiali della p.a. ma con poteri
da essa illegittimamente esercitati. Hanno poi aggiunto che la giurisdizione del
g.a., riconosciuta in ipotesi in cui il diritto alla salute è azionato in chiave oppositiva avverso atti illegittimi della p.a., tendenti a comprometterne l’integrità,
deve, a maggior ragione, sussistere nei casi in cui tale diritto sia fatto valere in
chiave pretensiva allorché il ricorrente prospetti che la sua lesione costituisca
l’effetto della mancata attivazione di poteri tecnico discrezionali spettanti alla
p.a. Di qui la conclusione secondo cui rientra nella materia dei servizi pubblici
che l’art. 34 del D.Lgs. n. 80/98 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del g.a.
una controversia involgente il diritto alla salute, nella sua massima declinazione
di diritto alla sopravvivenza in vita, dedotto dal ricorrente al fine di ottenere la
somministrazione gratuita di farmaci nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, in quanto non correlata ad una semplice obbligazione della Azienda Sanitaria resistente ma concernente direttamente la potestà tecnico discrezionale della
Agenzia (AIFA) di determinare quali farmaci devono essere inseriti nell’ambito
del prontuario farmaceutico nazionale.
3. Alla ricerca del potere perduto: la distinzione opaca tra comportamenti
meri e comportamenti amministrativi.
Ebbene, le ricordate sentenze della Consulta ci consegnano un sistema nel quale
il riparto di giurisdizione, anche in sede di giurisdizione esclusiva, àncora la
giurisdizione del g.a. alla sussistenza del potere amministrativo ed alla veste
autoritativa della p.a.
Ne discende l’insufficienza di un coinvolgimento generico dell’interesse
pubblico o della qualità di parte assunta in giudizio dalla p.a. e la necessità che
Parte iii – Capitolo 3
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vengano in rilievo non comportamenti meri, di diritto comune, con i quali la
p.a., come soggetto di diritto comune, violi obblighi di diritto comune, bensì
comportamenti amministrativi con i quali la p.a. come autorità, in un settore
pubblicisticamente qualificato e delimitato, violi norme di diritto speciale che
regolano un rapporto di diritto pubblico.
Dobbiamo, quindi, penetrare il discrimine tra comportamenti amministrativi
costituenti esercizio di pubblica funzione e comportamenti meri violativi di obblighi di diritto comune.
A tal uopo ci sembra possibile tracciare un filo d’Arianna così confezionato.
In primo luogo, vanno escluse dal novero dei comportamenti amministrativi
le condotte che la p.a. tenga nell’esercizio di poteri privati che le competono
non nella qualità di autorità ma nelle vesti privatistiche di datore di lavoro,
di creditore, di contraente e di socio.
In questo caso, infatti, la p.a. agisce come soggetto di diritto comune che
abusa di poteri di stampo privatistico a fronte dei quali non si può che radicare
una posizione di diritto soggettivo (o interesse legittimo, ma di diritto privato)
al rispetto dei canoni privatistici di buona fede e di tutela dell’affidamento, che
devono permeare tali condotte.
Per contro, alla luce della codificazione della nullità ai sensi dell’art. 21
septies della L. n. 241/1990, anche il provvedimento nullo, in quanto esistente e qualificabile come tale, deve reputarsi esercizio, ancorché gravemente malato e originariamente inefficace, del potere. Non è, infatti, possibile invertire la logica ricostruttiva ed affermare che il provvedimento nullo
non esiste come espressione del potere in quanto è inefficace; all’opposto,
intanto si pone il problema dell’efficacia dell’atto nullo in quanto si dà per
scontata l’esistenza di un atto del quale predicare l’eventuale inefficacia; atto
che, in un rapporto pubblicistico, è adottato dalla p.a. nella veste di autorità
e non di soggetto di diritto comune. Vanno quindi attratti alla giurisdizione
esclusiva del g.a. sia gli atti nulli che i comportamenti finalizzati alla relativa
esecuzione (si vedano le divergenze tra Consiglio e Cassazione in materia di
occupazione appropriativa ed usurpativa di cui al successivo par. 3.2., Sez.
II).
Con riferimento alla carenza di potere, in questa sede ci limitiamo a manifestare la nostra adesione alla ricostruzione secondo cui:
a) l’atto affetto da carenza in astratto difetta del presupposto (l’esistenza della
norma attributiva del potere), affinché esista un potere da spendere, con la conseguenza che trattasi di atto inesistente;
b) la nozione di carenza in concreto sembra invece ricondotta nei casi di cattivo
uso del potere che decretano l’annullabilità ai sensi dell’art. 21octies della L. n.
241/1990.
In terzo luogo la sentenza n. 140/2007 della Corte Costituzionale ha chiarito
con nettezza che è attratta nella giurisdizione esclusiva del g.a. anche la cogni-
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La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
zione dei diritti fondamentali o inaffievolibili, non essendovi alcun principio o
norma che riservi esclusivamente al Giudice ordinario – escludendone il giudice
amministrativo – la tutela dei diritti costituzionalmente protetti.
La circostanza, infatti, che a fronte di tali diritti fondamentali la p.a. non abbia il potere di degradazione, non toglie che i relativi atti siano adottati dalla p.a.
nella veste di autorità in un rapporto di diritto pubblico.
Va poi soggiunto che, anche alla luce dell’esigenza di concentrazione che
permea la giurisdizione esclusiva come modello, la nozione di esercizio anche
indiretto del potere va traguardata in base ad una approccio non atomistico ma
sintetico.
Posto, infatti, che parliamo di giurisdizione esclusiva estesa ai diritti soggettivi è ovvio che non può essere all’uopo necessario che la condotta sia esercizio diretto del potere ovvero sia puntualmente esecutiva di un provvedimento
efficace, altrimenti in tal caso la giurisdizione spetterebbe comunque al g.a. in
base al normale criterio del riparto. È, invece, sufficiente un collegamento in
senso lato dato dall’esistenza del potere nella materia, non già dall’esistenza di
un provvedimento costituente esercizio del potere ovvero dall’autorizzazione di
quella specifica condotta in base ad un provvedimento efficiente. Ne deriva che
anche la condotta esecutiva di un provvedimento nullo o tenuta, pur in mancanza
di un provvedimento autorizzativo, nell’ambito di un procedimento pubblicistico o di un rapporto pubblicistico, va considerata esercizio in senso mediato del
potere, essendo posta in essere dalla p.a. come autorità in un contesto di diritto
pubblico.
In una parola, la connessione con il potere non vuole significare che vi sia
un atto che autorizzi la condotta ma che la condotta viva in un rapporto, in
un ambiente, in un humus di stampo pubblicistico.
A maggior ragione, ove la condotta sia esecutiva di un provvedimento, rileva
il dato cronologico dell’esistenza di detto atto al momento in cui la condotta è
storicamente tenuta e va quindi giuridicamente valutata ai fini della giurisdizione, e non la fictio della sua inesistenza a seguito dell’annullamento retroattivo
giurisdizionale o in sede di autotutela o, ancora, alla stregua della decadenza con
perdita ex tunc dei suoi effetti.
Si deve poi ammettere che il Giudice amministrativo conosca anche di questioni patrimoniali relative a diritti soggettivi ove queste vengano in rilievo in un
rapporto di diritto pubblico che la p.a. partorisca e regoli nella veste complessiva
di autorità.
Questo spiega perché nel pubblico impiego non privatizzato e negli accordi
ex art. 11 della L. n. 241/1990, diversamente che nel pubblico impiego privatizzato e nei normali contratti, il g.a. esclusivo possa conoscere anche delle controversie relative all’esecuzione degli obblighi (anche patrimoniali) relativi al
rapporto: nei primi due casi, diversamente che negli altri due, trattasi infatti di
condotte che, pur se singolarmente violative di obblighi e lesive di diritti patri-
Parte iii – Capitolo 3
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moniali, sono tenute in un rapporto complessivamente di diritto pubblico che la
p.a. ha generato con l’esercizio (o comunque sulla base dell’esistenza) di un potere pubblico (potere che si traduce nell’atto di nomina per il pubblico impiego
non privatizzato o nel varo dell’accordo, inteso come esercizio consensuale del
potere pubblico, ai sensi dell’art. 11 della L. n. 241/1990).
Con riferimento all’impiego non privatizzato la Corte di Cassazione a
S.U., con sentenza n. 601 del 14 gennaio 2005, ha statuito che la pronuncia n.
204/2004 della Corte Costituzionale non ha enucleato il principio generale della
non conformità a Costituzione di tutte le previsioni legislative le quali non riservano all’autorità giudiziaria ordinaria le controversie (meramente) patrimoniali
pur inerenti ad una “particolare materia”, contrassegnata dal dominio del diritto
pubblico e dalla titolarità di poteri amministrativi. Finalità di tale pronuncia è
stata, infatti, non quella di limitare la giurisdizione esclusiva alle sole controversie inerenti a tali particolari materie e concernenti, perciò, interessi legittimi
(controversie, peraltro, già rientranti nella giurisdizione amministrativa di legittimità), ma quella di estenderla anche alle controversie, inerenti alle medesime
particolari materie, nelle quali venga in rilievo la lesione di diritti soggettivi da
parte di atti paritetici emessi dalla p.a.
La Corte osserva che “la regola sulla giurisdizione non è suscettibile di essere sospettata d’illegittimità costituzionale sulla base della sentenza n. 204 del
2004 della Corte costituzionale… L’intervento del giudice delle leggi, invero,
ha scrutinato con esito negativo la legittimità dell’estensione della giurisdizione
esclusiva amministrativa a una materia, quella dei servizi pubblici, dai confini
non definiti e pertanto tale da escludere la competenza del Giudice ordinario per
una serie di rapporti con l’amministrazione, genericamente inerenti al settore
indicato ma riconducibili al diritto comune e non coinvolgenti profili specifici
d’interesse pubblico.
Per queste ragioni, l’attribuzione di giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, ad opera del menzionato art. 33, è stata ritenuta conforme a Costituzione solo relativamente a materie particolari e specifiche, tra le quali, appunto,
quella relativa alle concessioni di servizi pubblici e, al riguardo, espressamente
la motivazione avverte che il legislatore, con l’art. 5 della L. 1034 del 1971,
aveva già dettato una regola sulla giurisdizione rispettosa dei principi costituzionali, regola che è stata, di conseguenza, sostanzialmente ripristinata, ma
senza svolgere alcuna considerazione che induca a ritenere che a questa regola
sia stata attribuita valenza di generale principio costituzionale.
Non è consentito perciò enucleare dalla sentenza in esame il principio generale della non conformità a Costituzione di tutte le previsioni legislative, le
quali, nel devolvere alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie
inerenti a una “particolare materia”, contrassegnata dal dominio del diritto
pubblico e dalla titolarità di poteri amministrativi, e perciò dalla presenza sia di
situazioni d’interesse legittimo, sia di situazioni di diritto soggettivo, non riser-
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La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
vano all’autorità giudiziaria ordinaria le controversie (meramente) patrimoniali inerenti alla materia stessa.
Ogni residuo dubbio, del resto, resta dissolto dalla considerazione che la
sentenza costituzionale reca in motivazione il riferimento a numerose ipotesi di
giurisdizione esclusiva amministrativa presenti nell’ordinamento, da quelle più
risalenti ad altre più recenti, tutte ritenute legittime perché concernenti materie
particolari nelle quali l’amministrazione esercita poteri amministrativi, oppure, nel presupposto della titolarità di essi, conclude accordi sul suo esercizio
o sostitutivi del provvedimento. Ebbene, tra gli altri, il riferimento all’art. 11
della L. 241 del 1990 è indicativo della legittimità della devoluzione anche delle
controversie patrimoniali comprese nella materia alla giurisdizione esclusiva
amministrativa (tra le controversie inerenti all’esecuzione dell’accordo rientrano certamente quelle concernenti l’adempimento di obbligazioni).
Senza sottovalutare, infine, la circostanza che della legittimità della devoluzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie patrimoniali promosse dall’impiegato pubblico non si era mai dubitato in precedenza e l’assenza
di dubbi appare implicita nelle pronunce della Corte costituzionale che hanno
assicurato ai diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici strumenti processuali
atti a garantire l’effettività della tutela nel processo amministrativo (C. Cost. n.
190 del 1985 e n. 146 del 1987)”.
Le stesse ragioni ci inducono a valutare con favore la giurisdizione esclusiva
dipinta dall’art. 21 nonies della L. n. 241/1990 in ordine alle controversie relative all’indennizzo da revoca di provvedimenti, vertendosi in tema di rapporti
patrimoniali generati dall’esercizio del potere e non dalla manifestazione di autonomia privata (Tar Puglia, Lecce, sez. II, 6 marzo 2007, n. 830)
Lo stesso è a dirsi per la giurisdizione esclusiva coniata in tema di d.i.a.
dall’art. 19 della L. n. 241/1990 (Oggi scia, in seguito alle modifiche di cui alla
Legge di conversione del D.L. n. 78/2010), specie se si aderisce alla configurazione di detto istituto come modulo autorizzativo tacito. Anche aderendo alla
diversa tesi del modulo privatistico, è peraltro indubitabile che, pur se il terzo
contesta la legittimità non di un atto, nella specie non adottato, ma di un comportamento (l’inerzia serbata dalla p.a.), si tratta non di un mero comportamento materiale, ma di un comportamento amministrativo, strettamente collegato
all’esercizio della funzione di vigilanza e del potere di autotutela.
Sulla scorta dei medesimi principi sono riconducibili alla giurisdizione del
g.a. anche i comportamenti violativi delle norme procedimentali di azione, nonché i casi di violazione del termine procedimentale (anche il non uso tempestivo
è un cattivo uso, sul versante temporale, del potere), i comportamenti violativi
degli obblighi precontrattuali di diritto comune in un procedimento di evidenza pubblica (anche in questo caso, infatti, il comportamento è atomisticamente
privatistico in un contesto sinteticamente pubblicistico) e, infine, in materia di
omessa vigilanza da parte delle Autorità nei settori di pertinenza, l’omessa vigi-
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lanza della Consob, da considerarsi certamente quale comportamento amministrativo da porre in relazione ad una potestà amministrativa.
Dette conclusioni sono state di recente ribadite dal legislatore, che ha dato
vita ad una giurisdizione esclusiva del g.a. per danno da ritardo ex art. 2 bis della
L. n. 241/1990, introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (v. sez. II, par. 5.6.).
La compatibilità di tale scelta con le coordinate fissate dalla Consulta emerge se
solo si considera che, pure ad accedere alla qualificazione in termini di diritto
soggettivo della pretesa al rispetto dei tempi, si tratta pur sempre delle regole
temporali che concernono lo svolgimento di una procedura pubblicistica, ossia
l’esercizio del potere autoritativo della p.a.
4. La giurisdizione esclusiva nel Codice del Processo Amministrativo.
Emerge, in definitiva, un quadro nel quale il g.a. in sede di giurisdizione di legittimità ed, a maggior ragione, in sede di giurisdizione esclusiva, nel sistema
enucleato dalle sentenze nn. 204/2004, 191/2006 e 35/2010 della Consulta e
dagli arresti delle S.U. della Cassazione nn. 13659 e 13660 del 2006, non è più
giudice dell’atto, ma giudice delle condotte amministrative tutte, in un sistema di tutele che vede affiancata a quella impugnatoria anche quella risarcitoria
autonomamente attivabile in una con quella di accertamento.
Con un’inversione di tendenza rispetto a quanto stabilito dal D.Lgs. n.
80/98 e dalla L. n. 205/2000, la devoluzione della giurisdizione esclusiva del
g.a. è, e resta, un’eccezione al generale criterio di riparto di giurisdizione
ex art. 103 Cost., giustificato solo dalla stretta connessione tra diritti e potere pubblico in ragione di peculiari profili tipici di determinate materie.
Resta quindi ineludibile presupposto per il radicamento della giurisdizione
esclusiva del g.a. la stretta connessione con il potere, che deve sussistere, in
via sintetica, anche in caso di mancanza di provvedimenti amministrativi. È
quanto da ultimo plasticamente ribadito dal Codice del Processo Amministrativo (c.p.a.).
Invero, l’art. 7, comma 1, prima parte recita testualmente: “Sono devolute
alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione
di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili
anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche
amministrazioni”.
Siffatta disposizione normativa appare degna di nota non solo poiché al primo
comma recepisce espressamente i dicta della Consulta in tema di perimetrazione
della giurisdizione esclusiva del g.a. richiedendo l’esercizio, ancorché mediato,
del potere, ma anche poiché delinea, al secondo comma, la nozione di pubblica
amministrazione ai fini dell’applicazione del Codice stesso, ricomprendendo-
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