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Pietro Cavazza - Lions Club Castel San Pietro Terme

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Pietro Cavazza - Lions Club Castel San Pietro Terme
Pietro Cavazza
Di Odoardo Reggiani
Nei discorsi ufficiali pronunciati ogni anno in occasione del Premio che porta il suo nome, il professor Pietro
Cavazza viene ricordato come insegnante delle scuole medie, socio fondatore del Lions Club Castel San
Pietro e persona stimata nella intera comunità cittadina. Tutto vero, doveroso e giusto. Ma quanti l'hanno
conosciuto personalmente? Nessuno degli studenti, per ovvi motivi anagrafici; nessuno degli insegnanti
attualmente in servizio, perché quelli che lo frequentarono sono in pensione da molto tempo. E' perciò
doveroso, oltreché allettante per chi scrive, che gli fu amico, abbozzarne un ritratto, perché Pietro Cavazza
fu un personaggio davvero singolare.
Il Professor Cavazza, "Pierino" per gli amici, era infatti molto più di un insegnante di lettere e storia nelle
scuole medie Pizzigotti di Castel San Pietro. Era un uomo colto, poliedrico, generoso, dotato di uno
stupefacente senso dell'humour e di una granitica flemma: doti che lo facevano ben volere da tutti.
Se non arrivava, dopo pranzo, con la sua "Topolino" verde, per la partita di scala quaranta, mancava
qualcosa al gruppo felliniano stanziale al bar Nuova Italia. L'aspettavamo per ascoltare l'ultimo esilarante
motteggio, l'ultima facezia, un nuovo raccontino divertente.
Pierino era infatti un cocktail di Marcello Marchesi, Ennio Flaiano, Achille Campanile, un anticipatore di
Woody Allen, molto "british", mai volgare.
Viveva a Castel San Pietro in una villa di campagna in riva al Sillaro con un grande prato, orlato di pioppi,
che fungeva da arena per le sue amate partite di calcio.
"La Pagnona", così si chiamava quella proprietà, fiancheggiava l'omonimo fondo, piccolo ma florido, specie
per gli ortaggi e le primizie.
Pierino era un grande tifoso del Bologna, tanto da essere diventato amico di alcuni dei più rappresentativi
giocatori rossoblù che venivano a trovarlo, d'estate, per giocare insieme a lui una partitella di allenamento,
sempre conclusa con una smisurata merenda.
Amedeo Biavati, il grande campione del Bologna "che tremare il mondo fa" (anni trenta) insieme a Claudio
Vanz e Gino Capello (rispettivamente portiere e attaccante rossoblù nei primi anni cinquanta) attratti più
dall'aspetto conviviale di quelle visite che non da quello sportivo, amavano scherzare: "Pierino - dicevano tu sarai anche il padrone del pallone e del salame, ma come giocatore sei proprio una schiappa."
Lui non si offendeva ed era felice di quella compagnia. Credeva nell'amicizia; gli erano completamente
estranei la diffidenza, il cinismo, il malanimo, il pettegolezzo.
Fu sempre estraneo alla politica anche se, come proprietario terriero, poteva anche esserne coinvolto. Lo
fece, a dir la verità, ma a modo suo.
Quando imperversava la polemica sui patti agrari (primi anni cinquanta) e l'opposizione reclamava in
Parlamento e nelle piazze una ripartizione dei raccolti più favorevole ai mezzadri (all'epoca era del
cinquanta percento), Pierino si presentò alla Nuova Italia recando sottobraccio un piccolo cestino di
fragole. Tutti attendevano l'occasione che avrebbe dato la stura alla imprevedibile battuta, che non tardò
più di un minuto. Fu Luzìanén, "compagno" indottrinato alla scuola di partito, ad attaccare per primo. "E' ora
di finirla con queste reqalie" berciò provocatoriamente l'agit-prop rosso. "Quali regalìe?" rispose calmo il
Professore. "Questa è la mia parte del raccolto"
Alla "Pagnona" si producevano alcuni quintali di fragoloni di prima Sullo stesso tema Pierino tornò qualche
giorno dopo arrivando al bar con mezz'ora di ritardo rispetto al solito orario.
"Scusate ma ho avuto un problema. - disse rattristato - Questa mattina è morto uno dei due buoi che
avevamo. Il mezzadro ha detto che a morire improvvisamente è stato il mio!”
Sedutosi al tavolo per la partita di scala quaranta, spostò l'orologio dal polso alle nocchie della mano
sinistra. "Cosa fa Professore? Le stringe il cinturino dell'orologio? Disse il cameriere Bertino, mentre
serviva il caffè. "No, no"- rispose con noncuranza Pierino - "Rimaneva un po' indietro, così l'ho messo
avanti."
Un'altra volta, nel mezzo di una partita, portò una moneta da cinque lire all'orecchio e invitò i compagni a
fare silenzio perché doveva ascoltare un famoso quintetto lirico.
Uomo di molteplici interessi, Pierino Cavazza coltivava l'hobby della fotografia. Non si separava mai dalla
sua Rolleyflex con la quale scattava centinaia di foto che sviluppava e stampava lui stesso. Prediligeva i
ritratti di personaggi caratteristici, paesaggi collinari, scene di vita contadina ed i piccoli cimiteri
semi-abbandonati, dai quali ricavava immagini suggestive che presentò anche a varie mostre, ricevendone
talvolta dei riconoscimenti.
Una farfalla dalle grandi ali policrome posata sul fiore selvatico ai bordi di una tomba; una lucertola che si
gode il sole su una croce arrugginita; i visi dei defunti che occhieggiano dagli ovali di ceramica come
sorpresi di vedere l'erba dalla parte delle radici.
Immagini da "Antologia di Spoon River". Così mi apparivano quelle fotografie, degne di un Cartier Bresson
e della "Fatal quiete" cui Ugo Foscolo accosta la mesta bellezza della sera.
Ma Pierino sapeva anche divertirsi e divertire con la fotografia.
Nel 1954 uscì un film con Marylin Monroe e Robert Mitchum, regìa di Otto Preminger, che ebbe un grande
successo. Pierino arrivò alla Nuova Italia con una grande foto che lo ritraeva vestito da cacciatore:
doppietta a tracolla, cartucciera e una grande pietra sulle spalle.
Immancabile l'attacco di Bertino: "Cosa fa professore, va a caccia di pietre?”"No, questa è lo proposta che
voglio mandare ai distributori per lo pubblicità del film". Il cui titolo era: La magnifica preda.
La fotografia era solo uno dei suoi hobby. Suonava a buon livello il pianoforte e la fisarmonica ma quello
che praticò con maggiore impegno e che gli procurò i maggiori successi, anche su scala nazionale, era
l'enigmistica. Collaborava infatti alle migliori pubblicazioni del settore, firmandosi con lo pseudonimo di
Iperion, anagramma di Pierino.
Costruiva parole crociate, rebus, rompicapo di ogni genere, nei quali riversava la sua intelligenza ed il suo
senso dell'humour. Ad esempio: "l bei giorni bolognesi" da tradurre in cinque caselle, ovvero "I bi dé". Ogni
riferimento all'arredo bagno per abluzioni intime (non) era casuale.
Chi andava a trovarlo alla Pagnona veniva per prima cosa invitato a vedere il suo grande trenino elettrico
che occupava una intera camera. Aveva impiegato anni a costruirlo ed era in contatto con gli appassionati
di modellismo ferroviario: una vera opera d'arte. E un monumento alla pazienza! Non aveva figli, Pierino
Cavazza. I suoi figli erano gli adolescenti, cui insegnava italiano e storia alle medie. Credo non abbia mai
bocciato qualcuno ma non era amato (solo) per la sua bontà. Lo era anche per quello, ma soprattutto per
l'alto valore educativo del suo insegnamento, per la sua cultura, e la grande capacità di entrare in sintonia
con il prossimo.
Ogni tanto raccontava di temi dei suoi alunni, intrisi di esilaranti strafalcioni e di innocente comicità. Diceva
sempre che li avrebbe raccolti in un volume. Avrebbe così anticipato il famoso "lo, speriamo che me lo
cavo" uscito molti anni dopo, che procurò all'autore (il maestro elementare Marcello Dell'Orta) celebrità e
cospicui guadagni. Di quel libro realizzarono anche un film. Ma il professor Cavazza non fece in tempo a
scrivere il suo. Un infarto lo stroncò, a soli 58 anni.
E dire che con quel carattere avrebbe potuto vivere almeno cent’anni! Meglio non indagare sui capricci del
destino.
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