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Antichi porti del Lazio

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Antichi porti del Lazio
Programme Interreg III B Medocc
REGIONE LAZIO
ASSESSORATO
CULTURA,
SPETTACOLO,
SPORT E TURISMO
I PORTI ANTICHI DEL LAZIO
ANSER
ANciennes routeS maritimEs méditeRranéennes
UN PROGETTO SUI PORTI DEL MEDITERRANEO
Obiettivo principale del progetto anser
è valorizzare il patrimonio archeologico
legato alla presenza di antichi porti e
approdi, come fonte di sviluppo sostenibile dei territori interessati. Tale progetto,
realizzato nell’ambito dell’attuazione del
Programma di Iniziativa Comunitaria
Interreg iii B–Medocc che sostiene la
cooperazione transnazionale nello spazio
del Mediterraneo occidentale, prevede
essenzialmente le seguenti attività:
- studio e messa a punto di orientamenti
comuni fra i paesi partner (elaborazione
di dossier tematici, documenti metodologici di approfondimento per la valorizzazione sostenibile del patrimonio
archeologico subacqueo e non, realizzazione di una banca dati comune);
- creazione di una rete transnazionale
stabile tra Amministrazioni e
Istituzioni interessate
- scambio di esperienze tra i partner
coinvolti nel progetto, attraverso la
realizzazione di seminari tematici su
aspetti specifici della valorizzazione del
patrimonio archeologico;
- progetti pilota (elaborazione e realizzazione di attività concrete a carattere
innovativo e dimostrativo relativamente agli ambiti presi in considerazione,
compresa la formazione);
- informazione e comunicazione (sito
internet, newsletter, seminari euromediterranei e giornate d’informazione nazionali).
I paesi dell’Unione Europea coinvolti
sono cinque (Italia, Francia, Malta,
Spagna e Portogallo) e due della sponda
sud del Mediterraneo (Algeria e
Marocco).
Per quanto riguarda le attività svolte nel
territorio della Regione Lazio in primo
luogo si è contribuito alla banca dati
informatizzata sui porti del
Mediterraneo, dove sono confluite le
informazioni scientifiche relative a quanto conservato sulla nostra costa.
Tali informazioni, rese consultabili anche
al grande pubblico, permettono di avere
un’ idea sulle rotte del Mediterraneo in
età antica. Altre attività sono mirate a far
conoscere i principali porti e approdi del
territorio (cartellonistica, depliant, visite
guidate anche subacquee) ed alla creazione di percorsi turistici da terra e da mare
anche per il piccolo cabotaggio.
Altre iniziative hanno riguardato l’organizzazione di un corso internazionale
dedicato ai giovani laureati in Beni
Culturali, provenienti dai paesi partner
del progetto, che ha affrontato le metodologie e le tecnologie applicate all’archeologia subacquea ed infine il coordinamento di cinque seminari, che si sono
tenuti in Italia, Francia e Spagna che
hanno riguardato le problematiche legate
a questa specifica classe di presenze
archeologiche, all’uso ancora attuale di
alcune di esse ed ai condizionamenti che
la presenza di queste grandi strutture ha
avuto, ed ancora ha, sul territorio.
Per saperne di più www.projet-anser.net
REGIONE LAZIO
FEDER
FONDO EUROPEO
DI SVILUPPO
REGIONALE
Direzione Regionale Cultura, Sport
e Turismo
Direttore
Alessandro Voglino
Area Valorizzazione del Territorio
e del Patrimonio Culturale
Dirigente
Elina Vercelli
Responsabili del progetto
Rita Turchetti, [email protected]
Lorenza de Maria, [email protected]
Si ringraziano per la gentile
collaborazione:
La Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell'Etruria Meridionale
Ida Caruso e Francesca Boitani
La Soprintendenza per i Beni Archeologici
del Lazio
Annalisa Zarattini
SOPRINTENDENZA
PER I BENI
ARCHEOLOGICI
DELL’ETRURIA
MERIDIONALE
La Soprintendenza per i Beni Archeologici
di Ostia Antica
Anna Gallina Zevi e Cinzia Morelli
Testi a cura di:
Giulia Boetto e Francesca Carboni
SOPRINTENDENZA
PER I BENI
ARCHEOLOGICI
DEL LAZIO
Cura editoriale
Rita Turchetti e Lorenza de Maria
COORDINAMENTO DEL PROGETTO
Regione Toscana
Direzione Generale dei Beni Culturali
Responsabile
Francesco Gravina
[email protected]
PARTNER
Regione Campania, Area Gestione
del Territorio, Italia
Gennaro Radice, [email protected]
Regione Liguria, Dipartimento Lavoro, Formazione
e Servizi alla Persona, Italia
Maria Teresa Orengo
[email protected]
IMED – Istituto per il Mediterraneo, Italia
Anna Misiani, [email protected]
Consorzio Pisa Ricerche, META – Multimedia and
Telematic Application Centre, Italia
Roberto Gagliardi, [email protected]
Junta de Andalucia, Consejería de Cultura, España
Carlos Sánchez de la Heras
[email protected]
CASC – Centre d’Arqueología Subacuàtica
de Catalunya, Museu d’Arqueología de Catalunya,
España
Xavier Nieto, [email protected]
Diputación Provincial de Alicante,
MARQ – Museo Arqueológico Provincial de Alicante,
España
Rafael Azuar , [email protected]
CNRS – Centre National de la Recherche
Scientifique,Université de Aix-en-Provence,
Centre Camille Jullian, France
SOPRINTENDENZA
PER I BENI
ARCHEOLOGICI
DI OSTIA
Antoinette Hesnard, [email protected]
Instituto Portugués de Arqueologia,
Centro Nacional de Arquologia Nautica e Subacuatica,
Portugal
Francisco Alves ,[email protected]
Ministère de la Communication et de la Culture,
Direction du Patrimoine Culturel, Algeria
Mourat Betrouni
Ministère de la Culture et de la Communication,
INSAP – Institut National des Sciences de l’Archéologie
et du Patrimoine, Maroc
Aomar Akerraz,[email protected]
Foundation for International Studies, Malta
Nicholas Vella, [email protected]
Centumcellae ed il porto di Traiano
Foto aerea
di Civitavecchia
prima dei bombardamenti (da
“Immagini di
Civitavecchia”,
1993).
Il porto di Centumcellae fu realizzato per
volontà dell’imperatore Traiano nei primi
anni del ii secolo d.C. Strategicamente
ubicato in una parte della costa tirrenica
fino ad allora povera di approdi, rientrava
in un disegno politico promosso dall’imperatore, volto a favorire l’approvvigionamento alimentare di Roma. Oltre alla funzione
commerciale, l’impianto servì anche da
base militare per la flotta imperiale, normalmente stanziata a Ravenna e a Miseno.
Di eccezionale importanza è la descrizione dettagliata delle fasi di costruzione del
porto, documentata da una lettera di
Plinio il Giovane che ne fu testimone
oculare, trovandosi in quel preciso periodo nella residenza di Traiano, prossima al
litorale. Nella lettera dello storico, amico
e consigliere dell’imperatore, datata al
106-107 d.C, compare per la prima volta
il nome di Centumcellae, riferito dapprima alla magnifica villa di Traiano; il
toponimo successivamente definì l’intera
area portuale e la città stessa. Nel 416,
Rutilio Namaziano, descrivendo il suo
viaggio per mare verso la Gallia, parla
dell’approdo di Centumcellae, che, grazie
alla sua darsena interna, era in grado di
accogliere le navi in acque perennemente
quiete e, ancora nel vi secolo, lo storico
bizantino Procopio ricorda la città come
grande e popolosa. Nell’854 d.C., a
seguito degli attacchi dei Saraceni, gli
abitanti furono costretti a ritirarsi nell’entroterra dove fu fondata Leopoli (città di
Leone iv); cessato il pericolo tornarono a
risiedere lungo la costa e il centro urbano
adiacente al porto assunse il nome di
Civitas Vetula, ovvero, Civitavecchia.
A partire dal Rinascimento i pontefici,
consapevoli dell’importanza di questo
scalo per la difesa e il rifornimento di
Roma, impegnarono per il restauro e la
ristrutturazione delle antiche strutture
ingenti ricchezze e il genio dei più grandi
architetti del tempo. L’impianto traianeo
era comunque ben riconoscibile fino alla
seconda guerra mondiale, quando il
porto, per il suo valore strategico, fu quasi
totalmente distrutto dai bombardamenti.
La struttura era costituita da un grande
bacino delimitato da due moli convergenti che si spingevano in mare dalla terra
ferma, nel punto in cui la costa formava
un’insenatura naturale. Alla testata di ciascuna banchina si trovavano due torri-faro
a pianta circolare, delle quali, quella del
molo sud-orientale, detta “del Bicchiere”,
è stata rasa al suolo dai bombardamenti,
mentre quella del molo di nord-ovest,
Accanto: Forte
Michelangelo,
veduta dal pallone aerostatico
dei resti del
grande edificio
di età romana.
A destra: torrefaro del porto
romano, trasformata in fortino nel xvi
sec. d.C.
detta “Molo
del Lazzaretto”
(foto Alinari).
detta del “Lazzaretto”, è l’unica che ancora si conserva, seppure fortemente danneggiata. Lo specchio d’acqua era protetto
all’esterno da un antemurale curvilineo,
ora distrutto, anch’esso caratterizzato, alle
estremità, da due torri-faro. Di un faro
vero e proprio non vi è notizia né traccia
archeologica, sebbene tradizionalmente lo
si ipotizzi al centro dell’antemurale.
Il metodo di costruzione della diga frangiflutti frontale è lo stesso del molo di levante, come riferisce Plinio. Si tratta della
cosiddetta tecnica “a pietre perse”, che prevedeva la gettata di massi a costituire delle
scogliere artificiali, sopra le quali si calavano cassoni ripieni di muratura. Il molo di
ponente era costituito invece da piloni in
opera cementizia collegati da archi con
paramento in blocchetti, ancora visibili
sotto l’attuale banchina d’imbarco dei traghetti delle Ferrovie dello Stato.
A nord del bacino principale e comunicante con esso è la darsena, un bacino
più interno e in posizione più riparata,
che consentiva di svolgere le operazioni di
carico e scarico delle merci e offriva una
base fissa e sicura alle flotte militari qui
distaccate. Questo settore dell’impianto
portuale fu realizzato scavando il banco
roccioso e addossando alle pareti, prima
che si aprisse il collegamento con il bacino principale, muri in opera reticolata.
Per quanto riguarda le altre strutture funzionali al porto, nell’area prossima alla darsena – oggi adiacente al moderno ingresso – era situato l’arsenale – i navalia – la
cui struttura è definitivamente scomparsa,
mentre un altro complesso architettonico
di notevole importanza – forse la sede del
comando della flotta – era ubicato nell’area ove insiste il Forte Michelangelo,
come dimostrerebbero anche gli ambienti
di epoca romano-traianea, rinvenuti di
recente nello scavo del cortile della fortezza cinquecentesca. Alle spalle del bacino
portuale principale, lungo l’attuale corso
Marconi, si conservano, ancora, inglobati
nelle cantine degli edifici ricostruiti nel
dopoguerra, i magazzini che servivano al
deposito delle derrate alimentari.
F Per saperne di più
f. correnti, Centumcellae: la villa, il
porto e la città, in Caere e il suo territorio da Agylla a Centumcellae, Roma
1990, pp. 209-214.
l. quilici, Il porto di CivitavecchiaL’antica Centumcellae, in Eius Virtutis
Studiosi: Classical and Postclassical
Studies in memories of Frank Edward
Brown (1908-1988), Studies in the
History of Art. 43, Center for
Advanced Study in the visual Arts,
Symposium Papers xxiii, Hannover
and London 1993, pp. 63-83.
Il porto di Anzio
Foto aerea in
cui sono visibili
i resti del porto
romano.
Veduta della
cosiddetta Villa
di Nerone.
Come tramanda lo storico latino
Svetonio, l’imperatore Nerone, nativo di
Anzio, dedusse nella città una colonia di
veterani e vi fece costruire un porto,
spendendo enormi somme.
Le imponenti rovine di esso divennero
materia di ricerca e di interesse antiquario
quando, alla fine del 1600, il papa
Innocenzo xii intraprese l’edificazione
del porto moderno. Questo, infatti, si
installò su parte dell’impianto antico, del
quale riutilizzò alcune strutture murarie.
Il bacino principale del porto neroniano
era costituito da due moli convergenti,
ciascuno ancorato ad un promontorio
naturale: quello sul quale sorge il Faro,
verso ovest e quello dov’è il belvedere di
Villa Albani, verso est. Il molo orientale
si estendeva con andamento perpendicolare alla riva, mentre il molo occidentale
formava una curva accentuata e culminava sopravanzando la testata del molo
orientale, a proteggere la bocca del porto
che si trovava ad est.
Le rovine dei moli sono conservate in
mare ad una profondità variabile fra 1 e 8
metri; all’estremità verso terra della banchina occidentale è tuttora visibile una
platea in calcestruzzo sulla quale si trovano le cosiddette “grotte”, i resti di una
serie di ambienti comunicanti fra loro,
costruiti a ridosso delle pareti del promontorio. Della banchina orientale
rimangono due grossi blocchi, uno è sor-
Resti dei cosiddetti magazzini
del porto.
Un’altra veduta
della cosiddetta
Villa di Nerone.
montato dal molo moderno, l’altro, staccatosi, si trova in mare, di poco emergente dal pelo dell’acqua.
L’analisi dei resti superstiti ha permesso di
comprendere le loro modalità di costruzione che sono quelle indicate nel trattato
di Vitruvio. Le strutture murarie del
porto di Anzio sono, infatti, costruite in
opera cementizia, di scapoli di tufo e
malta di calce e pozzolana. Era quest’ultimo elemento a rendere la malta idraulica,
ovvero capace di solidificare in acqua.
Su tutti i ruderi si notano un grande
numero di cavità lasciate nell’opera
cementizia dai legnami usati nella fabbricazione. Il calcestruzzo, infatti, è stato
gettato entro cassaforme di legno, con le
pareti di assi tenute insieme da pali piantati nel fondale, ai quali erano legate travi
orizzontali. Talvolta è stata accertata la
presenza di altri pali verticali, piantati
lungo il perimetro esterno della cassaforma. Le parti delle banchine emergenti
furono realizzate in muratura con paramento di mattoni.
Recenti indagini hanno consentito di
precisare meglio la planimetria del porto,
che si è rivelata assai complessa, articolata
in due moli affiancati, del quale l’orientale (più piccolo) è stato in seguito occupato dal porto di Innocenzo xii.
A delimitazione della baia risultante ad
est del bacino principale era un ulteriore
molo dell’età di Nerone, al quale si
ancorò nel xviii secolo il cosiddetto
Moletto Panfili, attualmente sepolto dalle
banchine della “Riviera di Levante”. Alla
fine del 1800, proprio a nord di quest’area, in una zona da tempo insabbiata e
invasa dalla città moderna, venne scoperto il relitto di una nave romana, durante
lo scavo per le fondazioni di un edificio.
La nave era evidentemente affondata nel
porto, nei pressi della sponda verso terra.
Sondaggi effettuati al centro del bacino
occidentale hanno, inoltre, rivelato la
presenza di un molo intermedio, interno
alla darsena principale, probabilmente
realizzato in età neroniana, che serviva a
bloccare le onde che il vento di scirocco
poteva spingere fin dentro il bacino.
L’andamento di questa banchina, anche
dove il cementizio si è disgregato, è in
alcuni tratti ricostruibile grazie alle travi
di legno delle cassaforme di costruzione,
conservate nel fango del fondale.
F Per saperne di più
e. felici, Scoperte epigrafiche e topografiche sulla costruzione del porto neroniano di Antium, in Archeologia subacquea. Studi, ricerche e documenti, iii,
Roma 2002, pp. 107-122.
Il porto di Gravisca
Tarquinia Lido,
veduta dei resti
del porto
Clementino.
Graviscae,
ancora con
dedica in greco
ad Apollo
(da Le grandi
avventure
dell’archeologia,
1980).
Il tratto di costa compreso fra i fiumi
Mignone e Marta gravitava, in epoca
etrusca, nell’ambito della città-stato di
Tarquinia che si trovava ubicata su di
un’altura, in prossimità del mare, ma ad
una certa distanza da esso, al quale era
direttamente collegata attraverso vie d’acqua e percorsi di terra.
Tale posizione consentiva all’abitato una
maggiore salubrità, rispetto alla fascia
costiera, umida e spesso soggetta alla
malaria e una più sicura difesa, rispetto
agli attacchi dei nemici provenienti dal
mare e alle incursioni dei pirati.
Sotto il controllo di Tarquinia, sulla
costa, attorno al 600 a. C., si installarono un importante scalo marittimo ed un
santuario dedicato alle divinità di Hera,
Afrodite e Demetra, intensamente frequentato da mercanti greci.
Il complesso, scoperto nel corso degli
scavi effettuati nella zona prossima al
Porto Clementino a partire dal 1969,
rimase in uso fino alla conquista romana
del territorio, avvenuta nel 281 a. C.
Un secolo più tardi, nel 181 a.C., sul sito
fu dedotta la colonia marittima di
Graviscae, che assolse la duplice funzione
di scalo commerciale e di presidio militare, diminuendo progressivamente d’im-
portanza, fino alla quasi totale distruzione, avvenuta nel corso dell’invasione
gotica del 408-410 d.C.
In questo tratto di costa, dopo il Mille,
si impiantò il porto di Corneto, l’abitato
medievale sorto in collina, nei pressi
della città etrusca di Tarquinia.
L’impianto era controllato dalla Torre
degli Appestati, della quale resta il basamento, in blocchi di arenaria.
Nel corso del xv secolo, per volere di
Niccolò v e di Pio ii, il porto, a difesa
del quale si innalzò la Torre di Corneto
(ora distrutta), subì modifiche ed ampliamenti, fino a quando, nel 1486, venne
Tarquinia Lido,
Graviscae,
planimetria
del santuario
(da Torelli
1977).
Tarquinia Lido,
Graviscae,
veduta aerea
del santuiario
(da Le grandi
avventure
dell’archeologia,
1980).
raso al suolo in occasione del conflitto fra
il papa Innocenzo viii e il re di Napoli.
L’assetto definitivo dello scalo marittimo
si deve all’opera di Clemente xii (1738),
dal quale esso derivò il nome.
I ruderi visibili presso l’attuale località di
Tarquinia Lido sono il risultato della distruzione causata dai bombardamenti tedeschi, durante la seconda guerra mondiale.
Per quanto riguarda il porto antico, in
seguito a recenti indagini, è stato possibile
localizzarlo non in mare, ma a terra, seppure subito a ridosso della linea di costa.
Tale fenomeno è dovuto alle sensibili
modifiche subite da questo tratto costiero
nel corso dei secoli. L’area era caratterizzata anche dalla presenza di stagni e lagune
che potevano facilmente essere utilizzati
come ricoveri portuali, al tempo dell’abi-
tato arcaico e della colonia romana.
È verosimile, dunque, che l’impianto si
articolasse in un attracco esterno, coincidente, forse, con lo scalo marittimo settecentesco e in uno o più bacini interni,
ora interrati, collegati al mare attraverso
canali, conformemente alla natura acquitrinosa della zona, dove Pio vii, nel
1805, fece realizzare delle saline.
Il poeta Rutilio Namaziano, descrivendo
il suo viaggio per mare di ritorno in
Gallia, nel 415 d.C., dice che la sua nave
si era opportunamente portata al largo,
nel tratto fra la foce del Mignone e
Graviscae, al fine di evitare le secche che
caratterizzavano questa parte del litorale.
I naufragi di molte navi che, invece, procedendo di cabotaggio, si tenevano vicino
alla costa, sono testimoniati dai numerosi
relitti scoperti a bassa profondità, nel corso
di sistematiche ricognizioni sottomarine.
F Per saperne di più
p. gianfrotta, Le coste, i porti, la
pesca, in Etruria meridionale: conoscenza, conservazione, fruizione (Viterbo
1985), Roma 1988, pp. 11-15.
Il porto di Torre Astura
Sotto: Villa
romana
e castello.
In basso: strutture della villa e
della peschiera.
Un approdo naturale nel tratto di mare
prossimo alla foce del fiume Astura viene
ricordato dal geografo Strabone (v, 3, 6),
descrivendo la costa del Lazio
Meridionale. La località è nominata di
frequente anche nelle lettere di Cicerone
(Ad Att. xii, 17, 1; 19, 1;36, 1; 37, 2;
37a; 41, 4) che vi possedeva una villa
nella quale abitò tra il 45 e il 44 a.C.,
dopo la morte della figlia Tullia.
Sul luogo, visibile da Anzio e dal Circeo,
si trovano i resti di un complesso architettonico, databile tra la fine dell’età
repubblicana e l’inizio dell’età imperiale,
con varie fasi successive di ampliamento e
consolidamento e una torre medievale,
famosa perché nel 1268 vi fu catturato
Corradino di Svevia, in seguito al tradimento di Giovanni Frangipane.
Le rovine di età romana sono relative ad
una villa marittima, in parte costruita
sulla terraferma, in parte realizzata su di
un’isola artificiale, ad una grande
peschiera, realizzata attorno ad essa e ad
un porto, di notevoli dimensioni,
aggiunto in un secondo tempo.
I due corpi residenziali sono uniti da un
ponte su arcate, lungo circa 130 metri,
che sosteneva pure lo specus di un acquedotto, con la funzione di apportare acqua
dolce alla porzione insulare del complesso.
L’impianto di itticoltura, uno dei più
grandi che si conservino, ha una forma
quadrangolare, con avancorpo aggettante
al centro del lato meridionale, sul quale si
innalza la Torre di Astura.
La peschiera è stata impostata direttamente sul banco roccioso ed è delimitata
sui lati esposti verso il mare aperto, da un
molo perimetrale in opera cementizia,
realizzato mediante gettate affiancate di
calcestruzzo. Tutto attorno ad esso si
estendono una serie di piccoli vani rettangolari collegati tra loro. Una doppia
fila di sei vasche si estende dal centro del
lato meridionale del recinto esterno fino
alla parte dell’impianto connessa direttamente, mediante vasche con pilastri, alla
fronte della villa realizzata sull’isola. Qui
si trovano vasche dal perimetro rettangolare, all’interno di due delle quali si
inscrivono bacini romboidali. Date le
dimensioni e l’articolazione planimetrica
dell’impianto, si ritiene che esso dovesse
servire per un allevamento di pesce su
scala che oggi definiremmo industriale.
La fortezza medievale, che si erge verso il
mare aperto, ingloba i resti di una struttura in cui è stato riconosciuto il basamento del faro di età romana, la cui
Foto aerea,
in giallo resti
della villa
con peschiera
ed in rosso
il porto.
A destra:
planimetria
della villa
romana e delle
peschiere (elab.
F. Piccarreta).
costruzione sembra pure precedente
all’impianto della peschiera. Una lanterna
era infatti necessaria alla segnalazione
della punta, con i suoi bassifondi di scogli e dell’ancoraggio naturale, ricordato
dalle fonti alla foce del fiume.
Nel corso dell’età imperiale, sul versante
orientale dell’isola artificiale, venne
agganciato il porto, realizzato a moli convergenti, con imboccatura aperta verso
Sud-Est, protetta da un antemurale.
Quest’ultimo appare oggi completamente
spianato e sommerso ed anche i moli sono
scarsamente conservati. Essi furono costruiti innalzando su una fondazione continua
una serie di pile di calcestruzzo collegate da
arcate, le luci delle quali vennero, in una
seconda fase, chiuse con setti murari.
Al termine del molo occidentale si individuano i resti di una piccola struttura circolare probabilmente pertinente ad un faro
di segnalazione dell’imbocco del porto.
Simili torrette dovevano trovarsi all’estremità del molo opposto e sull’antemurale,
che ha, non a caso, mantenuto il nome
significativo di “Scoglio della Lanterna”.
La forma del porto di Astura sembra
motivata dalla necessità di creare un
approdo il più possibile lontano dai bassifondi scogliosi che caratterizzano questo
tratto della costa. Le sue dimensioni
denotano l’ingente impegno economico,
non giustificabile ai fini di un semplice
scalo privato. L’ipotesi più probabile è
che l’impianto qui realizzato sia stato
concepito come ancoraggio di rifugio,
ubicato nel mezzo del tragitto tra i due
approdi attrezzati di Ostia e del Circeo.
La costruzione di un porto di questa
mole sembra la prova che la villa divenne
di proprietà imperiale. Dai racconti di
Svetonio e Plinio, sappiamo, infatti, che
Augusto, Tiberio e Caligola vi soggiornarono nel corso dei loro viaggi via mare
verso la Campania.
F Per saperne di più
f. piccarreta, Astura, Forma Italiae,
Regio i, Vol. xiii, Firenze 1977,
pp. 21-66.
I porti di Ponza e Ventotene
Ponza, località
Punta della
Madonna,
molo Musco.
Accanto:
Ponza, le grotte
di Pilato.
L’arcipelago pontino, con le due isole
maggiori di Pontia (Ponza) e Mandataria
(Ventotene), venne, in età augustea, a far
parte della proprietà imperiale. A quest’epoca si può verosimilmente far risalire l’inizio dello sfruttamento edilizio intensivo
nel loro territorio, caratterizzato, in particolare, dalla costruzione di lussuose ville
residenziali, utilizzate come luoghi di esilio per i membri della famiglia imperiale.
Sempre nell’ambito della pianificazione
urbanistica dell’età di Augusto si colloca,
in entrambe le isole, la realizzazione degli
impianti portuali, pur in assenza di precisi dati storici e archeologici relativi alla
loro data di costruzione.
Il porto romano di Ponza è stato di recente definitivamente localizzato sul versante
settentrionale dell’isola, nel luogo di quello moderno, confutando l’ipotesi, prevalsa
negli ultimi decenni, dell’ubicazione dell’approdo antico in località S. Maria.
L’insenatura, tuttora occupata dall’impianto portuale risalente alla ristrutturazione borbonica del 1768, è naturalmente
difesa dall’azione dei venti e del moto
ondoso, grazie alla presenza del piccolo
promontorio di Punta della Madonna e
ulteriormente protetta dal lungo molo,
ora denominato “Mario Musco”, documentato in questa posizione già nella cartografia rinascimentale.
In seguito al danneggiamento della banchina moderna, dovuto agli spostamenti
d’acqua determinati dagli aliscafi di linea
nel corso delle manovre di arrivo e partenza, indagini subacquee hanno appurato la presenza, al suo interno, di resti del
molo romano.
Il parziale crollo della fodera di cemento
ha reso, infatti, visibile un tratto della
struttura originaria, conservata sotto il
piano di calpestio dell’attuale banchina
fino al livello del fondo marino, realizzata
in opera reticolata all’interno della quale
restano le impronte cave, verticali, lasciate dai montanti in legno della cassaforma
che serviva a contenere la gettata del conglomerato cementizio.
Sono state individuate, eccezionalmente
conservate nel fango del fondale, delle
tavole in legno di quercia accostate l’una
all’altra, lasciate in opera a lavoro ultimato, che ci testimoniano l’impiego, per la
costruzione del molo, del metodo a doppia paratia, utilizzato per realizzare una
cassaforma “stagna”, entro la quale effettuare la colata di calcestruzzo, come prescritto nel trattato di Vitruvio. In documenti di epoca rinascimentale, la struttura
del molo viene rappresentata con una
breve lacuna nel tratto verso terra. Questa
potrebbe essere interpretata come un’interruzione, prevista in fase di costruzione, per
Ponza, veduta
interna delle
grotte di Pilato.
Ventotene, bitta
d’ormeggio.
permettere l’afflusso di acqua all’interno
del bacino, al fine di contrastarne l’interramento. In tal caso, la banchina non presenterebbe una fondazione continua, ma
sarebbe costituita da setti murari isolati,
uniti superiormente da arcate in muratura.
Il porto romano di Ventotene, tuttora in
uso, è situato sull’estremità orientale dell’isola, immediatamente a sud di quello
moderno.
Esso è costituito da un bacino artificiale,
reso necessario dalla mancanza di approdi
naturali, interamente scavato nella roccia
tufacea, fino alla profondità di circa 3,5
metri sotto il livello del mare.
L’impianto presenta una forma allungata
in senso Nord-Sud, con ingresso aperto
a Sud-Est.
Di fronte all’imbocco del porto, dal mare
aperto, si trova un piccolo bacino di alaggio, ora denominato “del Pozzillo”, dove
le navi potevano essere tirate in secco.
Sulla banchina che si estendeva lungo il
lato occidentale, verso terra, si trovava un
portico, anch’esso scavato nella roccia, del
quale restano le arcate, scarsamente conservate perché corrose dall’azione del
vento. Più a sud, in corrispondenza di una
rientranza del bacino forse realizzata in un
tempo successivo all’impianto originario, si
individuano una serie di ambienti con
funzione di magazzini, a tutt’oggi occupati
da negozi e rimesse per le barche.
Sono ancora in uso le grandi bitte di epoca
romana, intagliate sulla scarpata relativa al
lato meridionale dell’imboccatura del porto, fra le quali si tendevano le catene che ne
sbarravano l’accesso. Le bitte dovevano
pure essere utilizzate per facilitare l’entrata
nel bacino delle navi da carico, poco adatte
alla manovra, in quanto prive di remi.
Si è calcolato che l’impianto era in grado
di ospitare imbarcazioni lunghe fino a
30-35 metri.
Il porto fu verosimilmente realizzato, con
carattere di approdo privato, in funzione
della vicina villa imperiale di Punta Eolo,
che ospitò l’esilio di Giulia, figlia di
Augusto, di Agrippina, moglie di Germanico e di Ottavia, moglie di Nerone.
È probabile che l’enorme quantità di roccia estratta per lo scavo del bacino, stimata in circa 6.000 metri cubi, sia stata
utilizzata come materiale da costruzione
del complesso residenziale.
Sempre alla villa di Punta Eolo era forse
pertinente la peschiera rettangolare, pure
scavata nella roccia, i resti della quale
sono visibili a sud del porto.
F Per saperne di più
p.a. gianfrotta, Ponza (puntualizzazioni marittime), in Archeologia
Subacquea. Studi, ricerche e documenti,
iii, Roma 2002, pp. 67-90.
g.m. de rossi, Ventotene e S. Stefano:
un’agile ma esauriente guida per la riscoperta storica, archeologica e naturalistica
delle due isole e per una loro “rilettura”
nel Museo di Ventotene, Roma 1993.
I porti marittimi di Claudio e di Traiano
PARCO ARCHEOLOGICO DEI PORTI DI CLAUDIO E TRAIANO
Carta del sistema portuale
di Roma.
Foto aerea
del bacino
esagonale del
porto di Traiano
(in primo piano
l’Episcopio
di Porto).
Nel 42 d.C., l’imperatore Claudio diede
avvio alla costruzione di un grande porto
marittimo posto 3 km. a Nord della foce
del Tevere. Il Porto di Claudio fu inaugurato nel 64 d.C., sotto il principato di
Nerone.
Il nuovo porto si affiancava a quello fluviale di Ostia ed al porto marittimo di
Pozzuoli, cardini dell’organizzazione portuale di Roma fin dagli inizi del ii sec.
a.C., ma divenuti inadeguati alle crescenti
necessità di approvvigionamento della città.
Ampio all’incirca 150 ettari, il porto di
Claudio fu scavato in parte nella terra
ferma, in parte racchiuso verso mare da
due moli curvilinei convergenti verso l’ingresso. Qui, su un’isola artificiale, sorgeva
un gigantesco faro, a modello del celebre
faro di Alessandria d’Egitto, che segnalava
ai naviganti l’ingresso del porto.
L’estensione del bacino assicurava che si
potesse effettuare, senza pericolo, lo scarico dalle grandi navi da carico (naves
onerariae) e il trasbordo delle merci sulle
imbarcazioni fluviali (naves caudicariae)
adatte alla risalita del Tevere fino a Roma.
Almeno due canali artificiali assicuravano
il collegamento tra il mare, il porto di
Claudio e il Tevere.
Le fondazioni del molo Nord sono ancor
oggi visibili alle spalle del Museo delle Navi
di Fiumicino, per un’estensione di circa 1
km. Sulla banchina verso terra sono invece
visitabili alcune delle strutture funzionali
pertinenti al porto (la c.d. Capitaneria,
una cisterna e degli edifici termali) tutte
realizzate, però, in un’epoca posteriore (ii
sec. d.C.) all’impianto di Claudio.
La scarsa sicurezza e l’insabbiamento progressivo cui il porto di Claudio andava
soggetto (confermando appieno le catastrofiche previsioni dei tecnici del tempo),
Il molo
settentrionale
del porto
di Claudio
al momento del
ritrovamento.
Assonometria
ricostruttiva dei
porti imperiali
(da P. Verduchi).
Attorno al bacino traianeo si sviluppò la
città di Portus che fu resa da Costantino
(314 d.C.) autonoma da Ostia, diventando così il “Portus Romae”. A partire dal ivv sec.d.C., la città fu munita di un circuito di mura per difendere i preziosi magazzini e le vie fluviali di accesso a Roma.
Con l’aumentare delle scorrerie barbariche,
l’attività portuale si contrasse sui lati meridionali del bacino esagonale costituendo il
“Castello di Porto”, legato alle vicende
delle guerre gotiche (vi sec.). Il periodo
altomedievale segnò l’abbandono dell’area;
sopravvisse solo l’Episcopio di Porto ancor
oggi visibile lungo la Fossa Traiana.
spinsero l’imperatore Traiano a trasformare 40 anni dopo (fra il 100 e il 112 d.C.)
il sistema portuale con la costruzione di
un nuovo bacino più interno. Il porto di
Claudio continuò ad essere utilizzato
come riparo in rada, migliorando la funzionalità del Porto di Traiano.
Il fulcro del complesso portuale traianeo
era costituito dal bacino esagonale (33
ettari di superficie) circondato da banchine di attracco e dall’insieme più grandioso di magazzini e di edifici funzionali mai
esistito nell’antichità. Sul suo lato occidentale, si apriva un largo canale di
accesso che lo collegava all’invaso del
porto di Claudio. Un molo trasversale
(Nord-Sud), con faro all’estremità, ne
serrava l’imbocco riparando l’esagono. Il
porto comprendeva un secondo bacino
rettangolare, la c.d. darsena, ed un breve
braccio di collegamento con il canale
artificiale (la Fossa Traiana, oggi Canale
di Fiumicino) che raggiungeva il corso
del Tevere.
porto di claudio
L’ingresso nell’area archeologica del Porto
di Claudio è gratuito. Se ne consiglia,
comunque, la visita unitamente al contiguo Museo delle Navi, all’interno del
quale sono illustrati anche i resti monumentali del porto. Su richiesta telefonica
è possibile visitare l’area archeologica di
Monte Giulio e la c.d. Capitaneria.
porto di traiano
Prenotazioni telefoniche presso il Museo
delle Navi, da martedì a domenica dalle
9.00 alle 13.30; martedì e giovedì
anche dalle 14.30 alle16.30.
Biglietto: il pagamento del biglietto è
attualmente sospeso. Le visite al Porto
di Traiano sono pertanto gratuite, ma
sono ammesse solo con l’accompagnamento del personale di custodia.
Durata della visita: 2-4 ore, a seconda
degli itinerari.
Il porto fluviale di Ostia
PARCO ARCHEOLOGICO DI OSTIA ANTICA
Foto aerea
di Ostia.
Ostia deriva il suo nome dalla sua posizione alla foce (ostium) del Tevere la più
importante via di comunicazione tra la
costa tirrenica e Roma.
Il suo ruolo quale avamporto di questa
città è oggi difficilmente apprezzabile a
causa di due fattori: il mutato percorso
del fiume che, dopo l’inondazione del
1557, ha abbandonato il meandro in corrispondenza dell’odierno Borgo di Ostia
Antica e il progressivo avanzamento della
linea di costa, dalla quale la città antica
dista ora più di 3 km. L’abitato, sin dalle
sue origini, era dotato di un importante
affaccio marittimo e gravitava sul Tevere,
lungo il quale era collocato il porto.
Secondo la tradizione, Ostia fu fondata
in epoca regia da Anco Marcio (vii sec.
a.C.) per il controllo del territorio costiero e, soprattutto, della foce del Tevere.
Il primo insediamento noto da indagini
archeologiche è la cittadella fortificata, il
castrum (iv sec. a.C.), munita di una
cinta di mura in blocchi di tufo nella
quale si aprivano quattro porte.
L’insediamento era attraversato da due
assi stradali: il Cardine, con andamento
nord-sud, ed il Decumano, che correva
in senso est-ovest proseguendo all’interno
del castrum il tracciato della Via Ostiense.
Al ruolo primitivo di “colonia” marittima,
posta a difesa di Roma contro gli attacchi
provenienti dal mare, si sostituì ben presto
una funzione prevalentemente commerciale legata alla presenza del porto fluviale.
Per il suo funzionamento venne attivata
una complessa organizzazione sotto la sorveglianza dei funzionari statali addetti
all’annona (termine che indicava le attività
connesse all’approvvigionamento di derrate
alimentari). Le merci scaricate dalle navi
da carico (le naves onerariae), dopo una
sosta nei magazzini, venivano ricaricate su
chiatte fluviali (le naves caudicariae) in
grado di risalire il Tevere sino a Roma.
Le grandi navi onerarie, tuttavia, non
potevano penetrare nel porto fluviale a
causa delle barre costiere presenti alla foce
ed erano spesso costrette a trasferire il carico, mentre si trovavano in mare, su imbarcazioni più piccole. Dall’inizio del ii sec.
a.C., quindi, il sistema portuale di Roma
si allargherà a comprendere il più lontano
porto di Pozzuoli, struttura in grado di
accogliere navi più grandi. Una flottiglia di
navi di medio tonnellaggio era addetta al
trasporto delle merci da Pozzuoli fino ad
Ostia, mentre le chiatte fluviali coprivano
gli ultimi 35 km sino a Roma.
Questa complessa organizzazione conti-
Pianta di Ostia.
Ufficio di rappresentanza
degli armatori
di Cagliari
(navicularii
Karalitanis),
mosaico della
Statio 21 del
Piazzale della
Corporazioni
(fine ii sec.
d.C.).
con quella del faro che in epoca romana
doveva guidare le imbarcazioni all’imbocco
del fiume. Tra questa torre e i resti monumentali del Palazzo Imperiale, recenti
indagini hanno confermato l’ubicazione di
un bacino portuale, scavato nella sponda
fluviale e di strutture per il ricovero delle
navi da guerra, i c.d. Navalia.
nuerà a soddisfare le esigenze della capitale anche dopo la costruzione del porto,
voluta dall’imperatore Claudio. Solo nel
ii sec. d.C., quando l’imperatore Traiano
trasformò il porto di Claudio costruendo
un nuovo bacino più funzionale, Ostia
vedrà via via scemare la sua importanza.
Nel visitare gli scavi, si percepisce facilmente la funzione portuale e commerciale
della città a causa del grande numero di
edifici adibiti a magazzini (horrea) presenti
nell’impianto urbano, molti dei quali collocati presso la sponda del Tevere. Il
Piazzale delle Corporazioni offre una vivida immagine dell’attività che ferveva nella
città nel ii sec. d.C. Attorno ad una piazza circondata da un colonnato, si aprivano
sessantuno ambienti, identificabili come
“uffici di rappresentanza” di armatori e
commercianti attivi nel porto ostiense. Le
evidenze archeologiche relative al porto
fluviale invece non sono molto numerose.
La posizione della medievale Torre
Boacciana probabilmente corrispondeva
area archeologica
di ostia antica
Soprintendenza per i Beni
Archeologici di Ostia
Via dei Romagnoli 717
00119 Ostia Antica (rm)
Tel. +39 06 5635.8099
Fax +39 06 565.1500.
Durata della visita: 2-6 ore, a seconda
degli itinerari.
Orario d’apertura: periodo ora legale,
h. 9,00 -18,00 (uscita del pubblico
entro le 19,00); periodo ora solare,
h. 9,00 - 16,00 (uscita del pubblico
entro le 17,00).
Giorni di chiusura: tutti i lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre.
Biglietto (comprensivo dell’ingresso
al Museo): € 4,00; gratuito per i cittadini membri dell’Unione europea sotto
i 18 anni e sopra i 65 anni d’età; ridotto per la fascia 18-25 anni.
Il Museo delle Navi di Fiumicino
Il Museo
delle Navi
di Fiumicino.
All’interno del Museo delle Navi sono
esposti i resti di cinque imbarcazioni (più
frammenti di fiancata di altre due) databili dal ii al v secolo d.C. I relitti furono
riportati in luce tra il 1958 ed il 1965 in
occasione di lavori connessi con la
costruzione dell’Aeroporto internazionale
“Leonardo da Vinci” di Fiumicino.
Le navi furono recuperate in un’area
compresa tra il luogo di costruzione del
museo che attualmente le ospita e i resti
del molo settentrionale del porto fatto
costruire dall’imperatore Claudio nel i
sec. d.C.
Nel sito del ritrovamento, marginale
rispetto all’ampio bacino portuale e soggetto ad insabbiamento, doveva trovarsi
un vero e proprio “cimitero navale” dove
venivano abbandonati i natanti non più
adatti a prestare ancora servizio.
Delle navi si conservano soltanto le strut-
ture del fondo che, ricoperte dai sedimenti e dalle sabbie, hanno resistito all’azione distruttrice dell’acqua, della flora e
della fauna marine.
Delle cinque imbarcazioni meglio conservate, due (Fiumicino 1 e 2) sono
identificabili con le naves caudicariae
note dalle fonti antiche. Le caudicarie,
sorta di grosse chiatte fluviali, erano
impiegate per il trasporto delle merci dal
porto marittimo ai porti fluviali di
Roma. Queste chiatte, prive di vele,
erano trainate mediante funi da uomini
(gli helciarii citati dalle fonti classiche) o
da buoi che procedevano sulla riva del
Tevere. Questo sistema di propulsione,
chiamato alaggio, fu utilizzato fino alla
fine del xix secolo.
Anche Fiumicino 3 è un natante di tipo
fluviale ma di dimensioni più piccole
rispetto ai precedenti.
Il luogo
di rinvenimento
dei relitti.
numerosi oggetti legati alla vita e alle
attrezzature di bordo nonché alle tipologie dei materiali (anfore, marmi, ecc.)
che, trasportati via mare, giungevano al
porto di Roma.
museo delle navi romane
Via A. Guidoni, 35 - 00050
Fiumicino Aeroporto (rm)
Tel. +39 06 652.9192
Fax +39 06 6501.0089
Durata della visita al museo: 45 min.
Il relitto
Fiumicino 5
durante
lo scavo.
Fiumicino 4, attrezzata in origine con
una vela quadra, è invece un’imbarcazione adatta ad una navigazione marittima
di cabotaggio oppure ad un’attività di
pesca costiera.
A quest’ultima attività era anche adibita
la piccola “Barca del Pescatore”
(Fiumicino 5) equipaggiata con un vivaio
centrale per il trasporto del pesce. Il
fondo dello scafo era, infatti, forato in
corrispondenza del vivaio, in modo da
permettere la circolazione interna dell’acqua e conservare così vivo il pescato.
All’interno del museo sono esposti anche
Biglietto: € 2,00; gratuito per i cittadini membri di Paesi dell’Unione europea
sotto i 18 anni e sopra i 65 anni d’età;
ridotto per la fascia 18-25 anni.
Orario d’apertura: da martedì a domenica dalle 9.00 alle 13.30; martedì e
giovedì anche dalle 14.30 alle 16.30;
Giorni di chiusura: tutti i lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre.
Note: Il 1° Sabato e l’ultima Domenica
di ogni mese appuntamento alle 9.30 al
Museo per la visita guidata, che comprende anche l’area archeologica del
Porto di Traiano. Su richiesta telefonica
è possibile visitare l’area archeologica di
Monte Giulio e la c.d. Capitaneria.
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