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- Gli studenti di Infermieristica respirano molto spesso nelle realtà in

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- Gli studenti di Infermieristica respirano molto spesso nelle realtà in
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Gli studenti di Infermieristica respirano molto spesso nelle realtà in cui si trovano a svolgere il tirocinio un senso di disillusione diffuso, accompagnato dalla discrepanza tra ciò che si studia e ciò che effettivamente accade in ambito clinico. Queste circostanze hanno fatto nascere in me l’esigenza di andare a indagare l’esistenza di un metodo per aiutare gli infermieri ad essere ciò a cui sono chiamati, così da permettere loro di contribuire in modo peculiare e decisivo alla salute delle persone assistite. Mi sono imbattuta nel primary nursing e attraverso il testo di M. Manthey ho potuto scoprire la coincidenza tra le esigenze e le circostanze a partire dalle quali è nato il modello con quelle in cui siamo immersi oggi. Ho cercato se vi fossero realtà che avessero implementato il primary nursing e, attraverso il contatto con prof. Marmo e con la dott.ssa Gatta ho potuto trattenermi per due settimane a Biella frequentando l’U.O. di Medicina Interna del IV piano (secondo la collocazione nel vecchio ospedale). Si tratta di una realtà che nelle suo primo impatto (come aspetto, tipologia di pazienti, numero di infermieri, ecc.) è sovrapponibile a centinaia di altre in Italia, ma in cui ho potuto vedere elementi non così diffusi altrove: una chiara consapevolezza degli infermieri di trovarsi protagonisti di una realtà che facilitava la possibilità di coincidere con se stessi, da cui derivava la tensione continua a migliorarsi. Io ho potuto vedere e partecipare della freschezza del gruppo di infermieri, dell’equipe intera, evidenziati dai continui interrogativi posti, dalla continua ricerca del miglioramento e della qualità, dal dialogo costante tra gli infermieri e con tutti gli altri professionisti in un confronto tra pari costruttivo e partecipe, dettato dalla consapevolezza che il contributo di ciascuno è prezioso, non per retorica, ma di fatto. Mi ha impressionato come pur trovandosi ad assistere dei pazienti di una medicina, non mancasse il tempo per dialogare con i pazienti, per approfondirne la situazione domestica e familiare, parlando anche con i familiari stessi e instaurando una vera relazione con loro. Ho visto degli infermieri che hanno preso coraggio, protagonisti della propria realtà senza la pretesa di cambiare il mondo o di eliminare improvvisamente le problematiche della sanità, ma che, guidati, erano ripartiti dal basso, dal servizio alla persona, che è la ragion d’essere della professione stessa. Ho visto in atto una rivoluzione più che un semplice cambiamento nei confronti della mentalità comune, in cui tutto era rimesso in discussione: non è più accettabile conservare comportamenti, usanze, abitudini e strumenti solo perché «si è sempre fatto così». Ci si chiedeva per ogni elemento presente se esso fosse utile e funzionale agli obiettivi da raggiungere, con un uso critico e insieme costruttivo della ragione come metodologia costante di approccio. La prima conseguenza oggettiva che ha portato in me questa esperienza è stata quella di trasferirmi a Milano per frequentare il Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, del quale sono ormai in dirittura d’arrivo. Un’altra conseguenza è stata il vedere crescere in me della speranza per il nostro futuro di infermieri, e quindi per le persone che ci troveremo ad assistere, di veder garantita un’assistenza più competente, più adeguata, personalizzata e di qualità. Sperimentando ‐
di persona lo scardinamento di quegli schemi che impediscono o rendono difficoltosa la presa in carico globale del paziente, si è generata in me un’apertura mentale che mi introduce costantemente a quello che studio, che osservo e di cui partecipo, rendendo ogni cosa interessante. Ho acquisito (vedendola in atto, perché a parole non era certo la prima volta) una chiave di lettura semplice e radicale: il bene della persona assistita. Anche per la formazione degli studenti di Infermieristica poter vedere e partecipare a realtà come quella che ho visto io è una possibilità di reale crescita professionale ed è quanto mai urgente. Per tutte queste ragioni, il mio auspicio di giovane infermiera che ancora deve entrare nel mondo del lavoro è quello che realtà come quelle di cui si parla oggi trovino sempre maggior diffusione nel nostro Paese e che i soggetti trainanti siano gli infermieri della front‐line, sempre più consapevoli della possibilità di crescita verso l’eccellenza che un modello come quello del primary nursing porta con sé. 
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