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Einstein - Fondazione Livia Tonolini

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Einstein - Fondazione Livia Tonolini
Einstein
Una biografia personale
(come premessa a una biografia
scientifica)
Nacque a Ulma, in Germania, il 14 marzo 1879.
I genitori erano ebrei non praticanti.
Nel 1880 la piccola impresa del padre è in difficoltà,
e la famiglia si sposta a Monaco, dove Albert compie
i primi studi.
Impara a parlare molto tardi.
La sorella Maja dirà: “Pronunciava
ogni frase lentamente e usava
ripeterla più volte a fior di labbra”.
La madre lo avvia allo studio del violino, lo zio Jacob a quello
dell’algebra, uno studente di medicina gli fa leggere libri di
divulgazione scientifica. A quindici anni studia, da solo, il
calcolo infinitesimale.
Dopo il lento avvio, la personalità di Albert giunge precocemente
e rapidamente a maturazione.
Scriverà, nell’Autobiografia scientifica: “Attraverso la lettura di
libri di scienza popolare mi ero convinto ben presto che molte
delle storie che raccontava la Bibbia non potevano essere vere.
La conseguenza fu che divenni un accesissimo sostenitore del
libero pensiero, accomunando alla mia nuova fede l’impressione
che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con
insegnamenti bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente. Da
questa esperienza trassi un atteggiamento di sospetto contro ogni
genere di autorità e di scetticismo verso le convinzioni particolari
dei diversi ambienti sociali …”
“Con la sua sola presenza lei distrugge il rispetto della classe
nei miei confronti”, gli dirà un professore.
Dopo alcuni anni di relativa prosperità la fabbrica di Monaco
è in difficoltà. La famiglia si trasferisce in Italia, a Pavia, in
cerca di miglior fortuna. Albert resta a Monaco, ma per poco.
“Quando mio padre si trasferì
in Italia, egli intraprese passi,
su mia richiesta , affinché io
fossi sciolto dalla cittadinanza
tedesca, perché volevo diventare
cittadino svizzero”.
Si decide in famiglia che Albert si iscriverà al Politecnico
di Zurigo. Nel 1895 fallisce la prova d’ammissione, per
carenze nelle materie letterarie. Dovrà frequentare la scuola
cantonale di Aarau (Argovia). L’anno dopo, l’iscrizione.
Prende ben presto una decisione: non farà l’ingegnere, ma
l’insegnante, forse il ricercatore.
Poi la scelta definitiva: la fisica. “Mi
accorsi [...] che le matematiche si
dividevano in numerosi rami, ciascuno
dei quali poteva facilmente assorbire
il breve tempo che ci è concesso di
vivere”; questo vale anche per la fisica,
“ma in questo campo imparai subito
a discernere ciò che poteva condurre ai
principi fondamentali da quella pletora
di cose che confondono la mente e la
distolgono dall’essenziale”.
Gli anni di Zurigo
Al Politecnico, per la presenza di insegnanti come Herman
Minkowski, E. “avrebbe potuto farsi una preparazione
matematica veramente solida”, ma invece “lavorò per la
maggior parte del tempo nel laboratorio di fisica,
affascinato dal contatto diretto con l’esperienza”,
dedicando il resto del suo tempo “a studiare a casa le opere
di Kirchhoff, Helmholtz, Hertz, ecc.”
“Lei è intelligente, estremamente intelligente, Einstein –
gli dirà uno dei docenti, il fisico Heinrich Weber – ma ha
un grande difetto: non vuole lasciarsi insegnare una sola
cosa!”
A Zurigo E. riceve altri stimoli.
Michele Besso, un ingegnere italiano residente in Svizzera,
lo indirizza alla lettura di Ernst Mach, il fisico, fisiologo e
filosofo austriaco che avrà su di lui una notevole influenza.
E. leggerà anche opere di Spinoza, Hume e Kant.
Zurigo era allora percorsa da vari fermenti: vi soggiornarono
futuri rivoluzionari, come Lenin, Plechanov, Trockij, Rosa
Luxenburg, donne emancipate e politicizzate come Alexandra
Kollontay e Florence Kelley. E. vi conobbe anche Friedrich
Adler, un giovane socialista austriaco, dal quale udì trattare,
forse per la prima volta, temi strettamente politici.
All’atto del conseguimento del diploma, E. non ottiene il posto
di assistente che gli era stato prospettato.
Il 1902 è una anno di svolta.
Gli anni di Berna
Grazie all’amico Marcel Grossmann, un
matematico, trova un impiego stabile presso
l’Ufficio Brevetti di Berna
Ottiene la cittadinanza svizzera
Sposa Mileva Marič, un’esule serba, studentessa
di matematica
Conosce uno studente di filosofia rumeno,
Maurice Solovine, e un matematico svizzero,
Konrad Habicht
I tre danno vita a un cenacolo, che battezzeranno Accademia Olympia
A parte la mutua fecondità degli scambi fra E. e Besso e con
Habicht e Solovine, questi amici fornirono una preziosa cassa
di risonanza per quanto egli andava nel frattempo elaborando
nel campo della fisica.
I primi passi
L’impiegato dell’Ufficio Brevetti ha del tempo libero: studia, elabora,
e scrive articoli che invia a riviste scientifiche.
Il suo primo articolo appare nel 1901. L’autore è appena ventiduenne.
Lo scritto riguarda fenomeni di capillarità, e non si segnala come
particolarmente cospicuo.
Ma, già in una lettera a Mileva, del 1900, egli diceva di essere alla
ricerca di fatti “che rendessero il più possibile certa l’esistenza di atomi
di definite dimensioni finite.”
Boltzmann era arrivato all’atomo attraverso i suoi studi di meccanica
statistica. In tre articoli, pubblicati fra il 1902 e il 1904, Einstein
elabora questa teoria, aggiungendovi uno studio specifico sulle
‘fluttuazioni’.
Il fisico americano J. Willard Gibbs aveva pubblicato nel 1902 un suo trattato
organico sull’argomento. E. ebbe a dire, molto più tardi, che, se ne fosse stato
a conoscenza, si sarebbe limitato a pubblicare qualche dettaglio specifico.
1905: Annus mirabilis
(EINSTEIN’S MIRACULOUS YEAR: Five Papers That
Changed the Face of Physics, edited and introduced by
John Stachel, Princeton University Press, 1998)
Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e
trasformazione della luce
Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari
Sul moto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a
riposo come prescritto dalla teoria cinetico-molecolare del
calore
Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento
L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto d’energia?
L’annuncio a Habicht
“Caro Habicht! Fra noi regna un silenzio solenne, al punto che mi
sembra una profanazione venire a romperlo per qualche ciarla di
scarso significato. Ma al sublime non succede sempre così a questo
mondo? – Che cosa fa dunque Lei, Lei balena congelata, Lei pezzo
d’anima affumicata e conservata, o cos’altro potrei ancora tirarLe
in testa, pieno al 70% d’ira e al 30% di compassione? Solo l’ultimo
30% deve ringraziare se io, dopo che Lei per Pasqua – senza farsi
vivo – non era apparso, non Le ho spedito un barattolo pieno di
cipolle affettate e spicchi d’aglio. Ma perché non mi ha ancora
spedito la Sua dissertazione? Ma non lo sa, miserabile, che io sarei
uno degli 1 e 1/2 individui che se la leggerebbero tutta con interesse
e piacere? Le prometto in cambio quattro lavori, il primo dei quali
potrei inviarLe entro breve, dato che riceverò fra pochissino le
copie omaggio ...
… Tratta della radiazione e delle proprietà energetiche della luce, ed è
molto rivoluzionario, come vedrà se prima mi spedisce il Suo lavoro.
Il secondo lavoro è una determinazione della vera grandezza degli
atomi a partire dalla diffusione e dall’attrito interno delle soluzioni
liquide di sostanze neutre. Il terzo dimostra che, nel presupposto
[della validità] della teoria molecolare del calore nei liquidi, particelle
in sospensione già dell’ordine di grandezza di 1/1000 di mm devono
compiere un moto disordinato percettibile, che è generato dall’agitazione termica; sono moti ‘inesplicati’ di piccoli corpi inanimati in
sospensione – in effetti sono stati osservati dai fisiologi –, che sono
stati da loro chiamati ‘moto molecolare browniano’. Il quarto lavoro
esiste solo in abbozzo ed è un’elettrodinamica dei corpi in movimento
[ottenuta] mediante l’utilizzazione di una modificazione della dottrina
dello spazio e del tempo;la parte puramente cinematica di questo lavoro
La interesserà di sicuro”.
Le prime reazioni
Walter Kaufmann, nel 1906, cerca di determinare
la dipendenza della massa degli elettroni dalla
velocità e afferma che i suoi risultati “non sono
compatibili con le ipotesi fondamentali di Lorentz
e Einstein”.
Planck mostra che le equazioni “relativistiche per
il moto degli elettroni” si possono far discendere
da un principio d’azione.
Hermann Minkowski formula la versione quadridimensionale della cinematica relativistica.
Più importante di tutti i lavori precedenti per l’affermazione
definitiva di E. fu la sua teoria quantistica del calore specifico
dei solidi (1907). La formula derivata da E. indicava che i
calori specifici dovevano tendere a zero al tendere a zero
della temperatura assoluta. Walter Nernst fu da questo stimolato
a iniziare, con i suoi collaboratori, un programma sistematico di
misurazioni dei calori specifici a basse temperature.
Di qui in avanti la carriera universitaria di E. si sviluppò in modo
rapido. Nel 1908 divenne Privatdozent all’Università di Berna.
L’anno seguente, resasi disponibile una posizione di professore
associato a Zurigo, Friedrich Adler, in predicato per il posto, fu
fermo nel ritirarsi a favore di E.. Nel 1911 gli fu offerto un posto
di professore ordinario all’Università di Praga. Vi rimase un anno
e mezzo. Nel 1912 ritornò infatti a Zurigo, dove gli era stata
offerta analoga posizione.
“Fra tutte le comunità a nostra disposizione [...] non ce n’è nessuna
a cui vorrei appartenere , se non quella dei veri ricercatori ...”
(lettera a Hedi Born, moglie di Max Born.)
Nel 1911, Nernst indusse l’industriale belga Ernest Solvay a
patrocinare una conferenza nella quale i fisici attivi nel capo dei
fenomeni quantistici potessero fare il punto della situazione. E.
fu uno degli invitati.
“Fin da quando ero un giovane abbastanza precoce, la vanità delle
speranze e degli sforzi che travolgono incessantemente la maggior
parte degli uomini in una corsa affannosa attraverso la vita, mi aveva
colpito profondamente. Ed anzi, avevo ben presto scoperto la crudeltà
di questa cosa affannosa, che in quegli anni era mascherata di
ipocrisia e di belle parole con cura molto maggiore di quanto si
faccia oggi [...] Ora comprendo che il paradiso religioso della
giovinezza, così presto perduto, fu un primo tentativo di liberarmi
dalle catene del ‘puramente personale’, da un’esistenza dominata
solo dai desideri, dalle speranze e da sentimenti primitivi. Fuori c’era
questo enorme mondo, che esiste indipendentemente da noi, esseri
umani, e che ci sta di fronte come un grande, eterno enigma, accessibile
solo parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero. La
contemplazione di questo mondo mi attirò come una liberazione, e
subito notai che molti degli uomini che avevo imparato a stimare e
ad ammirare avevano trovato la propria libertà e sicurezza interiore
dedicandosi ad essa ...
... Il possesso intellettuale di questo mondo extrapersonale mi
balenò alla mente, in modo più o meno consapevole, come la meta
più alta fra quelle concesse all’uomo. Gli amici che non si potevano
perdere erano gli uomini del presente e del passato che avevano
avuto la stessa meta, con i profondi orizzonti che avevano saputo
dischiudere. La strada verso questo paradiso non era così comoda
e allettante come quella del paradiso religioso; ma si è dimostrata
una strada sicura, e non ho mai più rimpianto di averla scelta.”
Lungo questo cammino, se non si perde l’amicizia di altre menti
forgiate con lo stesso stampo, si è però portati a chiudersi a un
mondo di relazioni e affetti più terreni e immediati. E. si sarebbe
più tardi definito come “un viaggiatore solitario”: “Non mi sono
mai dato con tutto il cuore né al paese che mi ha visto nascere,
né alla casa, né ai miei amici, e nemmeno ai miei congiunti più
prossimi.”
Berlino val bene una messa
Abbiamo lasciato E. a Zurigo. Ma Planck e Nernst si stavano già
adoperando per portarlo a Berlino. Le condizioni erano oltremodo
lusinghiere: E. sarebbe stato eletto, a soli trentaquattro anni,
all’Accademia Prussiana delle Scienze, sarebbe stato nominato
direttore del settore scientifico del Kaiser Wilhelm Institut, in via di
costituzione, non avrebbe avuto obblighi d’insegnamento e avrebbe
dunque potuto dedicare tutto il suo tempo alla ricerca.
E. accettò. La famiglia lo seguì a Berlino, dove si era trasferito
nell’aprile del 1914. Ma l’estate seguente Mileva ricondusse i figli
a Zurigo. Era la fine di fatto del matrimonio. E. avrebbe sposato,
nel 1919, subito dopo il divorzio, la seconda cugina Elsa.
A Berlino sarebbe rimasto quasi vent’anni.
Ma siamo nel 1914! Il soggiorno berlinese di E. non cominciava sotto
i migliori auspici. “Svizzero” ed “ebreo”, era per ciò stesso isolato in
un clima montante di nazionalismo già intriso della mitologia razzista
sulla nazione tedesca.
Quando poi le personalità più conosciute della cultura tedesca
redassero un manifesto nel quale affermavano, fra l’altro, che cultura
tedesca e militarismo tedesco erano la stessa cosa, e si esaltava la
profondità della scienza tedesca, accusando di leggerezza e
superficialità la scienza francese e anglosassone, egli sostenne
attivamente l’iniziativa del collega fisiologo Nicolai, che, con buona
dose di coraggio, preparava un controdocumento pacifista,
un “Manifesto degli Europei”. Solo Nicolai, E. e altri due lo
firmarono.
Abbiamo seguito l’attività di ricerca di E. fino al 1907, anno della
pubblicazione del suo importante articolo sul calore specifico dei
solidi.
Proprio in quell’anno egli aveva iniziato la lunga e difficile
navigazione che lo avrebbe portato, otto anni dopo, nel ’15, alla
formulazione del suo più importante contributo alla fisica: la
nuova teoria della gravitazione nota come Teoria della relatività
generale.
Sempre in periodo bellico, nel ’17, apparve quel “Considerazioni
cosmologiche sulla relatività generale” che avrebbe tracciato alcune
delle linee guida della cosmologia fisico-matematica del ventesimo
secolo.
Né egli aveva trascurato la fisica quantistica, se è vero che, in quello
stesso 1917, aveva prodotto una nuova derivazione, per molti aspetti
illuminante, della legge di Planck.
Una delle previsioni della teoria einsteiniana della gravitazione era
che il Sole dovesse deviare le traiettorie dei raggi luminosi emessi
dalle stelle che si trovino a passare in prossimità del Sole stesso.
Come conseguenza, stelle disposte sulla volta celeste in prossimità
del Sole, osservabili in occasione di un’eclisse totale di Sole,
dovrebbero mostrare scostamenti radiali rispetto alla loro posizione
abituale.
Nel 1919 una spedizione guidata
dall’astronomo britannico Arthur
Eddington per osservare l’eclisse
in condizioni favorevoli riportò
di avere osservato l’effetto nella
misura prevista (la figura mostra
i dati riportati in un’occasione
successiva – eclisse del 1922).
La nascita del mito
Il rapporto di Eddington suscitò un’impressione enorme prima di
tutto negli ambienti scientifici britannici. Non bisogna dimenticare
che in essi si era perpetuato per secoli il mito di Newton. Ed ecco
che, per la prima volta, la sua teoria della gravitazione appariva
confutata. “Newton detronizzato!”, si scrisse.
Ma l’eco fu molto forte anche al di fuori di quegli ambienti, e presso
l’intera opinione pubblica mondiale.
Facciamo attenzione all’anno! È il 1919, ed è appena finito il primo
conflitto mondiale, un orrendo inutile massacro. Ed ecco che un
astronomo britannico verifica una previsione formulata da un fisico
“tedesco”. La scienza può affratellare i popoli e far loro ritrovare
l’innocenza perduta.
La visione epistemologica della
maturità e il Dio di Spinoza
“La cosa più sorprendente del mondo è che esso è comprensibile”
“...abbiamo il diritto di essere convinti che la natura è la realizzazione
di tutto ciò che si può immaginare di più matematicamente semplice”
“I concetti matematici utilizzabili possono essere suggeriti dall’esperienza, ma mai esserne dedotti...”
“Credo nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’armonia di tutte le cose,
non in un Dio che si interessa del destino e delle azioni degli uomini”
“Sottile è il Signore Iddio, ma non maligno”
“Quello che vorrei capire è se Dio ha avuto alcuna scelta nel costruire
il mondo”
Einstein “schierato”?
L’armistizio e l’avvento in Germania della repubblica furono accolti
da E. con eccitazione e grande senso di aspettativa. In una cartolina di
quei giorni indirizzata a Born scriveva: “ ... i giovani che hanno
vissuto tutto questo non diventeranno facilmente dei piccoli borghesi ...”
“Le poche parole della cartolina – scrisse poi Born – mostrano
quali speranze egli riponesse nel nuovo regime ... Einstein detestava
profondamente il prussianesimo e il suo arrogante militarismo, li
riteneva sconfitti per sempre e credeva che tutto sarebbe andato
meglio”.
Si sarebbe anche troppo presto dovuto ricredere: già nel 1920, al
congresso di Bad Nauheim, il fisico Lenard mosse nei confronti di
E. violenti attacchi di stampo antisemita.
Einstein sionista?
Diversi uomini di scienza cominciarono anche ad additare la relatività,
apparentemente così svincolata dal campo dell’esperienza diretta, come
esempio di scienza ebraica, cui contrapporre la sana concezione propria
della scienza ariana. In questo contesto, nel 1921, E. si dichiarò
pubblicamente sostenitore del sionismo.
Si veda tuttavia un suo scritto molto più tardo, del 1938: “Io troverei più
ragionevole un accordo con gli arabi sulla base della comune
aspirazione a vivere in pace, piuttosto che ricorrendo alla creazione
di uno stato ebraico, cinto di frontiere, con un esercito e un potere
politico, non importa quanto esteso. Io temo per l’intimo danno che al
Giudaismo ne deriverà, specialmente attraverso lo sviluppo nelle nostre
stesse fila di un meschino nazionalismo, contro il quale noi abbiamo
già dovuto combattere duramente, anche senza uno stato ebraico”.
Il Nobel
E. ricevette il Premio Nobel per la fisica nel 1921, “per il suo
lavoro in fisica teorica e in particolare per la sua scoperta della
legge dell’effetto fotoelettrico”.
Va ricordato che il premio è di preferenza assegnato a ricerche
che siano state suffragate da riscontri sperimentali importanti.
Come pure che le conferme degli effetti relativistici (RR) furono
tarde a venire, e che, dopo il clamore iniziale, l’interesse per la RG
si andava attenuando in considerazione del numero ristretto dei
riscontri e della piccolezza degli scarti dalla teoria newtoniana.
Incidentalmente: E. devolvette interamente il premio alla ex moglie.
La vita non è fatta solo di lavoro e
d’impegno …
...ma ritorniamo alla fisica
E., fino dal 1905, aveva apportato contributi fondamentali allo
sviluppo della fisica quantistica (v. il Nobel! E la formulazione
della prima statistica quantistica – S. Bose, A. E., 1924-25).
Ma ora le cose stanno prendendo una piega che non gli piace.
Lettera del 1924 ai coniugi Born:
“Le idee di Bohr sulla radiazione mi interessano molto, ma non
vorrei lasciarmi indurre ad abbandonare la causalità rigorosa
senza prima aver lottato in modo assai diverso da come si è fatto
finora. L’idea che un elettrone esposto a una radiazione possa
scegliere liberamente l’istante e la direzione in cui spiccare il
salto è per me intollerabile. Se così fosse preferirei fare il
ciabattino, o magari il biscazziere, anziché il fisico”.
Finalmente la meccanica quantistica
A partire dall’introduzione del quanto d’azione da parte di Planck
nel 1900 si era andata accumulando evidenza per una quantità di
fenomeni quantistici, rispetto ai quali cioè il quanto d’azione
gioca un ruolo fondamentale, e vari autori, Einstein in primo piano
fra questi, avevano contribuito al tentativo di costruire uno schema
formale sottostante – una “meccanica quantistica” – capace di
inquadrarli globalmente.
Gli eventi precipitano nel 1926, quando, indipendentemente, Werner
Heisenberg a Gottinga e Erwin Schrödinger a Vienna e producono
quelle che appaiono immediatamente come due possibili formulazioni
generali della nuova meccanica: la “meccanica delle matrici”
e la “meccanica ondulatoria”.
...ma a che prezzo!
Nella formulazione di Schrödinger le particelle sono
descritte come dei “pacchetti d’onda”. Per un po’ di tempo
S. ritiene che si possa attribuire a queste onde una realtà
sostanziale.
Born mostra invece che devono essere consistentemente
interpretate come “onde di probabilità”.
Heisenberg (1927) mostra come, nella nuova meccanica,
risulti impossibile determinare simultaneamente posizione
e velocità di una particella: bisogna rinunciare al concetto
di traiettoria.
La nuova meccanica è inerentemente probabilistica: le probabilità
non sono epistemiche, ma ontologiche.
In una lettera molto più tarda E. scriverà a Born: “Le nostre
prospettive scientifiche sono ormai agli antipodi tra loro. Tu credi
in un Dio che giochi a dadi col mondo; io credo invece che tutto
obbedisca a una legge, in un mondo di realtà obiettive che cerco
di cogliere per via speculativa”.
Ai congressi Solvay del 1927 e del 1930 E. si propone di mostrare
che le regole d’indeterminazione di Heisenberg possono essere
violate. Bohr si sente personalmente tirato in ballo e s’ingegna di
neutralizzare le sue argomentazioni.
Si possono avere idee divergenti,
ma ragionarne in modo disteso …
Seconda – e definitiva – rottura con
la Germania: gli Stati Uniti
Nel 1933, con i nazisti ormai dilaganti sulla piazza e in una
recrudescenza di attacchi alla “scienza ebraica”, E., partì con
la moglie per quello che si presentava in partenza come un
soggiorno californiano. Appreso durante il viaggio di ritorno
dell’avvento al potere di Hitler, si stabilì momentaneamente in
Belgio.
Accettò poi l’offerta dell’Institute for Advanced Study, nel New
Jersey, un centro di ricerca che, una volta di più, lo avrebbe lasciato
libero di dedicarsi interamente alla ricerca. Vi sarebbe rimasto
definitivamente.
Einstein a Princeton. La ricerca è
cosa da giovani?
Einstein's […] famous 1905 paper on special relativity
has been cited "only" 450 times since 1974, making
it his fifth most-cited pre-1930 paper. However,
Einstein's most-cited article of all time is his 1935
paper with Boris Podolsky and Nathan Rosen, which
has over 2000 citations. This paper - which suggests
that quantum mechanics cannot offer a complete
description of "physical reality" – introduced what is
now known as the EPR paradox.
Einstein aveva all’epoca 56 anni. Quel suo lavoro suscitò
attenzione anche nell’immediato, in particolare da parte di
Bohr, che replicò immediatamente con uno scritto sulla
stessa rivista.
A Princeton E. condusse ulteriori studi di qualche rilevanza sulla
RG, curò edizioni successive del suo unico trattato, The meaning
of relativity, e scrisse, in collaborazione con Leopold Infeld, una
storia delle idee fondamentali della fisica (L’evoluzione della fisica).
Ma il grosso del suo tempo fu dedicato al tentativo di formulare
una teoria geometrica unificata della gravitazione e dell’elettromagnetismo. Questo sforzo generoso non produsse risultati
veramente apprezzabili.
Col suo attaggiamento critico rispetto alla meccanica quantistica
Einstein si era sostanzialmente isolato dal grosso della comunità
scientifica.
Qui a Princeton, avrebbe scritto a Born nel 1949, “non ho molta
influenza e sono considerato una specie di fossile, reso cieco e
sordo dagli anni”.
Ma gli eventi avevano già da tempo
ricominciato a precipitare
E questa volta la scienza avrà a che
fare in modo molto diretto con la
guerra
1939: Lise Meitner e Otto Frisch interpretano alcuni dati raccolti da
Otto Hahn e Fritz Strassmann come dovuti a una fissione dell’uranio.
La notizia si diffonde e molti fisici nucleari cominciano a pensare che
potrebbe essere possibile realizzare ordigni nucleari. Fra questi, negli
Stati Uniti, Enrico Fermi e Leo Szilard. Quest’ultimo convince
Einstein a inviare una lettera al Presidente degli Stati Uniti:
Signor Presidente,
[...] Negli ultimi quattro mesi è stata confermata la probabilità [...]
che diventi possibile avviare in una grande massa di uranio una
reazione nucleare a catena capace di generare enormi quantità di
energia [...] Questo nuovo fenomeno porterebbe alla creazione di
bombe [...] Una sola bomba di questo tipo, trasportata da un’imbarcazione e fatta esplodere in un porto, potrebbe benissimo
distruggere l’intero porto e una parte del territorio circostante [...]
Alla luce di questa situazione
potrebbe apparirle opportuno
istituire un collegamento permanente tra l’amministrazione
e il gruppo di fisici che si occupano di reazioni a catena negli
Stati Uniti ...
R. Jungk, Gli apprendisti stregoni, Einaudi:
...la decisione di Einstein fu presa nella convinzione “che il governo
a cui raccomandava di interessarsi attivamente del ‘problema
dell’uranio’ [...] avrebbe amministrato questa nuova potente energia
con saggezza e umanità”.
E. non ebbe alcun ruolo specifico nella realizzazione degli ordigni
nucleari. Come molti di coloro che invece lavorarono attivamente
nell’ambito del progetto Manhattan era angustiato dall’idea che a
quel fine si lavorasse attivamente in Germania. E i tedeschi andavano
battuti sul tempo.
“Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a costruire la
bomba atomica non avrei mosso un dito”.
Del resto il pacifista Einstein fu, nel corso della guerra e nell’immediato dopoguerra, decisamente uomo di parte.
Si veda la sua dedica (1944) “Agli eroi della battaglia del ghetto
di Varsavia”:
“Essi combatterono e morirono come membri della nazione ebraica,
nella lotta contro le bande organizzate degli assassini tedeschi. [...]
L’intero popolo tedesco è responsabile di questi assassinii in massa
e deve essere punito in quanto popolo, se vi è una giustizia nel mondo
e se la coscienza della responsabilità collettiva delle nazioni non deve
morire del tutto sulla Terra”.
E non perdonò ai colleghi di un tempo di aver sostenuto la Germania nazista.
Quando, alla fine del conflitto, gli fu chiesto da un conoscente a chi, in
Germania, dovesse portare i suoi saluti, continuò a ripetere monotonamente
- con intenzione - “Grüssen Sie Laue für mich”: solo Laue. Max von Laue,
colui che, durante la guerra, rischiando non solo la posizione, aveva aperto
la sua casa a parenti di deportati e a prigionieri di guerra.
Non così nel dopoguerra, nel clima di nascente tensione fra Stati
Uniti e Unione Sovietica. In quel clima egli indirizza una lettera
aperta all’Assemblea delle Nazioni Unite, invitandola a creare le
premesse per un governo mondiale, e invita gli Stati Uniti a
riformulare la loro proposta di un controllo internazionale sull’energia atomica in modo da renderla accettabile per l’Unione
Sovietica.
E poi c’è il periodo del maccartismo. Da una lettera (1953) a un
insegnante di Brooklyn che si era rifiutato di testimoniare di fronte
alla Commissione del Congresso:
“Ogni intellettuale che viene chiamato di fronte a uno dei comitati deve rifiutarsi di
testimoniare: ciò significa che egli deve essere preparato alla prigione e al disastro
economico [...] Inoltre il suo rifiuto a testimoniare non deve basarsi sulla ben nota
scappatoia di invocare il Quinto Emendamento contro una possibile auto-incriminazione, ma sull’affermazione che è vergognoso per un irreprensibile cittadino sottomettersi a quell’inchiesta e che quel genere d’inchiesta viola lo spirito della Costituzione. PS: Non è necessario che questa lettera sia considerata confidenziale”
Allarmato dalla corsa agli armamenti nucleari, Bertrand
Russell stava preparando una dichiarazione che, egli sperava,
sarebbe stata firmata da un gruppo selezionato di intellettuali
di ogni parte del mondo per allertare l’umanità circa il pericolo
cui andava incontro. Russell si rivolse ad Einstein, che volentieri
gli si affiancò nell’operazione. Il documento Russell-Einstein
uscì con undici firme. Visto da molti, sul momento, come un
gesto futile, avrebbe in seguito messo in movimento qualcosa.
Già nel 1957 a Pugwash, in Canada, si tenne la prima conferenza
dell’associazione di scienziati che, sulla scorta del documento,
si impegnavano nella valutazione dei problemi e dei rischi relativi
all’uso bellico dell’energia nucleare. La redazione del documento
Russell fu l’ultimo atto pubblico di Einstein.
Abraham Pais, Subtle is the Lord – The Science
and the Life of Albert Einstein, Oxford University
Press, 1982.
“Deve essere stato intorno al 1950.
Stavo accompagnando Einstein
in una passeggiata dall’Istituto per
gli studi avanzati a casa, quando
improvvisamente si fermò, si volse
verso di me e mi chiese se veramente
credevo che la Luna esiste solo se la
guardo”.
Tempo di bilanci
“Chi trova un pensiero che ci fa penetrare più a fondo, anche di poco,
nell’eterno mistero della natura ha ricevuto una grande grazia. Chi,
per di più, esperimenta il riconoscimento, la simpatia e l’aiuto delle
migliori menti del suo tempo, ha avuto in dono quasi più felicità di
quanta un uomo ne possa sopportare”.
Lettera a Solovine, 28 marzo 1949: “Tu immagini che io guardi
indietro al lavoro della mia vita con calma soddisfazione. Ma da
vicino sembra molto diverso. Non c’è un singolo concetto circa
il quale io sia convinto che reggerà solidamente, e non sono sicuro
di essere in generale sulla traccia giusta”.
Tutti gli uomini sono mortali
Michele Besso morì nel marzo del 1955.
Lettera di E. alla sorella e al figlio:
“…mi ha preceduto di poco nel congedarsi da questo strano mondo.
Ciò non significa nulla. Per noi fisici credenti la distinzione fra
passato, presente e futuro è solo un’illusione, anche se ostinata”.
Gravemente ammalato, chiese che, per la sua morte, non ci fosse
servizio funebre, né tomba né monumento. Morì il 18 aprile 1955.
Il suo corpo fu cremato e le ceneri disperse.
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