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Vogliono farci le penne

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Vogliono farci le penne
anno 21 | numero 46 | 18 noVemBre 2015 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
Vogliono
farci le penne
Corvi che con la scusa di “aiutare” la colomba papale vendono
informazioni riservate per screditare la Santa Sede. Ecco cos’è in
gioco nella cosiddetta Vatileaks: la libertà, cioè la “roba” della Chiesa
EDITORIALE
TRA PD, GRILLISMO E LEGAFORZISMO
Da dove può ripartire il centrodestra
nell’era del Renzi-show? Da Venezia
D
opo gli 80 euro in busta paga che gli sono serviti per trionfare alle europee e leggittimare così una premiership che è stata conseguita in forma di pesca miracolosa tre anni dopo il disarcionamento del Caimano, Matteo Renzi si è dato una road map molto precisa: un biennio sprint di
riforme annunciate, vere e presunte, e poi, nel 2016, apoteosi. Il programma
della cavalcata l’ha reso noto lui stesso in un’intervista alla Stampa, non a
caso il giornale dell’“amerikano” Marchionne: vincere il referendum sulle riforme costituzionali e poi andare alle elezioni per incassare tutto.
L’aspetto più positivo del fiorentino è che in meno di due anni ha liquidato il vecchio apparato Pci-Pds-Ds-Pd che dopo la caduta del Muro era riuscito a mantenersi a cavallo sfruttando il vento giudiziario per distruggere
gli avversari e conservando le “casematte” costruite nei decenni nella società. Ebbene, in meno di 24 mesi Renzi ha demolito la “gioiosa macchina da
guerra” ex-neo-post comunista, ha piazzato i suoi a tutti i livelli dello Stato e para Stato, ha fatto piazza pulita della “Cosa” rossa. Risultato? Una LuIGI BRuGnARO vIEnE DALLA
minoranza Pd all’angolo, un sinda- STRADA E DAL LAvORO, cREDE
In quELLO chE FA E FA quELLO
calismo logoro e spompato, una naIn cuI cREDE. SI È vISTO SuI LIBRI
scente “Sinistra italiana” senza alGEnDER E SuLLE nAvI DA cROcIERA
cun fascino elettorale.
Altro merito di Renzi è stato quello di polarizzare le alternative alla sua
leadership. Da una parte il grillismo, dall’altra il legaforzismo. Ma qual è oggi l’opportunità del centrodestra dopo che il carisma “nazionale” di Silvio,
grazie anche all’“aiutino” di Silvio (vedi collaborazione “istituzionale” alle
riforme, il Verdini di prima e il Verdini di adesso), se l’è preso Renzi? Una
Meloni a Roma, Berlusconi con quel che resta del partito personale in Italia,
la Lega di governo al Nord con Maroni e Zaia, Salvini come (prima) sintesi
del tutto, rappresentano una valida alternativa a Renzi?
Di fatto, la piazza di Bologna ha solo certificato l’esclusione di Ncd. Con
gli alfaniani e l’alleato Udc avviati a trovare una soluzione sudista e renziana al loro futuro politico (e tutti gli altri, a cominciare da Lupi, a decidere cosa fare da grandi). Dunque, dopo essersi dotati di un programma
che (secondo noi) dovrebbe guardare all’Ungheria di Orbán e al movimentismo anti politicamente corretto più che al Berlusconi dei matrimoni gay,
Salvini&C. la novità devono trovarla in un personale politico alla sindaco di
Venezia Luigi Brugnaro. Un uomo che viene dalla strada e dal lavoro, che
crede in quello che fa e che fa quello in cui crede. Come si è visto sia in occasione dei libri gender ritirati dalle scuole veneziane (e paradossalmente, se
i collaboratori di Brugnaro ne avevano indicati solo 3 di testi spazzatura, la
commissione creata dal precedente sindaco e investita della decisione dal
nuovo, di libri trash gender ne ha trovati e fatti ritirare ben 15!); sia nella
conferenza stampa in cui presentando il nuovo percorso lagunare delle navi da crociera, ha dimostrato autorevolezza e ragioni che hanno
messo a dura prova perfino il cinismo di noi giornalisti.
L’ASCIA NEL CUORE
I quattro anni
di Piero Daccò
Giustiziami.it, sito di giornalisti che
si occupa di quel che accade nel Palazzo di Milano, ha pubblicato un’immagine che ritrae Piero Daccò. «Il 17
novembre – scrive Manuela D’Alessandro – compirà quattro anni di carcerazione preventiva a Bollate dove è
detenuto dopo l’arresto per bancarotta fraudolenta nell’ambito di un’indagine sul crac dell’ospedale San Raffaele. Quattro anni di carcerazione
preventiva: un’enormità. Difficile ricordare casi analoghi, anche per reati più gravi. “In materia di custodia
cautelare – spiegò uno dei più brillanti giuristi italiani, Valerio Onida
– dovrebbero valere sempre elementari princìpi di civiltà giuridica, tante
volte affermati dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea del diritti
dell’uomo. L’accusato in attesa di giudizio si presume non colpevole (…). Le
condizioni che legittimano la misura
restrittiva devono di norma essere accertate in concreto e le misure adottate devono essere proporzionate e ristrette al minimo indispensabile per
fronteggiare in concreto le riscontrate
esigenze cautelari”. Il 7 maggio 2014
la Cassazione ha annullato in parte la sentenza d’appello con la quale Daccò era stato condannato col rito abbreviato a 9 anni di carcere per
il dissesto finanziario del San Raffaele. L’ex uomo d’affari, 59 anni, dovrà
attendere ancora molto per una sentenza definitiva: un nuovo appello e
una probabile nuova Cassazione. Nel
frattempo, partecipa alle udienze del
processo Maugeri, dove è accusato di
associazione per delinquere e corruzione, da detenuto per altra causa.
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SOMMARIO
08 PRIMALINEA L’ASSEDIO MILLENARIO AL PAPA | CASADEI, GUARNERI
NUMERO
anno 21 | numero 46 | 18 noVemBre 2015 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
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Vogliono
farci le penne
Corvi che con la scusa di “aiutare” la colomba papale vendono
informazioni riservate per screditare la Santa Sede. Ecco cos’è in
gioco nella cosiddetta Vatileaks: la libertà, cioè la “roba” della Chiesa
Perché “Vatileaks 2” torna
ad attizzare un vecchio
sogno mai realizzato.
Abbattere la presenza
storica della Chiesa
per renderla impotente
(e prendere la sua “roba”)
18 SOCIETÀ LA MORTE MODERNA | BOFFI, CAVALLARI
LA SETTIMANA
L’ascia nel cuore...........................3
Foglietto
Alfredo Mantovano...........7
Boris Godunov
Renato Farina.............................17
Vostro onore mi oppongo
Maurizio Tortorella..... 27
Mamma Oca
Annalena Valenti .............. 39
Sport über alles
Fred Perri...........................................42
24 SOCIETÀ PARS. C’È VITA DOPO
LA DROGA | FRIGERIO
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano ................. 43
Lettere dalla fine
del mondo
Aldo Trento ...................................45
Appunti
Marina Corradi ..................... 46
RUBRICHE
28 CULTURA INELUDIBILE GIRARD | GHIRARDINI
32 CHIESA IL MONDO VISTO DAL PATRIARCA RAÏ
Stili di vita .......................................... 38
Motorpedia ...................................... 40
Lettere al direttore ..........42
Foto: Ansa
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 21 – N. 46 dal 12 al 18 novembre 2015
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Rodolfo Casadei (inviato speciale),
Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director)
FOTOLITO E STAMPA: Reggiani spa
Via Alighieri, 50 – 21010 Brezzo di Bedero (Va)
DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl
SEDE REDAZIONE: Via Confalonieri 38, Milano,
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EDITORE: Vita Nuova Società Cooperativa,
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196/2003 tutela dati personali).
fogLietto
resistere aLLa propaganda dei giornaLoni
Sciocchezzaio delle balle
più ritrite sui vantaggi
della cannabis “legale”
|
di aLfredo mantovano
L
in circolazione ha effetti devastanti e non
a campagna mediatica volta a “legalizzare” le droghe cosiddette “leggere” sempre reversibili sulla psiche e sul fisiè iniziata e non risparmia energie. co. The Independent, il popolare quotidiaNella primavera 2014 il governo ha vara- no inglese che per circa un decennio, dal
to un decreto, convertito in legge dal par- 1997, condusse una intensa campagna per
lamento, che ha preparato il terreno; le la legalizzazione della cannabis, il 18 marpiù importanti testate giornalistiche na- zo 2007 uscì con una copertina recante il
zionali insistono con paginate sui vantag- titolo “Cannabis, an apology”: una richiegi di una scelta del genere; ben 218 parla- sta di scuse ai lettori fondata su dati obietmentari hanno sottoscritto una proposta tivi. Senza attendere che fra dieci anni la
di legge in tale direzione. Nonostante gli Repubblica o il Corriere della Sera facciano
effetti devastanti delle modifiche norma- altrettanto, potrebbero da subito smettertive dello scorso anno, la percezione della la con l’acritica e fuorviante propaganda.
gravità della questione è bassa. Una ragione in più per dedicarvi attenzione e impe2. Ognuno è arbitro della propria salugno. E per pretendere che, per una volta, te, e quindi libero di “farsi” come desidera,
su un fronte cruciale che
chiama in causa la salunonostante gLi effetti devastanti
te di tanti giovani e medeLLe riforme deL governo in materia,
no giovani e la tenuta
La percezione deLLa gravità deL tema
dell’intero corpo sociaè bassa. motivo in più per pretendere
le, non si perda il contatto con la realtà; che cioè
una discussione basata suLLa reaLtà
non si assista alla stanca
ripetizione di banalità che si ascoltano da senza che lo Stato si intrometta. Non è comezzo secolo, ma si provi a sentire gli ad- sì: nessuno ha mai contestato il principio
detti ai lavori più qualificati.
ispiratore dell’obbligo del casco alla guida
In un recente volume (Libertà dalla dro- delle motociclette, eppure, in caso di inciga, Sugarco) scritto con Giovanni Serpello- dente, il danno riguarda esclusivamente il
ni e Massimo Introvigne, abbiamo esposto soggetto che viola la norma. Vent’anni fa la
sul punto elementi di fatto e argomenti di Corte costituzionale ha respinto sul punto
carattere scientifico, giuridico e sociologi- la tesi dell’ingerenza dello Stato nei diritco. Rinviando a quel testo per una esposi- ti del cittadino, e ha aggiunto che la salute
zione meno rapida, non guasta passare in dell’individuo costituisce «interesse per la
collettività»: va apprezzato l’intervento del
rassegna i principali luoghi comuni:
legislatore, anche perché gli incidenti stra1. Ci sono le droghe “buone” e le dro- dali hanno un costo per l’intera società.
ghe “cattive”, quelle che possono far male
3. Anche l’alcol fa male, eppure, a diffee quelle che aiutano a passare una serata
in spensieratezza, quelle da permettere e renza della droga, nessuno invoca sanzioquelle da vietare. È falso! Lo “spinello” oggi ni contro la sua commercializzazione. Di-
re questo significa non avere ben chiara
la distinzione fra uso e abuso. L’uso equilibrato di alcol, soprattutto se a bassa gradazione e in assenza di controindicazioni
correlate alle condizioni di salute di chi
lo assume, non fa male. L’abuso provoca
invece l’alterazione di sé, ed è già in vario modo scoraggiato sul piano normativo. Per il consumo di droga la distinzione
non regge: il semplice uso di stupefacenti
produce alterazioni dell’equilibrio fisico e
psichico; non attendere che si passi a stadi di dipendenza più elevati per dissuadere è coerente con il sistema.
4. “Legalizzare” le droghe sottrarrebbe terreno alle organizzazioni criminali che traggono profitto dai traffici di stupefacenti, affidandone la distribuzione e
la cessione al controllo dello Stato. È falso! Ogni legalizzazione ha dei limiti, di
età dell’assuntore, di quantità e di qualità (intesa come percentuale di principio
attivo) della sostanza. Alla criminalità sarà sufficiente operare oltre i limiti fissati:
quanto all’età, puntando, più di quanto
non avvenga oggi, allo spaccio fra minorenni; quanto alla quantità e alla qualità,
offrendo “merce” in grammi o in capacità stimolante al di là delle soglie stabilite.
5. La legalizzazione aumenta gli introiti del fisco. Ma negli Stati Uniti gli incassi per gli Stati derivanti dalle accise sulla cannabis “legale” sono annullati dalle
maggiori spese connesse al trattamento
dei suoi effetti cronici. I due mercati, legale e illecito, sono connessi: quantità sostanziali di marijuana medica prodotta in
eccesso grazie a economie di scala sono dirottate verso il mercato clandestino.
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COPERTINA
Se il Vaticano non fosse uno stato, arrestare il Papa sarebbe un
gioco da ragazzi. E ricattare la Chiesa per servire il potere mondano
la pratica più abusata. Dai colossi abortisti a Bruxelles, ecco
chi briga, dietro Vatileaks, contro la statualità della Santa Sede
|
DI RoDolfo CaSaDEI
La Rocca
sotto assedio
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| Foto: Ansa
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copertina PRIMALINEA
ternational Planned Parenthood Foundation (Ippf), il Naral, Marie Stopes International, il Center for reproductive Rights,
il Sexuality Information and Education
Council of United States (Siecus), il Center
for Women’s Global Leadership, Equality
Now, la International Women’s Human
Rights Law Clinic, la Women’s Environment and Development Organization. La
campagna si prefigge la degradazione
dello status della Santa Sede alle Nazioni
Unite da stato osservatore a Organizzazione non governativa (Ong), semplicemente
asserendo che la Città del Vaticano non è
uno stato e che la Santa Sede è solo un’organizzazione religiosa. L’Ippf è nota come
“la più grande fabbrica di aborti d’America” ed è indagata dal Congresso americano per la vendita di parti di feti abortiti
presso le sue strutture.
Il Naral è l’organizzazione che ha condotto la battaglia per l’aborto libero negli
Usa: oggi è una fondazione che vanta
entrate annue pari a 5 milioni di dollari.
La direttrice del Center for Women’s Global Leadership, Charlotte Bunch, ha ricevuto il premio Eleanor Roosevelt per i
diritti umani, che viene assegnato dalla
Casa Bianca. Lo Siecus cura un “International Rightwing Watch” che è di fatto una
black list delle «organizzazioni, negli Stati
Uniti e nel resto del mondo, che cercano di
limitare l’accesso degli individui all’educazione e ai servizi di salute riproduttiva. Seicus crede che sia importante essere aggior-
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montati sui media è di indebolire l’attuale pontefice e ostacolare il suo programma pastorale. Sarebbero dunque i “conservatori” a brigare per intorbidire le acque.
Ma anche qui i conti non tornano. Come
ha scritto e spiegato Marco Tosatti sulla
Stampa, chi sta frenando la riforma amministrativa e la razionalizzazione dei centri
di spesa in Vaticano non sono certo i conservatori. A proporre l’unificazione di tutti i bilanci nella Segreteria per l’economia
voluta da Francesco, e quindi a creare un
sistema di controllo efficiente, è stato il
cardinale George Pell di Sydney, uno dei
firmatari della famosa lettera al Papa classificata come un’iniziativa dei tradizionalisti per frenare le “aperture” del Sinodo sulla famiglia. «Sono quelli che hanno votato Bergoglio in Conclave, e quelli
che sono considerati suoi amici, dividendo anche la mensa con lui, a impedire la
riforma dell’economia come l’aveva disegnata all’inizio», scrive Tosatti.
E allora? L’unica causa che libri e
inchieste sembrano servire, è quella della
soppressione dell’entità vaticana, descrit-
ta come qualcosa a metà fra lo stato fallito e lo stato canaglia. In quale altro modo
si può definire uno stato che – stando alle
“rivelazioni” – non dispone di un catasto
delle proprietà immobiliari, non ha un
bilancio centrale unificato, assegna lavori pubblici senza gare d’appalto, assume
senza concorso, non dispone di meccanismi per verificare la congruità e la liceità delle spese dei suoi pubblici ufficiali? È
inevitabile che incompetenza e peculato
dominino la scena.
Che gli ultimi papi abbiano fatto e
stiano facendo tutto il possibile per razionalizzare la macchina amministrativa e
quindi prevenire gli abusi, che il Vaticano
sia uno degli stati più antichi del mondo
(formalmente esiste dalla metà dell’VIII
secolo, di fatto dalla fine del VI) e che molte delle sue anomalie dipendano dai compiti speciali che oggi assolve non sembrano essere dettagli degni di considerazione. La conclusione sottintesa nei libri di
Nuzzi e di Fittipaldi è che uno stato come
quello vaticano non dovrebbe esistere. Sta
di fatto che quello che loro lasciano solo
LA CAMPAgNA “SEE ChANgE” PER CACCIARE IL VAtICANo
dALL’oNu è StAtA SottoSCRIttA dA 700 oRgANIzzAzIoNI
CoME L’INtERNAtIoNAL PLANNEd PARENthood FouNdAtIoN
Foto: Ansa
ansa
A
parte la fama e il conto in
banca dei giornalisti
autori dei libri che si
basano su di essi, che causa servono i trafugamenti
di documenti riservati e
di registrazioni pirata in Vaticano? Secondo chi li compie (e si fa puntualmente beccare dai non così ingenui investigatori della Santa Sede) e chi li trasforma in inchieste giornalistiche sono un servizio reso
alla Chiesa e a papa Francesco, che vorrebbe riformare in profondità l’amministrazione finanziaria vaticana ma è impedito da lobby e clientele. Ma la Santa Sede
smentisce che a questo risultato possano
approdare le fughe di documenti confidenziali: «Pubblicazioni di questo genere»,
si legge nel comunicato del 2 novembre,
«non concorrono in alcun modo a stabilire chiarezza e verità, ma piuttosto a generare confusione e interpretazioni parziali
e tendenziose. Bisogna assolutamente evitare l’equivoco di pensare che ciò sia un
modo per aiutare la missione del Papa».
Secondo altri lo scopo di questi scandali
intendere è da anni programma alla luce
del sole di uomini politici, intellettuali,
gruppi di pressione laicisti o catto-progressisti. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, al Parlamento Europeo e in
Italia le iniziative e le prese di posizione
di chi vorrebbe spogliare il Vaticano delle
sue prerogative statuali non sono mai cessate negli ultimi vent’anni.
La più famosa di tutte le iniziative
internazionali in questo senso è la campagna “See Change” promossa nel 1999 dai
Catholics for a free Choice (cattolici americani pro-aborto) per privare il Vaticano
dello status di Stato non membro Osservatore permanente alle Nazioni Unite.
Dura fino ad oggi ed è stata finora sottoscritta da 700 organizzazioni circa, alcune molto piccole (in Italia dall’Uaar, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti)
ma altre molto estese e potenti, come l’In-
nati sugli scopi, le idee e le attività di queste organizzazioni». La campagna è stata
finanziata dalla Rockefeller Foundation e
dalla Ford Foundation, ma non ha ottenuto risultati: nessuno dei 193 paesi membri
delle Nazioni Unite ha chiesto che lo status della Santa Sede sia degradato. Qualche attacco diretto alla Santa Sede però
dal Palazzo di Vetro è arrivato: l’anno scorso la Commissione per i diritti del bambino ha formalmente invitato la Chiesa cattolica a modificare i suoi insegnamenti
su aborto, contraccezione e omosessualità per garantire «agli adolescenti i più alti
standard di salute riproduttiva». La Commissione è presieduta dalla giurista norvegese Kirsten Sandberg, visiting fellow
dell’Istituto universitario europeo di Firenze di cui è rettore Joseph Weiler. Secondo
l’americano Crisis Magazine «un antipatico diplomatico norvegese alle Nazioni
Unite parla male molto spesso della Santa Sede. Si domanda perché i diplomatici
della Santa Sede partecipino ai negoziati
in corso. Dice esplicitamente che la Santa
Sede se ne dovrebbe andare. Ciò è successo più di una volta». Chi sarà mai questo
diplomatico norvegese?
Per restare in America, sulle pagine del Boston Globe l’idea di eliminare
il Vaticano come stato è stata ripresa di
recente dall’editorialista James Carroll,
ex prete e cattolico dissidente, come lui
si definisce. Un cattolico che non crede
nella divinità di Cristo, nella sua resurrezione e nella verginità di Maria, ma i cui
attacchi contro la Chiesa cattolica trovano ospitalità anche sul New Yorker. Nel
suo articolo, intitolato “Abolish Vatican
statehood”, eccepiva che il Vaticano non
avrebbe dovuto arrestare e incarcerare il
suo nunzio nella Repubblica Dominicana
Jozef Wesolowsky, accusato di abusi sessuali pedofili, ma consegnarlo alle autorità dominicane. A Carroll l’idea di un processo vaticano a Wesolowsky (poi deceduto in detenzione nell’agosto di quest’anno) non piace, perché comunque è stato
usato «il manto protettivo dell’immunità diplomatica sull’arcivescovo» che lo ha
protetto dalla giurisdizione civile.
Contro Vaticanilandia
Di qua dell’Atlantico gli strali che vorrebbero porre fine al Vaticano come entità
statuale arrivano dal Regno Unito, dalla Francia e dal Parlamento europeo. Nel
2010, in occasione della visita di Benedetto XVI in Inghilterra, sullo storico
settimanale di sinistra New Statesman
apparve un lungo articolo di Geoffrey
Robertson, avvocato, accademico e giornalista radiofonico australiano naturalizzato britannico, intitolato “The case
against Vatican power”, nel quale si negava che la Santa Sede avesse diritto ai «privilegi della statualità». Accanto ad argomentazioni ideologiche e pseudo-giuridiche serrate, Robertson scriveva cose come
«Vaticanilandia non è uno stato più di
quanto lo siano il Bophuthatswana (un
bantustan del tempo dell’apartehid, ndr)
o Disneyland, che è più grande del Vaticano e ha più residenti, vestiti con costumi
ancor più colorati».
Le cose non sono cambiate con papa
Francesco, che in occasione della sua visita al Parlamento europeo ha dovuto fare i
conti con l’ostracismo di Jean-Luc Mélenchon, ministro socialista nel governo di
Lionel Jospin e oggi eurodeputato del Parti de Gauche (sinistra radicale). Costui gli
ha indirizzato una lettera nella quale
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pRIMALINEA copertina
L’INCONTRO
Luigi amicone e pippo
corigliano presenteranno
Una storia della chiesa.
papi e santi, imperatori e
re, gnosi e persecuzione
(ed. cantagalli, 24 euro)
lunedì 16 novembre,
alle ore 20.30, presso la
residenza Universitaria
torrescalla, di Via Golgi,
36 a Milano. Sarà presente anche l’autrice
angela pellicciari
spiegava che era contrario alla sua visita, perché violava il principio della separazione fra Stato e Chiese. Poi, in un testo
indirizzato ai suoi sostenitori, irrideva il
presidente del parlamento Martin Schulz
per aver dichiarato che quella del papa era
la visita di un capo di Stato: «Il Vaticano è
un quartiere di Roma, niente di più, ceduto al papa come ultima sopravvivenza del
Medio Evo e dell’opposizione ostinata del
papato all’unità italiana».
In Italia con l’idea di eliminare lo stato vaticano hanno flirtato non soltanto l’Unaar e i Radicali, ma anche preti
come padre Zanotelli e don Ciotti. Nel
giugno 2010 proposero, prima il comboniano e poi il fondatore del Gruppo Abele, la soppressione del Vaticano come stato. «Da anni diciamo che c’è quest’anomalia: un apparato, uno Stato con tanto di
ambasciatori che a volte diventa freno e
impedisce quella libertà, quella capacità
di profezia...», disse in un’intervista don
Ciotti. Oggi pare abbiano cambiato idea:
nell’aprile scorso hanno invitato la Santa
Sede ha rilasciare visti agli aspiranti profughi da Africa e Medio Oriente, per permettere loro di viaggiare in condizioni di
sicurezza e trasferirsi in Europa. La statualità del Vaticano sembra non dispiacere più ai “preti di prima linea” (definizione dell’Espresso), anzi.
Ammanettare un papa
C’è una motivazione che tutti i fautori dell’eliminazione del Vaticano come
stato adducono e hanno in comune: la
Santa Sede sfrutta la sua presenza nelle istituzioni multilaterali per ostacolare le politiche demografiche centrate sulla contraccezione e l’aborto legale, da
anni presentate sotto l’orwelliana etichetta di “politiche per la salute riproduttiva”. Per questo dicono di volerla spogliare delle sue indebite prerogative statuali.
A questa spiegazione si può credere, viste
le attività delle organizzazioni coinvol12
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te nella campagna. Ma in gioco c’è molto di più. Per afferrarlo occorre tornare a
quello che Robertson scriveva alla vigilia
della visita di papa Ratzinger a Londra. «I
privilegi della sovranità e della statualità
sono considerevoli: sia il Vaticano che il
suo capo di Stato sono immuni dalle cause civili o penali per i danni arrecati ad
altri – proteggendo preti pedofili o chiudendo un occhio sulle frodi della banca vaticana. Gli indiziati possono sfuggire a mandati di cattura europei restando all’interno delle inviolabili mura della Città Santa». Se il Vaticano non fosse
uno stato, arrestare il papa sarebbe un
gioco da ragazzi. Ricattare la Chiesa con
la minaccia di azioni legali perché cambi le sue dottrine secondo gli interessi del
potere mondano una pratica a cui molti
stati e molti sistemi giudiziari farebbero
|
ricorso. «Che la Santa Sede abbia rapporti diplomatici con altri stati non significa
necessariamente che sia uno stato, e alcuni giuristi internazionali hanno sottolineato che essa manca degli abitanti, del territorio e di altre caratteristiche necessarie per essere considerata oggettivamente
come uno stato dal diritto internazionale. Se avessero ragione, il Papa non sarebbe un “capo” di Stato e potrebbe essere
perseguito per negligenza in riferimento
ai preti pedofili lasciati in circolazione».
Ammanettare un papa: l’ultimo che
c’è riuscito è stato un certo Napoleone
Bonaparte. Per rifarlo o si occupa militarmente Roma come face l’imperatore, o si
abolisce la sovranità vaticana. In giro ci
sono tanti aspiranti Napoleone, e la colpa
non è della legge Basaglia che ha chiuso i
manicomi.
n
DI DanIele guarnerI
Gli dèi del caos
vogliono Roma
Un libro per ricordarci che sopra la tomba di
pietro si combatte una battaglia secolare. e che
dalla libertà del Santo padre dipende la nostra
N
el poema La ballata del cavallo bianco Chesterton scrive: «Gli dèi del
caos urlano per la caduta di
Roma». E gli dèi del caos urlano da un
paio di millenni e oltre, aggiungiamo
noi. Da che Cristo ha messo piede su questo mondo. Lo evidenzia bene Una storia
della Chiesa (Cantagalli) di Angela Pellicciari. Certo, l’autrice non intende risolve-
re duemila anni di storia in 350 pagine.
Ma traccia una sintesi che aiuta a comprendere le principali sfide e difficoltà che la Chiesa si è trovata ad affrontare nel corso del tempo. Ed è sorprendente accorgersi delle analogie, non esplicitate nel testo ma che ognuno può scoprire,
con ciò che sta accadendo oggi alla Chiesa e al suo popolo, dal Medio Oriente fino
a Roma. Perché parliamo di Roma? Perché, lo vedremo, tutto il mondo è terra di
Roma, e se qualcuno vuole sottomettere
i popoli, prima deve conquistare la città,
casa della cristianità.
«Come i pagani presero spunto dal
sacco di Roma per incolpare i cristiani e il
loro Dio, così avviene oggi: ai fedeli di Cristo vengono imputate tutte le colpe, come
se loro fossero la causa dei mali di tutto il mondo. Ma questo è falso, lo dice la
mia esperienza, io sono stata salvata dalla Chiesa. La discrepanza tra quello che
viene detto e la mia vita mi ha portato a
scrivere questo ultimo libro», dice a Tempi Angela Pellicciari. Ieri come oggi, Satana combatte la Chiesa su due fronti, spiega l’autrice: «La terrorizza con lo spettro
della persecuzione e attacca il magistero
petrino cercando di corromperne la dottrina». L’attacco, come vedremo, può arrivare dall’esterno ma anche dall’interno.
Può essere fisico ma pure materiale.
I primi perseguitati
La prima persecuzione imperiale ai cristiani è quella di Nerone, nel 46, ma il
primo martire è santo Stefano, lapidato
nel 36. Anche i giudei per motivi religiosi
e i pagani per ragioni economiche si accanirono contro i seguaci del nazareno. Poi
fu il turno degli islamici, che «reiteratamente applicano alla lettera quello che
c’è scritto nel Corano. Quello che accade oggi in Siria e Iraq per mano dell’Isis,
è già accaduto in maniera non meno violenta in passato: la data non è sicura, ma,
molto probabilmente nel 1091, l’imperatore Alessio Comneno scrive a Roberto I,
conte di Fiandra, per raccontare qualcosa
di quello che succede ai cristiani che vivono sotto il dominio turco o che vanno in
Terra Santa come pellegrini: “Essi circoncidono i ragazzi e (…) in disprezzo di Cristo versano il sangue della circoncisione
nei battisteri, e poi li costringono a urinare negli stessi; li trascinano nelle chie-
se e li costringono a bestemmiare il nome
e la fede della Santa Trinità. Coloro che
si rifiutano li affliggono con innumerevoli pene e alla fine li uccidono. (…) Corrompono turpemente le vergini, ponendole in faccia alle loro madri, e le costringono a cantare canzoni viziose e oscene,
finché non hanno terminato i loro vizi;
uomini di ogni età e ordine, ragazzi, adolescenti, giovani, vecchi, nobili, servi, e,
ciò che è peggio e più vergognoso, chierici e monaci, e – che dolore! – ciò che
dall’inizio dei tempi non è stato mai detto o sentito, vescovi, sono oltraggiati con
il peccato di Sodoma, e un vescovo sotto
questo osceno peccato perì. Contaminano e distruggono i luoghi sacri in innumerevoli modi, e ne minacciano altri di
peggiore trattamento. E chi non piange
di fronte a ciò? Chi non ne prova orrore?
Chiesa con le eresie che cercano di corromperne la dottrina. «Fin dall’inizio gli
apostoli mettono in guardia i fedeli dal
male che può arrivare dall’interno. San
Matteo scrive: “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in vesti di pecore, ma
dentro sono lupi rapaci”; san Paolo: “Persino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a
insegnare perverse dottrine”; san Pietro:
“Ci saranno in mezzo a voi falchi”».
L’eresia luterana
Vale la pena riportare quello che l’autrice scrive nel libro, a proposito di queste
eresie, per parlare di Lutero: «Da cinquecento anni, a partire dal libero esame di
Lutero che esalta la relazione individuale con Dio a scapito di quella comunitaria, la modernità punta sulla centralità
dell’individuo con i suoi desideri, le sue
oggI coME IERI SAtANA «tERRoRIzzA LA chIESA coN Lo
SpEttRo dELLA pERSEcuzIoNE E AttAccA IL MAgIStERo
pEtRINo cERcANdo dI coRRoMpERNE LA dottRINA»
Chi non prega? (…) Agite pertanto finché
avete tempo, per non perdere il regno dei
cristiani e, ciò che è più grande, il Sepolcro del Signore, e quindi abbiate non il
giudizio eterno, ma la giusta ricompensa
nei cieli. Amen”».
Ciò che l’autrice ha voluto evidenziare è che l’opera di Satana è cominciata fin
da subito: la Chiesa, anche quando non
contava nulla, non aveva uno Stato, i suoi
fedeli erano nemmeno un centinaio, cioè
nulla considerata l’estensione dell’impero romano, anche allora era perseguitata. Perché? «Perché la Chiesa è il corpo di
Cristo e Satana lo odia, quindi fin dall’inizio la perseguita, non c’entra se è grande
o piccola, se i fedeli sono tanti o pochi.
Satana fin dall’inizio combatte il corpo di
Cristo». Oltre al terrore portato da imperatori, barbari e islamici, l’attacco a Cristo arriva anche dall’interno della stessa
necessità e i suoi bisogni, col risultato che
l’uomo è solo. Ma “Non è bene che l’uomo sia solo”, scrive la Genesi. La comunità cristiana è il gioiello pensato da Dio
per dare speranza e consolazione al mondo. E la Chiesa riparte. Anno dopo anno
la virata del pontefice la scuote, la certezza della verità la muove e lo Spirito Santo
le ridona coraggio». «Oggi a forza di esaltare libertà e diritti individuali non siamo forse arrivati alla disintegrazione della persona?», aggiunge Pellicciari. «Mentre la Chiesa ripropone l’unico modello
che rende felice l’uomo: la famiglia, la
comunità. È la comunità cristiana che dà
la forza ai fratelli di resistere alle persecuzioni, perché la bellezza della proposta di
Dio passa dalla comunità, non può finire
con l’individuo».
In una delle sue prime lettere Giovanni scrive: «Come avete udito che
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pRIMALINEA COPERTINA
PRIMALINEA
deve venire l’anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi: sono usciti di
mezzo a noi ma non erano dei nostri».
Oggi i lupi rapaci vogliono tutto dalla
Chiesa. Gli slogan che quotidiani e televisioni ripetono da un paio di settimane
non fanno altro che ricordare agli uomini di Chiesa che Cristo è nato e morto
povero, mentre ci sono vescovi e cardinali che vivono nel lusso. È evidente che un
po’ di sobrietà in alcuni casi non guasterebbe, ma è altrettanto chiaro che questi attacchi alla Santa Sede (uno degli stati più antichi al mondo, che ha regnato
su Roma per oltre mille anni) servono a
screditarla agli occhi dei fedeli e del mondo intero. Per magari farle perdere i suoi
beni preziosi. È già accaduto anche questo in passato.
L’intuizione di Chesterton
«Nel Risorgimento in nome della purezza della fede e della vera morale, in nome
di Gesù nato e morto povero, moltissimi ordini religiosi sono stati soppressi
e la Chiesa è stata espropriata di palazzi, conventi, chiese, oggetti d’arte, biblioteche, terreni. Pio IX, ha ripetutamente
ricordato ai fedeli le ragioni che rendono
importante, per la Chiesa, il possesso di
uno Stato. Nell’allocuzione Quibus quantisque, redatta nel 1849 da Gaeta mentre a Roma infuria la repubblica, il Papa
scrive: “I fedeli, i popoli, le nazioni e i
regni non presterebbero mai piena fiducia e rispetto al Romano Pontefice se lo
vedessero soggetto al dominio di qualche
Principe o Governo, e non già pienamente libero. Ed invero i fedeli, i popoli ed i
regni non cesserebbero mai dal sospettare e temere assai che il Pontefice medesimo non conformasse i suoi atti al volere
di quel Principe o Governo nel cui Stato
si trovasse, e perciò, con questo pretesto,
sovente non avrebbero scrupolo di opporsi agli stessi atti”».
Nel 1872, a Papa ridotto a prigioniero
in Vaticano, Pio IX indirizza al segretario
di stato Antonelli la lettera “Costretti nelle attuali tristissime circostanze” in cui
scrive: «La libertà religiosa dei cattolici
ha per condizione indeclinabile la libertà del Papa, ne segue che se il Papa, giudice supremo ed organo vivo della fede e
della legge dei cattolici, non è libero, essi
non potranno giammai rassicurarsi sulla libertà ed indipendenza dei suoi atti».
Ecco perché è così importante che ancora
oggi il Papa possieda uno Stato: il minuscolo ma importante stato del Vaticano.
C’è un ultimo particolare di Una storia della Chiesa. Il libro della Pellicciari,
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Benedetto XV
il lottatore
tore. Unendo alla sua ricerca della verità
e della giustizia, il realismo cristiano della carità, mentre cerca di fermare la guerra, o di limitarla, da una parte si batte per
strappare ai governi condizioni migliori
per i prigionieri, dall’altra organizza continue azioni umanitarie. Di fronte alla
novità della guerra di massa, e quindi della detenzione di massa, come di fronte al
problema della tubercolosi galoppante e
della malnutrizione che colpisce i popoli
a causa del blocco navale, Benedetto mobilita uomini e mezzi, portando il Vaticano sull’orlo della bancarotta. La spesa del
Vaticano in questi anni, per soccorrere i
prigionieri, aiutare le loro famiglie, provvedere agli orfani e alle vedove della guerra... è di circa 82 milioni di lire. Una cifra
immensa, per i tempi (AAVV, Grande guerra: le radici e gli sconfitti. Europei, cattolici, operatori di pace, Il Cerchio, Rimini,
2015; John F. Pollard, Il Papa sconosciuto.
Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, san Paolo, 2001). Distribuita con
assoluta imparzialità, a tutti. Tanto che ad
essergli grati saranno, ben più che gli stati europei, i turchi, rispetto ai quali alcuni
anni prima il papa non ha esitato a stigmatizzare il genocidio degli armeni.
Il pontefice che scontentò tutti in nome della verità.
Mobilitando uomini, mezzi e 82 milioni di lire si curò
degli umili in tempo di guerra. Fino alla bancarotta
La riconoscenza di Istanbul
Nel 1919 un giornale turco, per ringraziare dei “treni del papa” e degli aiuti anche
ai prigionieri turchi, lancia una sottoscrizione, per elevargli una statua da colloca-
a parte al principio dove si parla di Gerusalemme come luogo della manifestazione di Dio, poi si concentra su Roma, perché tutto il mondo è terra di Roma, scrive
Chesterton all’inizio del XX secolo. «L’intuizione del poeta inglese che collega a
Roma il cuore della battaglia fra luce e
tenebre, ordine e caos, vita e morte, esplicita il filo conduttore che accompagna la
cultura cristiana durante i secoli», spiega Pellicciari.
«La Chiesa è romana. L’attacco a Pietro
è a Roma. E Roma, all’epoca è il mondo.
La Chiesa di Roma è sempre stata attaccata nel corso dei secoli e ancora lo è. Ma
qual è la caratteristica che differenzia i
cattolici dall’islam, dal protestantesimo,
dalla massoneria? Che Cristo vince in cro-
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ce. Mentre gli altri vogliono dominare il
mondo, la Chiesa no. La Chiesa sa che Cristo ha vinto in croce, quindi ai suoi fedeli tocca la testimonianza fino al sangue.
San Giovanni Paolo II lo ha fatto fino alla
sua ultima ora. Non si può sottomettere
il mondo se non si domina Roma, perché
lì c’è Pietro. Ci hanno provato i protestanti, i massoni, i comunisti che sono arrivati ad attentare alla vita di Giovanni Paolo
II. L’islam è da 1.500 anni che afferma di
voler conquistare Roma, lo ha dichiarato anche l’Isis. Anche gli jihadisti lo sanno bene: senza sconfiggere Roma e quindi la Chiesa, il mondo non sarà mai sottomesso. Cristo ci ha insegnato che il potere non è la risposta alla vita. E questo insegnamento è più efficace delle spade». n
DI francesco agnolI
P
rimo dicembre 2006, papa Bendetto
XVI, nel suo viaggio apostolico in
Turchia, rende omaggio ad una bella statua, dedicata al suo predecessore,
Benedetto XV. In tempi in cui si rievocano l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra
Mondiale, e il genocidio armeno, entrambi avvenuti esattamente 100 anni orsono,
ricordare chi fu Benedetto XV può essere
molto utile. Anche per saldare il passato,
con il presente, e cioè con le infinite polemiche, non del tutto infondate, ma certo
strumentali e per nulla disinteressate, di
questi giorni sui “soldi del Vaticano”.
Chi è Benedetto XV? Pochi forse lo
ricordano, perchè è difficile immaginare
un papa più sconfitto di lui. Divenuto cardinale nel maggio 1914, solo tre mesi prima della morte di san Pio X, diventa papa
in un momento difficilissimo: la Santa
Sede è del tutto isolata, avendo relazioni
soltanto con tre delle maggiori potenze,
l’Austria, la Russia e la Germania. La Francia, nel 1905, ha rotto le relazioni diplomatiche, mentre i governi italiani fanno l’impossibile per attutire la voce della
Chiesa. Tutto questo mentre l’Europa è in
guerra, in una guerra inaudita, quella che
prepara il terreno ai totalitarismi e al progressivo decadimento dell’Europa. Benedetto XV ha chiaro che il conflitto in corso è del tutto sbagliato, senza possibilità
di uscita: non crede affatto che sarà breve,
come pensano in tanti; si accorge presto
che sarà terribile, anche per la comparsa
di nuove armi di distruzione di massa. La
guerra di Bendetto XV alla guerra comincia subito, ma anche l’isolamento è immediato: la sua preghiera per la pace, scritta
nel gennaio 1915 in Francia viene sequestrata, mentre in Italia può essere letta soltanto all’interno delle chiese. Si prefigura quanto accadrà nella Seconda Guerra
Mondiale con la censura delle encicliche
contro nazismo e comunismo.
L’Europa si sta autodistruggendo, ma
la Chiesa non deve “ingerirsi”. Il mito dello Stato “libero” dalla morale e dalla Chiesa mostra così il suo volto più vero. Nel
patto di Londra, quello con cui il governo italiano si impegna ad entrare in guerra a fianco degli inglesi, in cambio di terre
che non riceverà, senza il previo consenso
del parlamento, viene inserito l’articolo 15
che impone di non permettere al papa di
partecipare ad alcuna trattativa diplomatica futura. Che non sia mai che la sua voce
acquisti forza, o che il suo intervento plachi la contesa. Anche il tentativo di Benedetto XV di fermare l’entrata in guerra
dell’Italia, convincendo Francesco Giuseppe a cedere dei territori, per togliere all’Italia ogni casus belli, fallisce. All’interno
della Chiesa un po’ di sacerdoti e vescovi
non comprendono la posizione della Santa Sede e si arruolano nella guerra “santa”
dei nazionalismi atei. È un paradosso della
modernità: scartato Dio, si creano gli idoli (la Nazione, lo Stato, La Razza, la Classe
sociale). Ma non tutti i cattolici lo capiscono, e il papa deve soffrire anche per questo.
Intanto, mentre i vari stati tentano di
tirare Benedetto XV per la tonaca, invitandolo a riconoscere e denunciare le colpe
dei loro avversari, Benedetto, pur capendo di scontentare tutti, afferma sempre la
verità: accanto alle colpe degli uni, ricorda
anche quelle degli altri. I tedeschi fanno la
LA spEsA dEL VAtIcANo pER soccoRRERE I pRIgIoNIERI,
pRoVVEdERE AgLI oRfANI E ALLE VEdoVE è dI cIRcA 82
MILIoNI dI LIRE. dIstRIbuItI coN AssoLutA IMpARzIALItà
guerra sottomarina? Sì, ma anche gli inglesi cessino il blocco navale ai danni dei tedeschi... Così, nel 1917, la sua famosa ed ennesima denuncia dell’“inutile strage” – con
annesso piano per una pace futura “giusta
e duratura”, ben più intelligente di quella che pianificheranno i vincitori a Parigi,
aprendo le porte al Secondo conflitto mondiale –, diventa pretesto per l’ennesima
accusa: nessuno ha ancora vinto la guerra,
nessuno vuole rinunciare a eventuali bottini, per cui il papa diventa il sabotatore,
colui che prende le parti dei tedeschi, per
gli americani, degli americani e dei loro
alleati, per i tedeschi. In Italia Benedetto
viene persino accusato di “disfattismo” e
di essere la causa della sconfitta di Caporetto: diventa così “Maledetto XV”.
Solo e sconfitto, dunque, in mezzo alla
devastazione, Benedetto non è però solo
un uomo lungimirante e un grande lotta-
re nel centro di Istanbul. Il sultano, il sindaco della città, e tante personalità islamiche aderiscono. Così nel 1921 Benedetto XV, ancora vivente, viene immortalato con una grande statua che lo raffigura con la mano tesa per fermare i massacri. Sul piedistallo di questa statua, quella
stessa onorata da Benedetto XVI nel 2006,
una scritta eloquente: “Al grande Pontefice della tragedia mondiale, Benedetto XV,
benefattore dei popoli, senza distinzione di nazionalità o religione, in segno di
riconoscenza, l’Oriente”.
Qualche riconoscimento giunge, per
quanto tardi, anche dall’Occidente: Inghilterra e Francia, per esempio, riallacciarono le relazioni diplomatiche con la Santa
Sede, dopo oltre tre secoli la prima, dopo
circa 15 anni di interruzione e le continue
invettive pronunciate durante il conflitto
contro “Le Pape boche”, la seconda.
n
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boris
godunov
L’inTErFErEnZA PoCo uMAniTAriA dEL PrEsidEnTE
Se Mattarella si schiera con
i poteri forti contro i deboli.
Il caso Popolare di Spoleto
|
di rEnATo FArinA
b
oris desidera rivolgere una quieta domanda al presidente della Repubblica. Non sulle sorti della democrazia. Ma su
quelle più banali e però più decisive della pari dignità delle persone sotto l’identico manto della Costituzione italiana, che
tocca proprio al capo dello Stato garantire.
È accaduto nei giorni scorsi che Sergio Mattarella abbia difeso la Banca d’Italia. Buona cosa, bisogna preservare le istituzioni, specie quelle su cui si fonda la fiducia dei famosi mercati che se no ci strozzano. C’è un però. E riguarda la circostanza e
il significato che tutti hanno inteso dare al gesto. A Boris è parsa una interferenza poco umanitaria in una guerra giudiziaria e
di potere, dove il capo dello Stato nonché presidente del Consiglio superiore della magistratura ha scelto una parte, e non proprio quella più debole.
La vicenda riguarda la Banca popolare di Spoleto. A questo
nome Boris è legato per via di un amico tragicamente scomparso
che vi aveva un ruolo nel Consiglio di amministrazione e difese
la Bps da intromissioni a suo giudizio indebite di giganti cannibali. Si tratta di Stefano Patacconi, riminese, inventore di un turismo di tipo nuovo dalla Finlandia alla Romagna, e poi editore
di Libero. Nell’ottobre nel 2001 conobbi al suo funerale il leader
popolare di questa banca popolare, un omone di nome Giovannino Antonini. Una cosa sola con la banca e con il suo popolo e i
suoi amici. Uno come tipo umano lontanissimo dalla crème delle crème del potere finanziario.
Accadde questo. Che la vigilanza di Banca d’Italia mise sotto
osservazione questo istituto fino a commissariarlo. Trovò manchevolezze, buchi, disastri. Almeno così stabilì, e provvide a cacciare gli amministratori eletti dagli azionisti popolari (21 mila).
Che succede? Antonini si ribella. Sostiene che i numeri dicono
tutt’altro della sua banca, e che non merita di essere considerata
ammalata di peste. Anzi sostiene che è sanissima, un fiorellino
in un prato devastato. Non viene creduto. Dopo di che il commissario decide di cedere la Bps al Banco di Desio. Per quattro soldi,
dicono i 21 mila azionisti, che si ritengono defraudati. Tanto più
che c’era un’offerta molto più remunerativa.
Per due volte il Consiglio di Stato dà ragione ai vecchi soci
defenestrati, capeggiati dall’indomito Antonini. La Cassazione
QuELLE PAroLE suLLA «PrEZiosA E
FondAMEnTALE AZionE di vigiLAnZA
dELLA bAnCA d’iTALiA» PronunCiATE
dAL CAPo dELLo sTATo nonChé
PrEsidEnTE dEL CsM sono sEMbrATE
unA disCEsA in TrinCEA in unA
guErrA giudiZiAriA E di PoTErE
della giustizia amministrativa, inappellabile, dice che il commissariamento non doveva esserci e dichiara nulli tutti gli atti
deliberati dal commissario di Bankitalia.
Giornali e costituzionalisti a ruota
La cosa non finisce lì. C’è una pratica giudiziaria. Infatti Antonini e i suoi hanno denunciato il presunto abuso, e la procura ha
iscritto nell’albo degli indagati il governatore della Banca d’Italia,
Ignazio Visco. Vale la presunzione di innocenza. Ovvio. Appena la
notizia si è risaputa, ecco la parola di Mattarella, che non ci vuole
molto a capire che va oltre la difesa dell’istituzione e diventa una
sorta di immunità garantita ai vertici di Bankitalia. Ha giudicato
«preziosa e fondamentale (l’)azione di vigilanza della Banca d’Italia». In sequenza immediata un articolo del Sole 24 Ore entra nello specifico del commissariamento della Bps e decide che era giusto alla faccia del Consiglio di Stato. Indi Giovanni Maria Flick, ex
presidente della Corte costituzionale, il 6 novembre sul Corriere
della Sera esalta, proprio citando la vicenda Bps, il ruolo di Banca
d’Italia. Tutti al seguito del capo dello Stato.
Intanto c’è una pratica di giustizia amministrativa in arrivo: al Consiglio di Stato tocca stabilire le conseguenze delle sue
prime due decisioni. La Bps torna a casa o resta dove volle Bankitalia? Dopo il pronunciamento di pesi massimi qualche dubbio
che i poteri forti si siano seduti sopra i poteri piccoli c’è tutto. E
Boris per sua natura preferisce chi ha poco potere. La domanda
al capo dello Stato è: per favore dica che è fondamentale anche
il diritto dei piccoli di far valere i loro diritti, e che il capo dello
Stato è con Banca d’Italia ma anche con chi conta poco o niente.
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socIetà
diStopia e realtà
la morte moderna
di carl-Henning
Wijkmark è stato
pubblicato per la prima
volta nel 1978. In
Italia è stato tradotto
da Iperborea nel 2008
(128 pp. 11 euro)
|
DI emanuele boffI
L’eutanasia
ci rende
tutti uguali
Un romanzo del 1978 descrive una Svezia dove
la morte è asettica e inodore, “liberamente
obbligatoria” per anziani e improduttivi.
Un mondo dove crisi economica e demografica
sono risolte in modo pratico, razionale, spietato
I
La morte moderna di
Carl-Henning Wijkmark hanno tutto per piacerci. È gente raffinata
ma pragmatica, elegante senza spocchia,
intelligente senza presunzione. Soprattutto, è gente che è seriamente impegnata nel risolvere un problema senza troppe
fantasticherie per il capo e dedita a trovare soluzioni razionali, plausibili ed efficaci ad un dilemma di ostica soluzione. Ci
sarrebbe quasi da ringraziarli.
Quando nel 1978 Wijkmark diede alle
stampe il suo volume immaginò un simposio a porte chiuse dove eruditi di varie
discipline si ritrovavano per discutere della «fase terminale della vita umana». Convocati dagli esperti del comitato ministeriale Fater in un centro congressi sullo
stretto di Oresund in Svezia, filosofi, teologi, biologi e chimici dovevano fornire
suggerimenti e soluzioni per uscire dal-
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personaggi de
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la crisi economica che ormai durava «da
dodici anni». Una crisi che già sul finire
degli anni Settanta, Wijkmark descriveva con sagace capacità profetica: al mondo c’erano troppi anziani e pochi bambini, ergo la piramide demografica tendeva
verso la figura del fungo con una percentuale di popolazione attiva infinitamente
inferiore a quella inattiva, composta da
pensionati e non autosufficienti. In più,
essendo reduci ormai da anni di martellamento mediatico sulla necessità di vivere secondo modelli di fitness, i cosiddetti
vecchi erano persone in gamba e in salute con prospettive di vita che superavano
gli ottant’anni. Conseguenze? Disoccupazione, spesa per il welfare fuori controllo, tassazione alle stelle. Così, dicono gli
esperti del romanzo, non si può più andare avanti. Occorre una riforma radicale che metta in ordine le cose. Occorre
Roger de la Fresnaye,
L’ammalata, 1912,
olio e matita su carta
non trattata, Centre
Pompidou, Parigi.
Nella pagina
seguente, Edouard
Vuillard, Il bambino
malato, 1892, olio
su tela, coll. privata
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abbattere un «vecchio tabù che si chiama rispetto della vita umana» e far sì che
«il concetto di qualità della vita» sia interpretato «nel senso che vite diverse hanno
diverso valore. Il valore di una vita dev’essere calcolato in primo luogo in termini economici e sociali». In altre parole,
«abbiamo bisogno di più morti, per dirla
in maniera brutale». Ma poiché «morire
è considerato innaturale» ed esiste ancora l’ostinata idea della sacralità della vita,
occorre trovare una strategia comunicativa che presenti l’eutanasia non come
qualcosa di traumatico, ma come l’ordinaria, ovvia e naturale conclusione
dell’esistenza. In fondo, se «nasciamo tutti alla stessa età, perché non dovremmo
morire tutti alla stessa età?».
Come addormentarsi
Quando Wijkmark immaginò il suo congresso di luminari le faccende umane
non andavano molto diversamente da
oggi. Anche oggi, come allora, essendo
passata l’età delle «norme assolute, quando non c’è più nessun dio che le possa
garantire», si tratta di essere seri, pragmatici, efficaci. È un imperativo che si pone
per chi si occupi dello Stato: far quadrare i conti. Dunque nel fu paradiso svedese si trattava di continuare a occuparsi
dei propri cittadini dalla culla alla tomba, solo anticipando la tomba di qualche
anno. Per il bene di tutti, beninteso.
Nel romanzo gli esperti di Fater prendono la parola animati dalla stella polare
dell’utilità, avendo ormai constatato che
antiche parole come “sacralità”, “assoluto”, “intangibilità” sono retaggi del passato, inadatti a fare i conti (letteralmente, economicamente) col presente. «Ciò
che si vuole è produzione, non civiltà.
Cose, non esseri umani», dice un personaggio. D’altronde, se si è riusciti a far
accettare la pianificazione delle nascite
attraverso l’aborto, cosa osta alla pianificazione dei decessi? L’unico problema è
“comunicare” adeguatamente l’idea della morte moderna. Essa non deve apparire come un’imposizione, ma come una
libera scelta. La soppressione del malato
cronico, dell’incurabile, dell’improduttivo, del down non deve essere vista come
la liquidazione dell’innocente, ma come
l’inevitabile sacrificio dell’uno inutile per
il bene dei molti sani: «La società assume
o completa la funzione rassicurante della
religione». Morire deve diventare «come
addormentarsi dopo una lunga giornata di lavoro».
I vantaggi? Straordinari, e sotto molteplici punti di vista. Con l’«obbligo volon20
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gli stati vegetativi
via CruCis
«Ero anch’io come
Laura, sono stata
anch’io come lei».
Iniziava così la lettera
aperta che in giugno
la giornalista e scrittrice Milly Gualteroni
aveva scritto su
tempi.it rivolgendosi a
Laura, ragazza belga
depressa che aveva
chiesto l’eutanasia.
È notizia di questi
giorni che Laura ci ha
ripensato e non vuole
più morire. Ed è sempre notizia di questi
giorni che Milly ha
mandato alle stampe
la sua autobiografia,
Strappata all’abisso
(Ares), in cui racconta
senza infingimenti e
con grande coraggio
la sua vita. Un libro
duro, a tratti spietato,
in cui la giornalista
narra la propria
esistenza, all’apparenza gratificante, in
realtà drammatica:
depressione, psicofarmaci, vari tentativi di
suicidio. Una vita di
tormenti e demoni,
ma anche di riscatto.
Non solo grazie alla
scienza, ma anche per
il contributo fondamentale che la fede
ha saputo dare a questa donna. Strappata
all’abisso è una Via
Crucis, che ricorda
a tutti che dopo
ogni passione può
già esserci – qui ed
ora – un anticipo di
resurrezione. Il volume sarà presentato il
27 novembre a Como
con Vittorio Messori
(Centro Cardinal
Ferrari, ore 20.45).
Attaccati
alla vita
Vegetali non “degni di vivere”? Giro nelle loro
stanze al Don Orione di Bergamo, dove si vede
in atto una realtà preziosa anche per i “sani”
N
rico con il nazismo, ma «per quanto tempo dovremo ancora negare che Hitler aveva pure parecchie buone idee che hanno
un ruolo anche nella nostra società? Perché non si dovrebbe poter parlare di controllo dell’età o controllo delle morti, se
si vuole, come si parla di controllo delle nascite?».
strAppAtA
All’Abisso
Autore M. Gualteroni
Editore
Ares
Pagine
216
Prezzo
13 euro
tario» a morire si troverebbe il punto di
equilibrio tra giovani e vecchi, il paese tornerebbe a prosperare, ci sarebbe
lavoro per tutti. Ma per farlo, premettono i luminari del Fater, bisognerebbe
abbandonare la vecchia strategia di alcuni gruppi che hanno presentato la dolce morte come una decisione individuale e personale, limitandone l’accesso a
uno sparuto gruppo. Occorre, invece, che
sia l’ente statale a pianificare una “fine
democratica” uguale per tutti (esclusi gli
handicappati, ovvio, essendo unanime
l’opinione che essi sono inutili e basta).
Certo, c’è quel fastidioso paragone sto-
Centro di riciclaggio
Non solo. Nella Svezia prospettata da Wijkmark si ha il coraggio di spingersi un
po’ più in là. Poiché è ormai accettata
l’idea secondo cui è lecito trasferire arti
umani da persona a persona attraverso
i trapianti, e il sangue attraverso le trasfusioni, perché non organizzare il paese come un enorme centro di riciclaggio?
Il corpo del morto di chi è, se non dello
Stato? Essendo ormai comune la cremazione ed essendo rimasti solo pochi cattolici («che non saranno un problema»)
a chiedere l’inumazione, perché non creare una filiera che permetta la raccolta
degli organi dei defunti affinché possano
tornare utili? Perché non fare in modo
che «la morte diventi produttiva» e «crei
posti di lavoro», tra l’altro con un ottimo risparmio energetico e basso impatto
ambientale? Sarebbe «una vera miniera
d’oro per la creazione di medicinali, concimi e mangimi». Come dice il responsabile di Fater: «Questa morte asettica e inodore nella cella frigorifera della stazione
terminale non è forse la morte moderna nel vero senso della parola? E tutti
seguiamo lo stesso cammino, non alcuni nelle fiamme e altri nella terra. Macinati, ridotti in polvere fine, saremo sparsi sui vasti campi della società e le daremo nutrimento. Non è una visione più
gradevole e più ricca di senso che non la
distruzione attraverso il fuoco o la lenta
putrefazione?».
Dinamica e flessibile
A quasi quarant’anni dalla sua pubblicazione, la distopia di Wijkmark non si è
realizzata. Il discorso intorno all’eutanasia passa ancora oggi attraverso i criteri
di scelta “consapevole, libera e individuale”, come ci dicono i suoi sostenitori. Ma,
a parte il fatto che permetterla ingenera
delle conseguenze (a chiederla non sono
solo più i malati terminali, ma anche i
depressi e i sani infelici), il punto interessante de La morte moderna è di aver illustrato le basi del ragionamento eutanasico. Che essa sia “individuale” o “sociale”,
resta il fatto che la premessa per la sua
attuazione è che «l’etica non sia fissa, ma
dinamica e flessibile». Se tutto è uguale e
niente ha valore – se non un valore calcolabile a seconda della convenienza della maggioranza – è solo una questione
di modus operandi. Per il resto, si tratta solo di uccidere qualcuno senza fargli
troppo male.
n
on guariscono, non tornano ad
essere produttivi e non ringraziano.
Sono gli uomini e le donne che
abitano i nuclei specializzati per “persone in veglia non responsiva”, o come i
media più prosaicamente indicano, sono
gli “stati vegetativi”. Essi però, a differenza di quanto la vulgata tende a raccontare
non sono attaccati ad alcuna macchina,
hanno semplicemente un tubicino nello
stomaco collegato a un flacone di nutrimento. Il loro respiro e le funzioni cardiache e digerenti sono autonome. Sono
incapaci di deglutire ma hanno periodi di sonno e di veglia. Non paiono avere
un contenuto di coscienza, ma su questo
punto anche la scienza più avveduta ha
dismesso certezze incontrovertibili e definitive. Non si può parlare di loro come
ammalati, sono disabili gravi che pongono problematiche assistenziali a bassissimo contenuto tecnologico, ma ad alto
impatto umano.
Quanto può essere frustrante per operatori e medici, avere tutti i giorni a che
fare con soggetti che non manifestano
alcun tipo di reazione, che sostano in un
letto o in una carrozzina senza palesare
presenza o ascolto? Che pena deve essere vedere ogni giorno entrare in struttura padri, mogli e figli, in attesa di un
segno dal proprio caro che li possa sollevare dall’indeterminatezza di una presente assenza?
Queste alcune delle tante domande
che spesso infermieri, fisioterapisti e dottori, si sono sentiti porre, in buona fede,
da colleghi e amici e che i media, con ben
più intraprendenza, hanno tradotto con
la classica formula: “Ha senso vivere così?
Non sarebbe più dignitoso, per loro, per
i parenti e per gli operatori stessi, introdurre la possibilità della “dolce morte”
che renderebbe tutti più liberi?”.
Ebbene, a queste domande il dottor
Giovanni Battista Guizzetti, responsabi-
le del nucleo specializzato al Don Orione
di Bergamo, così come i fisioterapisti, gli
infermieri e le Oss della stessa struttura, o
del Carsima di Bergamo e dell’Ovidio Cerruti di Capriate, rispondono con la semplicità dell’esperienza diretta, raccontando che nelle stanze, nell’androne di ricevimento, nella sala del tè per i parenti o
nei giardini antistanti gli ingressi, non
esistono patologie ma individui, ognuno con la propria irrinunciabile unicità. È vero, la condizione di stato vegetativo può trovare una sua esplicitazione
dentro una formula medica, ma nessun
paziente è uguale ad un altro. In ognuno,
esiste e permane una soggettività particolare e insopprimibile, mai statica, o definibile temporalmente come immutabile. Le lunghe cure decennali, anzi, aprono lo spazio a scenari del tutto impossibili da prevedere.
Impossibile non salutarli
Visti dall’esterno o attraverso i resoconti delle statistiche, essi divengono dati
e numeri privi di pathos emotivo e attinenza al reale. Questo tipo di riduzionismo, che è diventato pensiero comune,
contrasta inevitabilmente e senza pietà
con il vissuto reale e concreto di chiunque si ritrovi ad entrare in un reparto,
come familiare o semplice osservatore,
di una struttura di accoglienza, assistenza e riabilitazione.
Angelo, Silvia, Leonardo non sono gli
“stati vegetativi” raccontati dai media
o dati statistici da inserire in una ricerca universitaria, ma persone. Davanti a
loro non puoi che vivere la tua limitatezza. Impossibile non salutarli, volgere loro
quella carezza che stringe gli individui
dentro il grande contenitore dell’umana
società. Per capirlo è sufficiente abbandonare le tesi precostituite che ne hanno
disegnato un profilo falso affidandosi alla
realtà, entrando nelle loro stanze.
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società distopia e realtà
Ognuno di loro viene chiamato per ficoltà, le esigenze e le mancanze. Stanno che richiamano ognuno alla semplicità
nome. Il termine “vegetativo”, che se a loro accanto, entrano in relazione, cer- del quotidiano.
livello clinico ha un suo significato strut- cando di colmare vuoti e di aggiungere
Un buon lavoro di équipe è imprescinturale, trasferito in un contesto antropo- carezze, di fornire appoggi su cui ridefi- dibile per la qualità dell’assistenza intesa
logico e soprattutto traslato nel linguag- nire il passo, perché un figlio che tutti i nel suo contesto complessivo. Così, in un
gio comune, rischia di insinuare l’idea giorni va a trovare un padre in un letto di reparto di questo tipo, non sono imporche il paziente in stato vegetativo, appun- una struttura per stati vegetativi, ha biso- tanti solo i medici, ma anche l’Oss, figura
to, possa in qualche modo perdere la sua gno di percepire che non è solo davanti a cruciale, attenta ai bisogni primari, come
dignità ontologica di essere umano e quella sofferenza che non ha nome.
l’igiene del corpo e in generale il benesdivenire una specie di “vegetale”.
sere fisico e psichico, parte integrante
Ogni giorno per mobilizzare uno di cambio di prospettiva
dell’accudimento in senso lato, il fisiotequesti ospiti, cioè per alzarli dal letto, Ecco perché un buon reparto per perso- rapista per una terapia di mobilizzazione
lavarli, vestirli e metterli in carrozzina, ne che vivono in queste condizioni non passiva che controlla gli aspetti posturali,
servono due infermieri per poco meno si identifica con la presenza di “mac- e la psicologa, a servizio dei familiari, per
di un’ora, singolarmente. E visto che non chinari” particolarmente complessi, ben- monitorare il loro stato emotivo, ricostruhanno a che fare con “vegetali”, pezzi di sì attraverso l’operosità di un persona- ire la storia della persona in stato vegetalegno o carote, li accarezzano, parlano le esperto, addestrato alla cura di que- tivo e del suo contesto sociale.
con loro, cercano quotidianamente di sti- sto tipo di pazienti. Il vero impegno per
La vita per chiunque si ritrovi ad avere
molarli con messaggi che, di certo, ven- coloro che devono assisterli, si sostanzia a che fare con un proprio caro in questa
gono recepiti dal sistema nervoso. Scelgo- da un lato, nella prevenzione dei dan- situazione si riposiziona, cambia di prono gli abiti, li pettinano, hanno
spettiva, muta la dimensione del
cura di loro con la passione che
tempo, e l’intensità delle relazio«In questI repartI regna
si ha per i vivi. Se c’è qualcosa di
ni. Il dottor Guizzetti lo afferma
indegno in tutto questo è pensaun rIspetto alto per la vIta, senza mezzi termini: «Qui nesre che possano vivere l’abbandosuno è attaccato alle macchine.
e glI operatorI CerCano
no terapeutico.
L’unica cosa a cui sono attaccate
L’équipe del nucleo dell’Oviqueste persone è alla vita. In quedI dare un “senso altro”
dio Cerruti di Capriate lo specisti reparti regna un rispetto alto
a tutto quello Che Fanno.
fica con chiarezza: «Noi ci comper la vita, e gli operatori cercaportiamo come se loro fossero
di dare un “senso altro” a tutI parentI sI aIutano tra loro. no
i residenti e noi operatori solto quello che fanno. Nei silenzi,
tanto ospiti. E di fatto è così,
carichi di sofferenza, dei familiae sI aIutano aIutandosI»
loro stanno qui sempre. Per ogni
ri e degli amici si respira il bisomedico, infermiere, Oss o volontario, la ni terziari, come i decubiti, le retrazio- gno di essere accolti nel dolore. Qui tutto
struttura è luogo di lavoro, di passione e ni muscolo-tendinee e le infezioni bron- ha un effetto amplificato e non lo si può
di investimento, ma a fine giornata ognu- co-polmonari e, dall’altro, dall’elevato dimenticare. I parenti si aiutano tra loro.
no di noi torna alla propria sfera privata, impegno umano che queste “attenzio- E si aiutano aiutandosi».
mentre i pazienti e le loro famiglie ci abi- ni” richiedono. A monte di tutto, però,
Le parole di Marisa, madre di un
tano nella dimensione più intima e pro- deve sussistere un presupposto essenzia- ragazzo in stato vegetativo da tre anni,
fonda, facendone una stanza di casa».
le, ossia una predisposizione all’ascolto rappresentano la ragione più profonda
Insomma, per quanto l’osservatore totale, una dedizione umana ed una par- per chiunque svolga la propria professiodistaccato possa faticare a comprendere ticolare partecipazione emotiva.
ne all’interno di questi reparti: «Ho avuquesta dinamica, non si è mai soli denAlla base di ogni procedura e nell’at- to la grande fortuna di trovare persone
tro una stanza. Appese al muro, poiché la teggiamento di ogni operatore sussiste splendide, operatori che a livelli diversi
degenza è prolungata, compaiono le foto pertanto la piena consapevolezza che salvano dal deserto in cui spesso le famidi una vita, i poster della squadra di cal- l’azione che si mette in campo, tocca la glie sono lasciate. Operatori che difendocio, o del cantante preferito.
complessità della vita di ogni individuo no la vita, come sorgenti d’acqua, non
«Ci si prende cura della persona sem- che incontra, sia l’ospite che il suo pros- solo di chi è ricoverato, ma anche di noi
pre, anche quando essa non può più gua- simo.
parenti».
rire», ripetono gli operatori che svolgono
Ecco perché, per paradosso, si può
Gli operatori insieme alle mamme
tutti i giorni il loro lavoro non solo con lavano corpi e riassettano biancheria, ben dire che in un nucleo per stati vegegli ospiti ma anche con parenti, amici e massaggiano gambe e innaffiano piante. tativi, “gli stati vegetativi non esistono”.
familiari. Ne conoscono gli umori e le dif- La giornata è scandita da tanti piccoli riti
Fabio Cavallari
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Società RITORNARE A VIVERE
la dipendenza
che ti salva
rente, vietando i rapporti affettivi di coppia. Due ragazzi passati di qui si sposeranno a breve: abbiamo lasciato che educassero il loro amore nella comunione con le
persone e nei compiti lavorativi richiesti
loro. Non sono follie da cattolici integralisti, come dice qualcuno, ma di chi sa che
anche l’amore per crescere forte ha bisogno di argini, di avere come orizzonte il
servizio al mondo.
Nel libro raccontate la vicenda di una
donna, prima incapace di affrontare i
problemi, a cui avete insegnato «che
basta un tetto sulla testa e dell’acqua
per vivere». Cosa dice questo al mondo?
La ricetta antidroga della cooperativa Pars: «Regole,
lavoro, vita di comunità. E un cuore che non cerca
compromessi». Il racconto del responsabile Berdini
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DI BENEDETTA FRIGERIO
S
e Gianfranco si è salvato dalla droGa «è stato grazie alle loro rigidità, perché ti fan-
no capire quello che è giusto e quello che è sbagliato». È così che la comunità
terapeutica Pars di Civitanova Marche ha salvato tanti giovani dalle dipendenze,
perché qui «i mille compromessi dell’arte del galleggiamento nel mondo sociale, semplicemente non esistono». Per questo motivo, José Berdini e gli altri responsabili della comunità hanno deciso di pubblicare Il miele e la neve. Il ritorno di chi si era perso, l’avventura della Pars e di dare la propria disponibilità a presentare il libro ovunque: «Racconta la nostra esperienza, speriamo possa ripetersi», spiega Berdini a Tempi.
Nel libro emerge che il problema delle dipendenze è molto diffuso tra chi ha vissuto
squilibri familiari. E scrivete: «Se c’è vero recupero questo deve avvenire con tutto, in
primo luogo con i propri genitori. È il recupero del prestigio del padre a costituire uno
degli obiettivi centrali del percorso di riabilitazione».
È un dato di fatto che conferma che uomo e donna sono creati per completarsi e
vivere una certa dipendenza, affinché possa generarsi un ambiente capace di crescere
ed educare persone forti. Se uno dei due o entrambi i genitori, anche solo per un periodo di tempo in un’età fondamentale per la crescita del figlio, non svolgono il proprio
compito, accade che, a quella mancanza di dipendenza, i figli suppliscano cercandone
un’altra, che magari è nociva. Così il fenomeno della droga dilaga in mezzo a queste
fragilità. Il mercato offre queste sostanze
come soluzione sostitutiva e ingannevo- «Noi chiediamo taNto
le, come paradiso artificiale all’assenza di e ciò che chiediamo lo
significato. Significato raggiungibile solo
viviamo per primi. SpeSSo
nel legame con qualcuno.
Come vi ponete di fronte alla mancanza
denunciata da tanti giovani?
Di certo non giustificandola o esaltandola come fosse un valore in sé. O come
qualcuno ha fatto parlando del suicidio
di Amy Winehouse. Serve responsabilizzare le persone, insegnando loro l’impegno con la realtà, che va riempita e mani24
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i geNitori domaNdaNo
poco perché NoN SoNo
diSpoSti a coNdividere
taNto. l’eSperieNza della
comuNità mette tutti
di froNte a uN impeto
ideale viSSuto iNSieme»
polata a partire da una presenza positiva.
Altrimenti si avalla un pietismo giustificativo che fa rimanere piegati su di sé e
non aiuta nessuno.
Prima della Pars è nata la fraternità san
Michele. Come mai dal desiderio di una
vita in comune è sorta una comunità terapeutica?
Io per primo sono uscito dal mondo della droga, ma anche gli altri membri della fraternità hanno storie di conversione forti. Insieme volevamo e vogliamo cambiare il mondo: l’incontro con
don Pierino Gelmini e don Luigi Giussani ci ha fatto capire che le nostre esperienze avevano generato perché condivise. Intuimmo così che se i singoli non si
legano, anche l’esistenza più talentuosa
o il cambiamento più radicale non danno frutti duraturi. In una società in cui
il bene e il male sono confusi e dove gli
individui sono isolati, noi desideravamo
e desideriamo ospitare ogni aspetto della realtà. Quando don Gelmini ci chiese
di accompagnare le persone uscite dalla
sua comunità terapeutica e don Giussani
ci appoggiò, fu la conferma di ciò che già
presentivamo.
Cosa vi differenzia dalle altre realtà?
Oggi molte delle grandi comunità storiche, incentrate sul carisma del fondato-
re, sono in crisi. Perché? Come spieghiamo ai ragazzi, la comunità non è per i
malati, ma è una dimensione necessaria
a tutti, noi compresi. Altrimenti, una volta venuto meno il carisma, si fatica a procedere. La solidarietà nei confronti di chi
si accoglie deve essere per se stessi innanzitutto: più governi una grossa realtà più
hai bisogno di richiami e consigli. Senza
meriti abbiamo ricevuto una grande grazia, una comunione stringente, che salva
noi, le famiglie che sosteniamo e l’opera
dalla tentazione dell’autoreferenzialità.
Spesso i genitori, per paura di perdere
i figli, preferiscono assecondarli. Voi
siete convinti che la disciplina e le regole siano un bene per la persona, anche quando non sono comprese. Non è
un’imposizione contraria alla libertà?
Le regole sono necessarie non solo
qui, ma ovunque. Sono l’argine al caos,
affinché il desiderio umano possa compiersi e non disperdersi. Bisogna proporre una strada, una vita ordinata è condizione necessaria alla guarigione. Spesso
arrivano genitori a cui gli psicologi hanno detto che per uscire dalla droga occorre prima curare la depressione: è falso! Di
fronte alla gente devastata, il primo passo
è mettere a tema la dipendenza e cambiare stile di vita. Per lo stesso motivo, ripeto
ciò che ha detto papa Francesco: «La droga non si vince con la droga, le droghe
sostitutive sono un modo velato di arrendersi al problema». L’approccio della riduzione del danno è sbagliata. Questa idea
per cui i farmaci sostituiscono la droga,
è deleteria. Il problema non si combatte
solo col farmaco ma anche con le regole,
il lavoro e la vita di comunità.
Qual è la funzione della comunità?
Costringe la persona a svegliarsi dal
torpore che per anni l’ha contraddistinta.
Noi chiediamo tanto, per raccogliere quel
poco che nel tempo può diventare molto. E ciò che chiediamo a loro, lo viviamo
anche noi. Spesso i genitori domandano
poco perché non sono disposti a condividere tanto. L’esperienza della comunità,
invece, mette tutti di fronte a un impeto ideale vissuto insieme. Non che non
ci siano rischi: questa mattina, ad esempio, in uno dei nostri centri in cui i membri sono più obbedienti, una ragazza con
un passato di violenze ha confessato a un
educatore che vorrebbe avere esperienze
sessuali con tutti. Significa che sta vivendo la comunità formalmente. Le regole
sono necessarie ma non bastano, serve
un cuore che non si accontenti, un cuore vivo e impegnato a ricercare la felicità. Anche per questo andiamo contro cor-
Al mondo vogliamo dire che è possibile che una alcolizzata, irosa e devastata, arrivi a condurre un’attività in proprio. Questa donna, prima di arrivare alla
Pars, era passata da uno dei tanti centri
dove si fanno ore di psicoterapia, senza
alcun tipo di proposte educative e lavorative. Ecco perché descrive la Pars come un
luogo che l’ha colpita, l’ha fatta soffrire,
ma l’ha fatta rinascere. Questa storia è un
incitamento al mondo intero, alla Chiesa,
ai giornalisti. Non è possibile misurarsi
con queste vicende e lasciare immutate le
politiche sulla droga. Non si può pensare
a chi vive la dipendenza come a un malato cronico senza commettere un delitto. E
poi: mantenere i malati anziché curarli è
antieconomico.
Oltre alle regole e al lavoro, vivete momenti di festa. Nel villaggio della fraternità san Michele c’è addirittura una
casa di sacerdoti. Come mai?
Non siamo una comunità chiusa.
Vogliamo conoscere il mondo per incidere su di esso. L’idea di pubblicare questo libro nasce dal desiderio di incontrare nuove persone, che possano rimanere colpite come noi dalla forza della vita
di comunione. Ecco perché abbiamo un
sito (pars.it) e siamo disposti a girare l’Italia per la presentazione del libro: affinché questa esperienza si moltiplichi e la
comunità possa essere vissuta come una
rinascita continua.
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VOSTRO ONORE
MI OPPONGO
DA PALERMO A ROMA
Molto spettacolo per nessuna
giustizia. La tragica aleatorietà
dei processi per mafia in Italia
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DI MAURIZIO TORTORELLA
D
condanna (arrivata quasi un anno dopo
l’emersione dell’inchiesta) pare conferdiziaria italiana. Ti fanno capire che in questo Paese la giurisdizione di primare l’impianto accusatorio, che pure è
mo grado, ormai, è davvero appesa a un filo. Hai il 50 per cento di possibistato duramente criticato da chi sostiene
lità: ti va bene, ti va male. Poi c’è il processo d’appello, la Cassazione, il tempo che
che l’associazione criminale che gravitapassa. La vita che sfugge.
va attorno a Salvatore Buzzi e a Massimo
Gran parte della vita, per l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, è
Carminati non possa essere neppure lontrascorsa proprio nei tribunali della Sicilia: il 4 novembre una giudice palermitatanamente paragonata alla mafia. Non
na l’ha assolto per l’ennesima volta per non avere commesso il fatto in un procesci sono le pistole, l’omertà, l’organizzaso abbreviato (che in realtà è durato la bellezza di 23 mesi!), stralciato dal procezione verticistica, il vincolo associativo…
dimento-monstre sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. Lì gli imputati sono
Leggeremo le motivazioni. Poi si vedrà
una decina tra capimafia, ex ufficiali dei carabinieri e politici, accusati di avere
nel “processone”, con gli altri imputati. E
negoziato la fine delle bombe mafiose in cambio di un alleggerimento del regisi vedrà anche che cosa accadrà in appelme del carcere duro, il famoso “41 bis”. I critici sono convinti che quello di Palerlo e in Cassazione.
mo, avviato dall’ex pm Antonio Ingroia,
sia in realtà un processo più storiografico
L’ASSOLUZIONE (L’ENNESIMA) DI MANNINO
Una mano di poker
che penale. Per Mannino la Procura avePER LA “TRATTATIVA” E LA cONDANNA DI
va chiesto 9 anni di reclusione: lo accuMa vogliamo dirla tutta?
GAMMUTO PER MAfIA cAPITALE LAScIANO Questa giustizia all’itasava di avere fatto pressioni nel 1992 sui
carabinieri del Ros perché avviassero un
liana non convince. La
UN SAPORE DI INDEfINITO. LA PARTITA
dialogo con certi boss. L’assoluzione piesua segmentazione spezTRA AccUSA E IMPUTATI A VOLTE SEMbRA
na, dura, secca, sembra smontare l’accuza logiche e continuità.
UNA LOTTERIA. SENZA cONTARE chE DAL
sa dalle fondamenta non solo per lui, ma
Non ti dà un senso di afPRIMO AL SEcONDO GRADO DI GIUDIZIO LA
per tutti gli imputati: se Mannino non è
fidabilità. È tutto sfariSENTENZA SI RIbALTA SEI VOLTE SU DIEcI
colpevole, perde forza l’ipotesi del connato, lascia un sapore
clamato reato di “minaccia a un corpo
di indefinito, di aleatopolitico dello Stato”, al quale i pm palerra di Roma di corruzione e di associazio- rio, quasi di casualità. Forse è brutto dirmitani hanno attorcigliato la loro inchiene mafiosa, è stato condannato a cinque lo, sarà anche sconveniente: a volte, pesta. Si vedrà ora quale sarà il riverbero di
anni e quattro mesi di carcere per en- rò, la partita tra assoluzione e condanna
questa assoluzione (e soprattutto delle
trambi i reati. La sentenza arriva in uno sembra una lotteria, una mano di chesue motivazioni) sul più grande processo
stralcio del processo-monstre che intan- min-de-fer, una partita a poker. Tra propalermitano sulla “trattativa”.
to è iniziato il 5 novembre contro altri 46 cesso di primo grado e di appello, poi, il
A Roma, il 3 novembre è arrivata
imputati, 20 dei quali in prigione: Gam- ribaltamento, in un senso o nell’altro, è
un’altra sentenza anticipata. In questo
muto, come Mannino, è stato processato frequentissimo: oltre il 60 per cento dei
caso per un imputato minore, finito nelin anticipo rispetto al gruppone dei suoi casi. È forse questo l’effetto più concretala grande inchiesta su “Mafia capitale”:
colleghi perché ha scelto la formula del mente nefasto della giustizia spettacolo.
Emilio Gammuto, accusato dalla Procuprocedimento abbreviato. E ora la sua
Twitter @mautortorella
ue sentenze opposte, quasi simultanee, danno un po’ il senso dell’anomalia giu-
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CULTURA
UNA GUIDA INELUDIBILE
René
Girard
Quale tremendo bisogno avrebbe questo
“tempo dei pagani” di un maestro lucido
e profetico come lui. Che ha saputo aiutarci
a comprendere e ad accettare la possibilità
dello scandalo di Cristo operante nella storia
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DI PIER GIACOMO GHIRARDINI
in quest’eterodossa vigna all’undecima ora) non ci si
disfa mai più. Per cui, Luigi, abbi pazienza!
Spero però vivamente che, nei prossimi mesi,
anche questa rivista, che ha peraltro sempre mostrato
sincera attenzione a quest’autore, possa ancora ospitare il contributo di allievi veramente autorevoli del
maestro di Avignone: penso, oltre a quelli prima citati, in primo luogo, a Giuseppe Fornari, a cui si deve
la pubblicazione in Italia di opere girardiane di fondamentale importanza, e guardando fuori d’Italia,
Illustrazione: Matteo Cattaneo
H
o conosciuto il pensiero di rené Girard grazie all’incontro con
Sergio Manghi, solo sette anni fa. Non conoscevo neanche Sergio – che è poi diventato un amico oltre che un riferimento
culturale. Sergio, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Parma, è uno dei più
significativi discepoli italiani di René Girard – e di due altri
grandi del nostro tempo, ossia Gregory Bateson ed Edgar Morin. Il suo allievo Stefano Tomelleri, docente all’Università di Bergamo, ne è diventato, a
sua volta, uno dei più importanti studiosi: è fresco di stampa, negli Stati Uniti, un suo libro sul risentimento, con la prefazione di Girard – forse l’ultimo
dei suoi scritti.
René Girard è morto, nel sonno, mercoledì 5 novembre. Era nato ad Avignone, il Natale del 1923. Dal dopoguerra viveva negli Stati Uniti e ha insegnato per trent’anni alla Stanford University. Aveva 91 anni. Sergio mi aveva
raccontato che da tempo era molto malato, aggravandosi poi per il dolore della perdita della moglie. Leggendo il blog di Sergio su Repubblica, mi consolo
perché persino lui, volendo scrivere del “suo” Girard, ricorda fra le altre cose,
facendomi sorridere, tutto il fastidio che ha procurato a un numero indefinito di persone per “catechizzarle”, ovviamente non richiesto, alle idee “girardiane”. Ebbene sì, dei girardiani (compreso il sottoscritto, capitato per caso
CULTURA RENÉ GIRARD
ovviamente, a figure come Jean-Pierre Dupuy. Lo spero perché il nostro “tempo dei pagani” ha un bisogno
tremendo di una guida, lucida e profetica, come quella di Girard, che ci aiuti a comprendere e ad accettare la possibilità dello scandalo di Cristo operante nella
storia. Una “pietra di inciampo”, anche per molti cristiani e cattolici, che si chiama “apocalisse”: l’ultimo
cantiere di lavoro dell’umanità, dove si gioca, qui e
oggi, la fragile speranza dell’avvento del regno.
L’“ominizzazione” dell’uomo
In un mondo sempre più distratto ed incapace di
apprezzare il “saper fare”, è facile trascurare il dato
essenziale che René Girard, prima ancora di essere un
grande antropologo e filosofo, è stato un grandissimo
paleografo. Senza lo strumento dell’“analisi dinamica” dei testi (antichi e non) portato quasi alla perfezione da Girard, saremmo ancora qui a balbettare con
relativistica eleganza come fa l’antropologia culturale à la Lévi-Strauss, per la quale, come scrive Girard,
«tutto è linguaggio», ostinandoci a non volere vedere
ciò che anche un bambino può vedere.
I dati dell’antropologia girardiana si trovano
infatti nei testi. Antichi come quelli dei miti greci,
moderni come quelli di Shakespeare o dei romanzieri, eterni come i Vangeli e le epistole di Paolo. Chi si
impadronisce degli strumenti di analisi testuale fondati sulla “teoria mimetica” di Girard, è condannato a passare dall’altra parte di una barricata, dove
si è costretti dolorosamente ad aprire gli occhi sulle «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Come scrive Sergio Manghi, «una volta incrociate
davvero, occhi negli occhi, diciamo pure mimeticamente, le ipotesi girardiane, esse ci appariranno sem-
È il cristianesimo che
“demistifica” il religioso.
ma questo avviene nel
rischio totale della
libertà, impreparata per
definizione: non saremmo
mai abbastanza cristiani
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plicemente ineludibili»: è come l’incontro con il vecchio marinaio di Coleridge.
L’intero lavoro di questo “nuovo Darwin delle
scienze umane”, come alcuni l’hanno salutato, si presenta come un approccio al religioso arcaico nella
prospettiva dell’antropologia comparata. Lo scopo era
far luce su ciò che Girard definisce come il processo di
“ominizzazione”, l’affascinante passaggio dall’animalità all’umanità avvenuto da migliaia di anni. L’ipotesi di Girard, oggi sempre più suffragata dalle scoperte
delle neuroscienze (si allude, in questo caso, alla ricerca sui neuroni specchio di Giacomo Rizzolati, Vittorio
Gallese ed altri), è “mimetica”: è per il loro imitarsi in
misura maggiore rispetto agli animali che gli uomini
hanno dovuto trovare un rimedio ad una somiglianza contagiosa che poteva portare alla pura e semplice
scomparsa della loro società.
L’uomo – sia questo l’ominide di 2001: Odissea
nello spazio che contende la pozza d’acqua agli altri
ominidi, o il bimbo che vuole il balocco dell’altro
bimbo, o Emma Bovary che si innamora di un uomo
banale reso interessante da un’amica (“mediatrice”)
che gliene ha magnificato le doti – desidera lo “sguardo desiderante” dell’altro: la natura ci condanna, in
assenza di comportamenti innati, come avviene per
gli animali diversi dal sapiens sapiens, all’imitazione,
con conseguenze incontrollabili, dal punto di vista
dell’escalation violenta della “rivalità mimetica”.
Il sacrificio del Figlio di Dio
Questa improvvisa mancanza di diversità, questa “crisi di indifferenziazione”, questo scoprire nell’altro
una specie di ingombrante “doppio”, questa eterna
rivalità fra fratelli che troviamo in tutte le narrazioni
delle culture primigenie (Romolo e Remo, Osiride e
Seth, Caino e Abele, e l’elenco sarebbe lungo), doveva
trovare un meccanismo capace di reintrodurre una
differenza, là dove ciascuno veniva a somigliare sempre di più all’altro: è il “sacrificio”.
L’uomo è generato dal sacrificio, vale a dire che
è figlio del “religioso”, una dimensione dove si trova
“imbarcato”, come sosteneva Pascal, a prescindere – e
senza rendersene conto. Ciò che Girard chiama, ispirandosi a Freud, “assassinio fondatore” – l’immolazione di una “vittima espiatoria” che è insieme colpevole del disordine e restauratrice dell’ordine – è stato costantemente ripetuto nei riti, alle origini delle
nostre istituzioni. Dall’alba dell’umanità, milioni di
vittime innocenti sono state immolate in tal modo,
per consentire ai loro simili di convivere, di non autodistruggersi. È la logica implacabile del “sacro” che i
miti cercano di dissimulare, riuscendoci sempre di
meno, man mano che l’uomo prende coscienza di
sé. L’“uno” che paga per “tutti” è, tristemente, la più
grande invenzione dell’umanità.
Ma il momento decisivo, il punto di rottura di
questa evoluzione è rappresentato dalla rilevazione cristiana, nell’auto-sacrificio del Figlio di Dio che
accetta la croce, per proclamare dalla croce il fondamento violento, satanico, delle religioni arcaiche e
di quelle fabbricate dalla modernità (come l’attuale
intollerante scientismo, da una parte, e il fondamentalismo islamico, dall’altra), svelando i meccanismi
violenti dell’umanità. L’agnello innocente proclama
innocenti tutte le vittime, passate, presenti e future,
rivelando l’“amore divino” e demistificando la macchina del “religioso umano”. Dopo essere stati lentamente educati dai riti, dal giorno della Passione gli
uomini hanno dovuto imparare a camminare senza
le loro dannate “stampelle sacrificali”. Senza violenza.
La sconfitta da mettere in conto
È il cristianesimo che “demistifica” il religioso. Ma
questa demistificazione in assoluto buona, consistente nell’annuncio evangelico, si esercita nel rischio
totale della risposta della libertà umana, per definizione impreparata ad accettarla consapevolmente:
non saremmo mai abbastanza cristiani. E questo paradosso si esprime nel fatto che il cristianesimo è l’unica religione che mette in conto la possibilità di una
propria sconfitta nel mondo: ma il Figlio dell’uomo
troverà la fede al suo ritorno? Questa prescienza si
chiama apocalisse, ci insegna Girard, rileggendo un
incredibile Clausewitz.
Più gli uomini persisteranno nei loro errori, più
la potenza della parola di Dio si affermerà nella devastazione. Entrata nella storia, una volta per tutte, “la
verità dell’identità di tutti gli uomini”, anche se gli
uomini non vorranno ascoltarla, aggrappandosi sempre più freneticamente alle loro differenze fasulle,
sospingerà “all’estremo” il duello fra Verità e Violenza, di cui ci parla Pascal.
Due guerre mondiali, l’invenzione della bomba
atomica, i genocidi che avremmo ritenuto non più
«L’essenziaLe deL mio
Lavoro è La congiunzione
fra L’anaLisi scientifica
e La soLa cosa che conta
neL cristianesimo, e cioè
L’amore fra i discepoLi,
gLi uni per gLi aLtri»
possibili dopo il “secolo dei lumi”, una catastrofe ecologica imminente, non sono sufficienti a convincere
l’umanità, e in primo luogo i cristiani, che i testi apocalittici (specie quelli contenuti nei Vangeli sinottici
e negli scritti di Paolo), pur senza avere alcun valore
predittivo, ci parlano del disastro in corso. Cosa fare
perché vengano ascoltati?
Un’analisi dalle conseguenze incalcolabili
«L’essenziale del mio lavoro è la congiunzione fra
l’analisi scientifica e la sola cosa che conta nel cristianesimo, e cioè l’amore fra i discepoli, l’amore gli
uni per gli altri»: sintetizzava così il proprio pensiero, lo stesso René Girard, meglio di chiunque altro,
in un’intervista apparsa su questa rivista nell’agosto
2001. Girard non a caso ha richiamato più d’una volta
quella tesi di Simone Weil per la quale i Vangeli vanno letti come una “teoria dell’uomo” – tesi che spiazza in un sol colpo tanto le teologie più comuni quanto le più comuni anti-teologie ateistiche. E proprio in
un passaggio nel quale sta ribadendo il carattere prioritariamente scientifico-antropologico della sua ricerca sulle Sacre Scritture, avanza una pretesa scandalosa: «La mia analisi non è religiosa, ma sfocia nel religioso. Se essa è esatta, le sue conseguenze religiose
sono incalcolabili».
Una “pretesa” che ha nel suo cuore la poesia di
Hölderlin che accomuna Girard a Ratzinger nella
mente e Girard a Bergoglio nel cuore:
Vicino
E difficile da afferrare è il Dio.
Ma dove c’è il pericolo, cresce
Anche ciò che salva.
n
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CHIESA
TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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DI RODOLFO CASADEI
Ecco chi
occuperà il
vostro vuoto
«Per i musulmani il matrimonio è un’istituzione
divina, e Dio è per la procreazione. Quando vedono
che in Europa le nascite diminuiscono e le chiese
sono vuote, si convincono che vi conquisteranno con
fede e fecondità». Parla il patriarca maronita Raï
Foto: Ansa
«A
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l Sinodo l’ho detto: “i problemi del matrimonio e della
famiglia di cui sento parlare in tanti interventi, da noi non esistono. I nostri problemi sono totalmente
diversi”. L’uomo orientale e l’uomo occidentale restano molto differenti. Da noi
il matrimonio continua a essere un’istituzione divina: è quello che pensano sia i
musulmani sia i cristiani. Per noi si tratta di un sacramento, per i musulmani di
un’istituzione divina, perciò le legislazioni salvaguardano il matrimonio come
realtà religiosa: da noi non esiste nemmeno il matrimonio civile, figuriamoci le
convivenze e i matrimoni fra persone dello stesso sesso!». Bechara Boutros Raï, da
quattro anni Patriarca di Antiochia dei
Maroniti e da tre cardinale, è uomo che
conosce il mondo. Quando va in Francia
– e succede spesso – il presidente François
Hollande lo riceve quasi come un capo di
Stato. Come tutti i libanesi, soprattutto
quelli cristiani, vive a cavallo fra Oriente e Occidente e pertanto è ambasciatore naturale fra i due mondi. «L’uomo in
astratto non esiste, esiste l’uomo concreto condizionato dalla cultura religiosa e civile del luogo in cui vive. La cultura delle persone che vivono nel Vicino
Oriente è determinata da una componente musulmana e da una componente cristiana. Per gli orientali la persona umana
è totalmente definita dalla sua religione,
e questo si riflette sul matrimonio: questioni come la custodia dei figli, i diritti
ereditari, eccetera, sono definiti dal dirit-
to familiare confessionale. Le convivenze fuori dal matrimonio e l’omosessualità sono semplicemente problemi morali,
sono eccezioni che nulla hanno a che fare
con l’istituzione familiare».
L’invasione pacifica
Il patriarca ovviamente non si esprime
solo come antropologo culturale, ma
come pastore: «All’assemblea sinodale
dell’anno scorso ho detto: “Gli stati legiferano senza alcun riguardo per la legge divina: né per quella rivelata, né per
quella naturale; e poi la Chiesa deve raccogliere i cocci dei danni che queste leggi producono! Facciamo un appello agli
stati perché rispettino la legge naturale”.
Ammetto che fra i cristiani molti sono
influenzati dal secolarismo, nel loro intimo vorrebbero quel tipo di libertà che
vedono in Occidente riguardo ai rapporti
affettivi e sessuali, ma le leggi in vigore li
trattengono, e noi come Chiese lavoriamo
per ricondurli ai valori cristiani».
L’uomo orientale, ancor oggi antropologicamente diverso dall’uomo occidentale, in maggioranza aderisce all’islam.
«I musulmani sono convinti che conquisteranno l’Occidente, anche quelli fra
loro che non sono jihadisti o estremisti.
Gliel’ho sentito dire molte volte: “Conquisteremo l’Europa con la fede e con la
fecondità”. Professare la fede per loro è il
principio essenziale della vita, nessuno
che appartenga a una religione può astenersene. Che da parte loro la professione sia genuina o puramente sociologi|
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CHIESA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
ca è questione controversa, ma un fatto
è certo: è generalizzata, nessuno può astenersene. Allora quando vengono in Europa e vedono le chiese vuote, e constatano l’incredulità degli europei, immediatamente pensano che loro riempiranno
quel vuoto. Poi c’è la questione della natalità: per i musulmani il fatto che il matrimonio sia un’istituzione divina significa
che la volontà di Dio è la procreazione.
Perciò le famiglie devono essere numerose. In Europa vedono che i matrimoni e
le nascite sono sempre meno, e questo li
convince che loro prenderanno il vostro
posto. I musulmani non concepiscono
il celibato, nemmeno quello consacrato:
considerano ogni forma di celibato scandalosa, perché contraria alla volontà di
Dio, che vuole la procreazione».
corrisponde alle aspettative, reagiscono molto male. Un’altra situazione nella
quale noi cristiani orientali ci troviamo
in difficoltà, è quando ci sono tensioni
fra i paesi musulmani e gli Stati Uniti o i
paesi europei: allora le politiche dell’Occidente vengono etichettate come “cristiane”, e noi veniamo tacciati di essere i resti dei crociati e del colonialismo,
anche se in realtà eravamo già lì alcuni secoli prima che apparisse l’islam!».
Ma pare che ci sia una questione, molto
recente, per la quale i musulmani vanno dai cristiani col cappello in mano. «La
maggioranza dei musulmani è moderata, posso dirlo perché ne conosco tanti
sia fra le autorità religiose sia fra la gente
comune. Lo avete visto anche voi in Egitto: quando i Fratelli Musulmani hanno
cominciato a governare, la gente s’è stancata subito. Però difficilmente prendono
posizione contro gli estremisti. Qualche
tempo fa c’è stato un intervento autore-
di più il patriarca è la guerra nella confinante Siria e in Iraq, e le sue conseguenze. «Tutta la comunità internazionale
deve attivarsi per mettere la parola fine
a queste guerre. Si discute di come ripartire il flusso dei profughi fra i paesi europei, ma non si discute di come chiudere
il rubinetto che produce quel flusso! Se
continua l’esodo, se ne andranno le forze
migliori dal Vicino Oriente, se ne andranno i cristiani e resteranno solo gli estremisti. Senza cristiani l’Oriente perde lo strato più profondo della sua identità, questo
lo sanno anche i musulmani».
Le fatiche del Libano
«Dovete aiutarci a restare, non a emigrare! Questa omissione di interventi efficaci ci fa sospettare che esista un piano di
distruzione del mondo arabo. Com’è posI resti dei crociati
sibile che dopo dieci anni di guerra in
Iraq e quattro in Siria ancora non si cerMa i cristiani con cui i musulmani entrachi una soluzione politica, ma si insista
no più spesso a contatto non sono quelcon quella militare? L’ho detto
li europei, bensì quelli dei loro
agli ambasciatori di
stessi paesi. «È un rapporto più
«Si diScute di come ripartire apertamente
alcuni paesi arabi a proposito del
complesso di quello che molconflitto siriano: dove volete arriti di voi immaginano», spieil fluSSo dei profughi fra
vare? Perché siete disposti a pagaga il patriarca maronita. «Nel
i paeSi europei, ma non
re qualsiasi prezzo per eliminare
loro intimo, i musulmani penBashar el Assad? State spendendo
sano che i cristiani debbano
Si diScute di come chiudere
100 mila dollari per qualcosa che
fare il passo che li porterebquel fluSSo. Senza criStiani ne vale mille! Il Libano è il paese
be a diventare musulmani: nel
minacciato dalla crisi, perché
disegno divino il cristianesimo
l’oriente perde lo Strato più più
ormai un abitante su quattro da
doveva soppiantare l’ebraismo,
e l’islam è l’ultima rivelazione,
profondo della Sua identità» noi è un profugo siriano. La pressione sull’economia, sui servizi,
quella che soppianta il cristianesimo. Perciò i cristiani non sono mai vole di condanna delle azioni dell’Isis, sulle infrastrutture sta diventando insopveramente accettati come tali. Eppure ma non tanto forte. Per due ragioni. La portabile». Gli si fa presente che il Libanella vita quotidiana i musulmani hanno prima è che per loro l’appartenenza reli- no ha anche un problema istituzionale:
più fiducia in noi che negli altri musul- giosa viene prima di quella al paese, e dal maggio 2014 il paese non ha un presimani. Ci apprezzano per il nostro livello quindi se c’è una motivazione religiosa dente. Tempo di riformare la costituzione
culturale, per le nostre capacità profes- musulmana negli atti di qualcuno, non nazionale? «No», risponde. «La costituziosionali e per le nostre qualità morali. Sia- se la sentono di condannare. La secon- ne è già stata riformata nel 1989, in conmo ricercati per queste caratteristiche. da è che, almeno in Libano, i musulma- comitanza con gli accordi per la fine delNei paesi del Golfo i lavoratori immigrati ni sunniti hanno i loro referenti nell’Ara- la guerra civile. Adesso al massimo serviche ricoprono i posti di maggiore respon- bia Saudita e nei paesi del Golfo, gli sciiti rebbe qualche ritocco. Ma tutto è bloccato
sabilità sono cristiani, orientali od occi- nell’Iran, perciò non prendono posizioni a causa della rivalità regionale fra Arabia
dentali: gli emiri e gli altri dirigenti san- se non arrivano direttive. Alla fine succe- Saudita e Iran, che sono le due potenze
no che siamo professionalmente qualifi- de che molti leader religiosi musulmani dietro alle due principali coalizioni policati, onesti e non ci immischiamo nelle vengono da noi e ci chiedono di dichia- tiche libanesi: la “14 marzo” e la “8 marquestioni politiche. Per loro è cosa pacifi- rare pubblicamente le cose che loro vor- zo”. Non solo il futuro della Siria, anche
quello del Libano dipende dall’esito di
ca: i cristiani sono “migliori” di loro sot- rebbero ma non possono dire».
Naturalmente la cosa che preoccupa quella rivalità».
to tutti gli aspetti. Quando la realtà non
n
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lA bUonA CURA
Il Gruppo ospedalIero san donato
Un modello per la sanità
del fUtUro, oggi
a disposizione di tUtti
P
aolo Rotelli, 26 anni anni, laureato in management inter-
Paolo Rotelli
è presidente del
Gruppo Ospedaliero
San Donato, marchio
di eccellenza della
sanità italiana
con 18 ospedali
e 1,5 miliardi di euro
di fatturato
culturale presso l’ateneo Sciences Po Aix-en-Provence, da
questa estate ha assunto la presidenza del gruppo di famiglia, il Gruppo Ospedaliero San Donato, fondato dal nonno
nel 1957. A Paolo Rotelli abbiamo chiesto alcune riflessioni circa il futuro della sanità privata e in particolare sul suo Gruppo
che, con 18 ospedali, rappresenta un colosso sanitario da 1.5 miliardi di fatturato.
«Il Gruppo Ospedaliero San Donato (GSD) è oggi fra i primi
gruppi ospedalieri europei e di gran lunga il primo in Italia. È
costituto da 18 ospedali, di cui tre Irccs, per un totale di 5.169
posti letto. Conta 15.303 collaboratori di cui 4.092 medici», esordisce il presidente. «Curiamo quasi 4 milioni di pazienti all’anno in tutte le specialità riconosciute e di questi, 250.000 passano attraverso i nostri Pronto Soccorso».
Qual è il vostro modello gestionale e organizzativo?
Siamo leader nell’attività clinica per alcune particolari specialità, tra le quali la Cardiochirurgia, la Cardiologia, la Chirurgia vascolare, la Neurochirurgia, l’Ortopedia, l’Urologia,
l’Ostetricia e Ginecologia e la Cura dell’Obesità. Il Gruppo rappresenta la seconda istituzione di ricerca in Italia dopo il Cnr e
un modello unico nel panorama sanitario europeo per la qualità della didattica universitaria e della ricerca scientifica, attività
strettamente correlate che ci consentono di sviluppare in modo
veloce ed efficace la ricerca traslazionale, di cui possono beneficiare i nostri pazienti.
Siamo efficienti, ma soprattutto manteniamo sempre un
altissimo livello di qualità delle nostre cure: per sostenere questo modello che, ripeto, è unico nel panorama europeo, da
trent’anni la mia famiglia reinveste gli utili totalmente nelle
proprie aziende ospedaliere, per coprire tutti gli investimenti necessari ad acquistare le ultime tecnologie e a rendere le
nostre strutture sempre più accoglienti e funzionali per i nostri pazienti.
Qual è il vostro ruolo all’interno del servizio sanitario nazionale?
Il 90 per cento delle prestazioni fornite dai nostri ospedali
sono in convenzione con il servizio sanitario nazionale: GSD è
quindi un importante erogatore privato di un servizio pubblico
essenziale. Ci consideriamo un baluardo della sanità pubblica,
perché contribuiamo in maniera significativa e virtuosa alla salvaguardia del sistema. In ogni caso, il servizio sanitario nazionale è una eccellenza assoluta che va difesa. Un modello unico
al mondo. Le classifiche internazionali tra cui quella dell’Oms,
ci mettono al secondo posto per la qualità del sistema e per la
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sua accessibilità, a fronte di una spesa esigua rispetto agli investimenti degli altri paesi: noi spendiamo il 7,2 per cento del Pil
contro l’11 per cento circa della Francia e della Germania.
Qual è la ricetta per mantenere questo primato?
Innanzitutto bisogna eliminare la politica dei tagli lineari iniziata con il governo Monti e che ha colpito soprattutto la
componente privata accreditata del servizio sanitario nazionale. Si tratta di un vero paradosso, perché in questi anni è stata
colpita quella parte del sistema più virtuosa in termini di gestione dei conti.
Il Patto della Salute prevedeva per il 2016 un fondo sanitario di 113 miliardi, ma l’ultima legge di Stabilità ne ha tagliati
2, facendolo scendere a 111 miliardi e purtroppo vi si legge anche che il governo intende mantenere questo stanziamento fino al 2019. L’esperienza ci ha insegnato che il taglio del fondo
non serve a colpire gli sprechi, ma bensì costringe le Regioni a
tagliare le prestazioni con conseguenze negative per tutti i cittadini, iniziando dall’aumento delle liste di attesa.
Quindi non c’è soluzione?
No, una soluzione ci sarebbe: se lo Stato si affidasse agli
ospedali accreditati, ai migliori ovviamente, prendendoli come
pietra di paragone, risparmierebbe in media il 30 per cento e
scomparirebbero le odiose liste d’attesa. Mi spiego meglio: ogni
ospedale pubblico o privato ha un tetto di produzione fissato
con il servizio sanitario e deve assicurare la continuità del servizio per dodici mesi. Però, se un ospedale privato supera il budget annuale non gli vengono riconosciute le prestazioni erogate in più, mentre se un ospedale pubblico va in passivo, il suo
disavanzo viene automaticamente ripianato a fine anno. A livello nazionale questo pesa per circa il 30 per cento della spesa. Quindi, tanto per fare un esempio, se si tagliano 100 euro di
spesa, all’ospedale pubblico non interessa perché i suoi bilanci
vengono comunque ripianati, mentre per il settore privato, se
si tagliano 100 euro ci saranno 100 euro di prestazioni in meno.
Pubblico e privato devono vivere con gli stessi ricavi ottenuti dai proventi delle prestazioni tariffate, ovvero i Drg, insomma è necessaria una competizione virtuosa, regolata dallo Stato, con l’obiettivo di mantenere un servizio sanitario solidale
e universale che rappresenta per questo paese un’importante
conquista di civiltà.
Torniamo alle vicende del gruppo: a che punto è il risanamento del San Raffaele?
Mio padre acquistò il San Raffaele quando era sull’orlo del
fallimento, perché riteneva che questo ospedale fosse un patrimonio imperdibile per il paese. L’obiettivo di mio padre era di
riuscire a risanare il San Raffaele già nel 2014. Non siamo riusciti a farlo solo perché nel 2013, dopo il nostro acquisto, la Regione ci tagliò di netto 30 milioni di contributi. Nonostante ciò,
già nel 2014 siamo riusciti a ridurre le perdite da 65 milioni a
meno di 10 milioni e da qualche mese abbiamo raggiunto il sostanziale equilibrio e il tutto senza licenziare un solo dipendente e mantenendo costantemente l’indiscutibile qualità delle cure erogate.
Che cosa prevede per il futuro del suo gruppo?
Mi piace definire il mio gruppo come un modello per la sanità del futuro, oggi a disposizione di tutti. Non si tratta esclusi-
vamente di uno slogan, ma stiamo lavorando perché questo sia
davvero il nostro tratto distintivo. In concreto significa portare
avanti molti progetti, con molte energie e investimenti. Da qui
a tre anni, il nostro Gruppo investirà oltre 200 milioni per costruire il nuovo Galeazzi, per ampliare e ristrutturare il Policlinico San Donato e il San Raffaele.
Sul fronte clinico, promuoviamo numerosi progetti di prevenzione, in particolare in ambito cardiovascolare, con lo scopo di favorire e sostenere uno stile di vita salutare e corretto,
ricordando, a differenza di quanto si creda, che le malattie cardiovascolari sono ancora oggi la prima causa di morte nel mondo. Siamo partiti nel 2009 con il progetto EAT – Educazione Alimentare teenager, un progetto dedicato alle scuole, per favorire
il cambiamento delle abitudini alimentari dei giovani. Ebbene
dopo 5 anni visti gli ottimi risultati ottenuti dai nostri nutrizionisti, abbiamo pensato di estendere il progetto a tutti, con EAT
– Alimentazione Sostenibile, un’evoluzione naturale dell’idea
originale, che non rappresenta più un progetto di salute alimentare ma diventa uno stile, un modo di vivere, che esporteremo al di fuori delle mura ospedaliere, anche con l’apertura
del primo ristorante EAT a Milano.
Il nostro modo di fare sanità non si limita alla cura esclusiva di una patologia, ma pensiamo che la prevenzione debba diventare un patrimonio per le generazioni future.
L’ospedale non deve essere visto solo come un luogo di dolore, ma anche e soprattutto come un luogo di speranza, dove
il paziente è al centro del processo di cura e dove può essere accompagnato e informato in merito a scelte di vita salutari.
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STILI DI VITA
BUONE LETTURE
CINEMA
VecchIA OSTerIA DI POnzAnO, VALSAmOggIA (BO)
Dove il re è il tartufo bianco
La legge del mercato,
di Stéphane Brizé
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
S
ignori, a noi gli occhi. Per mangiare degli gnocchi di patate superlativi, occorre andare dalla Luisa. “Dalla Luisa” significa recarsi alla Vecchia Osteria di Ponzano, un’osteria (siete perspicaci, vero?) che se ne sta a Ponzano,
frazioncina di Castello di Serravalle, che a sua volta, da poco tempo, è diventata
frazione del comune collettivo di Valsamoggia (Bologna) assieme ad altri paesini, tra cui Savigno, il borgo dove ha luogo il Festival Internazionale del Tartufo
Bianco Pregiato, di cui tempi.it vi ha raccontato.
Il fatto è che in questo localino piccolo piccolo, che si trova sulla strada provinciale, si mangiano quelli che forse sono gli gnocchi più buoni del mondo: impastati con la locale patata di Tolè (altro borgo di questi colli bolognesi) e pochissima farina, sono di una morbidezza senza pari. Conditi con una generosa grattata
di tartufo bianco, sono da fine dei tempi. Magnifici.
Ma per il resto, che si mangia qui? Piatti della collina bolognese e del bosco. Si
può cominciare con lo sformatino di Parmigiano al tartufo bianco o nero. Oppure, con le polentine fritte guarnite di funghi di stagione, e magari impreziosite da
un buon salame crudo locale. Le tigelle e le crescentine, glorie locali, sono proposte come secondo, ma potete ordinarle pure come antipasto, abbinate al solito tripudio di lardi pestati e di “stuzzicherie varie”, così le chiamano.
Di primo, tutte le gioie del tartufo, da farsi grattare su gnocchi, tortelloni di
ricotta, perfino sui passatelli asciutti. Altrimenti, tortellini in brodo; crespelle al
forno; tagliolini all’ortica con ragù bolognese; tortelloni di ortica coi porcini.
Semplici i secondi, che vedono il cinghiale in umido con bocconcini di polenta; il filetto di manzo al pepe verde; la tagliata di filetto al rosmarino e sale di Cervia. Si chiude con dolci ghiotti, tipo la zuppa inglese con l’alchermes. Da bere,
una scelta di vini soprattutto locali, e buoni.
Quanto al prezzo, preventivate circa 37 euro senza tartufi, e almeno 50 col tartufo bianco pregiato.
L’umiltà
di ripartire
Un cinquantenne alla ricerca disperata di un lavoro.
Bel film interpretato da uno
straordinario Vincent Lindon. È una vicenda già ampiamente raccontata dal ci-
nema francese: la crisi, la
disoccupazione, quel vero
e proprio lavoro che è la ricerca del lavoro. Qui la novità è la forza del protagonista, Thierry, che è un padre
e marito e con la famiglia ci
fa i conti tutti i giorni. Così, senza troppe lamentele e chiudendo i conti con
un passato ingiusto, l’uomo
affronta la crisi. Si rimboc-
ca le maniche, passa attraverso il calvario dei colloqui
e dei curriculum da rifare,
accettando tutto, anche la
mansione più umile, per il
bene del figlio che vuol diventare ingegnere e della moglie che aspetta buone notizie. Prima regola di
chi fa buon cinema: amare
i propri personaggi, nel
senso del volergli bene. Brizé
vuol bene al suo protagonista, si identifica, probabilmente: disegna un personaggio che in un tempo di crisi
anche morale, mette davanti
al proprio interesse l’amore e
l’attenzione per l’altro.
visti da Simone Fortunato
Per affascinare
questi ragazzi
MAMMA OCA
Il regista
Stéphane Brizé
di Annalena Valenti
L
a mia amica maria è un genio, «coraggiosissima sono», si definisce
lei da quel di Castellammare. Le
chiedono di parlare di un libro in una
scuola media, e lei che fa? Legge un racconto di Flannery O’Connor. Vado per
ordine, essendo questa l’unica strada
da seguire per appassionare alla lettura. Maria mi chiede consiglio su un libro da proporre in una scuola media
all’interno di un progetto sull’avvicinamento dei ragazzi alla lettura. Le rispondo suggerendole il romanzo che
è il nuovo classico nella mia biblioteca
per quell’età, Bravo Burro di J. Fante,
ma lei ha già fatto. Primo, la proposta
si deve esaurire in qualche ora, quindi
perché leggere dei pezzettini di libro
e fare i soliti riassunti autoreferenziali, mania che fa morire ogni passione
da lettore? Le viene in mente di leggere un intero racconto, ma cosa? Vuole osare con questi ragazzi, puntare
in alto per appassionarli e raccontare
una storia per affascinarli. Così propone loro Il negro artificiale della O’Connor. Le piace, lo crede adatto, anche
se un po’ teme di avere osato troppo. Introduce i ragazzi all’epoca della scrittrice, spiega l’uso di parole che
oggi sono tabù, crea l’ambientazione e comincia a raccontare la storia.
Non hanno capito tutto? Probabile, ma
che silenzio, si sentiva la tensione e soprattutto l’immedesimazione. È il potere fascinante che scatenano le belle
storie, e durerà per sempre.
mammaoca.com
HOME VIDEO
Going Clear: Scientology
e la prigione della fede,
di Alex Gibney
Un documentario
su Scientology
La storia di Scientology: dai
dubbi sul suo fondatore al nuovo corso di oggi.
Grande documentario che ripercorre la storia di Scientology. Si
combinano testimonianze, immagini (agghiaccianti) di repertorio e si mostra parecchio materiale del fondatore Hubbard.
Ne viene fuori un thriller cupo:
al centro i soldi e, tra le altre
cose, un’incredibile guerra tra
Scientology e l’Agenzia delle entrate americana.
Per informazioni
Vecchia Osteria
di Ponzano
Via Valle del Samoggia,
4818 – Loc. Ponzano
Fraz. Castello
di Serravalle
Valsamoggia (Bologna)
Tel. 0516703009
Cell. 3400039166
Chiuso lunedì e martedì
ni scopre di avere i giorni contati – «Sei mesi al massimo», è
la diagnosi – per una metastasi
al polmone recidiva di un cancro al rene, da cui era già sorprendentemente scampato otto mesi prima. Trovandosi sul
baratro, Arthur, forte del sostegno di Judy, decide di affidarsi totalmente a Dio. Contro il parere dei medici, ma con
i suoi due amici sempre al fianco, Arthur attraversa l’Oceano
per recarsi a Medjugorje. E qui
accade veramente di tutto. A
15 anni dalla sua guarigione inspiegabile ha scritto «Sei mesi di vita». Ma la Madonna è in-
AMICI MIEI
LIBrI/1
Aveva sei mesi di
vita, è ancora qui
Una moglie piena di fede, Judy, amata fin da giovanissimo; tredici figli, di cui uno, Joseph, morto ancora nella culla
e un secondo, Artie Jr., affetto da autismo. Un cognato (Kevin) e un amico (Rob) premurosi e pronti a dare la vita per te.
È questo il contesto umano di
Arthur Boyle quando a 45 an-
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tervenuta a Medjugorje (Ares,
208 pagine, 13,90 euro). Tra gli
inviti alla lettura, segnaliamo
quello di Jim Caviezel (il Gesù
di The Passion di Mel Gibson)
e di Ray Flynn, già ambasciatore degli Stati Uniti presso la
Santa Sede.
LIBrI/2
Tre storie, tre viaggi
iniziati da luoghi bui
Da questi luoghi bui (Bolis Edizioni) è il secondo romanzo di
Francesco Fadigati. La trama si
dipana fra tre storie: quella di
Satch, un ragazzo di diciassette
anni, chitarrista col mito di Satriani, che per gli occhi di Sofia
si trova a precipitare nei bassifondi della propria rabbia; quella di Ale, che ha appena deciso
di diventare soccorritore sulle ambulanze genovesi, e che nei
bassifondi della città incontrerà occhi pieni di vita, di dolore,
di grida. Quella del signor Nardi,
che si è appena risvegliato dai
bassifondi di un coma profondo
e non sa cosa ci fa inchiodato su
quel letto, né di cosa parla quel
brutto disegno che gli hanno appeso alla parete della stanza. Tre
personaggi, tre percorsi. Cosa li
lega in un modo così stretto? Su
tutti e tre incombe l’ombra di un
viaggio dai bassifondi dell’essere, per scoprire, dentro le viscere
di qualsiasi luogo buio, che la luce c’è. C’è per davvero. E si manifesterà, in modo inaspettato,
per ciascuno di loro.
LIBRI/3
Il vero volto
di don Camillo
Fernando, ovvero don Camillo.
Ma chi è davvero Fernand Joseph Désiré Contandin? Francese, simpatico, bravo… e poi? E
perché è stato scelto per il ruolo di don Camillo, prete schietto,
che mena le mani ma ama il suo
gregge? Pochi, soprattutto tra i
giovani, sanno della sua carriera
– più di 120 film all’attivo –, della famiglia a cui era molto legato, degli amici che frequentava,
dei luoghi e del cibo che amava,
della fede cattolica che aveva
nutrito, con la semplicità propria
del popolo, sin da piccolo nella
sua parrocchia nel cuore di Marsiglia. Fulvio Fulvi ce lo racconta in Il vero volto di don Camillo
(Ares) con all’interno dei contributi di Alberto Guerreschi, Pupi
Avati e Paolo Cevoli.
la società italiana» dal maggio
1915 fino alla vittoria nel novembre 1918. Il progetto affronta tutti gli aspetti del primo conflitto mondiale con
particolare attenzione al morale dei soldati, alla vita quotidiana, ai cappellani militari, ai volontari, all’inverno, alle donne,
al fronte interno, alle proteste,
al paese reale, alla propaganda e alle biblioteche dei soldati. Il percorso espositivo della mostra rimarrà aperto fino
al 18 novembre presso la Camera dei Deputati – complesso monumentale di Vicolo Valdina (Roma).
IN MOSTRA
La Guerra di Piero
L’Archivio Storico Piero Melograni di Roma, in occasione del
centenario della Grande Guerra, ha organizzato un progetto espositivo che documenta il
lavoro dello storico Melograni per la realizzazione del volume Storia politica della Grande guerra 1915-1918. Il lavoro
preparatorio per il libro nasce,
come affermato dal professor Piero Melograni nell’introduzione del libro «dal desiderio di precisare i sentimenti, i
problemi, le trasformazioni del|
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motorpedia
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mIxaaLmEgLIoDImEnSIonIESpazIo,ComfoRT
EbRIo,bRILLanTEzzaEConSumIConTEnuTI
a CUra di
Ford Focus 2015
ammicca alle famiglie
S
dUe rUote iN meNo
Ducati Diavel 2016
Vestito nuovo per la Diavel 2016 in allestimento Carbon. Le scelte cromatiche sottolineano l’aggressività di questa moto, capace di prestazioni al vertice del segmento delle power cruiser. Il peso dichiarato è
di soli 205 chilogrammi mentre, per quanto riguarda il motore, è confermato il bicilindrico Testastretta 11° DS da 162 cavalli, oggi abbinato
ai Riding Mode che gestiscono erogazione e livelli di intervento del Ducati Traction Control. La livrea nero-grigia si completa con i cerchi forgiati con lavorazioni lasciate a vista e i collettori con un rivestimento
ceramico battezzato “Zircotec”, che regala allo scarico della Diavel un
[sc]
aspetto decisamente hi-tech.
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iamo alla terza generazione ma la Focus non perde
smalto, anzi lo guadagna arrivandoci con numeri da
primato. Per Ford è una vera World Car, venduta in
140 paesi e capace, in Italia, di toccare le 800 mila unità
vendute in poco meno di 30 anni di carriera. La versione
SW è la candidata ideale per essere la prima auto nel box
della famiglia, mixa al meglio dimensioni e spazio, comfort
e giusto brio, brillantezza e consumi contenuti, soprattutto
ora che ha debuttato il nuovo motore 1.5 TDCi disponibile
negli allestimenti 90 e 120 cavalli e che promette (e mantiene) consumi ridotti del 19 per cento.
Focus è spesso anche il punto di partenza per le nuove
tecnologie, come il SYNC 2, seconda generazione del sistema multimediale iperconnesso che migliora nella funzionalità (con schermo da 8 pollici) e permette ora di gestire
vocalmente, oltre all’impianto audio e ai dispositivi collegati mediante Usb o Bluetooth, sia il navigatore satellitare (guide Michelin integrate) sia il climatizzatore. La nuova
Focus offre anche il parcheggio semiautomatico, in grado
di portare a termine manovre in parallelo e in perpendicolare lasciando al guidatore la sola
gestione del cambio e dei comandi
ILnuoVo1.5TDCIDa
120CaVaLLIÈfLuIDo, a pedale. Disponibili anche il cruise
control adattivo, l’avviso di rischio
SILEnzIoSo,RICCoDI
collisione in retromarcia e la frenaCoppIaDaIREgImI
ta automatica in caso d’impatto impIùbaSSIEnon
mEnopREDISpoSTo
minente con limite a 50 km/h. Chi
aLL’aLLungo
ha figli non potrà che apprezzare il
sistema Ford MyKey che permette di
configurare alcune caratteristiche dell’auto come velocità
massima, volume dell’impianto audio e blocco delle dotazioni di sicurezza, così che non possano essere disattivate.
All’interno si respira aria di qualità tecnologica, la consolle centrale ha un impatto visivo e qualitativo notevole e
la sensazione è quella di essere a bordo di un’auto di categoria superiore. Cosa le mancava? Probabilmente un motore Diesel all’altezza, perché il precedente aveva fatto un po’
il suo tempo. Ora c’è il nuovo 1.5 TDCi da 120 cavalli, un
motore riuscito sotto tutti i punti di vista. Fluido, silenzioso, ricco di coppia fin dai regimi più bassi e non meno predisposto all’allungo. Un motore completo, in grado di assolvere al meglio i compiti assegnati, da quello di avere una
riserva di potenza sufficiente per muoversi briosamente anche a pieno carico, a quello di consumare poco: 3.8 litri per
100 chilometri è la dichiarazione Ford per questo modello,
che nella vita vera diventano poco meno di 5 litri per 100
chilometri. Motore a parte, la Ford Focus 2015 si fa rispettare anche quando la guida si fa particolarmente dinamica,
all’internosirespira
sospensioni modificate e sterzo rivisto nella servoassistenza
laqualitàtecnologica:
la rendono ancora più precisa e stabile con un rollio limitalasensazioneèquella
to e un ottimo sostegno da parte della scocca. Tutto questo
diessereabordo
senza penalizzare il comfort che resta di ottimo livello. diun’autodi
categoriasuperiore
StefanoCordara
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LETTERE
AL DIRETTORE
[email protected]
La signorìa di Cristo sui
diavoli di oggi e di ieri,
dai germani a Halloween
L
andare a compulsare le pagine riguardanti la cristianizzazione delle popolazioni germaniche durante
i secoli epici e tremendi di primissimo Medioevo. Lì troverà quei barbari che, diversamente dall’Oriente,
neanche lontanamente avrebbero potuto concepire la “pietas” e
le disquisizioni teologiche sulla Trinità, ma che abbracciarono Cristo
per la potenza e vittoria umana con
cui Cristo apparve loro, per tramite dei suoi testimoni, nel confronto con ciò che più li atterriva e, al
tempo stesso, li esaltava: il caos, le
potenze infernali, la morte. Certo,
i germani continuarono per un po’
a flirtare con la poligamia, gli spiriti della foresta e a brindare coi teschi dei capi tribù vinti in battaglia.
Ma i vescovi, che allora erano guerrieri, anche in questo videro il trionfo di Cristo e non a caso fecero costruire le cattedrali sottomettendo
a Cristo, nella pietra romanica e poi
in quella gotica, gargolle, spiriti della foresta e demoni di ogni specie.
o “scandalo” sul
Vaticano è orchestrato in maniera diabolica: dividono la Chiesa corrotta dal Papa che
la vorrebbe povera per i poveri. Il risultato è che sarà
moralisticamente più facile dire che si crede in Dio ma non
in “questa” Chiesa. Il Diavolo esiste. Cazzo se esiste. FabrizioCattari Varese
Siamotalmented’accordochecihofattolacopertina.
2
Voglio esprimere tutto il mio disappunto per l’articolo di Giovanna Jacob comparso su tempi.it il 30 ottobre
sotto il titolo “Fate festeggiare Halloween ai vostri figli: una grande festa cattolica”. La stima che nutro nei
suoi confronti e nei confronti del suo
e “mio” giornale mi fa sperare che si
sia trattato di una tragica svista e che
l’articolo non rappresenti la linea del
settimanale. Si tratta infatti di un articolaccio tutto giocato sul gusto del
paradosso e la voglia di scandalizzare
i “benpensanti”, che frammette a dati di realtà assurdità che rasentano la
blasfemia, come il fatto che i cristiani avrebbero dedicato culti ai diavoli e alle anime dei dannati, che inquinano quel tanto di condivisibile che
avrebbe potuto esserci. In tutti i casi non si capisce il senso di questo articolo che, volendo a tutti i costi essere contro corrente, non fa buon gioco
né alla causa della ragionevolezza, né
all’intento educativo di quanti, genitori, insegnanti, educatori, cercano da
2
anni di rendere i ragazzi giustamente
diffidenti nei confronti di quel calderone di idiozia, consumismo, gusto dissacratore più o meno pericoloso che tale
festa, nella veste che ha attualmente
assunto, rappresenta. Insomma, un articolo che definire inutile sarebbe un
complimento, perché esso in realtà è
soprattutto dannoso, equivoco e irridente nei confronti della concezione
cristiana dell’Aldilà e della comunione dei santi che lega le anime dei vivi a
Dai primissimi anni del Dopoguerra ad
oggi, ogniqualvolta sento parlare di difesa della famiglia e dei valori educativi della persona, mi vengono i languori
di stomaco, perché in questo benedetto Paese i due ambiti che continuano a
subire le maggiori penalizzazioni sono
proprio quelli della famiglia e dell’educazione libera: libera dalla carcassa
statalista. Lo statalismo scolastico nostrano viene da lontano, da Napoleone, dalla destra e dalla sinistra risorgimentali, si è impregnato di fascismo,
di comunismo, di centrodestra e di
quelle dei defunti, così come delle tradizioni ispirate alla pietas cristiana che
ne sono derivate.
GiovannaCupani via internet
GentileCupani,leconfesseròche
nonhoancoralettol’articolodellaJacob.NonsonounappassionatodiHalloweenenonhopiùfigliin
etàdi“dolcettooscherzetto”.Però,senonhaincasaunastoriadella
Chiesa,leconsigliereidiprocurarse-
IMPARARE AD AMARE
La follia della castità in un mondo
che ci vorrebbe tutti animali
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
L
a virtù della castità porta alle radici della fede. L’uomo è stato creato da Dio «a sua
immagine»: «Maschio e femmina» li creò (Gn 1,27). Il linguaggio è mitico ma ci
trasmette una verità. Gesù ricorda che l’uomo «si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola» (Mc 10,8). L’unione è per sempre. La castità, in particolare quella prematrimoniale, è incomprensibile senza la fede. Nella creazione l’uomo si
distingue dagli animali perché il Signore plasmò l’uomo con polvere e soffiò nelle sue
radici un alito di vita (Gen 2,7): gli animali sono creature di Dio ma l’uomo è “capace
di Dio”. Gesù ristabilisce in pieno la relazione dell’uomo con Dio e così l’uomo può
vivere seguendo la “via” di Gesù. Se non decido di percorrere quella via (che prevede
anche la castità prematrimoniale), se non ho capito che la logica di Gesù è diversa da
quella mondana e passa per il dono di sé, per la croce di ogni giorno (che comporta la
felicità di ogni giorno), come posso pretendere che un giovane non si comporti come
un animale, mentre la cultura dominante impone l’idea che noi siamo animali come
gli altri? Conviene sposarsi presto anche se la società contemporanea mette ostacoli.
Soprattutto conviene imparare a voler bene, che è il primo dei comandamenti. Chi
insegna oggi a voler bene? Occorre imparare ad amare. Come sono belli i coniugi vecchietti che si tengono per mano alla sera di una vita insieme! La castità è una questione di fede e di amore, non di ragionamenti moralistici.
centrosinistra, e oggi di sindacalismo.
È un blocco inamovibile, malgrado la
legge Berlinguer del 2000, la legge
di un comunista della vecchia guardia
con la mente e il cuore aperti al reale.
Di pari passo, la famiglia continua ad
essere sotto schiaffo. E la situazione
peggiorerà, a causa della nostra obbedienza… all’Europa. Più precisamente al “vento del nord” che soffia anche
nelle nostre contrade.
Giovanni Savini Imola
Egregio Savini, vedo che ha indirizzato la stessa lettera «agli onorevoli Renzi, Giannini, Boschi». La trovo
amaramente vera. Solo la fine della
carcassa, la fine di un’epoca, il tramonto e, forse, il collasso per fame,
costringerà a ripartire dalle evidenze incrollabili: un uomo, una donna,
la necessità di tirare grandi i figli.
Ben vengano i barbari, un monachesimo laico e di spada, un re Clodoveo al fonte battesimale.
SPORT ÜBER ALLES
di FredPerri
QUELLICHESONOSEMPRELÌ
A
h, la rimonta. La rimonta è sempre entusiasmante, quando riesce, ovvio. Vincere di rimonta è
uno scoppio di adrenalina, di puro piacere maschio, anche se ci sono di mezzo delle femmine, perché
è un piacere cattivo, metallico, privo di tenerezza. La
rimonta aggredisce i nostri sensi e li rende più accesi,
la rimonta riuscita è il lato oscuro della vittoria perché
non solo ti porta all’insperato successo, ma demolisce
due volte l’avversario. Se lo batti in un testa a testa è di-
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vertente, ma se lo batti dopo che lui ti aveva staccato, al
trionfo si aggiunge una sfumatura di sadismo: gli strappi via anche l’illusione che aveva. La rimonta, quando
riesce, chiama gestacci come quello dell’ombrello, pensavi di avere già vinto e invece ho vinto io, tiè. La rimonta, è affascinante è come una lunga seduzione, come
una corte in apparenza senza speranza a una bella donna: parti con un no, ti trovi davanti a un muro. A poco
a poco togli un mattone lì, un sasso là e il muro si sgre-
Foto: Ansa
La domenica delle rimonte
tola: voilà, la bella scorbutica è domata e la conquista
è completata. Questa è la rimonta, compagni e amici.
Ci pensavo domenica guardando il povero Valentino Rossi che non finiva l’opera. Ci pensavo domenica
guardando la Juventus vincere la seconda partita consecutiva. Ci pensavo domenica guardando il Berlusca sul
palco con Salvini e la Meloni. Rossi addio, ora la Juve e
il Berlusca riusciranno nelle loro rimonte? Non so, ma
una cosa è certa: gli avversari cambiano, gli alleati cambiano (nel caso di Berlusconi), ma loro sono sempre lì,
sempre a mettere un po’ di apprensione nell’avversario.
Perché una rimonta comincia da qui, dal nemico che
ti guarda con sospetto. Vuol dire che fai ancora paura.
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LETTEREDALLA
FINEDELMONDO
sOLOL’ANNuNcIOsALVALAFAMIgLIA
La bellezza del matrimonio
è il frutto della libertà
umana innamorata di Gesù
|DIALDOTRENTO
V
relativa ai temi discussi al Sinodo sulla famiglia: è ovvio che non posso giudicare nulla e nessuno, non essendo stato parte
di quell’assemblea non sono in grado di sapere di ciò che è stato davvero discusso, ma
posso saperlo solo attraverso il filtro spesso deformato dei media. È vero però che se si fosse
parlato molto di un certo tema che mi sta a cuore e che, a mio giudizio, è “il” nodo su cui si gioca il futuro della famiglia, se se ne fosse parlato intensamente e vi fossero state delle proposte
importanti in tal senso, queste sarebbero emerse in qualche modo anche sui media.
Il tema decisivo cui mi riferisco è l’annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti, la sola notizia che fa la differenza per tutti: sposati, separati, divorziati, Lgbt, omosessuali, persone in famiglie allargate, single, zitelli, giovani veri o giovani di sessant’anni, accompagnati, conviventi, vedovi e via dicendo. Perché se è vero che è Cristo che cambia il cuore dell’uomo, allora può
cambiare anche il cuore di due giovani che desiderano accostarsi al matrimonio cristiano.
È proprio per questo che una sola è la ricetta per guarire la famiglia oggi: evangelizzare, parlare di Gesù Cristo, annunciare Lui. La Chiesa ha solo questa ricchezza, questa risorsa, per sperare in un futuro nel quale i giovani di nuovo scoprano la bellezza e l’impegno del matrimonio cristiano e tornino a sposarsi consapevolmente e a formare famiglie solide e piene di frutti per sé
e per la società. Ma per fare questo – invece
i ringrazio, perdi correre a ritroso per riparare il riparabile,
cRIsTOMORTOERIsORTOèLAsOLA
ché con la tua mail
quasi che la “famiglia in crisi” fosse uno staNOTIzIAchEFALADIFFERENzA
ci aiuti ad andare al
tus quo imprescindibile – occorre volgere lo
cuore, alla radice del prosguardo al nuovo e al futuro, impegnare ogni
pERTuTTI:sINgLE,spOsATI,
blema. Che non solo è starisorsa per la sola urgenza e priorità, certi
sEpARATI,DIVORzIATI,LgbT,
to al centro del dibattito
che Lui «fa nuove tutte le cose».
Evangelizzare sia chi ormai ha sbagliato e
OMOsEssuALI,cONVIVENTI,VEDOVI dei padri sinodali, ma anche dei media, che spessoffre, certamente, ma ancor più evangelizzaso si sono “divertiti” a confondere la povera
re chi vorrebbe sposarsi ma non ha più il cosario, ad opera di sacerdoti ma anche laici
gente su temi fondamentali della vita, come
raggio per farlo perché trova una Chiesa tie coppie di sposi con una profonda testimol’indissolubilità del sacramento del matrimomida nell’annuncio, debole, spaurita, senza
nianza di vita cristiana, assieme a una reale
nio, il rispetto della vita fin dal concepimenstrumenti e Spirito per farlo. Il matrimonio
preparazione teologica, biblica e del magisteto eccetera.
cristiano è un sacramento di serie A, dalla varo dei Padri (basti pensare agli insegnamenti
Il servo di Dio don Luigi Giussani negli ultilenza decisiva per le sorti dell’uomo.
di Paolo VI e San Giovanni Paolo II e di papa
mi anni ci diceva: «La Chiesa ha vergogna di
Come può la Chiesa accettare che vi si acBenedetto). I temi sarebbero tanti e affasciGesù». Ha vergogna di annunziarLo in tutti
ceda senza aver ricevuto un vero annuncio
nanti: la sessualità, l’apertura alla vita, l’accogli ambiti dove c’è un uomo presente.
di Cristo? Come pensare che la “casa” regga
glienza, l’educazione, la scuola, ma su tutti, lo
E dalla mia esperienza in terra di missiosenza che vi sia stato un kerygma, una buona
ripeto, un annuncio di Cristo per chi ascolta.
notizia che abbia risuonato all’inizio del camne non mi stancherò di gridare che la bellezPoi la vita matrimoniale sarà egualmente un
mino? Il mondo non è certo timido nel dare
combattimento, con crisi e momenti di fragili- za del sacramento del matrimonio, come del
catechesi contrarie e martellanti, contro la visacerdozio cattolico, è il frutto della libertà
tà, ma un conto è aver ricevuto una base, una
ta, tutte a favore dell’ego, del sesso, del sogumana innamorata di Gesù.
consapevolezza, un incontro, altro è se quegettivismo più sfrenato e ammantato di buoQualunque pastorale che prescinda da queste armi per combattere mai si sono ricevute
nismo, ecologismo, pacifismo e solidarismo.
sta verità è destinata a fallire.
e neppure si sa che esistano. Letterafirmata
[email protected]
Occorre allora un cammino lungo il necesolevo farla partecipe di una mia perplessità
T
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APPUNTI
Una speranza impercettibile
Come sarà
il mio paradiso
D
evo dire che, passando gli anni, l’idea di
un aldilà, di un altro mondo, si fa per
me sempre più attraente e concreta.
Comincio a immaginarmi il paradiso non con
un vago timore, ma con una più nutrita speranza. Tutto è cominciato con un sogno che
da anni si ripete: sogno che mio padre, morto da molti anni, abiti in una sorta di paese
che si trova arrampicato sopra a Milano, così come, per chi conosce l’Alto Adige, sopra a
Bolzano si trova l’altipiano di Oberbozen, vicinissimo alla città e ai suoi rumori, eppure
totalmente altro, pianoro di dolomite incantata, silenzio di pascoli e di nuvole candide
e pigre, in cielo. Ecco, l’altopiano di Oberbozen descrive perfettamente il paese che io sogno esistere sopra a Milano: invisibile eppure prossimo, anzi quasi coincidente con la
città, ma alto sopra alle strade, e segreto. Sogno dunque che mio padre da molti anni abiti in una delle case di questo altopiano, con la
vigna, e l’orto che avevo sempre desiderato,
e la mattina annaffi la salvia e la lattuga con
quel suo vecchio innaffiatoio giallo che usava
sul terrazzo a Milano. Nel sogno lo vedo quieto a curare le piante, i capelli bianchi radi e
spettinati come sempre, e quel golf bordeaux
che aveva sempre addosso. Certo, questo paese nascosto sopra a Milano è di un’altra materia, di un altro mondo; e tuttavia così vicino
che, mi dico quando mi sveglio, non è possibile che mio padre non guardi giù, ogni mattina. Mi sveglio contenta da quel sogno, e confortata; come se un’ombra buona mi si fosse
messa accanto.
E mia sorella, morta bambina? Da sempre
sogno che non è morta, ma l’hanno invece
rinchiusa, chissà perché, in una specie di sanatorio, o castello, una “montagna incantata”
dove però, pure lontana da noi, non è infeli-
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di marina corradi
ce; e che dunque quando io passerò dall’altra
riva la troverò, in quel castello, e forse allora
saremo di nuovo bambine assieme, come nelle foto in cui, in montagna, sui prati lei mi
abbraccia, materna. Mia madre, invece, la sogno spesso malata, sofferente, a letto, e mi pare una richiesta di aiuto e di preghiere. Mio
fratello lo sogno ragazzo, quando con il suo fisico da campione scalava in bici i passi dolomitici su una Legnano gialla fiammante; e sale e sale ancora sui tornanti, sudato e felice, e
la vetta ancora è lontana.
Quale sarà, mi chiedo, se ci andrò naturalmente, il mio paradiso? Lo immagino come i
luoghi che ho più amato, le Dolomiti d’estate,
con i pascoli con erba alta piena di fiori e dai
fienili il profumo del fieno. Lo immagino con
il sole alto, bollente, che picchia sulle cime rosa e scioglie nel mezzogiorno radioso di luglio
le ultime lingue di neve. Mi immagino tutti
quelli a cui ho voluto bene, e anche il gatto
che avevo da bambina, e quelli che ho adesso,
e il mio cane. «Niente di ciò che amiamo andrà perduto», ha promesso Benedetto XVI, e io
me lo sono segnata, e ci conto.
Aspetto, non so perché, con una certezza
nuova un’altra vita, dove non ci sarà più affanno né dolore, per tutti. E questa speranza
impercettibilmente certe mattine modifica il
mio sguardo da sempre malinconico; come se
non ci fosse più bisogno di voltarsi indietro,
nostalgici, ma ci fosse invece ragione di guardare avanti, fidandosi di ciò che è promesso.
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