...

Paesaggi sonori di campane: immagini e categorie

by user

on
Category: Documents
13

views

Report

Comments

Transcript

Paesaggi sonori di campane: immagini e categorie
De Musica, 2012: XVI
Paesaggi sonori di campane: immagini
e categorie in dialogo tra Feld, Schafer,
Husserl ed Hegel
Miriam Stallone
I. Feld e Schafer
§1. The Time of Bells di Steven Feld. Confronto teorico con
Schafer
Steven Feld ha prodotto una bellissima opera in quattro dischi,
Time of Bells, sulla quale ha voluto scrivere pochissimo lasciando
aperte molte suggestioni che possono essere riconnesse sul piano
della teoria. The Time of Bells potrebbe essere facilmente classificata come composizione di paesaggio sonoro, egli stesso non manca
di riferirsi al fortunato World Soundscape Project di Robert Murray
Schafer, ma tale rimando risulta essere più problematico per metodi, intenzioni e risultati di ricerca di ciò che potrebbe apparire.
La portata di tali suggerimenti è stimolante, viene da sé farsi delle
domande intorno al significato e alle basi teoriche di questa ricerca.
Procederemo con un confronto sul piano delle categorie messe
in gioco dalla prassi di lavoro dell’antropologo. Ci ritroveremo ad
esplorare riferimenti ulteriori rispetto quelli a cui Feld si ispira
in maniera più o meno esplicita. Egli lavora da antropologo, non è
tenuto a curarsi direttamente dell’uscita da una dimensione meramente privata delle esperienze sonore connotate a livello sentimenMiriam Stallone, Pag. 140
De Musica, 2012: XVI
tale ed emotivo o a rendere conto di tali descrizioni in modo maggiormente intersoggettivo. Una differente esigenza motiva questo
percorso, esso si snoderà per approfondimenti teorici a partire dal
pensiero schaferiano per poi attraversare alcuni aspetti della fenomenologia di Husserl ed Hegel che ci condurranno a contestualizzare le problematiche in un senso più marcatamente filosofico.
Il lavoro di Feld è noto soprattutto per la ricerca, durata più
di 25 anni, per la documentazione e gli scritti etnomusicologicoestetici sul popolo Kaluli della Papua Nuova Guinea. Come sostiene
in un’intervista Suono e sentimento1 si ricollega ai successivi lavori
sul suono delle campane in Europa e alle “orchestre” di clacson in
Ghana:
«In Suono e sentimento è il suono degli uccelli nella foresta che abitua l’ascolto dei kaluli e produce la consapevolezza dello spazio - l’altezza e la profondità della foresta,
la distanza... - e il tempo: il giorno, le stagioni, i cicli...
Non è poi così diverso in molti posti in Europa, dove le
campane - degli animali, dei campanili, del Carnevale abituano l’ascoltatore al senso dello spazio e producono
la coscienza dello spazio e del tempo»2.
In cosa consiste quest’affinità? La ricerca di Feld si sviluppa in
sostanza intorno al modo in cui i grandi temi dell’affettività e del
sentimento3 si legano alle strutture e alle funzioni del suono e dello
1 S. Feld, Suono e sentimento. Uccelli, lamento, poetica e canzone nell’espressione kaluli, tr. it di M. Meli, a cura di C. Serra, Il Saggiatore, Milano 2009.
2 L’intervista a Feld è di Jacopo Tomatis ed è comparsa con il titolo “Suono
dello spazio, spazio del suono”, in Il giornale della musica, XXV, 265, 11/dicembre 2009, EDT Torino. Disponibile anche: http://users.unimi.it/~gpiana/dm14/
FeldJT.pdf
3 Il titolo Sound and sentiment è piuttosto eloquente, ma vorrei aggiungere che
è lo stesso tema sul quale Feld disquisisce nel suo scritto di natura più teorica:
un articolo del 1989 attraverso il quale discute sul significato dei molti anni di
ricerca sul campo con i Kaluli, proponendo alla comunità scientifica una vera e
propria categoria estetica come chiave di lettura del modo di ascoltare e produrre
musica di questo popolo che ha elaborato una pratica artistica ricca di tecniche
complesse che sfiderebbe l’abilità di molti musicisti professionisti: “lift-up-over
sounding” (che suona sollevato al di sopra). Cfr. S. Feld, Aesthetics as iconicity
of style, or ‘lift-up-over sounding’: getting into the Kaluli groove, Yearbook for
Traditional Music, XX, 1988, on-line at JSTORE, pp. 74-113, http://users.unimi.
it/gpiana/dm13/feld/feld_aesthetics_as_iconocity_of_style.pdf.
Miriam Stallone, Pag. 141
De Musica, 2012: XVI
spazio. L’elemento temporale è presente, ma devo premettere che,
a mio avviso, l’indagine sul parametro temporale ricopre una centralità inferiore rispetto a quanto possa apparire dal titolo “Il tempo delle campane”. Sarebbe un poco forviante se non superficiale
considerarlo come se fosse il vero e principale nucleo su cui verte
l’intera ricerca.
L’antropologo non fa esperimenti mentali e non lavora in laboratorio astraendo le funzioni per valutarle una alla volta, bensì tratta
di ambienti complessi e di esperienze umane, situazioni di vita quotidiana o rituale dove tutti i fattori sono co-implicati. Feld utilizza
un mezzo tecnologico particolare: ha affinato la pratica di ripresa
sonografica documentaria a strumento di messa in scena artistica.
La tecnica di ripresa e il montaggio di The Time of Bells indicano
una drammaturgia dell’ascolto, intenzione resa efficacemente potendo essere colta ad una prima audizione.
Feld produce veri e propri paesaggi sonori entrando in dialogo
diretto con le teorizzazioni di Schafer mettendone in discussione
i presupposti più di quanto egli stesso sia disposto ad ammettere.
Ama riferirsi al lavoro del teorico e compositore canadese quando
intende le sonorità della foresta come un paesaggio hi-fi4 o quando
rende in termini di figura-sfondo le emergenze di oggetti sonori che
si stagliano. La sua pratica di ricerca va in direzione di un arricchimento di queste categorie un po’ rigide e schematiche che, talvolta, male si prestano a descrivere alcune esperienze proposte dallo
stesso antropologo. Siamo su un piano di indagine che concerne un
vissuto dello spazio più complesso riguardante il modo soggettivo e
intersoggettivo in cui gli uomini interrogano percettivamente e immaginativamente lo spazio sonoro, in cui le affezioni ci direzionano
e una complessa rete di valorizzazioni simboliche indirizzano oltre
4 «Canadian composer and soundscape researcher R. Murray Schafter calls
soundscapes “hi-fi” when they contain favorable signal to noise ratios, that is,
when the full dynamic range of present sounds can be heard clearly and distinctly without crowding, pollution, or masking by intrusive noise sources. Schafer
terms “keynote sounds” those continuous, basic frequent, customary sounds that
provide a sense of environmental centre». S. Feld, Aesthetics as iconicity of style,
or ‘lift-up-over sounding’: getting into the Kaluli groove, op. cit., p. 87.
Miriam Stallone, Pag. 142
De Musica, 2012: XVI
il meccanismo di segnale.
Focalizzando l’attenzione sui principali elementi di discontinuità e qualche continuità con la ricerca schaferiana, un punto saliente sembra essere l’idea stessa di registrazione sonora. La posizione
di Schafer è ambigua rispetto alle tecnologie: ne fa ampio uso al
fine di creare paesaggi sonori, eppure egli nutre una sostanziale
diffidenza verso gli artifici e le pratiche degli studi di registrazione.
Troppo occupato nello scovare archetipi e a rimpiangere sensibilità
ormai perdute nei confronti dei fenomeni sonori per comprendere e
valutare in modo positivo le potenzialità dell’uso espressivo delle
tecniche di ripresa e del lavoro in studio. Una sorta di pregiudizio
più o meno esplicito verso tutto ciò che è associabile alla scarsa
intellegibilità dei rumori dalla rivoluzione industriale in poi gli fa
prediligere modelli acustici pre-tecnologici e legati ad un mondo naturale incontaminato o preteso tale. I paesaggi sonori di Feld sarebbero sicuramente degni della sua approvazione a causa dell’ottima
resa di sonorità hi-fi e per l’approccio da compositore del paesaggio,
ma un certo uso delle tecnologie e alcune idee antropologiche sottostanti smentiscono parzialmente la filiazione.
La polemica di Schafer ha di mira la perdita dell’ascolto “a distanza” sostituito con quello della “presenza” proposto dalle produzioni della popular music. Pur comprendendo che il lavoro in studio
di registrazione abbia di mira il suo stesso hi-fi (un rapporto segnale-rumore soddisfacente, una definizione il più possibile particolareggiata delle varie componenti, un suono il più possibile chiaro
e intellegibile lontano dalla confusione delle frequenze rumorose),
egli non può fare a meno di giudicare negativamente tali tecniche,
poiché legge in termini di opposizione ontologica e morale ciò che è
“naturale” e “artificiale”: il campo del “naturale” sembra occupare
un’area di essenze sonore archetipe, statiche e immutabili, detentrici dell’unico e originale rapporto dell’uomo con i suoni del mondo,
mentre tutto ciò che è “sintetico” si allontana irrimediabilmente da
questo limite al quale si dovrebbe tendere senza mai poterlo realmente raggiungere, lo tradisce e va a favorire strutture di dissociaMiriam Stallone, Pag. 143
De Musica, 2012: XVI
zione tra suono e mondo, un atteggiamento che lo stesso Schafer
definisce con la fortunata dicitura di “schizofonia”5.
Il fatto che la registrazione faccia apparire il suono slegato da
ciò che l’ha originato è motivo di turbamento per Schafer (ricordiamo invece come questa stessa caratteristica entusiasmasse i concretisti Schaffer e Chion i quali definivano le proprie composizioni
come acusmatiche) rivelando come alcune posizioni teoriche nella
sostanza si riallaccino a presupposti di matrice empirista intorno
al problema della fonte, posizioni che andrebbero quantomeno affrontate poiché è evidente che la nozione di schizofonia riproponga
il problema del rapporto causale tra suono e fonte.
Steven Feld, di contro, fa dello strumento della ripresa uno dei
punti di forza e originalità del proprio lavoro. Egli realizza un sistema di documentazione sonora che prevede l’utilizzo di due microfoni omnidirezionali DSM (Dimensional Stereo/Surround Microphones6) da indossare sulla testa all’altezza delle orecchie. La gamma
delle dinamiche è elevata, ma l’effetto che si ottiene non è quello di
un’imitazione quanto più possibile vicina alle esperienze psico-acustiche, non vi è ricerca di una qualche forma di ipotetico realismo
dell’ascolto, piuttosto si tratta di un sistema che sceglie un modo
particolare di raccontare. Innanzitutto favorisce la resa d’insieme
piuttosto che il focus su singoli elementi specifici, tendendo a non
evidenziare la dicotomia acustica di un oggetto-figura che si staglia
5 «Due nuove tecniche vennero introdotte: la conservazione e l’accumulazione
del suono, e la dissociazione dei suoni dal loro contesto originale, che io definisco
schizofonia. I benefici legati alla trasmissione elettroacustica e alla riproduzione
del suono sono stati più volte sottolineati, senza che questo possa mascherare
il fatto che la progettazione del primo impianto hi-fi coincise esattamente con il
momento in cui il paesaggio sonoro mondiale scivolava in una condizione permanente di “bassa fedeltà”» R. M. Schafer, Il paesaggio sonoro, tr. it. N. Ala,
Ricordi-Lim, Lucca 1985, p. 129.
6 Rimando al collegamento con la casa produttrice: http:// www.sonicstudios.
com. Per approfondire alcuni elementi critici, confronta con un’interpretazione
della tecnica usata, per certi versi simile, ma sotto una prospettiva più marcatamente antropologica e che per “fenomenologia” intende alcuni punti del pensiero
di Merleau-Ponty, L. Ferrarini, “Registare con il corpo: dalla riflessione fenomenologica alle metodologie audio-visuali di Jean Rouch e Steven Feld,” in Molimo.
Quaderni di Antropologia Culturale ed Etnomusicologia, 4/2008, CUEM, pp.125155.
Miriam Stallone, Pag. 144
De Musica, 2012: XVI
da uno sfondo secondo il modello figura-sfondo, bensì mostrandone
le sfumature. «Questi microfoni sono in grado di captare l’immagine sonora circostante in maniera assai più ricca rispetto a quella di
una convenzionale registrazione stereofonica, offrendo all’ascolto
fenomeni come l’altezza o la profondità dei suoni o la relazione tra
il centro e la periferia»7. Prende forma una situazione complessa
in cui i suoni enfatizzano la profondità dello spazio non come un
semplice sistema di posizioni, ma creando luoghi in cui sentimento
e strutture dell’affettività sono coinvolte.
Sembra quasi che Feld abbia esteso all’ascolto in generale alcuni
insegnamenti del popolo Kaluli a proposito di come si ascolta la foresta, modi a partire dai quali hanno elaborato una categoria usata
per produrre musica e giudicarla, essa pare coniata a partire da
un’esperienza che problematizza la questione della referenzialità
con la fonte, “che suona sollevato al di sopra”: «The rainforest is
a tuning fork, providing well-known signals that index, mark and
coordinate space, time and seasons»8.
Non bisogna lasciarsi ingannare dal termine “diapason” perché
Feld non sta veramente indicando un riferimento acustico di intonazione, sarebbe più corretto sostenere che vi sia una “riverberazione”: la foresta è un luogo di riflesso emotivo-sentimentale9 dove
le strutture immaginative sulla collocazione spaziale danno forma
7 S. Feld, “Note sulla documentazione sonora”, in Santi, animale e suoni. Feste
dei campanacci a Tricarico e San Mauro Forte, a cura di N. Scaldaferri, Nota cd
book, Udine 2005, p. 61. Questo testo concerne lo studio e la documentazione sonora di Feld su due feste italiane in Basilicata. Nel secondo volume di The Times
of Bells, la quinta traccia riguarda proprio la festa di Tricarico. Il volume sulle
feste lucane ha il valore di contenere una serie di saggi critici di cui uno dello
stesso Feld che aiutano a fare luce su una ricerca riguardo la quale l’antropologo
ha elaborato scarso materiale critico, spunti contenuti nei libretti dei CD.
8 S. Feld, Aesthetics as iconicity of style, or ‘lift-up-over sounding’: getting into
the Kaluli groove, op. cit. p. 87.
9 Cfr.: «‘Lift-up-over sounding’ flows when it enters and stays with you, residing
in memory and consciousness in ways it once did not. Engagement -”getting into
the groove”- is the sensing of hego, ‘underneath’ and sa, ‘inside’ of sound patterns
that ‘lift-up-over’, and, interpreting their mama, ‘reflection’ or ‘shadow’ by feeling their associational force and possibilities. Notice here that ‘reflection’ is not a
strictly or even primarily visual notion, like that of a “mirror image.” Rather, the
sense is more like a “reverberation”, a projected image or shadowed essence that
is sensately internalized as a vibration, an idea and a feeling». Ivi, p. 89.
Miriam Stallone, Pag. 145
De Musica, 2012: XVI
a una complessa categoria dell’ascolto.
«There also may be a synaesthetic factor here, interrelating, in a sensually involuntary and culturally conventional manner, features of sound, texture, space and
motion. In the tropical rainforest height and depth of
sound are easily confused. Lack of visual depth cues couple with the ambiguities of different vegetation densities
and everpresent sounds (like water hiss) to make depth
often sensed as height moving outward, dissipating as it
moves. ‘Lift-up-over sounding’ seems to code that ambiguous sensation of upward as outward. [...] Kaluli laughed hysterically the first times they saw me look up to
hear a sound that was deep, whether high or low to the
ground»10.
I Kaluli conoscono le regole del gioco dell’ascolto della foresta
pluviale, chi non le conosce è invece portato a ingannarsi sul legame tra fenomeno sonoro e fonte. Interessante è come facciano
del meccanismo dell’immaginazione (non è, infatti, un mero fatto
percettivo, ma un modo di interpretare un segnale) che legge un
suono nella profondità dello spazio come posto in alto una categoria estetica che racconta di come viene sentito e vissuto lo spazio,
l’ambiente sonoro e, di conseguenza, quali siano le regole del fare
musica. La foresta, inoltre, non è una mero luogo di segnali perché
è un luogo mistico e ascoltarla significa per questo popolo evocare
profondi sentimenti di nostalgia legati alle voci degli uccelli come
manifestazioni degli spiriti dei loro morti.
In generale bisogna indicare la possibilità di far traslare alcune
considerazioni di ordine teorico sviluppate attraverso una ricerca
locale, come quella intrapresa dall’antropologo su una cultura specifica che ha vissuto isolata per molto tempo, verso un piano più
universale riguardante la messa in mostra del come ascoltiamo.
Nonostante in Feld sia presente una cauta inclinazione al relativismo culturale di forme specifiche, la ricerca sulle campane si
può inscrivere in un analogo ordine di relazioni tra suono, spazio
e sentimento, il piano delle ricerca delle categorie può essere reso
10 Ivi, pp. 87-88.
Miriam Stallone, Pag. 146
De Musica, 2012: XVI
esplicito nella sua affinità: “Non è poi così diverso in molti posti in
Europa, dove le campane - degli animali, dei campanili, del Carnevale - abituano l’ascoltatore al senso dello spazio e producono la
coscienza dello spazio e del tempo”. Il canto degli uccelli kaluli crea
una sorta di precedente che ispira l’indagine di The Time of Bells:
«Bells stand to European time as birds to rainforest time»11. Più che
proiettando il tema del tempo delle campane sul precedente lavoro
nella comunità kaluli, la relazione credo sia da intendere prima di
tutto su di un piano generale in cui questi “oggetti sonori” investono funzioni simboliche salienti nelle rispettive comunità.
Prima di spendere qualche parola intorno a qualche aspetto più
analitico non posso fare a meno di notare che la questione del paesaggio sonoro, così come Feld ce la presenta, non possa non richiamare la categoria di atmosfera. Un rimando riscontrabile nel
particolare interesse che l’antropologo sembra nutrire per la spazialità dei suoni come luogo affettivo e sentimentale. Feld non può
riferirvisi in quanto chiave di lettura della propria indagine, ha di
mira un altro tipo di ricerca; inoltre sarebbe complicato leggere il
suo lavoro alla luce di tali teorizzazioni, si tratta di una nozione di
grande interesse e spessore ma con la tendenza a sfuggire dai propri limiti. Credo sia corretto comunque menzionarla in quanto vi
è un’evidente continuità di problemi e relazioni con la categoria di
paesaggio sonoro ridiscutendo aspetti e punti di partenza delle teorie delle atmosfere quali la relazione con il corpo attraverso il quale
un suono modifica un ambiente plasmando in molteplici modi la
posizione emotiva del soggetto percipiente, ma forse con meno pretese sul piano ontologico. Un’evidente differenza di un discorso sul
paesaggio sonoro così condotto sta nel modo di intendere il tema del
corpo sonoro; ci si focalizza innanzitutto sugli oggetti risuonatori e
non sul soggetto corporeo che fa esperienza del suono.
Tornando a Feld, è l’uso espressivo che egli fa del proprio materiale a spingere in direzione di una lettura in senso fenomenologico
del suo lavoro. Il modo in cui egli interroga il suono enfatizzan11 S. Feld, Time of Bells, Vol. I, VoxLox 2004.
Miriam Stallone, Pag. 147
De Musica, 2012: XVI
do con la ripresa microfonica la profondità dello spazio e creando una vera e propria drammaturgia grazie ad un editing molto
curato12, sottolinea come l’oggetto sonoro occupi un ambiente non
come figura interessante che si staglia da uno sfondo funzionale
all’emergenza, ma come i suoni si articolino in relazioni di fusione
o distinzione, sfumando parzialmente. Tale idea rispetto a quella di
sfondo è più spessa e meno schematica. Feld indirizza così l’ascolto:
campane e campanacci occupano lo spazio ambientale permeandolo
e marcandolo con i propri caratteri, in primo luogo timbrici, su di
essi si instaurano varie forme di valorizzazione affettiva che l’antropologo americano rende, ad esempio, seguendo le figure in modo
affettivo. Un evento accade (il suono di una campana) e coglie la nostra attenzione, lo seguiamo ed esso si focalizza mostrando i propri
particolari per progressioni. Tale idea viene resa grazie alla cura
che l’antropologo riserva alla profondità dello spazio. Esso è sia hifi sia low-fi poiché i suoni sono figure a tratti nitide a tratti confuse,
mascherate da altre nella complessità e stratificazione dello spazio
sonoro. La ripresa favorisce più l’insieme d’ambiente che i singoli
eventi, evidenziando la complessa rete di interazioni tra suoni distinti ed enfatizzandone le continuità.
Schafer, invece, considera la funzione dei microfoni in maniera
un po’ superficiale attribuendo loro la sola capacità di cogliere i particolari: «Il funzionamento di un microfono è invece diverso [rispetto alla fotografia]. Registra dei dettagli. Ci fornisce un’immagine
estremamente ravvicinata, un primo piano, ma nulla di paragonabile a una fotografia aerea»13. Non solo la ricerca di Feld smentisce
quest’asserzione così perentoria, ma tale affermazione è parziale
anche in linea generale: nella prassi è largamente diffuso l’uso di
microfoni aventi caratteristiche tecniche mirate a ottenere riprese
panoramiche e ambientali.
Alla radice sembra esserci proprio l’insufficienza della categoria
“hi-fi” legata al modello di figura e sfondo e la propensione per i
12 Cfr. S. Feld, “Note sulla documentazione sonora”, in Santi, animali e suoni.
Feste dei campanacci a Tricarico e San Mauro Forte, op. cit. p., 62.
13 R. M. Schafer, Il paesaggio sonoro, op. cit., p. 19.
Miriam Stallone, Pag. 148
De Musica, 2012: XVI
suoni discreti. Il modo in cui Schafer tratta i suoni delle campane è esemplificativo dell’idea di segnale referenziale. Se dovessimo
schematizzare la sua posizione potremmo sostenere che i segnali
sono figure, mentre lo sfondo è composto da toniche del paesaggio,
una rete di suoni con valore e significato archetipo che, operando in
maniera inconscia, influenza il comportamento e lo stile di vita di
una società.
Ancora più sfuggente sembra la sua definizione di impronta sonora la quale può essere rappresentata da «un suono comunitario
che possieda caratteristiche di unicità oppure qualità tali da farle
attribuire, da parte di una determinata comunità, valore e considerazione particolari. Una volta identificata, un’impronta sonora
deve venire protetta, perché la sua esistenza conferisce carattere
di unicità alla vita di comunità»14. È presente un fattore di unicità
connesso a quello di relatività sociologica rispetto ad una specifica
comunità. Assieme ai segnali l’impronta sonora riveste la funzione
di figura e sembra rappresentare la “verità sonora” di un dato ambiente sociale, da preservare prima di scomparire inghiottita dai
rumori del “progresso”.
Le campane, secondo Schafer, sono un semplice segnale la cui
semiotica è riconducibile a un codice. Indica due funzioni piuttosto
ovvie: contrassegno acustico della comunità cristiana e indicatoremisuratore del tempo.
Le descrizioni del teorico canadese sono spesso più ricche delle
nozioni alle quali si riferiscono: «A una certa distanza, però, la campana possiede un forte potere evocativo e il rumore stridente del
battaglio lascia il posto a un fraseggio legato, modulato dinamicamente dall’acqua e dalle correnti d’aria […]. Quello delle campane
è un completamento delle colline che sfumano nella lontananza,
avvolte in una bruma grigio-azzurra»15.
Emergono tratti salienti del pensiero schaferiano quali la lettura di eventi sonori del paesaggio attraverso il linguaggio della
14 Ivi, p. 22.
15 Ivi, p. 83.
Miriam Stallone, Pag. 149
De Musica, 2012: XVI
scrittura musicale occidentale e il modello di “concerto”. Acquisisce
maggior senso il riferimento al suono “rumoroso” delle campane da
vicino, mentre pare essere la distanza a modularlo in senso musicale. Schafer propone una descrizione in cui mostra una sorta di
spazializzazione emotivo-sentimentale tramite un suono che sfuma
e si fonde con il paesaggio. La modalità in cui i suoni si relazionano
tra loro e nell’ambiente comincia a porre l’attenzione sul carattere
di continuità del suono in senso diffusivo in contrapposizione alla
discretezza che un segnale dovrebbe avere.
La posizione del teorico sembra leggibile, per certi versi, in termini di valore sentimentale, poetico e musicale dei suoni della distanza e valore espressivo dei suoni quando li sentiamo da vicino,
cioè nel momento in cui la loro presenza materiale si dà in maniera preponderante attraverso la componente timbrica. Come si può
evincere dalla citazione poetica di Robert Louis Stevenson: «Spesso nella voce delle campane c’è una nota minacciosa, qualcosa di
assordante e metallico, cosicché penso che gli uomini sentano più
paura che gioia nel sentirle»16, a Schafer non è estranea una certa
drammaturgia del timbro, per quanto piuttosto inconsapevole,
Si presenta il tema dell’espressività insieme alla complessa rete
di interazioni tra aspetti passivi e attivi dell’ascolto e della valorizzazione immaginativa dei materiali sonori, per quanto il modello
schaferiano si proponga con un’istanza quasi totalmente passiva e
il ruolo dell’attività sia relegato alla produzione psicologica di inferenze più o meno private. In quest’ottica i simboli non possono essere prodotti, vanno solo colti in quanto archetipi già dati, qualificati
allo stesso tempo come ineffabili.
«La campana definisce la comunità in senso estremamente concreto, poiché la parrocchia è lo spazio acustico delimitato e circoscritto dalla portata del suono della campana»17: questa descrizione
in termini di suono come segno marcatore18 di uno spazio è già qual16 Ibidem.
17 Ivi, p. 82.
18 Indico un’altra descrizione di Schafer che si accorderebbe meglio al senso di
uno spazio sonoro della ricerca antropologica di Feld rilevando l’ulteriore probleMiriam Stallone, Pag. 150
De Musica, 2012: XVI
cosa d’ulteriore rispetto al segnale della categoria figura-sfondo.
Il lavoro di Feld arricchisce questi temi in una direzione diversamente simbolica: il segnale sonoro, quando è tale, si carica di funzioni sviluppate in una pratica originale che ne elabora e sfrutta le
tensioni e possibilità estetiche dandone un’interpretazione creativa
e descrittiva allo stesso tempo.
§2. The Time of Bells di Feld. Descrizioni specifiche
La marcatura sonora di un ambiente, così come Feld ce la presenta, fa leva su alcune qualità espressive della regione timbrica
del suono e ci mostra diversi modi in cui esso si diffonde nello spazio. Le sue registrazioni fanno emergere l’incontro tra tali aspetti,
strutture passive del suono e istanze motivazionali dell’affezione
rendendo gli atti percettivo-immaginativi attraverso i quali emergono alcuni suoni salienti, mostrando, infine, il coinvolgimento
emotivo vissuto nella dimensione dello spazio sonoro.
Feld si occupa di forme di ritualizzazione dello spazio connesse
a sonorizzazioni ambientali, la sua ricerca è inserita in un contesto
che implica aspetti di ritualizzazione stratificata come, ad esempio, il rapporto tra uomo e sfruttamento delle risorse degli animali
(l’uccisione dei maiali durante Sant’Antonio come nella festa di San
Mauro Forte o l’applicazione di sonagli sul collo di bovini come nel
Campanaccio). Tali aspetti sintetizzandosi creano quei complessi
fenomeni di ordine simbolico che sono le feste popolari. Si potrebbe intraprendere, ad esempio, un discorso interessante intorno al
tema dell’apotropaicità della festa di San Mauro Forte e della funzione purificatrice del suono rispetto alla macellazione dei maiali
concernente il rapporto tra uomo, sfruttamento animale e la figura
di Sant’Antonio. Si andrebbe nel merito dei contenuti di significato
possibile delle feste e dei rituali: è compito di un metodo antropomatica del nesso tra valore apotropaico e suono: «La campana produce un suono
centripeto: attira verso di sé la comunità, e nello stesso tempo stabilisce un legame tra uomo e Dio. Talvolta, nel passato, ha anche avuto un carattere centrifugo,
quando veniva usata per cacciare gli spiriti maligni». Corsivi miei. R. M. Schafer,
Il paesaggio sonoro, op. cit., p. 82.
Miriam Stallone, Pag. 151
De Musica, 2012: XVI
logico leggere e interpretare tali fenomeni, qui invece si tratta di
osservare come l’occupazione e l’espansione del suono nello spazio
sia un ulteriore elemento costituivo di tali ritualizzazioni.
Dall’ascolto di The Time of Bells si può cogliere una distanza
dalla resa di una dicotomia acustica tra figura e sfondo benché la
definizione degli eventi sonori sia a tutti gli effetti nitida e definita
rispetto all’ambiente in cui accadono. Il paesaggio è sia hi-fi sia
low-fi perché le interazioni delle campane con il territorio ci raccontano di come il suono tenda a diffondersi nell’ambiente, a occupare
lo spazio permeandolo senza fratture, in sostanziale continuità. I
paesaggi sonori possono essere all’insegna di una certa opacità sonora, la gamma dei rumori fa parte delle esperienze d’ascolto possibile e non deve essere giudicata come conseguenza di una “snaturalizzazione dell’ascolto” frutto dell’avanzare del mondo industriale o
tecnologico.
Feld, al contrario di Schafer e nonostante continui a riferirsi alle
teorizzazioni del canadese, non cerca di cogliere i suoni “originari”
di un paesaggio. Egli ha un gusto particolare nell’inserire all’interno del montaggio alcune riprese che vanno a documentare per
esempio l’allestimento del palco o una band durante la prova del
suono. Aspetti che non hanno a spartire con un’idealizzazione della
festa popolare o il tentativo di ricostruzione di un presunto e unico senso di tali ritualizzazioni. Scegliere di non tagliare e anzi di
enfatizzare situazioni sonore accidentali nega una gerarchizzazione in termini di suoni necessari e accidentali: fanno tutti parte di
un’esperienza sonora globale, possibile e condivisibile. Non credo si
possa trattare di una vera e propria istanza di realismo da parte di
Feld, ma di una scelta narrativa: il paesaggio sonoro non è un’esperienza astratta, è un luogo dell’affettività stratificato dove non è il
senso di una gerarchia tra suoni a far emergerne alcuni piuttosto
di altri, sono istanze dell’attenzione e regole dell’affezione a motivare soluzioni espressive. Non una presa di posizione a-prioristica
che giudica alcuni suoni più importanti e degni di essere messi in
rilievo rispetto ad altri perché considerati qualitativamente più
Miriam Stallone, Pag. 152
De Musica, 2012: XVI
“originali e rappresentativi” come in Schafer, bensì una resa in termini espressivi di modalità affettivo-sentimentali, attive e passive,
attraverso cui si dà un mondo di suoni.
La scelta di focalizzare lo studio sul suono delle campane implica
certamente la presa in esame di forme rituali e simboliche salienti
culturalmente connotate, ma sostenere che esse siano oggetti simbolici di per sé non è sufficiente. Le campane sono sicuramente oggetti evocativi e l’indagine documentaria di Feld sembra voler fare
un passo ulteriore esprimendo come sia l’ascolto stesso a richiamare strutture sintetico-simboliche complesse. Il gioco apparecchiato
da Feld è denso, da un lato la messa in scena di esperienze uditive
che prendono in esame forme rituali (come la documentazione delle
feste lucane o le riprese delle campane durante l’Angelus19), dall’altra le riprese sonore di ambienti quotidiani e di lavoro (campacci di
ovini al pascolo nel paese di Gragnana in Italia20), oppure situazione in cui compaiono integrati entrambi gli aspetti (campanacci di
bovini al pascolo e rintocchi di campana in una chiesa di una piccola località francese21). Il problema primario non sembrano essere
i contenuti rappresentativi, ma l’espressione di uno spazio sonoro;
le campane prima ancora di ricoprire una funzione simbolica di per
sé suonano in maniera tale da interagire con l’ambiente e inducono
a interrogarsi sul modo in cui a nostra volta interagiamo con esso.
Il suono fa da base materiale occupando lo spazio con le proprie
caratteristiche, timbriche in particolare. Il sentimento, luogo in cui
si incontrano il mondo dei suoni e la presenza estetica dell’ascoltatore, diventa base per lo sviluppo di valorizzazioni immaginative ed
emotive ulteriori.
Nell’opera di Feld non vi sono suoni indegni, solo scelte narrative
che si servono di strumenti di sintesi del suono come mezzi attraverso i quali si fa luce sul modo in cui ascoltiamo.
«Non è stato fatto alcun tentativo di rimuovere i suoni
19 S. Feld, The Time of Bells, op. cit., vol. I, traccia 5.
20 Ivi, traccia 1.
21 Ivi, traccia 6.
Miriam Stallone, Pag. 153
De Musica, 2012: XVI
moderni o le innovazioni presenti nel paesaggio sonoro
delle feste: compaiono infatti rumori delle macchine, gli
impianti di amplificazione, la musica registrata, il gruppo medievaleggiante di tamburi e sbandieratori, il gruppo dei Tarantolati di Tricarico che si esibiva sul palco
di San Mauro Forte durante il Campanaccio. Si tratta
evidentemente di aggiunte recenti o estemporanee, ma
anche questi suoni si percepiscono in rapporto di interazione con i suoni più tradizionali dei campanacci e degli
strumenti musicali»22.
Feld non si preoccupa del fatto che queste sonorizzazioni possano
contribuire in maniera minore a esprimere un senso della festività
riposto in archetipi più o meno opachi, come sembra invece consono alla
prospettiva di Schafer. Nel caso specifico di The Time of Bells le forme più
o meno esplicite di ritualizzazione del suono delle campane sono sempre
integrate a suoni di vita quotidiana, dalle voci di chi alleva gli animali al
rumore delle automobili nelle città.
Le riprese sonore dell’antropologo sembrano far dipendere la
narrazione di una drammatizzazione dello spazio affettivo anche
dal fattore temporale, è lo spazio sonoro a essere vissuto in modo
da dipendere anche dal decorso temporale. Ritengo più interessante come in Feld le impressioni affettive dello spazio si modifichino
nel tempo e come esso agisca da parametro dell’affettività piuttosto che approfondire l’idea di scansione della vita umana. Questo
secondo modo di considerare il tempo è presente a tutti gli effetti
nella poetica sonora di The Time of Bells e rappresenta uno degli
aspetti di indubbio fascino. L’ascoltatore, specialmente se “audiofilo”, viene avvolto e coinvolto da queste bellissime produzioni sonore e può lasciarsi facilmente ispirare a meditazioni intorno al
tema del trascorrere del tempo o circa la scansione della vita quotidiana in contesti ancora rurali. Questo intento poetico non deve
però distrarre dal modo peculiare in cui Feld agisce sui parametri
spazio-temporali in relazione alla pasta del suoni. Sulla base delle
durate un’impronta timbrica si diffonde nell’ambiente assumendo
22 S. Feld, “Note sulla documentazione sonora”, in Santi, animale e suoni. Feste
dei campanacci a Tricarico e San Mauro Forte, op. cit., p. 63.
Miriam Stallone, Pag. 154
De Musica, 2012: XVI
alcune varianti: se la durata è maggiore si avrà una certa occupazione dello spazio, un decadimento del suono più lento che sfumerà
nell’ambiente dal forte al piano, se le durate sono brevi e i rintocchi
si sovrappongono si andrà verso un ispessimento della massa sonora, come nella festa del Campanaccio.
Un esempio di come si comportano le campane con una durata
più lunga è rappresentato dalla seconda traccia del primo volume
di The Time of Bells dove possiamo sentire distintamente il rintocco
di campane in una chiesa di paese finlandese (Nauvo). L’ascoltatore si avvicina ad esse esprimendo emotivamente la propria presenza nello spazio: ci gira intorno e ne sente la massa timbrica da varie angolature, contemporaneamente si possono ascoltare e vivere
i suoni della natura circostante, i passi e la presenza di rumori del
corpo umano; il percorso ci porta dentro l’edificio sacro e il missaggio fa interrompere (al minuto primo e cinquantasette secondi) la
presenza sonora delle campane che stavano già sfumando al di fuori, nello stesso momento attacca la musica di un organo all’interno
della chiesa, una scelta narrativa eseguita attraverso il montaggio.
Partendo da un’esperienza del suono e dello spazio vissuta in
modo emotivo e sentimentale Feld giunge a liberarsi di alcuni preconcetti che ne appesantiscono la teoria e la pratica di ricerca. I
suoi studi appaiono come un approfondimento della nozione di paesaggio sonoro attraverso forme peculiari di simbolizzazione: il senso antropologico delle feste e dei rituali intorno alle campane deve
essere compreso a partire da una partecipazione a un evento che è
esperienza della profondità dello spazio entro cui i suoni si muovono e che essi stessi contribuiscono ad elaborare in un rapporto di
reciproca e dinamica strutturazione.
A questo punto siamo chiamati a rendere conto dei molti suggerimenti fatti finora (l’idea di impronta sonora e della diffusione
ambientale del suono, l’apporto del timbro e delle dimensioni del
sentimento e dell’affettività, etc.) restituendo qualche riferimento
che, discostandosi dall’impianto schaferiano, possa ambire in qualche modo a far da base a questa prolificazione di idee, talvolta cenMiriam Stallone, Pag. 155
De Musica, 2012: XVI
trifughe e dispersive, intorno al tema del paesaggio sonoro.
Avevamo osservato come Feld si curi fino a un certo punto del
problema teorico riguardante l’uscita da una dimensione privata
delle esperienze sonore connotate a livello sentimentale ed emotivo.
É significativo come nell’articolo Aesthetics as iconicity of style egli
abbia trovato un riscontro della categoria “che suona sollevato al di
sopra” nel brano Nefertiti23di Miles Davis da pare di alcuni membri
della comunità kaluli. Ne fa una bella analisi, ma ciò che colpisce
è il tentativo di suggerire sulla base dell’osservazione un esempio
del valore extraculturale e intersoggettivamente confrontabile dei
modi dell’ascolto attraverso il riconoscimento di uno stile di composizione musicale. Tale apertura della teoria kaluli ci indirizza
anche nella ricerca sulle campane: il piano affettivo dove si gioca
l’esperienza del paesaggio non è un sentire privato o una derivazione esclusivamente culturale, ma rappresenta un modo condiviso di
ascoltare i suoni del mondo.
Feld sostiene una messa in mostra di strutture estetico-simboliche che da un lato esibiscono il modo in cui ascoltiamo ricostruendone le strutture e i rapporti, come se ci stesse dicendo “adesso ti
faccio sentire come ascolti”, dall’altro lato radica tali modi nel darsi
del suono in maniera diffusiva, mettendone in risalto il carattere
in primo luogo timbrico ed evidenziando come sia questo secondo
aspetto il punto di partenza effettivo che consente di proseguire sul
piano dell’elaborazione teorica.
Sono questioni pregnanti, perciò desidero almeno provare a suggerire un approfondimento andando a toccare il pensiero di filosofi
del calibro di Husserl ed Hegel intorno a questi temi, compiendo
una sorta di percorso a ritroso dal punto di vista concettuale con
l’obbiettivo di restituire sostanza e solidità a una pratica di ricerca
notevole. Continuando a inseguire il leitmotiv delle campane metterò in rilievo come in questi due grandi pensatori che tanto hanno
insistito sull’idea di musica come arte del Tempo (Feld d’altronde
23 Cfr. S. Feld, Aesthetics as iconicity of style, or ‘lift-up-over sounding’: getting
into the Kaluli groove, op. cit., pp. 99-101.
Miriam Stallone, Pag. 156
De Musica, 2012: XVI
compone The Time of Bells) possa emergere un differente discorso
sul suono intorno ai temi di spazio, materia, sentimento,
II. Husserl ed Hegel
§1. Suono, spazio e materia in Husserl. Analogia con il calore
Al fine di dare una differente prospettiva di approfondimento
teorico alla ricerca di Feld ripercorro alcuni spunti provenienti da
appunti più o meno noti di Husserl riguardanti una proto-teoria
della relazione tra suono, spazio e materia24. Qui il suono è spaziale in senso improprio: lo spazio è una qualità extra-essenziale e
non vi può essere propriamente un campo acustico in quanto privo
di un sistema di localizzazioni. É noto, invece, come al suono sia
essenziale la forma della successione temporale. Il riferimento al
parametro spaziale rappresenta una novità rispetto al posto solitamente occupato dal suono nella filosofia husserliana e per coglierne
il senso bisogna distinguere il problema dell’irraggiamento da quello della localizzazione di un suono. Benché vi sia in Husserl un’in24 Mi riferisco come fonte ai frammenti contenuti nell’importante e discusso articolo di R. Casati, “Considerazioni critiche sulla filosofia del suono di Husserl”,
in Rivista di storia della filosofia XLIV, 4/1989, pp. 725-743 o http://users.unimi.
it/~gpiana/dm3/dm3suorc.htm. L’altra fonte è rappresentata da alcuni riferimenti contenuti in V. Costa, L’estetica trascendentale e fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl, op. cit., pp. 130-131. Costa
pur ripercorrendo sinteticamente alcuni passaggi fondamentali circa il rapporto
tra suono, spazio e materia, non si è potuto soffermare su alcuni punti che qui
interessano in maniera più mirata. Riporto la sua sintesi: «“ogni corpo, e più precisamente ogni schema sensibile della piena corporeità, è una corporeità spaziale
(una forma spaziale) ‘sulla quale’ o ‘nella quale’ si estendono le qualità sensibili.”
Le altre determinazioni, per esempio quelle acustiche “nella percezione, vengono riferite all’oggetto; secondo il loro senso gli appartengono, ma non riempiono
l’oggetto stesso in senso primario e autentico, non riempiono il suo spazio”. Il
suono di violino viene per esempio non soltanto udito, ma appreso come suono di
violino, per cui esso è una determinazione che spetta a quest’ultimo. […] “Al suono non attribuiamo soltanto un punto di irradiazione nello spazio, e quindi una
corrispondente localizzazione, in quanto ‘parte’ dal violino, ma anche un tragitto
nello spazio e un riempimento dello spazio” a ciò non significa che il suono riempia effettivamente lo spazio: “È solo metaforicamente che si parla di espansione
del suono nello spazio e di un riempimento dello spazio da parte di un suono”».
Miriam Stallone, Pag. 157
De Musica, 2012: XVI
decisione reale tra l’idea che un suono occupi uno spazio o che sia
localizzato in esso, penso valga la pena vagliare le possibilità insite
nella prima ipotesi poiché la seconda appiattisce il rapporto con la
fonte in una corrispondenza totale tra oggetto sonoro localizzabile
(o sorgente sonora) e suono.
Il margine che dà Husserl per poter parlare di localizzazioni riguardo al suono può avere valore in questo contesto solo se integriamo il piano percettivo con una relazione metaforica. Il filosofo
sceglie un modo particolare di rendere l’idea di espansione di un
suono nello spazio: il parallelo tra suono e calore sembra riuscire
a tenere insieme la relazione con la cosa e l’idea che tale relazione
materiale si esplichi attraverso un fenomeno sensibile, trasformando il rimando alla cosa su di un piano che intrattiene con lo spazio
un’inerenza specifica.
«Inoltre, caldo e freddo, come qualità che ricoprono in
modo bipartito i corpi, qualità irraggianti, qualità distanti non visive, il risuonare, il calore irraggiante; che
promanano dal corpo e si propagano o si spandono nello
spazio vuoto con forze differenti. Il suono, al modo in cui
esso è sul corpo, promanante da esso e da un suo luogo;
l’orecchio per così dire esplora lo spazio e coglie nel luogo
in questione i suoni che sono lì presenti, e di contro coglie
il suono (con l’appercezione) come esso è nella cosa. [Nel
caso di C]orpi completamente risuonanti, vi è risuonare
in ogni luogo del corpo e da ogni luogo fuoriesce nello
spazio un raggio sonoro»25.
«Avvicino un poco la mia mano ad un corpo, ed esso irraggia calore; avvicino il mio orecchio al corpo (o mi avvicino
25 «Ferner, Wärme und Kälte, als zweiteilig Körper bedeckende Qualitäten;
strahlende Qualitäten; nicht-visuelle Fernqualitäten, das Tönen, die strahlende
Wärme; von Körper ausgehend und im leeren Raum allseitig verbreitet bzw. sich
ausbreitend in verschiedenen Stärken. Der Ton, wie er am Körper ist, von ihm
oder von einer Stelle desselben ausgehend; das Ohr tastet gleichsam den Raum
ab und erfasst an den betreffenden Raumstellen vorhandene Töne, andererseits
fasst es (durch Apperzeption) auf den Ton wie er im Ding ist. Ganz und gar
tönende Körper, an jeder Stelle des Körpers tönt es und von jeder läuft ein Tonstrahl in den Raum hinaus (D 13 XV, 39)». R. Casati, “Considerazioni critiche
sulla filosofia del suono di Husserl“, op. cit., p. 730.
Miriam Stallone, Pag. 158
De Musica, 2012: XVI
con tutto il corpo alla cosa), ed esso irraggia il suono... un
rumore. Questo ne fuoriesce»26.
Nel trattare il rapporto tra suono e fonte Husserl sembra sostenere l’irraggiamento del suono dalla cosa, un irradiamento che
tende a raggiungerci. Vi è una sfumatura che approfondisce l’idea
secondo la quale il suono si muove dalla cosa verso di noi andando
a occupare lo spazio, transitando in esso per tutto il tempo della
propria durata nello stesso modo in cui si comporta il calore. Accade che il suono acquisti spessore materiale, si avvicini alle regioni
del corpo nelle sue determinazioni tattili attraverso la valorizzazione immaginativa delle sensazioni uditive: mi sembra di sentire
un suono così come sento il calore di un corpo, mi sembra di poterlo
toccare a distanza perché esso ha occupato il luogo tra la cosa e i
miei sensi. Questo tipo di inferenze non sono espressione di un latente soggettivismo, ma vanno a cogliere e valorizzare ciò che viene
suggerito a livello di caratteristiche strutturali del suono; esso si
dà come diffusione e irraggiamento dalla cosa ed è per questo che
possiamo dire di sentirci avvolti da esso così come accade con i fenomeni termici.
Non vi è una semplice ricezione di dati di sensazione (sento caldo
o sento un suono), i sensi sono il primo grado di un processo che prosegue cogliendo proprietà e caratteristiche che si danno nella cosa,
le quali vengono attivamente valorizzate ed espresse attraverso le
modalità della cosa materiale e sensibile.
A differenza del rapporto tra cosa e colore, il suono non la riempie, ma proviene e si riferisce al suo oggetto per il suo senso. É la
fonte che si affaccia nel suo legame specifico con il suono, Husserl
non si limita ad appiattirlo interamente su di essa, ma fa prolificare
la relazione; l’eventuale localizzazione di un suono è da rimandarsi
al sistema di posizioni della fonte, essa è il punto dell’irradiazione
sonora a cui sembra legittimo riferirsi come all’origine di una molti26 «Ich bringe meine Hand etwa einem Körper nahe, und er strahlt Wärme aus;
ich bringe mein Ohr dem Körper nahe (oder nähere mich überhaupt leiblich dem
Körper), und er strahlt den Ton... einen Tönen, ein Geräusch aus. Das geht von
ihm aus (D 13 XXIII, 31)». Ibidem.
Miriam Stallone, Pag. 159
De Musica, 2012: XVI
tudine di raggi-vettore i quali partendo dalla cosa, metaforicamente, compiono un tragitto riempiendo ed espandendosi nello spazio.
Il suono viene colto come una qualità, il suo statuto ontologico si
orienta verso regioni rarefatte e metafisiche del fenomeno, un regno dell’astratto che tende a sfuggire la cosa, eppure proprio il suo
essere una qualità fa dipendere dall’oggetto la sua stessa determinazione.
Il suono parla della cosa, può raccontare di alcune caratteristiche materiali che ineriscono alla sua fonte ed esprimere la cosa
diventa parte delle sue possibilità. É forse questo il senso meno
banale che viene suggerito dal seguente riferimento: «il suono di
violino viene per esempio non soltanto udito, ma appreso come suono di violino»27.
Husserl non può che sminuire la propria descrizione in quanto
metaforica perché si muove su un piano strettamente percettivo,
come quando sostiene che «“un suono può essere più o meno ‘acuto’
o ‘rotondo’” ma si tratta di mere analogie»28. Eppure in questo modo
dice moltissimo: per rendere conto descrittivamente del fenomeno
sonoro, è come se a un certo punto non gli bastasse più il solo piano percettivo e dovesse accennare a un piano di idee che ha a che
vedere con la valorizzazione immaginativa di impressioni sensibili,
la dimensione del “come se”, idee che altrimenti non potrebbero
essere descritte. Egli allude al fatto che nel sentire un suono abbiamo come la sensazione che esso si espanda nello spazio e lo vada a
occupare. Il suono appare in un modo tale da suscitare inferenze di
questo tipo anche se ciò non avviene propriamente per una ragione
di derivazione deduttiva dal “concetto di suono”.
Tale modo di considerare l’origine del suono dalla cosa consente
di sviluppare un rapporto simbolico orientato: il fenomeno sonoro va ad esprimere gli attributi della cosa dalla quale proviene, ci
27 Ivi, p. 130.
28 Ivi, p. 135. Viene tradotto e riportato parte del contenuto di un manoscritto:
«Ein Ton kann mehr oder minder ‘spitz’ or rund sein, da mörgen entfernte Analogien kontinuerlicher Wandlungen und Übergänge vorliegen; aber das sind eben
Analogien, die keineswegs auf Räumlichkeit schliessen lassen (D 7, 35-36)».
Miriam Stallone, Pag. 160
De Musica, 2012: XVI
racconta come essa è fatta attraverso un ordine di considerazioni
immaginative che leggono le caratteristiche sensibili del suono.
Con Feld e Schafer avevamo parlato di un’impronta sonora e
credo che buona parte di quest’idea sia ben rappresentata dalla
componente timbrica29 di un suono: come dire che il timbro di un
particolare strumento (nel caso più semplice o in casi più complessi
la pasta timbrica data dall’interazione di più fonti sonore) esprime
le caratteristiche materiali dello strumento dal quale proviene. Ad
essere più precisi sembrerebbe essere la stessa idea di impronta sonora a proporre in chiave più ampia il tema del timbro liberandolo
da una concezione troppo stretta legata al temperamento di uno
strumento e comprendendone aspetti legati al rumore.
Sembra facile pensare, e la critica di Casati concorda, che Husserl abbia in mente un’immagine tagliata su quella di alcuni strumenti risuonatori, come quello del gong, naturale esempio di queste relazioni.
Non solo il gong, ma anche la campana può essere ammessa come
un buon esempio di irraggiamento, Piana vi si riferisce esplicitamente facendo leva sulle rappresentazioni di essa: «Il suono comincia di qui, dalla cosa, dentro di essa, e poi si fa avanti irraggiandosi tutt’intorno. Pensiamo allora alle rappresentazioni infantili del
suono di una campana: la campana viene circondata da raggi che
promanano da essa, da un punto che sta dentro di essa, e che di qui
si diffondono nello spazio intorno»30.
Una facile critica a queste concezioni indica una confusione tra
29 Il timbro non è ovviamente l’unico parametro attraverso il quale il suono
esprime la cosa, ma mi pare il più forte: l’altezza di un suono contribuisce sicuramente all’impronta sonora, ma la componente maggiormente esemplare sembra
essere la qualità timbrica. Un particolare accordo può esprimere e rendere l’idea
di un addensamento materiale o la dinamica del forte può fungere da struttura
passiva su quale si innestano valorizzazioni immaginative che giustificano l’impressione dell’incombere di una presenza. Il problema è che si tratta di strutture già parecchio complesse. L’accordo presuppone il problema della fusione tra
oggetti sonori di per sé indipendenti (le singole altezze), il movimento del suono
nello spazio che l’immaginazione legge come l’avvicinarsi di una presenza può
dipendere a sua volta da una moltitudine di fattori tra cui quello timbrico.
30 G. Piana, La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione. Saggio III: Colori e Suoni, Guerini e Associati Editore, Milano 1988, p. 218.
Miriam Stallone, Pag. 161
De Musica, 2012: XVI
ciò che concerne il suono vero e proprio e ciò che invece deve essere
attribuito all’idea di una riverberazione di un suono nell’ambiente. Tale osservazione offre l’occasione per operare altre distinzioni.
Questi due differenti oggetti d’indagine (il suono di per sé e il suo
riverbero) vanno necessariamente tenuti separati se ci si approccia
al problema da un punto di vista acustico, ma in un’ottica differente si può cogliere la ricchezza derivante dal parziale scivolamento
una sull’altra di queste idee husserliane, una rinnovata continuità
di senso espressa proprio dall’idea di irraggiamento e dalle immagini sonore rappresentate da gong e campana.
I suoni di gong o campana possono fungere da buoni esempi anche perché si tratta di strumenti parzialmente intonati, pur essendo legati ad un’altezza il loro timbro è ricco di componenti “rumorose” oltre che di “puri” armonici, offrendone una sintesi. Il suono
si irraggia raccontando che la cosa dal quale proviene è metallica,
fa sentire la propria solidità come se potessimo toccarlo a distanza
senza necessariamente instaurare un nesso causale e visivo con la
fonte. Potrebbe essere questo il modo in cui “[l’orecchio] di contro
coglie il suono (con l’appercezione) come esso è nella cosa”, ed è forse per questo che Husserl quando pensa a un suono che si irraggia
sembra prendere a modello certi strumenti risuonatori come quello
del gong che esprime una forte corposità.
Se il suono porta su di sé i tratti materiali della cosa e li racconta attraverso timbri caratteristici, anche la cosa materiale subisce
una modificazione di stato. Insieme al filosofo possiamo determinare i tratti della sorgente sonora mettendo in discussione quell’idea
di fonte puntuale dalla quale l’irraggiamento del suono dovrebbe
dipartire. Il suono sta dentro la cosa a partire dal riempimento del
corpo che diventa sonoro e il modo in cui occupa uno spazio è intrinseco al suono stesso,: «Il calore come calore del corpo e calore della
stanza, la determinazione sonora sul corpo, il corpo risuona ed è
riempito dal suono»31.
31 «Wärme als Wärme des Körpers und Wärme im Zimmer, Tonbestimmtheit
am Körper, der Körper tönt und ist erfüllt von Ton (D 13 XXIII, 30)» R. Casati,
Considerazioni critiche sulla filosofia del suono di Husserl, op. cit., p. 731; Cfr.
Miriam Stallone, Pag. 162
De Musica, 2012: XVI
É degno di nota come in questo passo Husserl stringa l’idea di
corpo sonoro a quella di calore il quale sembra poter fungere da
termine medio grazie al quale attribuire al suono un’occupazione
dello spazio. Il punto di svolta è rappresentato dal principio termico con il suo duplice richiamo allo stare dentro a un corpo e dentro
a una stanza-ambiente, l’idea che la cosa o fonte non sia un’entità
puntuale rispetto al suono e nemmeno vi sia un suono come qualità
che ricopre esternamente una figura. La fonte non è un punto ma
una massa sonora, il suono occupa il luogo della sua estensione e
fuoriesce da essa con i caratteri della cosa. A questo punto l’idea di
un movimento nello spazio deve essere messa da parte far posto al
particolare movimento che attraversa la cosa. Husserl ci sta facendo girare intorno alla determinazione di una nozione spesso abusata a causa dell’indubbio fascino che essa suscita, quella di corpo
sonoro, il quale assume una piega ancor più interessante sotto un
profilo teorico una volta considerate le relazioni con l’ambiente che
l’idea di paesaggio sonoro suscita.
I caratteri espressi dall’irraggiamento e dal calore pongono una
distinzione semplice quanto importante facendoci prendere le distanze da uno dei pericoli latenti nell’idea di corpo sonoro; l’ambiente non deve essere trattato come se fosse a tutti gli effetti un
prolungamento del corpo sonoro, l’immagine del raggio aiuta in
questo senso a mantenere un minimo di alterità tra cosa e spazio
che consente di non confondere i due piani dentro una stessa nozione di corpo risonante, onnicomprensiva quanto vaga. Il parallelo
con la diffusione della temperatura è calzante poiché allontana da
una visione troppo concreta e solida del suono nello spazio: il carattere della distanza tra corpo sonoro e corpo del soggetto sensibile li
accomuna sotto il segno della distinzione dell’ambiente risuonante
come luogo di interazione espressiva dove il suono mantiene comunque la sussistenza rarefatta del calore e non riesce a “solidificare” lo
spazio. Attribuire legami con il corpo attraverso il parametro timbrico non significa che il suono debba essere inteso realmente come
G. Piana, Filosofia della musica, Guerini e Associati Editore, Milano 1991, p. 80.
Miriam Stallone, Pag. 163
De Musica, 2012: XVI
“spesso” altrimenti si fraintenderebbe la categoria di espressione,
un piano ricco di valorizzazioni metaforiche che Husserl coglie in
quanto tale rifiutando almeno parzialmente e provvisoriamente di
attribuirgli rilevanza teoretica.
Husserl non fu certamente il primo a cogliere un valore nella
continuità di suono e calore, anche Hegel trovò fertile tale rimando,
pur partendo da un quadro concettuale eterogeneo, richiamandosi
a strumenti risuonatori e all’immagine di una campana, aiutandoci
così ad approfondire l’idea di un movimento interno alla materia
sonora.
Parafrasando le parole di Hegel, per la rappresentazione suono e
calore sono separati e riesce sorprendente un loro accostamento: «Il
riscaldamento dei corpi risuonati, come di quelli percossi, e anche
di quelli sfregati l’uno contro l’altro, è il fenomeno del calore che
sorge concettualmente dal suono»32. Il riscaldamento si riferisce a
due aspetti della pratica musicale che vanno ricondotti al gesto di
scuotimento della materia in quanto gesto fondamentale del corpo
risuonante, coerentemente con l’idea hegeliana di suono. Il problema comincia a sorgere nel momento in cui si considera che vi è un
fattore aggiunto: i modelli di suono qui proposti sono pericolosamente riconducibili a strumenti dell’area percussiva tanto disprezzata dal filosofo, strumenti musicali risuonatori di una corposità
ambigua. Il primo esempio è direttamente relato alle percussioni e
pure il secondo consente un rimando all’atto dello sfregare come se
Hegel riconducesse il suono di un violino all’atto di frizione dell’archetto sulle corde o il suono del pianoforte alla percussione delle
sue corde.
Il modello del risuonatore non ci deve far pensare a un diapason in senso strettamente acustico (ci ricordiamo del riferimento di
Feld alla foresta pluviale come un diapason nel senso di una riverberazione sonora), ma piuttosto al tremore interno che si manifesta
nel gioco di alternanza tra elemento materiale e la sua negazione,
32 G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle Scienze Filosofiche. In compendio con le
Aggiunte. Vol II: Filosofia della Natura, a cura di V. Verra, UTET, Torino 2002,
p. 230.
Miriam Stallone, Pag. 164
De Musica, 2012: XVI
un continuo movimento oscillatorio che caratterizza suoni appartenenti all’area percussiva e si esprime attraverso la polarità di
materia e rarefazione della stessa. Non a caso l’unico esempio di
questo paragrafo è quello di una campana colta nel momento in
cui viene percossa: «Per es. una campana viene percossa, si scalda;
e questo calore non le è esterno, ma è posto mediante il suo stesso
tremolìo interno. Non soltanto il musicista si scalda, ma si scaldano
anche gli strumenti»33.
La scelta della campana prende rilevanza se si considerano due
fattori: il primo interno alla concezione del suono nella Filosofia
della Natura, per il secondo dobbiamo guardare all’organologia
dell’Estetica. Il primo ci racconta come non tutti i materiali abbiano la stessa coesione e il corpo di alcuni sembra più adatto a far
allontanare il suono dalle regioni materiali; i materiali metallici
(specie se fusi oppure di vetro) hanno una maggiore omogeneità,
il suono trova meno resistenza e si può meglio rarefare34. In Hegel
sono presenti l’idea di fuga dalla materia relativa a uno strumento
sonoro e l’idea di scuotimento di corpo pesante e greve dal quale il
suono proviene e al quale il suono ritorna con la sua oscillazione.
La percussione di un corpo sonoro è un riferimento d’obbligo e una
sorta di modello teorico: «I corpi non emettono ancora suoni a partire da se stessi, ma soltanto se risultano percossi»35 in quanto l’urto
esterno e meccanico sollecita quel movimento interno oscillatorio
del tremore che tende ad allontanarsi dalla sfera del meccanismo
pur rimanendone legata.
Il riscaldamento della campana viene colto nel suo legame con la
percussione dello strumento, quell’urto che viene da fuori e sollecita il movimento interno mediante il quale si può sviluppare calore.
§2. Impronta sonora e sentimento
Tornando a Husserl, il modo di darsi dell’impronta sonora sembra in linea con un’idea di continuità nello spazio ambientale. In
33 Ivi, pp. 230-231.
34 Cfr. Ivi, p. 221.
35 Ivi, p. 220.
Miriam Stallone, Pag. 165
De Musica, 2012: XVI
questo modo verrebbe a mancare quel carattere di discretezza per
cui una cosa occupa un luogo. Lo spazio in cui si muovono i suoni,
l’ambiente, è un corpo sonoro in maniera differente rispetto alla
cosa stessa: siamo all’interno di una visione di valorizzazione immaginativo-emotiva dello spazio.
Si consideri il fattore aggiunto ai temi sviluppati nel già ricco
binomio suono-calore che comporterebbe un parallelo con il colore.
É rilevante che ci si esprima riferendosi a “colori timbrici” e, allo
stesso modo, le determinazioni del timbro rimandino ad attributi
legati agli aspetti tattili della materia (per es. un timbro “caldo” o
“ vellutato”). Il passaggio concettuale ulteriore, piuttosto necessario a questo punto del discorso, è rappresentato dal modo in cui i
caratteri timbrici del suono si inseriscono nello spazio ambientale.
Il colore fa da guida: il suono occuperebbe lo spazio permeandolo e
ricoprendolo con le sue qualità, come se il suono irraggiandosi nello
spazio potesse “tingere” o “colorare” con le caratteristiche materiali
della cosa dalla quale proviene. Questa possibilità è fondata sulla
comune appartenenza a un campo costruito dall’innestarsi di sintesi di tipo attivo (immaginative, ma non solo) su caratteristiche
strutturali della cosa. L’ambiente vi appartiene in quanto spazio
connotato a livello sia immaginativo sia emotivo-sentimentale e si
può incontrare con il timbro in quanto qualità sonora che esprime
la cosa.
Il risultato del confronto tra modo di occupare lo spazio del binomio “suono-calore” e di “suono-colore” è piuttosto rilevante: l’idea
di colore riporta a una concezione di suono come veste sonora che
ricopre esternamente un luogo, ma, grazie alle considerazioni intorno al calore, è possibile connotare questo spazio come uno spazio
vissuto dove si incontrano istanze di tipo emotivo-sentimentale (un
ambiente). Il calore rende conto della “sostanza” rarefatta con la
quale si manifesta il fenomeno sonoro, suscitando una discussione
sulle modalità di espressione della cosa. Colore e calore inducono
invece a pensare all’espansione e all’occupazione dello spazio da
parte di un suono come a un ricoprimento che permea l’interno di
Miriam Stallone, Pag. 166
De Musica, 2012: XVI
un ambiente. Più di un contatto esteriore o di superficie che lascia
spazio e suono l’uno indipendente dall’altro, si tratta di un ambiente in cui l’impronta sonora interagisce in modo tale da arricchire lo
spazio e viceversa. L’ascoltatore in quanto coscienza emotiva si trova al centro di sollecitazioni sentimentali che l’io valorizza operando sintesi ulteriori all’interno di un ambiente risuonante già ricco.
L’ambiente può essere definito come un tipo di spazialità simbolica in cui «l’immagine dell’irraggiamento del suono dalla cosa si richiama al diffondersi del suono nella profondità dello spazio»36. Alle
valorizzazioni espressivo-immaginative bisogna aggiungere quelle
provenienti dal campo del sentimento e della coscienza, una direzione d’indagine che Husserl non manca di suggerire nonostante gli
prema innanzitutto chiarire il piano basilare; il generale rapporto
fenomenologico tra passività e attività risulta imprescindibile rispetto alle nozioni di affezione e sentimento. Quando il filosofo tedesco tratta l’affezione37, aprendo il discorso anche alle associazioni
attive, lascia ad intendere che ci potrebbe essere spazio anche per
una dimensione propria del sentimento e della fantasia. Egli dimostra sensibilità specifica verso questi temi in un testo di recente
pubblicazione intitolato in maniera esplicativa Lezioni sulla sintesi
attiva dove viene raccolto del materiale che si riferisce agli anni tra
il 1920 e il ‘2138 scritti ulteriori rispetto al celebre e fondamentale
Lezioni sulla sintesi passiva. Deve valere, in ogni caso, la considerazione secondo la quale il lato passivo della costituzione oggettuale stia prevalentemente dalla parte della percezione ricoprendo
una funzione trascendentale, secondo il filosofo, più urgente.
I termini generali della questione sono noti: obbiettivo teorico
del discorso intorno alle sintesi attive è certamente il problema del
giudizio, ma l’indagine di Husserl mira, in generale, a coglierne la
36 G. Piana, La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione. Saggio III: Colori e Suoni, op. cit., p. 224.
37 Cfr. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, a cura di P. Spinicci, trad it. V.
Costa, Guerini e Associati editore, Milano 1993), da p. 205 a p. 230.
38 Cfr. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi attiva. Estratto dalle lezioni sulla ‘logica
trascendentale’ (1920/21) a cura di L. Pastore, presentazione di D. Lohmar, Mimesis, Milano 2007, da p. 49 a p. 59.
Miriam Stallone, Pag. 167
De Musica, 2012: XVI
fondazione in senso pre-categoriale, un campo dove attività e passività alimentano i sensi intersecandosi. Questo significa che il modo
in cui l’Io esercita sintesi espresse a livello linguistico (ad es. che
un suono ricopra lo spazio colorandolo con il suo specifico timbro)
trova ragione e fondatezza a livello pre-categoriale dove si trovano
le questioni intorno all’affettività e alle operazioni costitutive della
coscienza emotiva quali il sentimento; esse giocano un loro «ruolo
già anche nella passività della vita della coscienza»39. L’affezione è
per l’Io un modo specifico di oggettivazione nella passività. Se ogni
attività si compie nell’orizzonte dell’attenzione, l’affettività corrisponde a un’attenzione all’interno della passività che si potrebbe
definire “attenzione negativa”40.
«Ogni cosa che è costituita per sé nello sfondo della coscienza, in quanto unità che si mantiene attraverso i
cambiamenti, esercita un’affezione sull’io in quanto uno.
Se il rivolgimento ha successo, allora quest’elemento unitario emerge dall’oscurità della passività; diventa qualcosa che viene afferrato, l’io gli si rivolge ed eventualmente
si occupa di lui in maniere diverse. Seguendo l’affezione,
l’io tematizza l’oggetto identico, gli si fa incontro per conoscerlo più da vicino, per determinarlo»41.
Se nell’affettività il rivolgimento dell’io ha successo, allora vi è
il passaggio all’oggettivazione attiva. Il sentimento in Husserl è un
modo proprio della passività, non vi è ancora partecipazione attiva
dell’io per cui non si può ancora costituire l’identità dell’oggetto, ma
ciò che è oggettuale
«può portare con sé già in questa passività un sentimento. […] La coscienza dell’oggetto fonda una coscienza
di tipo nuovo; il sentire come strato della coscienza che
rappresenta un’intenzionalità di tipo nuovo. Molto probabilmente anche questo nuovo strato apporta qualcosa
all’oggetto […]. Esso si inscrive nell’oggetto come momento nuovo, o meglio, si inscrive nel noema come questo carattere emotivo, come il ‘piacevole’ o, nel caso del39 Cfr. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi attiva, op. cit., p. 50.
40 Cfr. Ivi, pp. 49-50.
41 Ivi, p. 51.
Miriam Stallone, Pag. 168
De Musica, 2012: XVI
la frustrazione, come il ‘dolorosamente mancante’, e via
dicendo»42.
Il filosofo intende il sentimento in un’accezione che si limita al
piacere/dispiacere, ma si intuisce la possibilità di allargare la nozione a determinazioni ulteriori del sentire, basti pensare a come
l’espressione linguistica “dolorosamente mancante” rimandi al vissuto di una perdita drammatica; d’altronde egli attribuisce a questo vissuto non oggettivante una notevole capacità di contribuire ai
contenuti di senso tale per cui non si può non pensare alla sfera del
sentimento come a un campo più ricco e vario.
Il filosofo sta avanzando con poche esitazioni un’ipotesi importante: dai sentimenti derivano dei contenuti di senso che
«vengono intrecciati in operazioni oggettivanti di livello
più alto; maturano così oggettualità come i valori oggettivi, come, per esempio le opere d’arte, i beni economici
e via dicendo. [Questi predicati di valore] sono predicati che discendono evidentemente dall’intenzionalità del
sentimento. Queste determinazioni di valore non sono
caratterizzazioni sentimentali che cambiano in maniera
casuale, questi sono predicati, dunque qualcosa che può
venire attestato; ma la fonte […] sono i sentimenti e i
contenuti che, a partire dai sentimenti, competono alle
cose qui in questione. In definitiva si dovrà distinguere
fra il sentire stesso e l’oggettivare, sia esso quello passivo
o quello attivo dei livelli più alti, che oggettiva i contenuti che maturano nel sentire e che si serve di loro per
costruire nuovi strati di predicazione delle cose»43.
Si tratta di un’apertura notevole del pensiero husserliano circa il contributo alla costruzione di sensi relativi all’oggetto su di
un piano non propriamente percettivo quale quello del sentimento
e, per quanto riguarda l’affezione, rappresenta un indice puntato
verso il campo attivo delle motivazioni che si lega a quello propriamente passivo dell’emergenza. Sarebbe forse più preciso distinguere tra un livello percettivo di costruzione “oggettuale” dove anche
42 Ibidem. Corsivi miei.
43 Ivi, pp. 52-53.
Miriam Stallone, Pag. 169
De Musica, 2012: XVI
l’affezione, prima passiva e dopo il rivolgimento anche attiva, ha
un ruolo e un livello di attribuzione di valori, significati e simboli
che si attestano predicativamente, ma che hanno le loro radici nel
campo pre-categoriale e passivo del sentimento44. I due livelli non
sono affatto paralleli ma si alimentano a vicenda dell’unità della
produzione di sensi.
A questo punto possiamo comprendere come si possa parlare di
intreccio produttore di senso tra modalità attive e passive. Se è
vero che in Husserl «la passività è ciò che è primo in sé, perché ogni
attività presuppone per sua stessa essenza uno sfondo di passività
e un’oggettualità in essa già precostituita»45, sarebbe incompleto
non considerare anche l’altro aspetto che costituisce il problema:
«É nella natura di questa situazione che si possa parlare
di questi livelli inferiori soltanto se si ha davanti agli
occhi qualcosa che è già pronto e attivamente costituito;
se si fa astrazione dall’attività, allora il livello inferiore
è ancora indeterminato. A questo si aggiunga che ogni
operazione dell’attività stessa, seguendo regole proprie,
sprofonda nella passività e si ripercuote sulle operazioni
della passività originaria»46.
L’idea di impronta sonora, modo in cui il timbro ricopre l’ambiente, fa translare verso motivi differenti la categorizzazione
dell’ontologia classica secondo la quale il suono è prima di tutto una
qualità secondaria (a meno che non si voglia ammettere che alcune determinazioni essenziali del suono, come quella di timbro o di
altezza, siano qualità di terzo grado e così via all’infinito). Il punto
non è la secondarietà della qualità che dobbiamo responsabilmente
mantenere in quanto i suoni dipendono anche dalle funzioni di un
44 In ultimo luogo vengono menzionate da Husserl le operazioni di fantasia,
un’esperienza ludica del “come se” che riguarda il campo della libera attività
oggettivante, ma che svolge un ruolo già nella passività. Essa rappresenta un
atteggiamento della coscienza diverso sia dal modo del dubbio sia dall’illusione
poiché presenta un mondo come una semplice immagine avente regole indipendenti. Questo tipo di discorso non può che condurre lontano dal nostro campo di
indagine, in questa sede non ritengo perciò adeguato approfondire oltre. Cfr. Ivi,
pp. 55-59.
45 Ivi, p. 49.
46 Ibidem.
Miriam Stallone, Pag. 170
De Musica, 2012: XVI
soggetto percipiente, quanto l’idea che vi possa essere un’alternativa al rapporto che vede nel suono un rivestimento sensibile ma
esteriore di contenuti sentimentali. Una diversa prospettiva che
considera, grazie al fattore spazio-ambientale, la possibilità di un
sostrato pre-categoriale riguardante una tonalità del sentire allo
stesso tempo sonora e sentimentale.
Stiamo per esplorare alcune immagini e concetti presi a prestito
dal pensiero di Hegel sulla musica per comprendere meglio in quali
sensi si possa esplicare una disamina di questo tipo: da un lato il
focus sulle categorie del musicale e dall’altro l’analisi di alcune occorrenze intorno all’esempio del suono delle campane.
§3. Grund-Klang e paesaggio in Hegel
Confrontarsi con il ruolo e le funzioni del suono nel pensiero hegeliano significa affrontare un terreno denso di difficoltà. L’intrinseca problematicità del suo statuto ne fanno un oggetto di indagine
che tende continuamente a sfuggire e a porsi come elemento di destabilizzazione del sistema. Le oscillazioni tra determinazioni dello
spirito e debito allo spazio materiale invitano Hegel a uscire dal
proprio tracciato indicando vie differenti a partire da alcuni aspetti
“minori” che descrivono caratteri e funzioni del suono. Condurremo
un percorso alternativo rispetto ai temi istituzionali avvalendoci di
suggerimenti più o meno nascosti tra le pieghe delle teorizzazioni
di una filosofia della musica e del suono di rara pregnanza.
Vi è un’inaspettata apertura del pensiero del filosofo che declinando l’idea di una tonalità del sentire ci porta a connettere musica e paesaggio. Siamo a un punto piuttosto avanzato della tesi
hegeliana, giunti al secondo movimento della definizione di musica
l’approdo a un contenuto semantico non può che poggiare sulla determinatezza di un significato testuale e poetico. All’interno della
sezione dedicata alla musica d’accompagnamento Hegel si riferisce
a un tipo particolare: il Lied. Quello che dovrebbe fungere da semplice esempio rivela essere un punto di approfondimento e problematizzazione di spessore.
Miriam Stallone, Pag. 171
De Musica, 2012: XVI
«Per es., una canzone, sebbene possa contenere in se
stessa come poesia un insieme di stati d’animo (Stimmung), intuizioni (Anschauungen) e rappresentazioni
(Vorstellungen) variamente sfumate, ha però per lo più,
il suono fondamentale (Grund-Klang) di un unico sentimento (Empfindung) che compenetra il tutto, ed essa
fa risuonare perciò principalmente un solo tono d‘animo
(Gemütston). Cogliere tale tono e produrlo in un suono
(Tönen), ecco l’attività principale di una simile melodia
di canzone (Liedermelodie). Perciò essa può rimanere la
stessa lungo tutta la poesia, per quanto i versi siano più
volte modificati nel loro contenuto, e proprio con questo
ritorno accresce la profondità dell’impressione anziché
danneggiarla. Avviene proprio come in un paesaggio
(Landschaft), dove ci sono posti dinanzi gli oggetti più
diversi e tuttavia il tutto è animato da un unico e identico tono fondamentale (Grundstimmung) e da un‘unica
situazione della natura. Un simile tono (Ton), per quanto
possa essere adatto solo per un paio di versi e non per
altri, deve comunque dominare la canzone, perché qui
il senso determinato delle parole non dev’essere il senso
prevalente, mentre invece è la melodia a librarsi semplicemente per sé al di sopra di questa varietà»47.
Per “canzone” Hegel intende un brano per voce e accompagnamento in forma di Lied delimitando la relazione tra melodia musicale e testo a questo tipo, ma senza fare un discorso di genere in
senso stretto.
Ci sarebbe da interrogarsi a lungo sulla funzione specifica attribuita alla melodia in questo passaggio e in generale emergono
molte questioni, ma vorrei richiamare l’attenzione sul riferimento
al Grund-Klang come fattore pre-linguistico che contribuisce a nutrire il piano dell’articolazione predicativa. La funzione del suono
come Empfindung48 viene presentata dalla parte di un contenuto
47 Cfr. G. W. F. Hegel, Estetica, tr. it. N. Merker e N. Vaccaro, Einaudi Editore,
Torino 1997, p. 1052-53. Corsivi miei. Confronta con l’originale in lingua G. W.F.
Hegel, Ästhetik, Band II, Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt s. d., p. 310.
48 Non vi è in Hegel lo stesso rigore terminologico tipico della ricerca estetica
settecentesca intorno alle nozioni di sentimento e sensazione, ma si può comunque schematizzare che la sensazione si differenzia dal sentimento come ciò che
rimane più dal lato della passività, riguarda la fonte materiale, il mero dato
Miriam Stallone, Pag. 172
De Musica, 2012: XVI
sentimentale che deve essere espresso e articolato in determinazioni più specifiche che possono realizzarsi solo sul piano predicativo
del testo. In questo passo Hegel sfuma parzialmente la propria posizione tanto da comunicare che il piano del predicativo non va ad
agire in modo indifferente sul materiale sonoro, ma ne è vincolato
espressivamente. Egli si riferisce al suono fondamentale a livello
di Empfindung come se fosse la base iniziale di un contenuto spirituale, sì vago e ancora pesante di fattori naturali del suono, ma determinante affinché vi siano specifici modi del risuonare dell’anima
piuttosto che altri.
Hegel elabora la concezione di suono come Klang, il suono in
quanto vibrazione, una risonanza troppo espressiva per essere confusa con lo Schall propriamente acustico, e come Tön, suono musicale e qualitativo. Il piano del klingen è ricco e racconta del potere
evocativo-simbolico che i suoni potrebbero avere, il pensiero musicale è però troppo opaco e uno scampanìo diventa immagine della
coscienza infelice del pensiero devoto, di una spiritualità acerba.
La produzione di una melodia musicale che declini il suono come
Tön sembra quindi basarsi su un gesto espressivo che va a cogliere e
portare alla luce ciò che si presenta in maniera inarticolata e latente a livello di Klang, ma tale Klang si mostra come un’istanza unitaria avente una certa capacità di porsi a fondamento, una sorta di
sensibile il cui contenuto «è limitato e transitorio, perché appartiene all’essere
naturale e immediato, al qualitativo e al finito» (G. W. F. Hegel, Enciclopedia
delle scienze filosofiche, a cura di B. Croce, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 390),
una regione dello spirito che l‘uomo ha in comune con le bestie; il sentimento
invece è un‘affezione determinata, ma semplice e accidentale tanto che il suo
contenuto può essere di qualunque genere, una vuota forma dell‘affezione soggettiva. In quanto forme dello spirito individuali e ineffabili appartengono alla
più astratta soggettività e non sono portate a esprimere l‘universale, richiedono
perciò di essere riempite con un contenuto significante e già esistente. Applicato
alla musica ciò significa che essa ha un carattere di ricoprimento, involucro di
un contenuto che non può produrre essa stessa, ma deve ricercare altrove. Dal
punto di vista della produzione del suono, la musica è arte della sensazione (può
quindi porre solamente differenze sensibili astratte), ma dal punto di vista della
soggettività astratta è arte del sentimento in quanto involucro, forma vuota di
una soggettività che richiede di essere riempita da un contenuto determinato.
Siamo evidentemente di fronte a una prefigurazione dell‘arte dei suoni in quanto
funzione formale della Stimmung.
Miriam Stallone, Pag. 173
De Musica, 2012: XVI
enigmatica “essenza”, se così si può rendere il significato di questo
specifico “Grund”. Questo passaggio concettuale non è certamente
privo di problemi e deve essere inteso in quanto apertura nascosta
tra le pieghe del discorso hegeliano. Dovendo cogliere un po’ più a
fondo quanto spessore ci sia nell’idea di Grund-Klang di un unico
sentimento, si può osservare come sia sostanzialmente assimilabile
a un fattore pre-categoriale che deve essere colto ed espresso nel
linguaggio semantico (musicale e testuale) della canzone. Grazie
alla determinazione semantica vera e propria, esso può aggiungere
spessore al significato reinvestendo la stessa tonalità del sentire la
quale è sonora e sentimentale allo stesso tempo.
La relazione metaforica “musica (il Lied) come paesaggio” apre
la possibilità di considerare la relazione tra quell’unico tono e piani
del musicale ulteriori al melodico consentendo di ampliare i termini della questione. Il richiamo alla situazione della natura ci suggerisce, a partire dal rimando alla Stimmung (è il termine impiegato
da Hegel nel passo), di leggere un’opera musicale come se fosse
permeata dalla stessa “atmosfera” e di considerare un rapporto
maggiormente intrinseco tra musica e sentimento. Se ascoltare un
brano musicale è come guardare un paesaggio, il piano dell’ascolto
si connette con parametri dello spazio vissuto e ambientale da un
lato e sentimentali dall’altro. L’idea di spazio connotata attraverso
quella di paesaggio non investe il suono come se esso dovesse essere
un’entità propriamente spaziale, ma lo riconnette alla sfera sentimentale che gli è congeniale: in musica quel suono fondamentale
(Grund-Klang) di un unico sentimento (Empfindung) che compenetra il tutto si comporta come quel tono fondamentale (Grundstimmung) che anima e tiene insieme gli oggetti di un paesaggio. É possibile avanzare l’ipotesi secondo la quale un tono possa essere dato
non solo attraverso un processo melodico, ma anche da elementi
timbrici come, ad esempio, il caratteristico colore di uno strumento
musicale, non solo come un involucro esterno, come una veste, ma
a partire dall’interno del corpo sonoro imprime la propria impronta
a tutto il brano, grazie ai legami che il fattore timbrico intrattiene
Miriam Stallone, Pag. 174
De Musica, 2012: XVI
con il lato naturale e materiale del suono.
Sarebbe lecito domandarsi quali siano nella melodia questi “oggetti più diversi” che, come in un paesaggio, ci sono posti dinanzi
e che il tono tiene insieme. Nel Lied potrebbero essere i molteplici
sensi delle parole, il contenuto vero e proprio, e a questi Hegel si
riferisce, ma le considerazioni fatte sin ora inducono a tener conto di una possibilità aggiuntiva: i singoli elementi del linguaggio
musicale (altezze, durate etc.) o, perché no, elementi di un vero e
proprio paesaggio sonoro.
Riconsideriamo quanto emerso intorno al fenomeno sonoro nel
suo darsi in modo spaziale, un mondo di suoni che si manifesta
anche attraverso la modalità della spazializzazione ambientale, un
luogo vissuto che può essere connotato anche a livello emotivo. Il
rapporto complesso tra musica e sentimento, nel senso di strutture sonore che si fanno veicolo sentimentale in modo espressivo, va
chiarendosi. Esso dipende da un’infinità di variabili le cui ragioni
sono da individuare prima di tutto in elementi semplici: nel carattere di impronta sonora che si irraggia nello spazio, nel modo in cui
il suono enfatizza un nostro sentirci in un ambiente.
A partire dal ruolo passivo e non oggettivante del sentimento
in Husserl e da questa particolare idea di Grund-Klang affettivo
hegeliano, si può trarre un altro insegnamento: un’esperienza sentimentale si dà sempre fusa insieme ad altre determinazioni di significato, ad esempio culturali e linguistiche (anche nel senso di un
linguaggio musicale), senza per questo dover rinunciare al contributo che queste componenti affettivo-sentimentali danno all’esperienza sensibile. Abbiamo insistito su un senso spazializzato in cui
intendere l’impronta sonora e come la grana del timbro sia il fattore
più elementare e rilevante di quest’idea. Dobbiamo aggiungere che
i suoni non si danno mai in un’astrazione concettuale, ma in maniera complessa, mai un parametro musicale per volta, ma sempre
nella fusione di tutti i suoi caratteri. Un timbro può dipendere da
un’altezza, per quanto rumoroso possa essere, un suono ha sempre
una durata, breve o lunga che sia, che modifica l’impronta sonora
Miriam Stallone, Pag. 175
De Musica, 2012: XVI
nella propria qualità. Un suono si può dare nella complessità di
una produzione musicale implicando rapporti infinitamente complessi (una sinfonia), oppure all’interno di un ambiente umano connotato socialmente e culturalmente (il rintocco delle campane di
una chiesa) e il problema del paesaggio sonoro concerne entrambe
le situazioni.
§4. Occorrenze e teoria intorno al corpo sonoro delle campane in Hegel
Considerando le occorrenze di Hegel che riconnettono il piano
musicale all’esempio delle campane c’è un passo piuttosto noto e
suggestivo nella Fenomenologia dello Spirito che richiama al suono
come fattore di opacità e indeterminatezza su cui si innesta un piano di valorizzazione metaforica.
«Il suo pensare, come devozione, resta un vago brusio di campane (gestaltlose Sausen des Glockengeläutes) o una calda nebulosità, un pensare musicale (ein musikalisches Denken) che non arriva al concetto, che sarebbe l’unica e immanente guisa oggettiva»49.
Rappresentare il pensiero come devozione attraverso queste figure
del sonoro pone alcune correlazioni: il suono delle campane come
metafora di indeterminatezza e intrinseca insufficienza del lato
materiale del suono è un’immagine della “coscienza infelice” e in
particolare di quel fervore devoto nella sua ansia di assoluto. La coscienza siffatta «non ha verso il suo oggetto un rapporto di pensiero, ma - giacché essa stessa è bensì in sé pura singolarità pensante,
e il suo oggetto è proprio questo puro pensare […], - essa soltanto
va, per così dire, verso il pensare ed è pensiero devoto»50.
La nozione di devozione (Andacht) viene assimilata alla musica in quanto pensiero indeterminato. Hegel sceglie un’immagine
specifica e non neutra: il suono delle campane si avvicina pericolosamente all’idea di irraggiamento del suono a partire da una fonte
materiale, un’idea che, oltre a raccontarci la fatica ad assumere
49 G. W. F., Hegel, Fenomenologia dello spirito, Nuova Italia Editrice, tr. E. De
Negri, Firenze 1970, p. 180.
50 Ibidem.
Miriam Stallone, Pag. 176
De Musica, 2012: XVI
una specifica determinazione spirituale a causa del peso della propria fonte, difficilmente può essere assimilata con coerenza alla
concezione generale di suono in Hegel. Lo scampanìo richiama il
devoto, ma è un semplice e indeterminato richiamo al divino che
non consente di focalizzare l’attenzione sull’oggetto determinato,
come invece potrebbe fare un canto religioso, limitandosi a risvegliare un vago anelito.
Un riferimento più dettagliato e sistematico nell’Estetica farà
delle campane un suono che «appartiene in modo peculiare al culto
cristiano»51, nonostante ne elevi lo statuto spirituale rispetto alla
breve allusione contenuta nella Fenomenologia viene mantenuto
ancora quel carattere inarticolato che lo rende inadatto a esprimere le determinazioni profonde del senso del sacro. All’opposto, in
grado di rendere «i suoni articolati, in cui si esprime un contenuto
determinato di sentimenti e rappresentazioni, è il canto che risuona poi all’interno della chiesa»52, in generale, in particolare lo è la
musica sacra con un vincolo testuale, come nel celebre esempio del
Crucifixus53 di Lotti.
Alla scarsa articolazione del suono musicale delle campane va
aggiunto che il loro timbro risulta ancora troppo appesantito da
quel richiamo al corpo che non consente loro di legarsi a un significato profondamente spirituale. Nell’Estetica quest’idea di materialità legata all’immagine sonora delle campane ottiene un approfondimento concettuale in diversi punti i quali, una volta problematizzati, liberano la materia sonora da quella sterilità spirituale che
sembra portare con sé.
Proseguiamo con le occorrenze e andiamo a esplorare un poco
le bellissime pagine dell’Estetica che si occupano della cattedrale
51 G. W. F. Hegel, Estetica, op. cit., p. 777.
52 Ibidem.
53 Ivi, p. 1045. Per la trattazione analitica di questo esempio rimando al lavoro
di S. Vizzardelli, L’esitazione del senso. La musica nel pensiero di Hegel, Bulzoni
editore, Roma 2000, da p. 198 a p. 203 e di C. Serra, L’ascoltatore in cammino:
Hegel e la narratività musicale, Scriptaweb, Napoli, Capitolo terzo, §6. In generale suggerisco questi due testi come riferimento per una visione ampia e analitica della musica nel pensiero di Hegel.
Miriam Stallone, Pag. 177
De Musica, 2012: XVI
gotica. Nella cattedrale la vita mondana viene letta nel segno dello
spirito, lo spirito si rivolge ulteriormente al mondo grazie a un particolare mezzo sonoro, quello delle campane, in senso più specifico
rispetto al rimando e alla conversione tra dimensione dell’esteriorità e dell’interiorità.
«Nei riguardi del culto le torri servono da campanile, in
quanto il suono del campanile appartiene in modo peculiare al culto cristiano. Questo semplice suono indeterminato è una solenne sollecitudine dell’interno come tale,
ma è dapprima una preparazione proveniente ancora
dall’esterno. I suoni articolati invece, in cui si esprime
un contenuto determinato di sentimenti e rappresentazioni, sono il canto che risuona poi all’interno della chiesa. Ma il suono inarticolato delle campane può trovare
posto solo nell’esterno dell’edificio e risuonare dall’alto
della torre, perché come da una pura altezza si espanda
lontano per il paese»54.
Il suono delle campane rimane inarticolato, sempre uguale, meccanico, non può essere considerato musica, eppure ricopre un significato filosofico piuttosto rilevante. Proviene dall’esterno, ma è una
solenne sollecitudine all’interno come tale, evocandolo in dimensione espansiva; non sta dentro l’edificio come il canto sacro, ma al
suo esterno e nella posizione dell’alto di una torre da cui, sospeso,
si espande per il paese.
Il suono si può fare immagine perché coinvolto in un’operazione di significazione di contenuti spirituali attraverso la mediazione
del sensibile. Siamo all’interno dei caratteri del suono come Empfindung e il valore aggiunto sta forse nel fatto che la mediazione
sensibile si innesti su una tipologia di suono legato agli aspetti più
materiali e corporei come quelli di un idiofono.
Un fattore, piuttosto ovvio, che connette l’architettura gotica e
il suono delle campane è quello di essere entrambi rispondenti allo
“spirito del cristianesimo”. La considerazione secondo la quale “il
suono delle campane appartiene in modo peculiare al culto cristia54 G. W. F. Hegel, Estetica, op. cit., p. 777.
Miriam Stallone, Pag. 178
De Musica, 2012: XVI
no” è una presa di posizione sul valore spirituale del culto cristiano rispetto ad altri culti che, di conseguenza, investe le sue forme
rappresentative. Il suono delle campane non può essere escluso in
quanto mero suono meccanico, ma ricopre la funzione di richiamo
all’interiorità dello spirito e come immagine sonora si fa carico di
significati religiosi che trascendono la propria natura ancora vicina
alle regioni materiali del corpo.
Ci sono, inoltre, fattori maggiormente intrinsechi, come Hegel
suggerisce a partire dal carattere di sospensione. Il suono delle
campane si espande dall’alto di una torre, esse devono essere sospese per il banale motivo che il materiale metallico deve essere
libero per poter risuonare. Il valore teorico è riposto nel fatto che
l’essere sospeso proprio di un oggetto che risuona accentua il legame specifico tra questo strumento, il modo di produzione di un
suono e la sua possibilità di espansione nell’ambiente circostante,
nel culto cristiano come pure in altre parti del mondo e in altre
epoche55. Le campane di Hegel hanno una vocazione estroversa a
partire da quella risonanza del corpo sonoro che non rinuncia a un
richiamo dell’interiore. L’esempio non è neutro, ma mira a rappresentare un suono che si rapporti in maniera peculiare con l’ambiente, dove per ambiente si può intendere sia il luogo in cui si verifica
un evento propriamente musicale, per esempio lo spazio sonoro di
una sinfonia orchestrale, sia un ambiente in senso paesaggistico,
dischiudendo ancora una volta la possibilità di considerare in senso
musicale l’ascolto dei suoni della natura e del mondo, un paesaggio
sonoro, per l’appunto.
La modalità di produzione sonora delle campane sembra già
contenere un’idea di processualità forte; il suono si dà come tale
55 Mi limito a suggerire come anche Andrè Schaeffner nel capitolo Religione e
Magia del suo celebre Origine degli strumenti musicali indica come importante caratteristica legata a significati apotropaici, magici e religiosi, quella della
sospensione di uno strumento metallico. Campane e campanelli sono tra i più
importanti esempi il cui impiego riguarda trasversalmente le liturgie dell’Antico
Testamento, la grande tradizione della Cina nell’età del bronzo e tanti altri. Crf.
A. Schaeffner, Origine degli strumenti musicali, tr. it S. Gagliardi, Sellerio Editore, Palermo 1999.
Miriam Stallone, Pag. 179
De Musica, 2012: XVI
solo attraverso un percorso che comincia della percussione della
materia, si sviluppa come risonanza, si amplifica prima in se stesso e poi, fuoriuscendo da sé nell’ambiente circostante, espande e
imprime questa sua “storia” allo stesso ambiente dove un soggetto
sensibile abita, agisce e ascolta.
Il suono della campana non può essere trattato in quanto segnale delle presenza di un oggetto sussistente nello spazio, ma fa
translare il motivo della localizzazione di un suono da un piano
sterile di individuazione della fonte attraverso semplici coordinate
spaziali di riferimento, a un piano più significativo. La risposta circa il dove si collochi, o da dove provenga il suono, viene connotata in
senso espressivo. Non basterà elaborare un semplice “il suono proviene dal campanile e la fonte del suono è una campana”, ma sarà
necessario rendere la complessità e il significato espresso attraverso quest’immagine sonora la quale sembrava, invece, destinata a
rimanere relegata allo stadio inferiore dei suoni. Un esempio circa
il dove o da dove potrebbe essere la seguente descrizione: “il suono delle campane è collocato in un luogo sulla soglia tra il mondo
esterno e la dimensione interiore di un’alta spiritualità, ha alcuni
caratteri dell’uno e dell’altra, questa sua particolare posizione le
consente di richiamare all’interno rivolgendosi a ciò che di spirituale c’è nell’uomo ma che momentaneamente è disperso nel mondo”.
Sono le stesse caratteristiche del suono a favorire questo importante passaggio e scambio tra facoltà sensitiva e spirituale; il suono
delle campane si rivolge alla dimensione dell’Empfindung, attraverso la sensazione penetra nell’animo facendo risuonare le facoltà
più spirituali, senza che si tratti di un risuonare simpatetico fine a
se stesso, ma un risuonare latore di significati. Dal punto di vista
generale funge da punto di contatto tra esterno e interno (sta fuori
dalla chiesa, ma richiamo all’interiorità, etc.), dal punto di vista
strutturale, invece, bisogna sottolineare come il suono della campana abbia già dentro di sé l’idea di fuga dalla cosa materiale, a partire dal punto risonante della materia stessa da cui il suono parte
per andare a espandersi nell’ambiente intorno. «Come da una pura
Miriam Stallone, Pag. 180
De Musica, 2012: XVI
altezza si espanda lontano per il paese»56 acquista un significato
non banale se consideriamo come Hegel stia donando un’immagine
poetica e filosofica insieme: il suono si espande nel paesaggio circostante compenetrandosi con esso, imprimendo le proprie qualità
sonore su questo ambiente naturale e popolato. Il popolano57, dal
canto suo, risponde al richiamo sonoro perché in lui risuona quel
tremore interno, suono e interiorità risuonano assieme sulla soglia
della simpateticità della sensazione. É il risveglio dello spirito dalla
natura vibrante del suono e le campane rappresentano quella sollecitudine che proviene dall’esterno e dalla materia che, risuonando,
trema lei stessa e contemporaneamente fa tremare la soggettività.
L’ascolto sembra essere il luogo di conversione e incontro tra la dimensione della natura e quella dell’animo soggettivo.
Si è in una dimensione di vaghezza spirituale, non si è nemmeno
entrati della dimensione del musicale, ma nonostante ciò la ricchezza di questo gesto non può essere omessa. Quest’immagine aggiunge la funzione ambientale come tramite di questo elementare
processo che è il risuonare. Anche se Hegel non sembra curarsene
molto, viene da chiedersi se tale ambiente possa essere un fattore
neutro. Se seguissimo pedissequamente il pensiero del filosofo, la
sua Fisica, dovremmo rispondere che l’ambiente è un fattore indifferente, ma la domanda non può essere così liquidata; il suono delle campane rimanda all’irraggiamento in un luogo-ambiente. Esso
non è uno spazio astratto o un’intuizione a priori, ma un luogo più o
meno naturale, abitato da soggettività sensibili e che modifica con i
propri parametri la qualità di ciò che viene ascoltato; la campana a
sua volta, in quanto corpo risuonante, ci propone l’idea di un suono
che interviene nell’ambiente in cui si riverbera con le proprie qualità timbrico-materiali.
L’ultimo passaggio concerne una miglior determinazione dei caratteri di produzione sonora e alcune osservazioni circa la struttura
che approfondiscano l’idea di un movimento interno alla materia
56 G. W. F. Hegel, Estetica, op. cit., p. 777.
57 Le descrizioni di Hegel intorno alla cattedrale gotica ci restituiscono spesso
l’immagine di un medioevo idealizzato, sulla scia di un gusto tipico dell’epoca.
Miriam Stallone, Pag. 181
De Musica, 2012: XVI
sonora così come emerge dall’esempio della campana dal punto di
vista “organologico”. Ritengo emblematiche le considerazioni e le
incertezze che Hegel dimostra a proposito del disvalore delle percussioni nell’Estetica: pur dovendo negare loro lo statuto musicale
di Tön, il tamburo e le campane si propongono con tutta una serie
di problematiche sul ruolo del timbro, del ritmo e l’articolazione di
forme semplici del musicale, mettendo in difficoltà il lettore che si
trova in mezzo a interessanti oscillazioni di pensiero. Hegel non
può negare fino in fondo ciò che nella Fisica aveva già trattato a
proposito di un certo valore spirituale attribuito a suoni prodotti
da materiali metallici secondo il principio della coesione, così come
accadeva nel parallelo tra suono e calore. Nell’Estetica non può
nemmeno prescindere dal fatto che alcuni timbri possano evocare
regioni metafisiche. Il suono delle campane diventa piuttosto emblematico delle tensioni interne di una teoria, disvelandone ancora
le potenzialità espressive e simboliche.
La dialettica tra aspetti legati alla materia e allo spazio è destinata a riproporsi in maniera diversa nel momento in cui poniamo
attenzione ad alcuni fenomeni legati alla componente timbrica del
suono; è interessante come certe considerazioni di ordine fenomenologico possano prendere avvio da una posizione dagli esiti così
distanti come quella dell’idealismo hegeliano.
Nell’Estetica vi è un’insolita tassonomia organologica che riguarda alcune percussioni (il tamburo, l’armonica e la campana), tale
tentativo è lontano dal poter essere considerato occasionale, ma risponde ad esigenze teoriche determinate.
Quando si va a valutare il ruolo assunto dalla superficie e si riprende la Filosofia della Natura, riferimento obbligato anche per
questa parte dell’Estetica, si vede come la linea passi nella superficie la quale «da un lato è una determinatezza rispetto alla linea
e al punto, e quindi superficie in generale, e dall’altro però la negazione superata dello spazio e quindi ristabilimento della totalità
spaziale»58. Diventa emblematico il caso della percussione e della
58 G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche. In compendio con le
Miriam Stallone, Pag. 182
De Musica, 2012: XVI
tensione superficiale del tamburo, mentre la direzione lineare è
propria degli strumenti dove c’è una colonna d’aria posta in vibrazione, oppure una corda. Tale principio è piuttosto debole per sostenere questa sorta di “organologia teoretica”, lo sarebbe ancor più se
si limitasse a questo rimando piuttosto meccanico. Le ragioni più
profonde della classificazione si riscontrano nella possibile attribuzione di un valore al timbro di un corpo risuonante e nel movimento
che da esso diparte per guadagnare la relazionalità propria dell’armonia. Se l’armonia «è il regno dei suoni come suoni»59 e possiede
un carattere qualitativo ponendosi perciò ad un buon livello di sublimazione, richiede però che venga trattata prima la differenza tra
gli strumenti particolari in quanto ogni corpo «risuona in maniera
diversa a seconda dalla sua particolare composizione fisica»60.
Sta prendendo forma il contesto in cui si inseriscono queste considerazioni: come in un buon manuale di pratica armonica o di orchestrazione si partirà dalla qualità timbrica degli strumenti. La
prospettiva teorica hegeliana è difatti piuttosto sensibile ai risvolti
anche tecnici della pratica musicale e riesce facile immaginare che
il filosofo stia pensando anche a problemi di orchestrazione e di
funzionalità rispetto a un’opera nel momento in cui giudica gli strumenti percussivi.
Il modo in cui viene trattato il problema della composizione fisica
e naturale dei materiali che risuonano pone timbro come uno degli
elementi costitutivi del piano qualitativo e ideale del suono. Se si
smussasse la diffidenza di Hegel riguardo gli strumenti a percussione come strumenti di scarso valore, vi sarebbe più continuità
concettuale tra l’idea di suono nella Filosofia della Natura e di musica nell’Estetica e potrebbe aprirsi uno spazio per una valutazione meno dura della componente timbrica in nome del suo aspetto
qualitativo. Tale rivalutazione mostra subito il proprio risvolto: la
qualità timbrica di un materiale è musicale solo se può essere misurabile, uno stadio della messa in forma che, in questo specifico
aggiunte. Vol II:Filosofia della Natura, op. cit., p. 109.
59 G. W. F. Hegel, Estetica, op. cit., p. 1027.
60 Ibidem.
Miriam Stallone, Pag. 183
De Musica, 2012: XVI
caso, significa “intonabile”, cioè avente un’altezza determinata. Valeva già per le campane nella cattedrale gotica, il timbro è musicale
solo se si distingue dal rumore indeterminabile matematicamente.
Lo scopo di Hegel è, come sempre in queste pagine, far allontanare la regione dei suoni da quella della materia la quale oppone
una diversa resistenza a seconda della coesione propria dei materiali. Più il corpo è coeso in modo omogeneo più produrrà suoni
puri e avrà la proprietà di risuonare allontanandosi dalla regione
del rumore, è il caso dei metalli e del vetro i quali possiedono «una
continuità e uguaglianza della materia in sé»61. Il rumore è dato da
una maggior resistenza materiale che ostacola la produzione sonora vera e propria, come quando vi è una fenditura in una campana
«sentiamo non soltanto la vibrazione, ma anche le altre forme di
resistenza materiale»62.
«Il suono appartiene al regno del meccanismo, avendo a
che fare con la materia grave. La forma, come se si strappasse al grave, ma ancora gli appartenesse, è quindi ancora condizionata: la libera estrinsecazione fisica dell’ideale, la quale però è collegata al meccanico - la libertà nella
materia grave al tempo stesso libertà da questa materia.
I corpi non emettono ancora suoni a partire da se stessi,
ma soltanto se risultano percossi. Il movimento, l’urto
esterno, si propaga in quanto la coesione interna contro
di esso […] mostra la sua conservazione»63.
Il senso dell’udito è il senso che sfugge dalla materialità pur partendo da essa per raggiungere la dimensione ideale. Anche il senso
del tatto ne è legato e le si contrappone, poiché appartengono entrambi alla sfera meccanica, ma il primo le sfugge, mentre il secondo ne contiene le determinazioni64.
Il giudizio di valore sulla materia sonora potrebbe ammettere
61 G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche. In compendio con le
aggiunte. Vol II: Filosofia della Natura, op. cit., p. 221.
62 Ibidem. Rimane implicita l’osservazione che una campana senza fenditure,
fatta di metalli fusi, possa invece essere un buon materiale per produrre un suono musicale che si allontani dalla sfera del rumore.
63 Ivi, p. 220.
64 Cfr., Ivi, p. 222.
Miriam Stallone, Pag. 184
De Musica, 2012: XVI
delle deroghe poiché non tutti i materiali sono uguali, ma alcuni
consentono maggiormente la costituzione del suono in senso musicale; ciò accade sulla base di ragioni interne alla natura del materiale: è la stessa composizione specifica a deciderne l’aderenza al
processo di sublimazione spirituale del suono. La materia sembra
legittimata ad avere un ruolo affinché il processo genetico di costruzione del fenomeno “suono” possa prendere avvio. In quanto sonora
non è inerte o completamente passiva, ma rivendica un intrinseco
movimento come risposta alla violenza della sollecitazione meccanica alla quale viene sottoposta.
Analizzando un poco la tassonomia organologica hegeliana vediamo come gli strumenti subordinati (il tamburo, l’armonica e le
campane) sono tali in quanto il modo di produzione sonora viene
ricondotto alla sussistenza dello spazio superficiale e della materia. L’assenza anche solo di accenni alla funzione della durata nel
modificare gli altri parametri è motivo di interesse che ci permette di ampliare la visione a proposito della componente timbricomateriale. In Hegel sembra pure irrilevante la funzione ritmica di
quegli strumenti subordinati, perché ancora troppo vicini all’area
del rumore non intonabile, in discontinuità con la precedente trattazione della misura e del ritmo in quanto primarie determinazioni
del suono come oggetto temporale. Secondo il filosofo le percussioni
non suonano propriamente, egli non sembra considerare nemmeno
l’elemento di una iterazione di suoni (da qui si potrebbero vagliare
le possibilità insite nella durata e nei rapporti ritmici), come se
esse suonassero una sola volta e in maniera puntuale senza che vi
sia ancora un processo temporale, né tanto meno un tempo scandito in senso anche elementarmente ritmico. Hegel sta isolando il
carattere timbrico entro una connotazione di ordine simbolico che
si esprime innanzitutto nelle differenze che questi strumenti portano con sé, restituendo valore e significato attraverso l’immagine
derivata dalla specifica modalità di produzione sonora. La ragione
è quella di voler escludere dalla dimensione musicale i suoni dalle
così “umili origini” a causa della prossimità con il corpo materiaMiriam Stallone, Pag. 185
De Musica, 2012: XVI
le, anche quando le premesse sembrano indicare altre posizioni.
L’esclusione si pone anche a livello dell’ascolto. Hegel arriva fino al
punto di sostenere che «superfici estese o rotonde non sono commisurate al bisogno e alla forza del percepire»65 .
Il tamburo è di certo lo strumento dal valore più infimo, si parla
addirittura di suono nell’accezione meramente meccanica e acustica di “Schall”. La sua densa materialità è espressa dalla qualità
sonora sorda e pesante, la cui natura corporea si impone e resiste ai
tentativi si sublimarlo accordandolo. É interessante notare l’intreccio tra piano della pratica musicale che consentirebbe al tamburo di
venir accordato, come accade regolarmente nella pratica orchestrale occidentale, e scarso valore di una qualità sonora troppo concreta
in senso esteriore, la quale rappresenta un suono che «pur essendo
suscettibile di venir accordato, non è tale da poter essere portato in
se stesso»66.
L’armonica rappresenta qui l’opposto della qualità timbrica del
tamburo. Si tratta di uno strumento piuttosto particolare che fa
riflettere a proposito del suo impiego simbolico. Classificata tra
le percussioni idiofone, le sue campane di vetro sono temperate e
producono un suono cristallino, è intonata e possiede una qualità
timbrica che evoca regioni metafisiche lontane dalla sussistenza
spaziale e corporea, ponendosi su un piano avanzato di rarefazione
del suono. Questo idiofono, infatti, non solo possiede un timbro così
particolare (questo aspetto lo accomuna facilmente ad altri strumenti quali la celesta o il glockenspiel), ma sua peculiarità è di dare
adito a un fenomeno di delocalizzazione della fonte sonora67 il quale,
dal punto di vista teorico, contribuisce a farne qualcosa di più che
un esempio di suono slegato dalla propria fonte materiale dotata di
sussistenza spaziale. Non possiamo sapere fino a che punto Hegel
fosse a conoscenza di questo fenomeno di delocalizzazione della fonte, ma è pur sempre presente la descrizione di un suono etereo e allo
65 G. W. F. Hegel, Estetica, op. cit., p. 1029.
66 Ibidem.
67 Si tratta di un fenomeno scientificamente analizzato dal punto di vista psicoacustico.
Miriam Stallone, Pag. 186
De Musica, 2012: XVI
stesso tempo penetrante tipico della percezione degli armonici. Dal
punto di vista concreto, se il suono del tamburo è troppo fuori di sé e
non riesce a rientrare in se stesso, quello dell’armonica è troppo intenso e concentrato sui caratteri della propria fonte per entrare in
rapporto con strumenti e suoni eterogenei. Per usare le parole del
filosofo, «qui vi è l’intensità concentrata che non esce fuori di sé»68.
La forma di risonanza per cui l’armonica ha una qualità timbrica
che si allontana dalla dimensione sussistente del corpo risponde a
una spiegazione ancora parziale. La vicinanza al corpo materiale in
risonanza si realizza nel produrre un suono “invadente” all’udito,
che “si sente troppo”, un suono ancora troppo evidente nella sua
natura individuale e «di natura così penetrante che molte persone
nell’ascoltarla, si sentono presto l’emicrania»69. Il temperamento di
questo idiofono si basa su un preciso impiego degli armonici, ma la
descrizione di Hegel si pone dal punto di vista dell’ascolto del fenomeno anche laddove si lasciano intuire questioni di acustica: non
si tratta di armonici veri e propri ma di come si manifesti un suono
pungente all’ascolto, fino al punto di essere fastidioso.
Un altro aspetto è quello della messa in orchestra dell’armonica
e del conseguente disuso storico di questo strumento. «Questo strumento inoltre, nonostante la sua specifica efficacia, non è riuscito a
mantenersi in auge a lungo, e d’altra parte esso difficilmente si può
associare ad altri strumenti, in quanto poco si accorda con essi»70.
L’armonia con gli altri strumenti è difficile a causa di questo suo carattere e Hegel sembra ricondurre la ragione per la quale sono stati
preferite altre percussioni dal timbro analogo (quali la celesta) alla
difficoltà dell’ascoltatore di cogliere una sintesi tra l’armonica e gli
altri strumenti, perché essa mal si “fonde” armonicamente con gli
altri e rimane, invece, un suono “staccato” che tende stagliarsi sugli
altri. Il discorso va così aprendosi verso considerazioni di ordine
percettivo relative alla fusione tra qualità timbriche.
Facendo un ulteriore passo in avanti, la campana viene proposta
68 Ivi, p. 1029.
69 Ibidem.
70 Ibidem.
Miriam Stallone, Pag. 187
De Musica, 2012: XVI
in quanto sintesi tra alcuni aspetti del tamburo e altri dell’armonica:
«Nelle campane si trovano la medesima mancanza di
suoni distinti e il medesimo modo di battere in un solo
punto che nel tamburo, ma la campana non è sorda come
questo e risuona liberamente, sebbene il suo risuonare rimbombante sia solo un’eco (Nachklang=risuonare/
eco, risuonare nel senso di riecheggiare), per così dire,
dell’unico colpo puntuale»71
Chiediamoci, innanzitutto, cosa significhi “risuonare liberamente”, proviamo a capirlo nonostante non sia affatto certo che in questo passo la terminologia sia così precisa. Dubito questo “libero”
(frei) venga qui inteso nel senso pieno e generale della filosofia hegeliana, credo piuttosto vada circoscritto alla concezione del suono
espressa con l’esempio della campana. “Liberamente” è in contrapposizione al carattere di sordità della qualità timbrica del tamburo
e potremmo perfino sostenere che questa sua libertà sia dettata dal
tipo di materiale della quale è fatta, non pelle, ma da quei metalli
fusi che risuonando producono una qualità di suono che tende ad
allontanarsi più di altre dalle regioni del corpo, la campana può
perciò risuonare72 libera dalla sussistenza materiale.
Potremmo spingerci fino a saldare quest’idea di “risuonare liberamente” a quella di irraggiamento da un punto nella fonte, come
se il punto battuto potesse essere inteso come un centro dal quale
partono dei vettori che il suono espande nello spazio intorno. Una
descrizione del genere è poco ammissibile per quanto concerne Hegel e il paragone si deve fermare entro l’idea di una fuga dal centro
puntuale e dalla fonte materiale, una rarefazione del suono che va
incontro alla propria idealità, senza abbracciarne l’aspetto che fa
mutare radicalmente la nozione di spazio, escludendo perciò che
nell’irraggiarsi del suono permanga parte del carattere materiale
71 Ibidem.
72 Il termine “risuonare” naturalmente non si riferisce al fenomeno acustico
della risonanza ma è ben inscritto nella filosofia della musica di Hegel, l’arte dei
suoni come arte dell’Empfindung, l’idea di ascolto che è un suonare di suoni e un
risuonare delle facoltà sensibili-sentimentali, etc.
Miriam Stallone, Pag. 188
De Musica, 2012: XVI
della fonte. Si potrebbero aprire strade diverse solo se fossimo disposti a considerare una diversa nozione di spazio e di fonte materiale.
In Hegel è più forte un tipo diverso di descrizione, suonare come “un’eco
di un unico colpo puntuale” potrebbe essere letta attraverso un banale
riferimento all’eco come copia sbiadita dell’originale colpo puntuale,
in questo caso il suono della campana non sarebbe altro che la replica
del gesto espressivo di produzione sonora tipica del tamburo e la sua
presenza della tassonomia organologica non avrebbe motivo d’essere. Più
probabilmente si sta ripresentando la concezione di risonanza come di
un riverbero, nonostante Hegel non si sbilanci e preferisca aggiungere
“per così dire”. Se la campana si riavvicina alla pesantezza timbrica del
tamburo a causa del sua qualità di suono “rimbombante”, pure se ne
allontana poiché viene presentato un rapporto diverso con lo spazio dove,
a partire da un unico colpo puntuale, un suono ne diparte espandendosi
altrove. Assieme all’idea di riverbero si aggiunge quella di irraggiamento
e anche il suono del tamburo potrebbe essere adatto a sostenerle.
Le difficoltà sono molteplici, ma pare significativo come attraverso le
occorrenze delle campane Hegel instauri un particolare collegamento
all’insegna degli aspetti simbolici del suono e si capisce come tale
immagine abbia avuto la forza espressiva di ispirare rappresentazioni di
filosofi e ricercatori, un tema suggestivo intorno al quale si sono sviluppati
problemi circa il rapporto tra suono, materia e spazio. Con Hegel si è
indagata la struttura complessa attraverso cui il tremore offre appigli
ad alcune istanze dell’espressività del musicale a partire dai materiali.
Il legame sostanziale tra sensazione e sentimento, aspetti quantitativi
e qualitativi, ha fatto da base per quegli aspetti legati a una possibile
Stimmung radicata nel suono, non come veste esteriore di contenuti, ma
in senso maggiormente intrinseco, anticipando il problema dello spazioambiente e la nozione di paesaggio sonoro con uno spessore concettuale
che le teorizzazioni direttamente connesse a questi temi possiedono
raramente.
Miriam Stallone, Pag. 189
Fly UP