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Rivista dell`istruzione
Sommario
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il punto
Valutare e (è) assegnare valore..................................................................................6
di Franco De Anna
Dossier: “Nasce il sistema nazionale di valutazione’”
La valutazione come responsabilità pubblica........................................................11
di Franco De Anna
Autovalutazione vs burocrazia? Un percorso verso la qualità ............................16
di Paolo Senni Guidotti Magnani, Nerino Arcangeli, Sheila Bombardi
Focus: “L’autovalutazione in tre mosse”
Indicatori: una certa idea di scuola.........................................................................21
di Mario Castoldi
Leggere e interpretare i dati raccolti.......................................................................26
di Mario Castoldi
Individuare le priorità strategiche...........................................................................31
di Mario Castoldi
Gli apprendimenti
Le prove Invalsi nell’autovalutazione .....................................................................37
di Aurelia Orlandoni
Valutare gli apprendimenti a scuola........................................................................43
di Silvana Mosca
Valutazione esterna
Valutazione esterna e peer review..........................................................................49
di Vito Infante
Il miglioramento
Le strategie per il miglioramento............................................................................54
di Dino Cristanini
Sostenere il miglioramento: la figura del consulente ...........................................59
di Massimo Faggioli
La rendicontazione pubblica
L’obbligo di pubblicazione del RAV.........................................................................65
di Angela Martini
Il dialogo tra scuola e società attraverso il bilancio sociale.................................72
di Fabrizio Ferrari
Professionalità
Il dirigente scolastico nel processo di autovalutazione........................................76
di Giorgio Cavadi
Il coordinatore dei processi di autovalutazione.....................................................81
di Tommaso Agasisti
Governance
Un percorso formativo..............................................................................................85
di Daria Giunti, Mario Maviglia, Mario Martini
Riflettere sui processi valutativi..............................................................................90
di Sebastiano Pulvirenti
4
Fare rete per l’autovalutazione................................................................................95
di Mirella Paglialunga
Saperi di cittadinanza
Si possono valutare le competenze di cittadinanza?............................................99
di Bruno Losito
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La cultura delle scuole
Educazione al patrimonio e al paesaggio.............................................................105
di Mario Calidoni
Strumenti e cultura della valutazione
La valutazione come processo cooperativo tra insegnanti................................110
di Enrica Dondero
Indicatori e descrittori per il Rapporto di Autovalutazione.................................115
Estratto dal Documento Miur-Invalsi
Letti per voi
“Non dobbiamo tacere”..........................................................................................119
di Cinzia Mion
La scuola come avventura pedagogica................................................................120
di Maurizio Muraglia
Osservatorio giuridico
Servizi educativi: tipologie di gestione.................................................................122
di Loredana Bondi
Dal palazzo...
Standard minimi per l’orientamento nel sistema scolastico..............................127
di Flavia Marostica
Immagini
Io amo i beni culturali.............................................................................................133
di Valentina Galloni
Hanno collaborato
Tommaso Agasisti
Nerino Arcangeli
Sheila Bombardi
Loredana Bondi
Mario Calidoni
Mario Castoldi
Giorgio Cavadi
Dino Cristanini
Franco De Anna
Enrica Dondero
Massimo Faggioli
Fabrizio Ferrari
Valentina Galloni
Daria Giunti
Vito Infante
Bruno Losito
Flavia Marostica
Angela Martini
Le immagini di questo numero di Rivista dell’istruzione sono tratte dalla pubblicazione: “Io
amo i beni culturali. Concorso di idee per la valorizzazione dei beni culturali. I progetti vincitori
della terza edizione. A.s. 2013-14”. Il concorso è promosso da IBC - Istituto per i beni culturali
e dall’Assessorato scuola, formazione professionale, università e ricerca, lavoro della Regione
Emilia-Romagna. Nel contributo di Valentina Galloni in questo numero sono illustrate le caratteristiche del concorso per le scuole.
Mario Martini
Mario Maviglia
Cinzia Mion
Silvana Mosca
Maurizio Muraglia
Prossimamente...
Aurelia Orlandoni
• Il curricolo verticale per competenze
Mirella Paglialunga
• Saperi, discipline, trasversalità
Sebastiano Pulvirenti
• Certificare le competenze, ma come?
Paolo Senni Guidotti Magnani
• Un liceo in 4 anni?
• Organico funzionale ed autonomia “vera”
• Costruire il portfolio professionale
5
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Valutare e (è)
assegnare valore
di Franco De Anna
Il punto
La valutazione come ricerca
La valutazione
(Misurare
ed elaborare
giudizi)
richiede
un continuo
affinamento
di strumenti
e di teorie
interpretative
6
Al di là del merito di singole questioni,
attendere di avere un ‘progetto perfetto’ sulla valutazione di sistema prima di
iniziarne la costruzione rischia di diventare solo un alibi politico-culturale.
Non è realismo politico o ‘impazienza’
riformatrice a ispirare tale atteggiamento, ma una più sostanziale considerazione della dimensione di ricerca che
non può che accompagnare ogni modello e ogni protocollo di valutazione.
Non ce ne sarà mai uno ‘perfetto’, e soprattutto all’inizio della sua storia.
Un aforisma molto diffuso nel mondo
dell’impresa recita, pressappoco, che
“non esiste cultura avanzata di impresa che non affermi la necessità di un sistema di valutazione (del personale, dei
processi, dei prodotti), ma non c’è impresa che sia pienamente soddisfatta
del modello che usa”. Dunque la dimensione di ricerca accompagna sempre l’impegno valutativo. Ci sono molte ragioni, ma una è essenziale: l’attività di valutazione implica sempre due
componenti: la misurazione e l’elaborazione del giudizio.
È del tutto evidente che si tratta di
componenti che non sono immobili e
definite una volta per tutte. Gli strumenti di misura vanno affinati in continuazione, come in ogni impresa scientifica, e il percorso inferenziale-diagnostico è naturaliter legato alla variabilità,
sia degli oggetti e dei fenomeni, sia delle teorie interpretative che consentono
di costruire la “inferenza alla migliore
spiegazione” (cfr. H. Putnam, J. Ritchie,
M. Ferraris et al. a scelta). Per completare il ragionamento: meglio strumenti
semplici e pensieri complessi; il contrario (strumenti sempre più complessi
e pensieri rudimentali) rende inefficace
ogni ipotesi valutativa.
Assumere come appropriata e inevitabile la dimensione di ricerca è un prerequisito per affrontare adeguatamen-
te il compito di ‘tradurre’ in realtà (tradurre è sempre un po’ tradire...) l’obiettivo di costruire un Sistema di valutazione nazionale (SNV) per il Sistema
educativo di istruzione e formazione del
nostro Paese; se non ad altro, è utile a
evitare i rischi di un ‘riduzionismo tecnico’ sempre in agguato. Valutare è
sempre ‘assegnare valore’; qualche cosa di più complesso del reperire dati, o
compilare un questionario, o un report
(pure necessari).
Esplorare l’intera matrice
valutativa
L’impresa che si sta avviando ha un
primo e fondamentale elemento di apprezzamento; rispetto a precedenti
approcci sperimentali che hanno interessato aspetti parziali (ipotesi di valutazione dei dirigenti scolastici, modelli valutativi e autovalutativi sviluppati in rete, protocolli di qualità, ecc.)
si esercita su una matrice completa:
rilevare i livelli di apprendimento, valutare le organizzazioni, valutare i dirigenti scolastici, valutare il personale,
individuando i presidii tecnico-scientifici e operativi e le responsabilità del
sistema.
La valutazione, quali che ne siano gli
oggetti, le metodologie, i protocolli, elabora sempre e necessariamente relazioni asimmetriche: è sempre portatrice di fantasmi, ansie, paure, tentativi di
fuga, rispetto a chi è valutato. Per contro anima le derive sadiche, pigmalioniche, punitive/risarcitorie o collusive,
per chi valuta: fantasmi capaci di disattivarne l’efficacia sia attraverso l’opposizione pregiudiziale, sia attraverso l’adattamento opportunistico (1).
Ogni protocollo valutativo deve avere
l’accortezza (la cura, la clinica) neces1)F. De Anna, L’aquila e il cavallo. Ovvero
la valutazione dei dirigenti, in
www.pavonerisorse.it, 2014.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
saria per impedire l’azione latente di tali fantasmi, togliendoli dall’ombra e portandoli alla luce del sole. Chi si accinge
a costruire un sistema di valutazione deve accortamente farsi carico di tale cura, rielaborando i fantasmi entro la costruzione e socializzazione di significati, almeno compresi, se non condivisi.
Tutti sono valutati
A livello di sistema un ingrediente per
promuovere l’accettabilità sociale e collettiva, se non il consenso, sulla valutazione è quello di esplorarne l’intera matrice: tutti sono valutati, e ciò impedisce,
o quanto meno aiuta a disinnescare, la
divisione tra vittime e carnefici.
Anche solo per tale motivo apprezzo il
tentativo che si articola a partire dal regolamento e attraverso la direttiva ministeriale e la successiva circolare, con
il panorama complesso che delinea:
- autovalutazione e miglioramento,
valutazione esterna, valutazione dei
dirigenti;
- dati, indicatori, report comparabili;
- protagonisti, responsabili tecnicoscientifici e operatori ‘sul campo’;
- tempistica serrata.
Certo si tratta di una condizione potenziale che va attuata nell’iniziativa politico-culturale capace di generalizzare
cultura valutativa, disponibilità tecnicoscientifica, assunzione della valutazione come attività ‘normale’ nell’organizzazione dei processi formativi. È un
processo di lunga lena, che investe non
solo adempimenti e scadenze, ma anche i modelli professionali, la cultura organizzativa delle scuole autonome, le
relazioni, le gerarchie di valori riconosciute e agite.
Va posta cura in tutto ciò, pena il rischio di annullare le condizioni di ‘accettabilità sociale’ della valutazione
provenienti dal modello nel quale ‘tutti
sono valutati’; ma l’efficacia di tale attenzione e cura sarà tanto più elevata
e pertinente, quanto più acuta e avvertita sarà la consapevolezza degli elementi critici irrisolti che accompagna-
no l’impegno della costruzione sistemica del SNV. Anzi l’azione politica, tecnico-scientifica, organizzativa, deve
nutrirsi di tale consapevolezza critica.
Il punto
Valutare le azioni di sistema
Rispetto al paradigma ‘tutti sono valutati’ uno di questi punti deboli che vorrei sottolineare è che la matrice della
valutazione è esplorata solo nella dimensione orizzontale.
Nell’itinerario inferenziale che, partendo dai dati, rielabora diagnosi, manca
l’esplorazione verticale della ‘politica
pubblica’ interpretata nel sistema di
istruzione. Uso qui il termine ‘politica
pubblica’ nel suo significato esteso (se
cedessi al vezzo anglosassone direi
policy, non politcs…).
Come si valuta una ‘politica pubblica’?
Indico cinque livelli di valutazione.
1. Valutazione dei bisogni ai quali una
politica pubblica deve rispondere.
2. Valutazione della teoria (interpretazione, priorità, individuazione degli
strumenti) che è sottesa al programma di politica pubblica.
3. Valutazione del processo e dell’implementazione del programma.
4. Valutazione dell’impatto e degli effetti.
5. Valutazione di efficienza nell’esecuzione del programma.
Si può ovviamente discutere sul carattere esaustivo di tale stratificazione, ma
l’elemento fondamentale è costituito dal
fatto che si tratta di livelli posti in gerarchia: il ‘movimento inferenziale’ che parte dai dati raccolti per ciascun livello
(che possiede una sua autonomia di ricerca e misurazione) conduce al livello
precedente, risalendo la piramide. In sostanza: la ‘spiegazione/valutazione’ per
ciascun livello diventa esauriente e interpretata se ci si riferisce al livello gerarchico immediatamente superiore.
Ci sono
le condizioni
sociali
e istituzionali
affinché
la valutazione
di sistema
sia assunta
come attività
‘normale’
nell’organizzazione
della scuola
Chi valuta i livelli alti?
È del tutto evidente che la matrice della valutazione che il regolamento SNV
7
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il punto
Si valuta
per decidere
meglio,
ma i ‘piani alti’
delle politiche
pubbliche
restano esclusi
quasi sempre
dal circuito
valutativo
8
propone, pur nella sua intenzione apprezzabile di completamento, esplora
e solo in parte i livelli 4 e 5 della matrice verticale, almeno per quanto del
protocollo è per ora definito.
I livelli di testa, quelli che danno significato conclusivo alla politica pubblica, rimangono esclusi da attività valutativa. E poiché si tratta dei livelli di più
elevata responsabilità di decisione e
gestione di essa, tale mancanza ha riflesso ‘a discendere’ nel validare i risultati valutativi dei livelli successivi.
Ciò ha effetti sia culturali (per esempio
influenzando il confronto sociale sulla
valutazione), sia scientifici, riducendo
la stessa significatività di alcune parti
del protocollo valutativo che si sta costruendo.
Vorrei fare solamente tre esempi che mi
consentono anche di chiarire che qui
non si tratta di giudizio politico, che ha
altre sedi e interpreti, ma di attività valutativa che, sotto il profilo tecnicoscientifico, non può non accompagna-
re la ricerca di ‘razionalità decisoria’,
pur entro l’autonomia delle scelte politiche, sulle quali, in ultima analisi, dovrebbero decidere gli elettori.
Questione 1: rapporto
valutazione/premialità
Il primo esempio riguarda il livello 2 (la
teoria che è posta alla base dell’interpretazione dei bisogni pubblici cui la
politica pubblica intende rispondere).
In questi anni si è ipotizzata e anche
interpretata sperimentalmente una
teoria di collegamento funzionale tra
valutazione, miglioramento e premialità economica, per quanto riguarda la
valutazione sia delle scuole (Vsq), sia
degli insegnanti (il modello reputazionale di “Valorizza”).
Sappiamo che la proposta di tale nesso funzionale è uno degli elementi di discussione più accesa e ‘incrostata’
ideo­logicamente, dentro e fuori della
scuola. Poiché nessuno sostiene che
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
occorra ‘premiare il demerito’ la contrapposizione è evidentemente altrove
e per portarla in evidenza sarebbe di
grande utilità un’assennata e trasparente valutazione delle esperienze condotte su quell’ipotesi di rapporto tra valutazione e premialità economica. Esiste per esempio un esauriente rapporto di valutazione della sperimentazione
Vsq? Perché non farne oggetto di confronto esplicito?
Questione 2: gestione
delle risorse finanziarie
Il secondo esempio riguarda la gestione delle risorse economiche che rappresenta uno degli elementi di valutazione delle scuole (che per la verità nel
Rav si configura, a mio parere, come
uno dei punti deboli) (2).
Le modalità di trasferimento di risorse pubbliche alle scuole, le regole di
gestione via via sottoposte in questi
anni ad aggiustamenti/arrangiamenti, hanno prodotto bilanci delle scuole sempre più opachi. L’entità degli
avanzi di amministrazione e, nella loro composizione, la presenza di residui attivi molto consistenti e cumulati nel tempo tolgono trasparenza ai bilanci stessi.
Non è un problema di ‘pubblicità’. Il comune cittadino o il potenziale ‘donatore’ e finanziatore privato che esaminino il bilancio di una scuola si misurano
con un documento che, per quanto
pubblico, è di difficile comprensione, e
anzi offre una rappresentazione deformata e opaca della situazione economica di ogni scuola. In altri settori crediti ripetutamente inesigibili che gonfiano le entrate sarebbero oggetto di
censure drastiche.
La valutazione (ripeto, prima di tutto
tecnica) di tali componenti della politica pubblica seguita in questi anni nel
guidare il flusso delle risorse alle scuo2)F. De Anna, Valutazione delle scuole e
dimensione economica dell’autonomia, in
www.pavonerisorse.it.
le e i modelli di gestione è premessa
tecnico-scientifica essenziale per costruire il protocollo di valutazione delle scuole (auto ed etero), e più avanti
un appropriato modello di rendicontazione sociale, e più avanti ancora considerando la gestione economica uno
degli aspetti fondamentali della valutazione dei dirigenti.
Trascurare questi aspetti significa costruire un protocollo valutativo carente in una sua parte essenziale. Tanto è
facile trovare accordo sul rivendicare
maggiori risorse per la scuola, quanto
è assai più impegnativo, e implicante
responsabilità, guardare da vicino i
meccanismi di gestione.
Questione 3: variabili
da maneggiare con cura
Il terzo esempio si colloca tra il livello 4
e 5 di quelli indicati per la valutazione
della politica pubblica, ed è di carattere metodologico. Mi riferisco a una impostazione di tipo controfattuale utilizzata in qualche progetto sperimentale
(per tutti l’esempio di Cl@ssi 2.0) e collegata a modelli di ricerca valutativa
con individuazione di variabile indipendente (paradigma assolutamente inappropriato in contesto di ricerca sociale). Non metterebbe conto sottolineare
la necessità di falsificazione di tali impostazioni se non le si vedesse operative e con grande seguito mediatico e
funzioni di orientamento di opinioni, in
molte e seguite ricerche sul sistema di
istruzione. Esemplari del metodo quelle della Fondazione Agnelli, spesso
sponsorizzate (e questo è il punto della questione) dal Miur stesso, se non
utilizzate per avvalorare la stessa politica pubblica.
Sono solo tre esempi, ma un invito politico (policy…) e culturale: si dà fondamento sociale, e coerenza tecnico
scientifica, a un sistema di valutazione
se si ha il coraggio di investire progressivamente e in modo coordinato l’intera matrice valutativa, valorizzando le
coerenze di metodologie e obiettivi.
Il punto
I bilanci
della scuola
presentano
una struttura
‘opaca’
tale da rendere
difficile
una rendicontazione
pubblica
comprensibile
9
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il punto
La costruzione
del sistema
di valutazione
richiede
consapevolezza
‘critica’
delle esperienze
già svolte
e dei nodi
da affrontare
10
La costruzione del SNV:
un giudizioso attraversamento
Posti in evidenza l’importanza e il valore generale del sistema in fase di partenza e la cui costruzione dovrebbe
configurare un impegno costante per
(almeno) i prossimi dieci anni per mandarlo a regime e sottoporlo strada facendo a tutti i miglioramenti che saranno suggeriti da ‘scienza ed esperienza’, la prima significativa attenzione va
posta a rielaborare la consapevolezza
degli elementi critici che accompagnano tanto la modellizzazione sistemica,
quanto le condizioni operative che ne
condizionano la costruzione reale.
Non possiamo né dobbiamo dimenticare che la proposizione della necessità della valutazione (delle organizzazioni e delle persone, a cominciare dai dirigenti) si pose con forza in connessione con l’autonomia delle istituzioni scolastiche. I quindici anni trascorsi sono
disseminati e cosparsi di buone pratiche. Ma anche di ‘macerie’ di molte
sperimentazioni.
Ricordo tutto ciò perché sarebbe pericolosa illusione ritenere che, essendo ‘nuovo’ il modello che si sta costruendo, il terreno di costruzione sia
bonificato e ‘vergine’. Al contrario è
cosparso di fratture, contraddizioni più
o meno sedimentate e stratificate, faglie, dislocazione di interessi e culture. Esserne avvertiti significa non solo
poter meglio provvedere a mantenere
la rotta, ma anche, o soprattutto, procedere a sanare e superare i punti di
rottura e garantirne giudiziosi attraversamenti (3).
3)F. De Anna, Il sistema dell’istruzione
e il senso dell’architettura, in
www.pavonerisorse.it.
www.pavonerisorse.it
Franco De Anna
Già Dirigente Tecnico presso l’Ufficio scolastico
regionale per le Marche
[email protected]
DO
R
La valutazione
come responsabilità
pubblica
SSI E
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dossier
di Franco De Anna
I riferimenti normativi
L’(appena) avviata costruzione del Sistema nazionale di valutazione (SNV)
ha tre riferimenti: un regolamento (1)
(norma di carattere secondario, il d.P.R.
80/2013), una direttiva ministeriale
(priorità, linee guida di carattere politico-amministrativo, la direttiva 11/2014),
e una circolare attuativa (amministrazione, la c.m. 47/2014). La funzione istituzionale di tale apparato normativo è
(o lo dovrebbe essere) quella di rendere operative scelte compiute da norme
di carattere generale che delineano
principi e orientamenti di fondo, ai quali l’azione successiva deve perciò ispirarsi con coerenza. Entro tale apparato, tali riferimenti sono per la verità variamente distribuiti sui tre documenti.
Chiarezza e semplicità normativa avrebbero in realtà consigliato di concentrarli nel d.P.R. regolamentare… ma questo
è un leit motiv ricorrente nella nostra
produzione normativa, popolata da lunghe liste di “visto… visto…”, ma che
producono aumento dell’oscurità. Non
è polemica: richiamo semmai a una richiesta di semplificazione normativa che
lo stesso governo rivolge con il suo documento “La buona scuola”.
Ne indico solo tre, a mio parere essenziali e critici.
Valutazione e autonomia
Il primo riferimento è all’autonomia delle istituzioni scolastiche. Non è presente nel regolamento, ma nella direttiva.
Naturalmente quello sull’autonomia
delle scuole è a sua volta un regolamento, ma ha un riferimento normativo
generale di grande portata per qualun1)F. De Anna, Sulla bozza di regolamento per il
que ragionamento sul settore pubblico,
come la legge 59/1997 (cd. “Bassanini”). Vi è qui una questione di fondo: la
valutazione è attività appropriata per
qualunque organizzazione voglia ben
gestirsi e in tale dimensione è parte della cultura organizzativa. Diviene invece
esigenza di sistema quando la ‘produzione’ (organizzazione, risorse, persone) è relativa alla risposta a un diritto di
cittadinanza, come l’istruzione, ed è affidata a una pluralità di soggetti che
operano come ‘produttori finali’ in rapporto ai cittadini stessi (questa in sintesi è l’autonomia…).
Valore pubblico, autonomia, responsabilità rappresentano perciò il treppiede
che regge e dà senso compiuto alla costruzione di un sistema di valutazione.
E occorre che l’appoggio del treppiede
sia equilibrato (i valori della terna operano insieme e senza cedimenti) a
scanso di zoppìa o di altra sintomatica
di anomalie. Per esempio che la valutazione venga vissuta (vedi i rifiuti pregiudiziali), e a volte predicata (vedi l’abuso di semplificazioni meritocratiche
ed economiciste), come una sorta di
vendetta o rappresaglia sociale, rispetto a ciò che non funziona o funziona
male nel sistema di istruzione (2). Comunque, un ‘certo modo’ di porre la
questione della valutazione rischia di
apparire, esplicitamente o in modo latente, come correttivo dell’autonomia
(vedi oltre sui caratteri dell’autovalutazione). E questo è un rischio che investe l’efficacia stessa del valutare.
La valutazione
di sistema
è una risposta
istituzionale
all’accresciuta
autonomia
delle singole
scuole
I livelli essenziali
delle prestazioni
Il secondo riferimento è alla legge
2)F. De Anna, La retribuzione dei docenti
sistema di valutazione, in www.
(merito anzianità e dintorni), in www.
pavonerisorse.it.
pavonerisorse.it.
11
DO
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SSI E
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dossier
La valutazione
dovrebbe
basarsi
sulla verifica
del rispetto
del livello essenziale
delle prestazioni
attese
di cui però
non c’è traccia
53/2003, contenuto sia nel regolamento, sia nella direttiva.
La legge detta i principi generali del Sistema educativo di istruzione e formazione e ha attivato normazione derivata lungo tutti questi anni. Delle affermazioni di carattere generale della legge
53 che hanno riflesso sull’impostazione di un sistema nazionale di valutazione sottolineo solo quelle che richiamano la funzione di definire i Lep – Livelli
essenziali di prestazione (cfr. legge
59/1997) che vincolano l’operatività del
soggetto pubblico, nell’erogazione di
servizi corrispondenti a diritti di cittadinanza (art. 117, Cost.).
Sotto il profilo della coerenza logica il
nesso appare evidente: il livello base di
ogni modello di valutazione non può
che essere proprio la verifica del rispetto del set di livelli essenziali di prestazione. Al momento, di una definizione
di Lep non vi è traccia, nonostante se
ne parli da almeno un decennio. Sintomatico il fatto che tale assenza rischi di
avere riflessi anche sul fronte della gestione delle risorse: si guardi ad alcune
‘confusioni’ che, in assenza di Lep definiti, rischiano di accompagnare la discussione attuale su un argomento fondamentale, e ‘politico’ come quello dei
costi standard.
Definire un repertorio di Lep è impresa
tecnico-scientifica di grande portata e
che richiede rilevazione e analisi sul
campo. Si potrebbe metterla in cantiere utilizzando le potenzialità insite in un
sistema di valutazione che è accompagnato da un’attività molecolare di rilevazione, misura e diagnosi ‘normalizzata’. Potrebbe essere impegno distintivo in una fase di sistema che parte e
si costruisce, anche se consapevole di
alcune contraddizioni. Un orizzonte di
ricerca fondamentale.
La valutazione dei dirigenti
12
Il terzo riferimento è al decreto legislativo 165/2001 (e modifiche) ed è essenziale per formulare un modello di valutazione dei dirigenti scolastici. Si tratta
di un elemento del SNV che nella tempistica ipotizzata si pone più in avanti.
Ma mi pare necessario richiamare che
nel 165 si fa riferimento a compiti, funzioni, responsabilità del dirigente scolastico che non sono riconducibili alla
mera gestione dei progetti di miglioramento quali emergano dall’autovalutazione o dalle indicazioni di valutatori
esterni, mentre alcune affermazioni dei
dispositivi relativi a SNV sembrerebbero invece ipotizzare una ‘riduzione’ della valutazione della direzione scolastica a tale aspetto. Quest’ultimo è evidentemente importante, ma non sufficiente a ricostruire caratteri e qualità
della leadership scolastica.
Può essere consolante ridurre il repertorio degli oggetti di valutazione. Ma il
‘riduzionismo’ confina con il pericolo di
una ‘conformizzazione’ opportunistica
di essa (si riempie opportunamente un
report…), con effetti più distruttivi di
quelli prodotti da una opposizione radicale (3).
Invalsi e Indire:
solo tecnostrutture?
Un ulteriore elemento critico rispetto alle ispirazioni generali, da tenere in vista
per esplorare ‘attraversamenti giudiziosi’ mentre si costruisce il sistema, è
l’assetto dei due enti di ricerca che ne
dovrebbero costituire la ‘tecnostruttura’, e cioè l’Invalsi e l’Indire.
Istituzionalmente sono configurati come
enti di ricerca di diritto pubblico, con attribuzioni di autonomia coerenti e dunque potenzialmente assai ampie (dall’autonomia statutaria a quella di ricerca, alla gestione economica e organizzativa).
Naturalmente se ci si dimenticasse del
lungo e non esemplare processo di transizione (incompiuta) che i due istituti
hanno attraversato per circa un decennio (compresa la stessa modalità ‘di risulta’ per la definizione statutaria: la si
3)F. De Anna, Valutare i dirigenti della scuola:
strumenti, metodologie, sfide culturali,
Spaggiari, Parma, 2006.
DO
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SSI E
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dossier
ricostruisca con una lettura critica dei
decreti ministeriali di adozione), non si
comprenderebbero alcune contraddizioni tra tali affermazioni di autonomia e
la realtà operativa degli istituti stessi. Rilevo solamente che su quelle contraddizioni si iscrivono le difficoltà che gli
Istituti incontrano rispetto a un obiettivo
che a mio parere ha il massimo grado di
priorità ‘politica’ per gli istituti stessi e
per il successo della loro mission: riuscire a fidelizzare le scuole e il personale
della scuola, anche superando la distorta immagine di essere strumenti passivi del ministero e delle ‘sue politiche’.
La visione strategica
Ci sono almeno due orizzonti da esplorare: il primo è nello stesso dettato statutario. Come tutti gli enti di ricerca di
diritto pubblico anche Invalsi e Indire
devono dotarsi di un Documento di visione strategica a cadenza decennale
(altro che dipendenza ‘ministeriale’…)
e di un Piano triennale di attività coerente con il primo. Ne facciano oggetti
di confronto politico-culturale allargato
all’intero sistema, anche solamente per
dare rilievo al fatto che ciò di cui si occupano non ha i tempi della ‘politica
politicata’ ma un orizzonte ben più impegnativo e di lunga durata.
La governance
Secondo invito: esplorino la possibilità di essere interlocutori della governance del sistema di istruzione, della
quale il Miur è soggetto fondamentale ma non unico. Il sistema delle autonomie locali, dei Comuni, delle Regioni è intrinsecamente interessato
alla valutazione delle scuole, non fosse altro per il contributo economico
che danno alla loro gestione e per essere ‘fruitori’ del capitale sociale che
l’attività delle scuole promuove (si
pensi anche solamente all’intersezione tra il Sistema regionale della formazione professionale e l’istruzione
superiore...).
Ma tale interesse non si esprime ovviamente solo nell’essere fruitori dei risultati dei processi valutativi, ma anche
nell’esprimere esigenze e possibili ‘sagomature’ degli strumenti e dei processi di valutazione. Se gli Istituti nazionali, in quanto enti di ricerca, e nella loro
autonomia, cominciassero a operare
come tecnostruttura del sistema di governance potrebbero probabilmente
espandere sia il proprio campo di ricerca, sia la propria autonomia, sia il proprio riconoscimento sociale (oltre che
meglio interpretare l’art. 117 della Costituzione…).
Invalsi
e Indire
dovrebbero
agire
con una visione
strategica,
interfacciandosi
con una pluralità
di partner
13
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SSI E
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dossier
Occorre
trovare
un equilibrio
tra l’esigenza
della comparazione
di sistema
e l’attenzione
alla specificità
di ogni scuola
Lo specchio e la fotografia:
(auto)analisi e comparazione
La metafora (4) sintetizza la complessa
problematica che sorge dal fatto che le
scuole in autovalutazione si impegneranno non solo in un protocollo definito dall’esterno e segnato dall’inevitabile esigenza della confrontabilità e della comparazione a livello di sistema, ma
soprattutto impegneranno la propria
capacità analitica su una messe di dati conoscitivi non rielaborati dall’organizzazione medesima, ma forniti dall’esterno (Miur, Istat, Invalsi stesso).
Esiste una differenza, neppure tanto
sottile, tra una riflessione su di sé (lo
specchio), impegnata in un’osservazione diretta e mirata a cogliere le differenze e specificità individuali (le sperimentazioni autonome e di rete, di autovalutazione), e l’esame di documenti forniti da altri (la fotografia). In parallelo isomorfico è la medesima differenza che intercorre tra un impegno ‘clinico’ di lettura di dati e ricostruzione specifica della diagnosi ‘personalizzata’, e
invece l’applicazione di un manuale
che ricostruisce standard diagnostici.
Il problema è, con tutta evidenza, la
possibilità/capacità di trovare equilibrio
tra le due esigenze che muovono in direzioni diverse: di avere risultati comparabili e di esplorare le specificità individuali. Ovviamente un estremo (la ricerca di normalità di misure e parametri) rischia di attenuare il valore discriminante della valutazione e dunque di
appiattirla nell’omogeneità. All’estremo
opposto si rischia di dare al processo
valutativo un inaccettabile e infine inutile (per il sistema e il decisore) carattere puntiforme e soggettivo.
Si tratta di trovare un assennato equilibrio
tra queste esigenze, rammentando però
che proprio l’impegno nella ricerca e nel
trattamento dei dati, nella scelta degli indicatori nel corso della ricerca autonoma
ha costituito il vero valore aggiunto di tante sperimentazioni di autovalutazione
condotte dalle scuole e in rete, quale che
fosse il modello seguito. Quell’impegno
costituisce in sé un indicatore della propensione al miglioramento.
Ovviamente non sono da sottovalutare
né l’esigenza di confrontabilità e di uniformità del modello di autovalutazione
per l’intero sistema né il significato
dell’offerta di dati organizzati che il sistema mette a disposizione delle scuole per la compilazione del Rav (Rapporto di autovalutazione), che riequilibra
una storica ‘molestia rilevativa’ esercitata sulle scuole da spesso ripetuti e sovrapposti monitoraggi effettuati dal Miur.
Semmai occorre prestare attenzione al
fatto che il disimpegno nella raccolta
dei dati e il lavoro fatto sulla fotografia
e non sullo specchio possano favorire
proprio la deriva dell’autovalutazione
come adempimento. Riempire un report, reperire modalità soft e intermedie per esprimere un giudizio, accettare i dati per come sono, e riproporli come se i dati avessero significato in sé
ed esentassero dall’elaborazione del
giudizio. Questo è il rischio peggiore.
Rendicontazione sociale
e pubblicità
La realizzazione del segmento “rendicontazione” nel modello di SNV è proiettata nella fase finale della tempistica
prevista dalla direttiva 11/2014. Anche
in tale caso, dunque, è possibile solo
commentare anteprime che filtrano dai
documenti, con l’intento di maturare attenzioni critiche e le proposte per evitarne i rischi e conseguenze nella fase
più attuale di realizzazione.
La rendicontazione sociale è prima di
tutto una filosofia (5) che deve (dovrebbe) animare la cultura di un’organizzazione, specie se la sua attività è quella
di produrre servizi a un diritto di cittadinanza fondamentale (come l’istruzio-
4)F. De Anna, Lo specchio e la fotografia: a
proposito di autovalutazione, in www.
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pavonerisorse.it.
5)F. De Anna, Autonomia e rendicontazione
sociale, Franco Angeli, Milano, 2005.
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Dossier
ne, ma questa filosofia dovrebbe accomunare tutti i servizi pubblici). Una ‘filosofia’ che si materializza nella produzione di un ‘oggetto’ come il bilancio
sociale, che diventa punto di incontro
e confronto con gli interlocutori diretti
di quell’organizzazione. Per la scuola
prima di tutto la comunità locale di riferimento, le famiglie, le imprese, il sistema delle autonomie…
Stiamo dunque parlando di qualche cosa di più e di diverso dalle semplici trasparenza e pubblicità degli atti e dell’attività di una scuola.
Bilancio sociale come processo
complesso
Il bilancio sociale declina sempre (almeno) due dimensioni: dare conto delle scelte operate, dell’uso delle risorse
(di qualunque fonte), del capitale sociale incorporato e prodotto, attraverso
una comunicazione non solo trasparente ma esauriente, mirata, interloquente, significativa, con i cittadini, le istituzioni locali e la società civile di riferimento.
La seconda dimensione vede il bilancio sociale e l’interlocuzione/confronto
che esso determina come un passo
fondamentale del circuito della programmazione/riprogrammazione della
propria attività. In tale senso è un passo significativo nel determinare le priorità di progetti di miglioramento, e premessa della stessa valutazione esterna. Ed è declinazione compiuta dell’autonomia.
Vale dunque anche in tale caso la necessità di individuare un modello di bi-
lancio sociale (vi è ampia ricerca sia
nell’impresa privata sia negli enti locali); ma con l’avvertenza di non confondere la confrontabilità di un modello
con la riduzione di un processo complesso, e che mette in gioco la cultura
organizzativa espressa da una scuola,
alla compilazione di un report. La pubblicazione di un documento in “Scuola
in chiaro”, per quanto utile e doverosa
sia in nome della trasparenza, non è
rendicontazione sociale.
Anche in tale caso occorre usare la
‘partenza’ del SNV come un’occasione
non per offrire soluzioni ‘chiavi in mano’, ma per innescare un lavoro di ricerca finalizzata sia a consolidare assennati modelli comuni, sia a rielaborare cultura corrispondente al loro sensato e non opportunistico uso.
Si sa: “Non solo arte e scienza, ma anche pazienza vi sia nel lavoro” (6).
Il bilancio
sociale
non coincide
con la sola
pubblicazione
del Report
di valutazione
su “Scuola in
chiaro”
6) Goethe, Faust. Sottolineo la doppia
citazione. È, infatti, riportata da Freud nella
lunghissima, circospetta e prudente
introduzione alla descrizione (valutazione?)
del suo primo caso clinico presentato
pubblicamente, quello di Dora.
Franco De Anna
Già Dirigente Tecnico presso l’Ufficio scolastico
regionale per le Marche
[email protected]
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Autovalutazione
vs burocrazia?
Un percorso verso
la qualità
di Paolo Senni Guidotti Magnani,
Nerino Arcangeli, Sheila Bombardi
Domande e risposte sincere
Occorre
assumere
il processo
di autovalutazione
come sfida
per migliorare
gli apprendimenti
e la qualità
della vita
di chi sta a scuola
Cosa può dire chi crede nella sostanziale correttezza della procedura del ciclo triennale (autovalutazione – miglioramento – valutazione esterna – rendicontazione sociale) ora imposto alle
scuole italiane sapendo che esse sono
talvolta pervase da un’alea di ‘depressione’, sfiducia, autocommiserazione e
isolamento post-tagli? Questo scritto
prova a rispondere all’interrogativo posto dall’ottica di chi – per antica consuetudine con l’autovalutazione e il miglioramento continuo – condivide il disegno ministeriale SNV, ma ritiene che
occorra fornire prova alle scuole che
adottare il progetto ministeriale non
equivale a essere semplicemente (e
semplicisticamente) facilitatori esterni
del disegno governativo, percepito come calato dall’alto.
Occorre essere convincenti, quando si
afferma che l’innovazione introdotta
porterà frutto all’apprendimento degli
studenti e alla qualità della vita degli attori del sistema scuola. Ciò, in prima
battuta, significa consigliare alle scuole di assumere in questo momento un
approccio ragionevole (e meno autodistruttivo possibile) da una parte e,
dall’altra, offrire strumenti che convincano a condurre l’autovalutazione come se non fosse un mero adempimento (e sappiamo che per alcuni aspetti
lo è) e nel modo meno burocratico e più
utile possibile (1).
Il presente contributo è opera di alcuni
componenti del GLSnv (Gruppo di lavoro
per il Sistema nazionale valutazione di Aicq
Education), in sintonia con quanto pubblicato
in “Rivista dell’istruzione” nel corso del 2013
e 2014 sull’approccio all’autovalutazione e al
miglioramento in ambito Tqm (Total Quality
Management), alla luce delle recenti normative
e soprattutto del format Miur-Invalsi per il Rav
(presentato il 27 novembre 2014).
Atteggiamenti e leve
per un approccio ragionevole
Chi scrive, unendo all’esperienza di
scuola la cultura Tqm a essa adattata,
crede che l’efficacia e il miglioramento
continuo siano il risultato di cose semplici (principi e strumenti), gestite in ottica di sistema. Da qui l’importanza dell’“approccio”, inteso come modo di fare, stile, punto di vista, ottica, mentalità, visione culturale, cultura ecc. Si propongono pertanto i seguenti tratti culturali e leve che li concretizzano per
rendere utile e formativa l’operazione
autovalutazione – miglioramento – rendicontazione:
- vedere il lavoro necessario come
routine organica e fisiologica (assumerlo totalmente);
punto un progetto di affiancamento e
supporto alle scuole concretizzato in tre
strumenti: una brochure di orientamento, il
1) Il Settore nazionale Aicq Education nel 2014
16
manuale a cura di P. Senni, S. Bombardi, M.
ha dato vita al GLSnv (Gruppo di lavoro
Battistin, C. Pasqualin, Rapporto di
Sistema nazionale di valutazione), un’unità
autovalutazione (Rav) e miglioramento,
di lavoro con rappresentanti delle Aicq
Maggioli, Rimini, 2015 e il sito www.
Education di tutte le regioni che ha messo a
autovalutazionescuole.it (in allestimento).
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dell’istruzione
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- considerare l’autovalutazione come
indispensabile risorsa;
- considerare l’autovalutazione stessa
come un’azione di miglioramento;
- promuovere la condivisione di principi e finalità base nell’istituto (vision
e mission);
- formare l’unità di autovalutazione
(Uav) con molta cura (docenti molto impegnati e di riferimento per i
colleghi, cercando di fornire anche
legittimazione economica al loro lavoro);
- sforzarsi di rispondere ai quesiti e
alle valutazioni poste dal format
Rav in modo condiviso e trasparente (raccogliere più di una risposta, metterle a confronto, mediarle);
- ascoltare tutte le posizioni nell’organizzazione;
- investire tempo (calcolando i tempi
di lavoro);
- produrre annualmente il funzionigramma (chi fa che cosa);
- gestire in modo equo e trasparente
le risorse;
- evitare di cadere nel meccanismo
della tela di Penelope;
- trovare collegamenti e mettersi in
rete.
- usare le metodologia peer to peer in
reti di scuole finalizzate alla realizzazione del ciclo triennale costitute
con spirito non competitivo;
- applicare il principio di coerenza nel
Pof e nel Piano annuale;
- progettare una formazione per tutta la unità di autovalutazione;
- curare il collegamento fra la Uav e il
collegio dei docenti.
Gestire il format del Rav
La lista di azioni che segue è conseguente all’approccio delineato, che può
essere definito anche fisiologico, nel
senso che si tratta di azioni che singolarmente sono già riconducibili alle
competenze presenti, sebbene spesso
non siano attuate in un unico processo
monitorato e controllato.
Comprensione dell’impianto del Rav
• Prendo atto che il format prevede
sezioni e aree.
• Prendo atto che con il termine ‘processi’ si indicano le pratiche educative e didattiche e le pratiche gestionali e organizzative.
• Prendo atto che anche l’autovalutazione è un processo (anche se di
portata ampia; fa parte dei processi gestionali e organizzativi).
• Devo individuare priorità (solo
nell’ambito degli esiti) e traguardi.
• Devo conseguentemente individuare degli obiettivi di processo.
• Sono predefiniti dei criteri di qualità
(vedi tabella 2).
Autovalutazione per aree
Sezione 1 - Contesto e risorse; sezione 2 - Esiti; sezione 3 - Processi
• Prendo atto della definizione dell’area, dei contenuti dell’area e dei risultati che essa prevede (2).
• Prendo atto dell’importanza degli indicatori.
• Integro gli indicatori forniti con indicatori elaborati dalla mia scuola.
• Confronto i dati della mia scuola con
riferimenti esterni.
• Leggo i dati, li interpreto, rifletto su
di essi, stabilisco il nesso fra dati
numerici e indicatori, individuo punti di forza e di debolezza focalizzandomi sui risultati raggiunti.
• Descrivo per ogni area della sezione “Contesto e risorse” le opportunità e i vincoli.
• Mi servo delle domande guida per
riflettere sui risultati raggiunti.
• Uso le descrizioni analitiche delle situazioni come guida.
• Prendo atto del ‘criterio di qualità’,
leggo e interpreto i dati ed esprimo
e motivo un giudizio complessivo
Dossier
Il RAV
va affrontato
facendosi
domande
pertinenti
e puntuali,
per cogliere
le diverse scansioni
del format
(contesto,
esiti,
processi
didattici,
processi
organizzativi)
2) In particolare, nella definizione dell’area 3 –
Competenze chiave e di cittadinanza si fa
riferimento alle 8 competenze chiave per
l’educazione permanente stabilite a
Lisbona dal Parlamento europeo
(18.12.2006).
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Dossier
Le esperienze
svolte
con il Caf
possono aiutare
a comprendere
meglio
il carattere
dinamico
degli indicatori
di processo
per ciascuna area degli esiti e dei
processi (scala da 1 a 7).
• Motivo la scelta del giudizio assegnato indicando i fattori e gli elementi che hanno determinato il livello di
giudizio nella scala di valutazione.
Autovalutazione dell’autovalutazione
(sezione 4)
• Descrivo la composizione della unità/nucleo di autovalutazione.
• Elenco i problemi emersi nella raccolta e analisi dei dati.
• Elenco i problemi emersi nell’interpretazione dei dati e nell’espressione dei giudizi.
• Riferisco passate esperienze di autovalutazione, gli strumenti usati e
le ricadute con l’individuazione delle priorità, dei traguardi triennali e
degli obiettivi.
• Individuo una o due priorità circa il
miglioramento degli esiti.
• Per ogni priorità articolo il relativo traguardo triennale in termini misurabili
(assoluti, percentuali, tendenza).
• Individuo gli obiettivi di processo
(nei sette processi) che permettono
di perseguire le priorità indicate in
linea con i traguardi triennali.
Tra Rav e Caf:
analogie e differenze
La comparazione tra Caf (Common Assesment Framework) e Rav (Rapporto
di autovalutazione) nasce per due motivazioni:
1. le scuole che in Italia utilizzano e hanno esperienza di Caf sono numerose
(di sicuro almeno tante quante sono
quelle che hanno sperimentato Vales
e VM) e la tabella di raccordo vuole
essere per queste scuole una rassicurazione concreta nel leggere il format Rav alla luce del Caf e viceversa;
2. Caf & Education (3) è lo strumento
3) Per una presentazione e illustrazione di Caf
& Education vedi N. Arcamgeli, Caf
18
gratuito per l’eccellenza e il miglioramento delle organizzazioni di servizi del Consiglio dei ministri europei, che sviluppa l’approccio Tqm e
in quanto tale pare indispensabile
tenerlo presente e motivare come ci
si posiziona rispetto a esso (4).
Rispetto all’articolato Caf, la struttura
del format Rav appare più semplice e
leggera e, al tempo stesso, fa uso di un
mondo concettuale vicino alla cultura
dominante nelle scuole italiane, in genere basata sulle routine tradizionali.
Un esempio di tale differenza è nel significato che nella guida al Rav si attribuisce alla parola ‘processo’.
Nella guida i processi sono le azioni (o
sequenze di azioni) che riguardano la didattica e l’organizzazione. I processi sono pertanto connotati dal contenuto, ma
non da una procedura di cambiamento.
La definizione di processi del Caf, pervasivi di tutto il sistema istituto, in genere poco noto a chi in esso vive tutti i
giorni, pare più dinamica e più operativa. Essa è sostanziata di obiettivi, attori, tempi, indicatori, procedure, schede
di controllo, rapporti con altri processi,
snodi organizzativi, ecc. Nel Caf i processi non sono un contenuto, ma una
centralina, perché descrivono il sistema
istituto in tutte le sue parti in modo collegato fra loro (mappatura di processi;
fattori abilitanti e fattori di risultato) e
perché fondano il miglioramento sull’analisi dettagliata di ciò che avviene.
dell’istruzione”, n. 3-2011, Maggioli, Rimini.
4) Caf è stato adottato in Italia dal Ministero
Education: strumento principe di
della funzione pubblica, che lo mette a
autovalutazione per le scuole, in “Rivista
disposizione gratuitamente.
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Dossier
Sezioni e criteri di qualità
del format Miur-Invalsi per il Rav
1. Contesto e risorse
1.1 Popolazione scolastica
1.2 Territorio e capitale sociale
1.3 Risorse economiche e materiali
1.4 Risorse professionali
Fattori abilitanti e di risultato di Caf & Education
Criterio 1: leadership
1.4 Gestire i rapporti con i politici e gli altri portatori di interesse al fine di assicurare la
condivisione delle responsabilità
Criterio 2: politiche e strategie
2.1 Raccogliere informazioni relative ai bisogni presenti e futuri dei portatori di interesse
2.2 Sviluppare, rivedere e aggiornare politiche e strategie tenendo in considerazione i
bisogni dei portatori di interesse e le risorse disponibili
2.3 Implementare le strategie e le politiche nell’intera organizzazione
Criterio 4: partnership e risorse
4.1 Sviluppare e implementare relazioni con i partner chiave
4.2 Sviluppare e implementare relazioni con i discenti/le famiglie
Criterio 8: risultati relativi alla società
8.1 I risultati sociali percepiti dai portatori di interesse
8.2 Gli indicatori della performance sociale dell’organizzazione
2. Esiti
Criterio 9: risultati relativi alle performance chiave
2.1 La scuola garantisce il successo formativo 9.1 I risultati esterni: output e outcome riferiti agli obiettivi (ad es., prove Invalsi)
degli studenti.
9.2 I risultati interni (ad es., prove interne)
2.2 La scuola assicura l’acquisizione dei livelli
essenziali di competenze (misurate con le prove
standardizzate nazionali) per tutti gli studenti.
2.3 La scuola assicura l’acquisizione delle competenze chiave e di cittadinanza degli studenti.
2.4 La scuola favorisce il successo degli studenti
nei successivi percorsi di studio e di lavoro.
3. Processi
a) Pratiche educative e didattiche
3.1 La scuola propone un curricolo aderente Criterio 5: processi
alle esigenze del contesto, progetta attività 5.1 Identificare, progettare, gestire e migliorare i processi su base sistematica
didattiche coerenti con il curricolo, valuta gli 5.2 Sviluppare ed erogare servizi e prodotti orientati a discenti/famiglie/cittadini/clienti;
studenti utilizzando criteri e strumenti condivisi. processi relativi all’istruzione e formazione (strutture, programmi, metodi, contenuti,
3.2 La scuola offre un ambiente di apprendimen- formazione sul campo e esperienze scuola-lavoro, valutazione, progetti individuali,
to innovativo, curando gli aspetti organizzativi, ecc.); processi relativi allo sviluppo di competenze di cittadinanza (atteggiamenti, valori,
metodologici e relazionali del lavoro d’aula.
partecipazione, ecc.)
3.3 La scuola cura l’inclusione degli studenti con Criterio 6: risultati orientati ai discenti/alle famiglie
bisogni educativi speciali, valorizza le differenze 6.1 I risultati della misurazione della soddisfazione dei discenti/delle famiglie
culturali, adegua l’insegnamento ai bisogni 6.2 Gli indicatori di orientamento ai discenti/alle famiglie
formativi di ciascun allievo attraverso percorsi
di recupero e potenziamento.
3.4 La scuola garantisce la continuità dei percorsi scolastici e cura l’orientamento personale,
scolastico e professionale degli studenti.
b) Pratiche gestionali e organizzative
3.5 La scuola individua le priorità da raggiungere Criterio 1: leadership
e le persegue dotandosi di sistemi di controllo 1.1 Orientare l’istituzione attraverso lo sviluppo di mission, vision e valori
e monitoraggio, individuando ruoli di responsa- 1.2 Sviluppare e implementare un sistema di gestione dell’istituzione, delle sue perforbilità e compiti per il personale, convogliando mance e del cambiamento
le risorse economiche sulle azioni ritenute 1.3 Motivare e supportare il personale dell’istituzione e agire come modello di ruolo
prioritarie.
Criterio 2: politiche e strategie
3.6 La scuola valorizza le risorse professionali 2.4 Pianificare, attuare e rivedere le attività per la modernizzazione e l’innovazione
tenendo conto delle competenze per l’asse- Criterio 3: personale
gnazione degli incarichi, promuovendo percorsi 3.1 Pianificare, gestire e potenziare le risorse umane in modo trasparente e coerente
formativi di qualità, incentivando la collabora- con le politiche e le strategie
zione tra pari.
3.2 Identificare, sviluppare e utilizzare le competenze del personale allineando gli obiettivi
3.7 La scuola svolge un ruolo propositivo nella individuali a quelli dell’istituzione
promozione di politiche formative territoriali e 3.3 Coinvolgere il personale attraverso lo sviluppo del dialogo e dell’empowerment
coinvolge le famiglie nella definizione dell’offerta Criterio 4: partnership e risorse
formativa.
4.3. Gestire le risorse finanziarie
4.4 Gestire le informazioni e la conoscenza
4.5 Gestire la tecnologia
4.6 Gestire le infrastrutture
Criterio 7: risultati relativi al personale
7.1 I risultati della misurazione della soddisfazione del personale
7.2. Gli indicatori di risultato del personale
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Dossier
La valutazione
di sistema
non può essere
una macchina
anonima,
ma deve
rispettare
i percorsi
valutativi
della scuola
e valorizzare
l’apporto
di una pluralità
di soggetti
Valorizzare le scuole apripista
È il 2015 l’anno in cui, mentre si dibatte sulla validità del nostro modello scolastico (5), si dà l’atteso avvio al sistema nazionale di valutazione in modo
generalizzato in tutta Italia, con la prima fase dell’autovalutazione. La constatazione dell’elevata eterogeneità
delle scuole italiane, in termini di maturazione della volontà e delle capacità
riflessive e autovalutative, ci interroga
su come poter valorizzare le moltissime scuole anticipatrici, che si sono
mosse in autonomia e responsabilmente negli ultimi dieci-quindici anni.
Se da un lato è necessario e più che
comprensibile che il SNV adotti per l’autovalutazione schemi e modalità standardizzate, e dunque molto omologanti (dovendo da una parte fare i conti con
organizzazioni scolastiche meno sensibili o meno esperte e dall’altra sfruttare
la comparabilità), dall’altro è altrettanto
necessario e importante – a livello di sistema – riconoscere e non dissipare la
ricchezza di accountability e di cultura
professionale già sedimentata e trovare la via per capitalizzare e valorizzare il
lavoro di quelle scuole dotate di comunità professionali di avanguardia, che si
sono messe consapevolmente in gioco
prima di altre e che hanno riflettuto sulla propria efficacia.
Il Rav prevede un punto specifico nella quarta sezione (4.5) in cui si possono far emergere in sintesi i modelli scelti (nel passato recente) e le azioni intraprese (ad esempio, la rendicontazione
sociale, il Caf, Marchio Saperi, Amicocaf); questo spazio consente di far
comprendere all’esterno quanto l’autonomia scolastica di ricerca e organizzativa abbia già saputo rafforzarsi e
esprimersi, nell’inscindibile legame tra
autonomia e esplicitazione della propria responsabilità, e quanto questo
impegno volontario sia costato.
5) Tra gli altri, N. Bottani, Requiem per la
scuola?, Il Mulino, Bologna, 2013, sulle
20
dimensioni dell’efficacia e dell’equità.
Molto di più potrà emergere, trasversalmente e implicitamente, sia nel modo di affrontare l’autovalutazione che
in tutta la redazione del Rav:
- mobilitando le capacità metodologiche già sviluppate;
- riportando le analisi già elaborate;
- riprendendo le priorità su cui si è già
lavorato;
- puntualizzando i criteri;
- soprattutto, esprimendo la propria
capacità di capire i fenomeni e il
proprio senso critico.
Rispettare l’autonomia
delle scuole
A fianco delle scuole possono esserci
soggetti sussidiari (vedi le agenzie previste dall’art. 6 del d.P.R. 80 quali Indire, università e associazioni professionali accreditate) e Invalsi. Invalsi è e vuole essere un interlocutore scientifico (6),
non va inteso in posizione sovraordinata alla scuola e quanto più il confronto
sarà impostato tra pari (tra chi lavora
nella realtà e chi la osserva esternamente) e non in un rapporto di sudditanza,
quanto più le scuole più avanzate porteranno il proprio contributo interpretativo, il metodo e i valori, il proprio giudizio, marcando l’esperienza e l’autonomia, tanto più la valutazione avrà una
portata formativa per la singola organizzazione e sarà a beneficio di tutto il sistema scolastico italiano.
6) Posizione recentemente ribadita da A.M.
Ajello nell’editoriale di “Tuttoscuola”,
novembre 2014, n. 546.
Paolo Senni Guidotti Magnani
Presidente nazionale AICQ Education
[email protected]
Nerino Arcangeli
Psicologo e psicoterapeuta, già dirigente tecnico presso
l’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna
[email protected]
Sheila Bombardi
Esperta di istruzione, valutatore VM/Vales, formatore
[email protected]
Indicatori: una certa
idea di scuola
di Mario Castoldi
Rivista
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1-2 - 2015
Focus
Andare oltre il compitino
La direttiva 11 del 18 settembre 2014,
la c.m. 47 del 21 ottobre 2014 e i materiali che l’Invalsi sta mettendo a disposizione sul Rapporto di autovalutazione hanno contribuito a definire
con maggiore precisione i contorni
del processo autovalutativo richiesto
a tutte le istituzioni scolastiche italiane. Più che analizzare gli aspetti procedurali e operativi, delineati a sufficienza nei documenti indicati, vorremmo con questo contributo recuperare il senso del percorso autovalutativo indicato alle scuole e formulare qualche proposta per evitare di
affrontarlo in chiave meramente
adempitiva, secondo le tradizioni più
consolidate nella cultura e nella prassi scolastica. Parafrasare e dettagliare ulteriormente le indicazioni, già
molto analitiche e operative, fornite
da MIUR e Invalsi, infatti, ci sembra
un insulto all’intelligenza dei dirigenti scolastici e dei docenti: la vera questione in gioco è non perdere di vista
il significato e le ragioni di un processo autovalutativo.
La logica dell’adempimento fatica a essere estirpata nella cultura scolastica:
anche il processo di autovalutazione rischia di diventare l’ennesimo documento prodotto dalla burocrazia scolastica, al di là delle buone intenzioni e
dei roboanti proclami della prosa ministeriale. Non basta trasformare il prodotto cartaceo in prodotto elettronico
per riconferire significato al nostro fare: se l’approccio rimane quello del
“non capisco, ma mi adeguo” l’operazione si riduce a un mero atto formale,
seppure in versione 2.0. Lasciamo
quindi agli esteti delle procedure le
glosse e i commenti critici sulla registrazione nella piattaforma Invalsi, l’inserimento dei dati richiesti, il confronto con gli indici comparativi e via discorrendo e spostiamo l’attenzione sul
senso dell’operazione.
Questo articolo, i due che seguono e quello pubblicato
nel n. 6-2014 dello stesso autore costituiscono
una mini-guida per l’impostazione di un percorso
autovalutativo. La bibliografia complessiva è a
pagina 36 di questo numero della Rivista
Il senso dell’operazione
Intraprendere un processo autovalutativo per una realtà organizzativa significa promuovere una riflessione
partecipata sul senso del proprio agire, ancora più significativo quando la
realtà di cui parliamo si occupa di formazione.
L’espressione chiave è ‘riflessione partecipata’: da un lato richiama il paradigma riflessivo entro cui inserire un
percorso di autovalutazione, come opportunità per ripensare il proprio agire
allo scopo di accrescerne la consapevolezza e regolarne lo sviluppo: si tratta di promuovere un livello ‘meta’, di
pensiero sull’azione, per rileggere e
orientare i suoi significati. Dall’altro evidenzia la dimensione sociale entro cui
sviluppare questa riflessione, in un contesto relazionale fatto di una pluralità di
componenti scolastiche aventi ruoli e
posizioni diverse nella dinamica formativa, ma tutte concorrenti a determinare la qualità del processo formativo e
dei suoi risultati; un contesto nel quale
assume particolare rilevanza la dimensione comunitaria, proprio in virtù della centralità della relazione formativa
nell’evento educativo e del contributo
dei diversi attori implicati nel determinarne la qualità.
In questa prospettiva la significatività
del percorso autovalutativo che si intraprende non si gioca soltanto nel rispetto delle procedure, nell’affidabilità
dei dati, nella presunta oggettività delle rilevazioni, bensì anche nel grado in
cui la scuola nel suo insieme, come comunità di soggetti implicati a diverso ti-
Autovalutarsi
significa
intraprendere
una riflessione
partecipata
sul senso
del proprio agire,
per regolarne
lo sviluppo
21
Rivista
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Focus
Meglio partire
da un processo
‘dal basso’
di condivisione
dei fattori
di qualità,
piuttosto che
adottare subito
un modello
di analisi
predefinito
22
tolo nell’evento formativo, si sente parte del processo valutativo.
Accanto alla qualità tecnica deve essere considerata anche la qualità sociale
della valutazione, in quanto entrambe
contribuiscono a determinare l’utilità
del processo intrapreso in termini di miglioramento del processo formativo e
dei suoi risultati; un miglioramento che
passa attraverso le azioni concrete che
verranno intraprese e i loro risultati, ma
anche attraverso la crescita dei soggetti implicati in queste azioni.
Un approccio partecipato
Sono queste alcune ragioni che giustificano un approccio partecipato alle diverse fasi del processo autovalutativo:
dalla definizione dell’idea di qualità su
cui fondare la valutazione alla formulazione dei giudizi valutativi, dalla decisione in ordine alle priorità strategiche
da selezionare alla definizione delle
azioni di miglioramento da intraprendere. In questo contributo ci concentreremo sul primo passaggio indicato, ovvero sul confronto e la condivisione in
ordine all’idea di scuola intorno a cui
sviluppare la valutazione.
Per quanto ci si collochi all’interno di
un processo di autovalutazione guidato e strutturato, infatti, non si tratta di
assumere criticamente l’idea di buona
scuola proposta dall’Invalsi, bensì di
confrontarla con quella emergente dalla comunità scolastica e di appropriarsene in modo consapevole: solo in
questo modo i successivi giudizi valutativi e le conseguenti scelte si inseriranno in un contesto dotato di senso e
acquisteranno valore.
In una logica formativa e migliorativa,
infatti, una condizione affinché la valutazione produca i suoi risultati è quella
per cui gli attori coinvolti si ‘impadroniscano’ dei criteri di qualità sottesi al
giudizio, riempiendoli di significato e
confrontandoli con il proprio sistema di
valori. Su questa condizione suggeriamo di lavorare nelle prime fasi del processo autovalutativo, in parallelo alle
operazioni tecniche di raccolta e documentazione dei dati richiesti dal modello Invalsi.
Confrontarsi sull’idea di scuola
Prima ancora di fare i conti con il quadro di riferimento proposto dall’Invalsi
sull’idea di scuola, si propone di avviare un processo di consultazione tra le
diverse componenti scolastiche sulla
loro idea di scuola, volto a riconoscere
e identificare quali sono gli aspetti del
‘fare scuola’ a cui danno valore. Non si
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
parte, quindi, da un modello di analisi
predefinito, bensì si propone un percorso preliminare di elaborazione di un
proprio modello o comunque di un insieme di fattori di qualità da strutturare in un modello coerente e organizzato. L’intero percorso si basa sulla valorizzazione di alcune occasioni di confronto tra le diverse componenti scolastiche, nell’ipotesi che la discussione
intorno all’idea di scuola costituisca
un’opportunità di consapevolezza e di
costruzione di un insieme di significati
comuni.
I focus group
Concretamente si tratta di produrre una
mappa dei fattori di qualità caratterizzanti la propria idea di scuola attraverso un percorso in due tappe:
• Realizzazione di uno o più focus
group con piccoli gruppi (10-12 persone) di testimoni privilegiati, ciascuno composto da rappresentanti
delle componenti scolastiche che si
intendono coinvolgere (docenti, personale ATA, genitori, studenti, rappresentanti di enti locali e/o altri interlocutori esterni) a cui chiedere
“Quali sono i fattori di qualità di una
buona scuola?”.
• Incontro di sintesi del gruppo di autovalutazione, con un rappresentante per ciascuno dei gruppi incontrati, per confrontare e sintetizzare le risposte fornite dalle diverse componenti in un documento di
sintesi.
Il coordinamento dei gruppi omogenei
è affidato a uno o due componenti del
gruppo di autovalutazione, suggerendo di promuovere un brainstorming il
più aperto possibile sulla domanda
proposta (“Quali sono i fattori di qualità di una buona scuola?”), limitandosi
a registrare su una lavagna a fogli mobili o su una lavagna tradizionale tutte
le risposte emergenti, e di stimolare
successivamente una riorganizzazione
degli elementi emersi. Il risultato atteso da ciascun gruppo omogeneo consiste in un elenco di elementi che qua-
lificano una buona scuola e in alcune
proposte per organizzarlo in categorie;
il tempo di lavoro previsto può essere
di un’ora e mezza o due ore.
La sintesi
Occorre precisare che l’operazione non
intende avere alcun requisito di rappresentatività statistica, bensì costituire
un’occasione per confrontarsi con un
insieme di testimoni privilegiati provenienti dalle differenti componenti scolastiche in ordine all’idea di scuola. Per
questa ragione non ci si dilunga sui criteri e le modalità con cui selezionare i
soggetti da coinvolgere, in quanto si
tratta di scelte contestuali da valutare
nella loro pertinenza e sostenibilità nelle specifiche realtà scolastiche, piuttosto che di astratte procedure da seguire e applicare.
Il successivo incontro di sintesi prevede una socializzazione e, se possibile,
visualizzazione (su fotocopie, su cartelloni…) dei contributi emergenti dai diversi gruppi omogenei e una successiva rielaborazione, volta a indentificare
gli elementi più ricorrenti e condivisi. Il
risultato atteso è un elenco di elementi che qualificano una buona scuola,
possibilmente rappresentato in uno
schema visivo (al massimo 20 fattori);
il tempo previsto per l’incontro può essere di circa due ore.
Focus
Testimoni
privilegiati
interni alla scuola
dovrebbero
elaborare
e condividere
un quadro
di elementi
caratterizzanti
una buona scuola
Un processo bottom up
La proposta prende spunto dal modello
di percorso autovalutativo elaborato
dall’autore scozzese John Mac Beath (1),
caratterizzato da un approccio bottom
up ai processi autovalutativi e da un’elaborazione dal basso dell’idea di qualità
della scuola e delle esperienze di applicazione realizzate nel Canton Ticino (2).
1)Cfr. J. MacBeath, Schools must speak for
themselves: the case for school self
evaluation, Routledge, London, 1999.
2)Cfr. E. Berger, L’autovalutazione degli
istituti: alcune esperienze pratiche, in
N. Bottani, A. Cenerini (a cura di), Una
pagella per la scuola, Erickson, Trento, 2003.
23
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Tavola 1 – Aree di esplorazione della qualità proposte nel Rav
CONTESTO SOCIO-AMBIENTALE E RISORSE
Popolazione
scolastica
Territorio
e capitale
sociale
PRATICHE GESTIONALI
E ORGANIZZATIVE
PRATICHE EDUCATIVE
E DIDATTICHE
24
Risultati nelle
prove INVALSI
Continuità e
orientamento
O
or rie
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zz e
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lla gic
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la
Risorse
economiche
e materiali
Cur
rico
lo,
e va proge
tt
luta
zion azione
e
Risultati a
distanza
Integrazione con il
territorio e rapporti
con le famiglie
Oltre alla funzione di ‘apripista’ in rapporto a percorsi di analisi più specifici, la
proposta rappresenta un’occasione per
confrontarsi sull’idea di qualità sottesa ai
propri comportamenti organizzativi, professionali ed educativi. Quest’ultima, infatti, tende a restare relegata ai margini
delle scelte e azioni operative, quasi sottintesa in rapporto ai comportamenti
concreti e alle opinioni espresse. La sua
esplicitazione, invece, consente di comprendere e riconoscere le ragioni di determinate scelte e di definire un quadro
di riferimento all’interno del quale collocare le opzioni educative.
Un altro elemento di interesse della proposta consiste nel caratterizzarsi come
primo passo di un processo di costruzione e sviluppo di competenze autovalutative in una realtà scolastica. La struttura relativamente semplice della proposta e il suo carattere qualitativo, infatti, la rendono un’opportunità interessante per promuovere alcune condizioni organizzative e culturali di sviluppo di un
itinerario autovalutativo attraverso un
‘apprendistato’ operativo funzionale alla comprensione dei significati e delle
pratiche autovalutative. Prima di affrontare percorsi più complessi e impegna-
ee
ion ione
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e e
Competenze chiave di
cittadinanza
va
È stimolante
mettere
a confronto
la ‘mappa’
emergente
dalla lettura
‘interna’
con quella
ufficiale
predisposta
da Invalsi
Risultati
scolastici
Ambiente di
apprendimento
Risorse
professionali
tivi, un gruppo di lavoro di scuola può
‘allenarsi’ all’autovalutazione attraverso
il percorso proposto, sperimentando la
gestione diretta di un mini-percorso di
indagine sull’idea di qualità emergente
dalla comunità scolastica.
Fare i conti con il framework
Invalsi
Una volta definita la propria ‘mappa della qualità’, come sintesi delle proposte
emergenti dai rappresentanti delle diverse componenti scolastiche, si tratta di
metterla a confronto con l’idea di scuola sottesa al Rapporto di autovalutazione e presentata nei materiali Invalsi.
La tavola 1 sintetizza le aree di esplorazione della qualità della scuola proposte nel Rav, organizzate in alcune macro-aree; al gruppo di autovalutazione
si suggerisce di provare a classificare i
criteri emergenti dalla consultazione tra
le componenti nelle aree di esplorazione del modello Invalsi. Lo scopo è duplice: da un lato riempire di significato
le voci del Rav, non in modo astratto o
meramente definitorio, bensì confrontandolo con il lessico e i significati emergenti dal proprio contesto scolastico;
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Tavola 2 – Confronto tra il modello Rav e la propria idea di scuola
Elementi emersi
dal confronto sull’idea
di scuola riconducibili
alle aree Rav
Modello di scuola
proposto dal Rav
Contesto e risorse
Popolazione scolastica
Territorio e capitale sociale
Risorse economiche
e materiali
Risorse professionali
Pratiche educative e didattiche
Personalizzazione dell’inse- Curricolo, progettazione
gnamento
e valutazione
Valutazione formativa
Ambiente di apprendimento
Continuità tra i gradi scolastici Inclusione e differenziazione
Metodologie didattiche inno- Continuità e orientamento
vative
Laboratori attrezzati
Progettazione condivisa
Valorizzazione delle eccellenze
Pratiche gestionali e organizzative
Orientamento strategico e
organizzazione della scuola
Sviluppo e valorizzazione
delle risorse umane
Integrazione con il territorio
e rapporti con le famiglie
Esiti
Risultati scolastici
Risultati nelle prove Invalsi
Competenze chiave
e di cittadinanza
Risultati a distanza
dall’altro comparare in modo sistematico le due idee di qualità per riconoscerne analogie e differenze, elementi di sovrapposizione e di divergenza.
Il prodotto atteso potrebbe essere una
rappresentazione visiva del modello Invalsi integrata dalle risultanze della consultazione nel proprio istituto, allo scopo di evidenziare le aree di maggiore copertura del modello, le aree scoperte, gli
aspetti emergenti nella scuola che vanno oltre la proposta Invalsi (vedi tavola
2, con un esempio sulle pratiche educative e didattiche). È importante che il
gruppo di autovalutazione curi le modalità attraverso cui comunicare alle diverse componenti, con particolare riguardo ai soggetti coinvolti nella consultazione, la comparazione tra il modello In-
Elementi emersi
dal confronto sull’idea
di scuola aggiuntivi
rispetto alle aree Rav
Contrattualità formativa
Scambi con l’estero
Progetti integrati con
soggetti esterni
Focus
Il confronto
delle mappe
consente
di aumentare
la consapevolezza
sul significato
degli indicatori
del RAV
nel proprio
contesto
operativo
valsi e le risultanze dell’indagine interna, allo scopo di diffondere nel modo
più efficace possibile la riflessione condotta sul modello di scuola sotteso al
Rav e i suoi significati contestuali.
Il lavoro proposto, condotto in parallelo con l’elaborazione e l’immissione dei
dati previsti nella procedura di autovalutazione, permette di preparare al meglio la successiva fase di interpretazione dei dati, su cui si svilupperà il successivo contributo.
Mario Castoldi
Docente presso la Facoltà di Scienze della formazione
dell’Università degli Studi di Torino, esperto di
problematiche valutative in ambito scolastico
[email protected]
25
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Leggere e interpretare
i dati raccolti
di Mario Castoldi
Focus
Ancora valutazione partecipata
Anche l’analisi
e l’interpretazione
dei dati
richiede
un processo
partecipato
all’interno
della scuola
L’approccio partecipato non si esaurisce solo nella condivisione dell’idea di
scuola su cui sviluppare il processo valutativo, ma si allarga anche alla fase di
interpretazione e giudizio dei dati a disposizione. Il momento interpretativo,
infatti, qualifica il processo di valutazione, ne rappresenta il momento più distintivo e caratterizzante. Per la qualità
del procedimento valutativo risulta cruciale, pertanto, come avviene l’interpretazione dei dati a disposizione e da chi
viene fatta.
Come abbiamo già segnalato, il percorso guidato di autovalutazione proposto
nell’ambito del SNV si caratterizza come percorso guidato in quanto è fondato su alcuni dati comuni e messi a disposizione dall’amministrazione scolastica (prove Invalsi, “Scuola in chiaro”,
ecc.) ed è supportato da indici di comparazione che aiutano a rendere più significativi i dati a disposizione. Peraltro
l’attribuzione di significato ai dati e il loro apprezzamento non possono che essere affidati alla singola scuola e su questi passaggi chiave si vanno a posizio-
nare i suggerimenti e le proposte che
presentiamo in questi contributi, in una
prospettiva di valutazione partecipata
che convalidi e rafforzi i significati fondanti una prospettiva autovalutativa.
Riprendendo un noto aforisma possiamo
dire che “i dati non sono dati, vanno presi” e proprio su questo ‘prendere’ si concentra la nostra attenzione, allo scopo di
evitare sia qualunque tentazione semplificatoria, per la quale la lettura dei dati
deriva quasi automaticamente e magicamente dai dati stessi, sia qualunque tentazione accentratrice, per la quale questa operazione interpretativa è delegata
in toto al dirigente scolastico.
Selezionare i dati a disposizione
Un primo passaggio preliminare al momento interpretativo riguarda la raccolta e l’analisi dei dati informativi, in modo da mettere a disposizione di chi valuta un insieme di evidenze su cui fondare i propri giudizi.
La tavola 1 richiama le tipologie di dati previste per il momento autovalutativo del SNV. Proviamo ad analizzare sinteticamente ciascuna di esse. I dati del-
Tavola 1 – Dati previsti per l’autovalutazione nell’ambito del SNV
DATI ED INFORMAZIONI STRUTTURATE
QUESTIONARI DI PERCEZIONE
DATI RICHIESTI ALLA SCUOLA
DATI
INVALSI
SCUOLA
IN CHIARO
DISPONIBILI A LIVELLO DI SCUOLA
Evidenze
empiriche
con indici di
comparazione
26
Informazioni
fornite da Ds
con indici di
comparazione
Opinioni delle
varie
componenti
con indici di
comparazione
Dati ed
informazioni
quali-quantitative
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
le prove Invalsi ci richiamano alcune
evidenze empiriche relative ai risultati
degli allievi, raccolte attraverso l’effettuazione delle prove e restituite alle
scuole con i relativi indici di comparazione a livello regionale, di area geografica, nazionale, di scuole aventi caratteristiche socio-culturali simili.
I dati relativi a “Scuola in chiaro” si riferiscono a evidenze empiriche relative
a diversi aspetti del funzionamento delle scuole (contesto, risorse, processi,
esiti), anch’esse corredate da indici di
comparazione a livello regionale e nazionale.
I dati aggiuntivi richiesti alla scuola sono informazioni fornite dalla dirigenza
della scuola in relazione ai diversi
aspetti del funzionamento che saranno
restituite dal sistema con i rispettivi indici di comparazione. I dati di percezione sono raccolti attraverso strumenti di
indagine di cui Invalsi ha sperimentato
modelli standard, che in questa prima
fase non saranno però obbligatori. Vi
sono, infine, un insieme di dati e informazioni strutturate a disposizione della scuola che possono integrare i dati
precedenti, approfondendo l’analisi dei
fenomeni e contestualizzandoli.
Evidentemente la mole di dati a cui abbiamo fatto riferimento richiede di essere selezionata per essere utilizzabile
in un processo valutativo di tipo partecipato. Da qui l’esigenza di individuare
per i diversi aspetti del funzionamento
della scuola considerati alcuni indicatori e set di dati particolarmente significativi e rilevanti; la documentazione di
corredo al Rapporto di autovalutazione fornisce già utili indicazioni su alcuni dati essenziali da considerare o da
integrare da parte del gruppo di autovalutazione di scuola.
Il prodotto atteso può essere un breve
report (non superiore alle 15-20 cartelle) nel quale vengono sintetizzati i dati
più significativi, come base documentale su cui procedere al momento interpretativo. I risultati della consultazione
sull’idea di scuola richiamata nel contributo precedente possono costituire
un buon punto di partenza per procedere all’elaborazione di questo report,
in modo da stabilire se prevedere altri
aspetti su cui fornire dati, oltre alle voci che compongono il Rav.
Focus
Indagare le opinioni
della comunità scolastica
Una volta elaborati i dati e raccolta
un’agile documentazione di quelli più
significativi, si può procedere all’interpretazione dei dati stessi, attraverso
l’organizzazione di gruppi eterogenei
di rappresentanti delle diverse componenti scolastiche (docenti, personale
Ata, genitori, studenti, rappresentanti
di enti locali e/o altri interlocutori
esterni). Il numero e la composizione
di tali gruppi possono essere definiti
solo nel contesto, a partire dalla premessa che non si intende realizzare
un’indagine statisticamente significativa (che richiederebbe risorse e tempi impensabili per una realtà scolastica), bensì coinvolgere un numero limitato di testimoni privilegiati in una forma di valutazione partecipata; potrebbe essere opportuno dare la precedenza ai soggetti coinvolti nel passaggio precedente sull’idea di scuola, in
modo da semplificare il coinvolgimento nell’operazione e assicurare continuità tra i due momenti. È comunque
consigliabile strutturare gruppi di discussione non troppo numerosi (1015 soggetti per ciascun gruppo), anche perché la composizione eterogenea del gruppo suggerisce una numerosità limitata.
A ciascuno dei testimoni privilegiati che
parteciperanno all’indagine interpretativa sarà fornito preliminarmente il report con la raccolta dei dati più significativi, in modo da disporre di una base dati comune su cui strutturare il confronto. Successivamente i gruppi verranno convocati per un incontro in presenza, coordinato da un rappresentante del gruppo di autovalutazione, articolato secondo la seguente struttura di
massima:
Piccoli gruppi
di discussione
rappresentativi
delle diverse
componenti
possono
procedere
a un’interpretazione
partecipata
dei dati
27
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Un profilo
di autovalutazione
consente
di analizzare
gli indicatori
(sulla base
del format
del RAV)
e di attribuire
i primi giudizi
28
• presentare gli scopi del lavoro e il
contesto autovalutativo entro cui si
colloca;
• consegnare il format del profilo di
autovalutazione e aiutare i componenti del gruppo a mettere a fuoco
il significato di ciascuna voce;
• invitare ciascun componente del
gruppo a compilare il profilo di autovalutazione;
• per ciascuna voce raccogliere le risposte fornite e le loro argomentazioni (esperienze, indizi, informazioni, impressioni), in modo da giungere a una valutazione complessiva
del gruppo (non più di 5-10 minuti
per ogni voce);
• laddove vi siano differenze di opinione non ricomponibili (ad esempio una
distribuzione dei giudizi tra area della
positività e della negatività) si tratta di
registrarle indicando per le diverse
opzioni il numero delle risposte indicate (ad esempio ++: 2; +: 1; –: 5);
• a conclusione del lavoro di confron-
to sulle diverse voci al gruppo è richiesto di individuare uno o due
rappresentanti disponibili a partecipare all’incontro di sintesi a livello di
istituto.
Costruire un profilo
di autovalutazione
Il profilo di autovalutazione è lo strumento di lavoro proposto nei gruppi per
strutturare la fase interpretativa: si
compone di un elenco di voci che riprende la struttura del Rav, per ciascuna delle quali si invita l’interlocutore a
formulare un doppio giudizio su una
scala a quattro gradienti:
• Come vediamo il nostro istituto? (++
pienamente adeguato, + adeguato,
– abbastanza adeguato, -- poco
adeguato);
• Quanto è importante per la qualità
della scuola? (éé molto importante, é importante, ê abbastanza importante, êê poco importante).
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Tavola 2 – Formato del profilo di autovalutazione
Come vediamo
il nostro istituto?
Aree di valutazione
Risultati scolastici
Risultati nelle prove Invalsi
Competenze chiave e di cittadinanza
Risultati a distanza
Curricolo
Progettazione
Valutazione
Ambiente di apprendimento
Inclusione
Differenziazione
Continuità
Orientamento
Orientamento strategico
Organizzazione della scuola
Sviluppo delle risorse umane
Valorizzazione delle risorse umane
Integrazione con il territorio
Rapporti con le famiglie
.......................................
.......................................
++
La tavola 2 propone un modello standard di profilo di autovalutazione costruito sulle aree previste nel Rav; evidentemente il modello potrebbe essere integrato a livello di scuola con
l’aggiunta di altre aree significative
emergenti dalla consultazione precedente sull’idea di scuola. Si suggerisce, in tal caso, di valutare con attenzione se l’area proposta rappresenta
effettivamente un aspetto non incluso nelle voci del Rav oppure solamente una sua specificazione; in questo
secondo caso è opportuno non inserirla, in modo da mantenere la definizione delle voci omogenee tra loro in
termini di livello di specificazione.
Piuttosto può essere utile suddividere le voci del Rav che richiamano più
aspetti distinti, come nell’esempio riportato in figura.
Una volta sintetizzati i dati emergenti
dal profilo di autovalutazione si tratta di
prevedere uno – due incontri del gruppo di lavoro, allargato a uno – due rap-
++
-
--
Quanto è importante
per la qualità
della scuola?
éé é
ê êê
presentanti per ogni gruppo eterogeneo previsto nella fase precedente, in
cui tentare una lettura di insieme dei risultati e orientarli in funzione dell’attività progettuale dell’anno successivo. Si
suggerisce, innanzi tutto, di focalizzare l’attenzione sulle voci ‘critiche’, ovvero quelle voci su cui sono stati
espressi giudizi di adeguatezza differenziati o su cui si evidenzia uno scarto molto ampio tra il giudizio di importanza e il giudizio di adeguatezza. Su
tali voci può risultare utile recuperare le
argomentazioni emergenti dai diversi
gruppi (esperienze, indizi, informazioni, impressioni), in modo da sviluppare
una maggiore comprensione delle criticità emergenti.
Focus
Un profilo
consente
di focalizzare
l’attenzione
sugli indicatori
per cui
si riscontrano
giudizi
di adeguatezza
discordanti
Elaborare i giudizi del Rav
Le risultanze del profilo di autovalutazione consentono di disporre di una base
di riflessione significativa, a partire dalla quale il gruppo di autovalutazione può
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Confrontarsi
sul percorso
che porta
a fare sintesi
garantisce
completezza,
accuratezza
e qualità
nell’espressione
del giudizio
30
formulare i giudizi sulle diverse aree di
indagine previste dal rapporto di autovalutazione. L’approccio partecipato
consente di assumere questo passaggio non come la rappresentazione del
dirigente e dei suoi fedelissimi sullo stato di salute della scuola, bensì come la
sintesi interpretativa di un confronto a
più voci all’interno della comunità scolastica. Il gruppo di autovalutazione interpreta il suo ruolo non come ‘struttura di giudizio’ chiamata a sputare sentenze inappellabili nel chiuso delle proprie stanze, bensì come ‘struttura di servizio’ chiamata a creare le condizioni affinché la comunità scolastica si interroghi sul proprio stato di salute. Tale gruppo non si configura, infatti, come una
sorta di consiglio di classe di ‘secondo
livello’ chiamato a fare uno scrutinio nel
quale dare voti non agli allievi, ma alla
scuola; il ‘gioco scolastico’ e le sue deformazioni in materia valutativa tendono subito a richiamare questa cornice
valutativa, tanto familiare agli operatori
scolastici quanto lontana dal senso e
dalle modalità di un processo autovalutativo di istituto.
Sulla base dei dati a disposizione e dei
giudizi raccolti attraverso l’indagine
condotta con l’ausilio del profilo di autovalutazione, il gruppo ha tutti gli elementi per operare una sintesi interpretativa che rifletta gli orientamenti rilevati nella comunità scolastica. La documentazione che accompagna il rapporto di autovalutazione fornisce per
questo compito un supporto molto significativo: un insieme di rubriche valutative, una per ciascuna area di indagine, nel quale sono identificati sette livelli di giudizio e, per le voci dispari, vengono descritti dei profili di riferimento sulla base dei quali collocare
il proprio istituto. Si tratta di uno strumento molto interessante, elaborato
attraverso l’esperienza del progetto
Vales, che consente di conferire maggior rigore all’espressione del giudizio
e di favorire l’emergere di un linguaggio condiviso tra le diverse realtà scolastiche.
Motivare il giudizio
Per ciascun giudizio il Rav chiede anche di esplicitare le ragioni che hanno
condotto alla scelta, attraverso il richiamo ai dati e alle riflessioni sottese al
giudizio scelto. Interessante, a tale riguardo, il riferimento a tre criteri di qualità di tali motivazioni:
• la completezza nella considerazione dei dati a disposizione;
• l’accuratezza del confronto con gli
indici comparativi proposti:
• la qualità dell’analisi in riferimento
alle specificità contestuali e alle argomentazioni proposte.
Quest’ultimo criterio, in particolare, richiama il valore e il significato dell’indagine condotta con il profilo di autovalutazione, in modo da assumere
questi giudizi non come esito semi-automatico di qualche indicatore quantitativo, bensì come sintesi interpretativa di una riflessione plurale e partecipata.
Mario Castoldi
Docente presso la Facoltà di Scienze della formazione
dell’Università degli Studi di Torino, esperto di
problematiche valutative in ambito scolastico
[email protected]
Individuare le priorità
strategiche
di Mario Castoldi
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Valutazione vs miglioramento:
in mezzo al guado
La formulazione dei giudizi (auto)valutativi rappresenta solo il primo step del
processo autovalutativo intrapreso, in
quanto risulta propedeutica alla definizione delle priorità strategiche su cui
elaborare il piano di miglioramento.
Nell’ampia letteratura su questi temi tale passaggio emerge come particolarmente problematico: la storia è piena
di ottime (auto)valutazioni che si sono
fermate sulla ‘soglia del miglioramento’. La stessa guida all’autovalutazione
predisposta per l’elaborazione del Rav
liquida questo passaggio in tre paginette su un totale di 53 che compongono
il documento: poco più del 5% dello
spazio complessivo dedicato al momento cruciale dell’intero processo autovalutativo!
Sebbene risulti affascinante e pienamente condivisibile il principio per cui
l’(auto)valutazione è al servizio del miglioramento, in realtà la transizione dal
momento diagnostico a quello terapeutico è il passaggio più delicato dell’intero percorso di cura. Diagnosi e sviluppo sono logicamente ben collegati,
ma operativamente non risultano consequenziali tra loro: non c’è alcun algoritmo che li collega, bensì un lucido e
rigoroso processo interpretativo e di attribuzione di significato dei giudizi
espressi in rapporto alle specifiche
condizioni contestuali. Potremmo dire
che la competenza valutativa si esercita proprio in questo passaggio, ovvero
nella capacità di elaborare una strategia d’azione a partire dal quadro diagnostico emergente dalla valutazione
ma calibrato sugli scopi e il contesto
d’azione entro cui si opera.
Anche per questa fase del processo
autovalutativo cercheremo di contrastare la tendenza, quasi naturale visti i
tempi e i modi con cui si procede alla
prima attuazione del SNV, a perpetuare la massima “un uomo solo al coman-
do”, dove l’“uomo solo” è identificabile nel dirigente scolastico, nel migliore
dei casi attorniato da qualche fedelissimo collaboratore. Proveremo invece
a prefigurare un percorso partecipato
e condiviso alla definizione delle priorità strategiche e ai relativi traguardi di
esito e obiettivi di processo; un percorso nel quale cercare di evitare qualsiasi meccanismo semi-automatico nella
sequenza “giudizio – scelta strategica
– definizione traguardi”, prestando attenzione alla necessità di operare questi passaggi in una prospettiva ecologica, capace di considerare la complessità degli elementi in gioco e il loro
valore nello specifico contesto d’azione in cui si opera.
La ricerca della sintesi
Un procedimento valutativo è per sua
natura analitico, in quanto tende a
scomporre una realtà complessa (nel
caso specifico il funzionamento dell’istituto scolastico) in un insieme di variabili utili a decifrarla e comprenderla
pienamente. Anche il modello Rav non
si sottrae a questa tendenza, proponendo 4 ambiti di esplorazione (Contesto e risorse, Esiti, Pratiche educative
e didattiche, Pratiche gestionali e organizzative), 11 aree di indagine (sono
escluse le 4 aree relative ai dati di contesto), 49 indicatori, 115 descrittori su
cui fondare il processo autovalutativo.
È evidente la necessità di un momento di sintesi, in parte rintracciabile nel
giudizio (auto)valutativo sulle 15 aree di
indagine espresso attraverso i sette
gradienti proposti dalle rubriche valutative.
Il passaggio verso la definizione di alcune priorità strategiche richiede, peraltro, di rileggere globalmente i giudizi espressi e di curvarli in una dimensione proattiva, ovvero attenta all’uso
che si potrebbe farne in una prospettiva di miglioramento. Uno strumento
utile per tale operazione può essere la
La transizione
dal momento
della diagnosi
a quello
‘terapeutico’
è il passaggio
più delicato
dell’intero
processo
31
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Una matrice
Swot aiuta
a combinare
sguardo
retroattivo
e sguardo
proattivo,
centrati
in particolare
sui risultati
ce dobbiamo considerare in relazione
a queste opportunità di sviluppo?”.
Particolarmente cruciale, in relazione
all’individuazione delle priorità strategiche, risulta l’interrogativo sulle opportunità di sviluppo, anche in questo caso da leggere con particolare attenzione agli esiti formativi e alle quattro aree
di indagine previste:
- risultati scolastici,
- risultati nelle prove standardizzate
nazionali,
- competenze chiave di cittadinanza,
- risultati a distanza.
Nel linguaggio valutativo le quattro aree
proposte possono essere lette come un
progressivo allargamento di sguardo
dall’output del servizio scolastico (gli
esiti di istruzione, valutati internamente o esternamente), all’outcome (gli esiti formativi in senso più lato), all’impatto del servizio stesso (i risultati a distanza); con tale chiave di lettura possono essere riconosciute le opportunità di sviluppo su cui concentrare la propria attenzione. Inevitabilmente il focus
sugli esiti formativi tenderà ad allargarsi ai processi che possono essere migliorati, sia in rapporto alle pratiche
educative e didattiche, sia in rapporto
alle pratiche gestionali e organizzative.
In stretta relazione con le opportunità di
sviluppo entra in gioco l’interrogativo sui
rischi da considerare, che aiuta a contestualizzare le riflessioni del gruppo e a
riportarle alle condizioni di fattibilità offerte dal contesto d’azione. Può essere
utile a tale riguardo provare a leggere i
due interrogativi in parallelo tra loro, cercando di evidenziare per le diverse opportunità evidenziate i relativi rischi e difficoltà che potrebbero emergere.
matrice Swot, la quale è costruita intorno a due parametri chiave: da un lato
la distinzione tra aree di positività e
aree di negatività, che caratterizza inevitabilmente qualsiasi processo valutativo, dall’altro la distinzione tra uno
sguardo retroattivo, orientato verso il
passato, e uno sguardo proattivo,
orientato verso il futuro. La combinazione dei due parametri permette di riconoscere quattro regioni: le forze e le
debolezze emergenti dalla riflessione
sul funzionamento pregresso, le opportunità e i rischi riconoscibili in rapporto
all’azione futura; proprio l’invito a spostare lo sguardo verso il futuro rappresenta la caratteristica qualificante di
questo strumento e il suo valore aggiunto in rapporto alla formulazione dei
giudizi valutativi.
L’uso della matrice Swot
Il suggerimento è proporre la matrice
Swot al gruppo di autovalutazione,
contestualmente all’espressione dei
giudizi valutativi sulle 11 aree di indagine previste dal Rav, come invito a rileggere globalmente gli esiti del procedimento autovalutativo (vedi tavola 1).
In particolare si prevede in una prima
fase di centrarsi sulla parte superiore
del quadrante, sintetizzando le principali forze e debolezze emergenti
dall’autovalutazione, con particolare attenzione alle aree relative agli esiti formativi; in una seconda fase di spostare l’attenzione sulla parte inferiore domandandosi: “Quali opportunità di sviluppo ci sembra emergano dal profilo
autovalutativo per il nostro istituto scolastico?”; “Quali rischi/difficoltà/ minac-
Tavola 1 – Matrice Swot
Quale profilo del nostro istituto emerge dall’autovalutazione?
32
+
-
Guardando indietro
Forze
Debolezze
Guardando avanti
Opportunità
Rischi
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
La scelta delle priorità:
il diagramma fattibilità-interesse
Sulla base della riflessione condotta nel
gruppo di autovalutazione attraverso la
matrice Swot si tratta di individuare un
insieme di opzioni alternative in rapporto alle priorità di sviluppo e ai relativi
traguardi di esito di lungo periodo (3
anni), a partire dalle indicazioni fornite
nel Rav in merito a tali concetti.
Il risultato atteso può essere un prospetto contenente un elenco di possibili priorità (orientativamente dalle 5 alle 10 voci), classificate in relazione ai
quattro ambiti di esito, per ciascuna
delle quali si ipotizza un possibile traguardo triennale da perseguire in termini operativi e, possibilmente, quantificabili (vedi tavola 5.1.1. del Rav); la
definizione del traguardo può aiutare
già in questa fase a tradurre in termini
più operativi ciascuna priorità di sviluppo individuata.
La matrice Swot e il prospetto con le
diverse opzioni devono essere presentati all’intera comunità professionale
dei docenti dell’istituto come report di
sintesi del procedimento valutativo e
come occasione per proporre un’indagine tra i docenti in merito alle scelte
da operare sulle priorità strategiche da
perseguire nel piano di miglioramento.
Tale indagine può essere realizzata utilizzando il diagramma fattibilità/interesse, la cui caratteristica è proprio quella di aiutare a stabilire, tra un insieme
di proposte di sviluppo, su quali centrare l’attenzione.
In primo luogo si tratta di chiedere a
ciascun docente di stilare due graduatorie delle proposte formulate in rapporto alle priorità di sviluppo e ai relativi traguardi: la prima sulla base dell’interesse di ciascuna proposta in rapporto al cambiamento atteso, la seconda
sulla base della fattibilità della proposta di miglioramento.
In secondo luogo si confrontano gli ordini di graduatoria stilati da tutti i soggetti interpellati e, per ogni priorità, si
calcola un indice medio su ciascuno
dei due parametri considerati (interesse e fattibilità) assegnando un punto
nel caso la priorità sia stata collocata
all’ultimo posto in graduatoria, due
Le diverse
opzioni
di priorità
devono essere
presentate
all’intera
comunità
professionale,
in modo
da verificarne
interesse
e fattibilità
33
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Le priorità
individuate
dovrebbero
tradursi
in traguardi
di medio/lungo
periodo,
rilevabili
e confrontabili
con opportuni
indicatori
punti al penultimo posto e via dicendo;
un indice medio elevato, quindi, segnala un maggiore gradimento sulla priorità in relazione al suo interesse o alla
sua fattibilità.
A questo punto ciascuna priorità può essere rappresentata su un diagramma cartesiano per il quale il punto 0 degli assi è
rappresentato dalla metà delle opzioni
proposte nell’indagine (ad esempio, nel
caso di sette opzioni, 3,5), collocandola
al punto di intersezione tra il giudizio medio di fattibilità e il giudizio medio di interesse. Il diagramma consentirà di rappresentare anche visivamente le ipotesi che
si collocano nel quadrante in alto a destra, su cui concentrare l’attenzione in
rapporto all’elaborazione del piano di miglioramento (vedi tavola 2).
Al di là delle risultanze dell’indagine, che
saranno poi vagliate e sintetizzate dal
gruppo di autovalutazione, lo scopo di
questo passaggio consiste nel promuovere la condivisione in ordine a un passaggio strategico chiave dell’intero processo autovalutativo, ovvero la definizione delle priorità di sviluppo, vero spartiacque tra la fase diagnostica e la fase
migliorativa del procedimento proposto.
Dalla priorità strategica
ai traguardi di esito
Le risultanze dell’indagine sulla fattibilità e l’interesse delle diverse opzioni
dovrebbero consentire al gruppo di au-
tovalutazione di scegliere la priorità o
le due priorità strategiche previste nel
Rav. Così pure i traguardi di esito prefigurati nella fase precedente rappresentano la base per definire con maggiore precisione, anche sulla scorta di
quanto emerso dalla consultazione tra
i docenti, i traguardi di lungo periodo
sugli esiti formativi da perseguire nei
successivi tre anni. È evidente, a tale
proposito, che occorre dedicare particolare cura alla formulazione di tali traguardi in rapporto alla loro effettiva sostenibilità per l’istituto, oltre che alla
possibilità di rilevarli empiricamente.
In rapporto alla priorità strategica, il valore aggiunto che il traguardo di esito
dovrebbe apportare riguarda la possibilità di disporre di un target di riferimento utile a monitorare i progressi
dell’istituto scolastico nell’affrontare la
priorità strategica e a valutare complessivamente l’efficacia del piano di miglioramento.
Ciò comporta, innanzi tutto, la declinazione della priorità strategica in termini
di indicatori empiricamente rilevabili e,
possibilmente, confrontabili in termini
longitudinali (come evoluzione dell’istituto nel tempo) e trasversali (come comparazione tra l’istituto e altre realtà formative e/o territoriali). È opportuno precisare che generalmente possiamo riconoscere una pluralità di indicatori in rapporto a una priorità strategica; si tratta
pertanto, di scegliere quello più signifi-
Tavola 2 – Diagramma fattibilità-interesse: un esempio
Interesse massimo
Ipotesi da approfondire
Fattibilità
minima
34
Ipotesi da scartare
Ipotesi da attuare
Ipotesi da approfondire
Interesse minimo
Fattibilità
massima
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
cativo o di selezionare una rosa di indicatori da considerare; è evidente che se
siamo in presenza di indicatori metrici
vengono facilitate le operazioni di comparazione e di definizione di soglie di
raggiungimento.
Una volta definiti gli indicatori si tratta
di valutare se ci sono degli standard di
riferimento (in particolare per gli indicatori metrici) utili a definire una soglia di
risultato per il successivo triennio; in
assenza di standard è possibile definire la soglia in termini longitudinali, come miglioramento della propria prestazione nel tempo.
Come si è detto è importante valutare
attentamente la soglia di risultato da
prevedere nel traguardo di esito, possibilmente in relazione anche a una serie storica di dati, considerando le diverse variabili di contesto che possono condizionare gli esiti dell’istituto. La
definizione di uno o più traguardi di
esito rappresenta comunque un riferimento prospettico molto importante
per la progettualità dell’istituto, utile a
orientare sia le azioni intenzionalmente rivolte al loro raggiungimento, sia
l’azione organizzativa e formativa in
senso più lato.
La definizione degli obiettivi
di processo
L’ultimo passaggio richiesto dal Rav riguarda l’individuazione di obiettivi di processo attraverso cui perseguire le priorità selezionate e contribuire al raggiungimento dei traguardi di esito previsti. A
tale riguardo è opportuno provare a
esplicitare la relazione che è prefigurata
tra i diversi termini impiegati nel Rav per
l’impostazione del piano di miglioramento, che costituirà lo sviluppo naturale del
procedimento autovalutativo:
- le priorità, come abbiamo già evidenziato, rappresentano l’orizzonte
strategico del piano di miglioramento in rapporto ai risultati formativi
che l’istituto scolastico intende promuovere;
- i traguardi di esito costituiscono le variabili dipendenti del piano che si andrà ad attuare, ovvero i risultati attesi
su cui poter valutare il grado di successo del piano di miglioramento;
- gli obiettivi di processo definiscono
le variabili indipendenti, ovvero i
mezzi attraverso i quali si intende
perseguire un miglioramento sui traguardi di esito.
Gli obiettivi
di processo
sono le leve
su cui operare
per migliorare
i risultati
formativi
(traguardi)
che scaturiscono
dalle priorità
35
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Focus
Il campo di forze
consente
di tenere
sotto controllo
fattori
favorenti
(da potenziare)
e fattori
ostacolanti
(da attenuare)
Tavola 3 – Esempio di campo di forze
Priorità strategica: diminuzione dell’abbandono scolastico
Che cosa facilita
il raggiungimento
della priorità?
Curricolo, progettazione e valutazione
Ambiente di apprendimento
Inclusione e differenziazione
Continuità e orientamento
Orientamento strategico e organizzazione
della scuola
Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane
Integrazione con il territorio e rapporti con
le famiglie
Gli obiettivi di processo, quindi, definiscono le leve su cui operare per migliorare i risultati formativi su cui si è focalizzata la propria attenzione. Da qui la cura
con cui devono essere individuati, in rapporto alle diverse aree di indagine delle
pratiche educative e didattiche e delle
pratiche gestionali e organizzative, sulla
base dei giudizi valutativi emergenti dai
passaggi precedenti. Anche in questo
caso si propone uno strumento che può
aiutare il gruppo di autovalutazione a portare a sintesi le risultanze autovalutative
in funzione dell’individuazione degli
obiettivi di processo: il campo di forze,
uno strumento che sollecita a rappresentare le forze che favoriscono od ostacolano una certa esperienza o un certo
evento consentendo di cogliere la dinamica presente tra le forze attrattive e repulsive che lo determinano, tra i fattori di
facilitazione e di resistenza.
Il campo di forze
36
Nel caso specifico si propone al gruppo di autovalutazione di focalizzare l’attenzione sulla o sulle priorità strategiche individuate e di impiegare il campo di forze per una prima analisi dei fattori favorenti e ostacolanti lo sviluppo
della priorità stessa; tali fattori possono essere ricondotti agli ambiti di indagine del Rav relativi ai processi (vedi tavola 3). L’analisi compiuta attraverso il
campo di forze può aiutare a formulare gli obiettivi di processo a breve termine, visti come potenziamento di alcuni fattori favorenti o come attenuazione di alcuni fattori ostacolanti.
In estrema sintesi, con questi contributi si sono voluti offrire alcuni spunti di lavoro in direzione di un approccio partecipato, riflessivo e situato al procedi-
Che cosa ostacola
il raggiungimento
della priorità?
mento valutativo previsto dal SNV, caratteristiche distintive di una metodologia valutativa congruente con le caratteristiche di un servizio formativo, in modo da interpretare il Rav non come l’ennesimo adempimento, ma come un’opportunità per uno scatto in avanti.
Riferimenti bibliografici
Associazione TreeLLLe, L’Europa valuta la
scuola. E l’Italia?, Quaderno n. 2, novembre, 2002.
N. Bottani, A. Cenerini (a cura di), Una pagella per la scuola, Erickson, Trento, 2003.
M. Castoldi, Qualità a scuola, Carocci,
Roma, 2005.
M. Castoldi, Valutare a scuola, Carocci,
Roma, 2012.
Fondazione Agnelli, La valutazione della
scuola. A cosa serve e perché è necessaria all’Italia, Laterza, Bari, 2014.
M. Lichtner, La qualità delle azioni formative, Franco Angeli, Milano, 1999.
J. Mc Beath, A. Mc Glynn, Autovalutazione nella scuola, Erickson, Trento, 2006.
A. Paletta, Scuole responsabili dei risultati, Il Mulino, Bologna, 2012.
M. Palumbo, Il processo di valutazione,
Franco Angeli, Milano, 2011.
M. Schratz, L. Bo Jakobsen, J. MacBeath,
D. Meuret, Autovalutazione e cambiamento attivo nella scuola, Erickson, Trento, 2003.
P. Sestito, La scuola imperfetta, Il Mulino,
Bologna, 2014.
K.E. Weick, Senso e significato nell’organizzazione, Cortina, Milano, 1997 (ed.
orig.1976).
Mario Castoldi
Docente presso la Facoltà di Scienze della formazione
dell’Università degli Studi di Torino, esperto di
problematiche valutative in ambito scolastico
[email protected]
Le prove Invalsi
nell’autovalutazione
di Aurelia Orlandoni
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
Gli indicatori nell’apprendimento
Il format del Rav, elaborato da Invalsi,
è un documento articolato in 5 sezioni
che prevede 49 indicatori attraverso i
quali le scuole potranno scattare la loro fotografia, individuare i loro punti di
forza e debolezza, mettendoli a confronto con dati nazionali e internazionali, ed elaborare le strategie per rafforzare la propria azione educativa. Il
Rav sarà pubblicato a luglio 2015 sul
portale “Scuola in chiaro” e sul sito
dell’istituzione scolastica.
Fra i 49 indicatori previsti, 3 di questi
riguardano gli esiti delle prove standardizzate:
a) i risultati degli studenti nelle prove
Invalsi;
b) i livelli di apprendimento degli studenti;
c) la variabilità dei risultati fra le classi.
Di seguito si propone una lettura dei
dati restituiti alle scuole da Invalsi in riferimento ai tre indicatori allo scopo di
ricavare informazioni sui punti di forza
e i punti di debolezza della scuola e,
soprattutto, di fornire spunti per ulteriori approfondimenti. Si inizierà dall’ultimo dei tre indicatori in quanto si ritiene importante iniziare a leggere la
scuola proprio dalla variabilità Tra/Dentro le classi.
Variabilità dei risultati
fra le classi
Descrittore: Varianza interna alle classi
e fra le classi
Prima di entrare nel merito dei dati che
vengono forniti è bene chiarire il significato e l’importanza della variabilità dei
risultati al fine dell’equità.
Le ricerche internazionali comparative
sugli apprendimenti (Timss e Pisa in
particolare) definiscono equo un sistema scolastico in cui ci sia una grande
variabilità di risultati nelle prove all’interno di ogni istituzione scolastica e
una bassa variabilità fra le diverse isti-
tuzioni. Infatti un sistema scolastico
può essere definito equo se ogni istituzione scolastica offre le stesse opportunità di raggiungere le competenze
previste per quel livello scolare. Questo non significa che tutti debbano fare le stesse cose ma che qualunque
scuola un ragazzo frequenti al termine
di essa avrà raggiunto livelli di apprendimento molto simili.
Purtroppo i risultati delle prove standardizzate (nazionali e internazionali) evidenziano che la scuola italiana presenta grandi differenze territoriali, grandi
differenze fra le scuole e scarse differenze all’interno delle scuole. L’esatto
opposto dell’equità così come è stata
definita.
Si capisce quindi l’importanza dei dati
sulla variabilità fra le classi e dentro le
classi che consentono a ogni scuola di
avere informazioni quantitative sulle differenze interne.
Invalsi restituisce, per ogni disciplina e
per ogni classe, un grafico in cui viene
confrontata la variabilità tra le classi
della scuola con quella del campione
Italiano, sia in riferimento ai punteggi
ottenuti nella prova sia in riferimento
all’Escs. È opportuno rilevare che un
basso livello di variabilità tra le classi
indica un alto tasso di omogeneità e di
equilibrio nella loro composizione e
quindi una complementare maggiore
variabilità al loro interno dove saranno
presenti tutti i livelli di rendimento.
Un sistema
educativo
equo
dovrebbe
ridurre
la variabilità
tra le diverse scuole
e tra le classi
della medesima
scuola
ESCS
Escs è l’indice di status socio-economico-culturale, cioè del background che
viene attribuito a ogni studente sulla base delle informazioni fornite dal questionario scuola e dal questionario studente. Il calcolo dell’Escs si basa su indicatori discreti, come il livello d’istruzione
dei genitori e la loro condizione occupazionale, ma anche su un indicatore continuo in grado di esprimere una misura
delle condizioni materiali in cui vive l’allievo al di fuori della scuola.
37
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Figura 1 – Variabilità fra le classi (V primaria)
Gli apprendimenti
I dati Invalsi
ci mostrano
quanta
‘differenza’
ci sia
tra le classi
di un istituto,
pesando anche
le variabili
socio-culturali
38
Classi equi-eterogenee
Di seguito vengono illustrate due situazioni completamente diverse dal punto di vista dell’equità.
Il grafico di figura 1 rappresenta l’andamento della variabilità in una quinta primaria. Immediatamente si coglie che
non esistono differenze significative fra
l’andamento nella scuola e quello nel
campione nazionale. Entrando nel dettaglio e analizzando le due colonne di sinistra, si vede che la differenza tra le
classi riferita ai punteggi ottenuti è del
2,1% e quindi il 97,9% (cioè il complemento rispetto al 100%) è la differenza
interna alle classi. Si può concludere
che, in riferimento ai punteggi la variabilità è praticamente tutta interna alla classe e non ci sono differenze significative
fra una classe e l’altra dell’istituto.
Le altre due colonne a destra mostrano che la differenza tra le classi dell’istituto scolastico in termini di Escs è
del 12,4% mentre nel campione è del
13,2%. Anche qui quasi tutta la variabilità di Escs dell’istituto (87,6%) è interna alle classi. Si può dedurre che le
classi appaiono “ben formate” dal punto di vista dell’equieterogeneità.
Il grafico di figura 2 rappresenta l’andamento della variabilità in una II secondaria di secondo grado. Immediatamente si coglie che l’istituto presenta grosse differenze rispetto all’andamento nel campione. Entrando nel det-
taglio e iniziando dalle due colonne di
sinistra, si vede che la differenza tra le
classi riferita ai punteggi ottenuti è del
28,6% e quindi il 71,4% è la differenza
dentro alle classi. Ancora più marcata
è la differenza istituto-campione nazionale in relazione all’Escs, il 52,2% della differenza è tra le classi e quindi il
47,8% è dentro le classi.
Si può osservare che la situazione è
molto preoccupante perché si ha l’impressione di classi omogenee al loro interno ma molto diverse fra loro sia in termini di Escs sia in termini di punteggi,
l’esatto contrario di equità. Questa situazione richiede una riflessione e un
approfondimento perché, a meno che
non si tratti di un istituto in cui ogni classe appartiene a un indirizzo diverso e
quindi la formazione delle classi è obbligata, occorre interrogarsi sia sulla formazione iniziale delle classi sia su eventuali problemi didattici che incidono così pesantemente sui risultati: a esempio
cambiamenti molto frequenti (più di uno
all’anno) di insegnanti in alcune classi o
altre situazioni didattiche problematiche
possono essere causa di risultati molto
diversi.
Classi omogenee ma diverse
tra loro
In riferimento ai dati sulla variabilità si
ricorda che in II elementare vengono
restituiti solo i dati sulla variabilità dei
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Figura 2 – Variabilità fra le classi (II secondaria di secondo grado)
punteggi in quanto non viene compilato il questionario studente (1).
È chiaro a questo punto che le misure
di variabilità interna alla scuola sono
uno strumento importante di verifica
della composizione delle classi e vanno lette da ogni scuola alla luce della
propria realtà particolare (ad esempio
differenze fra le classi con tempi scuola diversi, oppure differenze fra classi
con indirizzi diversi).
I risultati degli studenti nelle
prove di Italiano e di Matematica
Descrittori:
- Punteggi della scuola, delle classi e
delle sedi in Italiano e Matematica;
- Differenze nei punteggi rispetto a
scuole con Escs simile
Le informazioni relative a questo indicatore rilasciate dall’Invalsi sono principalmente contenute nella tabella e nel
1) Nel 2014 non sono stati rilasciati da Invalsi i
grafico di cui si fornisce un esempio e
la descrizione.
Le due figure 3 e 4 riportano i risultati
in Matematica di quattro classi quinte
di una scuola primaria.
Nella tabella sono cerchiati due dati, la
media ottenuta dagli studenti della
classe 1 al netto del cheating (cioè tolta la percentuale di punteggio attribuibile al cheating) e il valore del cheating
in percentuale. In questo caso la classe ha una percentuale di cheating presunto del 25,9%, che è un valore significativamente allarmante.
È importante sottolineare il rischio di
falsi positivi (2) soprattutto quando la
prova risulta complessivamente facile. Per questo motivo Invalsi restituisce anche il dato osservato (penultima colonna), cioè quello realmente
ottenuto dalla classe. La scuola ha
tutti gli elementi per valutare fino in
fondo la situazione. Nel caso della figura 3, da una discussione con gli insegnanti delle classi è emerso che,
Gli apprendimenti
Una forte
variabilità
tra classi può
essere sintomo
di problemi diversi:
nella loro
composizione,
negli indirizzi
e nei tempi-scuola,
nell’assegnazione
dei docenti
dati sulla misura della variabilità per la classe
III della secondaria di primo grado. Infatti gli
2) In statistica per falsi positivi si intendono i
studenti non compilano il questionario
casi che risultano positivi al fattore studiato
studenti, perché la prova Invalsi si svolge
(in questo caso il cheating) pur non
all’interno dell’esame di Stato e non è stata
essendolo in realtà (nel nostro caso pur non
effettuata la prova Invalsi nella classe I della
essendo casi reali di cheating). Nelle prove
secondaria di primo grado; mancano quindi
questi casi si concentrano soprattutto nelle
le informazioni di contesto che venivano
classi seconde di secondaria di secondo
raccolte per determinare l’Escs di scuola.
grado e in particolare nei licei.
39
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
L’analisi
dei dati
restituiti
dall’Invalsi
consente
di capire
molti aspetti
del progetto
didattico
di una classe
40
Figura 3 – Tavola 1B Matematica (MAT)
Figura 4 – Confronto con le 200 scuole (Mat)
oltre a pratiche didattiche riconosciute molto valide da tutti i docenti, in
quella classe erano state appena discusse e affrontate situazioni che
hanno consentito, tra l’altro, ai bambini di rispondere correttamente (tutti!) a un quesito che è risultato il più
difficile a livello nazionale.
Per il significato dei dati contenuti
nelle altre colonne si rimanda ai documenti di accompagnamento alla restituzione dei dati e in particolare al-
le note. Si ricorda anche che sul sito
Invalsi nella pagina di restituzione dei
dati alle scuole è presente il link a un
Tutorial multimediale per la lettura dei
dati che può essere molto utile per
una migliore comprensione dei dati
stessi.
La comparazione
In figura 4 sono riportati gli stessi dati della tabella in forma grafica e vie-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
ne, soprattutto, rappresentato il confronto con i punteggi medi ottenuti
dalle 200 classi con Escs simile alla
classe in esame (quadratino pieno),
con i dati medi della Regione e con i
dati medi del campione italiano; la linea nera evidenzia se la classe è sopra o sotto il punteggio ottenuto dalle
scuole con Escs simile. Il puntino alla
fine della linea rappresenta il punteggio, al netto del cheating, della classe.
In questo esempio risulta evidente che
tutte le classi della scuola (anche quella con una cheating del 25,9%), al netto dal cheating, ottengono risultati
sempre superiori a quelli ottenuti nelle scuole con Escs simile.
È questo un primo dato di valore aggiunto poiché ogni classe e ogni istituto scolastico viene confrontato con
classi o scuole simili.
Questo confronto è particolarmente importante perché consente alla scuola
di confrontarsi con situazioni analoghe
e verificare quindi come si colloca rispetto a chi parte dalle sue stesse condizioni socio-economico-culturali. Sarebbe ingiusto e poco significativo un
confronto con situazioni troppo diverse, ad esempio fra scuole che operano
in territori difficili e scuole che operano
in territori privilegiati.
La lettura di questi dati può portare a
spunti di approfondimento perché solo la scuola è in grado di rispondere a
domande del tipo: perché ci sono andamenti diversi fra le classi e/o fra le
discipline?
Il Cheating
Cosa si intende per cheating (letteralmente imbrogliare) e come viene calcolato? Esso rappresenta i comportamenti anomali nei risultati e viene calcolato
in modo automatico tenendo conto di diversi fattori concomitanti: elevata percentuale di risposte corrette, bassa variabilità della percentuale di risposte corrette all’interno della classe, bassa variabilità nelle modalità di risposta a ciascun item, basso tasso di mancate risposte, che possono fare ipotizzare
comportamenti anomali confrontati con
dati di contesto (voti al primo quadrimestre,…) e difficoltà degli item.
Il background familiare ha un peso sui
risultati delle classi? Le medie del gruppo di riferimento (200 classi) sono simili o diverse tra loro? Perché?
Sono domande importanti per la predisposizione di un piano di miglioramento efficace che possa intervenire laddove compaiono evidenti criticità.
Gli apprendimenti
Il confronto
con situazioni
simili
sotto il profilo
socio-culturale
fa intuire
il concetto
di ‘valore aggiunto’
I livelli di apprendimento
degli studenti
Descrittori: Alunni collocati nei diversi
livelli in italiano e in matematica
Le tavole da analizzare in relazione a
questo descrittore sono quelle Tav. 4A
Italiano, Tav. 4B Matematica e Tav. 5
Italiano/Matematica – Numerosità (tavole scaricabili dalle scuole).
Le prime due riportano, classe per
classe, il numero di allievi che si è collocato in ognuno dei 5 livelli così individuati:
Livello 1 – contiene gli studenti che
hanno totalizzato un punteggio minore
o uguale al 75% della media nazionale. Ad esempio quest’anno la percentuale media di risposte corrette in quinta primaria in matematica è stata 62,9.
Quindi nel primo livello sono stati collocati tutti gli studenti che hanno ottenuto un punteggio medio minore o
uguale a 47,2 (il 75% di 62,9).
Livello 2 – contiene gli studenti che
hanno totalizzato un punteggio mag-
41
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
La collocazione
degli allievi
nelle diverse fasce
di livello
offre
informazioni
utili
alla
ri-progettazione
didattica
Tavola 5 – Italiano/Matematica - numerosità
Istituzione scolastica nel suo complesso
Prova di matematica
Numero
Numero
Numero
Istituzione scolastica
studenti
studenti
studenti
livello 1-2
livello 3
livello 4-5
Numero studenti
27
2
7
livello 1-2
Prova
Numero studenti
di
17
11
14
livello 3
italiano
Numero studenti
12
10
43
livello 4-5
giore del 75% della media nazionale e
minore o uguale al 95% della media nazionale
…
Livello 5 – contiene gli studenti che
hanno totalizzato un punteggio superiore al 125% della media nazionale.
I dati di ogni classe e della scuola vengono confrontati con quelli della regione di appartenenza, della macro-area
e dell’Italia.
È particolarmente interessante osservare quanti studenti si collocano nei livelli estremi (1 e 5) che individuano rispettivamente gli studenti con gravi carenze e gli studenti eccellenti.
La distribuzione per livelli
42
Di particolare interesse è la tavola 5 che
indica la numerosità degli studenti nei
diversi livelli di apprendimento in Italiano e Matematica.
Questa tabella consente una lettura incrociata della numerosità degli studenti nei livelli nelle prove di italiano e di
matematica. Gli studenti che si collocano nelle caselle evidenziate in grigio
si trovano negli stessi raggruppamenti
di livello sia in italiano sia in matematica, come ci si aspetta che accada per
la stragrande maggioranza.
I dati anomali sono invece gli studenti
che si collocano nell’ultima casella in
basso a sinistra (12) e quelli che si collocano nell’ultima casella in alto a destra (7). Questi studenti si trovano nei
livelli alti in italiano e in quelli molto bassi in matematica (12) e viceversa (7).
Lo squilibrio è significativo e merita un
approfondimento interno alla scuola: è
opportuno andare a vedere le Tav. 4A
e 4B per vedere se questi studenti sono distribuiti equamente nelle diverse
classi oppure sono concentrati in alcune classi soltanto.
In conclusione i dati restituiti alle scuole da Invalsi meritano una lettura approfondita e possono offrire spunti di riflessioni interessanti soprattutto se le prove standardizzate vengono vissute nella scuola come occasione di analisi e
di miglioramento e non, come spesso
accade, come un giudizio che cade
dall’alto. Il RAV può costituire un’occasione importante a questo scopo.
www.istruzione.it/sistema_valutazione/
Presentazione del format del Rapporto di
Autovalutazione
(27-28 ottobre 2014)
Aurelia Orlandoni
Collaboratrice di Invalsi per le prove di matematica,
esperta di statistica, già docente di matematica
[email protected]
Valutare
gli apprendimenti
a scuola
Prove strutturate, prove di scuola,
valutazione quotidiana: il contributo di Avimes
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
di Silvana Mosca
È possibile una statistica
amichevole?
In oltre quindici anni di attività nelle
scuole della rete Avimes sono stati sperimentati il rigore indispensabile delle
procedure valutative e valutazioni sempre più approfondite, capaci di cogliere i significati, le potenzialità, i progressi degli alunni e di promuovere lo sviluppo professionale degli adulti, ai fini
del miglioramento continuo degli esiti
e dell’innovazione educativa.
La valutazione degli alunni ha chiamato in causa l’autovalutazione dell’insegnamento e – di riscontro – l’autovalutazione degli alunni stessi.
Le pratiche, volute da docenti e dirigenti e sostenute dagli esperti in sessioni di
formazione nazionale, locale e internazionale, costituiscono ricerca autentica,
sono fuori da logiche burocratiche, motivano le scuole, introducono una statistica amichevole, pur densa di sfide e di
aspirazioni, accrescono l’autostima in
luogo di abbatterla.
I rischi di implosione sono sempre in
agguato, ma i miglioramenti ottenuti ripagano i singoli e i gruppi, la valutazione diventa pratica intrinseca al fare
scuola.
Le prove Invalsi prima, e il Rav oggi, si
inseriscono in scuole ove gli attori hanno già sperimentato forme analoghe,
nell’alternanza indispensabile fra valutazione esterna e valutazione interna.
Molti docenti e dirigenti della rete hanno svolto in questi anni attività di formazione di colleghi, coordinato dipartimenti e gruppi di ricerca-azione, collaborato con il gruppo autori delle prove nazionali, realizzato materiali didattici e relazioni di esperienze il cui valore è stato
riconosciuto anche all’esterno.
La Rete Avimes
Avimes è una rete di 50 scuole del Piemonte e
di altre regioni, che opera dal 1996 in tema di
Autovalutazione di Istituto per il Miglioramento
dell’Efficacia della Scuola. La valutazione degli
apprendimenti e degli esiti educativi è al centro
della ricerca secondo un approccio funzionale
che deriva dal modello della School Effectiveness,
nel quale il contesto e le risorse dell’istituto sono
considerate variabili pressoché indipendenti,
mentre i processi organizzativi e didattici sono
ritenuti variabili ‘malleabili’ da parte dei diversi
attori scolastici, al fine di ottenere i migliori risultati
educativi.
Le prove standardizzate
nazionali e internazionali
Avimes considera da vicino e applica
metodi e strumenti valutativi Invalsi,
Iea-Timss e Pirls, Pisa; ne approfondisce i presupposti, oltre a considerarne
l’impatto e ad accompagnare le rilevazioni con gruppi di lavoro che valorizzano le proposte come situazioni di insegnamento/apprendimento.
Le applicazioni sono assistite a distanza dal gruppo di progetto e precedute
da fasi formative sui quadri di riferimento delle competenze da accertare e sulle tecniche di costruzione delle prove
(formulazione dei quesiti, revisione, selezione qualitativa degli item, pretest,
cenni di tecniche psicometriche, collegamento con le Indicazioni/Linee guida curricolari) (1). Gli insegnanti vengono introdotti ai metodi utilizzati dagli
esperti e ne colgono la valenza, possedendo gli elementi per discutere di va-
La ricerca
in rete
sulla valutazione
affronta
questioni
concettuali
(i quadri
di riferimento)
e tecniche
(le prove
di apprendimento)
1) Cfr. Invalsi (2014), Rilevazioni nazionali degli
apprendimenti 2013-14. Rapporto tecnico,
in www.invalsi.it
43
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
In rete
si analizzano
le competenze
richiamate
dalle prove,
ma anche
gli atteggiamenti
di docenti
e allievi
nei loro confronti
lutazione con gli addetti ai lavori, in luogo di percepire la valutazione esterna
come un’imposizione o un rischio.
Ogni anno viene affrontato un tema di
ricerca didattica in relazione ai nodi
concettuali fondamentali o ai punti di
criticità. Ad esempio:
- l’argomentazione come competenza necessaria alla comprensione testuale in diversi ambiti disciplinari;
- la pratica del riassunto come modalità formativa delle capacità di individuazione delle informazioni e di rielaborazione del testo di italiano
(processi basilari per la formazione
del metodo di studio);
- la statistica descrittiva essenziale
per una cittadinanza consapevole;
- le trasformazioni geometriche per la
concettualizzazione dello spazio.
L’impatto delle prove standardizzate
esterne sui docenti è esplorato con l’utilizzo di griglie di analisi critica della copertura del curricolo realizzato rispetto
al contenuto della prova e alle Indicazioni e Linee guida ministeriali (OTL, Opportunity to learn). Viene anche utilizzata una griglia di auto-intervista didattica
del docente, per rilevare le sue aspettative di risultato nei singoli studenti (2).
Le prove standardizzate sono volte a
misurare ciò che l’alunno sa e sa fare
‘senza aiuto’. Quelle esterne mirano a
conoscere quanto e come le scuole, le
classi o le coorti di ragazzi di una certa età scolastico-formativa possiedano
gli elementi fondamentali previsti dal sistema di istruzione nazionale o condivisi in ambito internazionale.
Gli atteggiamenti emotivi di insegnanti, studenti e famiglie verso le prove
standardizzate sono studiate in letteratura, così come i comportamenti anomali (cheating) e le reazioni di resilienza. Circa la presa di coscienza delle
emozioni, Avimes ha avviato un’esperienza di utilizzo del disegno espressivo in alunni di 10 anni (figura 1).
Figura 1 – “Come mi sento dopo la prova
Invalsi” (3)
Valutazione diagnostica.
Errore e/è apprendimento
ed etica della valutazione
Avimes considera la valutazione un terreno delicato sul quale ogni passo va
compiuto con responsabilità, rigore e
fiducia, facendo buon uso dei dati, in
base al principio dell’etica della valuta3) Disegni realizzati da alunni di classe quinta
della scuola primaria “Roberto D’Azeglio” di
Torino: sono evidenziati gli aspetti di
autoefficacia e di percezione del pensiero
2) Cfr. O. Marasso, S. Mosca, Autovalutazione
44
interiore. Anche gli insegnanti sono
dell’insegnamento, in G. Barzanò, S. Mosca,
coinvolti con una scala di autoefficacia del
J. Scheerens, op. cit.
docente. Ricerca-azione di O. Di Benedetto.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Figura 2 – Protocollo autentico Avimes della prova D13 SNV-2010 Invalsi (4)
zione. Si aiutano i vari attori a entrare
nei risultati, ad affrontare l’errore e l’esito eventualmente negativo, così come a spiegare il risultato positivo.
Risulta fruttuoso lavorare sulle prove
oggettive intorno alla struttura degli
item, alle risposte o alle omissioni, mediante la discussione con e tra gli allievi circa le strategie adottate. Nella didattica d’aula si riutilizzano i fascicoli
delle prove già tabulati, per approfondire le diagnosi o rinforzare le competenze in corso di formazione. I protocolli autentici delle prestazioni degli
alunni, gli appunti scritti a margine, le
tracce delle revisioni contengono indizi preziosi affinché i docenti analizzino
e ri-modulino l’insegnamento e gli studenti riflettano, ri-tentino le soluzioni,
argomentino gli esisti positivi, si autovalutino.
4) J. Scheerens, S. Mosca, R. Bolletta, op. cit.
La valutazione entra a far parte del fare scuola e della leadership di istituto,
non alla conclusione di un percorso,
bensì all’inizio, durante e dopo.
Le proposte delle prove strutturate sono trasformabili in situazioni di apprendimento secondo una didattica laboratoriale: basti pensare alla tecnica della
revisione del testo su supporto informatico per esplorare le famiglie lessicali oppure al lavoro a coppie per il problem solving.
Gli apprendimenti
Rispetto
alle prove
strutturate
si possono
studiare
i protocolli,
le integrazioni,
gli errori,
gli appunti
borderline
degli allievi
Il feedback valutativo nella
valutazione quotidiana e nelle
prove oggettive
Il valore di ogni operazione valutativa
deriva in buona parte dal feedback che
il giudizio espresso dal valutatore rinvia al fornitore dell’informazione. Nel
campo dell’educazione, il feedback caratterizza la visione dinamica dell’azio-
45
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
Figura 3 – Protocollo Avimes di attività con prova PISA 2003 (6)
Le prove
possono essere
‘smontate’
secondo
un approccio
costruttivo,
che rivela
processi
di ragionamento,
intuizioni,
operazioni
logiche, ecc.
46
ne di insegnamento orientata a far evolvere le conquiste ottenute via via
dall’apprendente. Sarà la valutazione
interna, in particolare quella quotidiana, che dovrà individuare le potenzialità e regolare la didattica. Come dice
Vygotskij, “La zona dello sviluppo potenziale ci aiuta a conoscere anche il
domani dello sviluppo, prendendo in
considerazione non i risultati già ottenuti ma anche quelli che sono in via di
acquisizione” (5).
Questo principio è valido in tutti i gradi
scolastici. Si osservi il protocollo di una
prova Pisa, con domanda a risposta
aperta argomentativa, utilizzata in classe per scopi di apprendimento più che
valutativi, secondo un approccio didattico costruttivo, nel quale sono centrali i processi di comprensione e soluzione, al di là della correttezza della risposta (figura 3).
Lo studente sta al gioco di sfida posto
dal problema, matematizza, ricorre a tutti gli strumenti mentali e disciplinari di cui
dispone, intuisce, esplora, opera, annota risposte parziali, recupera informazioni dal foglio e dalla memoria, commenta
ciò che sta facendo, indirettamente fornisce al valutatore indizi sul proprio ra-
5)L.S. Vygotskij, Storia dello sviluppo delle
6) Da J. Scheerens, S. Mosca, R. Bolletta, op.
funzioni psichiche superiori e altri scritti,
cit. Esperienza di S. Beltramino (Scuola sec.
Giunti, Firenze, 1974, ediz. originale 1934.
di II grado di Pinerolo).
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
gionamento, rendendosi disponibile a essere valutato; ma – soprattutto – impara,
conosce, assimila, conquista un risultato e corrobora l’impegno.
È difficile dire se l’attività sopra descritta costituisca un esempio di valutazione formativa e diagnostica, un’esperienza di autovalutazione da parte
dell’allievo oppure, complessivamente,
un apprendimento metacognitivo. La
struttura stessa del compito di apprendimento e di valutazione è generatrice
di ideazioni, pone un obiettivo chiaro,
ostacola una esecuzione meccanica e
superficiale, induce il rispondente a dare il meglio di sé e permette al valutatore/insegnante di rilevare livelli, processi e sfumature di prestazione. La
documentazione di esempi così pregnanti potrà utilmente costituire un
portfolio individuale delle specificità e
dei progressi di apprendimento, accanto a forme più sintetiche e globali.
Le prove di scuola
Fin dagli inizi Avimes operò per la costruzione di prove oggettive, l’applicazione nelle classi parallele della rete,
l’elaborazione e l’analisi dei risultati, l’ideazione di percorsi didattici idonei a
rimediare alle carenze riscontrate. L’architettura autovalutativa coinvolse il dirigente scolastico, il quale fu chiamato
ad auto-analizzare il proprio lavoro, in
base al principio che, per promuovere
azioni autovalutative, è necessario mettersi alla prova anche personalmente.
Spesso le prove di scuola vengono introdotte per esigenze di governance
(creare un linguaggio comune, sollecitare il confronto sulla base di evidenze
condivise, superare la discrasia fra il dichiarato e l’agito, attivare un circolo virtuoso fra valutazione, progettazione e
curricolo, favorire l’omogeneità degli
esiti nelle classi) (7).
Le prove comuni di istituto possono
adattare gli stimoli alle diversità fra allievi (disabili, Dsa, stranieri neoarrivati, Bes) e valutare le specificità, orientando in modo personalizzato il sostegno al successivo apprendimento: valutazione per l’apprendimento. Molte
scuole Avimes compiono esperienze
in questo ambito e accrescono la qualità degli strumenti attingendo all’expertise acquisita nella rete, la quale –
a sua volta – attinge alla sempre maggiore validità e varietà dei modelli Invalsi: si rea­lizza così un’alternanza interno/esterno con approccio multilivello, che dà forza e valore alla valutazione stessa (8).
Strumenti
comuni,
confronto
di dati,
analisi
delle prove,
vanno
nella direzione
di una valutazione
formativa
e diagnostica
7)Cfr. Esperienza scuola “Salgari”, resoconto
di E. Golzio.
8)Cfr. Esperienze interscuola: I.C. III di Chieri
(scuola polo Avimes, dirigente M. Perotti),
I.C. di Vinovo e altri.
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Gli apprendimenti
La semplificazione
intervenuta
con il voto
non dà ragione
dei criteri
di valutazione
né della qualità
degli apprendimenti
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I voti e oltre...
La valutazione a scuola ha differenti
funzioni: stimare le conoscenze e le
competenze degli allievi, diagnosticare le difficoltà, misurare ciò che gli alunni hanno appreso al termine di una fase di formazione, accompagnare i loro
progressi, certificare l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze, attestare il superamento degli esami.
L’attribuzione dei voti è spesso l’unica
forma di valutazione.
Ma i voti non permettono di identificare i punti di forza e di debolezza, non
evidenziano la qualità delle prestazioni, non tengono conto del background
socioculturale, sono classificatori e basati su scale ordinali e non metriche,
talvolta tentano di coniugare valutazioni a criterio (riferite al raggiungimento
degli obiettivi posti dalla programmazione) con valutazioni a norma (riferite
alla distribuzione dei punteggi nel gruppo classe, inteso come campione di riferimento). Si generano così misconcezioni e semplificazioni svianti o dannose (ad esempio per studenti e famiglie).
Sono noti, al riguardo, i disallineamenti tra voti e punteggi nelle prove oggettive (cfr. Pisa e Invalsi) e le disomogeneità di votazioni fra scuole e anche fra
classi del medesimo istituto; perplessità infine si generano quando i voti
tendono a esprimere elementi estranei
ai livelli di apprendimento (la condotta).
Eppure i voti appaiono di immediata
decodifica, ad esempio da parte delle
famiglie, anche in relazione alla forza
della tradizione, per una globale comunicazione.
Una revisione di queste modalità in
direzione dell’equità, di un reale supporto alle comunicazioni scuola-famiglia e alla riuscita scolastica caratterizza il dibattito attuale nel ministero
e nell’opinione pubblica, in Francia.
In Italia si affaccia l’esigenza di approfondire l’argomento, di ridurre ambiguità e discrasie, senza perdere la
ricchezza delle informazioni oggi disponibili, per coniugare con opportu-
ne integrazioni la molteplicità necessaria dei dati per una valutazione fondata ed efficace.
Riferimenti bibliografici
A.M. Ajello et al., Il decennale delle prove Invalsi, 2014, in www.invalsi.it.
F. Arzarello et al., Matematica: non è solo questione di testa. Strumenti per osservare i processi di apprendimento in
classe, Erickson, Trento, 2011.
G. Barzanò, S. Mosca, J. Scheerens,
L’autovalutazione nella scuola, Bruno
Mondadori, Milano, 2000.
Gruppo Matematica Avimes, Prove oggettive e valutazione su il Numero, Usr Piemonte, 2006.
Gruppo Lingua Avimes, Leggere per capire, rielaborare, apprendere, Usr Piemonte, 2007.
Gruppo Matematica Avimes, Un laboratorio per formare competenze, Usr Piemonte, 2008.
Gruppo Matematica Avimes e R. Zan, Porsi
e risolvere problemi, Usr Piemonte, 2011.
Gruppo percezioni Avimes e P. Maruca, Gli
allievi valutano la loro scuola, Avimes,
2014.
J. Scheerens, S. Mosca, R. Bolletta, Valutare per gestire la scuola. Governance,
leadership e qualità educativa, Bruno
Mondadori, Milano, 2011.
www.avimes.it
[email protected]
Silvana Mosca
Coordinatrice pedagogica della rete di scuole Avimes,
già dirigente tecnico Miur, collaboratore Invalsi,
autrice di saggi
[email protected]
www.reteavimes.it
Valutazione esterna
e peer review
Gli auditori nella rete Sirq
di Vito Infante
Peer review e controllo esterno
La storia della sperimentazione della
peer review inizia nel 2007, quando le
cento e più scuole della rete Sirq (1) propongono all’Ufficio scolastico regionale
per il Piemonte (2) un insieme di requisiti di qualità ed eccellenza specifici per
la scuola, tratti dalle molteplici esperienze di accreditamento regionale, certificazioni ISO ed esperienze sui premi
qualità secondo i modelli Efqm e Caf.
La nascita del Marchio collettivo nazionale Saperi, il cui disciplinare viene registrato presso l’ufficio “Marchi e brevetti” di Roma dall’Usr Piemonte, aveva l’obiettivo di incoraggiare la diffusione della cultura della qualità e dell’autovalutazione nelle scuole.
La differenza con i modelli ISO, Efqm e
Caf, studiati per le aziende e le pubbliche amministrazioni, è la forte curvatura sui processi e sui risultati didattici.
La metodologia per i controlli esterni è
quella della peer review, già sperimentata negli audit di parte prima e parte
seconda delle precedenti esperienze di
certificazione qualità ISO e accreditamento (3) della rete Sirq.
Insieme con il disciplinare che declina i
requisiti di qualità, sono introdotti il codice deontologico per gli auditor, le linee
guida per l’autovalutazione e la conduzione degli audit, la metrica per la condivisione dei punteggi e tutto il materiale di
supporto tratto da precedenti esperienze. Partner culturale di questo progetto
è il nucleo scuola di Aicq Piemontese.
1) “Sirq Scuole in rete per la qualità”, nata nel
2000, è partner dell’Usr Piemonte nella
gestione del Marchio Saperi ed è ente
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Valutazione
esterna
La rete SIRQ
Sono ormai più di ottanta le istituzioni scolastiche
pubbliche che sperimentano in varie regioni la
metodologia della peer review nell’ambito delle
attività di audit del Marchio Saperi, che l’Ufficio
scolastico regionale per il Piemonte gestisce con la
rete Sirq; il loro numero è in continuo aumento.
La governance della valutazione
Il Marchio Saperi fin dall’inizio viene
condiviso nei suoi diversi aspetti con
tutte le parti interessate che l’Usr riunisce in un Comitato interistituzionale di
controllo (4) con il compito di fornire al
Direttore generale un parere obbligatorio preventivo sulle certificazioni. Nasce così una nuova governance a livello regionale che vigila sulla diffusione
delle metodologie di autovalutazione,
valutazione esterna, miglioramento e
rendicontazione.
Tutti i partner hanno condiviso l’idea che
la valutazione esterna debba avere una
funzione formativa, essere orientata a
promuovere iniziative di miglioramento
condivise e non autoreferenziali, senza
porsi lo scopo di confrontare le scuole
tra loro per stilare graduatorie di merito
più o meno esplicite.
Dagli auditor esterni le scuole ricevono
come feedback una valutazione di parte terza, qualificata e a costi accessibili, con suggerimenti sui possibili miglioramenti. La garanzia di un’effettiva indipendenza dei pari che effettuano le
verifiche esterne deriva anche da team
di valutazione composti da auditor di
province o regioni diverse.
Anche
il controllo
esterno
svolge
una funzione
di feedback
di tipo formativo
e non classificatorio
accreditato per la formazione presso il Miur.
www.sirq.it.
2) Coordinatori Usr: Silvana Di Costanzo,
Graziella Ansaldi Fresia.
3) Gli audit seguono le indicazioni valide per i
sistemi Tqm.
4) Il Comitato interistituzionale del Marchio
comprende: Usr, Università, ex Irre (Indire),
Unioncamere, Regione, Anci, Province, Cigl,
Cisl, Uil, Snals, Gilda, Forum delle famiglie,
Aicq, Sirq.
49
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Valutazione
esterna
Particolare cura
viene messa
nella scelta
e nella formazione
degli auditor,
che dispongono
di un loro albo
e operano
secondo
protocolli
definiti
50
La formazione degli auditor
Agli auditor pari (peer) sono richieste
garanzie di autonomia e professionalità, sia dalle scuole, sia dagli stakeholder: le loro competenze certificate e
qualificate in campo organizzativo e didattico forniscono il prestigio necessario per essere accettati all’interno della comunità scoIastica e questo da
molti anni assicura il successo della
peer review della rete Sirq.
Il percorso di formazione in linea di
massima prevede un’expertise di base
che si articola in:
- conoscenza diretta della scuola sotto gli aspetti amministrativo, organizzativo e didattico;
- qualifica di auditor Tqm, ISO e Caf
Education o competenze equivalenti;
- conoscenza di strumenti valutazione
e interpretazione dati Invalsi e Snv;
- conoscenza del disciplinare Saperi;
- superamento dell’esame finale per
auditor;
- partecipazione ad almeno 5 affiancamenti ad auditor di esperti.
Gli auditor Saperi titolari e quelli in for-
mazione attualmente sono più di 100 e
sono iscritti in un apposito registro custodito dalla Sirq e dall’Usr Piemonte.
Fanno parte di un Albo (5) autonomo rispetto all’Usr, agli stakeholder e alla rete Sirq. Gli auditor eleggono periodicamente un presidente, hanno un regolamento interno e curano le attività di formazione, aggiornamento e audit secondo protocolli definiti. Gli incarichi
sono attribuiti secondo regole interne
trasparenti e condivise.
Cos’è un audit in campo
scolastico?
Il processo di audit condotto con la
metodologia della peer review è complesso e si articola in: analisi dei documenti, valutazione della relazione di autovalutazione dell’istituto, audit sul posto. Richiede lo svolgimento di interviste ai responsabili delle varie attività,
secondo un piano di audit concordato
con le scuole, l’esame delle evidenze e
5) Presidente dell’Albo Auditor è Graziella
Ansaldi Fresia.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
dei documenti, la discussione dei risultati delle prove Invalsi e delle rilevazioni interne, la continuità verticale e orizzontale, interna e con le altre scuole, la
formazione e la rendicontazione verso
l’esterno.
Gli auditor verificano anche la capacità di risposta dell’istituto alle richieste
esterne di un cittadino qualsiasi, saggiandola attraverso la metodologia del
mistery client. All’audit in presenza segue la stesura del rapporto finale con
le indicazioni per il miglioramento. L’anno successivo all’acquisizione della
certificazione l’istituto invia alla Sirq il
proprio piano di miglioramento.
Gli audit tra pari si ripetono con cadenza biennale; pertanto occorre formare
sempre nuovi auditor per fare fronte alle richieste delle nuove scuole che
chiedono la verifica e quelle delle scuole già certificate che chiedono il rinnovo. Poiché l’audit è un processo di apprendimento, le spese a carico delle
scuole per l’intero processo sono accessibili; vengono conteggiate solo le
ore in presenza, secondo le tariffe del
CCNL della scuola.
Il processo di autovalutazione coinvolge organizzativamente ed emotivamente l’intera struttura scolastica, dal momento della stesura della relazione di
autovalutazione fino all’audit che interpella tutte le componenti scolastiche.
iniziative e impegno profuso. L’atteggiamento generale è quello di chi vive
il momento come un’occasione per fare apprezzare il proprio lavoro senza
nascondere i problemi e le difficoltà ai
colleghi esterni (i pari).
Nell’audit si consultano rappresentanti di tutte le parti e si verificano le evidenze (cartacee, testimoniali e di fatto)
rispetto ai requisiti oggetto dell’audit e
al documento di autovalutazione presentato. Alla fase finale partecipano
rappresentanti delle famiglie e del territorio, con un concreto coinvolgimento nell’esame dei punti di forza e di debolezza della scuola, come percepiti
all’esterno.
Al termine della visita sul posto, gli auditor comunicano al dirigente e allo
staff le proprie considerazioni sulla base dei riscontri, presentando suggerimenti per le azioni di miglioramento
tratti dal confronto dei diversi punti di
vista e dalla lettura dei dati. Il rapporto
di audit definitivo verrà poi presentato
all’Usr e al Comitato interistituzionale
e, successivamente, inviato alla scuola. Il punteggio attribuito alle performance della scuola fissa il punto di partenza rispetto al quale saranno misurati i risultati successivi durante tutto il
processo di miglioramento.
La funzione dell’auditor
Le attività previste dal sistema di valutazione nazionale (direttiva 11/2014)
possono ricevere un impulso notevole
dalle esperienze di peer review in atto.
La peer review del modello Saperi presenta aspetti positivi generali:
• promuove un riesame interno dei
processi didattici e amministrativi di
una scuola, sulla base di un modello (disciplinare Saperi), che evidenzia i punti di forza e di debolezza e
gli aspetti da migliorare;
• permette un confronto esterno con
pari opportunamente formati, uno
scambio di conoscenze e un coinvolgimento nelle attività di miglioramento in rete;
Il compito degli auditor è quello di avviare all’interno della scuola un ciclo
virtuoso di controllo, pianificazione del
miglioramento, realizzazione e controllo (ciclo di Deming: PDCA). La verifica
porta a un confronto di percezioni ed
evidenze sul rapporto tra il dichiarato e
l’agito e tra servizi erogati e percezione esterna. Il coinvolgimento di tutte le
parti avviene di solito non solo sul piano organizzativo e gestionale ma anche
su quello affettivo e della motivazione.
Durante l’audit docenti e Ata fanno a
gara per difendere la qualità del proprio
istituto e mettono in evidenza attività,
Valutazione
esterna
La visita
degli auditor
coinvolge
tutta la comunità
scolastica,
con un confronto
serrato,
e termina
col rilascio
di un report
Peer review e SNV
51
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Valutazione
esterna
La peer review
promuove
la cultura
dell’autovalutazione
e della qualità
e stimola
il miglioramento
delle pratiche
didattiche
52
• è una forma di rendicontazione non
autoreferenziale e prepara l’istituzione alla redazione del Bilancio
sociale;
• coinvolge gli stakeholder in una
nuova forma di governance della
scuola, centrata sui processi di autovalutazione e verifica esterna;
• ha costi accessibili con tariffe da
CCNL, tarati sulle risorse della
scuola;
• innalza la qualità dei processi di insegnamento-apprendimento e organizzativi, nonché dei risultati in
modo continuativo e condiviso;
• promuove la diffusione della cultura dell’autovalutazione e della qualità del servizio.
All’interno delle scuole la peer review:
• contribuisce allo sviluppo delle attività di autovalutazione;
• coinvolge scuole, istituzioni e tutte
le parti interessate regionali nel processo di miglioramento continuo in
•
•
•
•
uno spirito di piena accettazione e
diffusione della valutazione;
sostiene le iniziative di miglioramento e rendicontazione sociale con gli
audit biennali e la formazione di figure professionali di supporto
(esperti in autovalutazione, auditor
interni ed esterni, tutor);
motiva le scuole, perché porta a un
riconoscimento del lavoro svolto sia
con l’audit, sia con il rilascio di un
attestato da parte dell’Usr;
contribuisce a far conoscere e a diffondere le buone pratiche esistenti;
promuove la formazione del personale, la sperimentazione e la ricerca finalizzata alle problematiche
quotidiane delle scuole (6).
6) Tra le ricerche attuate dalla rete Sirq
ricordiamo: Alice nel paese della qualità
(coordinamento Infante, Loiacono, Scriva);
Nell’aula la scuola (coordinamento
Castoldi); i-Saperi (coordinamento Labanti).
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Una governance innovativa
La metodologia adottata per la peer review Saperi ha prodotto una governance innovativa del processo di valutazione delle scuole grazie al coinvolgimento dei principali portatori di interesse, sia
nella definizione dei requisiti che fanno
di una scuola una buona scuola, sia nella supervisione dell’intero processo.
L’esperienza potrebbe essere esportata nelle diverse regioni come supporto
al nascente SNV, dal momento che
questo approccio coinvolge 90 istituti,
distribuiti in molte regioni e gli auditor
formati sono già 120.
La peer review promuove
la ricerca interna
Visto il successo della metodologia
peer review sperimentata per le scuole, un gruppo di esperti Sirq sta studiando gli strumenti per migliorare l’insegnamento sia attraverso un processo di autovalutazione formativo e finalizzato al miglioramento, sia attraverso
audit tra pari. Il gruppo di ricerca confida che la metodologia Saperi applicata alla docenza possa ottenere lo stesso consenso del progetto Saperi da
parte degli istituti.
Il progetto è in fase avanzata ed è in
corso la validazione degli strumenti elaborati, con il coinvolgimento di 40 docenti di istituti diversi (7).
molteplicità di scuole e hanno fornito
a genitori e stakeholder una garanzia
sulla capacità degli istituti di controllare i propri processi interni e di intraprendere un percorso virtuoso di miglioramento e rendicontazione. La
peer review sperimentata in tante regioni produce una governance territoriale che comprende scuole, Usr e
stakeholder. Insieme ai tre soggetti
del SNV: Miur, Indire, Invalsi, questa
governance territoriale potrebbe diventare la quarta gamba del sistema
di valutazione nazionale, per un processo di miglioramento condiviso e
non autoreferenziale.
Riferimenti bibliografici
G. Ansaldi Fresia, Gli stakeholder e la
qualità, in “Notizie della scuola”, Tecnodid, Napoli, ottobre 2014.
F. De Sanctis, Il Marchio collettivo per la
qualità e l’eccellenza delle scuole: Saperi, in “Annali della Pubblica Istruzione”,
n. 5-6, Le Monnier, Firenze, 2010.
A. Di Costanzo, R. Discanno, V. Vergnano,
Storie del cambiamento, in “Notizie della
scuola”, Tecnodid, Napoli, ottobre 2014.
V. Infante (a cura di), Le scuole come cambiano, come migliorano, in “Notizie della
scuola”, Tecnodid, Napoli, ottobre 2014.
S. Labanti, L’importanza del modello, in
“Notizie della scuola”, Tecnodid, Napoli, ottobre 2014.
Valutazione
esterna
Dall’analisi
del sistema
scuola
la peer review
sposta il focus
verso l’osservazione
delle pratiche
di insegnamento
Nasce la ‘quarta’ gamba
Grazie alle attività di rete e alla formazione degli auditor oggi il sistema di
strumenti collegati alla peer review (Saperi) si presenta come un cluster di
strumenti di miglioramento collaudato
ed efficiente.
In questi anni questi strumenti hanno
assicurato l’avvio di processi di autovalutazione e miglioramento in una
7) I risultati sono stati presentati nel Forum
della rete Sirq, Stresa, 17 febbraio 2015.
www.sirq.it
www.marchiosaperi.it
Vito Infante
Presidente Rete Qualità Sirq
[email protected]
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Le strategie
per il miglioramento
di Dino Cristanini
Il miglioramento
Perché migliorare: Tqm...
La valutazione
di sistema
è sterile
se non stimola
il miglioramento,
cioè un’efficace
realizzazione
dei compiti
della scuola
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Miglioramento è una parola che da
qualche tempo ricorre frequentemente
in diversi documenti. A titolo di esempio si possono citare diversi passaggi
delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo
ciclo d’istruzione (uno per tutti: “La promozione, insieme, di autovalutazione e
valutazione costituisce la condizione
decisiva per il miglioramento delle
scuole e del sistema di istruzione”); le
Linee guida per il passaggio al nuovo
ordinamento, relativamente al primo
biennio, degli istituti tecnici e quelle degli istituti professionali (“la conoscenza
e l’innovazione come motori dello sviluppo, soprattutto attraverso il miglioramento della qualità dell’istruzione”); il
rapporto La buona scuola, dove la parola miglioramento viene utilizzata più
di quaranta volte. Lo stesso d.P.R. n.
80/2013, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, ribadisce, sulle orme dell’art. 3 della legge n. 53/2003,
che l’obiettivo del SNV è quello “del miglioramento della qualità dell’offerta
formativa e degli apprendimenti”.
Delle quattro fasi del processo di valutazione previsto dall’art. 6 del citato
d.P.R. n. 80/2013, quella del miglioramento dovrebbe dunque essere la più
importante. Questo non significa naturalmente che le altre fasi (autovalutazione, valutazione esterna, rendicontazione sociale) non siano importanti, ma
si vuol rimarcare che il processo è utile se viene finalizzato a realizzare sempre meglio i compiti della scuola, contribuendo così alla produzione di valore per gli utenti diretti e indiretti della
scuola, in pratica per la società intera.
L’educazione e l’istruzione sono infatti
una risorsa sia per le singole persone,
in quanto favoriscono la piena e completa realizzazione delle potenzialità di
ciascuno, sia per la società, perché
contribuiscono alla qualità della vita di
tutti, alla convivenza civile e democratica, allo sviluppo della comunità sotto
tutti i profili.
L’idea che la valutazione senza il miglioramento corra il rischio di essere sterile
è uno dei concetti fondamentali della
qualità: Tito Conti, uno degli artefici della diffusione della qualità in Italia, ricorda che “tutti i modelli di Total Quality
Management hanno assunto il miglioramento continuo come concetto chiave”
e che “il TQM è caratterizzato da una visione dinamica della qualità, quella del
miglioramento continuo, tant’è che alle
origini molti sostenevano che l’acronimo TQI – Total Quality Improvement –
fosse più appropriato a esprimere il concetto”, perciò “Chi usa i modelli TQM,
Caf incluso, deve avere una familiarità
totale con i concetti e le tecniche del miglioramento continuo” (1).
Che cosa migliorare:
dal Caf al VALeS
In genere i modelli con i quali si interpreta e si rappresenta il funzionamento di una organizzazione fanno riferimento a tre grandi categorie di variabili (le risorse, i processi e gli esiti).
Uno tra i modelli attualmente più conosciuti nell’ambito delle amministrazioni
pubbliche, il Caf (Common Assessment
Framework), distingue tra fattori abilitanti (ciò che l’organizzazione fa e l’approccio utilizzato per conseguire i risultati prefissati) e risultati (2).
Il modello utilizzato nei progetti VSQ e
VALeS, attuati in questi anni per sperimentare procedure, protocolli operativi e
strumenti di attuazione del Sistema nazionale di valutazione, fa invece riferimento al modello CIPP (contesto, input,
processi, prodotti), che considera anche
1)T. Conti, Il miglioramento continuo, ppt
Presidenza del Consiglio-Formez, 2008.
2) V. Modello CAF 2013: http://qualitapa.gov.it/
nc e CAF and Education: http://qualitapa.
gov.it.
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dell’istruzione
1-2 - 2015
le variabili relative al contesto e alle risorse. La logica del modello è così sintetizzabile: ogni scuola opera all’interno di un
contesto, più o meno favorevole, che influisce in modo rilevante sugli esiti di apprendimento; utilizza risorse (materiali, finanziarie, professionali); attiva processi
organizzativi e didattici; produce esiti formativi. Questi ultimi sono considerati variabili dipendenti, nel senso che costitui­
scono l’effetto dell’influsso concomitante delle precedenti categorie di variabili.
Il contesto e le risorse sono però fattori
scarsamente controllabili e modificabili
dalla scuola, e sono perciò considerati
come variabili assegnate; la scuola può
invece essere considerata interamente
responsabile dei processi organizzativi e
didattici che mette in campo. Tutti gli
sforzi per calcolare il valore aggiunto, ossia la parte degli esiti di apprendimento
attribuibile all’azione della scuola, sono
infatti tesi a scorporare dal risultato cosiddetto grezzo l’effetto delle variabili che
la scuola non controlla (3).
L’azione di miglioramento degli esiti
dovrebbe perciò essere indirizzata a
quei fattori che la scuola può effettivamente modificare, ossia i processi organizzativi e didattici.
Il quadro di riferimento:
dopo VALeS
Gli esiti attesi sono stabiliti dall’ordinamento scolastico generale e specificamente dai documenti programmatici
nazionali (Indicazioni e Linee guida).
Nel progetto VALeS – che ha costituito
la base per definire, con gli adattamenti suggeriti dall’esperienza, il “quadro
di riferimento, corredato di indicatori e
dati comparabili” previsto dalla direttiva n. 11/2014 – gli esiti sono stati descritti nel documento “Le logiche generali del Progetto VALeS” (4); nel delineare il modello ideale di “buona scuo-
la” (l’espressione è efficace, visto che
da diversi anni viene utilizzata in convegni, libri, documenti) vengono individuati i seguenti esiti:
- successo formativo di ogni alunno
(e quindi contrasto della dispersione e degli abbandoni, riduzione
dell’incidenza numerica e della dimensione del gap formativo degli
studenti con livelli di apprendimento sotto una determinata soglia);
- sviluppo armonico e integrale della
persona;
- sviluppo di competenze di qualità;
- promozione dei valori e delle norme
collettive congruenti con una società libera e democratica (educazione
alla cittadinanza attiva);
- preparazione adeguata al mondo
professionale e del lavoro.
Nelle “Linee guida per l’autovalutazione del progetto VALeS” (5) gli esiti sono stati declinati nelle seguenti aree e
nei relativi indicatori: – successo scolastico (studenti ammessi alla classe
successiva, per anno di corso;
- studenti diplomati per votazione
conseguita all’esame;
- studenti che hanno abbandonato gli
studi in corso d’anno; studenti trasferiti, in entrata e uscita, in corso
d’anno);
- competenze acquisite (esiti delle
prove Invalsi e confronto con i dati
regionali e nazionali;
- differenze nel punteggio rispetto a
scuole con contesto socio-economico e culturale simile);
- equità (varianza interna alle classi e
fra le classi;
- alunni collocati nei livelli più bassi, 1
e 2, sia in italiano sia in matematica);
- risultati a distanza (riuscita degli studenti nelle scuole successive).
I processi sono stati invece così individuati:
- processi relativi all’ambiente organizzativo per l’apprendimento (iden-
Il miglioramento
Il modello
di valutazione
distingue
le variabili
assegnate
(contesto
e risorse)
dagli esiti
(variabili
dipendenti)
considerando
le variabili di
processo
3) V. Materiali del Progetto VALeS: http://www.
invalsi.it/invalsi/ri/vales/doc.php.
4) Valutare le scuole: le logiche generali del
progetto VALeS: http://www.invalsi.it.
5) Il formato del Rav (novembre 2014) riprende
in larga parte lo schema degli indicatori
presenti in VALeS.
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il miglioramento
Nel Rav
esiste
un certo margine
di autonomia
per la scuola
nell’inserire
nuovi indicatori,
mantenendo
però il rigore
delle informazioni
e delle
argomentazioni
tità strategica e capacità di direzione della scuola, ossia la leadership;
gestione strategica delle risorse;
sviluppo professionale delle risorse
umane; capacità di governo del territorio e rapporti con le famiglie; attività di autovalutazione);
- processi relativi alle pratiche educative e didattiche (selezione dei saperi, scelte curricolari e offerta formativa; progettazione della didattica e valutazione degli studenti; sviluppo della relazione educativa tra
pari; inclusione, integrazione e differenziazione dei percorsi, continui­
tà e orientamento).
Il rapporto tra processi ed esiti:
variabili in gioco...
Si può discutere sulla scelta dei processi e degli indicatori di esito, condizionati soprattutto questi ultimi dai criteri della misurabilità e della comparabilità. La scelta è motivata (impedire
che (…) ogni scuola dia peso solo al
momento di rendicontazione (…) e lo
deformi attribuendosi il ‘massimo dei
voti’; orientare ciascuna Istituzione scolastica verso una prospettiva sistemica
di analisi organizzativa interna, utile a riconoscerne le componenti essenziali e
le reciproche relazioni e a leggere il singolo caso comparativamente agli altri (6)), ma la singola scuola potrebbe
sentirsi stretta e faticare a posizionare
alcune sue peculiari esigenze di miglioramento all’interno di un quadro completamente definito dall’esterno. In sede di autovalutazione sarebbe dunque
opportuno consentire un certo spazio
per le scuole, che dovrebbero poter integrare i dati forniti dall’esterno (Sistema informativo del Miur e Invalsi) con
altri dati acquisiti tramite indagini autonomamente condotte, purché affidabili, e individuare obiettivi di miglioramento e relativi indicatori anche al di fuori
del quadro predefinito.
Ciò che qui importa rilevare è però soprattutto la necessità della consapevolezza dei rapporti esistenti tra i processi e gli esiti, ossia delle modalità con
cui i processi organizzativi e didattici
influiscono sull’acquisizione di conoscenze, abilità e atteggiamenti e sullo
sviluppo delle competenze.
Senza questa consapevolezza si corre il
rischio di darsi obiettivi di miglioramento
relativi ai processi in sé, che possono
certamente migliorare l’efficienza e la
soddisfazione (es. migliorare la comunicazione interna, lo svolgimento delle riunioni, il sito web…) ma senza esplicitare
come tutto ciò possa positivamente influire sui risultati di apprendimento, nei
quali invece risiede il valore pubblico che
è compito della scuola produrre (7).
7) Nel RAV 2014 è stato precisato che i
traguardi di miglioramento devono
6) Valutare le scuole: le logiche generali del
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progetto VALeS, cit.
necessariamente riferirsi agli esiti, mentre i
processi costituiscono le variabili da
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Non si tratta di rapporti di tipo deterministico, in quanto non ci sono formule magiche capaci di garantire che certi approcci produrranno automaticamente buoni risultati (8), ma la competenza didattica può
aiutare a individuare le soluzioni che meglio di altre possono funzionare.
Come migliorare:
problem solving...
L’azione di miglioramento è qualificabile come un processo di problem solving (9).
Per migliorare occorre innanzitutto individuare gli aspetti di criticità, i risultati insoddisfacenti, e assumerli come
problemi da risolvere. Se ad esempio
si ritiene che i risultati di apprendimento dipendano esclusivamente dalle doti personali dell’alunno e che la scuola
non possa farci nulla, è difficile parlare
di tensione al miglioramento.
In secondo luogo è necessario effettuare una buona diagnosi, in modo da
identificare con chiarezza e precisione
le cause delle criticità. Per queste operazioni è importante disporre di elementi di conoscenza adeguati e attendibili sulle varie categorie di variabili
(contesto, risorse, processi, esiti) e sviluppare processi di interpretazione. Le
criticità potranno emergere dal confronto dei dati rilevati con gli esiti previsti dalle Indicazioni o dalle Linee guida nazionali, con gli esiti previsti dalla
progettazione d’Istituto, con gli esiti ottenuti dalle altre scuole.
“movimentare”, e viene richiesto di indicare
in modo esplicito in che modo gli obiettivi di
processo (gli interventi che si intendono
realizzare) possono contribuire al
raggiungimento delle priorità (gli obiettivi di
miglioramento da perseguire).
8) Cfr. ad es. The learning curve. Rapporto
2012, lezioni sulle performance dei paesi in
In sede di miglioramento bisognerà
poi definire delle priorità, in quanto l’esperienza insegna che non è realistico
pensare di poter affrontare contemporaneamente troppi problemi, ma bisogna invece fare un calcolo di fattibilità
in ordine alla dimensione e alla difficoltà degli stessi e alle effettive risorse disponibili.
L’identificazione delle cause dei problemi, soprattutto quando si tratta di
problemi riguardanti gli apprendimenti, richiede come s’è detto una buona
competenza didattica, poiché si tratta
di capire dapprima che cosa ha provocato gli errori (mancanza delle conoscenze necessarie per svolgere il
compito, errata concettualizzazione,
scorretta comprensione e/o applicazione di procedure, mancata individuazione delle necessarie operazioni
cognitive?) (10) e successivamente se
tali mancanze siano riconducibili alle
metodologie e alle pratiche didattiche
attuate.
La competenza didattica è ancor più
necessaria per passare dalla identificazione delle cause alla ricerca delle soluzioni: cosa possiamo fare di diverso
da quanto abbiamo sinora fatto per fare in modo che gli alunni raggiungano
gli esiti formativi desiderati?
Le condizioni per
il miglioramento:
culturali, organizzative...
Il miglioramento
Impostare
il miglioramento
implica
individuare
criticità,
compiere
diagnosi,
definire
priorità,
mettere a fuoco
soluzioni
organizzative
e didattiche
Miglioramento significa cambiamento,
con tutte le conseguenze che questo
comporta. Le persone infatti cambiano
se sono convinte che ci siano buone
ragioni per cambiare, se sanno come
fare e se ci sono le condizioni per farlo. Il miglioramento è quindi contemporaneamente una sfida culturale, tecnica e organizzativa (11).
La cultura in senso antropologico è
ambito educativo, in http://is.pearson.it/.
9)D. Cristanini, Dai problemi alle soluzioni. Il
miglioramento come processo di problem
solving, in M. Faggioli (a cura di), Migliorare
la scuola, Junior-Spaggiari, Parma, 2014.
10)D. Cristanini, Diagnosi degli errori e
miglioramento, in “Scuola Italiana Moderna”,
La Scuola, Brescia, anno 120, n. 5-2013.
11)Ivi.
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dell’istruzione
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Il miglioramento
Il miglioramento
non è una
procedura
tecnica,
ma un processo
culturale,
fatto
di convinzioni,
valori,
conoscenze
e norme,
che va
adeguatamente
supportato
concepita come un complesso di assunti di base (valori, norme esplicite
e implicite, tradizioni, miti, riti, simboli, leggende, credenze, convinzioni)
che una comunità ha sviluppato e che
orienta i comportamenti dei suoi
membri. Occorre quindi introdurre
nella cultura delle istituzioni scolastiche l’adesione al valore del miglioramento, la focalizzazione sull’apprendimento come compito istituzionale
prioritario della scuola, la convinzione che l’azione didattica vada adeguata alle caratteristiche individuali
degli alunni e che la ricerca continua
delle soluzioni didattiche migliori perché ogni alunno possa imparare è una
dimensione essenziale della funzione
docente.
Dal punto di vista tecnico, si è visto che
il processo di ricerca delle soluzioni,
così come quello della progettazione e
gestioni dei piani di miglioramento (12),
richiede procedure e strumenti specifici rispetto ai quali il personale della
scuola va adeguatamente formato.
Le condizioni organizzative per il miglioramento sono le seguenti:
-una leadership che promuove, motiva, organizza, supporta;
- la costituzione di un gruppo di conduzione del processo;
- il coinvolgimento attivo e la partecipazione di tutto il personale interno
e dei soggetti esterni significativi;
- la possibilità di consulenza da parte di esperti esterni.
Il consulente: un facilitatore per
il miglioramento
La consulenza degli esperti esterni riguarda due categorie di funzioni.
La prima si riferisce all’attività del gruppo di miglioramento, che il dirigente
scolastico difficilmente avrà il tempo di
seguire direttamente, e per la quale
servono comunque competenze spe12)S. Mori, Il piano di miglioramento come
documento di progettazione, in M. Faggioli
58
(a cura di), Migliorare la scuola, cit.
cifiche. Michael Huberman a suo tempo ha individuato quattro ruoli di assistenza alle innovazioni:
• catalizzatore: spinge ad agire, a dar
seguito alla presa di coscienza di un
problema;
• facilitatore: struttura il processo di
lavoro, incoraggia, ascolta attivamente, aiuta a risolvere le tensioni o
i conflitti interpersonali;
• intermediario/collegamento per l’individuazione di risorse esterne: materiali, informazioni, specialisti;
• specialista/esperto: fornisce suggerimenti tecnici o dimostrazioni da
esperto.
Il consulente per il miglioramento dovrebbe saper svolgere tutti questi
ruoli e avere la sensibilità situazionale per capire quando svolgere l’uno o
l’altro.
La seconda categoria di funzioni del
consulente esterno riguarda la ricerca
e l’attuazione delle soluzioni. Se migliorare significa individuare soluzioni
nuove rispetto al passato, non sempre
sarà sufficiente l’esperienza interna al
gruppo o un brainstorming creativo o
lo studio della letteratura professionale, ma sarà invece necessario ricorrere anche al contributo di esperti della
materia.
Riferimenti bibliografici
D. Cristanini, Dalla valutazione al miglioramento: il ruolo del dirigente scolastico,
2014, in www.usr.sicilia.it.
M. F aggioli (a cura di), Migliorare la
scuola, Junior-Spaggiari, Parma, 2014.
S. Mori, Il modello VSQ: accompagnare
il miglioramento scolastico, 2012, in
www.indire.it.
Dino Cristanini
Pubblicista, consulente e formatore, già Direttore
generale Invalsi
Sostenere
il miglioramento:
la figura del consulente
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dell’istruzione
1-2 - 2015
Il miglioramento
di Massimo Faggioli
Il miglioramento, priorità
strategica del sistema nazionale
di valutazione
Il Sistema nazionale di valutazione
(SNV) prevede una serie di azioni fortemente integrate in un sistema “finalizzato al miglioramento della qualità
dell’offerta formativa e degli apprendimenti”. È proprio il provvedimento più
recente, la direttiva ministeriale n. 11
del 18 settembre 2014, che fa seguito
al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, a definire
in questi termini le priorità strategiche
del Sistema Nazionale di Valutazione.
Tutto il sistema ha come fine ultimo il
miglioramento, un processo complesso i cui tratti salienti sono messi in evidenza nell’articolo di Dino Cristanini in
questo stesso numero della rivista. Eppure, nei testi dei provvedimenti che
avviano il SNV si dice ben poco sulla
fase di miglioramento, mentre si dà ampio spazio alle altre fasi, l’autovalutazione, la valutazione esterna, la rendicontazione sociale. Infatti i processi di
autovalutazione e di valutazione esterna delle scuole sono descritti in modo
molto dettagliato, si attribuiscono ruoli e competenze ai soggetti coinvolti e
si prescrivono strumenti fortemente
standardizzati e controllabili.
La comparabilità
delle performance
Nel caso della valutazione esterna delle scuole, che coinvolgerà in prima battuta il 10% degli istituti, viene attribuito al corpo ispettivo il compito di coordinare i nuclei di valutazione e all’Invalsi
quelli di individuare e formare gli esperti che coadiuveranno il lavoro degli
ispettori nei nuclei, di formare gli ispettori stessi, di proporre i protocolli di valutazione delle scuole e gli indicatori di
efficienza e di efficacia per individuare
le scuole da sottoporre a verifica esterna. Fin qui nulla di strano, la valutazione è, tra tutti i processi previsti in SNV,
quello di natura più esterna, quello che
richiede con più forza l’adozione di protocolli fortemente standardizzati. Tra gli
scopi principali per cui si costituisce un
sistema nazionale di valutazione delle
scuole non c’è solo il bisogno di avviare processi di miglioramento di ogni
singola istituzione ma anche quello di
assicurare la comparabilità delle performance delle istituzioni scolastiche,
obiettivo non raggiungibile senza l’uso
di strumenti di rilevazione basati su indicatori comuni.
Le ‘forche caudine’ del RAV
Qualche dubbio suscita invece l’approccio scelto per la fase di autovalutazione: a fronte di due possibili scelte,
una orientata all’adozione di una struttura prescrittiva e standardizzata, tesa
a garantire la confrontabilità dei dati e
a evitare che l’eterogeneità dei processi che caratterizzano ogni scuola desse luogo a rapporti di autovalutazione
molto diversi tra loro, e una più libera
che desse spazio all’autonomia delle
scuole, riconoscendo nell’eterogeneità
una potenziale ricchezza, si è scelta la
prima, dando ancora all’Invalsi il compito di definire i modelli e i flussi del
percorso autovalutativo e incanalando
l’azione delle scuole in schemi abbastanza rigidi.
La scelta operata non è priva di contraddizioni: nella direttiva si dice da un
lato che “Il Rapporto di autovalutazione esprime la capacità della scuola di
compiere un’autentica autoanalisi dei
propri punti di forza e di criticità”;
dall’altro si ribadisce che questo processo avverrà “alla luce di dati comparabili”. E ancora, che “Il Rapporto di au-
Autovalutazione
e valutazione
esterna
pongono
alcuni ‘paletti’
alle scuole,
incanalando
le loro azioni
riflessive
su binari
quasi obbligati
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il miglioramento
A fronte della
rigidità
dei protocolli
valutativi,
le strategie
di miglioramento
sono lasciate quasi
alla totale libertà
delle scuole,
con un ruolo
marginale
di Indire
60
tovalutazione consolida l’identità e l’autonomia della scuola, rafforza le relazioni collaborative tra gli operatori e responsabilizza tutta la comunità scolastica nel perseguimento dei migliori risultati”, lasciando pensare a un setting
duttile e flessibile, tale da potersi adattare all’eterogeneità degli assetti organizzativi delle scuole. Ma subito dopo
si dice che “nel corso del primo semestre dell’anno 2015, tutte le scuole predisporranno un Rapporto di autovalutazione, utilizzando il quadro di riferimento definito dall’Invalsi e i dati messi a disposizione tramite piattaforma
operativa unica”, incanalando quindi il
processo in linee guida obbligatorie e
nella compilazione di moduli on line. Il
format del Rapporto di autovalutazione (Rav) è del resto straordinariamente
simile al Rapporto di valutazione che
verrà prodotto dai valutatori esterni, e
lascia uno spazio minimo alle scuole
per adattarlo alla loro realtà.
Il miglioramento,
questo sconosciuto
È inutile cercare nella direttiva un’analoga attenzione alla regolazione del
processo di miglioramento scolastico.
Pur rappresentando la finalità strategica di tutto il sistema, di questa fase si
parla pochissimo. A questo proposito
si dice solo: “L’Indire svolgerà le attribuzioni previste dall’articolo 4 del Regolamento, mettendo a disposizione
delle scuole strumenti ed esperti qualificati per predisporre i piani di miglioramento”, ma anche che “Le scuole
potranno, per lo sviluppo dei piani e in
base alle diverse attività in essi previste, avvalersi, se lo vorranno, di Indire
e/o della collaborazione di università,
enti di ricerca, associazioni professionali e culturali”.
Si chiede all’istituto nazionale di predisporre strumenti e di selezionare e formare esperti ma contemporaneamente si opera una grande apertura di credito verso la capacità delle scuole di
muoversi in assoluta autonomia nel go-
vernare il processo chiave per raggiungere il fine ultimo, la priorità strategica
di tutto il sistema, ovvero il miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti degli studenti. Un’analoga apertura di credito viene
riconosciuta alla capacità di un arcipelago di enti e soggetti pubblici e privati di supportare le scuole, senza porre,
almeno fino a oggi, nessun vincolo di
competenza pregressa o di accreditamento, come è avvenuto in altri tempi
per gli enti deputati alla formazione del
personale della scuola.
Il sostegno allo school
improvement
Sorge un legittimo dubbio: siamo di
fronte a un sistema prescrittivo per tutti gli altri processi, che apre finalmente
uno spazio per l’espressione delle potenzialità delle scuole autonome, o c’è
invece una sottovalutazione della complessità degli approcci, degli strumenti e dei metodi con cui sviluppare il miglioramento? Sembra quasi che dopo
tutti gli sforzi meticolosi per fissare in
modo controllato e standardizzato gli
obiettivi del miglioramento, individuati
prima nel Rapporto di autovalutazione
e poi in quello di Valutazione, il sistema
abbandoni le scuole a se stesse, lasciando che ognuna si muova come
crede, purché alla fine si arrivi alla meta. Sarebbe un grosso errore. Sia dalla
letteratura che dalle esperienze sul
campo emerge infatti l’esigenza di non
lasciare questi processi al caso.
Da alcuni decenni, ormai, la ricerca in
ambito internazionale in materia di
school improvement si è focalizzata su
due aspetti complementari ma spesso
distinti. Il primo si concentra sull’innalzamento dei risultati degli apprendimenti degli studenti e indaga specifici
interventi di innovazione didattica, come ad esempio quelli in materia di insegnamento della lingua o della matematica, di valutazione formativa o di
orientamento (Ermeling, 2010; Lai e
McNaughtin, 2009; Murphy, 2005).
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il miglioramento
Questi studi hanno come focus le modalità con cui gli insegnanti e gli altri attori coinvolti mettono in opera interventi con gli studenti tesi a potenziarne gli
apprendimenti e, in ultima analisi, il
successo formativo.
Il secondo riguarda invece la risposta
che la scuola dà in termini organizzativi per produrre outcome di qualità.
Questa letteratura si concentra su come la scuola incrementa la fiducia reciproca tra gli attori coinvolti nella comunità scolastica, il dialogo e lo scambio tra gli insegnanti, tutti fattori che sono correlati positivamente con la capacità di innovazione e di cambiamento
della scuola stessa (Cosner, 2009; Little e Curry, 2009).
I supporti esterni
Questi due filoni della ricerca si incrociano con quella sul supporto esterno
ai processi di miglioramento. Una figura che operi come coach sembra giocare un ruolo chiave per consolidare
nelle scuole la cultura del cambiamento (Fullan, 2001; Rock, 2002). È una linea che viene confermata dagli esiti
delle prime sperimentazioni nazionali
del sistema di valutazione delle scuole, VSQ e VALeS, che ci dicono che le
scuole, per intraprendere questi percorsi, hanno un forte bisogno di un
supporto esterno. Già in Vsq, per l’accompagnamento delle scuole Indire ha
scelto di prendere come riferimento
quanto fatto nei progetti che si ispirano ai principi del Total Quality Management (Tqm) come il Caf e il Caf External Feedback (Cef). Tali modelli, che
forniscono strumenti manageriali, aiutano a gestire la qualità dell’intera organizzazione seguendo il ciclo di Deming (1986), conosciuto come PDCA
(Plan-Do-Check-Act), che rappresenta
un metodo di lavoro per raggiungere
obiettivi previsti.
Qui però non si può procedere fissando strumenti, metodi e tempistiche rigide: il miglioramento, più di ogni altra
fase prevista dal sistema, si fonda
sull’autonomia delle scuole, su questo
punto non si può tornare indietro. Occorre anzi sostenere e valorizzare la
grande varietà di soluzioni che le scuole elaborano per far crescere la qualità.
Ma le sperimentazioni dimostrano anche quanto sia variegata e complessa
la diffusione nelle scuole della cultura
Elevare
gli apprendimenti
degli studenti
e ristrutturare
l’organizzazione
scolastica
sono
il focus
dei processi
di miglioramento
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il miglioramento
legata alla valutazione e al miglioramento.
La figura da mettere in campo per sopperire a questa esigenza non esiste, almeno su larga scala, nel nostro Paese.
Non ci sono, per il momento, percorsi
di studi o di formazione finalizzati in
modo esplicito alla creazione di questo
profilo professionale. Certo, standard
operativi come quello del Caf, diffusi in
una certa misura nelle istituzioni scolastiche di alcune regioni italiane, hanno
permesso la crescita di figure abbastanza simili a quella del ‘consulente
per il miglioramento’ sperimentata da
Indire prima in VSQ e poi in VALeS.
Questa figura verrà riproposta in maniera più solida ed estesa dall’istituto
per rispondere al proprio compito istituzionale nel SNV.
Tuttavia le differenze sono abbastanza
forti, non fosse altro perché il nuovo sistema, in maniera del tutto inedita, distingue e separa i soggetti coinvolti nella valutazione esterna (gli ispettori e gli
esperti Invalsi) da quelli che operano a
supporto del miglioramento (l’Indire e
gli altri soggetti già previsti nel d.P.R.
80/2013). La novità non è da poco: chi
fornisce il supporto esterno all’agire
della scuola autonoma nella direzione
del miglioramento interviene dopo ben
due passaggi, l’autovalutazione e la valutazione esterna, a cui non ha preso
parte, tesi a definire su cosa si agirà per
migliorare.
Deve quindi essere in grado in prima
luogo di aiutare la scuola a riprendere
i fili dei precedenti passaggi, a definire
le priorità strategiche, a trovare quei
(pochi) obiettivi su cui investire le proprie risorse.
re la scuola a concentrarsi sulle vere
priorità strategiche dell’organizzazione.
La proliferazione dei progetti è spesso
un segno di una tendenza centrifuga
presente nell’organizzazione scolastica, che incoraggia lo sviluppo di progetti che nascono sull’onda di proposte di singoli docenti o di piccoli gruppi. Il gran numero di progetti che spesso si rilevano nelle scuole raramente
sono riconducibili a una vision condivisa. La definizione del piano di miglioramento è, al contrario, una spinta centripeta verso l’individuazione di percorsi prioritari per l’intera organizzazione.
Nelle sezioni finali dei rapporti che concludono e sintetizzano la valutazione
esterna e l’autovalutazione, le piste di
miglioramento proposte, che nascono
dall’individuazione delle aree di criticità, sono spesso, nonostante le raccomandazioni degli estensori dei modelli, troppe o troppo parcellizzate, poiché
derivano da un sistema di indicatori e
di rubriche molto articolato.
Il primo lavoro che svolge il consulente è dunque quello di aiutare la scuola
nell’analisi di questi obiettivi, e nella definizione di quei pochi (ma potrebbe essere anche un solo) che rappresentano
la reale direzione strategica verso cui si
muove la scuola, che esprimono e concretizzano la mission e la vision dell’organizzazione. Non si tratta, ovviamente, di creare disorientamento, spingendo i nuclei per il miglioramento delle
scuole a mettere in discussione o contraddire il lavoro svolto in precedenza
dai nuclei di valutazione, ma, al contrario, di aiutare la scuola a riconsiderare,
approfondendoli, i nessi che possono
legare tra loro le varie piste di miglioramento fino a individuare la strada su cui
ci si impegnerà e su cui si verrà, con la
gradualità prevista per l’avvio del sistema, valutati.
Reductio ad unum
Pianificare, ma non solo…
Il lavoro del consulente, prima ancora
di proporre un modello di pianificazione del miglioramento, è quello di aiuta-
Nella direttiva 11/2014 notiamo che si
parla di strumenti ed esperti che l’Indire dovrebbe mettere a disposizione
Il profilo del consulente
per il miglioramento
Il consulente
per il miglioramento
non dovrà
ripercorrere
i passaggi
già svolti
delle scuole
(autovalutazione
e valutazione
esterna),
ma dare senso
unitario
all’innovazione
62
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
delle scuole per la “predisposizione del
piano di miglioramento”. Non c’è dubbio che questo è un compito determinante per il buon esito dell’avvio del sistema. È poco probabile infatti che le
scuole, tranne quelle che lo hanno fatto di propria iniziativa o all’interno di
progetti locali di rete o regionali di autovalutazione e miglioramento, possano adottare modelli di pianificazione efficaci. E non tanto per l’indisponibilità
di standard o schemi di riferimento,
quanto per la difficoltà di tipo culturale
che si incontrano fin dalle prime fasi
operative legate alla loro adozione.
C’è intanto il rischio, sempre dietro
l’angolo, che chi pianifica non centri,
magari in una situazione di ‘anarchia
organizzativa’, in assenza di una vision
condivisa, le priorità strategiche dell’organizzazione, concentrandosi su piste
secondarie e inefficaci per il miglioramento degli esiti. Se il raffronto avviene con i risultati della valutazione esterna, bisogna poi considerare che il Rapporto di Valutazione esprime proposte
di miglioramento formulate sulla scorta di protocolli e strumenti che, seppur
validi, sono il prodotto del lavoro di
esperti (i valutatori) con una permanenza molto breve nelle scuole che non
permette che queste proposte siano
messe in relazione con le potenzialità
evolutive dell’organizzazione.
Le sperimentazioni confermano che sono proprio le scuole più deboli ad avere un numero più elevato di indicazioni
per migliorare, ma ovviamente sono
proprio queste scuole che devono operare una selezione attenta delle priorità perché sono proprio quelle che, per
il loro stato di difficoltà, hanno potenzialità minori. Ed è allora compito del
consulente sollecitare e guidare questa
riflessione del team della scuola. Dall’analisi dei piani di miglioramento delle
scuole coinvolte nelle sperimentazioni
emerge infine che il passaggio più difficile per le scuole che pianificano il miglioramento riguarda la definizione di
obiettivi che siano misurabili nel tempo
sulla base di espliciti indicatori.
“È una cultura aziendale,
non ci riguarda”
Definire indicatori, misurare. È qui che
si incorre nell’ostacolo più forte, di natura squisitamente culturale: la scuola produce anticorpi, rifiuta sovente di
addentrarsi in percorsi troppo ‘materiali’, frutto di una cultura, quella organizzativa, che nasce per l’azienda e
nell’azienda, un mondo a cui la scuola a volte si contrappone. Mentre i
passaggi precedenti, individuare gli
obiettivi, i traguardi, sono riconducibili in qualche modo al ‘fare progetti’, attività praticata fino all’inflazione nella
scuola, tradurre gli obiettivi in fenomeni osservabili e misurabili è un lavoro
del tutto nuovo, forse il più duro e difficile da affrontare. Anche qui il consulente interviene, non solo con esempi
o modelli, ma anche attivando un dialogo teso a far comprendere a chi pianifica il miglioramento che definire
obiettivi misurabili è il solo modo per
dare certezza al proprio agire, per garantire risultati tangibili e prevenire la
vaghezza o peggio la frustrazione che
deriva dal progettare senza strumenti
per verificare l’efficacia di quello che
si fa.
Il miglioramento
È fondamentale
scegliere
pochi
obiettivi
di miglioramento,
misurabili,
significativi
e connessi
con le effettive
potenzialità
dell’istituto
Tutor, mentor o coach?
Costruire un profilo sulla base del quale operare la selezione di figure così
complesse è molto difficile. Non c’è
dubbio che nel nostro paese, per la
novità di questo approccio e per la ristrettezza delle risorse messe in campo fino a oggi, non esiste un bacino di
esperti che possano ricoprire questo
ruolo. I bandi di selezione dell’Invalsi
e dell’Indire emanati per reclutare i valutatori e i consulenti per il miglioramento nel progetto VALeS lo dimostrano. A fronte di un numero molto alto di partecipanti, si sono registrate
competenze molto poco strutturate.
Occorre dunque pensare per il futuro
a un processo di formazione lungo e
articolato per creare, dal nulla o qua-
63
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Il miglioramento
Il consulente
per il miglioramento
non può essere
una figura
‘a gettone’,
ma dovrà avere
competenze
stabili
e accreditate
64
si, gli esperti, i consulenti di cui il sistema di valutazione a pieno regime
avrà bisogno.
Il profilo su cui modellare la formazione è quello di un consulente che ha
una visione sistemica dell’istituzione
scolastica, un’ampia cultura organizzativa, attitudini alla relazione d’aiuto
e al dialogo, capacità di regolare il proprio ruolo combinando aspetti propri
di diversi profili, dal tutor, al mentor, al
coach.
Una figura ancora da inventare
Si sta delineando una figura che, ispirandosi al modello Dasi (Dynamic Approach to School Improvement), dovrà
essere in grado di seguire i processi
messi in atto dalla scuola e di intervenire attraverso un supporto dinamico
che si adatta via via ai cambiamenti e
alle necessità che si presentano
(Creemers, Kyriakides, 2010), con il
compito molto importante, in quanto
consulente esterno alla scuola, di
orientare il nucleo interno alla scuola al
confronto e alla riflessione continua.
Una particolare attenzione deve essere prestata alla relazione che si instaura tra il consulente e il dirigente scolastico: l’importanza del rapporto con la
leadership della scuola, secondo le
modalità con cui viene organizzata e distribuita, è di fondamentale importanza per una collaborazione efficace.
Sono tutte dimensioni complementari
e indispensabili da combinare in un
percorso di formazione che fino a oggi non è stato possibile attivare per la
frammentarietà e l’episodicità dei progetti di sperimentazione. Per sopperire ai bisogni del nuovo sistema nazionale bisogna uscire dalla dimensione
del progetto, che comporta per gli istituti l’attivazione di un bando di reclutamento per ogni iniziativa, e andare
verso una logica di sistema, con la costituzione di albi permanenti di figure
che abbiano superato un percorso di
formazione lungo e selettivo, analogo
ai percorsi universitari post lauream.
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www.indire.it
Massimo Faggioli
Dirigente di ricerca dell’area “Valutazione e
miglioramento” - Indire
[email protected]
L’obbligo
di pubblicazione
del RAV
di Angela Martini
Tra autonomia e accountability
La direttiva sulle priorità strategiche del
sistema nazionale di valutazione per il
triennio 2014-2017 costituisce la prima
applicazione del Regolamento sul medesimo oggetto emanato con il d.P.R.
80/2013. Essa, come ricorda la circolare ministeriale con cui la direttiva è
stata trasmessa, oltre a dare attuazione a una precisa previsione normativa,
viene a completare “il disegno tracciato dal regolamento sull’autonomia scolastica adottato con il d.P.R. 275/1999”
(c.m. n. 47/2014), imponendo a tutte le
scuole circostanziati obblighi in tema
di ‘rendicontazione’ del proprio operato, attraverso la messa in atto di un
procedimento di valutazione, interna ed
esterna, scandito in quattro fasi (art. 6,
d.P.R. 80).
Con quest’ultimo provvedimento l’Italia sembra dunque aver definitivamente imboccato la strada tracciata dalle
riforme educative avviate, in maniera
più e meno radicale, un po’ in tutti i
Paesi sviluppati a partire dal penultimo
decennio del secolo scorso e che vedono nell’articolazione tra autonomia
delle scuole da un lato e dovere di accountability dall’altro uno dei loro tratti
più salienti. Alla ricostruzione del quadro complessivo delle politiche dell’istruzione in cui il binomio autonomiaaccountability si inserisce sono stati
dedicati diversi contributi su questa
stessa rivista e altrove (Martini, 2004;
2007; 2008) e non intendiamo dunque
ritornarvi qui.
Uso privato di un servizio
pubblico?
Il tema che vogliamo invece affrontare
riguarda la previsione, contenuta nella
direttiva di cui sopra e ripresa nella relativa circolare ministeriale, che fa obbli-
go alle istituzioni scolastiche di pubblicare, sul sito del ministero “Scuola in
chiaro”e sul proprio sito web, il Rapporto di autovalutazione, rendendo così di
fatto universalmente noti i risultati conseguiti dalle scuole nei test di rilevazione dei livelli di apprendimento degli
alunni annualmente somministrati
dall’Invalsi (1) e fino a ora comunicati solo alle scuole interessate. Questo cambio di rotta rispetto alla prassi precedentemente seguita è stato effettuato in sordina e senza alcuna discussione di merito su un nodo quanto mai controverso
delle politiche educative degli ultimi decenni, come dimostra l’abbondante letteratura sull’argomento.
Abbiamo già avuto modo di chiarire in
un precedente intervento (Martini,
2012) le ragioni che rendono altamente sconsigliabile la pratica di render di
pubblico dominio i risultati conseguiti
dai singoli istituti nei test di valutazione nazionali, consentendo così ingiuste comparazioni fra scuole con popolazioni di studenti fra loro diverse e incentivando da parte delle famiglie quello che si configura come un ‘uso privato’ del servizio pubblico dell’istruzione.
Alla luce dei fini dichiarati del Regolamento sulla valutazione e della direttiva di applicazione, vale a dire il miglioramento dell’offerta formativa e dei livelli di apprendimento degli alunni, la
suddetta previsione appare non solo
non necessaria ma anche contraddittoria rispetto agli obiettivi da raggiungere nonché controproducente e potenzialmente pericolosa, come argo-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La rendicontazione
pubblica
La pubblicazione
dei dati
delle rilevazioni
Invalsi
sugli apprendimenti
può provocare
indebite
comparazioni
tra scuole
con popolazioni
studentesche
assai diverse
1) Tra gli indicatori di esito sono infatti
compresi, oltre ai tassi di promossi,
respinti, abbandoni, ecc., anche i risultati
nelle prove standardizzate nazionali di
Italiano e Matematica (vedi: Miur-Invalsi,
Mappa indicatori per rapporto di
autovalutazione, novembre 2014).
65
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La rendicontazione
pubblica
mentato nell’intervento sopra citato, a
cui si rinvia.
Eguaglianza di opportunità
a rischio
La pubblicità
dei dati
può avere
una ricaduta
negativa
sull’equità
del sistema
e sulla sua stessa
efficacia
66
Il Rav rappresenta, o dovrebbe rappresentare, l’esito documentato di una articolata analisi del contesto in cui la
scuola si trova a operare, delle risorse
umane e materiali su cui può contare,
dei processi posti in atto e degli esiti
raggiunti e costituire la base per la progettazione di un piano di miglioramento. Se appare corretto, in un’ottica di
responsabilizzazione delle scuole, che
tale documento, di natura prettamente
tecnica, sia reso disponibile, secondo
quanto stabilito dalla Direttiva, agli organismi dell’amministrazione, che hanno a loro volta la responsabilità di assicurare la qualità dell’istruzione fornita dalle istituzioni scolastiche che da
essi dipendono e l’autorità per intervenire nei casi in cui ciò si rendesse necessario, lascia invece alquanto perplessi l’obbligo della sua pubblicazione. Non si può infatti non chiedersi chi
ne siano in questo caso i destinatari e
quale sia lo scopo che con questa
prassi si intende perseguire, essendo
qui l’appello alla trasparenza, che è l’unica giustificazione invocata in proposito, del tutto fuori luogo.
La disposizione introdotta nel testo della direttiva rappresenta l’ennesima manifestazione della sottovalutazione nel
nostro Paese, se non addirittura della
voluta ignoranza, di una questione che
è invece ampiamente dibattuta all’estero e che Vincent Vandemberghe definisce come il principale problema di coordinamento nell’organizzazione del sistema educativo, vale a dire l’assegnazione di alunni fra loro eterogenei alle
diverse unità che lo compongono, le
scuole e le classi (Vandemberghe,
1996).
Una vasta letteratura di ricerca dimostra che, quando tale assegnazione avviene sulla base delle scelte delle famiglie e in assenza di dispositivi di con-
trollo, ciò porta a una ripartizione disequilibrata degli studenti, con la tendenza degli alunni più avvantaggiati socialmente e con maggiori livelli di abilità a
raggrupparsi in alcune scuole e degli
alunni più deboli socialmente e culturalmente a concentrarsi in altre, il che
ha una ricaduta negativa non solo
sull’equità del sistema ma anche, in
qualche misura, sulla sua efficacia
complessiva. Questa tendenza, se non
contrastata, viene a cozzare, in particolare per quanto riguarda il tratto comune del percorso educativo, con il
principio della eguaglianza di opportunità che in una società democratica dovrebbero esser garantite a tutti gli studenti e che viene minato alla base dalla disparità nelle condizioni di insegnamento e apprendimento derivante da
una non uniforme distribuzione degli
alunni nelle classi e nelle scuole.
L’assegnazione degli alunni
alle scuole e alle classi
In Italia la libertà di scelta della scuola
da parte delle famiglie è stata introdotta negli ultimi decenni quasi di soppiatto e senza una aperta discussione su
di essa e le sue possibili conseguenze,
forse anche per il fatto che quando l’argomento è stato pubblicamente affrontato il dibattito si è concentrato sulla libertà di scelta fra scuola statale e
scuola privata, anziché su quella di
scegliere fra un istituto e l’altro. A ben
guardare, anche se la libertà di scelta
fra una scuola e l’altra del settore pubblico – nettamente maggioritario in Italia per numero di alunni – è oggigiorno
pressoché illimitata, nessuna affermazione diretta a questo riguardo si trova
nei documenti ufficiali. Un cenno alla
“libertà di scelta educativa delle famiglie” è rinvenibile al comma 1 dell’art.
4 del regolamento sull’autonomia scolastica e la stessa formula è utilizzata
al comma 9 dell’art. 21 della legge
59/1997 che ne è alla base, dove si legge: “L’autonomia didattica è finalizzata
al perseguimento degli obiettivi gene-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
rali del sistema nazionale d’istruzione,
nel rispetto della libertà d’insegnamento, della libertà di scelta educativa da
parte delle famiglie e del diritto ad apprendere”.
Il regime di open enrolment vigente di
fatto nel nostro Paese, più che l’esito di
una decisione dichiarata, appare piuttosto come il risultato congiunto dell’introduzione di una serie di principi inseriti in
vari testi di legge (2) e della sempre più
frequente derogazione alla normativa sui
bacini d’utenza che regolava l’assegnazione degli alunni agli istituti scolastici.
Fin dall’epoca del ministro Franca Falcucci, con una serie di circolari ripetutesi nel corso del tempo, è stata data la
possibilità di contravvenire al criterio
dell’iscrizione alla scuola in base alla residenza del nucleo familiare, consentendo di iscriversi anche a scuole diverse
rispetto a quella di normale assegnazione purché queste avessero disponibilità di posti. Questa disposizione equivaleva nei fatti a liberalizzare le iscrizioni in
quanto, essendo in atto un processo di
decremento della popolazione studentesca dovuto al calo demografico (che
prima ha colpito la scuola elementare e
media e poi si è esteso alle scuole superiori), gli istituti scolastici erano in
condizione di poter accogliere tutte le
richieste di ammissione che fossero loro rivolte.
Quando poi, dalla fine degli anni Ottanta, si sono cominciati a muovere i primi passi dell’iter che ha portato alla
promulgazione della legge 59/1997, tra
le scuole ha preso l’avvio una gara,
condotta con tutti i mezzi di imbonimento che improvvisate tecniche di
marketing potevano suggerire (Di Gregorio, 1996), per attrarre il maggior numero possibile di iscritti, divenuti condizione di sopravvivenza: un numero di
studenti non inferiore ai 500 alunni era
infatti il requisito previsto dalla legge e
dal relativo piano di dimensionamento
delle istituzioni educative per l’attribuzione a esse della personalità giuridica
e per il riconoscimento dell’autonomia.
Nel corso di una decina d’anni, dunque, i bacini di utenza degli istituti scolastici, pur se non formalmente cancellati, hanno cessato di costituire il criterio di riferimento esclusivo per l’assegnazione degli studenti alle scuole (3).
La varianza ‘tra alunni’ e ‘tra
scuole e/o classi’ nei risultati di
apprendimento
Quello che sorprende della situazione
italiana non è tanto la possibilità accordata alle famiglie di iscrivere i figli al di
fuori dell’area dell’istituto nel cui territorio sono residenti – lo stesso è accaduto in altri Paesi sulla spinta del movimento di riforma di matrice neo-liberale che punta all’instaurazione, in maniera più e meno esplicita, di un regime
di ‘quasi-mercato’ in ambito educativo
– ma l’assenza di dibattito sul tema, vivace invece fuori dai nostri confini, e la
quasi totale mancanza di studi e ricerche sulla estensione e sugli effetti della libera scelta della scuola.
Il problema concerne soprattutto, come sopra accennato, il tratto comune
La rendicontazione
pubblica
Una serie
progressiva
di micro-norme
o di prassi
‘sussurrate’
ha fatto sparire
il concetto
di bacino
d’utenza
2) Ad esempio, la direttiva del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994,
3) Con questo non si vuol dire che essi siano
Principi sull’erogazione dei servizi pubblici
in grado da soli di garantire una
(fra i quali il successivo d.P.C.M. 19 maggio
distribuzione equilibrata degli alunni tra le
1995 individua anche l’istruzione, insieme a
scuole, come ben dimostra il caso della
sanità, assistenza e previdenza sociale,
Francia, dove, nonostante la carte scolaire
comunicazioni, trasporti, energia elettrica,
(che regola l’assegnazione degli alunni alle
acqua e gas) afferma tra i principi
scuole in base alla residenza),
fondamentali il diritto di scelta fra i soggetti
diseguaglianze del contesto di
erogatori, stabilendo inoltre che “il diritto di
apprendimento dovute al reclutamento
scelta riguarda, in particolare, i servizi
degli alunni sono lo stesso presenti (Dubet
distribuiti sul territorio”.
e Duru-Bellat, 2000; Duru-Bellat, 2002).
67
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La rendicontazione
pubblica
I dati
italiani
dimostrano
che le differenze
nei risultati
dipendono molto
dal tipo di scuola
o di classe
in cui si è inseriti,
piuttosto che
dagli allievi
68
del percorso scolastico. Dalle ultime rilevazioni dell’Invalsi (ma lo stesso fenomeno emergeva anche dalle rilevazioni precedenti) sappiamo che già in
seconda primaria, a livello nazionale, la
variabilità dei risultati nella prova di Ita-
liano, dovuta a differenze tra le scuole
e le classi, ammonta in media al 22%
della varianza totale e nella prova di
matematica al 27%, percentuali che
salgono rispettivamente al 25% e al
33% in quinta primaria e aumentano ul-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
teriormente alla fine del primo ciclo d’istruzione.
La proporzione di varianza dei risultati
di apprendimento che è attribuibile a
differenze tra le scuole e tra le classi è
un importante indicatore dell’equità di
un sistema scolastico e della sua capacità di assicurare agli alunni eguali
opportunità di educazione. La presenza di un effetto di ‘composizione del
gruppo’, che la ricerca ha a più riprese
constatato (Gottfried, 2014), fa sì che
l’apprendimento di un alunno sia influenzato non solo dalle sue caratteristiche personali ma anche dal livello
medio e dal grado di omogeneità/eterogeneità delle caratteristiche dei compagni.
Classi omogenee o eterogenee?
In un sistema scolastico ideale, dove
gli studenti fossero distribuiti in maniera aleatoria fra le unità del sistema indipendentemente dall’etnia, dalla condizione sociale, e dal livello di abilità, e
dove la stessa qualità d’insegnamento
fosse a tutti assicurata, la proporzione
di varianza tra scuole e tra classi tenderebbe a zero e tutta la variabilità dei
risultati si situerebbe tra gli alunni all’interno delle classi e delle scuole. In Italia non solo questo ideale traguardo
non è raggiunto ma la proporzione di
varianza tra scuole e tra classi rispetto
alla varianza totale non è egualmente
ripartita tra le diverse aree geografiche
del Paese: mentre al Nord e, in minor
misura, al Centro la varianza media tra
scuole e tra classi è più o meno contenuta, nel primo ciclo, in limiti fisiologici, al Sud e nelle Isole essa risulta nettamente più elevata.
Quali siano i fattori alla base di tale fenomeno e in particolare quanto e come in esso giochi la scelta della scuola da parte delle famiglie è cosa che andrebbe indagata, se non altro perché
esso ha probabilmente un peso anche
sul più basso livello degli apprendimenti nel Meridione. Si è detto che il problema riguarda fondamentalmente l’i-
struzione di base, in quanto nella scuola superiore una elevata proporzione di
varianza tra scuole (grosso modo il
50% circa, stando ai dati dell’indagine
Pisa) in funzione dell’indirizzo liceale,
tecnico o professionale di appartenenza è una inevitabile conseguenza della
struttura ‘a canali’ di questo grado d’istruzione e dei processi di selezione e
autoselezione degli studenti che si agiscono al momento del passaggio dal
primo al secondo grado della scuola
secondaria.
La regolazione delle ammissioni
alle scuole in Inghilterra
Per dare un’idea di quale sia in Italia la
sottovalutazione del problema sopra
brevemente descritto, facciamo riferimento a un Paese, l’Inghilterra, che
rappresenta un caso emblematico del
nuovo corso nelle politiche dell’istruzione inaugurato a partire dagli anni ’80
in poi. Con l’Education Act del 1988 il
governo conservatore di Margaret
Thatcher ha introdotto un curricolo nazionale prescrittivo per la scuola
dell’obbligo (che comprende nel Regno
Unito la fascia d’età dai 5 ai 16 anni),
un sistema di valutazione degli apprendimenti degli alunni mediante prove
standardizzate alla fine dei 4 key stage
in cui il percorso curricolare si articola,
la possibilità per i genitori di scegliere
liberamente la scuola dove iscrivere i
propri figli, e un sistema di accountability di tutte le scuole pubbliche (4) fondato sulla pubblicazione dei risultati dei
test e degli esami nazionali e sulla loro
La rendicontazione
pubblica
La ‘varianza’
dei risultati
tra scuole
e classi
è più forte
nelle aree
del Sud
e influisce
sul rendimento
complessivo
degli studenti
4) Nel Regno Unito sono scuole pubbliche
quelle che ricevono finanziamenti dallo
Stato; esse comprendono varie categorie di
istituzioni, sia fondate e gestite direttamente
dalle LEAs (community schools) sia create e
gestite da soggetti privati (Foundation
schools, Academies, ecc.). Al di fuori del
sistema pubblico sono le scuole
indipendenti (meno del 5% del totale), che si
mantengono con le rette degli iscritti e altri
introiti non di provenienza statale.
69
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La rendicontazione
pubblica
In Inghilterra
vigeva
un sistema
molto ‘liberista’
negli accessi
alle scuole,
ma ora
sono stati posti
correttivi
e regole
70
ispezione periodica da parte di squadre di ispettori facenti capo all’Ufficio
per gli standard nell’educazione (Ofsted).
Senza entrare nel merito della riforma,
vogliamo qui però sottolineare che essa si è innestata in una realtà istituzionale assai diversa da quella prevalente
nei Paesi dell’Europa continentale, dove lo Stato esercita un ruolo di primo
piano nell’ordinare e organizzare il sistema scolastico: in Inghilterra l’offerta di istruzione è affidata all’iniziativa di
Enti e soggetti privati e, a titolo sussidiario, delle Local Education Authorities, espressione delle comunità territoriali, ed è dunque storicamente più
pluralistica e disomogenea, anche qualitativamente, di quanto non accada nei
Paesi del continente europeo.
Ciò detto, la concorrenza fra le scuole
per attrarre iscrizioni – dal cui numero
venivano a dipendere in gran parte i finanziamenti sulla base del principio del
‘denaro che segue l’alunno’ – innescata dalla riforma del 1988, e quella parallela tra le famiglie per assicurare ai
propri figli un posto nelle scuole più
ambite, ha posto al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, degli istituti di ricerca e delle autorità la questio-
ne di come regolare le ammissioni alle
scuole onde evitare discriminazioni fra
gli studenti e contrastare la segregazione fra istituti.
Un codice di comportamento
per le iscrizioni
A seguito delle disposizioni contenute
nello School Standards and Framework
Act del 1998, emendate dal successivo Education and Inspections Act del
2006, è stato stilato un Codice di comportamento a cui tutte le scuole finanziate pubblicamente sono tenute ad attenersi nel gestire le ammissioni. Il Codice, specie dopo la pubblicazione di
un rapporto sull’argomento dell’Istituto di ricerca per le politiche pubbliche
(Tough e Brooks, 2007), è stato ed è
oggetto di successive revisioni per renderlo sempre più congruente con l’obiettivo di rendere il processo di allocazione dei posti nelle scuole equo e
tale da assicurare il più possibile un reclutamento equilibrato, impedendo alle scuole che abbiano un eccesso di
domande di ammissione rispetto alla
disponibilità di posti di selezionare in
qualunque modo tra le richieste.
In sintesi, la procedura di iscrizione pre-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
vede che i genitori si rivolgano alla Lea
nel cui territorio risiedono esprimendo
fino a un massimo di tre preferenze, che
possono riguardare qualunque scuola
sia all’interno sia all’esterno della Lea di
riferimento. A loro volta le scuole sono
tenute a notificare i posti disponibili e a
rendere pubblici i criteri seguiti per accogliere o respingere le domande in caso di un eccesso di richieste di iscrizione. L’intero processo è sotto la supervisione di un’autorità governativa, l’Ufficio dello Schools Adjudicator, e i genitori che si vedano rifiutare la domanda
di ammissione hanno il diritto di fare appello contro tale decisione. Inoltre, il Codice prevede che le LEAs debbano fornire alle famiglie più deboli assistenza e
supporto per far accettare la propria richiesta nella scuola di preferenza.
“La scuola migliore
sotto casa…”
Una procedura efficace di valutazione
delle scuole è ancora in Italia tutta da
costruire ed è presto per dire se quanto previsto dal Regolamento in materia
sarà in grado di produrre un progresso
effettivo o non si tradurrà piuttosto in
una routine burocratica senza alcuna
significativa incidenza nella scuola reale. Pur sospendendo la formulazione di
un giudizio che sarebbe a questo punto prematuro, ci sembra tuttavia di poter dire che, se si vuole che le scuole
entrino fra loro in una competizione ‘virtuosa’ sul solo terreno del miglioramento della propria organizzazione e delle
proprie pratiche pedagogiche e didattiche, e non prendano invece altre e più
facili strade per elevare i risultati, dovrebbe esser prevista una qualche forma di dispositivo di controllo che stabilisca le regole del gioco e ne assicuri il rispetto, chiarendo quali azioni sono consentite e quali vietate, al fine di
salvaguardare il diritto di tutti gli utenti
a una istruzione di qualità e l’interesse
che la collettività ha al progresso dei livelli di apprendimento dell’intera popolazione di studenti.
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S. Tough e R. Brooks, School admissions: fair choice for parents and pupils,
IPPR, june 2007.
V. Vandemberghe, Functioning and regulation of educational quasi-markets, Louvain-la-Neuve, Université Catholique,
Lovanio, 1996.
La rendicontazione
pubblica
Con il nuovo
sistema
di valutazione
italiano
sembra
opportuno
stabilire
le regole
del gioco
per evitare
un cheating
di massa
Le opinioni qui espresse sono da attribuire
alla sola autrice e non impegnano la
responsabilità di altri soggetti.
Angela Martini
Consulente Invalsi ed esperta di valutazione degli
apprendimenti delle scuole e dei sistemi scolastici
[email protected]
71
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La rendicontazione
pubblica
Il dialogo tra scuola
e società attraverso
il bilancio sociale
Il progetto Obiss
di Fabrizio Ferrari
L’idea di accountability
Il bilancio sociale
comunica
l’idea
di una coerenza
tra scelte
educative,
risorse
impegnate
e risultati
raggiunti
I termini accountability, stakeholder,
così come quello di bilancio sociale,
rendicontazione economica e sociale,
sono oramai entrati da tempo nel linguaggio della scuola, per lo meno nei
settori più sensibili all’innovazione, anche in funzione di numerose indicazioni e di alcuni vincoli normativi che hanno guidato e stanno guidando le istituzioni scolastiche a riflettere sul significato e la portata di questi temi.
L’idea che la scuola debba fare pratica
di accountability deriva dalla necessità
di giustificare l’impiego delle risorse
pubbliche per garantire il suo funzionamento; ma di cosa stiamo parlando
precisamente? Cosa si intende per accountability? Ci riferiamo alla capacità
delle scuole di comunicare, sia alla società in senso lato, sia alla comunità di
riferimento in senso stretto, e sia alle
istituzioni governative da cui dipende,
i risultati che vengono raggiunti attraverso l’impiego delle risorse che le vengono assegnate a titolo economico,
culturale, intellettuale, di tempi, di persone e di tecnologie.
Il termine accountability indica pertanto la capacità di rendere pubblici gli
obiettivi raggiunti e le modalità con cui
le risorse assegnate sono utilizzate per
raggiungere quegli obiettivi, assumendosi la responsabilità delle ricadute di
questi obiettivi anche oltre il contesto
stretto di riferimento.
Fare un bilancio (sociale)
72
La traduzione italiana del termine accountability, pur essendo ancora necessario accordarsi sul significato preciso che si vuole dare ad esso, può essere ‘bilancio sociale’ o ‘rendicontazio-
ne sociale’. Qui assumeremo il primo
semplicemente perché il termine ‘bilancio’ comunica l’idea di uno scambio, di
un atto che attraverso un confronto genera un’istantanea della situazione, una
fotografia, che si può avere al termine
di ogni anno scolastico.
In gioco è il rapporto tra le scelte di indirizzo educativo-formativo che la scuola compie, le risorse investite dal pubblico o dal privato (economiche, intellettuali, di conoscenza, legate al territorio,
alle persone, alle tecnologie) e quanto
la scuola riesce a raggiungere in termini di diffusione della conoscenza, consapevolezza di cittadinanza, accoglienza e soluzione delle problematiche sociali affidatele, coerenza con le indicazioni istituzionali in termini di generazione di conoscenze e competenze.
Tutto ciò considerato, possiamo concludere che il bilancio sociale è un documento che rappresenta da moltissimi punti di vista uno sguardo sulla
scuola, su ogni scuola, ed è in grado di
fotografare ogni anno la capacità da
parte delle scuole di generare futuro attraverso il presente.
Costruire dialogo e comunità
Uno degli aspetti più importanti del bilancio sociale è la capacità di comunicare. Se l’oggetto della comunicazione
può essere abbastanza chiaro occorre
precisare a chi è destinato.
Per capire la potenza dello strumento
dobbiamo pensare all’organizzazione,
complessa della scuola; immaginando
cerchi concentrici via via più ampi. Al
centro, nel cerchio più piccolo, abbiamo gli insegnanti e i dirigenti, il personale Ata, ovvero la scuola in senso
stretto, potremmo dire a porte chiuse.
In un cerchio immediatamente più am-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
pio, aprendo le porte, abbiamo gli studenti, le studentesse e le loro famiglie.
In un terzo cerchio abbiamo il territorio
su cui la scuola opera e insiste: le circoscrizioni, i comuni, le associazioni e
le realtà di territorio sia laiche, sia religiose. Infine, nell’ultimo cerchio abbiamo coloro che governano la scuola o
che sono interessati alla scuola nelle
sue linee di indirizzo, generiche e generali, all’erogazione delle risorse economiche e di personale, e al raggiungimento di definiti obiettivi accademici.
Il bilancio sociale parla a tutte le componenti che in qualche modo e a diverso titolo sono interessate ad ascoltare
la scuola perché interessate a quanto
questa ha portato avanti: sono i cosiddetti stakeholder. Il coinvolgimento di
questi e il ruolo del bilancio sociale come promotore di dialogo e motore nel
costruire una comunità nelle scuole avvengono a due livelli: interno ed esterno alla scuola.
Fuori dalle porte della scuola è più forte il rischio della frammentarietà delle
informazioni, dell’incapacità a cogliere
la complessità di attività e iniziative,
della mancata comprensione di un linguaggio a volte troppo tecnico, delle
difficoltà nel comunicare le criticità di
gestione. Inoltre la competizione tra le
diverse realtà e agenzie formative ed
educative (famiglie, media, comunità,
altre scuole…) spesso porta a fraintendimenti e tensioni in grado di generare
un clima negativo e distruttivo degli
obiettivi da raggiungere.
Tra interno ed esterno:
fare comunità
A un primo livello, più ristretto, vi è
un’altra difficoltà da affrontare: la motivazione nell’azione d’insegnamento.
Diffusa è la percezione tra i professionisti che vivono all’interno dell’istituzione che a questa non venga riconosciuto il ruolo sociale che merita. Inoltre le
difficoltà economiche sono all’ordine
del giorno, così come le difficoltà a
operare in situazioni di disagio sociale
e culturale senza le risorse che si vorrebbero in aiuto. Sembra che per quanti siano gli sforzi e i tentativi di produrre una scuola accogliente, collaborativa, di qualità, questi non arrivino mai a
essere sufficienti o sufficientemente riconosciuti.
A questo primo livello il bilancio sociale risponde in modo chiaro. Parla a tutti i soggetti dentro alle porte della scuola mettendo in comunicazione tutte le
realtà, facendo emergere in modo evidente quanto viene svolto in ogni contesto e collegando il lavoro alle risorse
e ai risultati. Il bilancio sociale pone le
basi per avviare uno scambio, un dialogo tra insegnanti, a volte anche molto distanti tra diversi plessi e realtà dello stesso istituto, rendendo esplicite le
loro progettazioni e le condizioni operative.
Se ben costruito, utilizzato e opportunamente diffuso il bilancio sociale diventa un documento importante all’interno di ogni istituto per dare voce e
creare comunità, intesa come collaborazioni e sinergie per obiettivi condivisi, nonché portare alla luce tutte le situazioni di difficoltà, sofferenza economica o professionale che altrimenti rimarrebbero sopite e vissute con frustrazione.
Aprendo le porte della scuola e spostandosi al secondo livello di più ampio respiro, il bilancio sociale parla con
altrettanta chiarezza a tutti i soggetti
del territorio su cui la scuola opera: a
tutte le famiglie, studenti e studentesse, associazioni, comitati, realtà territoriali, circoscrizioni, comuni. A queste
comunica le scelte della scuola, le motivazioni che le hanno generate e i risultati raggiunti. Anche in questo caso
il collegamento tra scelte di indirizzo,
risorse e risultati permette di mettere in
luce l’identità della scuola e gli obiettivi che si vogliono perseguire. Il dibattito e il confronto si spostano così verso
la condivisione di traguardi e di scelte
strategiche, facendo crescere ogni
soggetto, finalmente riconosciuto nel
proprio ruolo e identità grazie alla sua
La rendicontazione
pubblica
All’interno
della scuola
il bilancio sociale
stimola
coesione,
conoscenza,
collaborazione.
All’esterno
pone
le basi
per la condivisione
di scelte
strategiche
73
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La rendicontazione
pubblica
definizione all’interno del bilancio sociale nell’interesse dell’istituzione scolastica (1).
Le condizioni per avviare il
percorso
Poiché
le informazioni
e i dati
sono patrimonio
di molti soggetti,
occorre
definire
protocolli
di comunicazione
comuni
Interpretazioni del bilancio sociale e
modelli ne esistono molti. Parlando di
strumento comunicativo possiamo incontrare documenti molto articolati e
complessi, così come agili e snelli.
Innanzitutto è opportuno riflettere sulle caratteristiche che sono necessarie
alla scuola per arrivare a scrivere il bilancio sociale. Il percorso infatti è
tutt’altro che banale e immediato e, fatto non trascurabile, fa parte del bilancio sociale stesso.
Quando si sceglie di partire infatti si deve valutare che il documento che si sta
per comporre comprende una molteplicità di informazioni che sono patrimonio
di molti soggetti diversi: alcuni sono posseduti dagli insegnanti (valutazioni accademiche, progetti, interventi sul disagio,
rapporti con le famiglie); altri sono disponibili in segreteria (dati relativi alle iscrizioni e frequenza, caratteristiche del territorio); altri ancora sono nelle mani del
direttore dei servizi generali e amministrativi, il cosiddetto segretario (dati economici e di funzionamento); infine altri sono di pertinenza del dirigente scolastico
(dati di indirizzo, scelte strategiche, attuazione delle politiche scolastiche, documenti ufficiali e istituzionali). Doversi
relazionare con così tanti soggetti può
essere difficoltoso: occorre pertanto che
all’interno dell’istituzione scolastica siano formalizzati ruoli, competenze, riferimenti, responsabilità. In altre parole è
fondamentale che esista alla sua base un
1) Nell’esperienza con il progetto Obiss
(www.obiss.it) le scuole hanno saputo
riconquistare un ruolo di primo piano nella
progettazione educativa e nell’immaginario
di famiglie, istituzioni e territorio proprio
grazie alla redazione e pubblicazione
del bilancio sociale e al dialogo che
74
quest’ultimo ha generato.
percorso di qualità esplicita (Caf, Aicq
Education, Marchio Saperi, per citare i
più diffusi) oppure implicita. Per modello
di qualità implicita si intendono prassi,
consuetudini, documenti interni dell’istituto che garantiscano responsabilità,
possesso dei dati, circolazione delle informazioni secondo un modello unitario.
La presenza di un percorso di qualità è
condizione fondamentale per partire
con il bilancio sociale ma non dobbiamo dimenticare un altro aspetto: ovvero la volontà di porsi obiettivi e di volerli mettere in discussione, preparandosi anche a comunicare l’insuccesso
senza timori.
Le caratteristiche del bilancio
sociale
Se abbiamo posto le premesse fondanti senza le quali può essere difficile e faticoso arrivare al bilancio sociale, occorre definire quali siano le caratteristiche
da considerare nella sua redazione. In
estrema sintesi in ogni bilancio sociale
si deve porre attenzione a cinque fattori: il suo radicamento all’interno della
scuola, la sua omogeneità, la scientificità del modello, la sua completezza e
la sua efficacia comunicativa.
Il radicamento del documento va inteso come la percezione condivisa tra insegnanti, dirigente, bidelli e segreteria
che il bilancio sociale sia uno strumento in grado di dare loro voce all’interno
della scuola stessa; si può realizzare
garantendo un gruppo di lavoro snello
ma strategicamente significativo e rap-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
presentativo di tutte le componenti.
Non dimentichiamo che occorre mettere insieme dati di funzionamento,
economici, didattici, di progettazione,
di efficacia e di risultato.
La necessità del bilancio sociale di interloquire con l’amministrazione scolastica e con gli stakeholder interni alla
scuola, ma anche la volontà di comunicare con le famiglie e i soggetti legati al
territorio, impongono che sia costruito
in modo omogeneo e comparabile. Inoltre occorre focalizzarsi su un prodotto
scientificamente affidabile, evitando di
muoversi in modo approssimativo e sulla basa di sensazioni. In Obiss abbiamo
pensato di supportare il lavoro in rete
delle scuole coordinandolo con l’aiuto
di un supporto scientifico. Il rischio di
avere un documento incompleto, autoreferenziale, non comparabile, inefficace può vanificare gli sforzi.
La completezza e l’efficacia comunicativa sono il fondamento su cui si fonda
il dialogo virtuoso che dal bilancio sociale si muove verso il miglioramento,
sia attraverso la comunione di intenti e
la condivisione degli obiettivi all’interno della comunità scolastica, sia attraverso l’orientamento delle politiche del
territorio e dell’amministrazione.
Il bilancio sociale all’interno del
Sistema nazionale di valutazione
Con l’avvio del Sistema nazionale di valutazione prende forma istituzionale la
volontà di avere una scuola trasparente
e pienamente accountable. I recenti vincoli, innanzitutto con il percorso di autovalutazione, il cosiddetto Rav, avviano
una stagione che porterà le scuole a essere sempre più esposte e trasparenti.
Nel Sistema nazionale di valutazione il
bilancio sociale è previsto solo al termine del terzo anno di lavoro, immaginandolo alla conclusione di un percorso di miglioramento della scuola come
strumento in grado di testimoniare i risultati raggiunti.
Quale ruolo può tuttavia avere una pubblicazione triennale dedicata a testimo-
niare un percorso concluso? Non dobbiamo dimenticare che il bilancio sociale non è un documento legato alla
qualità e al miglioramento in senso
stretto, ma è un documento improntato a dialogare con la comunità e con gli
stakeholder che gravitano intorno a
ogni istituzione scolastica e che hanno
tutto l’interesse a collaborare e a partecipare nella definizione degli obiettivi e del percorso per realizzarli.
Il dialogo tra scuola e società attraverso il bilancio sociale avviene solo con un
regolare confronto sia all’interno della
scuola a porte chiuse, sia nella totalità
della scuola a porte aperte. È importante un costante scambio di informazioni
sulle attività che la scuola porta avanti e
che si traducono non solo in apprendimenti accademici, ma anche in cittadinanza, alleggerimento del disagio, arricchimento del territorio, valorizzazione
delle eccellenze.
Una comunità deve continuamente confrontarsi, dialogare e riflettere sui percorsi realizzati e immediatamente poter progettare e riprogettare: non possiamo pertanto muoverci oltre l’anno scolastico.
Il bilancio sociale si pone, in quest’ottica, come un documento in grado di superare la visione di una scuola autoreferenziale verso una scuola aperta, libera, diffusa, che coinvolge e ascolta, progetta e condivide obiettivi e difficoltà.
La rendicontazione
pubblica
Il bilancio sociale
dovrebbe
essere
elaborato
ogni anno
e non solo
al termine
del triennio,
per alimentare
dialogo
e feedback
continui
OBISS
Osservatorio per il BIlancio Sociale
nella Scuola
associazionetommaseo.it/obiss/
Fabrizio Ferrari
Insegnante di scuola primaria, coordinatore del gruppo
di lavoro sull’autovalutazione presso l’associazione
“N. Tommaseo” di Torino, cofondatore di Obiss
(Osservatorio sul bilancio sociale della scuola)
[email protected]
75
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
Il dirigente scolastico
nel processo
di autovalutazione
di Giorgio Cavadi
Dai progetti-prototipo al nuovo
sistema
La valutazione
dell’azione
dirigenziale
si innesta
sulla conoscenza
della scuola
e del relativo
piano
di miglioramento
Il d.P.R. 80 del 28 marzo 2013, con il
quale è stato emanato il Regolamento
del sistema nazionale di valutazione
(Snv) della scuola italiana chiude un decennio di progetti sperimentali o ‘prototipali’ che, per successive approssimazioni, hanno oscillato fra la ricerca
di un modello finalizzato alla valutazione del dirigente scolastico (Ds) e l’esigenza di una lettura sempre più approfondita di quanto avviene all’interno
delle scuole italiane (1).
L’attuale modello (2) si configura come
una procedura che ambisce a tenere
insieme valutazione interna e valutazione esterna delle istituzioni scolastiche (3), con la valutazione dei risultati
del dirigente scolastico, del quale si intende cogliere l’esplicitazione dell’ope1) La valutazione di sistema fa la sua
comparsa nella scuola italiana con i primi
progetti sperimentali sulla valutazione del
dirigente scolastico (Sivadis 1, 2, 3 20032006). Una panoramica dell’esperienza è in
Franco De Anna, Sistema di valutazione dei
dirigenti scolastici (Sivadis), Indire, 2005, in
www2.indire.it/; uno dei maggiori limiti
apparve da subito la gestione di un modello
a obiettivi variabili perché affidati alla libera
individuazione del Ds ‘valutato’.
2) I passaggi fondamentali sono riportati
nell’art. 6 del Regolamento
3) Il riferimento al modello inglese dell’Ofsted
(Office for Standards in Education) è già
esplicito nel monumentale “Quadro di
riferimento teorico del Valsis”, Invalsi,
giugno 2010, che getta le basi dell’attuale
rato come leader di una comunità educativa e come dirigente di un segmento fondamentale dell’apparato dello
Stato. Il percorso, partendo dalla lettura delle dinamiche interne alle istituzioni scolastiche, è finalizzato a stimolarne e supportarne il miglioramento, per
giungere alla valutazione del Ds in relazione ai “risultati della sua azione dirigenziale, secondo quanto previsto
dall’articolo 25 del decreto legislativo
30 marzo 2001 n. 165” (4).
Il dirigente come interlocutore
strategico
Sebbene debbano essere portati a
compimento alcuni passaggi fondamentali per la messa a regime del SNV
che si modulerà nel successivo triennio, a oggi è disponibile una prima documentazione di supporto (Rav, Quadro teorico di riferimento del Rav, Mappa degli indicatori), mentre non sono
ancora pubblici gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici (5).
Nel disegno del Regolamento, dalla dinamica fra valutazione interna e valutazione esterna scaturiscono gli obiettivi del Piano di miglioramento della
scuola; tali obiettivi si considerano direttamente riconducibili all’operato organizzativo e gestionale del Ds e infatti, insieme al piano di miglioramento
“sono comunicati al direttore generale
del competente Ufficio scolastico regionale, che ne tiene conto ai fini della
individuazione degli obiettivi da assegnare al dirigente scolastico in sede di
conferimento del successivo incarico e
della valutazione di cui al comma 4” (6).
modello del SNV; l’evidente filiazione dal
modello inglese è rimarcata nel recente
4) Art. 6, comma 4 del Regolamento.
Rapporto della Fondazione Giovanni
5) Punto 3a) della direttiva n. 11, 18 settembre
Agnelli, La valutazione della scuola. A cosa
serve e perché è necessaria all’Italia,
76
Laterza, Roma-Bari, 2014.
2014, in applicazione di quanto disposto
dall’art. 6, comma 4, del Regolamento.
6) Art. 6, comma 5 del Regolamento.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La presenza del Ds e la possibilità di
leggerne e valutarne l’operato era ben
evidente sia nei modelli teorici (Valsis)
che negli strumenti di osservazione/valutazione dei due progetti-prototipo che
hanno costituito la base dell’attuale
SNV – “Valutazione e miglioramento”
(VM, 2010-2012 e 2013-14) e “Valutazione e sviluppo della scuola” (VALeS,
2013-15). In entrambi venne previsto
un coinvolgimento pieno del Ds durante la visita dei valutatori esterni: intervista-incontro con il Ds e il suo staff in
avvio di visita per l’illustrazione delle finalità dell’azione degli osservatori; intervista strutturata affiancato dal Dsga
e dal suo staff per la discussione sulla
gestione strategica delle risorse finanziarie e strumentali e sulle modalità di
sviluppo professionale delle risorse
umane.
I processi decisionali
“In questa sezione vengono presi in esame i luoghi dove avvengono alcuni processi decisionali ritenuti chiave a scuola. Sono stati considerati i seguenti luoghi, intesi come organismi, singoli individui o gruppi: il collegio dei docenti, il consiglio di istituto, i consigli di classe o interclasse, il dirigente scolastico, lo staff del dirigente
scolastico, un gruppo di lavoro o dipartimento o commissione, i singoli insegnanti. I processi decisionali presi in esame
concernono la ripartizione dei fondi del bilancio scolastico, le modalità di valutazione degli studenti, i criteri di formazione delle classi, le modalità di lavoro degli studenti (classi aperte, gruppi di livello, ecc.), i
contenuti del curricolo, le attività per ampliare l’offerta formativa, l’articolazione oraria, i metodi didattici, gli argomenti per
l’aggiornamento degli insegnanti”, Rapporto Questionario scuola Invalsi, VALeS
2013-14.
Il fuoco sull’azione dirigenziale
Nel “Questionario scuola”, alcuni item
erano direttamente rivolti alla figura e
all’operato del Ds (sez. Risorse umane), in merito al tipo di incarico, all’anzianità nel ruolo e alla stabilità nella
scuola. Al Ds, poi, veniva richiesta
un’opinione sulla partecipazione informale dei genitori all’attività della scuola secondo tre aspetti: partecipazione
ai colloqui con gli insegnanti, alle iniziative organizzate della scuola, collaborazione alla realizzazione dalle attività
della scuola. Medesima opinione del
Ds veniva sollecitata e raccolta, ma solamente per le scuole del II ciclo, in merito alla partecipazione degli studenti
alle attività della scuola.
Negli strumenti di VALeS, tutta la parte del “Rapporto Questionario scuola
Invalsi” dedicata ai processi decisionali coglieva, direttamente e indirettamente, il cuore dell’azione di gestione e coordinamento del leader di un’istituzione scolastica; non a caso in coda a
questa sezione erano state collocate le
due domande assolutamente complementari fra loro, sul tempo dedicato dal
Ds alle questioni educative ovvero a
Professionalità
Negli strumenti
VALeS e VM
molti quesiti
si riferiscono
ad aspetti rilevanti
dell’azione
del dirigente
quelle nell’espletamento di compiti amministrativi e di coordinamento del personale presenti in una vasta letteratura
sull’argomento.
Coordinamento e processi
decisionali
Altri indicatori, più o meno direttamente, erano in grado di dirci dell’azione di
coordinamento del Ds sui diversi aspetti di gestione della scuola, come la lettura della congruenza fra progetti del
Pof ritenuti più importanti, comparata
all’indice di concentrazione di spesa
per i tre progetti più importanti. Inoltre,
la lettura della varianza interna fra classi in relazione agli esiti di apprendimento nelle prove Invalsi richiama, più sottilmente, ad azioni di grande responsabilità del Ds nella formazione delle classi e dei consigli di classe per contrastare ove presente, un disequilibrio nei risultati emerso in fase di valutazione
esterna.
Infine, va segnalato che il “Rapporto finale” del progetto VM 2010-2012, utilizzava anche le evidenze emerse dalle interviste di gruppo tenute dai valu-
77
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
Nel RAV 2014
la figura
del dirigente
è presente,
ma quasi
in forma implicita,
come ‘regista’
strategico
di istituto
tatori agli insegnanti in merito alle caratteristiche dell’operato del Ds, in particolare: sulle capacità del Ds di mettere in atto e gestire azioni di comunicazione efficaci e adeguate; sulla qualità
dei processi decisionali anche rispetto
allo stile di direzione (autoritario, direttivo, specialistico, collaborativo, individuale, disperso); su quanto e come la
dirigenza scolastica convocasse spesso riunioni informali per prendere decisioni rapide; sui luoghi e modi dei processi decisionali; sulla capacità della
dirigenza scolastica nel sostenere la
collaborazione tra docenti (7); infine sul
tempo dedicato dal Ds a questioni educative e a questioni amministrative e di
coordinamento.
Rav 2014: la ‘mano invisibile’
del dirigente
La scelta di curvare la finalità del SNV
più verso la lettura dei processi delle
istituzioni scolastiche per promuoverne e accompagnarne il miglioramento,
piuttosto che sulla valutazione del Ds
tout court, nonché la drastica riduzione degli indicatori (ora 49 rispetto al
212 del modello CIPP Valsis (8)), pone
la figura del Ds in una posizione più
‘sfumata’.
A una prima percezione, pare che la
leadership del Ds debba e possa essere letta, incidentalmente, attraverso la
sintesi di una serie di indicazioni indi7) Il recentissimo Rapporto sulle
caratteristiche psicometriche e utilizzo
delle informazioni nell’autovalutazione delle
scuole, pubblicato da Invalsi il 23 dicembre
2014, indica come il “Questionario
insegnanti” abbia contribuito a mettere a
fuoco un aspetto centrale dell’operato del
Ds: “La scala sulla direzione e la gestione
della scuola si propone di indagare con 5
domande (…) quanto il Ds contribuisce a
creare un clima di lavoro positivo all’interno
della scuola valorizzando ad esempio il
lavoro degli insegnanti”.
8) Le 4 aree del modello CIPP sono Contesto,
78
Input, Processi, Prodotti.
Orientamento strategico e organizzazione della scuola (Rav 2014)
“Identificazione e condivisione della missione, dei valori e della visione di sviluppo dell’istituto. Capacità della scuola di
indirizzare le risorse verso le priorità, catalizzando le energie intellettuali interne,
i contributi e le risorse del territorio, le risorse finanziarie e strumentali disponibili verso il perseguimento degli obiettivi
prioritari d’istituto. La missione è qui definita come la declinazione del mandato
istituzionale nel proprio contesto di appartenenza, interpretato alla luce dall’autonomia scolastica. La missione è articolata nel Piano dell’offerta formativa e
si sostanzia nell’individuazione di priorità d’azione e nella realizzazione delle attività conseguenti”.
L’area è articolata al suo interno in quattro sottoaree:
– Missione e obiettivi prioritari (individuazione della missione, scelta delle
priorità e loro condivisione interna e
esterna).
– Controllo dei processi (uso di forme
di controllo strategico e monitoraggio
dell’azione intrapresa dalla scuola per
il conseguimento degli obiettivi individuati).
– Organizzazione delle risorse umane
(individuazione di ruoli di responsabilità e definizione dei compiti per il personale).
– Gestione delle risorse economiche
(assegnazione delle risorse per la realizzazione delle priorità).
rette, quasi che si voglia soppesare se
e quanto funzioni la ‘mano invisibile’
del dirigente nella narrazione dei fatti
della scuola, al di là della semplice individuazione delle caratteristiche professionali del dirigente (Indicatore
1.4.b, tipo di incarico, anni di esperienza, stabilità). Rimangono di estrema importanza gli indicatori inerenti a modi e
luoghi dei processi decisionali (3.5.c)
che in occasione delle interviste condotte in VM dal team dei valutatori
esterni avevano dato delle indicazioni
interessanti sulle modalità di gestione
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
della comunicazione e della leadership
stessa da parte del Ds.
In realtà, sebbene mai citato, il Ds è
presente come figura chiave, quasi un
convitato di pietra, nell’intera sez. B
dell’ambito dei processi (pratiche gestionali e organizzative), in particolare
nell’area “Orientamento strategico e organizzazione della scuola”.
Presidiare il processo
Ora, in quest’ottica di processo, si può
certamente affermare che già la fase
di elaborazione dei Questionari e la
conseguente costruzione del Rav costituiscano un primo serio banco di
prova per il Ds, chiamato a incanalare
l’attenzione della scuola al corretto
sviluppo di un primo momento di confronto fra valutazione esterna e valutazione interna (9). Mentre, per rimanere entro la strategia complessiva del
SNV, un secondo passo affidato alle
qualità di un buon Ds risiede nella ne9) Rapporto della Fondazione Giovanni
Agnelli, La valutazione della scuola. A cosa
serve e perché è necessaria all’Italia, cit.
cessità di sollecitare, in ogni fase della valutazione e fin dal suo avvio, un
coinvolgimento attivo e responsabile
di tutte le componenti della scuola,
fuori da logiche di mero adempimento formale, nella consapevolezza condivisa che un buon processo valutativo consenta a ciascuna istituzione
scolastica di regolare e qualificare il
proprio servizio educativo.
Tocca al dirigente governare con chiarezza di intenti e procedure la strategia
per condurre l’istituzione scolastica a
una consapevole assunzione di responsabilità nell’aprire la scatola nera della
scuola per realizzare – già con la pubblicazione del Rav (luglio 2015) – una
prima forma di rendicontazione sociale.
Spetta
al dirigente
promuovere
il coinvolgimento
attivo
di tutte
le componenti
dell’istituto
nelle diverse fasi
della valutazione
Esplicitare la leadership
Ecco perché ci pare di difficile lettura,
se non in filigrana, la funzione di leadership educativa e di governo dei
processi didattici da parte del dirigente, così come è proposta al punto a)
dei Processi (pratiche educative e didattiche) del Rav 2014. Nella mappa
degli indicatori del Rav 2014 perman-
79
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
Il RAV
è uno strumento
in evoluzione,
in cui si dovrà
esplicitare
meglio
il ruolo
strategico
del dirigente
Capacità di direzione
“Identificazione e condivisione della
missione, dei valori e della visione di
sviluppo dell’istituto. Stile di direzione,
modalità di gestione della scuola da
parte del dirigente e dei suoi collaboratori. Promozione di una comunità
professionale che cerca il coinvolgimento e l’impegno pro-attivo del personale”, in Linee guida dei valutatori
esterni progetti “Vales” e “Valutazione
e miglioramento”, 2013.
gono – rispetto al “Rapporto finale” restituito alle scuole in VM 2013-14 – tre
voci in cui si articola il punto b) dei
Processi, pratiche gestionali e organizzative, e cioè:
• orientamento strategico e organizzazione della scuola;
• sviluppo e valorizzazione delle risorse umane;
• integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie.
Ci pare, per concludere, che per meglio valutare l’operato del Ds e per rendere più visibile la sua azione, sarebbe
stato opportuno mantenere l’area definita come Ambiente organizzativo (10)
e, di conseguenza, quegli indicatori che
nel “Rapporto finale” VM 2013-14 erano raggruppati nella sezione (4.6) denominata, assai significativamente,
Identità strategica e capacità di direzione della scuola (leadership).
10)Invalsi, Valutare le scuole: le logiche generali
80
del progetto VALeS, novembre 2012.
Riferimenti bibliografici
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le scuole oggi, Fondazione per la scuola della Compagnia di S. Paolo, 2010.
F. De Anna, Sistema di valutazione dei dirigenti scolastici (Sivadis), Indire, 2005.
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Fondazione Giovanni Agnelli, La valutazione della scuola. A cosa serve e perché è necessaria all’Italia, Laterza, Roma-Bari, 2014.
Invalsi, Quadro di riferimento teorico della Valutazione del sistema scolastico e
delle scuole, gruppo di lavoro coordinato da D. Poliandri, 2010.
Invalsi, Valutare le scuole: le logiche generali del progetto Vales, novembre 2012.
A. Paletta, Scuole responsabili dei risultati, Il Mulino, Bologna, 2011.
A. Paletta, Ripensare l’autonomia scolastica per migliorare gli apprendimenti
degli studenti, in “Autonomia e Dirigenza”, anno XXI, nn. 7-8-9, 2012.
A. Paletta, Valutazione dell’istruzione e
miglioramento: il contributo degli studi
di management, Working paper, FGA,
Torino, 2014.
Giorgio Cavadi
Dirigente scolastico presso l’Ufficio scolastico regionale
per la Sicilia, si occupa di formazione e di ricerca in
ambito didattico e pedagogico
[email protected]
Il coordinatore
dei processi
di autovalutazione
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
di Tommaso Agasisti
In questo momento storico di avvio del
SNV, appare di fondamentale importanza concentrarsi sulle condizioni per
il successo dell’autovalutazione, in
quanto il fallimento di questa prima fase rischierebbe di invalidare (o perlomeno seriamente depotenziare) l’intero disegno valutativo previsto dal
SNV (1).
L’obiettivo principale di questo contributo è
l’identificazione, e la discussione critica, delle
principali competenze che devono essere acquisite
dal personale della scuola per la realizzazione
di Rapporti di autovalutazione efficaci e costruttivi,
utili per l’identificazione degli obiettivi strategici
e operativi, nonché delle piste di miglioramento
per il loro perseguimento.
Tra tecnicalità e partecipazione
La lettura del format predisposto dal
Miur mette in luce come l’autovalutazione non si configuri come un adempimento meramente burocratico e amministrativo, ma possa invece rappresentare un momento di vera riflessione
interna alla comunità professionale per
identificare i propri punti di forza e di
criticità, le sfide e i rischi da affrontare,
le piste di lavoro per il futuro. La strada per intraprendere il lavoro del Rav
nell’una o nell’altra direzione (adempimento vs lavoro sostanziale), tuttavia,
passa attraverso l’impostazione del
processo di autovalutazione in modo
professionale e tecnicamente robusto
– oltre che, chiaramente, strategicamente orientato.
In altre parole, se il personale della
scuola coinvolto nei processi di autovalutazione non possiede quelle competenze tecniche necessarie per un’analisi delle proprie caratteristiche e dei
risultati, la deriva verso la compilazione del Rav come adempimento sarà,
purtroppo, inevitabile.
Al contempo, avere a disposizione le
competenze tecniche non garantirà la
formulazione di RAV partecipati e utili
al miglioramento; condizioni per que1) Sui rischi connessi alla attività di
autovalutazione, come prevista dal d.P.R.
80/2013, si veda il contributo di Checchi e
De Paola (2014), lavoce.info, 16.12.2014.
sta prospettiva, infatti, sono (i) il commitment strategico del dirigente scolastico e dei suoi più stretti collaboratori, nonché (ii) un ampio coinvolgimento delle varie anime della scuola
stessa – comunità professionale, personale amministrativo, studenti e loro
famiglie, stakeholder del territorio di riferimento.
Formare il personale
Da un punto di vista operativo, sarebbe opportuno che il processo di autovalutazione fosse sì coordinato dal dirigente scolastico (DS), ma realizzato
da un gruppo (Unità di Valutazione) interno alla scuola con professionalità diversificate. Tale gruppo dovrebbe prevedere la partecipazione di insegnanti
(anche al fine del presidio degli effetti
della valutazione sui contenuti e processi disciplinari) e, nel caso, esperti
selezionati dal DS, i quali potrebbero
avere un ruolo maggiore nella discussione degli elementi organizzativi e gestionali.
Il processo
di autovalutazione
deve essere
presidiato
da figure
competenti,
fortemente
motivate
e impegnate
nel loro ruolo
L’analisi e il trattamento dei dati
Una parte significativa di lavoro di valutazione si basa, necessariamente, sulla
lettura e l’interpretazione di dati quantitativi. Se, per diverso tempo, l’analisi del
sistema educativo italiano è stato carat-
81
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
Occorre
padroneggiare
alcune
nozioni
basilari
di statistica
e non confondere
misurazione
e valutazione
82
terizzato dall’assenza di dati statistici, la
situazione odierna è totalmente diversa.
Si pensi, ad esempio, alla disponibilità
dei risultati delle prove Invalsi (svolte in
modo censuario da diversi anni), oppure ai dati contenuti nei sistemi informativi del Miur e restituiti con diverse modalità, le cui più note sono scheda e sito “Scuola in Chiaro”. Prima ancora di
interpretare costruttivamente tali dati, e
utilizzarli a fini (auto)valutativi, è importante che il team coinvolto nel processo di valutazione sia in grado di leggere
gli oramai numerosi dati in modo tecnicamente corretto.
A tal fine, vi sono due insiemi di competenze necessarie. Da un lato, la conoscenza delle basi della statistica
sembra essenziale: chi lavora sui dati
quantitativi dovrebbe acquisire dimestichezza con alcuni concetti quali
quelli di media, mediana, varianza (deviazione standard), distribuzione, differenza statisticamente significativa, ecc.
Dall’altro lato, anche la consapevolezza del ruolo dei test nella valutazione
delle competenze è fondamentale. In
questo quadro, uno dei rischi corsi più
di frequente da chi si occupa di leggere i risultati delle prove svolte nelle pro-
prie scuole è quello di confondere i
concetti di ‘misurazione’ (tipico delle
prove Invalsi) e di ‘valutazione’ (attività
che, invece, richiede un coinvolgimento attivo del valutatore nell’espressione di un giudizio).
Più in generale, l’approfondimento dei
quadri di riferimento delle prove Invalsi e delle altre tipologie di testing, anche in ambito internazionale (per es.
Ocse-Pisa, Iea Timss e Pirls, ecc.) è
chiaramente utile per contestualizzare
il valore delle prove ed evitare di sottoo sovra-stimare l’importanza delle prove di questo tipo, e il loro possibile utilizzo pratico.
L’interpretazione dei dati
Al fine di realizzare i Rapporti di autovalutazione in modo pertinente, occorre inoltre conoscere approfonditamente la struttura complessiva del SNV:
• (i) il ruolo dei diversi soggetti (Miur,
Invalsi, singole scuole, ispettori e team di valutazione);
• (ii) le fasi del processo pluriennale
(autovalutazione, valutazione esterna, miglioramento, rendicontazione);
• (iii) gli strumenti utilizzati (rapporto
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
di autovalutazione, indicatori, piani
di miglioramento, ecc.).
In effetti, il processo di autovalutazione, oltre a essere previsto dalla normativa riferita al SNV, è soprattutto un
fattore di cambiamento da promuovere all’interno della comunità scolastica.
Nel tempo, deve essere coltivata all’interno di ciascuna scuola la cultura del
dato, con ciò intendendo la capacità
di rilevare, classificare e utilizzare i dati amministrativi in modo completo e
affidabile. Ci si riferisce, in particolare,
alla considerazione dei dati su iscritti,
trasferimenti, abbandoni, programmi
svolti, valutazioni dei docenti, coerenza con prove Invalsi, ecc. Questo patrimonio informativo deve essere anzitutto conservato, e ‘gestito’ (nel senso di manutenuto nel corso del tempo), affinché sia disponibile nei diversi momenti dell’anno in cui sono realizzate attività valutative (Rapporto di
autovalutazione, visite di valutatori
esterni, ecc.).
Una competenza specifica dovrebbe
essere quella di utilizzare dati Invalsi e
Miur all’interno dei processi di autovalutazione. In questo senso, l’esperienza del progetto Vales è preziosa, in
quanto specifiche sessioni di lavoro sono state dedicate allo sviluppo di ‘protocolli di lettura’ e di ‘schemi interpretativi’ proprio dei dati sugli apprendimenti, in una logica anche intertemporale. Una chiave di lettura interessante
consiste nell’usare i dati per un checkup
sulla didattica; in particolare, la capacità di osservare la relazione tra singoli item, parti delle prove e modalità di
risposta degli studenti consente di riguardare in modo critico se, come e
quanto i programmi e gli obiettivi educativi siano stati raggiunti.
ti, il risultato (auto)valutativo finale può
essere diverso a seconda del format
del Rapporto utilizzato. Il Miur ha predisposto uno schema, al cui interno
sono previste rubriche di valutazione
che devono essere apprese in modo
approfondito, per poter assegnare
punteggi e descrittori in modo consapevole. In altre parole, la formulazione dei giudizi che devono essere inclusi nel Rapporto di autovalutazione
dovrebbe essere aderente alla struttura – standardizzata – del Rapporto
stesso.
Pertanto, mentre ciascuna scuola dovrebbe avere la massima libertà nell’identificazione degli elementi da sottoporre a valutazione, i criteri di valutazione e i passi logici e operativi da porre dovrebbero essere il più possibile simili tra istituzioni diverse e, dunque, i
docenti coinvolti nel processo valutativo dovrebbero conoscere tali indicazioni metodologiche.
In ogni caso, tutte le scuole dovrebbero porre un’attenzione specifica ai risultati (di apprendimento e ‘a distanza’)
dei propri studenti, e dunque dovrebbero avere docenti esperti nella capacità di risalire dalla lettura dei dati sui
risultati ai processi e alle attività che li
hanno generati.
Tra le ultime attività incluse all’interno
del processo di autovalutazione vi è
quella della definizione degli obiettivi di
miglioramento, nonché la preliminare
identificazione delle piste di miglioramento per il loro perseguimento, e lo
sviluppo di indicatori e target per misurarne il raggiungimento. In questo senso, è cruciale sviluppare l’abilità di stabilire la coerenza tra indicatori ipotizzati e fenomeni sotto analisi.
Professionalità
Fondamentale
è la capacità
di leggere
i dati
riguardanti
i risultati
e risalire
ai processi
che li hanno
generati
Modelli di formazione per
esperti di autovalutazione
L’espressione del giudizio
La forma del Rapporto di autovalutazione è un elemento di conoscenza
essenziale ex ante; avendo a disposizione le medesime informazioni, infat-
Si può chiaramente evincere, dalla descrizione delle competenze tratteggiata in questo paragrafo, come la figura
dell’‘esperto’ in processi di autovalutazione possa essere particolarmente
83
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Professionalità
Con una buona
formazione
si impara
a mettere
in relazione
descrizioni
qualitative
con dati
quantitativi
complessa e richiedere l’approfondimento di contenuti e metodi anche
piuttosto diversi tra loro. In questo senso, è ragionevole immaginare che i docenti che intendano acquisire tali competenze, generali e specifiche, possano decidere di investire parte del proprio tempo nell’aggiornamento professionale specialistico.
Nel corso del 2014, la Scuola di Management per le università, gli enti di ricerca e le istituzioni scolastiche (Sum)
del Mip Politecnico di Milano ha organizzato tre edizioni di un corso finalizzato alla formazione di professionalità
al servizio dei processi di autovalutazione, ispirato ai contenuti descritti in
questo contributo (2).
Dati quantitativi
e letture qualitative
Nei corsi gestiti dal Politecnico il continuo dialogo con i partecipanti ha consentito di mettere in evidenza il grado
di coerenza tra contenuti formativi proposti (quelli descritti nei precedenti paragrafi) e le competenze usualmente
utilizzate dai docenti nelle attività di
(auto)valutazione delle proprie scuole.
Le attività formative sono state intervallate da attività pratiche ed esercitative,
ed è stato anche realizzato un lavoro finale per ‘mettere alla prova’ le competenze acquisite.
È emersa, con chiarezza, la necessità
di approfondire i contenuti connessi
all’utilizzo corretto delle informazioni di
tipo quantitativo. In particolare, si è evidenziato che quando si riesce a far coesistere le indicazioni qualitative con
una consapevole interpretazione dei
dati quantitativi, l’attività tutta di riflessione costruttiva della scuola ne risen-
te positivamente: infatti, in questo caso l’analisi dei dati può essere usata in
modo positivamente strumentale per
confermare, oppure mettere in discussione, le valutazioni dei docenti sull’andamento delle attività e sui risultati
conseguiti.
Al termine dei percorsi formativi, i partecipanti hanno confermato questo
aspetto positivo: la possibilità di imparare un modo nuovo, tecnicamente più
robusto, per svolgere in modo migliore
un lavoro che fa parte intrinsecamente
della moderna professione di docente:
quello di valutare se stessi, le proprie
attività, i risultati ottenuti, per identificare obiettivi nuovi e ambiziosi.
www.mip.polimi.it/mip/it/sum
2) Ogni edizione ha coinvolto 40 docenti (non
Ds), e ha avuto una durata di 80 ore di
lezioni frontali, organizzate in moduli
svoltisi ogni due settimane circa. Le
edizioni si sono svolte a Firenze, Bologna e
Pompei (i partecipanti hanno usufruito di
84
borse di studio finanziate da Inps).
Tommaso Agasisti
Professore associato presso Politecnico di Milano
School of Management, condirettore di Sum - Scuola
di management per le università, gli enti di ricerca e le
istituzioni scolastiche
[email protected]
Un percorso formativo
Il progetto Core (Ust di Brescia)
di Daria Giunti, Mario Maviglia, Mario Martini
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
Fare rete
L’esperienza ( 1 ) di cui si parla in
quest’articolo ha avuto gestazione
nell’ambito dell’Asab (Associazione
delle scuole autonome bresciane), dove due anni fa si è deciso di costituire
dei tavoli di lavoro su tematiche ritenute significative, tra le quali è stata individuata l’autovalutazione di istituto. Si
è formato un primo gruppo di lavoro
che, dopo alcuni incontri interlocutori,
ha ipotizzato il coinvolgimento dell’Ufficio scolastico territoriale, che ha dato la propria disponibilità a progettare
e realizzare un’azione formativa di accompagnamento degli istituti scolastici bresciani.
La scelta dell’autovalutazione non è avvenuta casualmente, ma sulla base di
un’esigenza, avvertita da tempo, che
vede in essa un indispensabile dispositivo di regolazione degli istituti scolastici e un contrappeso al principio
dell’autonomia, che potrebbe trarre da
esso maggiore legittimità sociale e forza consensuale.
Grazie alla sinergia che si è venuta a
creare tra Asab, che ha messo in
campo risorse umane e finanziarie, e
l’Ust di Brescia, che ha reso disponibile – per gli aspetti organizzativi, rilevativi e comunicativi – una docente
distaccata presso l’ufficio (preposta
a “Valutazione e Invalsi”) e che ha assunto il ruolo di promotore istituzionale dell’iniziativa, è stato possibile
progettare e realizzare, nell’arco di
questi ultimi due anni, un’azione di
supporto agli istituti, che si è caratterizzata per i seguenti criteri guida,
sintetizzabili nell’acronimo Core: Cultura della valutazione, Organizzazione, Riflessività metodologica, Evidenze tramite strumenti.
1) L’esperienza è documentata
dettagliatamente sul sito dell’Ust di Brescia:
http://www.ustservizibs.it/sito/valutazione/.
Perché c’è bisogno
di valutazione?
Tenendo conto che la scuola italiana è
apparsa in questi anni, in linea generale, refrattaria ad assumere la valutazione quale strumento di controllo e di regolazione delle proprie azioni formative, si è ritenuto fondamentale puntare
anzitutto su una sensibilizzazione al tema della valutazione. A questo scopo
si è coinvolto M. Castoldi, che, insieme
a un gruppo di dirigenti scolastici, ha
progettato un primo percorso formativo, che si è realizzato nel corso del
2014 e proseguirà nel 2015.
È stata inizialmente fornita da D. Previtali una ricostruzione delle principali tappe che hanno portato all’istituzione del
Sistema nazionale di valutazione (SNV)
con il d.P.R. n. 80/2013. È stato rilevato
che i dati raccolti dalle indagini internazionali sui livelli di apprendimento hanno permesso di effettuare comparazioni tra i sistemi scolastici, che hanno evidenziato una situazione complessiva
problematica della scuola italiana, con
differenze significative a seconda delle
aree geografiche. Anche i risultati dell’indagine nazionale Invalsi hanno messo
in rilievo le grosse variazioni a seconda
delle regioni e degli istituti, facendo
emergere in primo piano l’esistenza di
una disuguaglianza che, in parte, può
essere dovuta a punti di partenza differenziati degli studenti e del contesto, ma
anche, presumibilmente, a trattamenti
qualitativamente diversi a livello educativo-didattico.
Una disamina generale del d.P.R.
80/2013 e dei diversi possibili approcci valutativi di istituto, curata da M. Castoldi, ha offerto ulteriori elementi per
una presa di coscienza delle ragioni
che stanno all’origine dell’attivazione
del SNV: il riconoscimento dell’autonomia giuridica agli istituti, avvenuto in
seguito all’iper-complessificazione del
sistema scolastico e al conseguente
aumento delle difficoltà di una sua ge-
Prima di inoltrarsi
nelle tecnicalità
è utile
soffermarsi
sui significati
istituzionali,
pedagogici
e docimologici
dell’autovalutazione
85
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
La conoscenza
ragionata
degli esiti
delle prove
Invalsi
consente
di basare
il processo
di autovalutazione
su evidenze
affidabili
86
stione totalmente centralizzata, ha richiesto, corrispettivamente, una rendicontazione del servizio offerto dalle
scuole al potere politico, quale responsabile del funzionamento generale del
sistema, e che è stata in parte avviata
attraverso l’accertamento degli apprendimenti a cura dell’Invalsi; contemporaneamente si è formata un’opinione
pubblica desiderosa di trasparenza e
molto attenta alla qualità del servizio
offerto, vigile nell’esercitare un controllo sociale; ha cominciato poi a manifestarsi, nei docenti e nei dirigenti, una
consapevolezza della necessità non
solo di dare una risposta adeguata alle istanze avanzate dall’amministrazione scolastica centrale e dall’opinione
pubblica, ma anche di considerare la
valutazione dei processi attivati e degli
esiti ottenuti a livello di istituto e d’aula un dispositivo indispensabile per
monitorare e regolare l’azione di insegnamento, in base ai feedback di apprendimento rilevati, e quindi accrescere la propria preparazione ed efficacia
professionale.
Si è poi approfondito il significato del
sistema valutativo attraverso l’analisi di
R. Ricci (responsabile dell’Invalsi), che
ha presentato la natura e le finalità delle prove dell’Invalsi. Il carattere universale della loro somministrazione permette di fornire ad ogni istituto termini
di confronto ed elementi informativi utili a rilevare punti di forza e di debolezza e, quindi, ad individuare possibili interventi migliorativi mirati. Si è sottolineato che le prove non devono essere
assunte come il metro di giudizio del
singolo alunno, in quanto rilevano solo
alcuni aspetti misurabili, per di più riguardanti competenze che sono da
considerare ‘fondamenta trasversali’
delle varie discipline e non conoscenze/obiettivi specifici di italiano e di matematica; dato il loro carattere parziale, i dati che esse mettono a disposizione non possono essere gli unici da
tenere in considerazione ai fini della ricostruzione reale della situazione sia
della classe che del singolo alunno.
L’insieme di questi interventi ha offerto,
da punti di vista diversi ma complementari, un quadro ampio e convincente di
motivazioni a favore dell’autovalutazione di istituto; il numero elevato dei partecipanti, oltre 400, l’interesse con cui
sono stati seguiti gli interventi e il grado
elevato di soddisfazione registrato dalle
risposte ai questionari compilati dai partecipanti sono segnali soddisfacenti.
Fare ricerca sull’autovalutazione
Sono stati individuati due piani di intervento: uno a livello provinciale, dove si sono tenuti (e si terranno) gli incontri con gli esperti sui vari temi prescelti e quelli di sintesi conclusiva previsti al termine delle due azioni annuali; a questi incontri sono stati invitati,
oltre ai dirigenti scolastici, i referenti
della valutazione di ogni istituto provinciale e altri docenti interessati. Il secondo piano d’intervento è avvenuto
a livello di reti territoriali, a cui hanno
partecipato i referenti di ogni istituto
in esse presenti e aderenti all’iniziativa. Il relativo coordinamento è stato
affidato al rappresentante (o ai rappresentanti) di ogni rete, facente/i parte
Come è nato il progetto “CORE” di
Brescia
Dopo alcuni incontri preliminari che
hanno permesso di concordare la collaborazione tra l’Asab e l’Ust, M. Castoldi ha ricevuto l’incarico di regista
scientifico dell’intero percorso formativo; si è poi costituito uno staff di progetto, formato, oltre che dall’esperto,
dal direttore dell’Ust di Brescia, dalla
docente preposta nell’Ust a “Valutazione e Invalsi” e da dirigenti e/o docenti
delle sei reti che, a partire dall’a.s.
2013-14, sono state attivate nella provincia di Brescia e che corrispondono a
precisi ambiti territoriali. Lo staff ha elaborato l’architettura complessiva del
progetto, ha scelto i temi, i relatori e ha
curato l’esecuzione dei vari step del
percorso.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
dello staff, all’interno del quale sono
state definite le modalità di svolgimento degli incontri ed è stato predisposto un modello guida per la relativa
conduzione e per la registrazione dei
dati e per la raccolta delle proposte
formulate dagli istituti.
L’attenzione è stata rivolta a due temi:
uno di carattere generale (descrizione
e analisi delle esperienze pregresse di
autovalutazione) e uno più specifico
(presentazione delle modalità di utilizzo dei risultati Invalsi).
Grazie ai report raccolti, si è ottenuto
un quadro complessivo, ampiamente
rappresentativo dello stato dell’arte a
livello provinciale in merito alle azioni di
autovalutazione e di impiego dei dati
Invalsi realizzate prima del d.P.R. n.
80/2013, dal quale emerge che, su 148
istituti coinvolti, circa la metà ha svolto azioni di autovalutazione e di utilizzo dei risultati Invalsi. A un’analisi più
attenta, però, è risultato che solo in pochi casi (tra cui alcuni eccellenti) si è
trattato di esperienze sistematiche e
durature di autoanalisi e autovalutazione di istituto e di impiego proattivo dei
risultati Invalsi, perché prevalentemente si è trattato di azioni limitate quanto
agli aspetti contemplati e non continuative negli anni.
In un incontro svoltosi a livello provinciale, al termine dell’iniziativa dello scorso anno scolastico, sono state illustrate in modo analitico quattro esperienze
significative di autovalutazione di istituto e una di utilizzo proattivo dei dati Invalsi, realizzate da istituti scolastici bresciani. È stata inoltre presentata una sintesi delle esigenze emerse dai report
delle reti, che sono state tenute in considerazione per la prosecuzione dell’iniziativa nel corrente anno scolastico.
Riflessività metodologica
Un principio, che lo staff ha proposto
come faro di riferimento fondamentale
e che nei vari interventi degli esperti è
stato affermato, è costituito dalla riflessività, intesa come atteggiamento fon-
Governance
damentale diffuso e costante, da assumere nel compiere un’autovalutazione
di istituto.
Esso implica che si assuma una visione
strategica dell’istituto atta a elaborare
intenzionalmente un piano progettuale,
che, partendo da un’analisi attenta del
contesto riflettente i molteplici punti di
vista delle componenti in gioco e basandosi su una mappa di criteri di qualità,
alla cui definizione il documento Rav
può fornire un contributo importante,
stabilisca traguardi intermedi e finali
condivisi, realistici e verificabili.
L’elaborazione del piano progettuale richiede il ricorso a una consapevole
strategia metodologica che sorregga gli
interventi intrapresi e che può essere
rinvenuta nella logica del problem posing e problem solving. Il ricorso sistematico alla problematizzazione, volto a
cogliere le dimensioni fondamentali, i
punti di forza e di debolezza di un determinato aspetto della vita d’istituto e
d’aula e a ricercare le possibili soluzioni, ad analizzarle e selezionarle in base
a criteri di efficacia e di fattibilità, può
tradursi in un modus operandi sistematico, facendo divenire la riflessione (e
quindi anche l’autovalutazione) non un
L’autovalutazione
richiede
un approccio
riflessivo
capace
di problematizzare
l’analisi
e individuare
ipotesi
di sviluppo
efficaci e fattibili
87
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
Il processo
va condiviso
da tutte
le componenti
della comunità
scolastica,
per ‘triangolare’
punti di vista
e arricchire
gli indicatori
semplice segmento dell’attività di istituto e d’aula, né tantomeno un mero
adempimento burocratico imposto
dall’esterno, ma una componente metacognitiva connaturata alla professionalità docente e dirigenziale.
Il piano progettuale e la strategia metodologica riflessivo-problematizzante
richiedono, a loro volta, un terzo fattore, ossia il coinvolgimento di tutti gli attori scolastici, compresa la componente degli studenti e quella dei genitori,
che garantisca costante comunicazione, confronto, condivisione, dalla fase
progettuale a quella attuativa e a quella migliorativa.
La prospettiva a cui mirare non è rinvenibile nel modello aziendalistico-manageriale, trasposto più o meno meccanicamente dal mondo delle imprese alla scuola, come proposto alcuni anni
fa, quanto piuttosto nella visione della
scuola come comunità di apprendimento, dove, in modo dialogico e cooperativistico, si cerca di garantire la
migliore qualità dei servizi e lo sviluppo, al massimo grado possibile, dei talenti di ciascun alunno.
Dai dati alle evidenze
La riflessività, orientata da un’esplicita
visione progettuale, ha bisogno di ancorarsi a evidenze riguardanti gli aspetti considerati, ricavabili da specifiche
fonti, da strumenti di rilevazione e interpretazione dei dati.
88
Grazie all’azione formativa realizzata nella prima parte del corrente anno scolastico, si è cominciato a fornire alcuni criteri operativi. Per quanto riguarda l’autovalutazione in generale, in un intervento di D. Poliandri (responsabile dell’area
dell’Invalsi “Valutazione delle scuole”), si
è sottolineata l’importanza di ricorrere a
una triangolazione di punti di vista delle
varie componenti scolastiche e di tecniche e strumenti di carattere sia qualitativo che quantitativo. Sono stati forniti,
inoltre, suggerimenti pratici per la costruzione e la selezione di indicatori, da
aggiungere a quelli riportati nel rapporto di autovalutazione (Rav).
In relazione agli esiti di apprendimento
e alle pratiche didattiche, è stato fornito (2) un quadro di riferimento orientativo, centrato sul costrutto di competenza, mirante a valorizzare negli studenti, accanto alle conoscenze e alle abilità, le disposizioni mentali – metacognitive, relazionali e volitive – e la capacità di mobilitare e orchestrare risorse interne ed esterne per affrontare situazioni problematiche nuove.
In due interventi successivi, sono state fornite indicazioni operative per l’interpretazione dei dati Invalsi: il primo (3)
è stato dedicato alle competenze matematiche e ha fornito utili criteri di lettura dei risultati e di impiego proattivo
2)M. Castoldi.
3) Di M. Dalé (docente di matematica,
formatrice Indire e Invalsi).
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
delle riflessioni ricavate; il secondo (4)
ha messo in rilievo l’importanza di un
curricolo in verticale, alla cui focalizzazione le prove Invalsi possono offrire un
contributo, che, senza inopportune anticipazioni (rischio presente fin dalla primaria) di contenuti adatti ai gradi successivi, ponga fin dall’inizio attenzione
alla strutturazione corretta delle frasi
(centrate sul verbo), da quella nucleare a quelle più complesse, come passaggio indispensabile alla costruzione
dei testi.
Il prossimo step, che prevede contributi-stimolo a livello provinciale e lavori di
gruppo a livello di rete-ambito territoriale, accompagnerà e guiderà gli istituti nell’elaborazione del Rav; in particolare sarà centrato sulla proposta di
canali, strumenti e indicatori che consentano di raccogliere evidenze significative e multiprospettiche.
tere sia teorico che pratico. La strutturazione degli incontri, a livello oltre che
provinciale anche di ambito-rete territoriale, ha rappresentato un valore aggiunto prezioso.
Riteniamo che la formula organizzativa
adottata, unitamente all’impianto culturale e metodologico/strategico proposto, possa costituire un esempio per
l’organizzazione di iniziative di accompagnamento, in una logica che non sia
di mera illustrazione tecnico-procedurale degli adempimenti richiesti, ma che
abbia un ampio respiro culturale.
La partita in gioco, che si attendeva da
venticinque anni, è molto importante ai
fini di una ‘buona scuola’; non si può
rischiare di perderla, riducendo l’autovalutazione a un’operazione formale
superficiale, inadatta a incidere nel profondo sull’efficacia dei servizi erogati
dall’istituto e sulla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Accompagnare le scuole
con respiro progettuale
Com’è risultato da alcuni interventi dei
partecipanti, permangono atteggiamenti di diffidenza, soprattutto nei confronti dei dati Invalsi; inoltre sono emerse preoccupazioni per la mole di lavoro che l’innovazione comporterà per gli
istituti, tanto più in un periodo di riduzione delle risorse finanziarie.
La tempestività con cui è stata avviata
la formazione, in concomitanza con
l’approvazione del regolamento sul Sistema nazionale di valutazione (d.P.R.
n. 80/2013), ha consentito di assegnare particolare risalto alle dimensioni culturali e di senso connesse all’autovalutazione; grazie alla collaborazione a livello provinciale tra Ufficio scolastico
territoriale e Associazione Scuole Autonome Brescia, che ha mobilitato in
modo sinergico risorse umane e finanziarie, è stato possibile organizzare incontri con esperti di alto profilo culturale che hanno offerto stimoli di carat4) Di F. Sabatini (linguista, presidente
dell’Accademia della Crusca).
Governance
Non basta
illustrare
le procedure
tecniche,
ma occorre
approfondire
la dimensione
culturale
e progettuale
del ciclo
valutazionemiglioramento
www.asab-bs.it/
Daria Giunti
Docente di lingue straniere, in utilizzo presso Ufficio
scolastico regionale di Brescia, referente provinciale per
l’implementazione del SNV, si occupa di valutazione e
sistemi di gestione della qualità nella scuola
[email protected]
Mario Maviglia
Dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Brescia
[email protected]
Mario Martini
Dirigente scolastico del liceo “G. Golgi” di Brescia,
coordinatore della Rete scolastica della Valcamonica,
autore di libri
[email protected]
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Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
Riflettere
sui processi valutativi
La rete Faro
di Sebastiano Pulvirenti
Una rete a supporto del Servizio
nazionale di valutazione
La valutazione
deve avere
una base
di ricerca
che scaturisce
dal basso,
dalle scuole
organizzate
in rete
In un periodo non certo favorevole
all’accettazione della cultura della valutazione, il modello Faro ha saputo attirare l’attenzione non solo di scuole siciliane, ma anche di altre Regioni, della Calabria e della Liguria, in una prospettiva di confronto europeo (1). Sullo
sfondo emerge un sentire comune, legato al desiderio di scoprire le caratteristiche strutturali della propria organizzazione per determinarne punti di forza e difficoltà da superare, con l’obiettivo di individuare percorsi di miglioramento continuo.
La ricerca realizzata dalla rete Faro ha
accompagnato lo sviluppo della cultura dell’autonomia scolastica e della valutazione, dimostrando che le scuole,
per la loro complessità e per la dinamicità delle relazioni interne ed esterne,
costituiscono la sede naturale del dibattito sul tema. La valutazione è possibile se si parte dalla base e se si riconosce alle scuole la possibilità di fare
ricerca. Faro rappresenta un esempio
di ricerca-azione sul campo, dove gli
stessi protagonisti cercano, per se
stessi e per il sistema in cui operano,
strumenti da utilizzare e soluzioni da
scegliere. Su questa stessa linea si
muove ora la rete, dopo la recente normativa che traccia le coordinate del
Servizio nazionale di valutazione.
Un percorso metacognitivo
per l’autovalutazione
Il nuovo progetto “Faro 2015” parte
dalla considerazione che il format del
Rav è nazionale. Poiché, com’è noto, il
1) Tra le istituzioni aderenti, qualche anno fa,
anche una scuola rumena, il cui ingresso
nella rete ha aperto una fase d’interazione
90
con scuole francesi e maltesi.
Sistema nazionale di valutazione è ancorato a una fase preliminare di autovalutazione considerata fondamentale
e connaturata alle caratteristiche essenziali delle Istituzioni scolastiche, la
rete Faro ha elaborato un programma
di accompagnamento che permette di
seguire con attenzione il processo, per
individuarne i livelli organizzativi, le percezioni, il clima complessivo, l’adesione più o meno consapevole, le prospettive di miglioramento.
In altri termini, all’interno delle scuole
aderenti alla rete, è organizzato un percorso metacognitivo per accompagnare l’autovalutazione e scoprirne gli
aspetti positivi, le sensazioni, anche
emotive, e le reazioni che favoriscono
o impediscono un processo delicato e
complesso. Tutti i membri della comunità scolastica e testimoni privilegiati
esterni, autonomamente individuati
dalle scuole, saranno ascoltati. Le osservazioni e i pareri sul processo di autovalutazione saranno catalogati e sintetizzati e confluiranno in un Rapporto
sull’autovalutazione della scuola che
darà conto del clima complessivo venutosi a creare nell’Istituto. Il documento di sintesi confluirà nel sistema di rendicontazione della Scuola, in modo che
sia possibile attivare successivamente
un dibattito allargato e partecipato.
Inoltre, ogni anno tutti i Rapporti sull’autovalutazione della scuola confluiranno
La rete Faro
Faro è una rete di scuole con quasi quindici anni di esperienza nel campo
dell’autovalutazione.
Faro è un acronimo (Formazione, Autovalutazione, Ricerca e Output) e nello
stesso tempo un’immagine che ben rappresenta il lavoro fatto in tanti anni di ricerca. La rete ha saputo ascoltare, osservare, definire ipotesi, strumenti, obiettivi,
percorsi di analisi e di miglioramento, in
un’atmosfera di solidale confronto.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
in un Rapporto sull’autovalutazione delle scuole della rete, per analizzare l’andamento complessivo del processo autovalutativo e renderne evidenti i fenomeni che emergono in ambito interregionale, regionale, provinciale e locale.
La rilevazione è completata da un’approfondita analisi degli obiettivi autonomamente individuati dalle scuole
nell’ambito dell’autovalutazione. La
previsione di spazi aperti, destinati, nel
format del Rav nazionale, all’autonoma
individuazione di aree d’intervento da
parte delle scuole, consente di valorizzare tutte quelle azioni che sono indicate a livello di singola scuola. La rete
Faro si impegna a catalogare e analizzare quanto autonomamente indicato
dalle scuole, per definire un livello territoriale di intervento.
Gli strumenti della ricerca
Questi gli strumenti elaborati, a disposizione delle scuole della rete:
- questionari: per il dirigente scolastico e per il Dsga; per i docenti; per il
personale Ata; per i genitori; per gli
alunni;
- interviste interattive: al Ds e al Dsga,
a un gruppo di docenti, a un gruppo di Ata, a un gruppo di genitori, a
un gruppo di alunni;
- focus group tra testimoni interni
qualificati e tra soggetti interni e testimoni esterni privilegiati;
- modelli per individuare e definire la
dimensione territoriale dell’autovalutazione;
- modelli semistrutturati per la classificazione degli obiettivi e degli indicatori valutativi autonomamente individuati, in rapporto al curricolo di
scuola.
Il perno dell’azione è costituito dall’intervista interattiva, uno strumento innovativo che prevede un colloquio tra un
intervistatore (un docente interno) e un
gruppo omogeneo di componenti della scuola. L’intervistatore e gli intervistati, attraverso alcune domande-guida, riflettono insieme con lo scopo di
Come nasce la rete Faro
La rete si costituisce a Palermo nel corso dell’anno scolastico 2000-01, nel clima nascente dell’autonomia, e rappresenta uno dei primi esempi di attuazione concreta dell’art. 7 del d.P.R.
275/1999 che prevede e descrive la costituzione di Reti di scuole (*). Nasce così un progetto di scuole formalmente collegate in rete, che iniziano a elaborare,
con la guida e il coordinamento tecnicoscientifico di chi scrive, un percorso coerente e rigoroso di autovalutazione (**),
basato su un modello sistemico di riferimento, all’inizio riferibile al CIPP (analisi
e riflessioni sul Contesto, sulle condizioni logistico-organizzative di Input, sui
Processi e sui Prodotti), uno schema
funzionale a un progetto di autovalutazione dinamico e in evoluzione continua,
che oggi torna di attualità nell’elaborazione dell’Invalsi.
*) L’ipotesi è proposta in occasione di un
Seminario internazionale di studio svoltosi,
in quello stesso anno, a Palermo dal titolo
“Valutare a Scuola, valutare la Scuola”
che vede la partecipazione di esperti e di
ispettori provenienti anche dal Regno Unito
e dalla Spagna.
**) Il progetto si è alimentato progressivamente attraverso seminari sul tema, cui hanno
dato collaborazione i principali esperti
italiani e stranieri (Spagna, Francia, Malta e
Gran Bretagna).
Governance
Le scuole
in rete
possono elaborare
strumenti
per approfondire
l’analisi
interna
(questionari,
interviste,
focus group,
modelli
interpretativi)
definire una sintesi sul grado di attuazione e di svolgimento del processo di
autovalutazione.
Tutti gli strumenti sono messi a disposizione online, per una facile e immediata utilizzazione.
L’evoluzione della rete
Le scuole della rete Faro in questi anni
hanno imparato a:
a) riflettere sul servizio offerto dalla
scuola (caratteristiche e fattori di
qualità) e dibattere sui diversi fenomeni dei processi di autoanalisi d’istituto;
b) condividere il modello teorico da
applicare e utilizzare gli indicatori e
i descrittori di progetto;
91
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
Attraverso
l’esperienza
sul campo
si è affinato
un modello
interpretativo
che semplifica
la struttura
del Caf,
facendo perno
su fattori
abilitanti
e risultati
Figura 1 – Checklist secondo il modello Faro
c) nominare un referente di progetto e
un gruppo di lavoro interno;
d) redigere il rapporto annuale di autoanalisi raccogliendo i dati oggettivi
e percettivi previsti;
e) socializzarne i risultati in assemblee
pubbliche e in seno al collegio docenti;
f) individuare azioni di miglioramento
e/o di rafforzamento, a seconda dei
punti deboli e/o forti riscontrati;
g) redigere un rapporto annuale di
qualificazione sulla base delle scelte migliorative adottate.
Dal Cipp al modello misto
Cipp/Caf
92
Dopo alcuni anni di affinamento del
modello Cipp, nel 2007 la rete si è
orientata ad applicare lo schema Caf
procedendo a un lavoro di revisione
e di riconversione del modello precedente.
Il modello Caf (Common Assessment
Framework) è il risultato di un processo
continuo di supporto e di cooperazione
stimolato dall’Unione europea e si configura come uno strumento di orientamento delle diverse organizzazioni del
settore pubblico nell’utilizzo di tecniche
di miglioramento dei risultati. Si basa su
una struttura a nove box, ciascuno dei
quali rappresenta il criterio da considerare nel valutare, su ipotesi concrete di
miglioramento nei campi dove c’è maggiore necessità. Non tutto il modello Caf
era convincente, per la complessità e
per la distanza rispetto a una visione
della valutazione meglio orientata dal
precedente modello CIPP (figura 1).
Per questo motivo si arriva a una fase innovativa che produce un modello di autovalutazione basato sullo schema Caf,
di immediata e facile leggibilità, confrontato con il preesistente modello Cipp. In
tale prospettiva si strutturano uno strumentario e un software di supporto per
la raccolta e il confronto dei dati.
Tra i fattori abilitanti si dà importanza
all’innovazione gestionale delle scuole,
criterio esplicitamente presente negli
ambiti della leadership e delle strategie.
Nei criteri riguardanti i ‘risultati’, oltre a
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
La rete Faro propone
Nell’attuale fase, caratterizzata dalle nuove indicazioni normative (d.P.R. n.
80/2013, direttiva Miur n. 11/2014, c.m. n. 47/2014), la rete, in un’ottica di
continuità, è orientata a fornire i seguenti servizi:
A. Fase di Autovalutazione
La rete offrirà gli strumenti (questionari, interviste interattive, focus group e
modelli semistrutturati sugli obiettivi individuati dalla scuola) per un’azione
di supporto, di monitoraggio e di analisi del clima e dei fenomeni connessi
al processo di autovalutazione. Le scuole della rete saranno invitate ad analizzare i seguenti ambiti di osservazione:
1. Percezione, strutture organizzative e riflessione.
2. Analisi collegiale degli strumenti di autovalutazione.
3. Qualità delle rilevazioni e della raccolta delle opinioni.
4. Analisi critica del vissuto professionale e sociale, in rapporto all’autovalutazione.
B. Fase del miglioramento
Azioni specifiche di supporto:
1. Come passare dal Rapporto di autovalutazione alla individuazione delle priorità.
2. Come definire azioni di miglioramento: dalle priorità ai traguardi finali.
3. Come individuare gli obiettivi di miglioramento, per avvicinarsi ai traguardi.
4. Come organizzare i percorsi di miglioramento secondo principi di trasversalità, di coinvolgimento, di condivisione, di efficienza e di efficacia.
5. Come valutare i percorsi di miglioramento.
La rete
può offrire
servizi
di supporto
che rispondono
a esigenze
di approfondimento
delle diverse fasi
del ciclo valutativo
C. La rendicontazione sociale
Attività previste:
1. Analizzare e verificare i documenti programmatici della scuola.
2. Raccogliere i percorsi organizzativi e didattici tracciati nell’istituto.
3. Individuare gli elementi di raccordo e le linee complessive d’intervento, secondo principi di organicità e di coerenza.
4. Percepire caratteri costitutivi, interventi qualificanti ed elementi caratterizzanti la cultura e la socialità espressi dalla comunità scolastica.
5. Individuare elementi di narrazione per rappresentare all’esterno i processi organizzativi e didattici e i risultati dell’attività della scuola.
6. Presentare all’esterno il documento di sintesi per un bilancio sociale
caratterizzante e rappresentativo.
misurare l’impatto percepito dell’immagine della scuola nel territorio, con riferimento al servizio prestato, si prova a
incrociare tali dati con quelli oggettivi relativi ai risultati degli alunni: indice della
dispersione scolastica, incidenza della
valutazione, percentuali di miglioramen-
to, risultati dell’orientamento scolastico
al termine dei vari periodi formativi (efficacia dell’organizzazione). L’uso di indicatori interni di performance offre informazioni sull’efficienza dell’organizzazione (processi attuati per raggiungere i traguardi prefissati).
93
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
All’interno
del Sistema
nazionale
di valutazione
va riconosciuto
uno spazio
per la ricerca
e l’elaborazione
autonome
delle scuole
94
Più in generale, nelle scuole aderenti
c’è molta attesa rispetto alle azioni delineate dalla normativa sul Sistema nazionale di valutazione e c’è dibattito sui
documenti presentati e pubblicati
dall’Invalsi. La proposta appare coerente e rispettosa dell’autonomia delle
scuole che aspettavano il riconoscimento di un ruolo di rilevazione di aree
e di obiettivi che non possono essere
centralizzati a livello nazionale.
La scelta di lasciare in bianco alcuni
spazi, affidando alle scuole la responsabilità di individuare determinati
obiettivi, è molto apprezzata. Gli spazi di autonomia potevano forse essere più ampi, ma l’attuale proposta Invalsi sembra coniugare le esigenze
della rilevazione nazionale con quelle
della individuazione, a livello locale, di
obiettivi specifici e di aree d’intervento. È uno spazio prezioso che potrà
essere utilizzato anche per comprendere quali sono i versanti di attenzione che territorialmente appaiono legati a interessi culturali e didattici da
scoprire e valorizzare.
Rete Faro
Scuola coordinatrice: I.C. “Maredolce”
di Palermo (dirigente: Vito Pecoraro).
Comitato tecnico: Giovanna Badalamenti, Lina Barone, Diana Billitteri, Mariella Bisconti, Marisa De Simone, Antonella Enea,
Salvatore Ferraro, Gioacchino Genuardi,
Lucia Lo Cicero, Giuseppa Muscato, Vito
Pecoraro, Mirella Pezzini, Sebastiano Pulvirenti, Maria Rosa Rizzo, Lucia Rovituso,
Daniela Vetri; www.progettofaro.it.
Sebastiano Pulvirenti
Consulente scolastico ed esperto in processi formativi,
Coordinatore tecnico scientifico della rete di scuole
F.A.R.O., Past Dirigente tecnico MIUR e Coordinatore
del servizio ispettivo in Sicilia
[email protected]
www.sepulvi-progettofaro.blogspot.com
Fare rete
per l’autovalutazione
Rete AU.MI.RE. nelle Marche
di Mirella Paglialunga
Cosa c’è dietro il Rav?
L’avvio del Sistema nazionale di valutazione (direttiva 11/2014) potrebbe
rappresentare il momento d’oro delle
reti di scuole che si occupano e/o si sono occupate di valutazione di sistema,
perché finalmente se ne riconosce ed
ufficializza l’importanza; perché ora dirigenti scolastici, docenti e famiglie ne
comprendono la funzione e l’utilità, finanche la convenienza. Ciò che prima
era considerato un vezzo, un interesse
particolare, uno spunto di ricerca opzionale e volontaria, ora si trasforma in
una parte importante della propria vita
professionale che comporterà lavoro,
impegno e conseguenze, sia sul piano
personale, come per i dirigenti scolastici, che sul piano più generale di
scuola, delle sue relazioni ed opportunità. Questo è ciò che si è cercato di
fare nella reta AU.MI.RE. (Autovalutazione - Miglioramento - Rendicontazione sociale).
Le scuole, nell’esaminare ed utilizzare
gli strumenti di autovalutazione predisposti e formalizzati dall’Invalsi (c.m.
47/2014), dovrebbero contestualmente indagare la filosofia del Snv, avere
una visione d’insieme, di senso, di prospettiva, di obiettivi, di impegni collettivi e personali; tutto ciò non può che
spingere verso il terreno dell’indagine,
della comparazione, della riflessione
guidata e attenta, così come è caratteristica delle ricerche in rete.
Alle scuole verrà chiesto di applicare
un modello che potrebbe essere da loro stesse confuso con un semplice monitoraggio se la comunità scolastica
non riuscisse a entrare consapevolmente nelle logiche sottese all’impianto stesso. Come per tutti i modelli preconfezionati occorrerà far riemergere
da essi il fondamento filosofico, sociale e/o politico per avere contezza dei ri-
schi di possibili distorte utilizzazioni, a
modello di puro adempimento formale
che si limita a indicare ciò che è ‘buono’ da dire, per apparire bene, fare bella figura, non compromettersi ed assolvere comunque all’obbligo imposto dal
d.P.R. 80/2013.
Gli oggetti che, secondo la direttiva
11/2014, dovrebbero racchiudere tutte
le implicazioni dei processi di autovalutazione sono il Rav ed i suoi strumenti, indagati in occasione di ricerche
sperimentali in ambito nazionale e validate dall’Invalsi. In tale modello l’autovalutazione è funzionale al miglioramento ed il Rav dovrebbe consentire
una lettura rapida dell’originalità di
scuola, della sua identità per i tratti caratteristici e fondamentali, ma dovrebbe soprattutto illustrare l’efficacia e l’efficienza dell’istituzione scolastica rispetto agli esiti, ai processi, all’utilizzo
delle risorse umane e materiali in stretta relazione al contesto di riferimento.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
Con il Rav
ogni scuola
si lascia ‘leggere’
per presentare
efficacia
dei risultati
ed efficienza
di processi
e risorse
L’autovalutazione in rete:
indicatori e dati
L’autovalutazione, sia pure in presenza
di un modello nazionale, richiede in
premessa una riflessione critica e condivisa sui fattori fondanti del concetto
di ‘buona scuola’, sugli indicatori, sulle loro declinazioni in situazione, per
verificarne successivamente caratteristiche ed esiti, efficacia, efficienza in
un’ottica di rendicontazione sociale.
È questo il primo aspetto che contraddistingue il particolare lavoro della rete
AU.MI.RE. (1). Nelle due distinte e diverse ‘mappe della qualità’ della rete
sono stati registrati gli indicatori di buona scuola così come scaturiti da un lungo processo di confronto e mediazione fra docenti e dirigenti delle scuole
stesse. Il consenso sugli indicatori non
1) www.aumi.it
95
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
In rete
si possono
individuare
nuovi
indicatori,
approfondire
le informazioni,
interpretare
i dati
96
è stato sempre scontato così come
scontato non è stato il reperimento del
dato di scuola che meglio racconta l’indicatore stesso.
La costruzione della mappa della qualità della rete AU.MI.RE. ha avuto il forte significato di far crescere il senso di
appartenenza alla comunità scolastica
e la cultura della valutazione ed ha favorito la consapevolezza delle qualità
che le scuole debbono possedere per
assolvere pienamente al loro mandato
istituzionale.
La formazione delle unità di autovalutazione d’istituto riguarderà anche ‘la
mappatura della qualità’ della propria
scuola in comparazione con le altre della rete stessa, individuando gli indicatori ‘scelti dalle scuole della rete’ (come
previsto dallo stesso Rav) che andranno a integrare quelli già indicati dall’Invalsi o indagando in modo più approfondito i dati inviati alle scuole dal sistema informativo del Miur o da altri soggetti al fine di coglierne maggiormente
la significatività e soprattutto per contestualizzarli in un’ottica di specificità.
Prendiamo ad esempio il dato che nel
Rav si riferisce al tasso di disoccupazione che dovrebbe essere fornito alle
scuole dall’Istat; il dato è generico in
quanto campionario e certamente riferito alla provincia o al comune se non
alla regione, ma tale dato potrebbe non
essere consono a rappresentare efficacemente la realtà dello specifico contesto scolastico e quindi essere poco
significativo. Per questo la rete
AU.MI.RE., e al suo interno la singola
scuola, manterrà un suo livello di indagine e ricerca dei dati, per avere nel
Rav strumenti di migliore e più articolata fotografia della propria significativa specificità.
Altro campo d’indagine che ha impegnato la rete è la lettura dei dati, la capacità di rappresentarli, di schematizzarli statisticamente, di connetterli a dimensioni correlate in ambito provinciale, regionale o nazionale; impegno di
fondamentale importanza per elaborare successivamente un pensiero artico-
lato di valutazione del proprio sistema
non basato su soggettività e racconti
generici. Nella rete i monitoraggi annuali hanno consentito una lettura diacronica e sincronica delle qualità di
scuola offrendo alla regione e all’Ufficio scolastico regionale, con cui si è attivato un protocollo d’intesa, occasioni preziose di conoscenza e consapevolezza utilizzabili anche per attuare interventi mirati di politica scolastica territoriale.
Rendicontazione sociale:
le linee guida AU.MI.RE.
Altra finalità d’uso sistematico del monitoraggio nella rete AU.MI.RE. è stata
quella funzionale alla rendicontazione
sociale, dentro una struttura articolata
per la valorizzazione del dato del monitoraggio in stretta relazione alle risorse
concesse o ottenute nell’ambito della
dialettica sociale, ma soprattutto per evidenziare gli esiti dei processi e di apprendimento. Nelle Linee guida AU.MI.RE. per
l’elaborazione del bilancio sociale, definite in collaborazione con la facoltà di
economia e management dell’Università Politecnica delle Marche, è forte il nesso fra monitoraggio, bilancio sociale e
miglioramento e il racconto che si dipana nel documento di ciascuna scuola
non si limita a descrivere gli esiti di apprendimento, ma a indicare come la
scuola, nell’ambito della propria autonomia, abbia rivisitato e riorganizzato le sue
procedure didattiche, organizzative e
metodologiche per ottenere migliori risultati.
La trasparenza e la leggibilità che emergono dal bilancio sociale della scuola
consentono ai portatori d’interesse (docenti, genitori, enti locali, associazioni
sportive e culturali, finanziatori di progetti, ecc.) dell’ambito sociale di appartenenza di validare l’operato della scuola, di comprenderne l’impegno, di decidere eventualmente come, quanto e
perché sostenerlo. Il modello di rendicontazione sociale della rete AU.MI.RE.
offre anche l’occasione alla scuola di
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
proiettarsi verso la valutazione esterna
con un documento funzionale alla comunicazione all’extrascuola, senza logiche di lessico tecnico che impedirebbe
all’utenza una vera partecipazione.
Miglioramento come
problem solving…
La rete AU.MI.RE. ha anche ideato, fin
dai primi anni del progetto, un modello di valutazione delle scuole in cui
emergeva con forza l’impegno al miglioramento secondo un modello di
problem solving correlato alle situazioni di criticità riscontrate nella fase
dell’autovalutazione e riguardanti le 4
diverse aree di indagine: processi,
contesto, esiti, risorse. L’approccio
metodologico al miglioramento ha incardinato processi riflessivi sulle tante azioni della scuola, sempre svolti in
una dialettica di comunità o staff, mai
individualmente.
I percorsi di miglioramento sono stati
utili a guidare le scuole ad avere uno
sguardo corretto ed oggettivo verso il
loro mondo, scardinando l’autorefe-
renzialità tipica di chi non si guarda allo specchio con l’occhio di un altro da
sé. Le priorità strategiche del miglioramento sono state sempre individuate dalle scuole nell’ottica dei loro bisogni fondamentali come risposta a
una forte esigenza ed hanno oscillato
tra proposte di miglioramento di carattere didattico organizzativo e metodologico, riferite agli esiti di apprendimento.
L’approccio del problem solving ha favorito il dialogo e l’interazione, ed i momenti di brainstorming, anche quando
non sono sfociati in ottenimento dell’obiettivo prefissato dal progetto, hanno
migliorato il clima e consentito alle persone di costruire il miglioramento insieme, in un’ottica comunitaria e a non ridurlo a un problema del singolo, sia esso dirigente scolastico o referente del
progetto di autovalutazione di scuola.
Il rendere conto, l’accountability, nella
filosofia AU.MI.RE. riguarda tutti perché la scuola è un servizio pubblico in
cui ognuno deve essere impegnato a
rendere visibile e trasparente il proprio
operato.
L’orientamento
al miglioramento
richiede
momenti
di brainstorming
e condivisione
all’interno
della comunità
scolastica
97
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Governance
Le reti
dal ‘basso’
possono
contribuire
a formare
la professionalità
necessaria
allo sviluppo
del sistema
La capacità di elaborare dati
La rete AU.MI.RE., che ha partecipato
fra altri interlocutori al confronto nazionale per l’elaborazione delle linee guida
del progetto Vales e per l’individuazione degli strumenti utilizzati dalle scuole
e dai valutatori esterni, ha in parte adottato strumenti diversi da quelli proposti
dall’Invalsi, ma soprattutto ha ricercato
e verificato direttamente i dati del monitoraggio. Con l’avvio del SNV si può ipotizzare un più lieve impegno delle scuole perché i dati che scaturiscono dai sistemi informatici del ministero sono frutto di numerosi monitoraggi.
È chiaro però che a tal fine sono fondamentali sia la tempistica che la correttezza della raccolta dei dati e che per
questo motivo lo strumento informatico
ministeriale deve non avere falle, né intoppi, né avere ritardi. È bene comunque continuare a prevedere per le scuole della rete un’autonoma ricerca di dati, quelli che esse vorranno aggiungere
in autonomia di rete e quelli più specifici e dettagliati che il Miur non offre. A tal
fine AU.MI.RE. svilupperà una piattaforma specifica in cui, nel dialogo con
quella ministeriale, si possano ricavare
ulteriori dati e continuare a leggerli in
forma aggregata e disaggregata, in modo diacronico e/o sincronico, comunque in modo che la fondamentale fase
della riflessione sul dato sia corretta, veritiera, completa e specifica.
poter svolgere il compito di formatore.
SNV ha bisogno di esperti di autovalutazione, di miglioramento, di bilancio
sociale, a prescindere dai modelli in
uso, ma ha soprattutto bisogno che il
ministero riconosca l’esigenza vitale di
investire in formazione del personale,
docenti e dirigenti, con un piano funzionale allo sviluppo delle specifiche
professionalità delle unità di autovalutazione d’istituto.
È ancora più importante consentire a
ogni scuola autonoma la necessaria individuazione di figure di sistema, riconosciute e riconoscibili per competenza, professionalità e funzionalità, con
riconoscimenti contrattuali adeguati allo svolgimento dello specifico ruolo.
In quest’ottica le reti di scuole autonome, e fra queste AU.MI.RE., si potranno proporre per:
• sviluppare specifiche funzioni professionali correlate all’istituendo SNV;
• formare competenze adeguate allo
svolgimento dei compiti previsti dal
Sistema di valutazione;
• formare le unità di autovalutazione
d’istituto sui temi della valutazione
con particolare riguardo al primo
step del SNV (autovalutazione e
Rav) mantenendo la prospettiva di
sviluppo del sistema previsto nel
triennio: autovalutazione, miglioramento, valutazione esterna, rendicontazione sociale.
Chi formerà i nuclei
di valutazione?
98
Nelle Marche grazie ad AU.MI.RE. da
molti anni è stato introdotto nelle scuole della rete il nucleo di autovalutazione d’istituto e per questo possiamo affermare che non ci si improvvisa referenti dell’autovalutazione d’istituto e/o
del miglioramento o della rendicontazione sociale. Le professionalità vanno
formate, vanno sostenute con iniziative formative sia teoriche che pratiche
e non è sufficiente aver partecipato a
una veloce informativa nazionale per
www.aumi.it
Mirella Paglialunga
Dirigente scolastico, coordinatrice regionale della
rete AU.MI.RE. (autovalutazione - miglioramento rendicontazione sociale)
[email protected]
Si possono valutare
le competenze
di cittadinanza?
di Bruno Losito
Perché e come parliamo
di competenze?
Affrontare il problema della valutazione
e della ‘misurazione’ delle competenze
di cittadinanza richiede alcune chiarificazioni preliminari.
In primo luogo, va ricordato che tutte
le competenze chiave possono essere
considerate competenze di cittadinanza, in quanto indispensabili a ciascun
cittadino per orientarsi e operare in modo consapevole ed efficace nella propria vita relazionale, sociale, lavorativa.
E questo vale sia per le competenze
con caratteristiche più evidenti di trasversalità rispetto ai curricoli scolastici
(quali l’imparare a imparare o lo spirito
di imprenditorialità), sia per le competenze più direttamente legate a discipline inserite nei curricoli (quali, ad
esempio, le competenze matematiche
e scientifiche).
In secondo luogo, la valutazione di una
competenza richiede che si tenga conto delle caratteristiche delle competenze (di tutte le competenze): la loro struttura (per usare il linguaggio utilizzato
dal progetto dell’Ocse Definition and
Selection of Key Competences – DeSeCo), cioè le dimensioni cognitiva,
metacognitiva e affettivo-motivazionale; il fatto che le competenze si attivano in risposta a determinate sollecitazioni provenienti dall’ambiente in cui si
opera; l’impossibilità di osservare direttamente una competenza e la conseguente necessità di individuare quali
comportamenti o quali ‘prestazioni’ siano indice del possesso di una competenza, tenendo conto che in relazione
a diverse situazioni e diversi problemi i
livelli di competenza di uno stesso individuo possono essere differentii.
Di qui la necessità di costruire contesti
didattici che consentano di sollecitare
gli studenti a mettere in atto ‘compor-
tamenti competenti’, utilizzando le conoscenze e le abilità che fanno parte
del loro repertorio o sollecitandoli a costruirne e svilupparne di nuove. Di qui,
ancora, la necessità di ‘documentare’ i
comportamenti/le prestazioni degli studenti in contesti molteplici e facendo
ricorso a strumenti di rilevazione differenziati.
In questo contributo le competenze di
cittadinanza sono intese come competenze ‘sociali e civiche’ così come sono state definite nell’allegato alla Raccomandazione del Parlamento e del
Consiglio europeo sull’apprendimento
permanente (dicembre 2006).
Le competenze ‘sociali
e civiche’
Nella Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo le competenze sociali e civiche vengono definite nel modo seguente:
“Queste includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di
partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più
diversificate, come anche a risolvere i
conflitti ove ciò sia necessario. La competenza civica dota le persone degli
strumenti per partecipare appieno alla
vita civile grazie alla conoscenza dei
concetti e delle strutture sociopolitici e
all’impegno a una partecipazione attiva
e democratica”.
Le conoscenze riferibili a tali competenza includono la “conoscenza dei
concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza, cittadinanza e diritti civili”; “la
conoscenza delle vicende contemporanee nonché dei principali eventi e
tendenze nella storia nazionale, europea e mondiale”; la consapevolezza

Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Saperi
di cittadinanza
Si possono
osservare
comportamenti
in contesti
differenziati
per cogliere
indizi
sui livelli
di competenza
99

Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Saperi
di cittadinanza
È doveroso
collegare
conoscenze
e competenze
sociali
e civiche
ai quadri
disciplinari
presenti
nei curricoli
scolastici
100
“degli obiettivi, dei valori e delle politiche dei movimenti sociali e politici”; “la
conoscenza dell’integrazione europea,
nonché delle strutture, dei principali
obiettivi e dei valori dell’UE, come pure una consapevolezza delle diversità e
delle identità culturali in Europa”.
La sola elencazione di queste conoscenze consente di mettere in evidenza una prima difficoltà relativa alla loro valutazione in ambito scolastico. Si
tratta di conoscenze riferibili a discipline diverse: la storia, il diritto, l’economia, le scienze sociali e politiche,
discipline che soltanto in parte sono
rappresentate nei curricoli scolastici.
E la cui costruzione, in ogni caso, sarebbe difficilmente attribuibile a una
singola materia.
Altrettanto si potrebbe dire per le abilità che nel documento vengono riferite alle competenze sociali e civiche:
la capacità “di impegnarsi in modo efficace con gli altri nella sfera pubblica”, “di mostrare solidarietà e interesse per risolvere i problemi che riguardano la collettività locale e la comuni-
tà allargata”; la “riflessione critica e
creativa”; “la partecipazione costruttiva alle attività della collettività o del vicinato, come anche la presa di decisioni a tutti i livelli, da quello locale a
quello nazionale ed europeo, in particolare mediante il voto”.
Nessuna di queste abilità è oggetto
specifico di singole materie scolastiche, né risulta facile capire come possano essere progressivamente costrui­
te lungo il percorso di istruzione. Alcune di esse potrebbero essere sollecitate (e in molte scuole lo sono) attraverso la partecipazione a progetti di tipo cross-curricolare, costruiti intorno
a problemi (di carattere sociale, ambientale, culturale) che richiedano per
essere affrontati l’apertura delle scuole al territorio e un rapporto aperto con
i contesti sociali in cui esse sono inserite.
Nella definizione delle competenze sociali e civiche data nella Raccomandazione è, inoltre, fortemente presente
quello che nel progetto DeSeCo viene
indicato come ‘punto di vista norma-

Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
tivo’, cioè il riferimento ai diritti, ai principi e ai valori fondamentali oggetto
delle principali dichiarazioni internazionali.
Costruire e valutare
le competenze sociali e civiche
a scuola
Nei documenti e nei progetti internazionali che in questi anni hanno affrontato il tema dell’educazione alla cittadinanza – in primo luogo quelli del Consiglio d’Europa, dell’Unione europea e
dell’Unesco, ma anche di organismi di
ricerca quali l’Iea (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), il Cidree (Consortium
of Institutions for Development and Research in Education in Europe) – è presente la consapevolezza che l’educazione alla cittadinanza non può limitarsi alla acquisizione di alcune conoscenze e di alcune abilità, ma coinvolge anche la qualità dell’esperienza degli studenti a scuola. Entrano in gioco sia la
qualità delle relazioni tra studenti e con
gli insegnanti, sia la possibilità di partecipare alla vita della scuola, attraverso un esercizio attivo dei loro diritti e
doveri di cittadini. L’esperienza scolastica dovrebbe, cioè, essere improntata a quegli stessi valori che si vorrebbe
fossero acquisiti dagli studenti, caratterizzandosi come un “ambiente democratico di apprendimento” (come indicato nei documenti del Consiglio d’Europa).
La possibilità di rilevare e valutare le
competenze sociali e civiche degli studenti presuppone, quindi, una organizzazione dell’intervento didattico e la
creazione di un clima di classe e di
scuola funzionali alla loro costruzione
e al loro sviluppo da parte degli studenti. Si tratta, cioè, di costruire contesti
didattici all’interno dei quali gli studenti siano chiamati ad affrontare situazioni e problemi che richiedano loro la
messa in atto di ‘comportamenti competenti’.
Un tale approccio non esclude la pos-
sibilità e la necessità di rilevare attraverso il ricorso a strumenti di valutazione di vario tipo il loro livello di acquisizione delle conoscenze e delle abilità
richieste per ‘agire’ queste competenze. Questo aspetto della valutazione è
relativamente più facile e in qualche
modo più familiare per gli insegnanti.
La difficoltà è data semmai dal fatto
che tali conoscenze e tali abilità sono
riferibili a diverse ambiti disciplinari. Se
gli elementi valutativi raccolti nell’ambito delle singole materie dovessero
essere utilizzati per la valutazione delle competenze sociali e civiche diventano necessari la collaborazione tra insegnanti di diverse materie, la condivisione di informazioni e di strumenti valutativi, il confronto per la definizione di
criteri valutativi comuni e per arrivare a
una valutazione condivisa.
Ancora più difficile è rilevare ‘comportamenti’ o specifiche ‘prestazioni’ che
possano essere considerati come indicatori (indizi?) di un agire competente
dal punto di vista sociale e civico.
Le competenze di cittadinanza
nel Rav
Non è un caso che nella ‘mappa’ di indicatori per la costruzione del rapporto di autovalutazione delle scuole (Rav)
preparata dall’Invalsi, per le “competenze di cittadinanza” si dichiari esplicitamente che “non ci sono indicatori
disponibili a livello centrale attualmente”. Così come non è casuale che in un
altro documento, sempre dell’Invalsi, di
guida alla redazione del rapporto di autovalutazione, quando si presentano i
possibili livelli della qualità dell’intervento della scuola in relazione alle
competenze di cittadinanza, la descrizione delle differenze tra i diversi livelli
di prestazione degli studenti sia affidata all’uso di aggettivazioni e di avverbi
modali (il livello raggiunto dagli studenti ‘non è sufficiente’, ‘è accettabile’, ‘è
buono’…; essi ‘non raggiungono una
adeguata autonomia’, raggiungono
‘una sufficiente autonomia’…), senza
Saperi
di cittadinanza
Le competenze
sociali
e civiche
coinvolgono
la qualità
delle esperienze
degli studenti
a scuola,
ma non è facile
rilevare
comportamenti
collegabili
a esse
101

Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Saperi
di cittadinanza
Nel Rav
le rubriche
sulle competenze
di cittadinanza
sono assai
generiche,
con un riferimento
improprio
alla valutazione
del comportamento
indicare che cosa, in termini di comportamenti e di prestazioni, possa essere
considerato ‘sufficiente’ o ‘adeguato’ o
‘autonomo’ (1).
In questo documento, inoltre, la valutazione delle competenze di cittadinanza, viene accostata alla valutazione del
comportamento, rischiando di riprodurre l’equivoco che ha accompagnato
negli anni passati il ritorno al voto ‘di
condotta’, considerato spesso come
espressione sintetica della valutazione
dei comportamenti ‘civici’ degli studenti, con tutti i rischi di ideologizzazione
connessi con questa concezione.
1) Cfr. Miur-Invalsi, Mappa indicatori per
Rapporto di autovalutazione, e Miur-Invalsi,
Rapporto di autovalutazione. Guida
all’autovalutazione. Entrambi i documenti
sono stati resi pubblici il 27 novembre 2014
e sono pubblicati sui siti web dell’Invalsi e
del Miur. I documenti sono interessanti per
l’idea di autovalutazione (e di ‘esiti’ e di
‘processi’) che è loro sottesa, la cui
discussione non è affrontabile in questo
102
contributo.
L’autovalutazione delle scuole
nell’ambito dell’educazione
alla cittadinanza
Nella guida all’autovalutazione redatta dall’Invalsi è presente, comunque,
uno spunto interessante relativo alla
sollecitazione della riflessione delle
scuole su quanto effettivamente fanno nell’ambito della valutazione delle
competenze di cittadinanza. Interessante perché sposta l’attenzione dalla valutazione degli studenti all’(auto)
valutazione di quanto la scuola mette
in atto per costruire tali competenze.
Su questo specifico aspetto, negli anni recenti sono stati realizzati a livello
europeo alcuni progetti che hanno fornito indicazioni utili per la costruzione
di processi di autovalutazione delle
scuole nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza.
Di particolare interesse risulta il progetto realizzato dall’Unesco e dal Consiglio d’Europa, nell’ambito dell’Anno europeo della cittadinanza attraverso l’educazione, promosso nel 2005 dal

Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Figura 1 – Aree e relativi indicatori (Educazione alla cittadinanza)
Area
Indicatori
Curricolo, insegnamento Esistenza a livello di scuola di uno spazio adeguato per l’ee apprendimento
ducazione alla cittadinanza democratica, sia negli obiettivi
dichiarati della scuola che nella progettazione curricolare
Esistenza di ‘evidenze’ relative all’effettivo sviluppo di pratiche coerenti con i principi che dovrebbero caratterizzare
l’educazione alla cittadinanza, sia a livello di scuola, sia a
livello di classe
Coerenza tra le procedure e gli strumenti adottati per la valutazione degli studenti e le caratteristiche dell’educazione alla
cittadinanza democratica
Clima della scuola
Coerenza tra clima della scuola e principi alla base dell’educazione alla cittadinanza democratica
Gestione e sviluppo
Esistenza di stili di leadership coerenti con l’educazione alla
cittadinanza democratica
Esistenza di un piano educativo coerente con l’educazione
alla cittadinanza democratica e funzionale al suo sviluppo
Fonte: Unesco, 2005.
Consiglio d’Europa. Il progetto ha prodotto una guida all’autovalutazione che
è stata ‘sperimentata’ in alcuni Paesi
europei. La guida (2), oltre a fornire un
quadro di riferimento teorico per l’educazione alla cittadinanza e indicazioni
procedurali di carattere generale relative ai processi di autovalutazione, individua alcuni indicatori, suddivisi in tre
aree (vedi figura 1).
Per ogni indicatore, inoltre, vengono individuati descrittori specifici e vengono suggeriti tecniche e strumenti per la
raccolta dei dati a essi relativi (3). L’interesse degli indicatori individuati è che
essi si riferiscono non soltanto agli esiti (acquisizioni degli studenti), ma anche e soprattutto alle caratteristiche dei
contesti scolastici e dei processi educativi, organizzativi, gestionali messi in
atto al loro interno.
Questa impostazione suggerisce che
2) Cfr. Unesco, Council of Europe, Centre for
Educational Policy Studies, Tool for Quality
assurance of Education for Democratic
Citizenship in Schools, Unesco, Paris,
2005.
3) Una sintesi in lingua italiana della guida è
pubblicata sul sito web dell’Indire, nelle
pagine dedicate a “Cittadinanza e
Costituzione”.
ciò che dovrebbe essere oggetto di attenzione nell’autovalutazione siano non
soltanto i risultati conseguiti dagli studenti (i loro livelli di competenza), ma
anche – e forse in primo luogo – le condizioni che la scuola costruisce in funzione di questi risultati.
Soltanto ragionando sul proprio intervento le scuole possono individuare
percorsi di miglioramento e trovare
possibili interpretazioni dei livelli raggiunti dai propri studenti. Questo vale per l’autovalutazione nel campo
dell’educazione alla cittadinanza, ma
anche per l’autovalutazione in generale.
Saperi
di cittadinanza
Linee guida
europee
definiscono
indicatori
che si riferiscono
non solo
alle acquisizioni
degli studenti,
ma alla qualità
dei contesti
educativi
Una ricerca da sviluppare
e consolidare
La valutazione delle competenze di cittadinanza e delle competenze in generale costituisce un problema aperto su
cui è necessario condurre percorsi di
ricerca, che coinvolgano in prima persona gli insegnanti.
Quanto l’attuale organizzazione curricolare, la divisione rigida tra materie,
gli orari scolastici e l’organizzazione
del tempo scuola siano funzionali alla
possibilità di costruire e sviluppare
competenze, in particolare competen-
103

Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Saperi
di cittadinanza
Esiti
di prove,
dati
osservativi,
profili,
schede
di autovalutazione:
sono strumenti utili
a esplorare
le competenze
di cittadinanza
ze di cittadinanza, dovrebbe essere
oggetto di una discussione aperta e
non tesa alla difesa degli equilibri esistenti.
Anche nelle condizioni odierne è comunque possibile adottare approcci didattici che vadano nella direzione della costruzione delle competenze e ne
consentano la valutazione: didattica laboratoriale, lavoro per progetti, impostazione e risoluzione di problemi. La
diversificazione delle procedure didattiche, la differenziazione delle prove e
degli strumenti di valutazione, la raccolta di una documentazione valutativa il più possibile articolata sono premessa per poter disporre di dati sulle
diverse componenti delle competenze
che si intendono valutare. Esiti di prove strutturate, dati osservativi, profili,
schede di autovalutazione sono solo alcuni esempi possibili di questa documentazione. È difficile pensare che
possano essere costruite misure uniche e decontestualizzate per le competenze di cittadinanza.
Per queste competenze altre condizioni aggiuntive necessarie riguardano la
qualità delle relazioni all’interno della
scuola, la possibilità degli studenti di
partecipare attivamente ai processi decisionali (fatte salve le responsabilità di
dirigenti, insegnanti, personale non docente e considerando le differenze tra
diversi livelli scolastici), il clima di classe e di scuola.
Chi se ne occupa a scuola?
104
Una possibile condizione ‘facilitante’
potrebbe essere costituita dalla individuazione all’interno della scuola di
figure di riferimento per l’educazione
alla cittadinanza, che si facciano carico di sollecitare e sostenere iniziative
didattiche e progettuali specifiche, che
attivino la collaborazione tra docenti
di diverse materie, che si facciano carico di coordinare la raccolta dei dati
valutativi necessari, che facilitino il
confronto e la discussione in sede di
valutazione. Gli annunciati provvedi-
menti per la scuola potrebbero rappresentare un’occasione per individuare
figure di questo tipo a livello di scuola e a livello di reti di scuole.
Riferimenti bibliografici
C. Birzéa, Education for Democratic Citizenship: A Lifelong Learning Perspective, Strasbourg, Council of Europe,
2000.
Council of Europe, Resolution adopted
by the Council of Europe Ministers of
Education at their 20th session, Cracow,
Poland, 15-17 October 2000.
Council of Europe, Recommendation
(2002)12 of the Committee of Ministers to
member states on education for democratic citizenship, 16 October 2002.
D. Kerr, A. Keating, E. Ireland, Pupil Assessment in Citizenship Education: Purposes, Practices and Possibilities. Report of a CIDREE Collaborative Project,
Slough, NFER-CIDREE, 2009.
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre
2006 relativa a competenze chiave per
l’apprendimento permanente, in “Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea”, 30
dicembre 2006.
D.S. Rychen, L.H. Salganik (eds.), Key
Competencies for a Successful Life and
a Well-Functioning Society, Hogrefe &
Huber Publishing, Goettingen, 2003.
W. Schulz, J. Fraillon, J. Ainley, B. Losito, D. Kerr, International Civic and Citizenship Study. Assessment Framework,
IEA, Amsterdam, 2008.
Unesco, Council of Europe, Centre for
Educational Policy Studies, Tool for Quality assurance of Education for Democratic Citizenship in Schools, Unesco, Paris, 2005.
Bruno Losito
Docente di Pedagogia sperimentale presso
il Dipartimento di Scienze della formazione Università Roma Tre
[email protected]
Educazione
al patrimonio
e al paesaggio
di Mario Calidoni
Come nasce un museo
È stato aperto nell’aprile 2014 a Colorno,
in provincia di Parma, un nuovo museo
denominato Mupac: Museo dei pae­saggi
delle terre e delle acque. Un ennesimo
museo etnografico? È una notizia di cronaca culturale che si inserisce nel dibattito aperto e molto frequentato sulla valorizzazione, in momenti di crisi, dei nostri beni culturali, ma non solo.
Il museo è stato progettato e realizzato da un comitato scientifico composto
da esperti di diversa provenienza (1). Ed
è da qui che parte il nostro interesse
per questa impresa. Un fatto che prendiamo come pretesto ed esempio per
riprendere il discorso della rilevanza
dell’educazione al patrimonio culturale
a scuola.
La scommessa dichiarata sin dal primo
pannello del percorso sottolinea infatti
che la realizzazione del Mupac si configura come “impresa culturale di rilevanza sociale e strategica in quanto i suoi
obiettivi non sono limitati a quelli, seppur
rilevanti, della salvaguardia e conservazione e della semplice presentazione al
pubblico di oggetti, immagini e documenti, ma anche, e soprattutto, indirizzati alle istanze di incontro e di crescita culturale attraverso la promozione della consapevolezza della rilevanza e ‘delicatezza’ del paesaggio e dei paesaggi”.
L’occhio dei ragazzi
Per far toccare con mano questo intendimento, apre il percorso museale un
grande pannello realizzato con un per1) Comitato scientifico: M. Turci (antropologo,
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La cultura
delle scuole
“Senza una campagna di racconti di insediamenti e
di terre, senza musei delle città e dei loro agri, senza
trasmissioni televisive che narrino i luoghi facendoci
scoprire come eravamo, senza mostrare la storia, gli
italiani rimarranno analfabeti della grande totalità del
reale, dell’identità stratificata della loro patria (…) Perché
la capacità di viaggiare per testi e forme, scendendo e
risalendo nel tempo, è l’essenza della cultura”.
(A. Carandini, Intervento al convegno FAI “Linguaggi
d’Italia, prime riflessioni sull’anniversario dell’Unità
d’Italia”, febbraio 2010, Ascoli Piceno).
corso annuale di lavoro, coordinato dagli insegnanti e dal comitato scientifico
del museo, da alcune classi della scuola primaria e dell’infanzia locali coinvolte sin dall’inizio nella progettazione del
museo. In questa particolarità pensiamo stia il valore del museo per la scuola: è nato anche dal lavoro degli alunni.
Con questa attività il museo ha contribui­
to alla consapevolezza dell’idea di paesaggio come relazione tra l’osservatore
– i nostri alunni – e il suo sguardo filtrato anche dalla narrazione popolare che,
in questo caso, svolge il duplice ruolo di
memoria antropologica temporale e spaziale per un paesaggio vissuto, percorso, osservato magari inconsapevolmente, dai ragazzi. Ed è su questa base che
le attività di laboratorio didattico potranno trovare sviluppi originali che uniscono la narrazione letteraria e/o cinematografica alla rappresentazione, all’esplorazione del paesaggio della pianura del
Po al di fuori degli stereotipi dell’immaginario puro e/o delle immagini patinate
della pubblicità, nel nostro caso, soprattutto di prodotti alimentari, dato il territorio in cui il Museo è inserito.
Un museo
può nascere
non solo
per conservare
un patrimonio
ma per far crescere
consapevolezza,
cultura,
partecipazione,
anche grazie
alla collaborazione
della scuola
coordinatore); D. Papotti (geografo);
J. Anelli (museografa etnografica);
Alla ricerca di buone pratiche
M. Calidoni (già ispettore scolastico);
A. Orlando (documentarista); A. Leandri
(archivista).
La notizia può rientrare nel novero delle
buone pratiche che sono diffuse nelle
105
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La cultura
delle scuole
Il concetto
di paesaggio
culturale
mette
in relazione
lo spazio,
i luoghi
e i segni
passati e presenti
e assume
una forte valenza
educativa
106
nostre scuole, di rapporto scuola/museo
per esperienze di conoscenza, approfondimento, laboratorio, ecc. In realtà è
per noi motivo di riflessione per andare
oltre e riprendere il discorso sul tema
dell’educazione al patrimonio e ai beni
culturali e naturali. Tema che in questi ultimi tempi ha avuto un’evoluzione significativa sia sul piano dei contenuti che
della normativa, ma che stenta a essere
ritenuto strategico per la progettazione
curricolare d’aula e d’istituto.
Sempre più l’idea di educazione al patrimonio collega luoghi di vita ed esperienza culturale singola e comunitaria
con una necessaria e profonda revisione dei paradigmi culturali che la presiedono.
Sempre più la normativa nazionale e i
documenti internazionali suggeriscono
un approccio dinamico dei curricoli e
del sistema scolastico a questi temi,
abbandonando la convinzione diffusa
dell’affidamento di questi temi solo alla sofferente area artistica del curricolo (e chi se non la scuola dovrebbe!!!)
I documenti di riferimento
A scuola il tema paesaggio è solitamente collegato all’insegnamento della
geografia mentre di musei si parla nelle materie artistiche. La firma nel 2000
della Convenzione europea del paesaggio – recepita dal governo italiano nel
2006 – e il Codice dei beni culturali e
del paesaggio del 2004 sono divenuti
due documenti forti di riferimento per il
dibattito culturale sul senso formativo
di questi termini e hanno influito certamente anche sulle Indicazioni nazionali 2012.
Per la geografia viene sottolineata l’importanza dell’educazione al paesaggio,
unita all’educazione al patrimonio con
queste parole: “La conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale
ereditato dal passato, con i suoi segni
leggibili sul territorio, si affianca allo
studio del paesaggio, contenitore di
tutte le memorie materiali e immateriali anche nella loro proiezione futura. Ta-
li percorsi consentono una sintesi con
la storia e le scienze sociali con cui la
geografia condivide pure la progettazione di azioni di salvaguardia” (Indicazioni 2012, Geografia). A questi documenti è da aggiungere la Carta di Siena, musei e paesaggi culturali (2).
Qui si sottolinea come i musei italiani
siano essi stessi una componente di rilievo del paesaggio e siano, nella stragrande maggioranza, connessi e frutto
del territorio dove sorgono. Per essi “la
responsabilità del paesaggio comporta un duplice impegno: da un lato, la
gestione e cura del patrimonio nel quadro di una prospettiva di sviluppo sostenibile del territorio, dall’altro, l’attenzione alle immagini e alle rappresentazioni che identificano e connotano il
paesaggio stesso”.
Il paesaggio culturale
Si fa strada il concetto di paesaggio culturale, peraltro da tempo settore di studio geografico specifico, come concetto
che riesce a rendere la complessità
dell’interazione e integrazione tra spazio
e segni – lo spazio del luogo e i segni della cultura passata e presente –. In Il pianeta che verrà (3), Simonetta Giorda analizza le componenti culturali e i valori simbolici del paesaggio culturale mettendo
in relazione triangolare appunto i concetti di spazio/luoghi/segni.
Se patrimonio e paesaggio sono esperienza unitaria dell’alunno, nella scelta
dei contenuti da affrontare e nei percorsi da prevedere l’educazione al patrimonio e al paesaggio diviene tema psicologico/culturale in cui sia il vicino che l’esperienza dei luoghi lontani e virtuali sono ingredienti dei percorsi formativi.
Per la progettazione nelle discipline e
2) Proposta da Icom Italia alla Conferenza
internazionale di Siena, 7 luglio 2014. Di Icom
Italia si veda anche La funzione educativa del
museo e del patrimonio culturale,
in www.icom-italia.org, 2009.
3)S. Giorda, Il pianeta che verrà, Loescher,
Torino, 2010.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Figura 1 – Spunti per attività didattiche (mappa curricolare)
Paesaggio
Spazio/esperienza
e patrimonio
patrimoniale
Valori
Non luogo
Cyberspazio
Simbolici
e iperluogo
del paesaggio
Senso del luogo
Spazio vissuto
Attaccamento
ai luoghi
Paesaggio
Relazione
e intervento
uomo-ambiente
dell’uomo
Paesaggio
Socialità e sacralità
e vita sociale
Paesaggio e tempo
Idea ciclica del tempo
Patrimonio
e culture umane
Patrimonio vissuto
Universalità
del patrimonio
Patrimonio vicino
e percepito
Passato e memoria
di segni
Patrimonio sociale
e di visioni
del mondo
Segni identitari
e socialità
nelle esperienze interdisciplinari, la
scuola deve chiedersi come nel suo curricolo si incrociano i vari significati e come le esperienze rendono evidente questo legame.
Per conoscere il bel paesaggio, la storia del monumento, l’incanto di un fondo oro, ecc., è sufficiente un buon uso
di Internet, ma il valore aggiunto della
relazione e della scoperta lo dà solo la
consapevolezza della relazione tra l’osservatore e il suo sguardo filtrato dall’esperienza vissuta, dalla narrazione, dal
ricordo, dall’evocazione, dal coinvolgimento, dalla ricerca. Nel preambolo della convenzione si legge altresì che il
“paesaggio è in ogni luogo elemento importante della qualità della vita delle popolazioni, nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in
quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali come in quelle di vita quotidiana”.
Lo schema (figura 1) è un adattamento,
parziale e incompleto, di una possibile
mappa di suggestioni che al curricolo
può dare l’utilizzo del concetto di paesaggio culturale.
Attività didattica
Esperienza dei
luoghi
Narrazione
La cultura
delle scuole
Ricerca geografica
e sociale
Ricerca storica
Ricerca storica e
tradizioni locali
Scambio e influssi
tra culture nel
tempo
Mappe emotive e
mentali individuali
e di comunità
Arte e luoghi
simbolo
I protocolli d’intesa
“La conoscenza e la comprensione del
patrimonio culturale rappresentano un
contributo fondamentale per la formazione dei giovani studenti promuovendo un
rapporto maturo e consapevole con il
proprio territorio e le sue risorse culturali […] la comprensione dei valori del paesaggio, inteso come territorio, i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla
storia umana e dalle reciproche interrelazioni, costituisce un elemento indispensabile per la formazione dei giovani”.
Queste due osservazioni sono, tra le altre, in premessa al Protocollo d’intesa
tra Miur e MiBact (4) e rappresentano
una ripresa dell’Accordo quadro tra i
due ministeri del 20 marzo 1998, che
ha introdotto sul piano normativo nel
dibattito pedagogico italiano l’educa-
Il contatto
diretto,
la scoperta,
l’osservazione,
la narrazione
sono il valore
aggiunto
di un approccio
culturale
al paesaggio
4) Protocollo d’intesa tra Miur e MiBact:
Creare occasioni di accesso al sapere
attraverso la messa a sistema di istruzione
e cultura al fine di sviluppare una società
della conoscenza, 28 maggio 2014. MiBac,
www.ufficiostudi.beniculturali.it.
107
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La cultura
delle scuole
Documenti,
protocolli,
recenti leggi
sollecitano
rapporti
più dinamici
tra strutture
museali
e scuola
Documenti
Convenzione di Faro, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del
patrimonio culturale per la
società, 18 marzo 2008, recepita e firmata dall’Italia il
27 febbraio 2013.
Decreto legge 12 settembre 2013, n. 104: Misure
urgenti in materia di istruzione, università e ricerca.
108
zione al patrimonio culturale. Dunque
si può notare una rinnovata attenzione
al tema, certamente sull’onda dell’attualità, che ha però molta difficoltà ad
arrivare nei collegi docenti, nelle programmazioni d’aula, nella quotidianità
della vita della scuola.
Ci sono segni, è necessario tradurli in
azione.
L’art. 2 del Protocollo sollecita i servizi
educativi presso musei e sovrintendenze a promuovere e consolidare la comprensione del patrimonio culturale presso tutte le categorie di fruitori, mediante progetti, procedure, strumenti e prodotti anche sperimentali, a verificare i
contenuti didattici dei progetti e delle attività proposte anche da agenzie esterne o affidatarie dei servizi stessi. Si sollecita (art. 3) la collaborazione degli Uffici scolastici regionali con i Servizi educativi e l’organizzazione di corsi di aggiornamento e formazione. Speriamo
non restino solo parole: pensiamo che
questa azione non possa dimenticare le
realtà locali dei sistemi museali di province e regioni che possono portare un
bagaglio di esperienza consolidato.
È necessario lavorare insieme e ascoltare la voce della scuola che sa fare il
rinnovamento disciplinare ricercando
sul campo in collaborazione con le diverse istituzioni culturali e realtà associative diffuse a livello nazionale e locale. La Regione Emilia-Romagna, ad
esempio, con l’iniziativa denominata
“Io amo i Beni culturali” è da qualche
anno su questa linea di collaborazione,
ma non mancano certamente esempi
eccellenti anche in altre Regioni.
Recenti sviluppi normativi
Il decreto 104/2013 ha rappresentato
un tentativo di risposta a urgenze della scuola e per l’area dell’educazione al
patrimonio e dell’educazione artistica
ha offerto alcuni agganci.
Le indicazioni sono relative a un supporto agli studenti di quell’area specifica della formazione artistica superiore – accademie di belle arti, di danza,
di arte drammatica, istituti superiori per
le industrie artistiche, conservatori di
musica e istituti musicali pareggiati –
(art. 3, borse di studio per l’alta forma-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
MUPAC Museo dei paesaggi di terra
e di fiume
Il nuovo museo nasce come naturale sviluppo del museo etnografico dell’ingegno popolare e della tecnologia preindustriale, creato negli anni Settanta, che
aveva raccolto un patrimonio di oggetti
della civiltà contadina e artigianale della Bassa parmense, musealizzati in forma esclusivamente ostensiva. L’idea
chiave del museo è rendere conto visivamente e narrativamente della relazione tra gli oggetti della civiltà contadina
e artigianale, dalla fine del 1800 alla seconda guerra mondiale, con i paesaggi
della Bassa, della pianura rivierasca del
Po nel territorio di Colorno e la loro evoluzione sino ai giorni nostri.
L’allestimento ha diversi punti di innesco: il paesaggio della pianura e del Po;
il paesaggio della fiaba della tradizione
locale; il rapporto tra paesaggio cinematografico e immaginario.
I ‘sentieri’ del Museo, cosparsi di oggetti, dall’ideale centro del senso del paesaggio visto, narrato, fantasticato, si
snodano in percorsi e installazioni: abitare la terra, il lavoro, la dimora con i loro oggetti e le relative narrazioni; i saperi della terra, della vita, della mano con
le testimonianze e i saperi pratici; il fiume con gli oggetti e gli strumenti della
vita sul fiume; sala cinema anni Cinquanta, con un filmato che inanella scene di
film che hanno avuto come sfondo il
paesaggio padano della Bassa.
Sede: Aranciaia – Piazzale Vittorio Veneto – Colorno (Pr)
www.comune.colorno.pr.it ; e- mail [email protected] ; tel. 0521 815465
zione artistica, musicale e coreutica)
per promuovere l’eccellenza; a un concorso “per la realizzazione di progetti
didattici nei (avremmo preferito con)
musei (tutti, statali e non statali) nei siti di interesse archeologico” che vedano associate scuola/musei con i rispettivi servizi educativi/enti terzi (art. 5, Potenziamento dell’offerta formativa);
l’accesso gratuito del personale docente della scuola ai musei statali e ai siti
archeologici in via sperimentale per il
La cultura
delle scuole
2014 (art. 16, formazione del personale docente).
Ancora attenzioni che da tempo reclamano supporti, formazione, accompagnamenti culturali per diventare prassi
e mattoni della collaborazione fra istituzioni e dell’innovazione didattica. E
di quel bando di concorso “per la realizzazione di progetti didattici nei musei
nei siti di interesse archeologico (…)
che vedano associate scuola/musei
con i rispettivi servizi educativi/enti terzi”, le notizie sono, per il momento, solo di rinvii e approfondimenti.
A queste normative specifiche fanno da
alone i rumor sulla scuola aperta, con
iniziative che rispondano agli interessi
degli studenti e con agevolazioni per gli
studenti nella fruizione del patrimonio
nell’ambito della “Carta dello studente”, ecc.
È tempo che la scuola si impegni a essere parte attiva in quell’azione che tutta la società civile ritiene indispensabile anche in momenti di crisi. In teoria
siamo il luogo dove il tessuto dei beni
culturali è al centro dell’italianità e dovrebbe essere al vertice dell’interesse
degli amministratori e dei formatori.
I beni culturali
sono il tessuto
connettivo
del nostro Paese
e devono
essere
adeguatamente
ri-scoperti
dalla scuola
e con la scuola
Mario Calidoni
Già Ispettore tecnico per l’educazione artistica nella
scuola secondaria di I grado, coordina programmi locali
per l’educazione al patrimonio
[email protected]
109
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Strumenti e
cultura della
valutazione
La valutazione
come processo
cooperativo
tra insegnanti
di Enrica Dondero
I saperi
individuali
degli insegnanti
devono
integrarsi
nella competenza
del gruppo,
tanto più
in materia
di valutazione
110
Il profilo del ‘nuovo’ docente
Oltre la ritualità
“La collaborazione e il lavoro di gruppo
sono essenziali per lo svolgimento della funzione docente. L’insegnamento è
un’attività di risoluzione dei problemi
che richiede un’azione sistematica e in
itinere in programmazione, valutazione,
riflessione e quindi in azione”. Così si
legge nel “Profilo dei docenti inclusivi”,
pubblicato nel 2012 dall’European
Agency for Development in Special
Needs Education; il documento fa riferimento a un progetto triennale volto a
individuare le competenze, il bagaglio
formativo e culturale, i comportamenti
e i valori necessari a tutti coloro che intraprendono la professione docente, a
prescindere dalla materia di insegnamento, dalla specializzazione, dall’età
degli alunni o dal tipo di scuola.
È la definizione di un profilo professionale con una postura cognitiva determinata: capacità di porsi all’interno di una
realtà e di rapportarsi con essa in modo
non ripetitivo e abitudinario; cogliere gli
elementi significativi, portarli fuori
dall’aula, osservarli, cercarne il senso
attraverso un’analisi rigorosa. L’integrazione dei saperi individuali nella competenza del gruppo sembra imprescindibile; solo attraverso il confronto l’evento può essere osservato nelle sue sfaccettature, definito, interpretato.
Anche in tema di valutazione, lo sguardo plurale mette radicalmente in discussione le prospettive basate sull’approccio standardizzato e settoriale agli
apprendimenti a favore di un atteggiamento compartecipe di apprezzamento complessivo e processuale.
Nelle scuole, oggi, ci sono i presupposti per la concreta realizzazione di una
valutazione cooperativa?
Il comportamento degli alunni è uno
degli ambiti in cui si esprime la dimensione collegiale della valutazione. I docenti rilevano la qualità dei percorsi
educativi finalizzati a maturare una “coscienza civile basata sulla consapevolezza che la libertà personale si realizza
nell’adempimento dei propri doveri,
nella conoscenza e nell’esercizio dei
propri diritti, nel rispetto dei diritti altrui
e delle regole che governano la convivenza civile in generale e la vita scolastica in particolare” (d.P.R. 122/2009).
Se lo scopo di un fenomeno così complesso non è semplicemente certificativo, ma è la comprensione di un quadro costantemente inedito, l’attribuzione di collegialità – partecipazione e deliberazione dei soggetti dell’organo deputato – mostra i suoi limiti.
La ritualità e l’anonimia del singolo docente o del team lasciano spazio all’idea di cooperazione e alla sua galassia semantica: una costruzione dialogica, una valutazione conversativa in
cui la soggettività rappresenta “il valore aggiunto che rende imprescindibile
il confronto tra i diversi punti di vista,
capace di attivare una ricerca-azione a
più voci che entra ed esce continuamente dai confini dell’aula e della stessa scuola” (1).
Tuttavia, l’introduzione del registro elettronico propone un nuovo ambiente di
lavoro tendenzialmente unificante che
può compromettere l’attenzione alla
singolarità e alla multidimensionalità
del percorso dell’alunno, limitando la
1)G. Bagni, Una valutazione conversativa,
in “Rivista dell’istruzione”, n. 6, novembredicembre 2013, Maggioli, Rimini.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Tabella 1 – Distribuzione dei livelli di giudizio. Esempio di tabella di valutazione del comportamento di un alunno
Rispetto
delle consegne
Costanza
Rispetto
regole
Rispetto
impegni
Rispetto
tempi
Con
compagni
Con adulti
Nel gruppo
Disciplina 1
Disciplina 2
Disciplina 3
Disciplina 4
Disciplina 5
Disciplina 6
Disciplina 7
Disciplina 8
Disciplina 9
Disciplina 10
Sostegno
Moda
% moda
Interventi
Disciplina
Relazioni
Attenzione
Partecipazione
3
2
2
2
4
2
1
2
3
3
4
2
45%
3
3
3
1
3
2
3
3
3
2
3
3
72%
3
3
2
1
4
3
3
2
3
3
3
3
63%
4
4
4
2
4
4
3
3
4
3
2
4
54%
3
4
3
3
4
3
2
3
3
3
3
3
72%
3
4
3
2
4
3
3
3
3
3
3
3
72%
3
4
4
4
3
3
3
3
4
3
4
3
54%
3
4
4
3
3
3
4
4
3
3
3
3
63%
3
2
4
3
4
2
3
2
2
3
3
3
45%
personalizzazione dell’atto valutativo.
I docenti della scuola “Don Milani” hanno allora strutturato un sistema di valutazione in cui l’ambiente digitale e
l’incontro collegiale in presenza si integrano e diventano contesto in cui sperimentare la cooperazione riflessiva.
Valutare di fronte a una tazza
di tè
A casa, ogni docente dedica un pomeriggio – davanti alla tazza di tè – per rievocare frammenti di esperienza, ricostruire episodi potenzialmente significativi, ricomporre il profilo dell’alunno
dal proprio angolo visuale. La tecnologia e le applicazioni software su server
remoto permettono di trasporre gli elementi di rilievo nella materialità intangibile di giudizi graduati su quattro livelli
progressivi in relazione a specifici indicatori.
Il dispositivo è strutturato per calcolare la moda, cioè la distribuzione di frequenza: si rileva così la percentuale dei
docenti che hanno espresso un giudizio corrispondente al dato maggioritario. A questo punto è istruito il proces-
so di valutazione che verrà compiuto
nella sede formale dello scrutinio, il luogo dove aprire il significato dei numeri
e delle parole. In tale seduta si esplorano le situazioni in cui il dato statistico in percentuale rivela significativa disomogeneità di punti di vista; la differenza diventa un valore se innesca la
passione di capire.
Solo dopo profonda discussione si perviene alla sintesi valutativa, frutto di un
atto cognitivo cooperativo di comprensione. Allora la moda sarà automaticamente convertita in voto numerico –
come richiesto dalla normativa – per la
pubblicazione sul documento ufficiale
di valutazione.
Strumenti e
cultura della
valutazione
Le singole
valutazioni
istruttorie
sono un punto
di partenza
per una sintesi
valutativa,
aiutata,
ma non sostituita,
dalla tecnologia
La valutazione come ricerca
Cosa pensano gli insegnanti di questo
dispositivo? È contesto dialogico reale o distorsione tecnicistica?
“Agli indicatori sfuggirà sempre qualcosa…”: solo l’incrociarsi di punti di vista è in grado di cogliere il profilo differenziale; nell’ampio dibattito nella piattaforma di comunicazione della scuola
si riconosce il valore della competenza
111
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Strumenti e
cultura della
valutazione
Il confronto
dei punti di vista
mette
in evidenza
la ricchezza
delle differenze
o la debolezza
degli strumenti?
112
Unità di apprendimento, Clil e valutazione
Perché la scelta di inserire il Clil nel curricolo del primo ciclo? Le Indicazioni Nazionali sostengono strategie che favoriscano connessioni interdisciplinari; in particolare, fra gli obiettivi di apprendimento per la Lingua inglese si prevede l’avvio dello studio di argomenti in
ambiti disciplinari diversi; per quanto riguarda la Storia, poi, si suggerisce di usare metodi,
conoscenze e visione di un’altra disciplina in attività che prevedano utilizzo di fonti differenziate, strategie di selezione di informazioni, riorganizzazione di contenuti e problematizzazione, per riflettere con adeguata padronanza argomentativa sulle diversità dei gruppi
umani.
La parola ai docenti: “L’unità di apprendimento della classe seconda (Native Americans)
analizza e confronta episodi significativi dei primi mutevoli rapporti tra i popoli nativi nordamericani e gli esploratori/colonizzatori europei, tra timori, curiosità, approcci amichevoli, sospetti e violenze. Le fonti utilizzate sono da considerarsi autentiche, in quanto costituite dalla trascrizione di brani di un diario di bordo conservato nei National Archives
inglesi e di brevi clip tratte dal film The New World di T. Malick (2005)” (*). La valutazione
mira alla rilevazione di una “competenza di ordine superiore rispetto ai singoli obiettivi disciplinari perseguiti (individuare collegamenti e relazioni – acquisire e interpretare l’informazione) e descrivibile attraverso differenti dimensioni che vanno dal saper recuperare le
informazioni ricavate, al saperle mettere in relazione, al saperne rinvenire di nuove, anche
su fonti online”.
Quali differenze segna questa modalità valutativa? Secondo Michael Pedrelli, coordinatore del dipartimento Clil, conoscenza profonda dell’oggetto di indagine, chiarezza
e precisione sono fondamentali: “Le esperienze Clil sono generalmente valutate in due
modi: una doppia valutazione lingua veicolare/disciplina non linguistica attraverso una
rubrica disgiunta, oppure la sola valutazione della disciplina non linguistica. Noi abbiamo tentato una terza via e cioè analizzare lo sviluppo e l’esercizio di una competenza
trasversale (**).
L’incontro fra docenti che insegnano discipline diverse presuppone un’attività di astrazione
e di distanziamento dai contesti abitudinari per poter esplicitare i nodi metodologici fondamentali della propria disciplina e quindi poter negoziare forme di valutazione significative
per entrambi gli ambiti di conoscenza coinvolti”.
*)M. Pedrelli, S. Bertone, Early contacts tra discipline: unità di apprendimento sui rapporti tra
Nativi d’America ed Europei, in “Lend. Lingua e nuova didattica”, n. 2/2014, anche in http://www.
lend.it.
**) Ivi.
fluida e trasformativa del discutere: “La
forza o la debolezza di un’opinione, la
pesantezza o la leggerezza delle parole” permettono di uscire dalle secche e
dalla stagnazione.
Il tempo, risorsa cruciale e limitata, pone problemi di sostenibilità; essi, tuttavia, si riducono allorché si ridefinisce
sostanzialmente l’area della condivisione degli obiettivi e dei significati a loro
sottesi.
L’assunzione della moda come indice
di valore, anziché della tradizionale media, potrebbe non essere una risoluzione validamente rappresentativa: “La
moda seleziona alcuni pareri a discapito di altri, può supportare posizioni che
costituiscono l’emanazione di una minoranza, comportando come conseguenza il senso di frustrazione per la
potenziale inutilità del contributo individuale alle proposte di valutazione”. Il
sistema di misura, però, attiva l’intersoggettività e costruisce configurazioni di senso; il suo valore consiste nella
possibilità di accedere a opportunità di
conoscenza.
Infine, è ben evidente nella tabella: è
necessario accettare l’idea che il dispositivo cattura le tracce dei modi di fare
scuola, la capacità di gestione del
gruppo, l’efficacia formativa degli ambienti di apprendimento, il livello di
omogeneità nella valutazione. La disuguaglianza di ogni alunno a seconda di
chi lo osserva risponde alla ricchezza
della differenza o all’irriducibile debolezza degli strumenti di rilevazione? O
forse il monito del priore di Barbiana:
“non far parti uguali fra disuguali” non
trova ancora una soddisfacente risposta dalla scuola?
La dialogica continua e la disamina critica sull’esperienza costituiscono un’affermazione della volontà dei docenti di
emancipare la valutazione dalla pratica
del senso comune.
Early contacts fra discipline
La complessità e la pervasività dei fenomeni e delle esperienze di apprendimento spostano l’attenzione, anche
nelle pratiche valutative, dal cosa al co-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
me si apprende. “Le prove strutturate,
‘oggettive’, per altro insostituibili per
superare tentazioni intuizionistiche, ci
consegnavano indizi statici e parziali,
spesso legati ad abilità semplici; ora
l’intento era di andare più in profondità, oltrepassando i confini disciplinari,
riconoscendo la valenza della metacognizione, includendo nell’analisi le variabili non cognitive e la stessa variabile insegnante” (2).
Fra i percorsi didattici strutturati alla luce della didattica per competenze, il
Clil (Content and Language Integrated
Learning) si propone per il suo carattere innovativo nella scuola secondaria di
primo grado.
È possibile far emergere la differenza
fra gli alunni come ricchezza? Identificare i punti di forza? “Gli strumenti di
valutazione utilizzati al termine del percorso dovrebbero consegnare all’insegnante dati empirici che permettano,
procedendo a ritroso e triangolando
altre informazioni raccolte, di identificare correlazioni fra le prestazioni e i
processi attivati e, quindi, formulare
ipotesi sulle cause del successo/insuccesso. Abbiamo però trovato difficile
graduare in una scala complessa le
sfumature di questi due poli e, invece
che identificare i punti di forza, appare più facile e naturale notare dove la
competenza indagata scricchiola. Gli
strumenti, anche se ben orientati, non
sembrano essere mai abbastanza sensibili”.
I docenti del dipartimento concordano
sul valore aggiunto della cooperazione:
due insegnanti che valutano insieme si
portano appresso una diversa conoscenza degli studenti e talvolta una diversa interpretazione delle loro azioni.
Allo stesso tempo, un doppio sguardo
permette di mettere a confronto differenti visioni su ciò che è importante,
giusto, utile. Il rischio è che queste rappresentazioni diventino recinti concet2)C. Gibelli, Percorsi di ricerca sulle
competenze e i processi di apprendimento,
in http://www.donmilani.wikischool.it.
tuali forieri di conflitti o di alibi per rimanere in superficie.
Elementari vs medie:
la valutazione al varco
“È uno spazio senza porte e senza finestre il passaggio dalla scuola primaria
alla scuola secondaria di primo grado”
se avviene senza un raccordo ampiamente dialogato, sostiene Marika Vagge, docente della scuola primaria “G.
Daneo” che cura il settore. “La conoscenza di ogni alunno e delle sue specificità dipende dalla ricchezza dell’interlocuzione” conferma Valentina Cannavò, insegnante della scuola secondaria “Don Milani”.
Il momento è delicato: non si tratta di
spostare informazioni, ma di costruire
le condizioni di una processualità che
accompagni i soggetti nel loro percorso evolutivo nel primo ciclo d’istruzione. Ciò avviene a condizione che non
si lasci spazio a sensazioni e impressioni soggettive non verificate, all’enfatizzazione di aspetti eclatanti, alla
sottovalutazione di elementi che potrebbero confinare in un alone di indistinzione gli alunni senza intense connotazioni – negative o positive – speciali.
Un percorso unitario e non traumatico
dovrebbe essere garantito dall’ottica
del comprensivo, ormai ampiamente
diffuso sul territorio nazionale. Accade
nelle scuole dove la cultura della continuità è presente; dove prevale la consapevolezza pedagogica, non la logica
corporativa. Soprattutto, il comprensivo risulta elemento di differenza se gli
elementi informativi e valutativi si collocano all’interno di un curricolo e di un
ambiente di apprendimento che curano i processi evolutivi dei soggetti e dei
gruppi.
Occorre disporre di strumenti articolati, capaci di rilevare correttamente le
evidenze e di esprimere con appropriatezza anche le sfumature: le specificità cognitive, le competenze conseguite, le caratteristiche delle relazioni in-
Strumenti e
cultura della
valutazione
Per andare
in profondità
nella valutazione
occorre superare
i confini
delle discipline
(come nel CLIL)
e aprire
un dialogo
(come nel
passaggio
elementari-medie)
113
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Strumenti e
cultura della
valutazione
Solo attraverso
l’osservazione,
il confronto,
la ricostruzione,
il vissuto
diventa
oggetto
di riflessione
terpersonali, la qualità della partecipazione, gli stili attribuzionali, la motivazione, i dati di contesto.
chieste ingiustificate di verifiche sociosanitarie: il paradosso della certificazione per sostenere il passaggio?
Strumenti per una valutazione
discorsiva
Cooperare, valutare,
riconoscersi
Un primo questionario relativo a comportamenti sociali e ad aspetti apprenditivi (3) permette di assumere l’esperienza come testo comune; poi gli
sguardi devono incrociarsi per andare
oltre.
Osservare è una pratica che si sta diffondendo nelle scuole; in questo caso il
focus è costituito dagli alunni e dalle loro relazioni nel gruppo classe che si sta
costituendo. Ma è l’ambiente di apprendimento a fare da sfondo e così, indirettamente ma inevitabilmente, i docenti
accettano una forma implicita di valutazione, perché consci della necessità di
promuovere l’attenzione vigile sull’evento e sul suo divenire: “L’esperienza prende forma quando il vissuto diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne
appropria consapevolmente per comprenderne il senso” (4).
Un sondaggio successivo rivolto a tutti gli insegnanti della scuola secondaria interessati all’accoglienza chiede:
“Come hai vissuto l’osservare i colleghi
o l’essere osservato?”. La percezione
è unanimemente positiva: è “una risorsa interessante per capire come nasce
la relazione fra insegnante e alunni”,
“un’esperienza utile per riflettere sui
modi del fare scuola”. È un’ulteriore affermazione del valore formativo della
cooperazione.
Proprio per la natura complessa ed
estensiva del campo, la voce dei genitori deve confluire nella rete di relazioni
e integrare le informazioni. L’ansia frequentemente fa da sfondo al passaggio
e – rileva la docente di scuola primaria
– arriva in questi ultimi tempi a porre ri-
La cooperazione si afferma come potente strumento di integrazione fra
azione e riflessione e genera conoscenza anche a proposito di valutazione, se
l’operazione si colloca all’interno di un
quadro di saperi – e non di procedure
o codificazioni ritualizzate – ed è ancorata a valori pedagogici di riferimento,
se si argomenta in ordine ai modelli di
pensiero che hanno sostenuto le azioni, se ci si confronta con serenità.
A queste condizioni, la ricostruzione
del significato dell’evento diventa conoscenza. Perciò, recuperare gli spazi
della discussione e del confronto anche a proposito di valutazione valorizza l’identità professionale: quando ci si
interroga sul profilo finale dell’alunno,
o sul come o perché valutare, in ultima
analisi si discute del senso del nostro
lavoro e del valore della scuola nell’attuale contesto storico.
3) Reperibile in http://donmilanicolombo.
wikischool.it.
4)L. Mortari, Apprendere dall’esperienza,
114
Carocci, Roma, 2009.
La “Don Milani” di Genova è una
scuola secondaria di I grado che
sperimenta un progetto ministeriale
di innovazione didattica
e organizzativa: la valutazione è da
anni al centro del dibattito della
comunità docente.
Enrica Dondero
Docente di storia e geografia presso la scuola
secondaria di primo grado “Don Milani” di Genova
[email protected]
Indicatori e descrittori
per il Rapporto
di Autovalutazione
Estratto dal Documento Miur-Invalsi
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Strumenti e
cultura della
valutazione
Aree di esplorazione della qualità proposte nel RAV
Popolazione
scolastica
Contesto socio ambientale e risorse
Pratiche gestionali e organizzative
Territorio e
capitale
sociale
Pratiche educative e didattiche
Ambiente di
apprendimento
Esiti formativi
ed educativi
Risultati
scolastici
Risultati nelle
prove Invalsi
Continuità e
orientamento
Competenze chiave di cittadinanza
Risultati a distanza
Risorse
economiche e
materiali
Integrazione con il territorio
e rapporti con le famiglie
i
Risorse
professionali
1
CONTESTO E RISORSE
L’indice
del Rav
è strutturato
in 4 aree:
contesto
e risorse,
esiti,
processi
didattici,
processi
organizzativi
1.1 Popolazione scolastica
Status socio economico e culturale delle famiglie degli studenti (livello medio
indice ESCS)
Studenti con famiglie economicamente svantaggiate (percentuale studenti con
entrambi i genitori disoccupati)
1.2 Territorio e capitale sociale
Disoccupazione (tasso di disoccupazione)
Immigrazione (tasso di immigrazione)
Spesa per l’istruzione degli enti locali (impegni scuola primaria, scuola secondaria di I grado, assistenza refezione dei Comuni della Provincia; spese competenza per l’istruzione secondaria di II grado sugli impegni generali della Provincia; rapporto Impegni/Pagamenti per l’istruzione secondaria di II grado della Provincia)
1.3 Risorse economiche e materiali
Finanziamenti all’Istituzione scolastica (finanziamenti assegnati dallo Stato, finanziamenti dalle famiglie, assegnati dalla Provincia o dalla Regione, da privati)
Edilizia e rispetto delle norme sulla sicurezza (certificazioni; sicurezza edifici e
superamento barriere architettoniche)
115
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Strumenti e
cultura della
valutazione
1.4 Risorse professionali
Caratteristiche degli insegnanti (tipologia di contratto degli insegnanti, insegnanti a tempo indeterminato per fasce di età, titoli in possesso degli insegnanti a tempo indeterminato, insegnanti a tempo indeterminato per anni di servizio
nella scuola - stabilità)
Caratteristiche del dirigente scolastico (tipo di incarico, anni di esperienza, stabilità)
ESITI
2.1 Risultati scolastici
Gli esiti
formativi
considerano,
oltre
alle prove Invalsi,
anche
i risultati
scolastici,
quelli a distanza
e le competenze
chiave
Esiti degli scrutini (studenti ammessi alla classe successiva, studenti diplomati
per votazione conseguita all’esame)
Trasferimenti e abbandoni (studenti che hanno abbandonato gli studi in corso
d’anno , studenti trasferiti - in entrata o in uscita - in corso d’anno)
2.2 Risultati nelle prove standardizzate nazionali
Risultati degli studenti nelle prove di italiano e matematica (punteggio della scuola, delle classi, delle sedi in italiano e matematica; differenze nel punteggio rispetto a scuole con contesto socio-economico e culturale - ESCS - simile)
Livelli di apprendimento degli studenti (alunni collocati nei diversi livelli in italiano e in matematica)
Variabilità dei risultati fra le classi (varianza interna alle classi e fra le classi)
2.3 Competenze chiave e di cittadinanza*
(*Non vi sono indicatori disponibili a livello centrale, attualmente)
2.4 Risultati a distanza
Prosecuzione negli studi universitari (studenti diplomati immatricolati all’università)
Successo negli studi universitari (crediti conseguiti dai diplomati nel I e II anno
di università)
Successo negli studi secondari di II grado (consiglio orientativo per tipologia;
corrispondenza tra consiglio orientativo e scelta effettuata; promossi al I anno
che hanno seguito il consiglio orientativo; promossi al I anno che non hanno seguito il consiglio orientativo)
Inserimenti nel mondo del lavoro (numero inserimenti nel mondo del lavoro)
PROCESSI
PRATICHE EDUCATIVE E DIDATTICHE
3.1 Curricolo, progettazione e valutazione.
116
Curricolo e offerta formativa
Curricolo (grado di adeguatezza del curricolo, aspetti del curricolo presenti)
Politiche scolastiche di Istituto (percezione delle politiche scolastiche secondo gli insegnanti)
Progettazione didattica
Progettazione didattica (grado di adeguatezza della progettazione didattica,
aspetti del curricolo sulla progettazione didattica presenti)
Valutazione degli studenti
Presenza di prove strutturate per classi parallele (prove strutturate in entrata,
intermedie e finali)
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
3.2 Ambiente di apprendimento
Dimensione organizzativa
Durata delle lezioni (modalità orarie adottate per la durata delle lezioni)
Organizzazione oraria (modalità orarie per l’ampliamento dell’offerta formativa; per interventi di recupero, consolidamento, potenziamento)
Dimensione metodologica
Attività e strategie didattiche (attività didattiche maggiormente utilizzate dagli
insegnanti, strategie didattiche maggiormente utilizzate dagli insegnanti)
Episodi problematici (azioni per contrastare episodi problematici, studenti sospesi per anno di corso, studenti entrati alla seconda ora, ore di assenza degli
studenti)
Clima scolastico (accettazione tra compagni, comportamenti problematici tra
compagni, percezione del clima scolastico secondo gli insegnanti, benessere
dello studente a scuola, percezione del clima scolastico secondo i genitori)
3.3 Inclusione e differenziazione
Inclusione
Attività di inclusione (azioni attuate per l’inclusione, percezione delle politiche
scolastiche sull’inclusione)
Recupero e potenziamento
Attività di recupero (corsi di recupero organizzati dalle scuole, progettazione
di moduli per il recupero delle competenze)
Attività di potenziamento (progettazione di moduli per il potenziamento delle
competenze)
3.4 Continuità e orientamento
Strumenti e
cultura della
valutazione
I processi
organizzativi
e didattici
sono
le variabili
su cui ogni scuola
può
effettivamente
incidere
Continuità
Attività di continuità (azioni attuate per la continuità)
Orientamento
Attività di orientamento (azioni attuate per l’orientamento)
PRATICHE GESTIONALI E ORGANIZZATIVE
3.5 Orientamento strategico e organizzazione della scuola
Organizzazione delle risorse umane
Gestione delle funzioni strumentali (modalità di distribuzione delle risorse per
le funzioni strumentali)
Gestione del Fondo di Istituto (ripartizione del FIS tra insegnanti e personale ATA;
quota di insegnanti e di personale ATA che percepisce il FIS; insegnanti che percepiscono più di 500€ di FIS; personale ATA che percepisce più di 500€ di FIS)
Processi decisionali (luoghi e modi dei processi decisionali)
Impatto delle assenze degli insegnanti sull’organizzazione (ore di supplenza
svolte da insegnanti esterni; retribuite svolte da insegnanti interni; non retribuite
svolte da insegnanti interni; ore di supplenza non coperte)
Gestione delle risorse economiche
Progetti realizzati (ampiezza dell’offerta dei progetti; indice di frammentazione
dei progetti; indice di spesa dei progetti per alunno; indice di spesa per la retribuzione del personale nei progetti)
Progetti prioritari (tipologia relativa dei progetti, durata media dei progetti, indice
di concentrazione della spesa per i progetti, importanza relativa dei progetti,
coinvolgimento relativo nei progetti)
117
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Strumenti e
cultura della
valutazione
Le pratiche
organizzative
si riferiscono
alle relazioni
interne
e a quelle
esterne
3.6 Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane
Formazione
Offerta di formazione per gli insegnanti (ampiezza dell’offerta di formazione per
gli insegnanti; tipologia degli argomenti della formazione; insegnanti coinvolti
nella formazione; spesa media per insegnante per la formazione; numero medio
di ore di formazione per insegnante)
Collaborazione tra insegnanti
Gruppi di lavoro degli insegnanti (tipologia degli argomenti dei gruppi di lavoro,
varietà degli argomenti per i quali è stato attivato un gruppo di lavoro; partecipazione degli insegnanti a gruppi di lavoro)
Confronto tra insegnanti (percezione del confronto e dello scambio tra insegnanti)
3.7 Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie
Collaborazione con il territorio
Reti di scuole (partecipazione a reti di scuole; reti di cui la scuola è capofila,
apertura delle reti a enti o altri soggetti; entrata principale di finanziamento delle
reti; principale motivo di partecipazione alla rete; attività prevalente svolta in rete)
Accordi formalizzati (varietà dei soggetti con cui la scuola stipula accordi;
tipologia dei soggetti con cui la scuola ha accordi; gruppi di lavoro composti
da insegnanti e rappresentanti del territorio; presenza di stage; presenza di
collegamenti e inserimenti nel mondo del lavoro)
Coinvolgimento delle famiglie
Partecipazione formale dei genitori (Votanti effettivi alle elezioni del Consiglio
di Istituto)
Partecipazione informale dei genitori (partecipazione dei genitori agli incontri e
alle attività della scuola)
Partecipazione finanziaria dei genitori (versamento dei contributi volontari da
parte delle famiglie)
Capacità della scuola di coinvolgere i genitori (azioni della scuola per coinvolgere i genitori)
Fonte: Miur-Invalsi, Mappa indicatori per Rapporto di autovalutazione, novembre 2014.
Rielaborazione a cura di mtb.
In corsivo sono elencati i descrittori.
www.istruzione.it
118
In www.istruzione.it è stato pubblicato dal Miur,
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione
e formazione, Direzione generale per gli orientamenti
scolastici e la valutazione del sistema nazionale
di istruzione:
Valutazione: Un vademecum per le scuole per
l’elaborazione del Rav, 2 marzo 2015. Contiene:
-Circolare prot. 1738 del 2 marzo 2015: Orientamenti
per l’elaborazione del Rapporto di autovalutazione;
-Miur-Invalsi, Mappa indicatori per Rapporto
di autovalutazione, novembre 2014;
-Miur-Invalsi, Rapporto di autovalutazione.
Guida all’autovalutazione, novembre 2014.
“Non dobbiamo tacere”
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
di Cinzia Mion
Dopo il Nobel a Malala
Credo che non ci sia occasione migliore per recensire un libro con tale titolo
all’indomani dell’assegnazione del premio Nobel per la pace a Malala Youssafzay e a Kailash Satyarthi, conferito
come denuncia della cultura del silenzio nei confronti della negazione dei diritti più elementari dei bambini e delle
bambine.
Entrambi hanno dimostrato un gran coraggio e corso grandi rischi per portare
avanti le proprie idee in difesa dei diritti
dei bambini: l’una diventata famosa a livello mondiale per aver capito e sostenuto, a rischio della vita, l’importanza della scuola e dell’istruzione al fine di riscattare le bambine prima pakistane, e poi di
tutto il mondo, da un destino di subordinazione e di miseria culturale ed economica; il secondo per aver svolto un lavoro importante per salvare dal lavoro minorile i bambini delle zone depresse,
sfruttati e sottoposti a continui abusi.
I diritti dei bambini
Il libro che qui presento consiste appunto in un lavoro che invece ricorda e sottolinea i diritti di tutti i bambini. “È molto difficile che tutti gli adulti del mondo,
pur con differenti concezioni, pensino a
tutti i bambini del mondo” afferma Andrea Canevaro nella sua interessante introduzione al volume, che propone una
rassegna di testi per focalizzare i diritti
fondamentali dei bambini non visti, non
ascoltati, ignorati o trascurati.
Il materiale di cui si compone il libro è
stato inviato o portato da collaboratori
in vari Paesi, raccogliendo articoli di
giornali, scritture di bambini e bambine,
ragazzi e ragazze, poesie, documenti di
organizzazioni internazionali che partono da uno sguardo che si pone sui bambini nelle varie parti del mondo, senza la
paura di vedere ciò che fa male.
Questo libro, veramente notevole, preoccupante ma reso leggero dalle scritture dei bambini, parte da un’iniziativa
dell’organizzazione della Fimem (Fede-
razione internazionale dei movimenti
della scuola moderna) che raccoglie le
scuole che seguono i principi della pedagogia di C. Freinet. La Fimem fin dai
suoi inizi, dall’anno 1957, si è impegnata nella promozione della ‘dignità’ della vita di ogni bambino.
Ogni capitolo del volume tratta di un diritto o di una serie di diritti violati.
Il primo capitolo tratta del diritto alla
vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo,
alla salute in un ambiente tutelato e si
articola in statistiche e articoli di giornale, ma nei suoi aspetti più autentici
in varie testimonianze di ragazzini che
affrontano la problematica con la loro
freschezza ma anche sofferenza, riportati in lingua originale, cui segue
poi un sintetico riassunto nelle quattro lingue.
Seguono con la medesima impostazione i capitoli sul diritto all’identità, alla
famiglia, alla cultura, al proprio nome;
diritto alla protezione (dalla violenza,
dall’abbandono, dallo sfruttamento
economico, dallo sfruttamento sessuale, dalla tratta, dalla guerra, dalla prigionia); diritto all’educazione e istruzione; diritto all’espressione, all’ascolto,
all’autonomia, alla cittadinanza.
Concludono una sezione iconografica
con disegni dei bambini e foto, una bibliografia essenziale e una sitografia.
Letti per voi
Non dobbiamo tacere
Diritti negati, diritti riconosciuti, diritti conquistati
A cura di G. Cavinato, M.
Marchegiani, A. Mazzucco
Il riconoscimento
dei diritti
violati
dei bambini
ci stimola
a riscoprire
le sofferenze
del Sud
del mondo
L’etica della cura
In quest’epoca contraddistinta da una
deriva sociale di indifferenza e non-curanza, che rischia di sommergerci tutti
“se non metteremo il Sud del mondo
nella testa del Nord”, speriamo che la
testimonianza di “Non dobbiamo tacere” sia un contributo significativo a sollecitare l’etica della cura nei confronti
dell’infanzia negata per troppi bambini
e bambine che soffrono sulla nostra terra e che sono bambini di tutti.
Cinzia Mion
Già dirigente scolastico, psicologa, formatrice
[email protected]
119
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
La scuola come
avventura pedagogica
di Maurizio Muraglia
Letti per voi
Le parole ‘sagge’ dei bambini
Nella narrazione
di Lorenzoni
l’incontro
dei bambini
con i saperi
si colora
di ascolto,
di stupore,
di emozioni
F. Lorenzoni, I bambini
pensano grande (Sellerio,
Palermo, 2014)
Si esagera definendo questo libro di
Franco Lorenzoni un libro ‘eversivo’?
Forse. Ma alla fine della lettura ciò che
resta è un’idea di scuola, di didattica, di
apprendimento che forse appartiene a
un altro mondo. Veramente il sottotitolo “Cronaca di una avventura pedagogica” dice l’essenza di questa vicenda
quinquennale (di cui nel libro si narra il
quinto anno) intercorsa tra un maestro
e un gruppo di bambini. Una vera e propria avventura, fatta di colpi di scena,
intuizioni, esperienze straordinarie, dal
finale sempre aperto. E in fondo di che
cosa si è trattato? Di scuola. E quando
mai l’andare a scuola si configura quale ‘avventura’? Quali sono le condizioni
che possono rendere un anno scolastico qualcosa di memorabile, senza che
ciò avvenga al di fuori del mandato costituzionale che assegna alla scuola il
compito di insegnare e agli allievi che la
frequentano il compito di imparare?
Eppure Lorenzoni ci ha consegnato una
geografia del fare scuola capace, senza
voler assumere mai atteggiamenti speculativi, di coniugare prassi e riflessione.
Il suo libro si dipana tra report di dialoghi
tra bambini e riflessioni dell’autore, narrazioni di esperienze didattiche e risonanze interiori susseguenti alle stesse.
Per il lettore, soprattutto per l’insegnante, è un prezioso peregrinare tra questioni di contenuto, questioni di metodologia, questioni di relazioni, e tutto il sapere della pedagogia e della didattica acquista uno spessore di concretezza a
fronte delle fresche parole dei bambini.
Il sapere ‘mite’ del maestro
120
Ci sono alcune linee-guida, per così dire, che sostengono la cronaca di Lorenzoni.
La questione tempo. Non c’è alcun dubbio per il maestro Franco: a scuola si deve perdere tempo. Solo l’esposizione
prolungata dà profondità alle conoscenze. Su questo le sue scelte sono chiare:
“Se andiamo lenti aumentano le possibilità che arrivino tutti e forse si apre l’opportunità di incontrare davvero profondamente qualcosa”. Ma non si tratta soltanto di una faccenda meramente quantitativa. La quantità resta al servizio della
qualità ovvero di un apprendimento capace di porre continuamente domande.
I bambini di Lorenzoni sono trascinati socraticamente in un continuo susseguirsi
di interrogativi di fronte alla storia, alla
matematica, alla scienza, all’arte, e non
si tratta di interrogativi che attendono risposte certe.
Nell’interrogativo culturale, il maestro
Franco aggancia la possibilità di un apprendimento significativo: “Non apprendo bene un contenuto se rispondo alle
domande di chi me lo ha insegnato ripetendo le sue parole, ma se ho il tempo e
la possibilità di costruire un mio modo di
raccontare ed esporre ciò che ho capito.
Se ho l’occasione di doverlo a mia volta
spiegare a chi non conosce l’argomento,
sono motivato a mobilitare al massimo
tutte le mie energie e capacità per riuscire a raggiungere chi non sa”.
È quel che oggi si chiama ambiente di apprendimento quel che questo libro fa vedere in azione. Un ambiente in cui i saperi disciplinari si colorano continuamente
di attualità, di vissuto, di emozione. Non
c’è spazio per la demotivazione e per la
noia. Il maestro ha fissato molto bene gli
obiettivi del lavoro di tutti: “conoscere e
conoscersi, che sta alla base di ogni pedagogia che non voglia abbandonare il
senso dell’educare”. Ma educare in Lorenzoni non equivale a predicare, lo dice
egli stesso.
Educare continua a significare insegnare.
Lorenzoni è uno che insegna, ma il suo
insegnare è un perenne ascoltare, perché
egli è convinto, appunto, che “I bambini
pensano grande”, e il suo interesse per i
loro testi è quasi maniacale. Egli ascolta,
trascrive, rilegge, si interroga. Egli impara dai suoi bambini. Memorabile la bacchettata incassata da una sua allieva: “Ma
allora, maestro, tu non hai capito proprio
niente!”. E non paternalisticamente. Lo-
renzoni è convinto che i bambini abbiano
la straordinaria capacità di porre questioni di confine, perché sono capaci di uno
sguardo epistemologicamente limpido
sul reale.
Il taglio ‘filosofico’ che l’autore – appassionato di cultura greca – dà ai suoi incontri con i ragazzi è ben lungi da qualsiasi erudizione fine a se stessa. Egli sa
che i suoi bambini agognano di filosofare intorno a ogni questione, e i bambini
sanno che tutto questo si può fare liberamente senza paura di sbagliare.
anche su questo è chiaro: occorre che la
scuola sappia creare discontinuità con le
gabbie mediatiche e sociali che caratterizzano le vite dei bambini. Egli parla di rovesciamenti: “Sono convinto che la scuola, se ha l’ambizione di educare alla libertà, non deve imitare ciò che accade nella
società, ma operare per contrasto, in modo critico e concreto. Se vuole essere luogo di creazione culturale aperto al futuro,
non deve appiattirsi sul presente”.
Lo spazio ‘sereno’ dell’ascolto
Eppure quanto del presente Lorenzoni è
capace di far scaturire dalle voci del passato, grazie alla meraviglia del teatro! Per
questi bambini il teatro è il modo privilegiato per far vivere, per agire la loro relazione personale con la cultura. Nel teatro essi vivono la curiosità, la meraviglia,
la bellezza. Fanno vivere ciò che hanno
imparato, ma possono farlo perché lo
hanno imparato in un ambiente non ossessionato da programmi, griglie, quiz,
tabelle e classificazioni varie. Un ambiente formativo.
Non c’è traccia di voti numerici o di medie tra voti nel testo. Come se non esistessero. Come se quel modo di fare
scuola li rendesse del tutto inessenziali.
Per questo il libro è eversivo. Perché è
una contestazione radicale rivolta a una
scuola e a una politica scolastica ossessionata dalle rilevazioni e dai risultati.
I bambini del maestro Franco viaggiano
su un’altra galassia e sono felici. Felici di
conoscere, felici di imparare, felici di essere se stessi. Ed è proprio uno di loro,
Fabio, felice per essere riuscito nel tempo, grazie alla scuola, ad articolare in modo più chiaro le sue parole, a essere posto da Lorenzoni a suggello di tutto il percorso con questa dichiarazione conclusiva: disegnato, come disegno mia sorella Sara”. Ecco il frutto del lavoro di Lorenzoni: avere costruito la possibilità, nei
suoi bimbi, di familiarizzare con la cultura. Un magistero per tutti.
Per queste ragioni il libro appare sovversivo. Per la sua dichiarata presa di distanza da qualsiasi modello didattico in cui le
prestazioni debbano essere rigorosamente classificate e in cui i cosiddetti ‘risultati di apprendimento’ debbano condurre
l’insegnamento a stare al servizio di test
e verifiche. Non è questa l’atmosfera nella classe di Lorenzoni. I bambini si muovono, si organizzano in gruppi, cantano,
recitano. I bambini costruiscono continue
metafore, che servono loro per avvicinarsi anche alle figure più alte della cultura
(Socrate, Platone, Pitagora, Raffaello).
Lorenzoni ha orrore per ogni forma di burocratizzazione dell’insegnamento ed è
fermamente convinto che il mandato della scuola pubblica sia quello di consentire a ciascun allievo di esprimere tutti i suoi
migliori talenti. L’inclusione è il suo paradigma pedagogico primario: “Ci sono
luoghi e momenti espressivi che vanno
accolti così come sono, nel silenzio e
nell’ascolto, perché i bambini hanno il sacrosanto diritto di essere, prima di tutto,
semplicemente se stessi”.
Il libro è una miniera di spunti pedagogici
e didattici. Sul curricolo, sull’uso formativo delle discipline, sull’educazione alla
democrazia e alla cittadinanza. Il suo pregio fondamentale sta nell’aver fatto balenare l’idea che la vita – e la morte, sì anche la morte – non sta fuori dalle classi,
ma in classe può essere tematizzata, culturalmente rielaborata. L’idea che i bambini hanno voglia di esprimere le proprie
emozioni, i propri affetti, le proprie angosce in uno spazio sereno, non abitato dalle ossessioni della vita sociale. Lorenzoni
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Letti per voi
Il ritmo ‘lento’ della conoscenza
La scuola
inclusiva
è quella che
si permette
tempi lunghi
per l’ascolto,
le domande,
la libera
espressione,
senza le ossessioni
dei programmi
confezionati
Maurizio Muraglia
Docente di lettere nel Liceo delle scienze umane
“G.A. De Cosmi” di Palermo
[email protected]
121
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Osservatorio
giuridico
La gestione
indiretta
dei servizi
educativi
nasce
soprattutto
per ragioni
economiche,
ma consente
anche
di sperimentare
l’efficacia
di nuove soluzioni
(appalto,
convenzione
concessione)
122
Servizi educativi:
tipologie di gestione
di Loredana Bondi
Le (buone) ragioni della gestione
indiretta
In linea generale i sistemi contrattuali
che l‘ente pubblico può adottare
nell’ambito della gestione indiretta dei
servizi socio-educativi possono assumere forme differenziate, come la concessione in appalto o convenzione (onlus, associazioni di volontariato, cooperative sociali, ecc.) che apre alla coprogettazione del servizio. Fra le principali motivazioni della gestione indiretta dei servizi invocata attualmente nella maggioranza dei casi da parte dei
Comuni possiamo trovare:
- un beneficio connesso alla maggiore flessibilità nell’uso delle risorse (in
particolare di quelle connesse al
personale);
- la diminuzione dei costi unitari;
- l’ampliamento o il possibile sviluppo dell’offerta educativa introducendo modifiche nell’organizzazione dell’offerta;
- l’assenza di grossi investimenti per
la realizzazione di strutture nuove.
Può anche verificarsi l’opportunità di
effettuare scelte politiche volte a favorire lo sviluppo di sistemi di imprese locali, ma di incidenza più rilevante appaiono i vincoli nella gestione della
spesa pubblica che ponendo rigidi limiti alle assunzioni di personale dipendente possono provocare seri problemi di funzionamento.
Certamente si tratta di un problema riconducibile a ragioni di natura sia politico-culturale che economico-gestionale. Le amministrazioni locali hanno
un rapporto di attenzione e collaborazione con le espressioni della società
civile (imprese, associazioni, ecc.), devono superare rigidità interne e perseguire convenienza economica. In determinate condizioni quindi possono
valutare di procedere con l’espansione
o l’avvio di nuovo servizio affidandolo
all’esterno, ovvero esternalizzando la
gestione di propri servizi, passando
cioè dalla gestione diretta a quella indiretta, senza modificare o aumentare
la recettività e la consistenza del servizio interessato.
Le possibili forme contrattuali
Il Comune (o comunque l’ente pubblico)
può procedere tramite gara d’appalto
con contratto d’appalto ex art. 1655 c.c.
all’affidamento esterno di servizi, come
prevede la normativa vigente. “L’appalto è il contratto con il quale una parte
assume con organizzazione dei mezzi
necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un
servizio verso un corrispettivo in denaro”. Si tratta di un contratto tipizzato a
titolo oneroso. Vi è la presenza del rischio d’impresa, ma negli appalti pubblici è limitato: dipende dall’ammontare
del compenso, dall’organizzazione di risorse e mezzi e dal rapporto bilaterale
fra Comune e affidatario.
In altri casi il Comune può procedere
tramite convenzione. Si tratta di un
contratto atipico. La legge 241/1990,
art. 11, prevedeva accordi pubblicistici fra enti pubblici e soggetti privati. Vi
è stato uno sviluppo, dagli anni Novanta in poi, della formula contrattualistica
della ‘convenzione’ con la crescita del
cosiddetto terzo settore (cooperazione
sociale, volontariato, altri soggetti senza fini di lucro, ecc.). In tali convenzioni il contributo, di norma, dovrebbe essere inferiore al costo totale.
Vi è poi la concessione di servizi (d.lgs.
163/2006, art. 30). Si tratta di un contratto trilaterale fra concedente (Comune), concessionario (gestore servizio) e
utente. Detto contratto presenta un rischio più elevato per l’impresa prestatrice del servizio. Consiste in una prestazione a favore del concessionario
che ha il diritto di sfruttare economicamente il servizio (tariffe a carico dell’utenza); a questo può essere aggiunto il
riconoscimento di un prezzo (integrazione alle tariffe utenti) da parte del Co-
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Osservatorio
giuridico
mune, quando venga imposto di praticare all’utenza tariffe inferiori al costo
del servizio. Anche in questo caso il
Comune o l’ente pubblico deve selezionare il contraente secondo i principi generali dei contratti pubblici: trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento,
mutuo riconoscimento, proporzionalità
in una gara informale fra almeno 5 imprese (procedura negoziata) con preventiva determinazione dei criteri di selezione dell’offerta.
Tra appalti e concessioni
Quali sono le principali differenze fra
l’appalto e la concessione?
Nella concessione – forma di partenariato pubblico-privato – è presente il rischio d’impresa gestionale, correlato al
servizio. La presenza del rischio è l’elemento che più evidentemente induce
all’applicazione di sistemi di affidamento più semplificati rispetto all’evidenza
pubblica. Nell’appalto è assai limitato
il rischio d’impresa.
L’appalto presenta diverse procedure
di affidamento e differenti possono essere i rapporti fra ente locale, impresa
prestatrice del servizio e utenti utilizzatori finali. Il passaggio nell’appalto è il
seguente: stazione appaltante – appaltatore – utenza, con l’affidamento e l’esecuzione dei servizi e/o forniture nel
rispetto dei principi previsti dal Codice
sugli appalti (art. 2, d.lgs. 163/2006:
economicità, efficacia, tempestività,
correttezza, parità di trattamento nel rispetto della libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, ecc.).
Le cooperative sociali a cui i Comuni si
rivolgono per convenzioni per la gestione dei servizi sociali ed educativi dell’istruzione – con possibilità di affidamento con procedure ristrette o negoziate – sono le cooperative sociali di tipo a) (1). Molteplici sono gli elementi del
capitolato speciale ovvero del contenuto del contratto di servizio per gestione, per esempio di un nido (appalto/concessione, convenzione), che de-
L’affidamento
in appalto
a cooperative
sociali
deve seguire
rigorosi
principi
di correttezza
e trasparenza
previsti
dal Codice
sugli appalti
1) La normativa in materia è data dalla l. 8
novembre 1991, n. 381, “Disciplina delle
cooperative sociali”.
123
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Osservatorio
giuridico
vono essere attentamente seguiti, così come disposto dalle norme vigenti in
materia.
Gestioni ‘miste’ nei servizi
socio-educativi
La coesistenza
tra operatori
di diverso
status
nelle gestioni
miste
può rivelarsi
un punto
‘critico’
del servizio
124
La gestione mista può essere:
-verticale, per appalto integrale di
uno o più servizi accessori (produzione pasti, pulizie, manutenzione,
lavanderia, ecc.) con incarichi professionali possibili per funzioni di
elevata specializzazione (coordinatore pedagogico, ecc.);
- ‘orizzontale, per appalto parziale del
servizio educativo o ausiliario.
Le cause principali per una gestione
‘mista’ possono nascere da un numero di addetti inferiore a quello necessario; a questa mancanza (congedi, ecc.)
non si intende sopperire con figure dipendenti, per vincoli sul personale (limiti nelle assunzioni, rispetto del patto
di stabilità interno, ecc.); la scelta è di
esternalizzare il servizio, spesso con affidamento a cooperative sociali.
Si possono presentare numerosi aspetti
critici delle gestioni ‘miste’ orizzontali.
Il primo è relativo alla funzionalità del
servizio, quando si decide per la convivenza tra operatori comunali e dipendenti della ditta esterna (contratti di lavoro diversi, trattamenti retributivi diversi, riferimento a progetti pedagogici e a figure di coordinamento diverse,
ecc.); un secondo elemento critico è
quello della continuità del personale
educativo. Occorre valutare l’effettiva
convenienza economica della gestione
mista, per la perdita di parte dei vantaggi economici tipici della gestione indiretta.
I rischi di illegittimità possono essere nel
tipo di affidamento del ‘servizio’, che deve sempre possedere le caratteristiche
tipiche del contratto d’appalto (art. 1655
c.c.) nelle cosiddette richieste di prestazioni di manodopera. Chi ha la titolarità
della gestione deve essere soggetto autorizzato al funzionamento e all’accreditamento, come chi riceve contributi
pubblici sulla gestione. Le modalità di
scelta del soggetto privato devono essere le stesse che per l’affidamento integrale del servizio.
Salvaguardare standard
di qualità
Un criterio fondamentale da rispettare
riguarda la valutazione e la promozione
della qualità nei servizi socio-educativi.
Occorre prevedere strumenti di monitoraggio e promozione della qualità adottabili anche nelle gestioni indirette, un
chiaro sistema di autocontrollo, reso talvolta obbligatorio da norme regionali
(per es., per l’accreditamento) o dal testo stesso del capitolato d’appalto.
In sede di gara vanno definiti precisa-
Valutare la qualità
La qualità educativa può essere valutabile per mezzo di questionari di autovalutazione, indagini di customer satisfaction, certificazione di qualità Iso 14000;
segnalazioni genitori utenti; carta del
servizio (d.P.C.M. 27 ottobre 1994); regolamento di funzionamento del nido o
scuola dell’infanzia; regolamento partecipazione dei genitori (gestione sociale);
altri indicatori diretti o indiretti (es. giorni e orari apertura, ore di formazione personale, presenza del coordinatore pedagogico, ecc.).
La qualità giuridico-amministrativa valutata in sede di gara prevede:
-requisiti di partecipazione (soggettivi
e oggettivi), di situazione giuridica, di
capacità economica e finanziaria, di
capacità tecnica;
- valutazione aspetti offerta tecnica
(personale impegnato nel servizio, organizzazione del servizio, organizzazione impresa, struttura sede del servizio, servizi accessori, materiali e
mezzi impiegati, migliorie).
I controlli in corso di esecuzione contratto sono di tipo amministrativo (verifiche
sul personale impiegato nell’appalto, rispetto di norme di legge o regolamenti
locali, rispetto degli altri obblighi di capitolato) o di tipo tecnico-qualitativo.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
mente i criteri di ‘qualità’, i requisiti per
partecipare (soggettivi e oggettivi),
nonché i controlli sulle gestioni indirette assegnatarie.
I servizi in gestione diretta
e integrata: esperienze in atto
In un prossimo intervento analizzeremo alcune forme di cosiddetta gestio-
ne ‘virtuosa’ dei servizi (diretta dei
servizi da parte dei Comuni o integrata con la cooperazione sociale). Presenteremo ipotesi che hanno cercato
di garantire la continuità e la qualità
dei servizi: laddove la politica interroga la pedagogia, può essere davvero
possibile un’elaborazione culturale
capace di ridefinire i paradigmi della
sostenibilità dei servizi.
Osservatorio
giuridico
Nelle gestioni
indirette
va salvaguardata
la qualità
125
Bibliografia e normativa
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Osservatorio
giuridico
AA.VV., La valutazione pedagogica. Modelli, processi e strumenti. Esperienze in Emilia-Romagna, in “Quaderno n. 31” del Servizio politiche familiari, infanzia, adolescenza. Regione
Emilia-Romagna, Bologna, 2013.
Assessorato politiche sociali Regione Emilia-Romagna, Valutazione delle qualità e del sistema di regolazione dei servizi per la prima infanzia in E-R. Quattro tesi per una valutazione delle qualità nei servizi 0-3 anni della sperimentazione delle linee guida regionali. Modelli, processi, strumenti. Esperienze in Emilia-Romagna, Centro Stampa RER, 2013.
Associacio de mestres Rosa Sensat, Per una nuova educazione pubblica, trad. it. in “Bambini in Europa”, VII, 1, 2005.
G. Allulli, Dalle strategie di Lisbona a Europa 2020. Politiche Europee della formazione e
delle risorse umane, Università La Sapienza, Roma, 2010.
Bambini in Emilia-Romagna, in “Bambini”, marzo 2014, Spaggiari, Parma.
G. Cerini (a cura di), Dentro i nuovi orientamenti, Homeless book, Faenza (RA), 2007.
Consiglio d’Europa, Raccomandazioni a favore degli under 18, 11 aprile 2012.
F. De Bartolomeis, Infanzia e educazione, In “Quaderni del Gruppo nazionale nidi e infanzia”, n. 5-2010.
Esiste ormai
un’ampia biografia
italiana
e internazionale
che studia
gli indicatori
di qualità
dei servizi
per l’infanzia
Governance e qualità del sistema integrato dei servizi per l’infanzia, in “Quaderni del Gruppo nazionale nidi e infanzia”, n. 3-2006.
A. Hoyuelos, Il soggetto bambino, L’etica pedagogica di Loris Malaguzzi, Spaggiari, Parma.
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle politiche per la famiglia, Centro nazionale di per la documentazione e analisi
per l’infanzia e l’adolescenza, Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2012.
E. Morin, M. Ceruti, La nostra Europa, Raffaello Cortina, 2013.
P. Moss, Portare le politiche nei servizi educativi. L’educazione nella prima infanzia come
pratica di democrazia, in “Quaderni del Gruppo nazionale nidi e infanzia”, n. 9-2013.
Regione Marche, Osservatorio regionale politiche sociali, Dipartimento politiche sociali, I
nidi e i centri per l’infanzia nelle Marche, Rilevazione sui servizi socio-educativi per la prima
infanzia, anno educativo 2009-10, n. 1-2012.
Regione Toscana, Istituto degli Innocenti, Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza, Progettare e realizzare servizi educativi per la prima infanzia. Orientamenti, indicazioni e regole, Istituto degli Innocenti, 2011.
Regione Veneto, Guida alla realizzazione di un servizio per l’infanzia, 2008.
Normativa di riferimento
Leggi e disposizioni comunitarie: Direttiva comunitaria sugli appalti pubblici 2004-18, nuova direttiva servizi); Comunicazioni interpretative della Commissione europea.
Nazionale
R.d. n. 2440/1923, Contabilità generale dello Stato.
R.d. n. 827/1924, sull’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato.
D.P.C.M. 30 marzo 2001 sull’affidamento dei servizi alla persona (applicativo della l.
285/2000).
D.lgs. 163/2006, Codice sugli appalti pubblici.
Regolamento attuativo del Codice (in via di emanazione).
Regionale
Leggi regionali (promozione cooperazione sociale, criteri selezione offerte, ecc.).
Regolamento comunale dei contratti.
Regolamento dei servizi in economia.
Specificità del Capitolato speciale d’appalto (o concessione).
Struttura del Bando (o norme) di gara.
Loredana Bondi
Già docente e dirigente scolastica, docente
di Metodologia didattica presso l’Università di Ferrara,
direttore dell’Istituzione dei servizi educativi, scolastici
e per le famiglie
[email protected]
126
Standard minimi
per l’orientamento
nel sistema scolastico
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dal palazzo...
di Flavia Marostica
Verso una nuova governance
dell’orientamento
Dopo un lungo, intenso e faticoso lavoro di collaborazione/mediazione tra
storie e culture che in parte hanno finora viaggiato in parallelo e solo in alcuni casi si sono incontrate, la Conferenza unificata Stato, Regioni, Autonomie
locali ha sancito l’Accordo sul documento concernente gli Standard minimi dei servizi e delle competenze degli
operatori di orientamento (2014), teso
a promuovere la qualità dei servizi: è il
primo testo in Italia che affronta l’orientamento riferendosi a tutte le attività realizzabili nei diversi sistemi che se ne
occupano e quindi rappresenta una
tappa importante e significativa.
La terza parte in particolare riguarda i
criteri generali di monitoraggio e valu-
Tabella 1 – I tre accordi
1.Accordo tra Governo, Regioni ed Enti
locali concernente La definizione del
sistema nazionale sull’orientamento
permanente, Repertorio Atti n. 152/CU,
20 dicembre 2012.
2.Accordo tra Governo, Regioni ed Enti
locali sul documento recante Definizione delle Linee guida del sistema
nazionale sull’orientamento permanente predisposto dal Gruppo di Lavoro
Interistituzionale di cui all’art. 4 dell’Accordo sulla definizione del sistema nazionale sull’orientamento permanente
del 20 ottobre 2012, Repertorio Atti n.
136/CU, 5 dicembre 2013.
3.Accordo tra Governo, Regioni ed Enti
locali sul documento recante Definizione di standard minimi dei servizi e
delle competenze professionali degli
operatori con riferimento alle funzioni
e ai servizi di orientamento attualmente
in essere nei diversi contesti territoriali
e nei sistemi dell’Istruzione, della Formazione e del Lavoro, Repertorio Atti
n. 136/CU, 13 novembre 2014.
tazione dei servizi in riferimento agli
standard minimi di prestazione, utilizzando “strumenti validati e standardizzati” e modelli sia quantitativi che qualitativi, con lo scopo di “avviare, sulla
base dei risultati raggiunti, una eventuale ri-programmazione” e per “un innalzamento dei livelli qualitativi dell’offerta complessiva”. Quindi sarà possibile con questi dati, e anche con ascolto-osservazione e confronto-approfondimento, procedere verso successivi e
progressivi miglioramenti, in riferimento anche alla previsione di revisione
della normativa in materia di servizi per
il lavoro. Si attende una cornice giuridica nazionale, di riordino e rafforzamento di tali servizi, di istituzione di
un’Agenzia nazionale per l’occupazione e di implementazione degli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e
lavoro da definirsi in appositi decreti legislativi, contenuti nella recente riforma
del lavoro (1).
Intanto, da una prima analisi del corposo testo, non si può non rilevare che ci
sono già molti spunti interessanti che offrono un quadro teorico e anche indicazioni operative concrete, pur se in alcuni passaggi non si può non osservare
che sarà molto utile nell’attuazione compiere un ulteriore sforzo di chiarezza.
La Conferenza
Unificata
ha definito
un accordo
per la gestione
integrata
e il monitoraggio
dei servizi
a supporto
dell’orientamento
Il documento
sugli standard minimi
Nella Premessa del documento la proposta di “standard minimi delle prestazioni
1) Legge 183, 10 dicembre 2014: Deleghe al
Governo in materia di riforma degli
ammortizzatori sociali, dei servizi per il
lavoro e delle politiche attive, nonché in
materia di riordino della disciplina dei
rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di
tutela e conciliazione delle esigenze di cura,
di vita e di lavoro.
127
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dal palazzo...
Gli standard
sono le soglie
accettabili
a cui devono
attenersi
i soggetti
pubblici
e privati
che erogano
diverse
tipologie
di servizio
Tabella 2 – Glossario condiviso nei diversi contesti o sistemi
Orientamento
Processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale,
culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi ed interagire
con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter
definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare
o rielaborare un progetto di vita e di sostenere le scelte relative.
Funzione
Un insieme di aree di attività finalizzate ad uno scopo omogeneo. In particolare, si definisce funzione orientativa (Pombeni, 2003) la finalità cui adempie un sistema o una struttura quando le sue
attività concorrono allo sviluppo ed al sostegno della progettualità degli individui con riferimento
al proprio percorso scolastico, formativo, socio-professionale. Le cinque funzioni declinate nelle
Linee Guida sono attivabili da istituzioni, enti, strutture attraverso interventi e dispositivi di volta in
volta maggiormente rispondenti ai bisogni delle persone.
Standard
La soglia accettabile della prestazione a cui si uniforma il soggetto produttore o erogatore, sia
pubblico che privato accreditato. Gli standard delle prestazioni dei servizi di orientamento, possono
riguardare dimensioni diverse in riferimento al tipo di azione orientativa, alle modalità di erogazione
dell’intervento di orientamento, alle competenze minime indispensabili a chi eroga il servizio.
Servizio
Un insieme di macro-aree di attività come classificate dai sistemi regionali e nelle quali si articola
la funzione generale di orientamento per ciò che attiene all’erogazione degli interventi. Esse si
differenziano secondo le azioni erogate.
Azione
Uno specifico tipo di intervento (...) rivolto ad individui, gruppi o specifici target. Le azioni orientative
si differenziano secondo i diversi contesti nei quali hanno luogo (es. scuola, università, centri per
l’impiego) e le diverse funzioni orientative generali.
Azioni dedicate
Una pluralità di interventi mirati, di supporto alla persona e da non confondersi con finalità di altra
natura (apprendimento, recupero sociale, ecc.) che possono costituire la mission prioritaria dei
singoli sistemi.
Monitoraggio
Raccolta di dati per una costante verifica circa lo stato di realizzazione degli interventi e di alcuni
effetti da essi provocati. Per ottenere informazioni di buona qualità è necessaria una definizione
precisa delle variabili da rilevare.
Valutazione
Giudizio su un intervento (o un insieme di interventi), riferito o riferibile ad uno o più soggetti (decisori
o attuatori) e con propri obiettivi espliciti o comunque individuabili da un osservatore esterno (...)
strumento analitico per la programmazione, l’eventuale riprogrammazione.
Efficienza
Impiego ottimale delle risorse disponibili (non solo finanziarie, ma anche risorse di tempo, umane
e di professionalità) per il conseguimento degli obiettivi prefissati.
Efficacia
Grado di conseguimento delle finalità dell’intervento, alla luce degli obiettivi e dei bisogni che lo
avevano determinato. Essa (...) si distingue in due categorie che corrispondono ai diversi punti di
vista, quello interno della struttura e quello esterno dei destinatari degli interventi.
Citazioni dal Documento concernente gli Standard minimi dei servizi
e delle competenze degli operatori di orientamento del 13 novembre 2014
di orientamento erogate da strutture pubbliche e private e delle competenze professionali degli operatori” è riferita ai due
accordi precedenti (tabella 1) che attua (2)
ed è accompagnata dall’encomiabile
2)F. Marostica, Tre risorse per l’orientamento,
128
in “Rivista dell’istruzione”, n. 3-2014.
sforzo di fissare un glossario concettuale comune (tabella 2); sono quindi riprese in sintesi le funzioni attraverso cui si
realizzano le attività di orientamento con
la precisazione che “tutte e cinque le funzioni rientrano nella responsabilità di ogni
soggetto/istituzione competente”, anche
se “è possibile (…) che in alcuni servizi
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
siano erogate solo alcune funzioni e,
quindi, siano presenti solo alcune figure
professionali”.
La prima parte tratta I contesti dell’orientamento delineandone le caratteristiche salienti: scuola, istruzione terziaria (università, formazione artistica e
musicale, ITS), formazione professionale, servizi per il lavoro, servizi per l’inclusione sociale. Essi sono molti e con
la caratteristica di ‘differenziarsi’ ma
anche di ‘completarsi’, tanto da rendere indispensabile la pratica effettiva
delle reti come “modello d’intervento
che si basi sulla regolarizzazione dell’attuale frammentarietà di azioni pratiche
e professionisti… al fine di favorire la
valorizzazione e diffusione delle competenze e le risorse attive sul territorio”.
Tutte le azioni di orientamento, si precisa infatti, tendono alla costruzione e allo
sviluppo di specifiche competenze che
rendono le persone capaci di affrontare
e assolvere positivamente tutti i compiti
orientativi e di orientarsi: prima le “competenze orientative… propedeutiche” o
di base che danno un “atteggiamento e
uno stile di comportamento proattivo rispetto alla gestione della propria storia
personale” e “i prerequisiti minimi per affrontare positivamente snodi complessi
del processo di orientamento”; poi da un
lato le “competenze di auto-monitoraggio” che danno “consapevolezza critica”
e “capacità di tenere sotto controllo lo
svolgersi delle esperienze in atto (il percorso formativo, la ricerca del lavoro, l’attività professionale)” e da un altro lato le
“competenze orientative di sviluppo della propria storia formativa e lavorativa
“che danno “capacità di affrontare gli
eventi decisionali attraverso una progettazione di sé nel tempo” e “di darsi degli
obiettivi di crescita (personale e/o professionale), di investire delle energie per il
raggiungimento di un obiettivo, di costruire dei progetti individuali assumendosi responsabilità e rischi connessi alla
loro realizzazione” (3).
Queste affermazioni assunte come punto di riferimento di tutte le azioni valorizzano l’elaborazione avviata in Italia a
partire dal 2000 (4) e sono organiche alle elaborazioni fatte a livello europeo ove
si parla di “capacità di orientamento
(Career Management Skills) (5) ovvero di
“competenze che offrono ai singoli e ai
gruppi delle modalità strutturate per raccogliere, analizzare, sintetizzare e organizzare informazioni su se stessi, sull’istruzione e sul lavoro, nonché le capacità di prendere e attuare le decisioni e
le transizioni” che “definiscono i risultati perseguiti” dai programmi di orientamento in tutti i sistemi, quindi si riferiscono a tutti i tipi di competenze orientative e a tutte le attività.
La seconda parte, la più corposa, tratta in modo dettagliato Le funzioni
dell’orientamento precisando per ciascuna finalità, prestazioni erogate,
obiettivi, destinatari, modalità di accesso, aree di attività (Ada) e attività specifiche, tipologia di strumenti, risultati
per il beneficiario, standard di prestazione e scheda sintetica degli standard
minimi, con qualche piccola variante
per quella educativa e per quella di sistema.
In questo breve articolo non è possibile valorizzare tutta la ricchezza del Documento e l’attenzione è centrata sinteticamente solo sul sistema scolastico, pur con la chiara consapevolezza
che, stando al senso profondo del testo, è ineludibile ragionare in ottica di
Dal palazzo...
Nel documento
quadro
si tratta
dei contesti
dell’orientamento,
delle competenze
orientative,
delle funzioni
e delle aree
di attività
di orientamento. Differenziare le azioni e
specificare le professionalità, in A. Grimaldi
(a cura di), Profili professionali per
l’orientamento: la proposta ISFOL,
FrancoAngeli, Milano, 2003.
4)M.L. Pombeni e D. Guglielmi, Competenze
orientative: costrutti e misure, in “Giornale
Italiano di Psicologia dell’Orientamento”,
n. 3-2000.
5) ELGPN Rete europea per le politiche di
orientamento permanente, Tools No. 1,
Sviluppo di una politica di orientamento
3) Il documento riporta integralmente quanto
scritto in M.L. Pombeni in Contesti e azioni
permanente: il Resource Kit europeo, ed.
inglese 2012, ed. it. 2014.
129
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dal palazzo...
A scuola
con la didattica
orientativa,
si promuovono
competenze
orientative di base:
abilità cognitive,
meta-cognitive
e meta-emozionali
130
rete, con importanti riferimenti concreti agli altri contesti. Ma è indispensabile predisporre anche un approfondimento coerente con quanto finora fatto a livello di esperienza, elaborazione,
regolazione in questo contesto, a partire dalle Linee guida Miur 2014.
Il contesto scuola
La scuola è l’unico sistema in cui tutti i
giovani dai 3 ai 19 anni passano come
minimo 10 anni (ma quasi tutti 13, molti 16) per circa 1.000 ore l’anno: i bisogni orientativi sono quindi molto variegati e chiedono una pluralità di risposte processuali che, per essere coerenti tra loro ma anche adattabili a persone diverse, debbono tutte essere comprese in un apposito Piano di orientamento da inserire nel Piano dell’offerta
formativa e da svolgere “in collaborazione con la rete dei soggetti e servizi
territoriali, coinvolgendo, all’occorrenza, esperti con competenze professionali specifiche”.
Dal 2000 ad oggi è proseguita in Italia la
ricerca, che ha prodotto esperienze e
scritti di approfondimento e anche di
adattamento al mutare della realtà e delle situazioni: in essi è stato riconosciuto che la scuola per sostenere il processo di auto-orientamento dei giovani ha
bisogno di calibrare le attività per fasce
d’età e di attribuire diverso ruolo e di-
verse competenze agli operatori per le
diverse azioni che nella continuità debbono mirare a “preparare lo studente a
gestire il proprio processo di auto-orientamento” dotandolo di “alcuni prerequisiti orientativi”, ad “accompagnare lo
studente” nei “momenti diversi del percorso”, a “sostenere i processi decisionali” con l’informazione orientativa e la
consulenza specialistica (6). Per usare il
linguaggio europeo, la scuola dovrebbe
dunque far acquisire ai giovani tutte le
capacità di orientamento, o da sola o
con altri.
Le funzioni e le azioni
dell’orientamento a scuola e per
la scuola
1 - Funzione educativa
Comprende attività tese alla “maturazione di un atteggiamento e di un comportamento proattivi per lo sviluppo
delle capacità di gestione autonoma e
consapevole del proprio processo di
orientamento”.
Per tutti la via principale è la didattica
orientativa-orientante, od orientamento formativo, che consente di acquisire o potenziare le competenze orienta6)M.L. Pombeni, Intervento al Convegno
Tavolo per l’orientamento, Assessorato
all’Istruzione della Provincia di Trento, Tione
(Tn), 20 ottobre 2007.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
tive di base generali trasversali propedeutiche nei curricoli disciplinari basati sulle Indicazioni nazionali: “Ciascuna
scuola può individuare in questi testi
(sia nella parti che riguardano le singole discipline sia nelle parti generali in cui
si parla di orientamento) tutte le risorse
che possono garantire la costruzione di
competenze orientative di base, può
selezionare alcune rilevanze e può apportare le integrazioni necessarie, dichiarando esplicitamente, per iscritto,
nei curricoli di scuola le conoscenze, le
abilità, le competenze che verranno
perseguite intenzionalmente, utili alla
costruzione di competenze orientative
di base”; tra queste i saperi minimi, la
cultura del lavoro, le abilità comunicative, cognitive di tipo logico e metodologico, meta-cognitive e meta-emozionali (7). È compito di tutti i docenti di tutte le discipline nelle loro normali attività di insegnamento.
Sempre per tutti sono da prevedere attività sia di monitoraggio in itinere del
percorso di studi e delle conoscenze/
competenze possedute sia di riflessione sulla progettualità praticata di modo da poterla migliorare.
Sono poi possibili altre azioni dedicate
a sostegno dei giovani e della loro autonomia, sia nella continuità del processo sia nei momenti di transizione, rivolte a tutti o ad alcuni in base a bisogni od
opportunità: esperienze di lavoro che
hanno una valenza oltre che educativa
anche orientativa, attività di prevenzione e recupero dell’insuccesso formativo per intervenire sulle eventuali criticità, attività di educazione alla scelta,
ecc., che possono essere svolte dai docenti oppure da esperti esterni.
2 - Funzione informativa
Trasversale a tutti i sistemi, sostiene il
reperimento, l’interpretazione e l’acquisizione di “conoscenze utili al raggiungimento di un obiettivo orientativo specifico”.
7)M. Castoldi, Progettare per competenze.
Percorsi e strumenti, Carocci, Roma, 2011.
Nella scuola l’informazione serve “ai
giovani per conoscere/capire come è e
come funziona il mondo in cui vivono”,
anche se occorre individuare “i fondamenti costitutivi del progetto professionale il cui processo non può essere ridotto ad un semplice problema di rielaborazione di informazioni ma necessita di ancoraggi valoriali più profondi”
perché “il significato e l’efficacia della
ricerca di informazioni strumentali alla
definizione del progetto formativo e lavorativo cresce quando va a toccare il
livello di valorizzazione della sfera personale e sociale cioè quando il soggetto si attiva per un obiettivo specifico”.
Per tutti (gruppi e classi) si realizza in
moduli di “accoglienza nel contesto
scolastico all’inizio di ciascun ciclo (e
segmento di ciclo) per far conoscere il
nuovo ambiente e le sue risorse materiali umane e per facilitare l’ingresso nel
contesto” dando “informazioni sulle regole e le prassi, i servizi, le opportunità, il Pof” e raccogliendo “bisogni e richieste di aiuto”.
Sono possibili poi altre azioni di gruppo come visite “ad alcuni contesti significativi (luoghi di produzione, di
scambio, di fruizione, ecc.), previa valorizzazione delle esperienze pregresse” e interviste con testimoni significativi, incontri sul mondo del lavoro e delle professioni, sui percorsi formativi, sul
sistema dei servizi per il lavoro presenti nel territorio rivolte a gruppi o individuali come colloqui di consulenza breve per erogare informazioni a supporto della scelta. Tutte attività che possono essere svolte dai docenti oppure da
esperti esterni.
3 - Funzione di accompagnamento
È “un’attività di sostegno allo sviluppo
da parte della persona di competenze
e capacità di decisione e/o di controllo
attivo sull’esperienza formativa e lavorativa in essere al fine di prevenire i rischi dell’insuccesso”, favorendo una riflessione critica sulle esperienze passate e in atto (monitoraggio) e una pianificazione rivolta al futuro, soprattutto
Dal palazzo...
L’informazione
fonda
ogni progetto
formativo
e lavorativo,
ma richiede poi
azioni di
accompagnamento,
in itinere,
in ingresso,
nelle transizioni
131
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Dal palazzo...
Le funzioni
di consulenza
possono
sostenere
la progettualità
personale,
mentre
la governance
implica
un’integrazione
di rete
nei momenti di transizione (sviluppo).
Nella scuola, che si differenzia dagli altri sistemi per la lunga permanenza dei
giovani, l’accompagnamento ha caratteristiche peculiari e comprende diverse tipologie di azione: in ingresso per
rilevare e sostenere fragilità e bisogni
individuali; in itinere per “formare alla
scelta e alla maturazione delle capacità decisionali attraverso azioni volte a
rendere il soggetto consapevole e in
grado di controllare il proprio percorso
scolastico”; in uscita per “sostenere i
giovani nella decisione al momento della fuoriuscita dal percorso scolastico”;
nelle transizioni per “sostenere le persone nella gestione dei cambiamenti di
percorso”.
“Le attività di accompagnamento servono a costruire/potenziare le competenze di monitoraggio e di sviluppo e
si rea­lizzano in esperienze non curricolari/disciplinari… aiutano i giovani a utilizzare/valorizzare quanto appreso a
scuola per costruire progressivamente
la propria esperienza di vita e per operare le scelte necessarie», abituano “i
ragazzi a fare il punto su se stessi, sugli sbocchi professionali, sui percorsi
formativi successivi, sul mercato del lavoro, a trovare una mediazione sostenibile tra tutte queste variabili e a individuare un progetto concreto/fattibile
per realizzarle. … Si tratta di attività che
possono riguardare l’intera classe
(orientamento di gruppo), piccoli gruppi (orientamento di piccolo gruppo in
risposta a bisogni orientativi specifici),
singole persone (consulenza breve individuale e/o con i genitori)” (Miur, Linee 2014). Possono configurarsi talora come consulenza di gruppo (8), o nei
casi problematici come tutorato (9). Per
svolgere queste azioni occorrono nel-
la scuola “figure di riferimento e di sostegno/facilitazione/mediazione… in
parte possono essere svolte dai docenti e in parte da operatori specializzati” dei servizi per il lavoro per i casi
più difficili.
4 - Funzione di consulenza orientativa
Comprende “attività di sostegno alla progettualità personale nei momenti concreti di snodo della storia formativa e lavorativa” per rendere le persone “maggiormente in grado di attivare autonomi e
consapevoli processi di decisione” e si
realizza attraverso la consulenza orientativa, il bilancio di competenze e anche la
relazione di aiuto. Richiede professionalità dotate di preparazione/competenze
dedicate che operano in altri sistemi come i Servizi per il lavoro, tenuti anche a
svolgere i colloqui previsti dal decreto legislativo 181/2000 come modificato dal
297/2002.
5 - Funzione di sistema
Riguarda la governance multilivello e
coinvolge tutti i sistemi per farli dialogare raccordando il livello politico-istituzionale e quello tecnico-operativo.
Le “Regioni in qualità di istituzioni responsabili delle governance territoriali si impegnano a supportare i diversi
soggetti attraverso… assistenza tecnica, formazione orientatori, promozione della qualità e ricerca e sviluppo”
che si concretizzano in analisi di politiche e servizi, promozione e sviluppo
di reti territoriali, progettazione di interventi entro piani di attività, coordinamento di strutture dedicate, ricerca
e sviluppo di dispositivi innovativi, cura del monitoraggio e della valutazione degli interventi.
8)M.L. Pombeni e R. Chiesa, Il gruppo nel
processo di orientamento: teorie e pratiche,
Carocci, Roma, 2009.
9) Vai al Top; Progetto RiTMO, Regione FriuliVenezia Giulia, 2006; Tutorato orientativo,
Progetto Transizione Didattica Tutorato
132
Orientamento, Provincia di Modena, 2008.
Flavia Marostica
Già ricercatrice IRRSAE-IRRE Emilia-Romagna, esperta
di orientamento e di didattica della storia
http://www.orientamentoirreer.it/
Io amo i beni culturali
di Valentina Galloni
Un impegno che si amplia
e che si rinnova
Il concorso di idee “Io amo i Beni Culturali” è nato nel 2011 su iniziativa
dell’IBC - Istituto per i beni culturali e
dell’Assessorato scuola, formazione
professionale, università e ricerca, lavoro della Regione Emilia-Romagna, in
collaborazione con l’Ufficio scolastico
regionale per l’Emilia-Romagna, “Genus Bononiae - Musei nella città” e il
MOdE - Museo officina dell’educazione del Dipartimento di scienze dell’educazione dell’Università di Bologna e
con il patrocinio dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna (1). Obiettivo del concorso è avvicinare i giovani al patrimonio culturale
e alle istituzioni che lo conservano, favorendo la loro partecipazione attiva e
creativa e sostenendo la crescita di cittadini autonomi e consapevoli.
I musei e gli archivi della regione vengono invitati, ogni anno, a unirsi in partenariato con le scuole secondarie per
presentare un progetto che, nell’anno
scolastico successivo, valorizzi il museo o l’archivio prescelto, o un bene
culturale presente sul territorio. I ragazzi, insieme agli insegnanti e ai funzionari delle istituzioni coinvolte, sono coloro che lavorano in prima persona per
realizzare nuove forme di comunicazione e di valorizzazione, sviluppando
competenze personali, sociali e civiche.
Scuole e musei in dialogo
Sono moltissimi, tra i 60 e gli 80, i progetti che ogni anno si presentano al
concorso e, per selezionarne circa una
quindicina a edizione, si adottano criteri come l’originalità e l’innovazione, la
partecipazione attiva degli studenti e la
capacità di coinvolgere la comunità territoriale. Ogni progetto vincitore viene
sostenuto sia finanziariamente che in
1) 1. Per ripercorrere la storia del concorso
e i prodotti realizzati: www.ibc.regione.
emilia-romagna.it e www.ibcmultimedia.it.
termini di formazione, documentazione
e diffusione. Il concorso, nelle sue diverse edizioni, è arrivato a coinvolgere
migliaia di studenti che hanno lavorato
con centinaia di istituzioni culturali, enti e associazioni, capillarmente diffusi
in tutta la regione. Nel corso degli anni
i ragazzi hanno realizzato prodotti
estremamente originali e innovativi:
giochi da tavolo, ebook, audioguide, video, mappe interattive ed emotive,
bassorilievi, oggetti di design, xilografie, percorsi didattici, siti web, progetti
di promozione turistica, ricostruzioni
virtuali, cataloghi ed esposizioni, di cui
hanno curato tutte le fasi.
I musei, gli archivi, le chiese, i beni culturali e il paesaggio sono diventati così altrettanti luoghi ideali per l’apprendimento informale, nei quali i ragazzi
non solo hanno acquisito conoscenze
disciplinari ma hanno anche sviluppato competenze personali, sociali e civiche, quelle competenze chiave trasversali per l’apprendimento permanente che l’Unione europea ritiene indispensabili per lo sviluppo di ogni individuo: imparare a imparare, competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale. La sfida è
quella di non vedere più il patrimonio
culturale come un obiettivo fine a se
stesso ma come un veicolo per l’apprendimento e lo sviluppo personale.
La forte sinergia tra operatori culturali
e insegnanti che viene richiesta per
partecipare all’iniziativa occorre appunto per questo.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Immagini
In Emilia-Romagna
ogni anno
sono valorizzate
esperienze
didattiche
per avvicinare
i giovani
ai beni culturali
‘Vivere’ il patrimonio culturale
Le scuole, con i loro dirigenti e gli insegnanti, aderiscono con entusiasmo,
mettendo a disposizione risorse e tempo preziosi, per offrire ai loro studenti
una didattica innovativa al di fuori
dell’aula scolastica. Il costante confronto tra insegnanti e operatori culturali offre loro occasioni di aggiornamento reciproco, che attraverso un’attenta
opera di documentazione diventano a
133
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Immagini
Si sviluppano
forme
di comunicazione
innovativa
I numeri del concorso
Fino a ora sono state completate tre edizioni, più un’edizione speciale rivolta ai comuni
colpiti dal sisma del 20 e 29
maggio 2012, per un totale di
56 progetti realizzati. Il volume
da cui sono tratte le immagini
pubblicate in questo numero di
Rivista dell’istruzione presenta
i risultati della III edizione.
Si tratta dell’edizione più cospicua della storia del concorso,
che ha visto premiati 20 progetti: 11 per la sezione musei, 6
per la sezione archivi e 3 inseriti nelle sezioni speciali realizzate grazie all’apporto del progetto europeo “CEC - Cradles
of European Culture” (che aveva tra gli obiettivi prioritari quello di coinvolgere le giovani generazioni sui temi delle origini
dell’idea di Europa) e di “Genus Bononiae - Musei nella città” (che ha premiato un progetto volto alla valorizzazione del
suo percorso). Più di 2.500 ragazzi e ragazze di 95 classi, o
gruppi misti di classi, provenienti da 30 istituti scolastici,
hanno lavorato con circa 60 enti pubblici e privati, tra musei,
archivi, aziende, associazioni,
soprintendenze, università e
accademie di belle arti.
134
loro volta strumenti di formazione per
altri insegnanti e operatori. I musei e gli
archivi, attraverso i punti di vista inconsueti forniti dai più giovani, sviluppano
forme di comunicazione innovativa che
permettono di coinvolgere un tipo di
pubblico notoriamente restio a frequentare queste istituzioni.
Per gli studenti è un’occasione altrettanto importante: per conoscere il patrimonio culturale della propria regione
e, soprattutto, per svolgere un ruolo attivo nella sua valorizzazione. Il comune
denominatore che unisce questi progetti è infatti il concetto di “partecipazione alla vita culturale”, proprio come
viene intesa dalla Raccomandazione
UNESCO del 1976.
Al termine di ogni edizione, i progetti sono documentati con video e pubblicazioni che poi vengono diffusi attraverso
momenti pubblici in cui i ragazzi sono i
veri protagonisti, e attraverso tutti i canali di comunicazione possibili.
Una documentazione innovativa
Gli studenti, veri protagonisti di un rinnovato rapporto con i beni culturali del
loro territorio, in questa edizione hanno realizzato portali web, video, film
animati, ricerche approfondite e schede, scavi archeologici, kit didattici per
rendere replicabili le esperienze, videointerviste, spettacoli teatrali, mappe, itinerari sensoriali, depliant informativi,
percorsi didattici, giochi, carte narrative e racconti, ebook, flash-mob, trasmissioni radiofoniche, ricettari, cartoline, segnalibri ed ex libris, cataloghi ed
esposizioni, anche dedicate a persone
con disabilità, curandone persino la
campagna promozionale. Si tratta di
prodotti di altissima qualità e originalità. Ma ciò che appare davvero straordinaria e innovativa è l’esperienza educativa che ragazzi e ragazze hanno vissuto realizzandoli e contribuendo in
maniera significativa alla valorizzazione del loro territorio.
La documentazione, oltre a soffermarsi sul lavoro svolto, ha lo scopo di crea-
re un momento di riflessione sulle dinamiche, sulle azioni e sulle strategie
messe in atto dai vari soggetti durante
i processi di realizzazione, e di fornire
un utile strumento a coloro che si accingono a sviluppare i progetti vincitori delle prossime edizioni (2). È importante, a questo scopo, la collaborazione con il MOdE - Museo officina dell’educazione dell’Università di Bologna,
al cui interno è stata creata una sezione specifica, dedicata alla documentazione di questi progetti (3).
Il valore dei progetti
Dalla lettura dei progetti emergono
molti elementi che ricorrono spesso
nelle varie edizioni ma che tuttavia meritano di essere evidenziati:
• l’eterogeneità delle scuole partecipanti (istituti comprensivi, licei classici, scientifici e artistici, istituti tecnici e professionali) e la loro dislocazione in territori molto differenti
tra loro (dalla città al borgo, dalla riviera all’Appennino);
• la varietà dei prodotti realizzati e dei
temi trattati: dal patrimonio culturale in senso più stretto, ai grandi temi e personaggi storici, all’attualità
nazionale e internazionale, all’urbanistica e al consumo del suolo, alle
vocazioni del territorio, fino alle ri2) 6. L’elenco dei progetti vincitori della IV
edizione è disponibile sul sito web dell’IBC:
www.ibc.regione.emilia-romagna.it.
3) Per approfondire: www.mode.unibo.it.
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Immagini
•
•
•
•
flessioni su temi sociali come la libertà o la disabilità psichica e fisica
e la riduzione degli ostacoli per accedere al patrimonio culturale;
la varietà dei luoghi e delle attività
svolte: musei, archivi, laboratori tea­
trali, radiofonici, cinematografici e
di animazione, chiese, palazzi e
pae­saggi;
la straordinaria quantità di risorse
utilizzate: computer, cellulari, video­
camere, QRcode, social network,
fonti documentarie scritte e orali,
piani urbanistici, dati anagrafici e
demografici;
le differenti modalità di lavoro: a
scuola, fuori da scuola, in gruppo,
tutti insieme, a distanza, con l’uso
delle tecnologie, e mediante il confronto diretto (come di consueto
vengono sottolineati gli indubbi vantaggi del lavorare in gruppo, che
spesso fa nascere importanti amicizie e consolida il senso di appartenenza alla stessa scuola, rafforzando le competenze di ciascuno);
l’inclusione sociale e l’accessibilità
al patrimonio: oltre a progetti che si
rivolgono a persone con disabilità
sviluppando prodotti che rendano
•
•
•
•
più accessibile il patrimonio culturale, viene evidenziata da tanti la valorizzazione di alunni e alunne che,
se di solito non sono particolarmente gratificati dai risultati scolastici,
in questo tipo di attività mostrano
notevoli capacità di cooperazione,
abilità strumentali, spirito di iniziativa e autonomia;
l’intergenerazionalità: molte iniziative creano una rete di soggetti di età
differente, sia tra alunni di classi e
scuole diverse, sia con gli anziani
che portano un contributo attraverso le loro memorie;
l’interculturalità: spesso ragazzi provenienti da altri Paesi hanno la possibilità di affrontare gli argomenti
trattati apportando un punto di vista diverso;
la multidisciplinarità: ogni progetto
coinvolge materie estremamente diverse (superando obsolete barriere
disciplinari), porta a fare accostamenti inconsueti e a utilizzare materiali e tecniche inusuali;
la partecipazione e il coinvolgimento
dell’intera comunità agli eventi, soprattutto nei piccoli paesi, dove il senso di appartenenza sembra essere
Sono molti
i valori
dell’esperienza
artistica:
pluralità
di forme,
di luoghi,
di culture,
di discipline...
135
Rivista
dell’istruzione
1-2 - 2015
Immagini
L’esperienza
si arricchisce
di nuovi apporti,
di collaborazioni,
rapporti
con il territorio,
progetti
innovativi
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Le iniziative continueranno anche nella IV edizione, arricchita anche dall’apporto
dell’Assessorato all’agricoltura della Regione Emilia-Romagna per la componente
agroalimentare dei progetti, anche in vista di “Expo 2015”: una conferma ulteriore del
fatto che “Io amo i Beni Culturali” si va via via arricchendo di nuovi contenuti e di collaborazioni.
La soddisfazione da parte di chi organizza il concorso e i singoli progetti è talmente
forte da compensare il notevole impegno richiesto. Di questo impegno dobbiamo ringraziare in modo particolare tutti gli attori coinvolti: i nostri partner, i referenti delle
istituzioni culturali, i dirigenti scolastici, gli insegnanti e i ragazzi e le ragazze per l’entusiasmo, la passione e il coinvolgimento emotivo con cui continuano a dare linfa vitale a questa esperienza.
più forte. In ogni progetto vengono
segnalati interlocutori pronti a mettere a disposizione con generosità il
proprio tempo, le proprie competenze e conoscenze e i loro materiali.
Nuove prospettive
Tra gli elementi di novità che si stanno
accentuando edizione dopo edizione si
segnalano:
• il carattere di start-up di queste iniziative: il coinvolgimento di tantissimi enti continua successivamente e
spesso sfocia in altri progetti, al di
là di “Io amo i Beni Culturali”;
• la collaborazione tra musei, biblioteche e archivi: questi enti si stringono intorno a un medesimo progetto per arricchirlo di inediti aspetti culturali, superando i singoli ambiti disciplinari;
• la componente sovracomunale dei
progetti: in questa edizione molte
iniziative hanno coinvolto territori di
comuni diversi e in alcuni casi sono
stati progetti pilota per nuove unioni di comuni, come nel caso della
Valsamoggia o della Valmarecchia;
• la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni, come sindaci e
assessori, che spesso hanno investito personalmente i ragazzi partecipanti del loro ruolo strategico nella cura e nella valorizzazione del patrimonio culturale;
• il rapporto con il territorio e il paesaggio culturale: musei e archivi di-
mostrano una propensione sempre
più forte ad aprirsi a quanto esiste
al di fuori delle proprie mura, a operare sul patrimonio a cielo aperto,
sul territorio, sul contesto che li circonda.
Questo rapporto con il territorio, particolarmente caro all’IBC, che fin dalle
sue origini lo ha ritenuto imprescindibile da qualsiasi politica dei beni culturali, ha indotto il nostro Istituto a collaborare con l’ICOM - International Council
of Museums, che ha scelto il tema “Musei e paesaggi culturali” per la conferenza internazionale in programma a Milano nel 2016. Molti di questi progetti sono entrati così a far parte del censimento di casi di studio su questo argomento (4) e ai ragazzi coinvolti è stato proposto di partecipare all’iniziativa “Lo Scatto Culturale: musei e paesaggi visti dai
ragazzi” promossa dal MOdE.
4) Per approfondire: www.icom-italia.org.
www.ibc.regione.emilia-romagna.it
Valentina Galloni
Coordinatrice del Concorso “Io amo i Beni Culturali”
[email protected]
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