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Corso di Chimica Fisica A Appunti delle lezioni

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Corso di Chimica Fisica A Appunti delle lezioni
Università di Torino
Corso di Studi in Chimica - Laurea Triennale
Anno Accademico 2006-2007
Corso di Chimica Fisica A
Appunti delle lezioni
Roberto Dovesi
Loredana Valenzano
(19 febbraio 2007)
Indice
1 Le proprietà dei gas
1.1 L’equazione di stato dei gas ideali e le unità di misura . . . . .
1.2 L’equazione di van der Waals . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Le equazioni di Redlich-Kwong (RK) e di Peng-Robinson (PR)
1.4 L’uso di un’equazione di stato cubica . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 La legge degli stati corrispondenti . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Il secondo coefficiente del viriale . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7 Il potenziale di Lennard-Jones . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.8 Le forze di dispersione di London . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.9 Il secondo coefficiente del viriale: alcuni casi particolari . . . .
1.10 Esercizi svolti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.10.1 Esercizio 1.1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.10.2 Esercizio 1.2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.10.3 Esercizio 1.3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.10.4 Esercizio 1.4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.10.5 Esercizio 1.5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 1
Le proprietà dei gas
In questo capitolo, verrà discussa prima l’equazione del gas ideale; in seguito vedremo alcune estensioni, come
l’equazione di van der Waals, che descrive, sebbene in modo approssimato, le deviazioni di un gas dal comportamento ideale. Un approccio più accurato passa attraverso lo sviluppo del viriale, che consiste in un’espansione
della pressione di un gas in serie di potenze della densità. Verranno poi messi in relazione i coefficienti di questa
espansione con l’energia di interazione tra le molecole del gas. Questo ci porterà a discutere le interazioni
intermolecolari, allontanandoci dal caso ideale.
1.1
L’equazione di stato dei gas ideali e le unità di misura
Un gas sufficientemente diluito obbedisce all’equazione di stato
P V = nRT
(1.1)
Diluito significa che le molecole che lo compongono sono cosı̀ lontane che la loro mutua interazione può essere
trascurata. Dividendo entrambi i membri di questa equazione per il numero di moli n si ottiene
P V̄ = RT
(1.2)
dove V̄ = V /n è il volume molare. D’ora in poi, la notazione X̄ indicherà che X è una grandezza molare. Le
equazioni (1.1) e (1.2) sono dette equazioni di stato dei gas ideali: esse esprimono la relazione tra pressione,
volume e temperatura per una data quantità di gas ideale.
È importante capire la differenza tra V e V̄ che esprimono un’importante caratteristica delle grandezze e delle
variabili utilizzate per descrivere i sistemi macroscopici. Si fa distinzione tra grandezze (o variabili) di tipo
estensivo e intensivo: le prime sono direttamente proporzionali alla dimensione del sistema (ne sono esempi: il
volume, la massa, l’energia); le seconde non dipendono dall’estensione del sistema (ne sono esempi: la pressione,
la temperatura e la densità). Dividendo una grandezza estensiva per il numero di moli (o il volume, o la massa)
presenti nel sistema, si ottiene una grandezza intensiva. Ad esempio, V (dm3 ) è una grandezza estensiva, mentre
V̄ (dm3 · mol−1 ) è una grandezza intensiva.
Nelle equazioni (1.1) e (1.2), non c’è alcuna informazione sulle caratteristiche del gas (forma, grandezza delle
molecole e loro mutua interazione). Sperimentalmente, a 1 atm e 0 ◦ C molti gas soddisfano la (1.1) e la (1.2)
entro l’1 %.
Tali equazioni rendono necessaria una discussione sul sistema di unità (SI) adottato dalla IUPAC (International
Union of Pure and Applied Chemistry).
Il volume nel sistema SI e’ espresso in m3 (metro cubo) ma il litro (L) definito esattamente come 1 dm3
(decimetro cubo) è un’unità di volume accettata anche dalla IUPAC. L’unità SI della pressione è il pascal (Pa);
si ha che: 1Pa = 1N · m−2 = 1kg · m−1 · s−2 dove il newton (N) è l’unità SI della forza. La pressione è quindi
una forza su un’unità di superficie. La pressione può essere misurata sperimentalmente osservando l’altezza
di una colonna di liquido sostenuto dal gas (vedi figura 1.1). Se m è la massa del liquido e g è la costante di
accelerazione gravitazionale, la pressione è data da:
P =
mg
ρhAg
F
=
=
= ρhg
A
A
A
1
(1.3)
Tabella 1.1: Unità di misura della pressione e fattori di conversione.
1 pascal
1 atmosfera
1 bar
=
=
=
=
=
=
=
1 N · m−2 = 1 kg · m−1 · s−2
1.01325 × 105 Pa
1.01325 bar
101.325 kPa
1013.25 mbar
760 torr
105 Pa = 0.1 MPa
dove A è l’area della base della colonna, ρ è la densità del fluido e h è l’altezza della colonna. Sebbene il pascal
sia l’unità SI della pressione, l’atmosfera continua ad essere largamente usata. Una atmosfera viene definita
come la pressione che sorregge una colonna di mercurio di altezza pari a 76.0 cm (vedi figura 1.1). Con il
passaggio alle unità SI, lo standard di pressione è il bar pari a 0.986 atm. Un’altra unità comunemente usata è
il torr che è la pressione che sorregge una colonna di mercurio alta 1.00 mm, quindi 1 torr = (1/760) atm.
Figura 1.1: Una atmosfera viene definita come la pressione che sorregge una colonna di mercurio di altezza pari
a 76.0 cm.
In tabella 1.1 sono riportate varie unità di misura per la pressione.
La scala fondamentale delle temperature si basa sulla legge dei gas ideali. Dal momento che tutti i gas si
comportano in modo ideale nel limite P → 0, definiamo T come
T = limP →0
P V̄
R
(1.4)
La temperatura si misura in kelvin (K). Dal momento che P e V̄ non possono assumere valori negativi, il minimo
valore possibile della temperatura è 0 K (zero assoluto) che corrisponde alla temperatura di una sostanza che
non possiede energia termica. Per stabilire l’unità del kelvin, al punto triplo dell’acqua è stata assegnata la
temperatura di 273.15 K (il punto triplo di una sostanza corrisponde ad un sistema in equilibrio che contiene
gas, liquido e solido). Per quanto detto fino ad ora sulla temperatura, siamo in possesso di una definizione
di 0 K e di 273.15 K che generano una scala lineare delle temperature. Un kelvin viene definito quindi come
1/273.15 della temperatura del punto triplo dell’acqua.
In figura 1.2, è riportato l’andamento del valore sperimentale di V̄ in funzione di T per Ar(g) a diverse pressioni.
Come atteso dalla definizione che abbiamo dato delle scala delle temperature, l’estrapolazione di questi dati
2
dice che T → 0 per V̄ → 0.
Figura 1.2: Volumi molari sperimentali (linee continue) di Ar(g) riportati in funzione di T /K a 0.040, 0.020 e
0.010 atm. Le rette confluiscono tutte nell’origine (linee tratteggiate).
La relazione che lega la scala Kelvin a quella Celsius è
t/◦ C = T /K − 273.15
(1.5)
da cui si ha che 0 K = -273.15◦C, ossia 0◦ C = +273.15 K. Il valore 25◦ C (298.15 K) è noto come temperatura
ambiente.
Se misuriamo P V̄ a 273.15 K per ogni gas ad una pressione sufficientemente bassa affinché il comportamento
sia assimilabile a quello ideale, si ha che
P V̄ = R(273.15K)
(1.6)
Questo risultato è riportato in figura 1.3 per alcuni gas reali. Tutti i dati tendono a P V̄ =22.414 L·atm per
P → 0, dove i gas si comportano certamente in modo ideale. Quindi si ha che
R=
P V̄
22.414 L · atm · mol
=
= 0.082058 L · atm · mol−1 · K−1
T
273.15 K
(1.7)
Sapendo che 1atm = 1.01325 × 105 Pa e che 1L = 10−3 m3 , otteniamo
R = (0.082058 L · atm · mol−1 · K−1 )(1.01325 × 105 Pa · atm−1 )(10−3 m3 · L−1 )
= 8.3145 Pa · m3 · mol−1 · K−1 = 8.3145 J · mol−1 · K−1
(1.8)
3
essendo 1Pa · m =1N · m = 1J. È utile conoscere R quando le pressioni sono misurate in bar. Essendo 1atm
= 1.01325 bar si ha
R = (0.082058 L · atm · mol−1 · K−1 )(1.01325 bar · atm−1 )
0.083145 L · bar · mol−1 · K−1 = 0.083145 dm3 · bar · mol−1 · K−1
In tabella 1.2 sono riportati i valori di R in diverse unità.
3
(1.9)
Figura 1.3: Valori sperimentali di P V̄ in funzione di P per H2 (g) (croci), N2 (g) (rombi) e CO2 (g) (cerchi) a
T = 273.15 K. I dati per i tre gas tendono al valore P V̄ =22.414 L · atm nel limite P → 0 ossia al limite del
comportamento ideale.
Tabella 1.2: Varie unità di misura per esprimere la costante molare dei gas R.
R
=
=
=
=
=
8.3145 J · mol−1 · K−1
0.083145 dm3 · bar · mol−1 · K−1
83.145 cm3 · bar · mol−1 · K−1
0.082058 L · atm · mol−1 · K−1
82.058 cm3 · atm · mol−1 · K−1
4
1.2
L’equazione di van der Waals
Abbiamo già sottolineato che l’equazione del gas ideale vale per tutti i gas a pressioni sufficientemente basse;
ciò significa che all’aumentare della pressione agente su una data quantità di gas si osservano deviazioni dal
comportamento ideale. Tali deviazioni possono essere rappresentate graficamente riportando l’andamento di
P V̄ /RT in funzione della pressione (vedi figura 1.4).
Figura 1.4: L’andamento di Z = P V̄ /RT in funzione della pressione ridotta (PR = P/Pc ) mostra come
l’equazione del gas ideale P V̄ /RT = 1 si allontani dalla validità al crescere della pressione. Come vedremo più
avanti, l’uso di variabili ridotte (PR , TR ) fa sı̀ che le stesse curve della figura descrivano gas diversi.
La grandezza P V̄ /RT viene detta fattore di compressibilità ed è indicata con Z. Quando tutte le condizioni
di idealità sono valide, si ha che Z = 1 e quindi non vi è dipendenza dalla pressione. Per i gas reali, a basse
pressioni (P = 1 − 10 bar) Z ∼
= 1 ma all’aumentare della pressione Z 6= 1 come si può vedere in figura 1.4.
Ovviamente le deviazioni dipenderanno anche dalla temperatura e dalla natura intrinseca del gas in questione.
Più ci si avvicina al punto di liquefazione, più ampie saranno le deviazioni dal comportamento ideale. Si ha
che Z < 1 a basse P , ma Z > 1 per alte P . Questo perché, a basse P , le molecole si muovono piú lentamente
e quindi sono maggiormente influenzate dalle loro forze attrattive che tendono a fare avvicinare le molecole
facendo sı̀ che V̄reale < V̄ideale che dà luogo a Z < 1. All’aumentare della pressione (e della temperatura), le
molecole si muovono più rapidamente fino ad essere influenzate principalmente dalle loro forze repulsive (urti)
che tendono a rendere V̄reale > V̄ideale e quindi Z > 1.
Quando si considera un gas ideale, si assume che le molecole che lo compongono si muovano in modo indipendente
l’una dall’altra. In altre parole, esse non risentono di alcuna interazione intermolecolare. Questa immagine non
è più realistica ad alte pressioni, come dimostrato in figura 1.4. L’equazione di van der Waals (1873)
P =
a
RT
− 2
V̄ − b V̄
(1.10)
tiene conto delle interazioni intermolecolari attrattive e repulsive. Vale la pena notare che essa si riduce all’equazione del gas ideale per V̄ → ∞. Le costanti a e b vengono dette costanti di van der Waals e assumono
valori che dipendono dal gas (vedi tabella in figura 1.5). a rappresenta l’intensità di attrazione reciproca delle
molecole di un gas e b la dimensione delle molecole. Dal momento che a e b sono costanti sempre positive, si ha
che a diminuisce il valore di P , mentre b lo aumenta (vedi segni nell’equazione di van der Waals (1.10)).
Usiamo l’equazione (1.10) per calcolare la pressione in bar esercitata da 1 mole di CH4 (g) che occupa un
contenitore di 250 mL a 0◦ C. Sostituendo i valori di a e b riportati nella tabella in figura 1.5 per il metano si
5
Figura 1.5: Le costanti di van der Waals per varie sostanze.
ha:
P =
(0.083145 dm3 · bar · mol−1 · K−1 )(273.15 K) 2.3026 dm6 · bar · mol−2
= 72.9 bar
−
(0.250 dm3 · mol−1 − 0.043067 dm3 · mol−1 )
0.250 dm6 · mol−2
Nel caso ideale avremmo ottenuto P =90.8 bar. L’equazione di van der Waals, corregge in eccesso il dato
fornito dall’equazione del gas ideale (da 90 a 72 bar), avvicinandosi comunque al dato sperimentale di 78.6 bar.
L’equazione di van der Waals fornisce qualitativamente l’andamento mostrato in figura 1.4. Moltiplicando la
(1.10) per V̄ /(RT ) si ha
V̄
P V̄
a
Z=
=
−
(1.11)
RT
V̄ − b RT V̄
da cui si evince che ad alte pressioni il primo termine domina poiché V̄ − b diventa piccolo, viceversa a basse
pressioni domina il secondo termine.
6
1.3
Le equazioni di Redlich-Kwong (RK) e di Peng-Robinson (PR)
Altre due equazioni di stato relativamente semplici, ma più accurate e quindi più utili dell’equazione di van der
Waals sono l’equazione di Redlich-Kwong (1949)
RT
A
− 1/2
V̄ − B
T V̄ (V̄ + B)
(1.12)
RT
α
−
V̄ − β
V̄ (V̄ + β) + β(V̄ − β)
(1.13)
P =
e l’equazione di Peng-Robinson (1976)
P =
dove A, B, α e β sono parametri che dipendono dal gas e che possono essere tabulati come fatto per i parametri
a e b che compaiono nell’equazione di van der Waals.
Riprendiamo l’esempio del metano considerato per l’equazione di van der Waals nel paragrafo precedente e calcoliamo il valore della pressione con l’equazione di Redlich-Kwong. I dati sono gli stessi per temperatura (273.15
K) e volume (0.250 dm3 ·mol−1 ). Per le costanti A e B, per il metano si ha che: A=32.205 dm6 ·bar·mol−2 ·K1/2
e B=0.029850 dm3 ·mol−1 . Sostituendo questi valori nella (1.12) in maniera analoga a come si era fatto nel
paragrafo precedente per l’equazione di van der Waals, si ha che P =75.3 bar, più vicino al dato sperimentale
di 78.6 bar.
Mentre le equazioni di Redlich-Kwong e di Peng-Robinson sono pressoché quantitative, l’equazione di van der
Waals cessa di dare previsioni corrette a pressioni maggiori di 200 bar. Inoltre, le equazioni di Redlich-Kwong e di
Peng-Robinson continuano ad essere quantitativamente corrette anche nelle regioni in cui il gas diventa liquido.
L’equazione di Peng-Robinson si comporta meglio nella regione liquido-vapore, mentre quella di Redlich-Kwong
rappresenta meglio il comportamento del gas ad alte pressioni.
Per concludere, notiamo come i primi addendi delle tre equazioni considerate (che descrivono la parte attrattiva),
hanno la stessa forma funzionale, mentre i secondi sono molto diversi tra loro.
7
1.4
L’uso di un’equazione di stato cubica
Le equazioni di stato fin qui citate, ossia la (1.10), la (1.12) e la (1.13) possono essere riscritte sotto forma di
equazioni cubiche in V̄ , forma che mostra che esse possono descrivere sia la regione gassosa che la regione liquida
di una sostanza. Per capire ed apprezzare questo aspetto, esaminiamo la figura 1.6 in cui sono rappresentate le
isoterme sperimentali di P in funzione di V̄ per il biossido di carbonio.
Figura 1.6: Isoterme sperimentali pressione-volume del biossido di carbonio attorno alla sua temperatura critica
di circa 31◦ C. I punti G, A, D ed L sono discussi nel testo.
Le isoterme della figura si trovano nelle vicinanze della temperatura critica Tc che è la temperatura oltre la
quale un gas non può essere liquefatto, indipendentemente dalla pressione. La pressione critica Pc e il volume
critico V̄c sono la pressione ed il volume molare corrispondenti al punto critico. Si noti che le isoterme in figura
1.6 si appiattiscono al decrescere della temperatura per T → Tc dall’alto; per T < Tc si hanno andamenti
orizzontali: in quelle regioni, il gas e il liquido coesistono in equilibrio tra loro. La curva tratteggiata che
connette le estremità delle linee orizzontali si chiama curva di coesistenza perché in ogni punto al suo interno
liquido e gas coesistono in equilibrio tra loro. In ogni punto sopra o al di fuori di essa è presente solo una fase.
Percorriamo il grafico in figura 1.6 per capirne appieno il significato.
Partendo dal punto G in cui esiste solo la fase gassosa, comprimiamo il gas lungo la isoterma a 13.2 ◦ C; il
liquido comincerà ad apparire quando raggiungiamo la linea orizzontale nel punto A. La pressione rimarrà costante condensando il gas che si trova al volume molare di 0.3 L · mol−1 (punto A) fino al liquido con volume
molare di circa 0.07 L · mol−1 (punto D). Raggiunto il punto D, la pressione cresce rapidamente diminuendo
ulteriormente il volume della sostanza che ora è tutta liquida e il cui volume quindi varia molto poco al variare
della pressione.
All’aumentare della temperatura verso il valore critico, le linee orizzontali si accorciano per ridursi ad un punto:
si è raggiunta la temperatura critica dove non c’è distinzione tra la fase liquida e quella gassosa. In questo
8
punto la tensione superficiale sparisce e le due fasi hanno la stessa densità (critica).
Se la temperatura è minore di quella critica, la retta P = cost interseca in tre punti l’isoterma, e si ottengono
tre valori per il volume lungo la linea DA, come mostrato in figura 1.7. Questo risultato è coerente col fatto che
l’equazione di van der Waals (1.10) può essere scritta come un polinomio cubico in funzione del volume molare
RT 2
a
ab
V̄ 3 − b +
V̄ + V̄ −
=0
P
P
P
(1.14)
Ma cosa significa avere tre diversi volumi corrispondenti allo stesso valore di pressione e temperatura? E quale
è, tra questi volumi, quello corretto? Due valori per il volume sono spiegabili facilmente: quello che si ha nel
punto D è il volume molare del liquido, quello nel punto A è il volume molare del vapore in equilibrio col liquido.
Ma la terza radice come può essere giustificata dal momento che la solidificazione non è prevista dall’equazione
di van der Waals? Essa è a tutti gli effetti una soluzione spuria dovuta alla forma analitica troppo semplice
dell’equazione di van der Waals, incapace di descrivere le due discontinuità delle derivate prime della curva
(P, V̄ ) nei punti A e D.
Si ha che per pressioni inferiori a quella indicata dalla linea orizzontale, il volume maggiore (da A verso destra)
è quello corretto; per pressioni al di sopra della linea, è più stabile il volume minore (da D verso sinistra). Lungo
la linea, si ha equilibrio tra la fase gassosa e la fase liquida.
Figura 1.7: Tipica isoterma pressione-volume di van der Waals ad una temperatura minore della temperatura
critica. La linea orizzontale è disegnata in modo tale che le aree delimitate dalla curva chiusa sovrastante e
quella sottostante siano uguali per riprodurre l’andamento sperimentale riportato in figura 1.6, per T < Tc .
Sfruttando il fatto che il punto critico di figura 1.6 è un punto di flesso orizzontale nel quale quindi le derivate
prima e seconda si annullano, ossia:
∂P =0
(1.15)
∂ V̄ T
e
∂2P =0
(1.16)
∂ V̄ 2 T
possiamo determinare i valori di P, T, V in quel punto, cioè le costanti critiche Tc , Pc e Vc in termini di a e b.
È più rapido tuttavia seguire una strada equivalente ma alternativa. Riprendiamo l’equazione di van der Waals
(1.14); per ogni valore di P darà luogo a tre radici (essendo un’equazione di terzo grado). La casistica delle
9
soluzioni possibili è la seguente:
1) per T > Tc , si hanno una radice reale e due complesse;
2) per T < Tc e P ≈ Pc , tutte le radici sono reali (vedi figura 1.7 e sua discussione);
3) per T = Tc , si ha una sola radice triplamente degenere.
Il caso 3) ci permette di scrivere l’equazione (1.14) nella forma (V̄ − V̄c )3 = 0, ossia:
V̄ 3 − 3V̄c V̄ 2 + 3V̄c2 V̄ − V̄c3 = 0
(1.17)
Confrontando questa equazione con la (1.14) al punto critico, si ha:
3V̄c = b +
RTc
,
Pc
(1.18)
3V̄c2 =
a
,
Pc
(1.19)
V̄c3 =
ab
.
Pc
(1.20)
Eliminando Pc tra le equazioni (1.19) e (1.20) si ottiene
V̄c = 3b
(1.21)
che sostituito nella (1.20) dà l’espressione di Pc
Pc =
a
.
27b2
(1.22)
Infine, sostituendo la (1.21) e la (1.22) nella (1.18) si ha
Tc =
8a
.
27bR
(1.23)
Abbiamo cosı̀ ottenuto V̄c , Pc , Tc in termini di a e b.
I valori delle costanti critiche dei parametri A e B dell’equazione di Redlich-Kwong possono essere determinati
in modo analogo.
Se a questo punto calcolassimo il rapporto Pc V̄c /RTc a partire dalle espressioni ottenute per le variabili termodinamiche critiche secondo van der Waals, Redlich-Kwong e Peng-Robinson otterremmo dei valori pressoché
costanti. Questo è un esempio della legge degli stati corrispondenti per cui le proprietà di tutti i gas sono uguali
se confrontate nel punto critico. Questo argomento verrà ripreso e approfondito nel paragrafo seguente.
10
1.5
La legge degli stati corrispondenti
Riscriviamo l’equazione di van der Waals (1.10) nella forma
a P + 2 V̄ − b = RT
V̄
(1.24)
e in essa sostituiamo l’espessione di a che si ottiene dalla (1.19) e l’espressione di b che si ottiene dalla (1.21):
P+
1 3Pc V̄c2 V̄
−
V̄c = RT
3
V̄ 2
(1.25)
Dividiamo ambo i membri per Pc V̄c , nella forma
h 1 1 i 1 3Pc V̄c2 ih 1 RT
V̄c =
V̄
−
P+
Pc
3
Pc V̄c
V̄ 2
V̄c
e otteniamo
P
+
Pc
(1.26)
3Pc V̄c2 V̄
RT
1 V̄c =
−
2
3 V̄c
V̄ Pc
V̄c
Pc V̄c
(1.27)
RT
3V̄c2 V̄
1
=
−
2
3
Pc V̄c
V̄
V̄c
(1.28)
Semplificando si ha che
P
Pc
A secondo membro cerchiamo
+
27bR 3
Pc V̄c
1 a =
(3b)
=
2
RTc
R 27b
8a
8
(1.29)
che ci permette di scrivere la (1.28) come
P
Pc
+
1 8 T
3V̄c2 V̄
−
=
3
3 Tc
V̄ 2
V̄c
(1.30)
Introduciamo ora le seguenti quantità ridotte (adimensionali): PR = P/Pc , V̄R = V̄ /V̄c e TR = T /Tc che ci
permettono di scrivere la (1.30) nella forma
1 8
3 PR + 2 V̄R2 −
= TR
(1.31)
3
3
V̄R
L’ultima equazione è particolarmente importante perché vale per tutti i gas: essa infatti non contiene alcuna
quantità caratteristica di un gas in particolare. Essa afferma che, per esempio, il valore di PR è lo stesso per
tutti i gas che si trovano agli stessi valori di TR e di V̄R . L’equazione (1.31) è la legge degli stati corrispondenti
ottenuta a partire dall’equazione di van der Waals: secondo questa legge (cioè usando variabili ridotte), tutti i
gas messi a confronto nelle condizioni corrispondenti, si comportano allo stesso modo perché ubbidiscono alla
(1.31). In altre parole, la (1.31) è una legge universale che vale per tutti i gas.
Come esempio, consideriamo CO2 (g) e N2 (g) per V̄R =20 e TR =1.5. Sostituendo questi valori nella (1.31), si ha
che PR =0.196. Usando i valori sperimentali delle costanti critiche (Tc =304.1 K, Pc =73.8 bar, V̄c =0.094 L·mol−1
e Tc =126.2 K, Pc =34.0 bar, V̄c =0.090 L·mol−1 ) per CO2 (g) e N2 (g) rispettivamente, si ha che PCO2 =14.5 bar,
V̄CO2 =1.9 L·mol−1 e TCO2 =456 K e che PN2 =6.66 bar, V̄N2 =1.8 L·mol−1 e TN2 =189 K. Si dice quindi che questi
due gas si trovano in stati corrispondenti (hanno cioè gli stessi valori di PR se si fissano gli stessi valori di VR e TR ).
Il fattore di compressibilità Z associato con l’equazione di van der Waals obbedisce anch’esso alla legge degli
stati corrispondenti. Per dimostrare che ciò è vero, consideriamo la (1.11) e sostituiamo la (1.19) per a e la
(1.21) per b per ottenere:
V̄
3Pc V̄c2
P V̄
=
−
(1.32)
Z=
1
RT
RT V̄
V̄ − 3 V̄c
Dalla (1.29) si ha che
Pc V̄c =
11
3
RTc
8
(1.33)
quindi
Z=
V̄
3 3RTcV̄c
−
1
8 RT V̄
V̄ − 3 V̄c
(1.34)
che semplificata e dopo avere introdotto le variabili ridotte dà luogo a
Z=
V̄R
V̄R −
1
3
−
9
8V̄R TR
(1.35)
Quest’ultima equazione esprime Z come una funzione universale di V̄R e TR , oppure di ogni altra coppia di
quantità ridotte, come PR e TR . È interessante notare che sebbene la (1.34) sia stata ottenuta da un’equazione
di stato approssimata, essa vale per una grande varietà di gas. In figura 1.8 sono riportati i valori sperimentali di
Z in funzione di PR per diversi valori di TR per 10 diversi gas. I dati per tutti i 10 gas considerati si dispongono
sulle stesse curve a verifica sperimentale della legge degli stati corrispondenti.
Figura 1.8: Illustrazione della legge degli stati corrispondenti. Il fattore di compressibilità Z è riportato in funzione della pressione ridotta PR , per ognugno dei 10 gas indicati. Ogni curva rappresenta una certa temperatura
ridotta TR . Notare che, avendo utilizzato quantità ridotte, per una data TR , tutti i 10 gas si dispongono sulla
stessa curva.
12
1.6
Il secondo coefficiente del viriale
L’equazione di stato che possiede il fondamento teorico più corretto è l’equazione di stato del viriale che esprime
il fattore di compressibilità come una serie (che si può dimostrare essere convergente) in V̄ :
Z=
P V̄
B2V (T ) B3V (T )
=1+
+
+ ...
RT
V̄
V̄ 2
(1.36)
I coefficienti di questa espressione sono funzioni della temperatura e vengono chiamati coefficienti del viriale; in
particolare: B2V (T ) è detto secondo coefficiente del viriale, B3V (T ) terzo coefficiente del viriale, ecc.
Il fattore di compressibilità può essere anche espresso come una serie di potenze in P :
Z=
P V̄
= 1 + B2P (T )P + B3P (T )P 2 + ...
RT
(1.37)
Notiamo che nelle due equazioni precendenti, Z → 1 per V̄ → ∞ o per P → 0, rispettivamente. I coefficienti
del viriale B2V (T ) e B2P (T ) sono legati dalla relazione:
B2V (T ) = RT B2P (T )
(1.38)
Il secondo coefficiente del viriale è il più importante tra i coefficienti dello sviluppo perché descrive la prima
deviazione dal comportamento ideale all’aumentare della pressione del gas (o al diminuire del volume). Per
questo motivo esso è anche il coefficiente del viriale più facilmente misurabile. Secondo la (1.37), B2P (T ) può
essere determinato sperimentalmente a partire dalla pendenza del grafico di Z in funzione di P , come illustrato
in figura 1.9 quando i termini non lineari sono trascurabili (si noti la scala delle pressioni nella figura 1.9).
Figura 1.9: Grafico di Z in funzione di P a basse pressioni per NH3 (g) a diverse temperature. Le pendenze
delle curve sono uguali a B2V (T )/RT secondo le equazioni riportate nel testo.
L’andamento di B2V (T ) è invece riportato in figura 1.10 in funzione della temperatura per elio, metano, azoto
e biossido di carbonio. Notiamo che B2V (T ) è negativo a basse temperature, aumenta con l’aumentare di T
passando attraverso un massimo poco pronunciato che in figura è visibile solo nel caso dell’elio. La temperatura
alla quale B2V (T ) = 0 è detta temperatura di Boyle. A questa temperatura, le interazioni intermolecolari
attrattive e repulsive si annullano a vicenda e il gas sembra comportarsi idealmente (i contributi dei coefficienti
del viriale di ordine superiore vengono trascurati).
13
Figura 1.10: Il secondo coefficiente del viriale B2V (T ) di alcuni gas riportato in funzione della temperatura.
Esso è negativo a basse temperature e cresce al crescere della temperatura fino a raggiungere un massimo poco
pronunciato e in questo caso solo osservabile per l’elio.
Le equazioni (1.36) e (1.37) vengono usate per riassumere i dati sperimentali P − V − T , ma permettono anche
di ricavare relazioni esatte tra i coefficienti del viriale (grandezze macroscopiche) e le interazioni intermolecolari
(grandezze microscopiche). Consideriamo due molecole interagenti come quelle in figura 1.11.
Figura 1.11: Due molecole lineari interagenti. In generale, l’interazione intermolecolare dipende dalla distanza
r tra i centri e dalle orientazioni (θ1 , θ2 , φ).
La loro interazione dipende dalla distanza tra i centri r e dal loro orientamento che andrà parzialmente mediato
dal momento che le molecole sono in rotazione: assumiamo quindi che l’interazione dipenda solo da r. Questa
approssimazione è ragionevolmente valida per molte molecole in particolare per quelle poco polari. Se due
molecole a distanza r l’una dall’altra hanno energia potenziale u, la relazione che lega tale potenziale al secondo
coefficiente del viriale è la seguente:
Z ∞ h u(r)
i
−
(1.39)
e kB T − 1 r2 dr
B2V (T ) = −2πNA
0
14
dove NA è la costante di Avogadro e kB è la costante di Boltzman (kB = R/NA ). Notiamo che B2V (T ) = 0
quando u(r) = 0, ossia se non ci sono interazioni molecolari, il gas si comporta in modo ideale.
Dalla (1.39) si ha che dato il potenziale u(r), è possibile calcolare facilmente B2V (T ) come funzione della
temperatura o viceversa. Grazie alla teoria delle perturbazioni, è possibile dimostrare che
u(r) → −
c6
r6
(1.40)
per r → ∞. Nella (1.40) c6 è una costante il cui valore dipende dalle molecole interagenti. Il segno meno
indica che le molecole si attraggono reciprocamente. Attraendosi, le sostanze condensano (a temperatura sufficientemente basse). Per piccole distanze non si ha un’espressione esatta della (1.40) ma certamente essa dovrà
assumere una forma che rispecchi la repulsione che si ha quando due molecole sono molto vicine. Di solito per
piccoli valori di r, si assume che:
cn
u(r) → − n
(1.41)
r
dove n è un intero che spesso si assume uguale a 12 e cn è ancora una costante molecole-dipendente.
Figura 1.12: Forma generica del potenziale intermolecolare u(r), funzione della distanza tra i centri delle molecole
r. La figura illustra i due parametri caratteristici di tutti i potenziali: il diametro molecolare σ e la profondità
della buca di potenziale ǫ.
15
1.7
Il potenziale di Lennard-Jones
Un potenziale intermolecolare che comprenda l’andamento a lungo raggio (attrattivo) dell’equazione (1.40) e
l’andamento a corto raggio (repulsivo) dell’equazione (1.41) è semplicemente la somma delle due. Se consideriamo n = 12, si ha
h σ 12 σ 6 i
u(r) = 4ǫ
(1.42)
−
r
r
dove c12 = 4ǫσ 12 e c6 = 4ǫσ 6 . La (1.42) rappresenta il potenziale di Lennard-Jones riportato in figura 1.13
Figura 1.13: Grafico del potenziale di Lennard-Jones (equazione (1.42)). Notare che la profondità della buca di
potenziale è ǫ e u(r) = 0 in r/σ = 1.
I due parametri che compaiono nel potenziale di Lennard-Jones hanno la seguente interpretazione fisica: ǫ è la
profondità della buca di potenziale e σ è la distanza alla quale si ha u(r) = 0. ǫ è quindi la misura dell’intensità
con la quale le molecole si attraggono, mentre σ è la misura della dimensione delle molecole.
Sostituendo il potenziale di Lennard-Jones nella (1.39) si ha
Z ∞h
i
n
4ǫ h σ 12 σ 6 io
− 1 r2 dr
−
B2V (T ) = −2πNA
exp −
kB T r
r
0
(1.43)
che può essere semplificata definendo una temperatura ridotta T ∗ = kB T /ǫ e ponendo r/σ = x per ottenere
Z ∞h
n
o
i
4
exp − ∗ (x−12 − x−6 ) − 1 x2 dx
B2V (T ∗ ) = −2πσ 3 NA
(1.44)
T
0
Dividendo ambi i membri per 2πσ 3 NA /3 si ottiene
Z ∞h
n
o
i
4
∗
∗
exp − ∗ (x−12 − x−6 ) − 1 x2 dx
B2V (T ) = −3
T
0
dove
∗
B2V
(T ∗ ) =
B2V (T ∗ )
2πσ3 NA
3
(1.45)
(1.46)
∗
La (1.45) mostra che il secondo coefficiente del viriale ridotto, B2V
(T ∗ ), dipende soltanto dalla temperatura
∗
ridotta T . L’integrale che compare nella (1.45) deve essere calcolato numericamente per ogni valore di T ∗ .
16
La (1.45) è un altro esempio della legge degli stati corrispondenti. Se si prendono i valori sperimentali di B2V (T ),
li si divide per 2πσ 3 NA /3 e li si riporta in funzione di T ∗ = kB T /ǫ, si avrà che gli andamenti per gas diversi
saranno gli stessi. La figura 1.14 mostra il grafico per sei gas. Viceversa, un grafico come quello in figura 1.14
può essere usato per calcolare B2V (T ) per qualsiasi gas.
∗
Figura 1.14: Grafico del secondo coefficiente del viriale ridotto B2V
(T ∗ ) (linea continua) in funzione della
∗
temperatura ridotta T = kB T /ǫ. Sono riportati anche i dati sperimentali appartenenti a sei gas (argon, azoto,
ossigeno, biossido di carbonio ed esafluoruro di zolfo). Questo grafico è un’altra illustrazione della legge degli
stati corrispondenti.
Il valore di B2V (T ) possiede una semplice interpretazione. Consideriamo la (1.37) nelle condizioni in cui si
possono ignorare i termini in P 2 e superiori, ossia
P V̄
B2V (T )
= 1 + B2P (T )P = 1 +
P
RT
RT
(1.47)
Moltiplicando per RT /P e utilizzando V̄ = RT /P si può riscrivere la (1.47) come
V̄ = V̄ideale + B2V (T )
(1.48)
B2V (T ) = V̄ − V̄ideale
(1.49)
ossia
B2V (T ) quindi rappresenta la differenza tra il valore reale di V̄ e il suo valore nel caso ideale a pressioni tali che
il contributo del terzo coefficiente dei viriale possa essere trascurato.
Nonostante la nostra discussione sia stata condotta calcolando B2V (T ) in termini del potenziale di LennardJones, nella pratica le cose avvengono in senso opposto, ossia i parametri di Lennard-Jones vengono solitamente
∗
calcolati a partire dai valori sperimentali di B2V (T ) usando le tavole di B2V
(T ∗ ). Il secondo coefficiente del
viriale rispecchia le deviazioni iniziali dal comportamento ideale che sono provocate dalle interazioni intermolecolari. Quindi i dati sperimentali P − V − T sono una ricca sorgente di informazioni riguardanti le interazioni
intermolecolari. Una volta determinati i parametri di Lennard-Jones, essi possono essere utilizzati per calcolare
molte altre proprietà dei fluidi come la viscosità, la conducibilità termica, il calore di vaporizzazione e varie
proprietà cristallografiche.
17
1.8
Le forze di dispersione di London
Nel paragrafo precedente, si è usato il potenziale di Lennard-Jones (equazione (1.42)) per rappresentare il potenziale intermolecolare che agisce tra le molecole. Il termine r−12 tiene conto della repulsione a corta distanza
mentre il termine r−6 tiene conto dell’attrazione a grande distanza. La vera forma del termine repulsivo non
è ben determinata; lo è invece la dipendenza r−6 del termine attrattivo. In questo paragrafo verranno discussi
tre contributi al termine di attrazione r−6 e verranno confrontate le loro importanze relative.
L’interazione tra due molecole dipolari con momenti di dipolo µ1 e µ2 dipenderà da come questi dipoli sono
orientati l’uno rispetto all’altro. L’energia varierà da repulsiva, quando sono orientati “testa a testa” come
mostrato in figura 1.15a ed attrattiva, quando sono orientati “testa a coda” come in figura 1.15b.
Figura 1.15: Due dipoli permanenti orientati (a) “testa a testa” e (b) “testa a coda”. L’orientazione “testa a
coda” è energeticamente favorita. (c) Una molecola con un momento di dipolo permanente indurrà un momento
di dipolo di una molecola vicina. (d) La correlazione istantanea dipolo-dipolo qui illustrata è ciò che porta ad
una attrazione di London tra tutti gli atomi e le molecole.
In fase gassosa, entrambe le molecole ruotano, e facendo la media di entrambi i dipoli casualmente orientati, le
interazioni dipolo-dipolo risulterebbero nulle. Tuttavia, dal momento che le diverse orientazioni hanno energie
diverse, esse non sono equiprobabili. L’orientazione di bassa energia “testa a coda” è ovviamente quella favorita
rispetto all’orientazione repulsiva “testa a testa”. Tenendo conto delle diverse configurazioni, si ha che la media
complessiva dell’interazione tra le due molecole dà luogo ad un termine attrattivo r−6 della forma
ud−d(r) = −
1
2µ21 µ22
(4πǫ0 )2 (3kB T ) r6
(1.50)
Questo quando entrambe le molecole hanno un momento di dipolo permanente.
Nel caso in cui una molecola non possegga un momento di dipolo permanente, essa avrà un momento di dipolo
indotto dall’altra. Ciò è possibile perché tutti gli atomi e le molecole sono polarizzabili. Infatti, quando un
atomo o una molecola interagisce con il campo elettrico creato da un’altra molecola, gli elettroni (negativi)
vengono spostati in una direzione e i nuclei (positivi) si spostano nella direzione opposta (vedi figura 1.15c).
Questa separazione di carica, che genera un momento di dipolo, è proporzionale all’intensità del campo elettrico.
Se indichiamo con µindotto il momento di dipolo indotto e con E il campo elettrico, si ha che µindotto ∝ E. La
costante di proporzionalità, che denominiamo α, è detta polarizzabilità. Si ha quindi che
µindotto = αE
Le unità del campo elettrico E sono V·m−1 quindi le unità di α nella (1.51) sono
C·m
= C · m2 · V−1
V · m−1
18
(1.51)
dove C=coulomb e V=volt. Si ha quindi che il momento di dipolo è misurato in C·m. Sapendo che
energia =
in unità SI si ha
joule ∼
(carica)2
4πǫ0 (distanza)
C2 m−1
C2
=
(4πǫ0 )m
4πǫ0
Allo stesso modo, dall’elettrostatica si ha che
joule = coulomb × volt = C · V
Uguagliando queste due espressioni e semplificando rispetto ai joule si ottiene
C·V =
C2 m−1
→ C · V−1 = (4πǫ0 )m
4πǫ0
che sostituita nelle unità di α dà:
α ∼ (4πǫ0 )m3
da cui si ha che la quantità α/(4πǫ0 ), a cui ci si riferisce come al volume di polarizzabilità, ha le unità di una
(distanza)3 . Più facilmente il campo elettrico riesce a deformare la distribuzione atomica o molecolare, maggiore
è la polarizzabilità. La polarizzabilità di un atomo o di una molecola è proporzionale alle sue dimensioni e al
numero dei suoi elettroni.
Torniamo ora all’interazione di momento di dipolo indotto illustrata in figura 1.15c. Visto che il momento
di dipolo indotto si trova sempre nell’orientazione “testa a coda” rispetto al momento di dipolo permanente,
l’interazione è sempre attrattiva ed è data da
µindotto (r) = −
µ21 α2
µ22 α1
−
2
6
(4πǫ0 ) r
(4πǫ0 )2 r6
(1.52)
dove il primo termine rappresenta un momento di dipolo permanente nella molecola 1 ed un momento di dipolo
indotto nella molecola 2, mentre il secondo rappresenta la situazione opposta.
La (1.50) e la (1.52) sono nulle quando nessuna delle molecole possiede un momento di dipolo permanente.
Il terzo contributo al termine r−6 del potenziale di Lennard-Jones (1.42) è non nullo anche se entrambe le
molecole non sono polari. Questo contributo fu calcolato per la prima volta nel 1930 dallo scienziato tedesco
Fritz London e viene detto attrazione di dispersione di London. Nonostante questa attrazione sia un fenomeno
quantomeccanico, essa può essere interpretata in modo classico come segue. Consideriamo due atomi che si
trovano a distanza r (vedi figura 1.15d). Gli elettroni appartenenti ad un atomo non schermano completamente
la forte carica positiva del nucleo dagli elettroni dell’altro atomo. Dal momento che la molecola è polarizzabile,
la funzione d’onda elettronica si può modificare per abbassare ulteriormente l’energia di interazione. Facendo
la media quantistica di questa attrazione elettronica, si ottiene un termine attrattivo che si comporta come r−6 .
Una forma approssimata del risultato finale è
3 I1 I2 α1 α2 1
(1.53)
µdisp (r) = −
2 I1 + I2 (4πǫ0 )2 r6
dove Ij è l’energia di ionizzazione dell’atomo o della molecola j. Notiamo che la (1.53) non contiene un momento
di dipolo permanente e che l’energia di interazione è proporzionale al prodotto dei volumi di polarizzabilità.
Quindi, il peso di µdisp (r) aumenta con la dimensione del sistema e per questo è spesso il contributo dominante
al termine r−6 del potenziale di Lennard-Jones (1.42).
Per concludere, il contributo totale al termine r−6 del potenziale di Lennard-Jones (1.42) è dato dalle equazioni
(1.50), (1.52) e (1.53), quindi:
3 Iα2
2αµ2
2µ4
+
(1.54)
+
c6 =
2
2
3(4πǫ0 ) kB T
(4πǫ0 )
4 (4πǫ0 )2
per atomi o molecole identici.
19
1.9
Il secondo coefficiente del viriale: alcuni casi particolari
Nonostante il potenziale di Lennard-Jones sia abbastanza realistico, esso è difficile da utilizzare. Infatti, il
secondo coefficiente del viriale deve essere calcolato numericamente. Per questo motivo, per stimare le proprietà
dei gas si usano spesso potenziali intermolecolari che possono essere calcolati analiticamente. Il più semplice di
questi potenziali è il cosiddetto potenziale di sfera rigida (vedi figura 1.16a) che ha forma matematica
∞ per r < σ
u(r) =
(1.55)
0 per r > σ
Figura 1.16: (a) Illustrazione schematica di un potenziale di sfera rigida e (b) di un potenziale di buca quadrata.
Il parametro σ è il diametro delle molecole, ǫ è la profondità della buca attrattiva e (λ − 1)σ è la larghezza della
buca.
La (1.55) rappresenta sfere rigide di diametro σ e descrive la regione repulsiva con un andamento infinitamente
ripido piuttosto che come r−12 . Notiamo anche come questo potenziale tenga conto della dimensione finita delle
molecole, caratteristica fondamentale nella determinazione della struttura dei liquidi e dei solidi ma manchi
di un termine attrattivo. Ad alte temperature (rispetto al termine ǫ/kB ), le molecole si muovono con energia
sufficiente affinché il potenziale attrattivo sia trascurabile.
Nel caso del potenziale a sfera rigida, è facile calcolare il secondo coefficiente del viriale. Sostituendo la (1.55)
nella (1.39) si ha
Z ∞ h u(r)
i
−
B2V (T ) = −2πNA
e kB T − 1 r2 dr
0
σ
2πσ 3 NA
(1.56)
3
0
σ
che è uguale a quattro volte il volume di NA sfere dal momento che σ è il diametro delle sfere. Si ha quindi che
il secondo coefficiente del viriale calcolato per il potenziale a sfera rigida non dipende dalla temperatura.
= −2πNA
Z
2
[0 − 1]r dr − 2πNA
Z
∞
[e0 − 1]r2 dr =
Un altro semplice potenziale spesso utilizzato è il potenziale di buca quadrata (vedi figura 1.16b):

 ∞ per r < σ
−ǫ per σ < r < λσ
u(r) =

0
per r > λσ
(1.57)
Il parametro ǫ è la profondità della buca e (λ−1)σ è la sua larghezza. Questa potenziale dà luogo ad una regione
attrattiva, sebbene grossolana. Nel caso del potenziale a buca quadrata, il secondo coefficiente del viriale può
essere calcolato analiticamente:
Z σ
Z λσ
Z ∞
B2V (T ) = −2πNA
[0 − 1]r2 dr − 2πNA
[eǫ/kB T − 1]r2 dr − 2πNA
[e0 − 1]r2 dr
0
σ
20
λσ
2πσ 3 NA
2πσ 3 NA 3
2πσ 3 NA
−
(λ − 1)(eǫ/kB T − 1) =
[1 − (λ3 − 1)(eǫ/kB T − 1)]
(1.58)
3
3
3
che si riduce alla (1.56) quando λ = 1 oppure ǫ = 0, non essendoci buca attrattiva in entrambi i casi. La figura
1.17 illustra l’equazione (1.58) confrontata con i dati sperimentali per l’azoto, mostra la bontà dell’accordo.
=
Figura 1.17: Una verifica del secondo coefficiente del viriale calcolato con il potenziale di buca quadrata per
l’azoto (linea continua). I cerchi rappresentano i dati sperimentali.
Per concludere questo capitolo, ci occuperemo del secondo coefficiente del viriale per le tre equazioni cubiche
che abbiamo introdotto in precedenza. Riscriviamo l’equazione di van der Waals nella forma
P =
a
RT
1
RT
a
− 2 =
− 2
V̄ − b V̄
V̄ (1 − b/V̄ ) V̄
(1.59)
Ponendo x = b/V̄ , usiamo lo sviluppo binomiale
1
= 1 + x + x2 + ...
1−x
(1.60)
per scrivere la (1.59) come
P =
i
b
b2
a
RT
1
RT b2
RT h
1 + + 2 + ... − 2 =
+ (RT b − a) 2 +
+ ...
V̄
V̄
V̄
V̄
V̄
V̄
V̄ 3
(1.61)
ossia
P V̄
a 1
b2
=1+ b−
+ 2 + ...
RT
RT V̄
V̄
Se confrontiamo questo risultato con la (1.36) si ha
Z=
B2V (T ) = b −
a
RT
(1.63)
per l’equazione di van der Waals.
Riprendiamo ora l’equazione (1.39)
B2V (T ) = −2πNA
Z
∞
0
21
h
e
u(r)
BT
−k
(1.62)
i
− 1 r2 dr
e da essa ricaviamo un risultato simile alla (1.63). I parametri a e b verranno interpretati in termini dei parametri
molecolari. Sostituiamo il seguente potenziale intermolecolare
∞
per r < σ
(1.64)
u(r) =
− rc66 per r > σ
che è un ibrido tra il potenziale a sfera rigida e il potenziale di Lennard-Jones, nella (1.39) e otteniamo
Z σ
Z ∞ h c6
i
e kB T r6 − 1 r2 dr
B2V (T ) = −2πNA
(1.65)
(−1)r2 dr − 2πNA
σ
0
Nel secondo integrale, assumiamo che c6 /kB T r6 ≪ 1 ed usiamo lo sviluppo per ex
ex = 1 + x +
x2
+ ...
2!
(1.66)
fermandoci al prim’ordine per ottenere
B2V (T ) =
2πσ 3 NA
2πNA c6
−
3
kB T
Z
∞
σ
2πσ 3 NA
2πNA c6
r2 dr
=
−
6
r
3
3kB T σ 3
(1.67)
Confrontando questa equazione con la (1.63) e ricordando che kB = R/NA si ha che
a=
2πNA2 c6
3σ 3
b=
2πσ 3 NA
3
Si ha quindi che a è direttamente proporzionale a c6 che è il coefficiente di r−6 nel potenziale intermolecolare
attrattivo, e che b è uguale al quadruplo del volume delle molecole. Da un punto di vista molecolare, l’equazione
di van der Waals si basa su un potenziale intermolecolare che a piccole distanze si comporta come un potenziale
di sfera rigida e a grandi distanze ha le caratteristiche di un potenziale debolmente attrattivo, ossia tale che
c6 /kB T r6 ≪ 1.
In maniera analoga si possono ottenere il secondo coefficiente del viriale per l’equazione di Redlich-Kwong
B2V (T ) = B −
A
RT 3/2
e per l’equazione di Peng-Robinson
(1.68)
α
(1.69)
RT
Quest’ultimo ha la stessa forma funzionale del secondo coefficiente del viriale ottenuto per l’equazione di van der
Waals, ma ha ovviamente valori numerici diversi perché i valori delle costanti sono diversi. Inoltre, il parametro
α è una funzione della temperatura.
B2V (T ) = β −
22
1.10
Esercizi svolti
1.10.1
Esercizio 1.1
Un gas ideale subisce una compressione a T costante che ne riduce il volume di 2.20 dm3 . La pressione e il
volume finali del gas sono rispettivamente 3.78·103 Torr e 4.65 dm3 .
Calcolate la pressione iniziale del gas (a) in Torr, (b) in atm.
Soluzione
a) Applichiamo l’equazione di stato dei gas ideali P V = nRT .
Dato che n e T sono costanti e R è una costante allora P V = cost. (Legge di Boyle).
Quindi vale Pi Vi = Pf Vf da cui:
Pi (Torr) =
3.78 · 103 Torr · 4.65 dm3
Pf Vf
=
= 2.56 · 103 Torr
Vi
6.85 dm3
b) Poichè 760 Torr equivalgono ad un’atmosfera, si può convertire la pressione da Torr ad atm:
Pi (atm) =
1.10.2
1 atm · 2560 Torr
= 3.37 atm
760 Torr
Esercizio 1.2
Un recipiente del volume di 1.0 L contiene 131 g di Xe alla temperatura di 25◦ C.
Calcolare la pressione del gas nell’ipotesi che si comporti (a) come un gas perfetto (b) come un gas di van der
Waals. Si assuma per lo xenon: a=4.194 dm6 ·atm·mol−2 e b=5.105·10−2 dm3 ·mol−1 .
Soluzione
a) Convertiamo per prima cosa i grammi in moli. Si ha che
nXe =
131 g
= 1.0 mol
131 g · mol−1
Per la legge dei gas ideali, vale P V = nRT . Quindi
P (atm) =
1.0 mol · 0.082058 dm3 · atm · mol−1 · K−1 · 298 K
= 24 atm
1.0 dm3
b) L’equazion di van der Waals è:
P =
an2
nRT
− 2
V − nb
V
Quindi:
P
=
1.0 mol · 0.082058 dm3 · atm · mol−1 · K−1 · 298 K
1.0 dm3 − (1.0 mol · 5.105 · 10−2 dm3 · mol−1
4.194 dm6 · atm · mol−2 · (1.0)2 mol2
(1.0)2 dm6
22 atm
−
=
23
(1.70)
(1.71)
(1.72)
1.10.3
Esercizio 1.3
Dimostrare che il minimo del potenziale di Lennard-Jones si trova in rmin = 21/6 σ = 1.12σ. Calcolare u(r) in
rmin .
Soluzione
Per trovare rmin , deriviamo l’equazione (1.42):
h 12σ 12
du
6σ 6 i
= 4ǫ − 13 + 7 = 0
dr
r
r
6
che dà rmin
= 2σ 6 , ossia rmin = 21/6 σ. Quindi,
u(rmin ) = 4ǫ
h
σ
21/6 σ
12
−
σ
21/6 σ
6 i
= 4ǫ
1
4
−
1
= −ǫ
2
ǫ è la profondità della buca di potenziale, relativamente al valore che si ha ad una distanza infinita.
1.10.4
Esercizio 1.4
A 300 K e a 20 atm di pressione il fattore di compressibilità di un certo gas risulta di 0.86. Calcolare (a) il volume di 8.2 mmol del gas ai suddetti valori di T e P, (b) il valore approssimato del secondo coefficiente del viriale.
Soluzione
Z si può esprimere, usando l’equazione di stato del viriale, come
Z=
P Vm
B2V (T ) B3V (T )
+
=1+
+ ...
RT
Vm
Vm2
(1.73)
Quindi, trascurando il termine in B3V (T )
Vm =
0.86 · 0.082058 dm3 · atm · mol−1 · K−1 · 300 K
ZRT
=
= 1.059 dm3 · mol−1
P
20atm
a)
V = nVm = 8.2 · 10−3 mol · 1.059 dm3 · mol−1 = 8.7 · 10−3 dm3
b) Troncando l’espansione del viriale al secondo termine si può riscrivere la (1.73) come
P Vm
− 1 = Vm (Z − 1)
B2V = Vm
RT
= 1.059 dm3 · mol−1 · (0.86 − 1) = −0.15 dm3 · mol−1
24
(1.74)
(1.75)
1.10.5
Esercizio 1.5
Un campione di argon di volume molare 17.2 L·mol−1 viene mantenuto a 10.0 atm e 280 K. A che volume
molare, pressione e temperatura si troverebbe in uno stato corrispondente un campione di azoto?
Si usino i dati seguenti:
Ar
N2
Pc (atm)
48.0
33.5
Vc (cm3 ·mol−1 )
75.3
90.1
Tc (K)
150.7
126.3
Soluzione
Ricordando che Pr = P/Pc , Vr = Vm /Vc e Tr = T /Tc e usando i dati sulle costanti critiche dell’argon calcoliamo
le sue variabili ridotte
17.2 dm3 · mol−1
Vr =
= 228.4
0.0753 dm3 · mol−1
10.0 atm
= 0.2083
Pr =
48.0 atm
280 K
= 1.858
Tr =
150.7 K
Poi si usano le costanti critiche dell’azoto per trovare i valori di volume, pressione e temperatura che corrispondo
alle variabili ridotte dell’argon
Vm = 228.4 · 0.0901 dm3 · mol−1 = 20.6dm3 · mol−1
P = 0.2083 · 33.5 atm = 6.98atm
T = 1.858 · 126.3 K = 235 K
25
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