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La stabile organizzazione “personale” deve
Fisco e Estero
di Emanuele Lo Presti Ventura
La stabile organizzazione “personale” deve essere provata in tutti
i suoi elementi. Note a commento della sentenza CTP Como n.66
del 20 giugno 2012
La duplice nozione di stabile organizzazione in ambito OCSE e nel Tuir
La stabile organizzazione, come noto, è un istituto di natura strettamente fiscale, che
legittima e al tempo stesso delimita la pretesa impositiva di più Paesi sui redditi
conseguiti dalla medesima persona9: solo in sua presenza, infatti, il determinato Stato
può ritenere il soggetto residente oltre confine titolare di reddito d’impresa “prodotto”
entro il proprio territorio e, conseguentemente, tassarlo per i flussi netti ad essa
direttamente e, per certi versi, indirettamente riconducibili.
La definizione di stabile organizzazione che funge da riferimento in ambito internazionale
è quella riportata dall’art.5 del Modello OCSE di Convenzione bilaterale, così come
dettagliata nelle relative disposizioni a commento10. Nella prospettiva italiana soccorre,
altresì, la nozione contenuta nell’art.162 del Tuir, destinata ad operare ove non esista tra
il nostro Paese e lo Stato controparte un Trattato contro le doppie imposizioni conforme al
Modello o nella misura in cui le sue indicazioni risultino più favorevoli rispetto a quelle
pattizie11. Quale che sia la fonte, emerge con chiarezza l’esistenza di una dicotomia tra
due figure ben distinte e del tutto autonome di stabile organizzazione, ormai note agli
operatori con le qualifiche di:
“materiale”
e “personale”12


con questo termine si è soliti indicare l’ipotesi di stabile
organizzazione riportata dal co.1 dell’art.5 del Modello OCSE e
dal co.1 dell’art.162 del Tuir: in modo sostanzialmente analogo,
le norme in questione identificano l’istituto nella sede fissa di
affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in
tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato.
la stabile organizzazione
“personale”, al contrario, è
definita dai commi 5 e 6
dell’art.5 degli accordi
pattizi e dai commi 6, 7 e 8
dell’art.162 del Tuir.
In termini generali, le due fonti concordano nel qualificare tale la persona, fisica o
giuridica, residente o meno nel determinato Paese, che, agendo all’interno del relativo
territorio per conto dell’impresa situata oltre confine, conclude abitualmente contratti in
nome di quest’ultima.
Una differenza rilevante, però, è data dall’ampiezza della casistica di esonero:
 in sede OCSE la presenza della stabile organizzazione “personale” è esclusa ove
l’attività svolta dalla persona sia di carattere preparatorio o ausiliario. In questo senso,
viene realizzato un perfetto allineamento con le fattispecie che operano in ambito di
stabile organizzazione “materiale”;
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L’istituto rileva in Italia anche ai fini Irap: a norma dell’art.12 del D.Lgs. n.446/97, infatti, risulta imponibile il valore della produzione
netta derivante, tra le altre, dall’esercizio di attività commerciali nel territorio dello Stato, per un periodo di tempo non inferiore a tre
mesi, mediante una stabile organizzazione. Il concetto di stabile organizzazione è poi presente anche in ambito Iva, pur assumendo
in tale sede connotati e funzioni assai peculiari.
La nozione di stabile organizzazione è un cantiere sempre aperto: si segnala al riguardo un Discussion Draft di fonte OCSE,
“Interpretation and Application of Article 5 (Permanent Establishment) of the OECD Model Tax Convention”, datato 12 ottobre 2011.
Art.75 del DPR n.600/73 e art.169 del Tuir.
Indicativa al riguardo è la sent. della Cass. n.8488/10: in tale occasione, infatti, i giudici di legittimità hanno ribadito il concetto per il
quale l’art.5 della Convenzione, nel caso specifico tra Italia e Svizzera, deve essere interpretato nel senso che per la sussistenza di
una stabile organizzazione non è necessaria la compresenza dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo.
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 l’art.162, co.6 del Tuir, dal canto suo, esclude la presenza di una stabile
organizzazione “personale” nella sola ipotesi in cui il determinato soggetto, operando
in Italia in nome dell’impresa non residente, concluda contratti di acquisto di beni.
Le caratteristiche della stabile organizzazione “personale”
Nel definire il concetto di stabile organizzazione “personale”, entrambe le norme di
riferimento sembrano evocare unicamente ipotesi di rappresentanza diretta13.
La ricostruzione, tuttavia, non può essere accolta: diversamente, infatti, non si
spiegherebbe la necessità di escludere dalla nozione di stabile organizzazione
“personale”, come si vedrà innanzi, i mediatori e i commissionari generali, figure che
agiscono tipicamente in difetto di un potere di rappresentanza. Risolutivo, sul punto, è
peraltro il par.33 dei commenti di fonte OCSE all’art.5, ove si assegna massima
importanza al potere di negoziare gli elementi e i dettagli del contratto, in modo da
vincolare, di fatto, l’impresa estera, non già tanto e solo a quello di firmare l’accordo
raggiunto. In questa prospettiva, si comprende al meglio il successivo passaggio delle
note a commento, ove si specifica che l’eventuale partecipazione del soggetto alle
trattative tra clienti e casa madre, senza l’apporto di un contributo decisivo alla
conclusione degli accordi, impedisce di considerare il primo una stabile organizzazione
dell’impresa estera14.
Un secondo requisito che traspare dalle norme è quello dell’abitualità con cui la data
persona deve impegnare l’impresa non residente.
Al riguardo, a detta del Commentario OCSE, ogni valutazione circa la misura e la
frequenza dell’attività necessaria per concludere che l’agente sta "abitualmente
esercitando" il potere di stipulare contratti andrà condotta sulla base della natura di questi
ultimi e del business del committente.
L’articolo 5, co.5, del Modello OCSE, infine, opera un richiamo pressoché integrale al
precedente comma 4, dal quale discende l’irrilevanza delle attività di carattere
preparatorio e ausiliario15.
Come si legge in tema di stabile organizzazione “materiale”, la deroga trova il suo
fondamento nella lontananza di tali attività dalla produzione degli utili e quindi
nell’impossibilità di attribuire ad esse una parte di questi ultimi16.
Le ipotesi negative citate dal comma 4, ovvero il deposito, l’esposizione, la consegna e la
trasformazione di beni dell’impresa, nonché l’acquisto di beni e la raccolta di informazioni,
rappresentano delle mere esemplificazioni del concetto generale. Nel tentativo di
delinearne i contorni, il Commentario opera una definizione “a contraris”: il criterio da
adottare, infatti, è quello di stabilire se si è innanzi ad una parte essenziale e significante
dell'attività dell'impresa nel suo insieme, con la conseguente necessità di esaminare ogni
caso nelle sue caratteristiche17.
Complementare, sul punto, appare la nota apportata dal Commentario, al par.33, in
merito alla corretta interpretazione del co.5 dell’art.5 del Modello: in tale sede, si osserva
l’impossibilità di considerare afferenti al “business proper” dell’impresa, nella prospettiva
di cui si tratta, i contratti relativi alla sfera interna a quest’ultima, quali, ad esempio, quelli
concernenti l’assunzione di personale.
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Si pensi in Italia, ad esempio, ai mandatari o agli agenti con rappresentanza, ex artt.1704 e 1745 c.c..
Un atteggiamento più restrittivo traspare dal caso “Philip Morris”, ove peraltro la società italiana, giudicata in sostanza stabile
organizzazione personale “plurima”, si era resa responsabile, a detta dei giudici, non solo di una partecipazione alle trattative, ma
anche di un’attività certamente non accessoria, quale è quella di controllo circa la corretta esecuzione dei contratti stipulati con la
controparte.
Si è già evidenziata la diversa posizione assunta sul tema dal Legislatore italiano: l’art.162 del Tuir, infatti, lo si ricorda appena,
limita l’esclusione ad una sola attività di carattere preparatorio, ovvero l’acquisto di beni.
C.OCSE art.5, par.23.
C.OCSE, art.5, par.24.
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L’agente “indipendente”
Il comma 6 dell’art.5 del Modello OCSE e il comma 7 dell’art.162 del Tuir affermano come
non possa essere considerato di per sé stabile organizzazione “personale” il mediatore, il
commissionario generale o ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente,
almeno fintantoché operi nell’ambito della propria attività ordinaria. Il periodo risulterebbe,
secondo il Commentario OCSE, un’osservazione ad abundantiam, volta a chiarire ed
enfatizzare i confini dell’istituto: l’esistenza di un soggetto del tutto autonomo dall’impresa
non residente, infatti, dovrebbe essere elemento sufficiente ad escludere ogni fenomeno
di commistione reddituale.
Con riferimento al dato dell’indipendenza, quest’ultimo assume una valenza sia giuridica,
che economica. Fermo restando che il controllo proprietario non è indice di per sé della
carenza di autonomia, indici patologici al riguardo saranno, tra gli altri:
 il profondo grado di dettaglio delle istruzioni fornite all’agente oltre confine;
 la mancata assunzione da parte sua di un rischio imprenditoriale, eventualmente
attestata dalle ridotte remunerazioni lui riconosciute;
 lo svolgimento dell’attività, in via totale o prevalente, a favore di un’unica impresa,
oltre il tempo necessario alla chiusura del singolo affare o per un lungo arco
temporale18.
In merito, invece, al necessario rispetto delle funzioni per così dire “tipiche” del dato
contratto di intermediazione, il Commentario osserva, in termini generali, come l’elemento
cui si deve prestare attenzione è il mancato svolgimento, in via abituale, di un’attività che
attenga economicamente alla sfera dell’impresa committente.
L’articolo 162, co.8 del Tuir, infine, opera una sorta di deroga con riferimento al
“raccomandatario marittimo” ex L. n.135/77 e al “mediatore marittimo” ex L. n.478/68, di
cui non vi è traccia in ambito OCSE: gli stessi, in particolare, non costituiranno una stabile
organizzazione “personale” dell’impresa pur avendo il potere, non ordinario, di gestire
commercialmente ed operativamente, anche in via continuativa, le navi di quest’ultima.
La stabile organizzazione “annidata” nella società italiana del gruppo estero
L’articolo 5, co.7 del Modello OCSE esclude che una società possa essere ritenuta
stabile organizzazione di una seconda, residente nel diverso Paese firmatario del Trattato,
per il solo fatto che tra esse esista un vincolo di controllo o che una svolga la propria
attività nell’altro Stato. La previsione è ripresa dall’art.162, co.9 del Tuir, anche se tale
norma fa riferimento a rapporti tra imprese e non solo tra società, oltre a citare l’ulteriore
ipotesi in cui il controllo sia esercitato da un soggetto terzo, sovraordinato agli altri.
La funzione delle disposizioni è evidentemente quella di precisare come in scenari quali
sono quelli tracciati non è legittimo derogare ai principi generali:
la possibilità di ritenere uno dei soggetti stabile organizzazione dell’altro, quindi,
dipenderà dall’integrazione dei requisiti tipici delle fattispecie “materiale” e
“personale”19.
Nel primo caso, sarà decisivo il rilievo per cui la società del gruppo si appalesa quale
sede fissa d’affari usata strumentalmente per l’attività del soggetto non residente,
operando non già per il perseguimento di un obiettivo comune, quanto per il
soddisfacimento delle necessità operative di quest’ultimo.
Il giudizio circa l’esistenza di una stabile organizzazione “personale”, invece, dipenderà
dalla possibilità di ritenere la data impresa o società agente dipendente della realtà non
residente, in grado di impegnare abitualmente la stessa in affari attinenti al relativo
“business proper”.
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C.OCSE, art.5, par.38.
C.OCSE, art.5, par.41.
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In questa prospettiva, risultano di sicuro interesse le sentenze CTR Lombardia n.125/11
e Cassazione n.3769 del 9 marzo 2012, vertenti entrambe sul ruolo da assegnare alla
data società italiana, commissionaria controllata dall’estero. I giudici interpellati, infatti,
hanno rimarcato una volta di più l’importanza che assumono in questo ambito elementi
come:
 l’ammontare del compenso riconosciuto alla società prestatrice del servizio;
 il grado di dettaglio delle istruzioni ad essa impartite;
 la natura delle funzioni svolte.
Con riguardo ai gruppi societari, giova ricordare, da ultimo, come il Commentario OCSE,
al par.41 in nota all’art.5, rimarchi il dovere di condurre ogni indagine in via autonoma per
ogni soggetto estero appartenente ad essi: in altri termini, viene rigettata l’idea di una
stabile organizzazione del gruppo in quanto tale, come era stato parzialmente adombrato
nel già ricordato caso Philip Morris, e definitivamente “sdoganata” quella concettualmente
ben diversa di stabile organizzazione “plurima”.
La sentenza CTP Como n.66 del 20 giugno 2012
Il caso sottoposto all’attenzione della CTP di Como e deciso con la sentenza in oggetto
concerneva le modalità di svolgimento dell’attività di due società svizzere nel territorio
italiano20.
Nel dettaglio, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto un dipendente di cittadinanza italiana,
regolarmente iscritto all’AIRE, stabile organizzazione “personale” delle imprese estere,
così utilizzato per concludere tutte le operazioni commerciali con clienti residenti sul
territorio nazionale. La pretesa muoveva da presunti riscontri fattuali quali:
da un lato
le dichiarazioni rese da questi ultimi, circa l’importanza della figura
“incriminata” nella stipula degli accordi;
dall’altro
i pedaggi autostradali attestanti la frequente presenza di autovetture delle
società svizzere sul territorio italiano.
I giudici hanno accolto il ricorso di parte, muovendo da presupposti in larga parte in linea
con quanto in precedenza dettagliato. La sentenza, in particolare, ha sottolineato la
scarsa solidità delle affermazioni dell’Ufficio, che non avrebbe dimostrato l’effettivo
esercizio, in via abituale, di un potere di rappresentanza in Italia da parte della persona
fisica dipendente delle imprese elvetiche:
 le dichiarazioni di taluni clienti, infatti, non solo non erano univoche, ma risultavano
antitetiche a quelle rese da ulteriori imprese italiane, che avevano riferito della
conclusione dei contratti solo ed esclusivamente in territorio svizzero;
 del pari, dalle tracce autostradali delle autovetture aziendali non era possibile risalire
all’identità della persona a bordo e comunque alle funzioni che questi, ove presente,
era stato chiamato a svolgere nei singoli viaggi.
Qualche dubbio sorge, invece, con riferimento all’affermazione secondo cui l’Ufficio
avrebbe dovuto provare anche l’esistenza di una “sede fissa d’affari” a disposizione delle
società svizzere.
Come già rimarcato, è ormai pacifico che la stabile organizzazione trovi due declinazioni
tra loro autonome, volte a garantire una pretesa impositiva sui redditi d’impresa prodotti
dal soggetto non residente, una volta che sia integrato l’elemento “materiale” o anche
solo quello “personale”: se così, da un lato, una stabile organizzazione “materiale” può
essere ravvisata anche laddove non ci si avvalga del fattore umano, oltre a quanto
necessario per i servizi di installazione e manutenzione, è altrettanto possibile che si
20
La casistica è piuttosto ricca. Si segnalano, tra le altre, le sentenze CTP Rimini n.26/08, CTR n.37/10, CTP n.201/10, e Cass.,
n.20597/11.
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ritenga esistente quella “personale” di fronte ad un agente dipendente privo di struttura,
che si “limiti” ad intavolare e di fatto a concludere accordi con i clienti.
La sentenza offre diversi spunti anche con riguardo alle modalità con le quali si sarebbe
dovuto procedere, se del caso, ad una ricostruzione del reddito della stabile organizzazione.
Nel dettaglio, i giudici evidenziano innanzitutto il dovere che l’Ufficio aveva di operare una
sua determinazione analitica, in luogo dell’accertamento sintetico condotto sull’errato
presupposto che tutte le operazioni commerciali effettuate in Italia potessero essere
ricondotte sic et simpliciter all’attività della data persona. L’impostazione fatta propria
dalla Commissione, lo si evidenzia appena, risulta rispettosa dei criteri di imputazione del
reddito di fonte convenzionale, i quali, superando la c.d. “forza di attrazione” disciplinata a
vario titolo dagli artt. 151 e 152 del Tuir, limitano il potere di tassazione di uno Stato ai soli
utili effettivamente attribuibili alla stabile organizzazione21.
La sentenza riporta poi un sintetico ma quanto mai rilevante richiamo a quella che doveva
essere la necessità di pervenire ad un risultato coerente con quello che si sarebbe
determinato considerando la stabile organizzazione un’impresa autonoma ed indipendente
dal soggetto estero: si ricorda al riguardo come, in ragione del tipico disposto dell’art.7
delle Convenzioni conformi al Modello OCSE, nella determinazione del reddito di
quest’ultima trovi applicazione integrale la disciplina sui prezzi di trasferimento, pur con
qualche peculiarità legata alle caratteristiche dell’istituto22.
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Art. 7, co.1 della Convenzione Italia-Svizzera.
Si vedano in merito le indicazioni riportate nel “Report on the Attribution of Profits to Permanent Establishments” e nelle “Transfer
Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations”, nelle versioni aggiornate al 22 luglio 2010.
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