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Campi di grano duro, ritorno alla tradizione

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Campi di grano duro, ritorno alla tradizione
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venerdì 29 aprile 2016 L’UNIONE SARDA
www.unionesarda.it
INCHIESTA | PRIMO PIANO
FONTE:CONFAGRICOLTURA-ISTAT
Filiere a Villamar e nel Sinis: «Il prezzo si fa prima della semina»
Campi di grano duro,
ritorno alla tradizione
Cresce la superficie coltivata in tutta l’Isola
Medio Campidano 10.074 ha
Oristano
5.762 ha
La tabella introdotta dai coltivatori
Il disciplinare di qualità
Oltre al prezzo minimo
garantito prima della semina, la rivoluzione partita dal
basso ha introdotto anche il
disciplinare della qualità del
grano. Tabella della bontà
del prodotto e quindi del
prezzo che, sembra incredibile, prima non esisteva. «I
consorzi agrari hanno sempre lavorato sulla quantità,
per cui - spiega Enrico Lepori, presidente di Sinis
Agricola di Cabras - tutto
quello che arrivava veniva
ammassato, senza tener
conto della qualità buona o
cattiva, e pagato a ugual
prezzo».
Dentro la filiera del grano
duro di Sardegna sono stati
fissati, invece, tre punti di finezza dei chicchi in base al
contenuto di proteine e alla
qualità. «Fino a 11 di proteine - sottolinea Lepori - il grano è per uso zootecnico. Da
11 a 12,50 si chiama “buono
mercantile”. Dopo i 12,50 è
il migliore, utilizzato nella
nostra filiera della pasta e
del pane». Quanto al grano
per gli allevamenti, molte
aziende lo acquistano.
«Quelle che puntano a una
buona qualità del latte. Il
problema delle granaglie acquistate all’estero, infatti, è
quello della possibile presenza di micotossine che proliferano con l’umidità». (p.s.)
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RIPRODUZIONE RISERVATA
to duro per la pasta e per il
pane macinato da due mulini convenzionati a Senorbì
e Ozieri.
Una filiera che dal 2013 lavora d’intesa con il Consorzio Sinis Agricola, 25 soci,
400 ettari a grano seminati
fra Cabras e l’alto Campidano. È nata così - in una regione come la Sardegna che
importa dall’estero quasi
tutta la materia prima utilizzata nei panifici e nei pastifici - la prima rete certificata d’imprese cerealicole. «Il
nostro raccolto lo conferiamo alla filiera, nei silos di
Villamar, da lì - spiega Enrico Lepori, 50 anni, presidente del sodalizio di Cabras
- arriva ai molini convenzionati». Quindi ai forni che
impastano semola sarda,
nonché all’industria (qualcuna c’è) e ai laboratori artigiani (uno di Thiesi lavora
col marchio della filiera)
produttori di pasta tipica
sarda (e non taroccata con
le farine dell’Est Europeo e
del Canada).
«È proprio la garanzia di
qualità che rende vincente il
prodotto. Davanti a una forte domanda dei consumatori, i pastifici e i panifici chiedono semole buone di cui si
possa conoscere l’origine e
la tracciabilità. Questo lo si
può fare solo organizzando
la filiera». Francesco Piras,
62 anni, imprenditore agricolo di Samassi, si è laureato nei mesi scorsi in Scienze
e tecnologie agrarie con una
tesi sulla storia e le prospettive della coltivazione del
frumento in Sardegna. Lui
stesso semina a grano duro
metà dei suoi 45 ettari di
terra. «Le varietà rusticano
per la vendita del seme certificato e quadrato per l’ammasso. Senatore Cappelli
no, la resa non è alta, è un
prodotto di nicchia».
Ha raccolto e studiato una
mole di dati storici sull’andamento della coltivazione
del frumento nell’Isola. «Oggi, con 35 mila ettari, abbia-
HANNO DETTO
EFISIO
ROSSO, COOP
MADONNA
D’ITRIA
DI VILLAMAR
Un minimo di
“
garanzia per gli
agricoltori ci
vuole, considerati
i rischi di mercato
e dell’impresa
a cielo aperto
”
ENRICO
LEPORI,
PRESIDENTE
DI SINIS
AGRICOLA
Il raccolto
“
lo conferiamo
alla filiera:
dai silos
di Villamar
la materia prima
passa ai mulini
”
MAURIZIO
FADDA,
COFONDATORE
DI SEMENE
A NUORO
Vogliamo
“
ricostruire
la cultura del
frumento, quella
del mulino
e del forno
comunitario
”
mo in pratica solo un sesto
della superficie che era coltivata a grano nel 1960. E
meno della metà della superficie coltivata negli ultimi trent’anni». Il punto più
basso, spiega, si è toccato
nel 2009, con soli 25 mila ettari di spighe al sole.
Per quale motivo furono
abbandonati i campi? «Perché, senza gli incentivi, gli
agricoltori non riuscivano
più nemmeno a coprire i costi di produzione. E questo spiega - per due ragioni: una
politica, legata al cambiamento radicale del sostegno
comunitario al reddito, non
più agli ettari di coltivazione, bensì disaccoppiato. L’altra economica, con l’abolizione del sostegno artificiale
del prezzo del grano duro;
intervento, fatto con l’applicazione dei dazi sulle importazioni, che per 40 anni aveva garantito agli agricoltori
listini del prodotto più alti».
Così, a partire dal 2005, cominciò la fuga dalla campagna. «Per effetto della riduzione dei prezzi, e dell’aumento dei costi di coltivazione, il reddito netto è diventato negativo - puntualizza
Francesco Piras -. Visto che
dal 2005 gli incentivi potevano essere incassati a prescindere da ciò che si coltivava, l’effetto diretto è stato
quello dell’abbandono dei
campi». Adesso, in tema di
aiuti all’agricoltura, l’Unione
Europea è tornata al sostegno per ettari di coltura. «Ma
pare siano solo 60 euro a ettaro, insufficienti per stimolare una ripresa: servirebbe
almeno il doppio ed è la Regione - avvisa Piras - che deve farsi avanti».
Intanto a Villamar e nel Sinis la strada l’hanno tracciata. Prima della semina, i
contadini sanno a quanto
potranno vendere il grano. È
una rivoluzione, il senso della libertà di chi lavora la terra.
Piera Serusi
RIPRODUZIONE RISERVATA
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L’80% dei 35.000 ettari coltivati
in Sardegna sono tra le (ex) province di:
Cagliari
12.600 ha
È cominciato tutto il giorno in cui i contadini hanno
sentito che sì, il prezzo del
grano raccolto poteva essere
stabilito già a novembre, prima della semina. Una cosa
mai vista, considerato lo
strapotere dei consorzi agrari che pagano in base alle
oscillazioni del mercato internazionale (governato dalle derrate d’importazione
vendute al ribasso) e hanno
sempre fatto un unico ammasso del frumento di qualità e di quello meno buono.
«Un minimo di garanzia per
gli agricoltori ci vuole, considerati i rischi di mercato e
quelli di un’impresa a cielo
aperto», sottolinea Efisio
Rosso.
Lui, 48 anni, originario di
Carloforte, esperto di finanza e controllo di gestione, ha
cambiato mestiere quando
nel 2008 gli agricoltori di
Villamar («Il mio paese di
adozione») gli chiesero se
poteva occuparsi della loro
cooperativa. Inutile sottolineare che boccheggiavano
sotto il peso dei debiti, delle
cattive annate, del raccolto
venduto male. Quell’anno,
per dire, il grano veniva pagato a 13 euro, praticamente nulla. E si rischiò allora,
tra il 2008 e il 2009 - quando, con poco più di 25 mila
ettari di superficie, si è toccato il minimo storico - di
perdere definitivamente le
colture di frumento in Sardegna. «Ebbene - racconta
Efisio Rosso -, noi quell’anno
pagammo il grano a 21 euro,
abbiamo proposto il raccolto a vari mulini e firmato il
primo accordo di filiera».
Oggi la cooperativa Madonna d’Itria di Villamar ha
un centinaio di soci - tra
paesi della Marmilla, della
Trexenta e del Campidano e mille ettari a grano Khorasan, Senatore Cappelli e antiche varietà locali come trigu biancu, trigu arrubiu, trigu moro, trigu cossu e trigu
murru. Si producono 35 mila quintali in media, frumen-
ssul secondo ambiente.
ddall terzo
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